Ebook
VolanZine
“
saranno la misura della qualità
di quanto scriviamo, saremo noi
in molteplici luoghi,
contemporaneamente, stando
tranquillamente sul divano
”
Cos’è una
VolanZine
di Luigi Bruno Cristiano
S
u un singolo foglio A4 è possibile stampare un racconto di due
cartelle e piegandolo in un determinato modo è possibile ottenere una sorta di libretto che sta comodamente in un taschino, e non ha bisogno di rilegatura.
Le Zine sono ampliamente usate da molto tempo, non ho inventato nulla, le usano fondamentalmente per scriverci pensieri e disegni, ci sono Zine che sono vere e proprie opere d'arte.
Io ho solo visto come si fanno e ho pensato che fossero un gadget eccezionale per la diffusione dei racconti di 2 cartelle.
Noi
condividiamo
le parole.
E tu?
di Eleonora Lo Iacono
I
l principio della VolanZine è quello del bookcrossing, che sicuramente conoscete:
nel bookcrossing si lascia un libro in una
panchina, nella poltrona di un treno, alla
fermata degli autobus. Chi lo troverà, potrà
leggerlo e a sua volta lasciarlo di nuovo in
un posto, dove qualcun'altro avrà la possibilità di
leggerlo.
Ciò contribuisce ad accrescere la diffusione della
cultura, delle parole, e del senso della narrativa
che non è solo guadagno, classifiche di vendita e
popolarità ma è originariamente il bisogno di un
autore, di comunicare le sue idee, esprimere se
stesso attraverso la parola e fondamentalmente:
scrivere.
Con VolanZine noi usiamo lo stesso principio: chi
vuole contribuire, e ha una stampante, può stampare anche solo dieci copie della VolanZine. Piegarla (usando la guida che trovate nel nostro sito
Oh, bene.
) e affidare al caso, alla magia del destino, le paCon l'ubiquità l'abbiamo risolta.
role del vostro compagno di viaggio, che questo
Ora c'è da pensare alla moltiplicazione dei pani e dei pesci.
mese ha vinto il concorso.
Inoltre vi ricordo che VolanZine è una raccolta di
racconti: a oggi abbiamo ben undici racconti di
La redazione impagina nelle VolanZine, i racconti vincitori dell'omodue cartelle, votati dai lettori, che un giorno ponimo concorso
trebbero anche essere raccolti in un'antologia e
pubblicati, stampati e distribuiti con i metodi
classici. Ma non è questo il nostro obiettivo principale. Scripta ha questo sogno, sempre il solito, che avrete letto centinaia di volte, in giro nel portale: la condivisione libera
della scrittura. Libera, con le ali, senza vincoli legati ai costi, alla distribuzione tradizionale. Chiunque potrà trovare una VolanZine, grazie a noi, un racconto breve e gratuito, scelto dagli stessi lettori. Siamo un gruppo di persone che svolge quest'attività gratuitamente, per passione. Perchè siamo innamorati pazzi della scrittura, del suono delle parole, delle storie.
VolanZine è la conseguenza di quest'amore. Internet è lo strumento che ci permette maggiomente di concretizzare la condivisione libera. VolanZine ci permette di renderla un po' più reale, pur avendo di base la stessa intenzione. A chi non
avesse una stampante, ricordo che esistono comunque la mail, siti di condivisione come facebook, blog, che ci danno la
possibilità di far sapere ai nostri contatti, che c'è un racconto in cerca di un lettore. Un racconto volante.
Se ognuno di noi scaricasse il racconto in formato Zine che verrà confezionato dalla redazione e contenente il racconto del mese, e se ne
preparasse almeno 10 copie spargendole in giro; non so dandole alle
librerie, ai passanti, abbandonandoli sui tram come volete, otterremmo
una cosa che non si è mai vista, non in queste proporzioni, non con questi mezzi.
In pratica porteremo quel NON LUOGO che è la Rete nella Vita reale e
dalla Vita Reale porteremo i lettori alla Rete. Questo perché sulle VolanZine c'è un invito a chi le raccogliesse di raggiungerci qui, di registrarsi
e di dirci dove la hanno trovata.
Non aspettiamoci adesioni a centinaia, ma pensateci, tutto questo
porta, con un costo praticamente nullo, ad una diffusione nazionale
(siamo dappertutto), e alla possibilità di farci conoscere come singoli
autori e come Associazione"
Le VolanZine saranno il biglietto da visita di questo gruppo, saranno la
misura della qualità di quanto scriviamo, saremo noi in molteplici luoghi,
contemporaneamente, stando tranquillamente sul divano.
Abbiamo le ali
ww.scripta-volant.org
Regolamento
1. VolanZine è un concorso per
racconti brevi, per partecipare al
quale è sufficiente la registrazione
gratuita al Portale ScriptaVolant.org. E' un concorso aperto
a tutti i cittadini italiani, di qualunque età purché maggiorenni.
2. Il concorso è gratuito e viene
organizzato ogni due mesi.
3. I racconti devono avere la lunghezza massima di 3600 battute
(e minima di 2.500), spazi inclusi
e devono essere inediti.
4. Per partecipare al concorso, gli
utenti, entro la data comunicata
dalla redazione, dovranno inviare
via mail il proprio racconto, in formato word (.doc) a
[email protected],
indicando il titolo del racconto, il
proprio nome e cognome e il nick
in uso nel portale
www.scripta-volant.org.
Ogni autore potrà partecipare con
un solo racconto.
5. Prima della pubblicazione nel
forum, i racconti verranno selezionati dal nostro gruppo di lettura.
6.. I racconti inediti saranno pubblicati in forma anonima sul
Forum "Racconti in Concorso" e
gli autori potranno essere svelati
solo a concorso concluso. Verrà
inoltre realizzato un e-book, con
tutti i racconti partecipanti, scaricabile gratuitamente dal portale
http://www.scripta-volant.org, per
facilitare la lettura agli utenti che
li valuteranno.
7. A insindacabile giudizio della
redazione, potranno non essere
ammessi racconti che abbiano un
contenuto pornografico e/o offensivo.
8. I racconti pubblicati potranno
essere letti, commentati e votati,
entro i 30 giorni successivi alla
scadenza del concorso (la data
verrà comunicata dalla Redazione), da tutti gli iscritti al portale
che abbiano partecipato al concorso e da tutti gli altri che abbiamo già inserito nel forum
almeno 50 messaggi.
9. Il voto va espresso all’interno
del topic preposto, inserito ogni
mese nel Forum “Cabina di Voto”,
dalla Redazione. Perché il proprio
voto sia valido, ciascun utente
dovrà indicare, in ordine di preferenza, i cinque racconti preferiti. I
voti espressi andranno in coda di
moderazione e saranno pubblici
solo dopo la chiusura delle votazioni.
10. Gli utenti votanti sono tenuti a
leggere e commentare tutti i racconti in gara. Sussiste comunque
l'obbligo di commentare almeno i
cinque racconti preferiti. In caso
contrario, il voto sarà annullato.
11. Gli utenti che abbiano partecipato al concorso sono tenuti a votare nel rispetto delle regole sopra
elencate. In caso contrario, il racconto verrà escluso dal concorso.
12. I racconti dovranno essere
letti, commentati e votati con assoluta lealtà e schiettezza. La redazione si riserva di annullare
quei voti che siano in contrasto
con questi requisiti.
13. Il racconto vincitore verrà
pubblicato a cura della redazione in una VolanZine, distribuita in tutta Italia.
CHIUNQUE PUÒ CONTRIBUIRE ALLA DISTRIBUZIONE:
chi vorrà, potrà stampare anche
solo 10 copie della VolanZine,
piegarla e affidare al caso, alla
magia del destino, il racconto vincitore. Noi della Redazione, ne distribuiamo ogni mese: durante
eventi letterari o in giro per
le nostre città!
Partecipando al concorso gli autori acconsentono a cedere a titolo
gratuito il diritto di pubblicazione,
riproduzione, diffusione e distribuzione al pubblico, all’interno
della VolanZine. A Scripta-Volant
è riservata la scelta del tipo di
veste grafica. Tale concessione si
intenda valida per tutto il periodo
di distribuzione. Concede, altresì,
ove lo ritenesse necessario, il diritto di utilizzare estratti dal racconto a fini pubblicitari e
promozionali, in qualsiasi modo e
forma.
14. La copertina della VolanZine
potrà essere scelta dall'autore che
potrà inviare alla redazione un'immagine (di sua proprietà o che
abbia il consenso del proprietario
dell'immagine), oppure verrà
scelta un'immagine dalla redazione stessa.
15.Ogni autore dichiara che il proprio racconto è un’opera originale
di sua esclusiva paternità, che non
viola alcuna norma di legge e/o diritti di terzi e in particolare, non ha
né forme né contenuti denigratori,
diffamatori o di violazione della
privacy. In caso contrario, l'autore
ne sarà l'unico responsabile.
16. Partecipando al concorso, gli
autori accettano tutti gli articoli
del Regolamento
Continuo a pensare che sia colpa mia. Che potevo farci
qualcosa.
“Amore mi ami?”, mi ha chiesto quella mattina.
“Certo che ti amo”, gli ho detto io.
“Ma sei sicura?”, ha insistito lui.
“Non iniziare, Sergio”, gli ho fatto.
Sono uscita senza neanche guardarlo. Dai suoi occhi
avrei forse potuto capire qualcosa.
