Impastatrice planetaria
Alunni: CAROLLO DANIELE, DALLA COSTA GIOVANNI, SOLIMAN MASSIMO,
ZANANDREA MARCO
Area di progetto
A.S. 2007/2008
Introduzione
Prima di iniziare la descrizione del nostro progetto volevamo mettere in evidenza i fattori che ci
hanno spinto a scegliere questo genere di lavoro.
La prima idea non è stata quella di rimettere in funzione un’impastatrice; infatti avevamo pensato di
progettare e costruire ex-novo un trapano a colonna. Costruire e progettare un qualsiasi manufatto
non è affatto una cosa semplice, specialmente se si tratta di un apparecchiatura complessa e delicata
come una macchina utensile. Il nostro iniziale entusiasmo si è quindi scontrato con le difficoltà che
si sono presentate e che ci hanno impedito di sviluppare la nostra idea.
Le complicazioni più grosse che abbiamo incontrato sono state principalmente due:
• Dopo aver analizzato i trapani presenti nella nostra officina abbiamo progettato e
dimensionato il basamento e la scatola contenente i cinematismi. Il problema più grande è
emerso però nella fase successiva. Poiché nella nostra officina non era possibile ottenere i
due grezzi di fusione necessari, ci siamo quindi rivolti ad un’azienda della zona che però ci
ha proposto un preventivo decisamente troppo elevato per le risorse della scuola. La nostra
idea di area di progetto risultava quindi non realizzabile;
• La seconda difficoltà incontrata è stata quella di lavorare i componenti con una precisione
elevata in modo da ottenere una buona stabilità della punta per forare e quindi una buona
lavorazione. In particolare, ciò che si è presentato complicato è stato ottenere e lavorare il
cilindro dove scorre il mandrino che deve essere realizzato in acciaio legato e
successivamente carbocementato e rettificato.
Abbiamo quindi deciso di abbandonare questo progetto e di pensare a qualcos’altro.
La seconda idea è stata quindi quella di rimettere a nuovo un’impastatrice meccanica con
funzionamento planetario. Questa proposta è venuta dal nostro compagno Zanandrea M., il cui
padre lavora per un’azienda che revisiona e mette a norma impastatrici. Tramite questa azienda
siamo quindi riusciti ad ottenere una vecchia impastatrice senza dover pagare un prezzo troppo
elevato.
Il tema della messa a norma dei macchinari è attualmente molto sentito, soprattutto per quanto
riguarda la sicurezza per gli operatori. Abbiamo pertanto deciso di intraprendere la strada di
sistemare un macchinario mal funzionante e di rimetterlo a norma sia per la maggiore economicità
del progetto e sia perché è molto frequente nelle aziende rimettere a nuovo le macchine invece di
acquistarne di nuove.
Scopo
Lo scopo della nostra area di progetto è quindi quello di rimettere a nuovo un macchinario ancora
funzionante, ma privo di ogni sistema di sicurezza. L’obiettivo finale del nostro operato è dunque
rimettere sul mercato una macchina ancora valida ad un costo economicamente competitivo per il
cliente. Ovviamente le nostre intenzioni non comprendono la vendita del manufatto poiché la scuola
conserva le numerose aree di progetto e le espone come esempi dell’operosità degli allievi.
Dietro al principale fine della nostra area di progetto si cela però un altro fattore che ci ha coinvolti
e ci ha convinti a portare a termine questa esperienza: poter concretamente analizzare i reali
problemi che ogni giorno un’azienda deve affrontare e deve obbligatoriamente risolvere. Questo
aspetto della vita aziendale non è una novità per alcuni di noi che lo scorso anno hanno partecipato
al concorso “Premio Dal Toso”.
Quest’anno quindi ci siamo proposti di analizzare un ulteriore ambito nel quale le attuali aziende
impiegano parecchie delle loro risorse: la messa a norma gli impianti produttivi.
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Operazioni svolte
Successivamente all’arrivo della macchina a scuola abbiamo provveduto allo smontaggio. Questa
fase, anche se non complicata, ci ha permesso ci analizzare il funzionamento della macchina ed è
stata essenziale per prendere visione delle modifiche da apportare. Abbiamo infatti visto che la
pasta aveva incrostato tutta la struttura in ghisa e
che bisognava sostituire la cinghia trapezoidale
della trasmissione e i cuscinetti.
