Introduzione
La riscoperta
Mio nonno si chiamava Luigi, Luigi Fumagalli, ma tutti lo hanno sempre chiamato Camillo. Perciò in questo libro a parlare è Camillo Fumagalli, nato a Bergamo nel 1886 e quivi morto nel 1969, quando io
avevo solo cinque anni. Di lui ho pochi ricordi, ma ho sempre saputo
che era avvocato e onorevole, cioè deputato alla Camera nelle prime
due legislature delle Repubblica, che ha fatto la Grande Guerra, e che
faceva ballare i burattini. Ha avuto sei figli e chissà ormai quanti nipoti. Una sono io…
Mi sono imbattuta nelle memorie di mio nonno per noia. Era il
Natale del 2012 e, non avendo sottomano più nulla da leggere, mi aggiravo inquieta per la casa alla ricerca di qualcosa da divorare, con
un desiderio non dissimile da quello che accompagna certi improvvisi
appetiti pomeridiani. Ero reduce da una lettura che mi aveva oltremodo
appassionato e stupito, un avvincente romanzo storico nato dal ritrovamento di un epistolario settecentesco, Lucia al tempo di Napoleone
di Andrea di Robilant. Così accadde che mi ricordai di avere messo da
qualche parte il primo di due volumi di memorie, uno dattiloscritto e
l’altro manoscritto dal mio nonno paterno e poi riprodotti in fotocopia.
Ne ricordavo perfettamente le copertine: la prima con la foto della bisnonna che solo pochi dei nipoti hanno conosciuto; la seconda con la
foto di nozze dei nonni, con la nonna Assunta tutta vestita di pizzi, e
il nonno con certi baffetti che lo facevano assomigliare a Zorro, l’eroe
dei telefilm di quando eravamo bambini.
Trovai subito il primo volume esattamente dove ricordavo d’averlo
riposto e mi abbandonai alla lettura con entusiasmo crescente. La
scrittura del nonno mi si presentava ariosa, ricca di articolate descrizioni e intrisa di un’ironia che mi faceva sorridere di continuo. Pagina
dopo pagina mi accompagnava nelle pieghe più intime della famiglia,
nelle stanze della casa, per le via di una Bergamo ormai scomparsa,
con i suoi personaggi e i suoi scorci; scoprivo abitudini domestiche a
me sconosciute e crescevo insieme con lui e i suoi sempre più numerosi
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fratelli; assaporavo una fede antica, appresa e ingurgitata con il pane
quotidiano a colazione, giorno per giorno.
Ma presto il primo volume era finito e del secondo, che pure ricordavo
di aver visto, in casa non c’era traccia. Mi prese una sorta di frenesia,
interpellai mia mamma che lo cercò per ogni dove, inutilmente; la ricerca si estese ai miei fratelli e finalmente saltò fuori. Potei così riprendere
l’avventura: dalla città e dal suo territorio il racconto si apriva alla
Lombardia, con epiche pedalate mi portava su per i passi alpini; mi
accompagnava fino a Bologna per gli studi universitari, poi a Monaco
di Baviera per un dottorato sostenuto grazie alla cospicua borsa di
studio del Premio Morelli; mi raccontava i primi amori e il trepidante
fidanzamento, fino alla morte prematura di entrambi i genitori; ed
ecco che iniziava una nuova vita, quella che il nonno chiamava la sua
vera vita, con la costruzione di una famiglia tutta sua, con gli impegni
professionali e sociali.
Man mano che si avvicinavano gli ultimi capitoli cominciava a crescere la mia preoccupazione: se il nonno aveva raccontato con così
ampio respiro avvenimenti tutto sommato ordinari, come aveva potuto
dedicare così poche pagine alla guerra, che sapevo per certo avesse
combattuto con i suoi tre fratelli ? Ecco che partiva per le armi e iniziava
l’addestramento militare a Torino, ecco che passava ad Alessandria,
ecco che finalmente era chiamato al fronte… Il secondo volume finiva
lì, con gli indici dei capitoli relativi alla guerra (“Al fronte in Cadore”, “Al
Tomba”, “Sul Piave”), pronti per essere scritti, ma svaniti nel nulla. Non
poteva essere ! Chiamai la mamma, che mi confermò che i libri erano
solo due, che mia sorella aveva riferito di un appartamento allagato con
tutte le carte che erano state del nonno, ma che forse la zia Adriana…
Subito telefonai alla zia, ma non riuscii a trovarla; seppi poi che si
era assentata per qualche giorno… Non potendo stare con le mani in
mano, tornai a casa dei miei dove, rovistando nella libreria riservata
alle carte del nonno, tra gli estratti degli interventi alla Camera da lui
pronunciati quando era deputato, trovai un libretto dall’eloquente titolo Nel cinquantesimo della Prima Grande Guerra pubblicato negli Atti
dell’Ateneo di Bergamo. Non c’era il terzo volume delle memorie, ma
qualcosa avevo scovato. Mi gettai di nuovo a capofitto in quella lettura,
e stavolta dovetti attrezzarmi alla guerra, imparare la terminologia militare, chinarmi su cartine dettagliate, e conobbi quello che dopo anni
di studi scolastici e universitari ancora ignoravo, una guerra fatta di
tanti eroi dimenticati, in cui tutti gli italiani difesero ogni singola vetta,
e riconquistarono palmo a palmo i territori così disonorevolmente per10
si, e guadagnarono una vittoria davvero italiana e davvero meritata. A
scuola queste cose non si dicono, o forse non si dicono più, ma leggerle
nelle parole di chi le ha vissute fa nascere un entusiasmo e un orgoglio
di essere italiani che oggi più che mai abbiamo dimenticato.