Poi mi hanno chiamato al lavoro. Non sapevo come
prenderla. Sono rimasta per un po’ con la cornetta
all’orecchio. Forse qualche minuto. Forse all’altro
capo del telefono continuavano a parlarmi. Non saprei dire. Ho fatto un respiro profondo e sono andata a casa.
Mia nonna mi chiamava la mia piccola gioia. Diceva che avrei vissuto
come una principessa.
Ora me ne sto sempre qui con lui. Gli sono sempre stata vicino. Prima di fronte
a un letto, ora a una poltrona. Ho chiesto un po’ di aspettativa dal lavoro; prenditi
tutto il tempo necessario, mi hanno detto. Me ne sto qui con lui ed evito di fissarlo
perché ho paura di metterlo a disagio. Lo imbocco, gli pulisco il mento, gli metto
la cannuccia in bocca. Poi gli tengo la mano mentre ce ne stiamo di fronte al televisore. Via via, gli chiedo se vuole che cambi canale. Ma lui non
risponde.
Le infermiere mi hanno detto di portare pazienza. Che dopo le prime due settimane ci si abitua e poi le cose iniziano a migliorare. E’ passato più di un mese e
a me sembra di essere sempre al punto di partenza.
Stamani, quando sono andata a prendere il pane, Antonio mi ha chiesto di Sergio.
Sta migliorando, gli ho detto. Piano piano, mi ha fatto lui. Poi ha preso una manciata di pizzette e me le ha messe nella busta. Queste sono per Sergio, offre la
casa, mi ha detto con un sorriso compassionevole. Sergio può mangiare solo roba
semisolida. Ma io non ho detto niente e me ne sono andata. Ora le pizzette sono
nel cestino dei rifiuti. Non ricordo neanche se l’ho ringraziato.
Michela dice che sono paranoica, che non devo dirlo nemmeno per scherzo.
Anche la mamma sostiene che è normale sentirsi in colpa, ma che non potevo
farci niente. Era destino, dice sempre. Ma io non riesco a levarmelo dalla testa.
I suoi colleghi hanno iniziato a venire a trovarlo. Si presentano con qualcosa in
mano e me lo porgono con imbarazzo. Si vede che si sentono a disagio. L’altro
giorno ho detto a Sergio che sistemavo il mazzo di fiori del suo amico. Sono andata in soggiorno e l’ho gettato contro il muro. Poi l’ho calpestato con i tacchi.
In bagno ho aperto il rubinetto dell’acqua perché non si sentissero i miei singhiozzi. Ma ho paura che se ne sia accorto. Poi gli ho dato una sistemata e
e l’ho messo in un vaso.
A volte ho l’impressione di stargli troppo addosso e vado in un’altra stanza. Ma
poi penso che forse ha bisogno di me e allora non so più che cosa fare.
Mi metto a spolverare i libri e ogni tanto do un’occhiata di là in soggiorno. E lui
è sempre lì sulla poltrona. Avrei voglia di chiedergli perché lo ha fatto. Di urlargli
in faccia se è mia la colpa. Ma poi mi rimetto a spolverare con più foga.
Mia nonna mi diceva che ero la sua gioia. Vedrai che sarai felice, mi diceva.
La mattina e la sera viene ad aiutarmi Noel. I
primi giorni ero io a portarlo al bagno e a pulirlo. Ma poi i suoi occhi lucidi mi hanno fatto
capire che non lo sopportava. Noel viene e fa
tutto con scrupolo, senza dire niente. E io aspetto
in camera mordendomi le labbra. Dei filippini ti
puoi sempre fidare, dice la mamma.
Tiro fuori alcune fotografie di noi due, qualche
anno fa. Michela dice che quando è giù di corda,
guarda le vecchie foto e mangia cioccolata. Dice
che nelle foto sembriamo sempre tutti più felici e
questo la rasserena. A me fa l’effetto opposto.
Piano piano
di Dario Puppi
•
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http://www.scripta-volant.org/doc/volanzine/VolanZine-n12-Piano_pianoDario_Puppi.pdf
Costruire una serra non molto grande che consenta di
non perdere mai di vista il cielo, in un luogo lontano dal
tempo e dallo spazio, irraggiungibile a meno di conoscerne l'indirizzo.
Entrare nella serra a piedi nudi, e solo dopo aver disposto il cuore ad aprirsi. Ogni mattina all'alba zappettare
la terra e inumidirla, e affondarvi le dita per farla sentire
feconda, e godere con lei di questo lungo brivido dolce.
Seminare nelle impronte delle proprie carezze semi di
piante bellissime e strane, esotiche, dai fiori colorati:
e attendere.
Ad-tendere: tendere verso la terra. Donarle tutta la
propria attenzione, spiarne ogni fremito e sussulto,
scaldarsi con lei al sole e rinfrescarsi durante la notte,
sapendo che il tetto invisibile e trasparente protegge
da ogni estraneità.
Percepire lo schiudersi dei semi e il suono del germoglio che cerca vibrante una strada verso la luce: e
attendere ancora.
Seguire la crescita delle piantine e incoraggiarla e nutrirla: ma non smettere mai di
attendere, coltivando una fiducia incrollabile.
Quando finalmente spunta il primo bocciolo, allora la clinica per le farfalle è pronta.
Portare una farfalla ferita e incapace di riprendere il suo volo accanto a un fiore ancora chiuso.
Adagiarla su un minuscolo nido sul palmo di una foglia, e parlarle.
Mostrare alla farfalla il gambo che sostiene ed alimenta il fiore lasciandosi attraversare dalla linfa.
Mostrare al bocciolo la farfalla chiusa su se stessa, le ali piegate e tremanti.
E' qui che avviene il miracolo: nessun fiore resiste alla visione di una farfalla, questo
è certo, perché lei gli è in tutto simile. Colorata, lieve, e con quella polverina di
luce che in lui è polline nutriente: guardando la farfalla, il fiore si apre alla luce più
velocemente. E lei, guardandolo, freme, e sente le ali come petali freschi che si tendono verso l'alto, quasi contro la sua volontà, piano piano.
Lasciali da soli per un'intera notte; e poi, al mattino, a mani e piedi nudi, andarli a
trovare.
E' certo che si saranno scambiati il segreto: lei gli avrà raccontato come si sente un
fiore che vola, e lui, spalancato nella meraviglia di quel racconto, le restituirà l'immagine di una farfalla stillante nettare.
Allora lui sarà più radicato in se stesso, e lei, bagnata di una polverina in tutto simile
al polline, potrà volar via di nuovo.
Ognuno conterrà in se stesso il fremito dell'altro né mai ne sentirà la mancanza.
Per riparare una
farfalla di Daniela Thomas
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http://www.scripta-volant.org/doc/volanzine/VolanZine-n11-per-riparare-una-farfalla-DanielaThomas.pdf
Una fata, sì, era decisamente una fata. Prima di appendermela al collo me la fece dondolare davanti agli occhi per
alcuni istanti. Era di un azzurro iridescente, e guardandola
attentamente si poteva scorgere il sorriso della fatina, seminascosto dalle ali.
“Sembra la Monna Lisa.”
Gli dissi indicando l’espressione indecifrabile sul viso
della fata.
“Tu dici?”
Giò la scrutò, tenendola tra le dita.
“Secondo te cosa sta pensando?”
La lasciò andare facendola dondolare un po’.
“Nulla. E’ un minerale, non può mica pensare!”
Fermai la fatina con la mano mentre dondolava sul
mio petto.
“E tu che ne sai?”
“Temma Temma...”
“Cosa?”
“Sei proprio ingenua sai?”
Mi trattava sempre come una bambina, e lo ero, in effetti.
“E così, parti domani?”
“Sì.”
“Non voglio che vai via.”
Lo guardai implorante.
“Devo andare Temma, non c’è altro da fare.”
Gli saltai al collo improvvisamente e fui investita dal suo intenso profumo. Quel
profumo era come la prova della sua presenza, lì, in quel momento. Volevo inebriarmene un’ ultima volta, per essere certa di ricordarne ogni sfumatura, dalle note
dolci del ciliegio, a quelle fresche e decise della menta che cresceva in un grande
ammasso scomposto nel giardino in comune tra le nostre due case, e che lui attraversava sempre per venire a giocare con me. Certi profumi ti entrano dentro, e ti
accompagnano per tutta la vita. Volevo essere certa di ricordare il suo, così, se un
giorno l’avessi sentito di nuovo, questo in qualche modo mi avrebbe riportata da
lui.
“Hai bevuto cappuccino prima di venire?”
“Sì, perché?”
“Ce l’hai ancora addosso.”
Sebbene avessi ancora il viso immerso nella sua giacca, sentii che in quel momento
stava sorridendo. Lo strinsi ancora più forte.
“Voglio che noi due rimaniamo sempre amici.”
“Non è possibile Tem.”
Mi staccai da lui bruscamente: non era quella la risposta che mi aspettavo.
Giò si mise a ridere. Perché doveva sempre rovinare tutto?
“Temma…”
Mi prese in braccio facendomi sedere sulle sue ginocchia.
“Domani io parto. Capito? Non mi vedrai più. E’ meglio che ti ci abitui fin da
“Perché?”
Chiesi io agitandomi sulle sue ginocchia. Lui mi accarezzò la testa.
“Quando sarai più grande lo capirai meglio.”
“No! Io non voglio!”