La fase successiva è stata quella della pulizia sia
della struttura, sia di tutti i componenti. Abbiamo
quindi disincrostato la struttura e sgrassato gli
elementi della trasmissione. Il motore, visto che
non era nostra intenzione sostituirlo, è stato
smontato e pulito dalla ruggine.
A questo punto è stato possibile svolgere
un’analisi più accurata di tutti i componenti.
Abbiamo preso visione degli elementi
danneggiati e da sostituire. Nonostante l’età, la macchina risultava in buono stato e l’unico
componente gravemente danneggiato era la corona dentata del meccanismo epicicloidale. Abbiamo
quindi deciso di ricostruire la ruota dentata danneggiata.
Rimaneva poi da modificare la macchina per metterla in una condizione minima di sicurezza.
Abbiamo quindi provveduto a sistemare l’impianto elettrico, praticamente assente nella macchina
iniziale. Dal momento che il nostro corso di studi non ci fornisce un elevata conoscenza nel campo
dell’elettrotecnica, soprattutto nel campo della corrente trifase, abbiamo deciso di chiedere dei
consigli all’azienda che ci ha fornito il macchinario da revisionare. I tecnici dell’azienda ci hanno
fornito una scheda elettronica, uno schema elettrico e un elenco di componenti (interruttori,
trasformatori, pulsanti…) da utilizzare. Così, grazie al loro prezioso aiuto, siamo riusciti a creare un
circuito che ha messo la macchina in una situazione di sicurezza con il fungo per l’emergenza e il
micro del riparo.
La seconda fase nel mettere a norma la macchina è stata quella di creare un riparo che impedisca
all’operatore o ad altri oggetti di entrare a contatto con l’utensile mentre la macchina lavora. Qui le
nostre idee sono state molte, ma alla fine abbiamo optato per una struttura composta da profilati di
sezione tonda che avvolge il cesto e ripara l’utensile. La struttura protettiva può ruotare lasciando
libera la zona di lavoro e permettendo all’operatore di agire senza alcun disturbo, ovviamente a
motore spento.
La macchina è stata poi verniciata internamente di colore grigio ed esternamente di colore bianco.
L’ultima operazione “pratica” è stata quella di rimontare tutti i componenti sostituendo la corona, i
cuscinetti e la cinghia.
Per completare la nostra analisi dell’impastatrice è stata svolta una prova metallografica e una di
durezza su un campione di ghisa prelevato dalla struttura esterna.
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Stato iniziale
Appena arrivata la macchina presentava evidenti segni di degrado: la vernice esterna iniziava a
scrostarsi, l’interno era ricoperto di uno strato di pasta di pane e il funzionamento era molto
rumoroso.
Abbiamo poi analizzato l’aspetto che più ci importava: la sicurezza. La macchina non presentava
alcun sistema che potesse in qualche modo prevenire gli incidenti. L’impianto elettrico era
costituito da un semplice interruttore a tre posizioni: macchina ferma e due velocità. Non era
presente alcun fungo di emergenza ne alcun
fusibile. Tutti i cavi erano poi inseriti all’interno
della struttura e non erano separati dagli organi
mobili della trasmissione.
La zona di azione della frusta era poi scoperta e
qualsiasi oggetto poteva entrare in contatto con essa
creando quindi un elevato rischio per la macchina
ma soprattutto per l’operatore.
Una cosa che ci ha colpito è che la macchina era
dotata di un bruciatore, probabilmente a metano,
che scaldava l’impasto nel cesto per permettere la
lievitazione. Abbiamo deciso però di eliminare questo
bruciatore per due motivi: il primo di carattere pratico
poiché per mettere a norma e schermare un impianto di
combustione bisogna progettare delle protezioni adeguate e
nella nostra macchina il bruciatore era situato in una
posizione troppo esposta per essere messa a norma, inoltre
la presenza di combustibile rende il macchinario molto
pericoloso nonostante le protezioni; il secondo motivo che
ci ha spinti ad eliminare il bruciatore è stato il fatto che
nelle macchine moderne, proprio per la loro pericolosità, i
bruciatori per scaldare l’impasto sono stati eliminati e al
loro posto vengono utilizzate delle apposite celle di
levitazione. Mantenere questo sistema risultava quindi
estremamente pericoloso e completamente inutile.