Leggere questi scritti è stata un’esperienza straordinaria, come nipote, come bergamasca, come italiana e come cittadina di quell’Europa
che con fatica stiamo costruendo.
Di concerto con l’editore, si è scelto di unificare in questa pubblicazione testi di natura diversa: i due volumi di memorie, uno dattiloscritto
e l’altro manoscritto ma già revisionato, scritti da Camillo in una versione che appare quasi definitiva, con uno stile d’intonazione più intima e riflessiva; e il racconto dell’esperienza della guerra tratto dal suo
diario (andato perduto), pubblicato in una prima versione sotto forma
di articoli apparsi tra il 1927 e il 1929 su “L’Eco di Bergamo”, quando
Camillo era direttore, e successivamente come trascrizione delle conferenze tenute all’Ateneo, con uno stile fortemente giornalistico, più
narrativo e descrittivo, dove le frasi si fanno più brevi e il racconto
più spezzato: siamo in guerra. La scelta è dettata dal desiderio di non
lasciare il racconto interrotto proprio dopo i primi mesi dall’entrata in
guerra dell’Italia, momento storico che diventa particolarmente significativo ricorrendone il centenario.
In fine si è aggiunto un testo di natura satirica, a tratti esilarante,
sulle latrine di guerra, strettamente legato al tema trattato, seppure
in chiave diversa. Il nonno lo leggeva spesso, a parenti ed amici, con
sapiente intonazione, quasi recitandolo, suscitando l’ilarità del pubblico. Non ha mai dichiarato di averlo scritto, ma è sempre girato per
casa, e il sospetto, se non la certezza, che sia di suo pugno è legittimo.
Riflette lo spirito suo e dei suoi tre fratelli che, tornati miracolosamente
tutti dal fronte, si chiudevano nella sala bella della cascina Giulia per
abbandonarsi al racconto della guerra, colorito negli episodi dal gusto
per l’ironia che li accomunava, come ancor più li aveva accomunati
quella forte terribilissima esperienza vissuta. Ridere della vita e dei
casi suoi anche nelle più difficili evenienze aiuta ad andare avanti, a
dare il giusto peso alle cose.
I manoscritti sono stati trascritti con dedizione da mia mamma
Luisa Arcangeli. È stato mantenuto il testo originale, dal sapore tardo
ottocentesco che ben riflette l’uomo, quel Camillo che fino alla fine ha
voluto rimanere fedele a se stesso e ai suoi valori aviti. C’è in esso una
certa sovrabbondanza di virgole e di maiuscole, nonché arcaismi ed
errori ortografici nei plurali, nelle forme verbali e nell’uso delle doppie,
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in un contesto linguistico comunque non saldamente codificato. Solo le
maiuscole sono state normalizzate seguendo lo stile editoriale adottato
dalla casa editrice.
Dalla lettura è emersa una lingua molto ottocentesca, a tratti manzoniana, ricca e versatile; mi ha portato a riflettere sulla bellezza di
questa nostra lingua italiana e sulla sua intelligenza umana, ovverossia capace di interpretare gli innumerevoli casi umani; una lingua
che ora si radica nell’aulico dell’etimo latino, ora si nutre dei dialetti, a
tratti si irrigidisce nella norma, e poi si squaderna in infinite varianti
fino a cedere all’assurdo, costringendo alla continua consultazione di
dizionari anche il linguista esperto, che deve arrendersi ai continui
“ma anche” indicanti le diverse lezioni accettate.
Camillo aveva inserito nel testo numerose fotografie, con tanto di
didascalia, ma non essendo in nostro possesso gli originali, si è scelto
di sostituirle con altre fotografie di egual soggetto, selezionate tra quelle
di famiglia, che sono state messe alla fine del testo.
Ringrazio mio papà Felice, quinto dei sei figli di Camillo, che con la sua passione
da collezionista settecentesco non ha mai buttato una carta, rendendo possibile
il ritrovamento di questi testi; ha preso parte solo alla prima fase, entusiastica,
della riscoperta, essendo morto nella primavera del 2013. Un grazie va alla zia
Adriana, la sesta figlia, che non si è mai rassegnata all’idea che il suo papà
cadesse nel dimenticatoio dell’esistenza; ha sostenuto la pubblicazione e mi ha
assistito con la sua memoria lucidissima; a lei appartiene la maggior parte delle
fotografie. Un terzo grazie è per mia mamma Luisa Arcangeli, che ha copiato con
somma dedizione i testi, senza riuscire a trattenersi da puntigliose correzioni
(essendo lei maestra), che poi ho dovuto emendare per conservare il vero sapore
del testo originale. Ringrazio Angelo Bendotti che ha saputo immediatamente cogliere il valore del manoscritto, spianando così la strada alla pubblicazione sotto
l’egida dell’Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea (Isrec); ringrazio l’amica Lorenza Mafioletti per i preziosi suggerimenti
di revisione delle note; per tutte le informazioni di tipo militare ringrazio l’alpino
artigliere Raffaele Vitali, mentre all’editor/grafico Dario Carta devo la veste della
pubblicazione che si spera impeccabile. Infine l’ultimo grazie è per mio marito
Valerio, che ha sopportato la massiccia invasione, seppur solo in forma cartacea,
dell’ingombrante famiglia Fumagalli nella nostra quotidianità.
Rita Fumagalli
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