Lo abbracciai forte. Lui non mosse un muscolo.
“E’ meglio che inizi ad abituarti alle cose brutte. Perché la vita ne è piena. Là dove vado io ce ne sono
molte.”
“Ma ora sei qui! Qui non c’è niente di brutto!”
Giò scosse il capo lentamente.
“No. Ci sono anche qui. Anche se tu non le vedi.
Le cose brutte, come la guerra, esistono e fanno
male. C’è qualcosa, però, che è più forte di tutti
gli eserciti del mondo, ed è la vita. Per quante
guerre possano esserci al mondo, la vita continuerà ad esistere sempre da qualche parte. Per
ogni persona che muore ne nasce un’altra, e
un’altra ancora, e quella persona crescerà, penserà, amerà,
sarà felice o sarà triste: vivrà. Io voglio che tu viva Temma.”
Non dissi niente. Ero davvero ancora troppo piccola per capire, ma una parte di me
sentiva che un giorno quelle parole mi sarebbero tornate utili. In quel momento,
tutto quello che sapevo era che Giò, il ragazzo che conoscevo da tutta la vita, l’indomani sarebbe partito per la guerra. Io non l’avrei rivisto mai più, e la colpa era
sua.
“Non sono più tua amica!”
Scesi dalle sue ginocchia e corsi a nascondermi nel capanno. Aspettai di sentire i
passi di Giò sull’erba, ma ciò non accadde. Rimasi sola nel capanno.
Mi sedetti a piangere ripensando alle sue parole, poi presi in mano la fatina che mi
aveva regalato e sentii come sussurrare: “Vi rivedrete, un giorno.”
La strinsi forte pregando fosse vero.
La fata regalata
di Deborah Santarelli
•
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http://www.scripta-volant.org/doc/volanzine/VolanZinen10-La-fata-regalata-Deborah-Santarelli.pdf
Racconto in dieci episodi.
I.
Apro le gambe, come al solito.
Il tempo passa più in fretta, se non penso.
Maledetti pensieri: mi allungano la vita.
Mi rendono più lungo il lavoro, distesa sulla schiena,
in attesa sul marciapiede.
Non ho molto a cui pensare, però sarebbe meglio
niente.
Come morire, con le gambe aperte, mentre mi guadagno i soldi di un cliente necrofilo.
In anticipo.
Per il mio angelo custode, affinché li custodisca.
Affinché non spariscano nel solco della mia femminilità.
II.
Quando sono partita ero ragazza dell’est.
Anche ora sono ragazza dell’est, però in più batto.
Lola mi ha detto che non sarà sempre così.
Per questo ho paura.
III.
Sergei mi ha stuprato come fosse un dovere, per accertarsi che non fossi vergine.
Ma non lo ero: se no mio padre non mi avrebbe venduta.
Magari sarei sposata ora. Magari.
Qualcuno deve portare i soldi alla famiglia, ha detto mio padre.
Tanto vale che non sia vergine, ha detto mia madre.
Perché i soldi sono maschi, e cercano il sesso delle donne.
E mia sorella vergine non ha detto niente. IV.
Ieri sono andata a letto tardi.
Alle sei del mattino, che albeggiava.
Ho visto il sole e mi sembrava un lampione: che stupida, mi dice Lola.
Il sole è il sole, il lampione è il lampione.
E’ come confondere il fiume con il mare.
Ma il fiume porta sempre al mare.
E la luce del lampione si spegne quando si accende il sole.
V.
Ho dato poco, questa volta.
Sergei mi ha dato molto invece, sono tutta un dolore.
Me le ha date come un dovere, ma le botte mi hanno fatto male lo stesso.
Ha sposato mia sorella e i miei hanno pianto al matrimonio.
Anche io ho pianto, stesa sulla branda con Lola.
E lei mi ha baciato in bocca, per consolarmi.
Solo i baci non possono toglierci, o non vogliono.
In fondo non hanno molto valore.
VII.
Un cliente non mi ha pagata.
Mi ha frugato addosso e si è ripreso i soldi.
E’ stato furbo, molto furbo.
Ma il giorno dopo Sergei lo ha steso con un
pugno, come un dovere.
Poi ha detto: chi non paga non scopa.
Solo chi è innamorato non paga per scopare, ha
detto.
Forse il cliente è innamorato, e si è fatto pestare
per me.
Forse.
VIII.
Il mio innamorato è tornato, si chiama Mario.
Dice che vuole sposarmi, che vuole portarmi via.
Però non mi paga, e le botte le prendo io.
IX.
Oggi sono libera, Sergei invece è dentro.
Hai avuto coraggio, mi ha detto Lola, però adesso scappa.
Col mio innamorato posso scappare, sì.
Dove non ci sono lampioni, ma solo il sole, solo il mare.
Posso prendere il traghetto e attraversare il mondo.
Con Mario, sperando di non vedere più mio padre.
Con Mario, sperando di non vedere più la strada.
X.
Oppure sono morta, e Sergei assassino.
Col coltello sporco, sporco per dovere.
Perché non guadagnavo abbastanza e bisognava dare
l’esempio.
Un esempio da un orecchio all’altro.
Però ora non penso più, e il tempo passa più in
fretta.
Chissà se Mario si ricorderà di me.
O se andrà con Lola, senza pagare.
La vita in dieci
frammenti di Gianfranco Bussalai
•
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http://www.scripta-volant.org/doc/volanzine/VolanZine-n9-La-vita-in-dieciframmenti-Gianfranco-Bussalai.pdf
Il cassettone di nonna Cira è un cassettone coi fiocchi.
Impiallacciato in noce, con le colonnine ben tornite e
le geometrie naturali e slanciate, mi sovrasta, come
un tempio greco sul poggio.
Un po’ la penombra ne corruccia l’aria, ma è un buon
maestro, il cassettone di nonna Cira, o quantomeno
lo sarebbe.
La stampa con le musicanti, invece, è materia inerte.
Da secoli ormai la cembalista, la pifferaia e la tamburinista hanno smesso di esalare la loro musica
fatua. Le trovo moleste, ora che le osservo, d’una
sconcertante inettitudine.
Fa caldo. Beh, non so se davvero faccia caldo... Io ho
caldo. E sono teso.
Mi metto cedevole, ci provo; provo a smorzare la minaccia portata da quegli stiletti che si fingono unghie,
mentre i capelli, coltre caprina, ammasso di frasche, i capelli mi ramazzano.
Quasi scoppio a ridere, e non sarebbe civico. Perché è una persona a modo, Enrichetta. Partecipa, si confronta, s’industria, poi s’entusiasma. E s’avventura, persino.
È un tipo affidabile; te la trovi. Te la trovi dappertutto.
Me la presentò Marcello; una cosa vergognosamente combinata: – È perfetta per
te, – mi disse, – ti piacerà. Bisogna che tu la smetta di pensare a Livia.
Enrichetta di tanto in tanto mi guarda. Le do qualche conferma e subito me ne
pento; le conferme, è ovvio, la spronano.
Devo arginarla. Raffreddo gradatamente i responsi fino a ostentare distrazione.
Sono molto snob, adesso. Lei tuttavia non si demoralizza: estende, moltiplica,
diversifica le premure.
Ecco che si mette a strimpellare il suo violone.
Mi scasserà. Pure il cassettone di nonna Cira ne sembra convinto.
Nèi.
Dieci, cento, mille, una galassia di nèi sulle spalle di Enrichetta. Ne spicca uno:
una lenticchia, una lenticchia galattica che nuota in una zuppa di nèi.
Vanno, le galassie, e come chiocce si portano dietro tutti i loro punti neri.
Livia non sudava così. E non strillava. Non così.
Sto; preso in un congegno a doppia azione, calcato dall’alacrità di Enrichetta,
strigliato, artigliato, e insieme sospeso a mezz’aria, incapsulato nel ristagno dei
minuti.
Dalla stampa, la pifferaia mi guarda dispettosa. È la sua rivincita.
Cambia sistemazione, Enrichetta, e mi mette i piedi in faccia. Paffuti, buffi; piedi
da lattante. – Scusa! – mi dice, fra il rammaricato e il divertito. Sorrido, poi le
bacio una caviglia.
Un altro tanfo. I piedi di Livia avevano tutto un
altro tanfo.
Fanfara andante ma
non troppo di Giuseppe Buscemi
•
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Rumba vivace questa sera nel quartiere, signore e signori, per palco i marciapiedi della “Calle Heredia”,
pista da ballo la lingua d’asfalto che attraversa in lungo
Santiago, signori e signori si suona e si balla, se vi va,
la luna è padrona e illumina la fiesta, l’allegria vi accompagni che l’estate è bella soprattutto qui, dove non
si sente il bisogno dei grattacieli per essere vicini alla
notte, ché il sogno California neppure è sicuro che esista
davvero. Donna Vilma ha già preso il tempo e stringe il
panciuto Hermo García accendendo la pista, rumba cubana nelle orecchie, snocciolano i passi e si muovono
svelti, se non proprio leggeri almeno aggraziati; s’è
messo la camicia buona Guillermo e non diresti mai che
rimette a nuovo motorini e cacharros dieci ore al giorno,
così sorridente, capelli lucidi cravatta a fiori, e le cosce
sudate della sua donna sono ancora elisir che fa mischiare il sangue e ballare con voglia. Stanotte non sai cosa ti combino, le sussurra
all’orecchio. E se anche è una frase così, ché dopo un’ora di passione il sonno lo
vince e il fuoco è di paglia, se anche è una frase così, ché la domenica si è più
stanchi che mai, lo stesso Vilma si fa venir le guance color dell’imbarazzo e lo
bacia sul collo. Ohi amore mio, e si sente scema e felice come le belle donne
delle telenovelas di CubaVisión. Rumba vivace stasera signori, si fa tardi in compagnia e i ragazzi schiamazzano e fanno fischi e pernacchie, ma va bene così ché
oggi è come l’essere un po’ rinati. Juan Ferrer ha ventun’anni e una specializzazione sbagliata da ceramista, sotto la pelle note ribelli che lo fanno tremare,
stringe le maracas, balla, con le spalle che saltellano sopra le scapole appuntite,
ha capelli stopposi, riccioli scuri. Si dice che una turista italiana sia stata l’inizio,
bella come il peccato, labbra di ciliegia, gambe lisce e pelle dal sapor mediterraneo, si dice. Adesso fa vibrare le maracas, tiene il tempo col piede, sorride ogni
tanto, sente il suono degli altri e non gli sfugge una nota. Quando punta gli occhi
sul viso tirato di Ernesto Prado bravo ragazzo, buon chitarrista poeta delle corde,
Ernesto Ernesto, pensa Juan, Ernesto Ernesto, se questo fosse un palco di Parigi,
se questa gente avesse altri nomi e cognomi, se una mattina d’agosto non avessi
fatto l’amore con quella strega incantevole, se la spiaggia del Malecón non fosse
così invitante la notte, per desiderarsi ed uccidersi con un pugnale di velluto dentro all’anima, Ernesto Ernesto, che gruppo saremmo, noi quattro, rumba e salsa,
jazz e yambù. Che estate sarebbe, quest’estate.
La notizia del Líder che fu Máximo rende quest’aria umida ancor più densa, può
accadere di tutto, si sa, tra le calle e i vicoli stretti si vedono ombre che nessuno
conosce, può essere la vista ingannatrice del vecchio Bartolomé, o forse davvero
è riunione di spiriti erranti d’altri luoghi e d’altri tempi, chissà, quel ragazzo secco
come uno grissino, scarpe di vernice lustre, tabacco arrotolato, dicono si chiami
Octavio e voglia scappare dall’isola, dicono suoni il contrabbasso con virtuosismo
e scriva per una rivista clandestina, dicono sia di origine magrebina, solitario e
introverso, ma chissà, forse è avanero amico di qualcuno, forse figlio d’emigrato
tornato per l’estate, chissà, ma se davvero si chiama Octavio e suona il
contrabbasso, magari si unirà ai quattro musici a fine serata per inventare suoni
d’Africa e d’Oriente, per scrivere strofe di pescatori e sirene more, di rum d’annata
e labbra avvelenate, o solo per fumare piano dietro la “Casa de la Trova”, per portare a letto la solista o per raccontare ai pochi turisti presenti che Cuba è una bugia
lontana. Una bugia cantata alla bellezza perché non sia gelosa, come questa indimenticabile serata d’estate. E niente più.
Adios Fidel
di Luca Artioli
•
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Ecco il lentisco delle Terebintali, basso e ramoso ed eccone i frutti a drupa rossi e duri
ed i semi ricchi d'olio. Ed ecco il cardo delle
Rubiali con i capolini da far seccare per cardare la lana delle pecore e il cardo delle Sinandrali con le foglie biancastre lunghe,
carnose dai peduncoli buoni. Lì c'è la sempreverde delle Policarpali con le sue foglie coriacee
ed aromatiche e le infiorescenze giallognole a
ombrella e i frutti con la carne nera, lì c'è l'alloro
ed il suo profumo per le narici.
Ecco il viola dei fiori e le foglie col lungo picciolo
da cui si ricava il decotto per il ventre dolente: è la
malva dai fiori pentameri.
Onu, eud, ert, orttauq e euqnic.
I semi rossi e i frutti neri, i fiori viola e le biancastre
foglie, le infiorescenze giallognole e i neri frutti.
Col fiore di sambuco ti faccio passar le febbri, con la terra d'argilla curo i tuoi denti,
col fiore della camomilla gli occhi belli; il biancospino per il tuo cuore, l'odorosa
lavanda per i polmoni d'aria e la dorata propoli per la pelle da accarezzare.
Se lo judicio mio arriva a la chiesa ecco cosa mi fanno per averti guarito.
Vedo accanto al prete, all'inquisitore, il medico, il giudice, il cancelliere.
Dentro una stanza buia mi porteranno in una cesta per averti guarito la ferita sanguinolenta, le ossa rotte.
I miei occhi bendati non vedono più la luce.
Sento le mani che mi denudano.
Ho voglia di mordere carne ed aria e di graffiare e di urlare. Ah!
Per averti curato, ogni mia piega ed ogni orifizio è esaminato con occhi lucidi,
sopra, sotto, nelle natiche, dentro le palpebre degli occhi, nelle narici, e delle orecchie e tra le cosce ed in bocca, tra i denti, nei denti.
Mi scruteranno ovunque... dentro... dentro... ancora più dentro.
Cercano su di me il marchio del demonio... il marchio del demonio, del demonio,
Satana, cercano un porro, un neo, una piccola macchia basterà per accusarmi per
riconoscermi, per condannarmi... per uccidermi.
Le mie labbra portano lo stigma di Eva, rubato agli uomini dell'Eden.
Mi tosano, mi rasano, tagliano pelle e peli per cercare meglio tra le ciocche dei
miei lunghi capelli.
Quello che mi faranno per essermi presa cura di te...
Ogni cosa mi trapasserà.
Lunghi spilloni cercheranno i punti sensibili al dolore, punti sensibili al dolore... e
le loro dita, i loro genitali scaveranno ogni mio buco, come carne da pestare, come
mortaio dei miei battuti.
Manifestano il loro disprezzo attraverso l'amore per la sodomia.
Impugnano il Malleus Maleficarum.
La tortura dell'acqua e quella del sale, mi faranno provare a cavalcare la sedia, un
sedile rotondo, irto di punte di ferro sul quale vado a cavalcioni col braciere acceso
sotto le mie carni, il cavalletto, la capra per averti curato e fatto bere la mia pozione
e useranno lo strizzaseni per sentirmi urlare... urlare... usano lo schiacciapollici, la
ruota per frantumarmi le ossa. Ahhh!
Mi faranno confessare i miei peccati, i miei poteri, ogni mia guarigione. Vedo
l'asino... vedo la sua coda... mi legano su di esso alla rovescia coi seni nudi e straziati
e la frusta del boia sulle spalle... per averti curato... per averti guarito... Ahhh!
Se uno non dimora in me, venga buttato come un ramo
che si secca, e questi rami vengano raccolti e bruciati...
Se uno non dimora in me, venga buttato come un ramo
che si secca, e questi rami vengano raccolti e bruciati...
bruciati... bruciati... bruciati...
Oh santo rogo... ardo tra urla e fuoco...
Se lo judicio mio arriva a la chiesa ecco cosa mi
fanno per averti guarito.
Ecco cosa mi han fatto!
Strega
•
di Milena Esposito
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Quando mio fratello è morto io avevo diciassette
anni. Lui ne aveva ventitre.
È morto con la moto. Era una moto bellissima e lo
avevo invidiato con tutta la mia anima. Se l’era comprata con i primi soldi guadagnati mentre frequentava
l’università. Aveva quasi finito gli esami e intanto lavorava nello studio di un architetto.
Lui lavorava, guadagnava, studiava e riusciva in
tutto. Io ero stato già bocciato due volte e nemmeno
i miei capelli erano uguali ai suoi, lui li aveva che le
ragazze ci infilavano le mani dentro. I miei sembravano stecchini con le bandierine infilate in un melone.
Fu mio padre a dirmelo. Mentre mia madre urlava
nell’altra stanza. Aveva gli occhi viola ma non gli
usciva neanche una lacrima. Mi abbracciò e mi disse
che Marcello aveva avuto un incidente e che non ce l’aveva fatta. In effetti era molto
sul colpo, il casco si era addirittura spaccato a metà.
Fu una cosa strana. Fu strano perché la prima cosa che provai non fu dolore ma una
specie di senso di rilassatezza. Sentivo le grida di mia madre, le braccia di mio
padre che sembrava volesse stritolarmi e io che non soffrivo. Ricordo che pensai al
letto, a dove avrei potuto spostarlo ora che ero solo. Mi vennero in mente i suoi dischi, quelli di cui era tanto geloso. Provai a dire qualcosa, sapevo che avrei dovuto
dire qualcosa ma non sapevo qual era la cosa giusta da dire. E rimasi lì, con le braccia lungo i fianchi, in balia del dolore che si era incollato per sempre sopra i muri
di quella casa, tra le fessure dei pavimenti, tra i riflessi dei vetri, nei cigolii delle
maniglie di porte che non avrebbero più fatto lo stesso rumore, che non si sarebbero
più aperte nello stesso modo. Il dolore, quello che si appiccica come lenti a contatto.
Le avevo viste negli occhi di mio padre e avevo paura di vedere la consistenza di
quelle incollate in quelli di mia madre. Quelle lenti da cui avrebbero dovuto guardare il mondo per il resto della vita.
Poi pensai che era domenica. Mentre ero lì, ancora muto nella disperazione di quel
posto. E mi venne in mente la canzone sparata sempre al massimo del volume
quando mio fratello metteva su quel disco. Sunday Bloody Sunday si intitolava,
raccontava di tutta un’altra cosa ma io ancora non lo sapevo e sul momento, pensai
che mio fratello aveva fatto tutto talmente per bene che si era scelto anche la canzone per morire.
Fra le braccia di mio padre arrivai dove i rantoli di mia madre si arrotolavano intorno
ad ogni oggetto della casa. E intorno alla mia gola, dove la paura di affrontarla si
era incastrata cominciando ad impedirmi di respirare.
Avrei voluto divincolarmi e scappare via, per tornare quando tutto fosse finito.
Ma sapevo che non sarebbe finito mai.
Quando mia madre mi vide urlò, se possibile, ancora più forte e mi si buttò al collo
facendomi quasi cadere. Io ero lì, con una specie strana di rabbia che non riusciva
ad andarsene. Avrei voluto urlare che ora rimanevo solo io, quello per cui i professori chiamavano preoccupati, quello che non sarebbe andato all’università e che
forse non sarebbe arrivato nemmeno al diploma. Che non li avrebbe resi felici festeggiando i risultati raggiunti. L’altro insomma.
Certo, non posso mica dire che nessuno mi avesse mai detto qualcosa del genere.
Ma certe cose si sentono, ti si concimano dentro fin quando sbocciano.
E quel giorno io l’ho capito, dottore. Ho capito che i miei genitori avrebbero sofferto
troppo. Per sempre.
E io sarei restato per sempre quello rimasto, il peggiore rimasto. Non sarei mai stato in grado di alleviare il loro dolore. Ecco perché l’ho fatto. Voi mi
avete rinchiuso qui come se fossi pazzo. Ma non
lo sono. Ci ho pensato quattro anni prima di decidermi. Quando sono stato sicuro che il loro dolore non sarebbe passato mai più, l’ho fatto.
Quando li ho uccisi, nei loro occhi c’era gratitudine. Già, la prima cosa fatta da me che li faceva veramente star bene.
Capisce dottore? Voi mi avete rinchiuso qui.
Ma non sono pazzo.
L'Altro
di Guido Oliva
•
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Che freddo avevo stamattina, Ale. Solo tu puoi capirmi. Sono andata in cucina e ho
guardato fuori, attraverso la porta a vetri. Pongo scodinzolava. Sa bene come lo
tratto, io. Altro che la stronza.
Ho guardato sulla tavola. Stamattina sopra c’era un settantadue, nel vasetto bianco e verde. E poi un ottantadue,
nel bicchiere, con un po’ di caffè.
Ho chiuso gli occhi. Vedevo solo il quaranta. Nero, sullo
sfondo rosso.
Tu sai come sono. Appena sveglia sono sempre incazzata. Il signor ottantadue e il suo amichetto settantadue
sono volati nel cesso. Dura come il marmo, Ale!
Già che ero in bagno, l’ho fatto, Ale.
Quarantaquattro. Merda. Ma tu come hai fatto a
scendere?
Mia madre era uscita. Oggi polpette, Ale. Mi ci
gioco quello che vuoi. Come faccio? Saranno ottocento, se va bene.
Sono tornata in camera. Ho messo il riscaldamento a palla. Mi sono ranicchiata vicino al termosifone, sotto la coperta e con il phon acceso al massimo.
L’ho inventato io, questo sistema contro il freddo. Che ne dici, Ale?
Ho acceso la tele. A quell’ora non c’è niente, solo cartoni e pubblicità. Però mi c’era
quel programma sulla collezione primavera-estate. Che cazzo, Ale. Ma le hai viste?
Ho dovuto cambiare canale. E lì dolci, cioccolata! Lo stomaco mi stava facendo
male. Ma capita anche a te, Ale? Non credo. A te no. Non ti viene mai in mente di
andare in cucina. Dovrei bere un cucchiaio di aceto, come fai tu, per farmi passare
questa voglia.
Anzi. Mi prendo un lassativo. Ecco, ottima idea, ho pensato. L’ho comprati l’altro
ieri, ne dovrei avere ancora. Mi fanno un po’ male alla pancia, ma almeno non penso
ad altro.
Niente. L’ho finiti.
Quaranta.
A un certo punto mi sono svegliata. Sai quando ti guardi in giro e dici dove sono?
Mi girava la testa. Che cazzo ci faccio in cucina, mi sono chiesta.
Mi sono guardata le dita. Poi sul tavolo. Ale, se mi avessero dato una coltellata, non
avrebbero trovato neanche un po’ di sangue .
Davanti a me c’è solo il barattolo di nutella, vuoto.
Ale! Ma hai visto che cazzo ho fatto? Ale, mi devi aiutare, non ce la posso fare da
sola! Sei o no la mia socia?
Sono corsa in bagno e mi sono infilata lo spazzolino in gola. Quella merda alla nocciola non mi avrà, ho pensato.
L’ho vista la chiazza rossastra. All’inizio mi faceva paura. Adesso so bene che è
buon segno. Significa che è uscito tutto. Pensa che prima che tu me lo spiegassi mi
sembrava la buccia di una mela. Ma sarò scema o no?
Poi quando vomito mi sento bene. Mi sento come Dio. Ho il controllo. Decido io
Mi sono rimessa sotto la coperta con il phon. Mi sentivo stanca, Ale. Mi sono appisolata.
A un certo punto, la voce della troia mi ha svegliato. Indovina un po’? Mi ha comprato le polpette!
Vaffanculo. Tanto anche queste se le mangia Pongo.
Ma come facevi tu a metterti nuda davanti allo
specchio e a mangiare lentamente? Non avevi
freddo?
Chissà se quando una muore sente questo
freddo.
Ma che mi viene da pensare! Tra qualche giorno
starò benissimo. Sarò bellissima! Anzi, ora mi alzo
e vado a correre. Almeno un ora. Mi copro per bene
e mi faccio cinque volte il giro del parco. Milleduecento. Milleduecento calorie in meno. Poi oggi pomeriggio ti vengo a trovare.
Quella troia mi ha nascosto la tuta. Dice che la devo
smettere di andare al parco tutti i giorni, che è pericoloso.
Che bello infilarsi i pantaloni senza doverli sbottonare,
Ale, avevi proprio ragione. Poi oggi pomeriggio ti vengo
a trovare. Vengo a vedere come fai a non mangiare, con
tutti quei dottori intorno. Solo io lo so cosa ti serve, Ale. Ma perché non ci lasciano
in pace?
Quaranta chili. Taglia trentotto. Ancora qualche giorno, Ale.
Quaranta
di Piero Mattei
•
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Eccola. Di nuovo. Come ogni giorno.
Varca la soglia della cucina e inizia a volteggiare tra i tavoli: "Buonasera, signore",
dice. Oppure: "Cosa le porto stasera?", o ancora "Abbiamo un ottimo vino della
casa". E di nuovo, riprende il viaggio.
Il suo non è un camminare: è uno sfilare, un ancheggiare di fianchi, un andamento
sussultorio di seni che discretamente accompagnano il movimento del corpo, ipnotizzandoti. "Per antipasto, signore, abbiamo un soufflè di baci e carezze assolutamente squisito", ma
certo signorina, faccia di me quello che vuole signorina, mi fido ciecamente di lei signorina.
Ma cieco non sei e allora non puoi fare a meno di
guardarla mentre si aggira tra i tavoli e li evita con
grazia, sorreggendo vassoi e piatti con estrema avvenenza e competenza.
Il suo non è un camminare: è un ballare.
Danza tra i tavoli. Eccola di nuovo: trasportata
dalle note di un appassionato tango, sorride e
ammicca ai clienti, prende le ordinazioni e riparte piroettando con figure sempre nuove e
sempre più leggere. Ha i capelli raccolti in un
delizioso chignon, gli occhi scuri e impassibili.
Indossa un soffio di nero e le mani. Quelle sue
mani, carnali e sensuali, capaci di afferrare
l'aria: sono quelle mani che la sospingono da un
lato all'altro della milonga. "Le posso consigliare il nostro squisito risotto ai capezzoli di mare?" et voilà, mezzo giro con planeo e via verso la cucina.
Si ferma un attimo, cambio di fronte con cunita e in sospensione attende il nuovo
ordine. "Un piatto di patatine fritte con salsa di libidine", mezzo giro con patadas e
si incunea in un altro strettissimo corridoio. Mani, ancora mani ma stavolta lascive,
la sfiorano; occhi bramosi la scrutano. Arrastre con voleo, versa dell'ambrosia e attende che Zeus la rapisca. Ma Zeus non arriva e lei scompare, d'incanto, dietro la
porta della cucina.
Appare nuovamente. È raffinata e il suo viso altero. I capelli costretti in una crocchia, abito lungo, turchese, da gran gala.
Il suo non è un camminare: è un volare.
Scivola tra i tavoli, trascinata ora da un delicato valzer. Ha un'esitazione, ti guarda,
"ostriche veraci con contorno di spermatozoi", poi cambia direzione, ancora i suoi
occhi, un hesitation incrociato, un inchino e si ritira. Asciuga accuratamente le mani
sul grembiule e riprende a danzare.
Torna per il dolce e questa volta sono audaci evoluzioni a ritmo di rock. "Che ne
dice di questo pompino sbriciolato alla marijuana di bosco?", non chiedo di meglio,
signorina: sesso, droga e rock and roll. E sono lanci e prese e avvitamenti e capriole
e salti mortali e quelle gambe lunghe, lunghe che saltano sui tavoli e si lanciano nel
vuoto e poi si ritirano e scalciano al ritmo ondulatorio dei miei ormoni, decimo
grado della scala Richter, unico epicentro: il mio pene devastato. Un penicentro.
E dopo il dolce, il caffè.
Si scatena in un flamenco appassionato, caldo, sensuale. "Quanto zucchero vuole
leccare, signore?" e le mani battono ta ta ta e tengono il ritmo ta ta ta sempre più
indiavolato, ta ta ta e le dita schioccano ta e la rossa gonna
si alza ta ta e i capelli si sciolgono ta ta ta e le vanno davanti
agli occhi ta. Ma gli occhi sono chiusi, non guarda dove
va, non ha bisogno di vedere dove mette i piedi. È l’istinto
che la guida ta ta ta la sua sfrenata carica sessuale ta ta ta:
e io sono lì ta ta che l'aspetto ta. E lei viene verso di me
ta ta e batte furiosamente i piedi ta ta ta e si alza un manto
di polvere che tutta l’avvolge ta e io finalmente posso
farle quello che ho sempre desiderato ta ta. Le faccio lo
sgambetto e lei cade col culo per terra. Ta.
Salsa & meringa
di Attilio Facchini
•
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- Guarda questo! Non è bellissimo?
- A me piace questo.
- Lo sapevo! Guarda, non ti mettere strane idee in testa che questa collezione è strettamente personale. Piuttosto…
Erika si gettò sulle labbra di Matteo con foga, infilandogli la lingua nella gola.
- Erikaaaa! Tra poco si mangia! – urlò una voce dalla cucina.
- Arriviamo! – rispose lei dopo essersi staccata meccanicamente, lasciando gli ormoni di Matteo in subbuglio.
- Non che ci tenessi a farti venire a cena - disse lei
sottovoce – ma sai, mio padre è così. Se esco con un
ragazzo lo vuole conoscere. Mi tormenta!
- Nessun problema. E poi tuo padre sembra uno a
posto, l’ho visto prima…
- Sì, poi alla fine… - Erika si avventò nuovamente
su di lui, riprendendo il discorso. Lui partì al contrattacco, infilandole le mani sotto il maglione. Mentre stava per toccare il paradiso, Erika si ritrasse.
- Aspetta! Sei matto? Se entra mio padre è capace di
farti a fettine! – disse lei, ricomponendosi.
Mentre Matteo si stava chiedendo in quale modo lecito avrebbe potuto calmare quel branco di rinoceronti scatenati da Erika, lei prese un altro pezzo dalla
sua corposa collezione e glielo porse. - Guarda qua! L’ultimo arrivato. Questo modello lo usano i paracadutisti, se spingi qua diventa un altimetro!
- Bello. Il cinturino poi è stupendo! – Matteo cercò di trovare da qualche parte un
pò di interesse.
- E il tuo? Fa vedere! – Erika prese il polso di Matteo e lo tirò con forza verso di sé.
Matteo sorrise.
L’irruenza di Erika non faceva altro che eccitarlo ancora di più.
- Ma questo è diverso da quello che avevi l’altro giorno.
- Si, l’ho comprato stamattina. E’ la prima volta che compro un orologio da sub –
disse lui, che ben sapendo della passione di lei, si era premunito.
- Ma che colori! – disse lei, continuando a girare e rigirare il polso. Poi prese a baciargli l’avambraccio, il bicipite, via via salendo, fino al collo.
Quando fu il momento della bocca, arrivò il richiamo da dietro la porta.
- Ragazzi! E’ pronto!
- Veniamo subito! – e poi rivolta a Matteo, in un orecchio – dopo cena i miei vanno
a letto presto. Restiamo a vedere la televisione sul divano…
Non fece tempo a finire la frase che prese il lobo dell’orecchio tra le labbra, sospirando. Matteo pensò che quella sarebbe stata la cena più lunga della sua vita.
Mano nella mano, arrivarono in sala, dove trovarono la tavola apparecchiata e si
sedettero entrambi. Matteo notò che aveva la porta della sala alle spalle e la cosa lo
metteva a disagio. Ma il pensiero del dopocena sovrastava tutto.
- Assaggia questo vino, lo fa mio nonno, è buonissimo – disse Erika
riempiendo il bicchiere di Matteo – non hai ne mai assaggiato uno così!
- Poco però - e si portò alla bocca il calice di cristallo. Il vino era molto forte e aveva
un leggero sapore di mandorla che lo rendeva piacevole.
Chiacchierando con Erika, Matteo bevve gradualmente tutto il calice.
Dopo qualche minuto, mentre si sedevano il fratello
di Erika e la mamma, Matteo cominciò a sudare. Parlava e sudava.
Si rese conto che era meglio darsi una rinfrescata, ma le gambe non rispondevano. Fu preso
dal panico.
- Erika, accompagnami al bagno. Sto male! – disse
sottovoce.
- Non ti preoccupare, il vino è molto forte.
- Ma…
Svenne sulla sedia.
Il papà emerse dalla porta, con un contenitore in
mano.
- Prima io – disse Erika, aprendo il contenitore.
Estrasse una mannaia e prese il braccio di Matteo. Lo
posò sul tavolo e lo tranciò di netto.
- Quest’orologio mancava proprio, alla mia collezione!
– disse trionfante, mentre il papà, con un taglio da chirurgo, staccò di netto la testa di Matteo e la porse alla moglie, per la cena.
Orologi
di Piero Mattei
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Doveva essere in cucina, seduto a capotavola. Mi avrebbe
guardata appena, senza salutarmi, per non perdersi la pubblicità dei sofficini. Io sarei corsa dalla mamma, che cucinava in veranda. Lei mi avrebbe abbracciata e avremmo
condito il ragù con i racconti speziati della mia vacanza.
Non c’era però, mio padre.
Ho notato che mancava, da quei dettagli a cui ti abitui
quando vivi con qualcuno e gli occhi, se non li trovano,
hanno le vertigini.
Come quando sali scale al buio: ti aspetti che ci sia un
altro gradino e invece sei arrivato. Il piede sente un senso
di vuoto, poi sbatte forte sul pianerottolo.
Guardavo la stanza e il mio sguardo sbatteva contro la
sua assenza.
Non c'erano le sue chiavi di casa, appese alla parete accanto al frigo, ne’ le sigarette e l’accendino a fianco, appoggiate sul ripiano. Piccole cose sì, ma significano.
Se n’era andato di sera, mentre io scattavo foto a città nuove. Non ho visto il fagottino che s’era preparato, con la stecca di MS morbide, le schedine del SuperEnalotto
e trent’anni di matrimonio. Ci stava tutto, in quel fagottino.
I silenzi occupano poco spazio, le assenze anche meno.
Forse è stato un bene, non assistere. Non serve un'altra goccia, in questa pozza di
ricordi che fanno un male strano. Ci sono buche vuote in cui s'inciampa e nessuno
con cui prendersela. Il solito silenzio a cui sfogare la sconfitta.
Ricordi bianchi, mani immobili e mai parola per insegnare vita, raccontandomi la
sua, magari.
Quello che so me lo raccontava mio cugino Nino, d’estate. Ci sedevamo in terrazza
e mio padre lo guardava storto, mentre lui ripassava i loro anni: quando il nonno
era ancora vivo e non c'erano soldi, ma abbastanza fantasia per inventarsi un bel
vestito. Ti voglio bene lo diceva solo Anna Magnani e i bambini si baciavano solo
se dormivano.
Gli preparavo un caffè ogni paio d’ore: a Nino il caffè mette parlantina, più d'un
litro di rosso.
Se aggiungevo del tè freddo, la volta dopo mi portava delle foto. Mio padre non ne
aveva, di quelle domeniche in bianco e nero, abbracci approssimati per lo scatto e
ciuffi gonfi di brillantina.
Lui sorride da immagini intagliate dal passato, mute anche loro. Adolescente, con
sogni a prendere colore sotto al sole; sullo sfondo Mondello, quando ancora dal
Belgio non erano arrivate le cabine, a rovinare la vista della sabbia bianca.
“Se n’andò, vero?” ho chiesto a mia sorella.
“Sì” ha detto, con poca tristezza negli occhi: una pagliuzza nel suo sguardo sollevato.
Prima che sbattesse la porta, era riuscita ad appoggiargli sulle spalle un po' di rabbia
e qualche ricordo, di quelli bianchi, come i miei.
“Non m’ha salutata” lamentavo da occhi tristi, arrabbiati e una pagliuzza di sollievo.
“T’avrebbe insultata o t’avrebbe lasciato un altro livido” ricordava.
“Meglio cosi, dai” e m’impegnavo in un sorriso.
La tv era spenta, una bachata suonava dalla camera di mio fratello.
Musica alle nove di sera e lo spazio per una confidenza: sì, se n’era proprio andato.
Mi ha lasciata con la ragione in gola, prima che potessi perdonarlo e s'è portato via il suo orgoglio d’uomo; quello di
padre ce l’aveva lasciato come centrotavola.
“Apparecchio” m’è venuto da dire.
Nino non me lo racconta più, mio padre, quando è estate,
e mescoliamo storie imbiancate di salsedine e caffè. Ha
arredato anche casa sua, con quel dolore strano, l’anno
scorso.
Un altro fagottino e ricordi bianchi di suo zio.
Il tè non porta foto, il giorno dopo: sono amarezza in
vecchi album di famiglia.
Stasera una Rumba Yambù accompagna l'eloquenza,
mentre le parole che vanno dette ballano sfrontate,
in casa mia.
Niente di strano
•
di Elenora Lo Iacono
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Anna a quei tempi era una donna facile, facile come sbagliare un congiuntivo; ed
io ero un duro. Duro come azzeccare un congiuntivo.
L'avevo beccata arrampicata a uno sgabello in un pub, esattamente nel mezzo
di una divagazione alcolica che portava direttamente alla dislalia passando per la dislessia. Perdeva le parole bevendo. Più beveva più il suo vocabolario base si
riduceva.
Io attesi che i vocaboli alla lettera "n" sublimassero
e la approcciai per forme grammaticali brevi.
.Bevi?
..Sì
.Me la dai?
..Sì. Brindammo a quello scontro dialettico e la portai
via.
Ci divertiremo, vedremo cose che non abbiamo mai
visto, faremo un mucchio di robe, dicevo io trascinandomela dietro. Enallagi inverse, naturalmente. Chi si doveva divertire ero io mica Anna.
Lei annuiva o le ciondolava la testa, non ricordo esattamente, ma comunque non opponeva resistenza. Silenzio assenso pensavo, e in fondo ero un duro troppo duro per
curarmi di una cosa così insignificante come il consenso informato.
Le cose quella notte si fecero poi più confuse. Ricordo che c'erano di mezzo lenzuola, bottiglie vuote, e pochissime parole. Anche se non ricordo quasi niente deve
essere stata memorabile quella notte. Lei era piccola, piccola, un metro e mezzo al
massimo. Estremamente user friendly per un gigante di un metro e novanta quale
sono.
Anna aveva poche fondamentali esigenze, alcool, nicotina, e giravolte e capriole
su materassi, preferibilmente ad acqua. Non le feci mancare niente, quella notte
.
Decidemmo di sposarci il giorno dopo.
Ci presentammo in una di quelle chiese dove ti sposano in sei minuti con il celebrante vestito da Elvis, non ricordo se eravamo a Las Vegas o dove, ha poca importanza. Ricordo che Elvis rimase muto nel vedersi entrare un articolo determinativo
sbilenco con uso parziale di parola, che voleva figli e una casa con vista lago. Ricordo il suo distacco... Usò un pupazzo da ventriloquo per recitare la formula. Ar
iu lonsom tunait etc... etc...
Dopo la cerimonia saltammo su una moto fino a far scoppiare gli ammortizzatori e
il padrone della moto si incazzò molto. Ricordo che si intenerì solo quando gli dissi
che lei era palindroma nel nome e anche a letto. Ricordo che bevve alla bottiglia
che gli tendevo e poi passandosi la mano in faccia aveva cancellato la rabbia.
Il nostro matrimonio durò esattamente quattro ore.
Fu il periodo, non so come dire... Più matrimoniale della mia vita.
A parte il padrone della moto che ci si era ammignattato addosso, fu un matrimonio
intenso. Il tizio doveva esser rimasto molto colpito dall'idea della palindromia, pensavo, per quel che riuscivo a pensare.
Mi accorsi di come sarebbero andate le cose
quando le enallagi inverse triple cominciò a farle
lui.
Vi divertirete con me, vedremo e faremo cose mai
viste e fatte, e tutte quelle balle lì diceva, e intanto
ci passava della roba da masticare che trovavi nel
deserto e che se non ci stavi attento la scambiavi
per un sasso; aveva un nome tipo coyote o roba del
genere.
Il coyote o come si chiamava faceva il suo porco effetto, avevo lucertole viola che mi salivano le gambe,
quando il biker esclamò:
...Dove andremo?
Solo il cielo saprà dove andremo!
Poi mise in moto la moto, e sulla moto Anna e via.
Io rimasi in bilico sulla perfezione di quella epanadiplosi.
Non ero mai riuscito a farne una che fosse una di epanadiplosi.
Tornai a quella cazzo di chiesa sconfitto nel cuore e nella formazione umanistica; Elvis stava lucidando delle fedi di secondo letto.
Mi benedica padre, dissi gettandomi ai suoi piedi.
Ho peccato di retorica.
Lui sembrò scosso. Smise di lucidare e con un colpo di pelvi si abbassò appoggiandomi una mano sulla spalla. Non so da dove tirò fuori il pupazzo da
ventriloquo. Gli comparve letteralmente in mano dal nulla. Elvis aveva la
bocca ferma, giuro. Anche il pupazzo aveva la bocca ferma eppure...
Ar iu lonsom tunait etc... etc...
Coyote di
Luigi Bruno Cristiano
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http://www.scripta-volant.org/doc/volanzine/VolanZine-n0-Coyote-Luigi-BrunoCristiano.pdf
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diti.
per
metterci in gioco, organiz-
ziamo concorsi gratuiti di scrittura per racconti.
vengono
stampati
alcuni
e
di essi
distribuiti,
altri vengono inseriti nel mensile
zero91 magazine,
altri vengono
trasformati in audio racconti e inseriti nella nostra radio.
Radio Volant
Periodi
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Scripta
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Vuoi essere pubblicato in un libretto di circa 16
pagine e distribuito in tutta Italia,
nelle librerie e nelle
migliori fiere del
libro?
Mandaci un racconto, che non superi
le 20.000 battute, spazi inclusi e partecipa al forum ScripTAG!
In collaborazione con 18:30 Edizioni
Un racconto in
Nell’era di smar-un MMS
tphone, palmari, sms e netbook,
un viaggio, un incontro imprevisto, una foto scattata dall’autobus,
possono essere un’occasione per
scrivere una storia e condividerla in
tempi brevi.
Zero91 Magazine, in collaborazione
con Scripta-Volant.org, organizza il
concorso “Un racconto in un mms”.
Il miglior racconto brevissimo verrà
pubblicato nella Rubrica EQUILibri, all’interno del magazine Zero91, distribuito in 10.000 copie.
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OGNI tRE
LANZINE,
MESI, dA UNO dEI tRE RACCONtI SCELtI PER LE VOVERRà REALIZZAtO UN VIdEO-RACCONtO, UN
CORtO O UNA LEttURA A CURA dELL'ASSOCIAZIONE
UVASPINA, ChE SCEGLIERà IL tEStO dA tRAdURRE IN IMMAGINI,
VOCI E SUONI.
AGLI
AttORI dI
UVASPINA
IL COMPItO dI fAR VIVERE E VI-
BRARE QUEStI RACCONtI CON I LORO CORPI, LE LORO fACCE,
LE LORO VOCI, dAVANtI Ad UNA tELECAMERA E Ad UN MICROfONO.
EChOES dI AttILIO fACChINI
dare la propria voce ad un personaggio.
farlo vivere.
Vibrare.
decidere quando utilizzare quella certa inflessione, quel certo
tono.
Quando farlo sorridere, ammiccare, piangere, arrabbiare.
ti fa sentire bene.
Poi è quel personaggio che, a poco a poco, si impossessa della
tua voce ed è lui a decidere quando utilizzare quell'inflessione
o quel tono.
E tu allora sorridi, ammicchi, piangi, ti arrabbi.
diventi quel personaggio, ma quel personaggio diventa te.
In un rapporto di continua e reciproca simbiosi.
E puoi essere quel personaggio, o quella stanza.
Quella sedia. O quella situazione.
Quell'emozione.
E far vivere, volta per volta, quella stanza, quella sedia, quella situazione, quell'emozione.
E far vibrare ciò che narri e ciò che dici al vibrare della tua voce.
E quella voce vibra e riverbera.
E attraverso quelle vibrazioni, la voce si diffonde e si allarga.
E non rimane che un riverbero.
non rimane che un'eco.
Quella voce diventa eco.
diventa
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Non rimane che un'eco.
Quella voce diventa eco.
Diventa
Redazione Echoes:
Attilio facchini
Luigi Bruno Cristiano
Eleonora Lo Iacono
Per contatti: [email protected]
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Gaetano
Racconto di luigi bruno cristiano, interpretato da
Attilio facchini per il progetto Echoes in collaborazione con Associazione UvaSpina.
Gaetano, mi chiamo così, ho gli occhi neri e faccio il barista.
ho i piedi grandi e piatti, che mia moglie dice neanche una bufera potrebbe spostarmi.
ho le mani grosse, mani da barista, sempre a mollo nell'acqua, sempre a pulire bicchieri, a tirare
fuori dalla macchina le tazze che fumano di vapore e puzzano di cloro.
Labbra piccole e orecchie grandi, orecchie da barista; di quelle che ascoltano di tutto e non gli
rimane niente dentro.
Che andrebbero bene anche per un dottore dei matti, tanto quelli ascoltano, ascoltano e basta;
e anche la bocca ce la hanno piccola come me, perché serve solo a dire va bene, e sì, e i prezzi
delle bibite, dei gelati, del caffè, e ci vediamo domani alla stessa ora, e poi basta.
....
ho lo stesso colore del bancone, me lo ha detto mia moglie, quella di prima che mi prende in
giro per i piedi grandi ma poi conta i soldi della cassa ed è contenta lo stesso.
....
Non lo so se mi vuole bene per me o per il bar.
Io lavoro al banco e lei alla cassa e ride.
Ride con tutti, poi quelli lì vengono da me e bevono e parlano e non so di cosa parlano, non mi
interessa. Non mi interessa niente.
Che tirino fuori i soldi, che vadano alla cassa che lì c'è chi ride, che qui ho da lavorare,
mica tempo di giocare, io.
Eh...
E sì, che poi quest'anno è andata male anche col bar, e non riusciamo neanche a andare al mare
con i figli, che li ho dovuti iscrivere alla colonia estiva, e Maria piangeva perché non ci voleva stare
senza la mamma.
Eh, senza la mamma, già...
Pochi capelli, vede, pochi.
dicono che sono le preoccupazioni, ma non è mica vero...
Mai avuto tanti capelli, io, mai.
Capelli da barista, unti, disordinati, come i pensieri che ho in testa, che non riesco neanche a pensarci come pagare i debiti, e neanche bere mi aiuta più, figuriamoci mia moglie, che ride, e sta lì
alla cassa e non mi vede neanche più, e sono diventato un mobile per lei.
Sì, sì, lo vedi te il mobile...
Lascia che metta a posto due o tre cose e te la do io la mobilia.
Mi vendo tutto, così dopo mi dici dove cazzo vai a ridere, dove cazzo trovi un altro mobile che si
fa in quattro dalle cinque di mattina, per sentirsi dire che ha i piedi grandi.
te la spacco in testa la mobilia, altro che ridere alla cassa e dire che ho lo stesso colore
del bancone.
Eh sì eh! Mah...
Ma quale era la domanda, cosa è lei un commissario un questore,
cosa?
Quale era la domanda?
Ah, sì.
Gaetano, mi chiamo così, ho gli occhi neri e faccio il barista.
Ho lo stesso colore del bancone, me lo ha detto mia moglie, quella di prima che mi
prende in giro per i piedi grandi ma poi conta i soldi della cassa ed è contenta lo stesso.
....
Non lo so se mi vuole bene per me o per il bar.
Io lavoro al banco e lei alla cassa e ride.
Ride con tutti, poi quelli lì vengono da me e bevono e parlano e non so di cosa parlano,
non mi interessa. Non mi interessa niente.
Che tirino fuori i soldi, che vadano alla cassa che lì c'è chi ride, che qui ho da lavorare,
mica tempo di giocare, io.
Eh...
E sì, che poi quest'anno è andata male anche col bar, e non riusciamo neanche a andare al mare con i figli, che li ho dovuti iscrivere alla colonia estiva, e Maria piangeva
perché non ci voleva stare senza la mamma.
Eh, senza la mamma, già...
Pochi capelli, vede, pochi.
Dicono che sono le preoccupazioni, ma non è mica vero...
Mai avuto tanti capelli, io, mai.
Capelli da barista, unti, disordinati, come i pensieri che ho in testa, che non riesco neanche a pensarci come pagare i debiti, e neanche bere mi aiuta più, figuriamoci mia
moglie, che ride, e sta lì alla cassa e non mi vede neanche più, e sono diventat
Guarda il cortometraggio qui:
http://www.youtube.com/v/9LJa_tciISU?fs=1&hl=it_IT
o un mobile per lei.
Sì, sì, lo vedi te il mobile...
Lascia che metta a posto due o tre cose e te la do io la mobilia.
Mi vendo tutto, così dopo mi dici dove cazzo vai a ridere, dove cazzo trovi un altro
mobile che si
fa in quattro dalle cinque di mattina, per sentirsi dire che ha i piedi grandi.
Te la spacco in testa la mobilia, altro che ridere alla cassa e dire che ho lo stesso colore
del bancone.
Eh sì eh! Mah...
Ma quale era la domanda, cosa è lei un commissario un questore, cosa?
Quale era la domanda?
Ah, sì.
Gaetano, mi chiamo così, ho gli occhi neri e faccio il barista.
Resta aggiornato sulle
nostre iniziative!
OLTRE AI CONCORSI LETTERARI GRATUITI:
Recensioni scrittori ed emergenti
Questo progetto viene seguito dal gruppo di "Leggo per legittima difesa", portale di appassionati di lettura che raccoglie recensioni, incipit e citazioni dei
libri. Il sito verrà integrato con Scripta e viceversa. Così, la vetrina dei libri
degli utenti di Scripta Volant sarà visibile anche dal loro sito.
Inoltre, Leggo per legittima difesa partirà presto con una rubrica che recensisce gli esordienti, quindi verrete contattati dalla loro redazione e per chi volesse, potrà usufruire di quest'opportunità per far parlare del proprio libro
(anche più d'uno).
Laboratori di scrittura
Qualcuno di voi ricorderà il Laboratorio privato gratuito di test che è stato organizzato qualche mese fa: un'areadi lavoro privata per un gruppo ristrettissimo di amici scrittori che hanno deciso di aiutarsi reciprocamente a
migliorare i propri testi.
Questo spazio è stato messo a disposizione per coloro che, volendo partecipare
a un concorso letterario, o per mettersi in gioco, hanno inserito in un nostro
forum ad accesso privato (creato appositamente) i loro racconti ancora da revisionare e insieme al gruppo di iscritti, che ha risposto al loro invito, hanno
lavorato a migliorare lo scritto, prima dell'invio alla casa editrice.
Ebbene: quel test ha funzionato e ben tre racconti sono stati selezionati per
partecipare a un'antologia. Visto l'esito positivo, queste aree di lavoro saranno
sempre disponibili (con chiavi di accesso diverse, per ogni laboratorio).
Per richiedere un laboratorio privato e invitare membri a partecipare a questo
gruppo, vi basta inserire un post nel forum "Idee di gruppo", al raggiungimento del numero massimo di 10 partecipanti, verrà creato un forum ad accesso riservato e potrete lavorare con il gruppo che si sarà formato.
Raduni
L'idea dei raduni non è affatto nuova per il nostro gruppo. Stiamo semplicemente riprendendo una vecchia e bella abitudine che avevamo abbandonato
per un po' a causa degli impegni di tutti.
Dopo il bellissimo evento che ha avuto luogo a Palermo, del quale abbiamo
parlato nell'articolo Scripta Volant a Svicolando: una serata tra amici, musica,
letture e VolanZine", penseremo a tre, quattro posti all'anno, dove tornare a
stringerci la mano (in cui organizzeremo eventi che coinvolgeranno gli interessati, dove la parola sarà sicuramente protagonista).
Uno di questi sarà sicuramente Palermo.
Hai un’idea e vuoi proporcela?
Utilizza questa pagina e contribuisci a questo progetto di APPASSIONATI di
questo mondo di fantasia: Collabora con noi!
Hai voluto le ali? e allora vola....
scripta volant è un portale di condivisione libera , Quindi: cHiunQue è libero di
collaborare con noi, nei progetti già in
volo o proporne degli altri alla reda-
B
zione
envenuti in questo volo libero, il progetto ambizioso
del gruppo Scripta Volant:
divertirsi con la scrittura.
Scripta Volant è un portale
che sogna la condivisione della scrittura
attraverso internet.
I progetti legati a questo portale seguono il principio della condivisione libera e dell'elaborazione della scrittura,
attraverso le nuove
tecnologie e la rete.
Navigando in questo
Portale infatti troverete non solo scritti
(che potrete inserire
voi stsi nel FORUM
SCRIVOLIAMO), ma
letture audio con la
Radio Volant, Cortometraggi con i Video
Echoes, una vera e
propria
CASSETTA
DEGLI ATTREZZI, dove ci divertiremo a
esercitarci con la sezione fai-da-te del
Forum e i Ferri del mestiere (sono delle
lezioni di scrittura, ma non ditelo in
giro, qualcuno potrebbe spaventarsi).
A proposito di condivisione: questa è
una parola che ci piace.
Qui si condivide tutto.
Quindi le lezioni di scrittura non sono
inserite con la presunzione di saperne
più degli altri: condividiamo quel po'
che abbiamo imparato, o letto, o studiato in alcuni corsi di scrittura o con la
nostra esperienza diretta e le mettiamo
a disposizione di tutti. Speriamo che
anche voi facciate altrettanto, nel forum
ma soprattutto nella WIKI WOLANT,
altro ambizioso progetto di Scripta Volant: l'enciclopedia libera dello scrittore.
Tutti voi, potrete inserire le vostre guide
e condividere (sì, è proprio una bella parola...) le vostre lezioni di scrittura!
Vi basta registrarvi per avere i permessi
per inserire gli articoli! Ci sono tantissimi
altri progetti.
C'è il BLOG con tantissime rubriche, il
simpaticissimo Scrittore Mascherato che
ogni due settimane si divertirà a prendere in giro noi
che ci prendiamo sul serio.
C'è il concorso VolanZine,
che ogni due mesi permetterà a un racconto
breve di essere impaginato in un libretto distribuito in tutta Italia.
E tanto altro (ma non vogliamo dirvi tutto subito!).
Solo un indizio: questa è la
pagina dei PROGETTI
Ve lo ricordiamo: Scripta Volant è un
Portale di condivisione libera, quindi:
chiunque è libero di collaborare con
noi, nei progetti già in volo o proporne degli altri alla Redazione alla
mail:
[email protected]
Insomma: abbiamo tutto quello che
ci serve, e la parola d'ordine: condivisione... ad ali spiegate.
Ci siamo spiegati?
Buon Volo!
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saranno la misura della qualità di quanto scriviamo