Caratteristiche
La macchina che abbiamo revisionato e analizzato presenta le seguenti caratteristiche:
• Motore:
o Potenza: 0,56 [kw]
o N° poli 8
o Frequenza: 50[Hz]
o Voltaggio: 380[V] - Trifase
• Capacità cesto: 20 [litri]
• Ingombro: 450x670x870 [mm]
• Peso totale: 135 [Kg]
• Peso struttura portante: 95 [Kg]
• N° 2 fruste (utensili)
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Principio di funzionamento
Meccanico
La macchina è dotata di un motore che può essere azionato a due velocità.
Alla prima velocità corrisponde una rotazione di 750 giri al minuto, mentre alla seconda velocità
corrisponde una rotazione di 1500 giri al minuto.
L’uso di questa macchina prevede la prima velocità per un impasto duro e asciutto, tipo pasta frolla
o piccole quantità di pane (max 2 kg). A questa velocità si abbina l’utensile a forma di uncino.
La seconda velocità è dedicata
alla produzione di creme,
maionese, panna o quant’altro
sia liquido. All’uso della
seconda velocità si abbina
l’utensile a forma di frusta.
La trasmissione tra il motore e
l’utensile si compone di una
prima riduzione di velocità per
mezzo
di
una
cinghia
trapezoidale. Il moto passa
quindi da una puleggia
motrice collegata direttamente
al motore ad una puleggia più
grande con un rapporto di trasmissione di 5:1. Quest’ultima puleggia è solidale ad un pignone in
teflon con dentatura elicoidale.
Il pignone ingrana a sua volta con una ruota, la quale mette in movimento l’albero di rotazione della
coppa (il portatreno). In questo modo otteniamo una ulteriore riduzione del moto.
La coppa poi trascina un albero, detto inferiore, che è comunemente chiamato mandrino porta
utensile, sul quale è calettato un pignone (ruota satellite) che ingrana con una corona dentata
internamente (ruota solare), fissata sulla struttura in ghisa.
La rotazione circolare della coppa dovuta alla rotazione dell’albero superiore, abbinata alla
rotazione del pignone solidale all’albero inferiore porta frusta, provoca il cosiddetto movimento
planetario dell’utensile il quale ruota circolarmente(movimento della coppa e dell’albero superiore)
e su se stesso (movimento del pignone e dell’albero inferiore).
Analisi della velocità dell’utensile
Analizzando il funzionamento dell’impastatrice ci siamo posti il problema di sapere la velocità di
rotazione dell’utensile. Abbiamo quindi sfoderato le nozioni apprese in meccanica e abbiamo
provato a calcolare il rapporto di trasmissione dell’intero meccanismo.
Per prima cosa dividiamo il sistema in tre parti:
• Trasmissione con cinghia;
• Trasmissione con ruote elicoidali;
• Meccanismo epicicloidale.
Nella trasmissione con cinghia ricaviamo dal manuale le misure indicate nella figura e, misurando il
diametro esterno della puleggia riusciamo, con una sottrazione a ricavare d.
Ricaviamo de con la formula:
5
Ricaviamo quindi i due diametri di riferimento:
Puleggia h[mm] b[mm] de[mm] d[mm]
Motrice
8.7
2,75
56,5
51
Condotta
8,7
2,75
260,5
255
Da qui ricaviamo il rapporto di trasmissione delle pulegge, infatti
Ricaviamo quindi un primo rapporto di trasmissione: i1=5
Ora passiamo a ricavare il rapporto di trasmissione nella trasmissione a ingranaggi elicoidali. Qui la
faccenda è molto più semplice perché per trovare il rapporto di trasmissione basta trovare il
rapporto tra il numero di denti Z delle rispettive ruote:
Ruota
Z
Motrice 1 42
Condotta 2 94
Ricaviamo quindi un i2=2,24
Per il meccanismo epicicloidale il calcolo è un po’ più complesso, in quanto il ruotismo non è
ordinario. Disegniamo quindi lo schema del ruotismo e ricaviamo il rapporto di trasmissione con la
formula di Willis.
Secondo Willis:
Dove:
• ω1 = Velocità di rotazione della prima
ruota motrice del ruotismo;
• ω2 = Velocità di rotazione dell’ultima
ruota condotta del ruotismo;
• Ω = velocità di rotazione del porta treno.
Quindi, dal momento che ω2=0 ricaviamo:
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Troviamo poi il rapporto di trasmissione del ruotismo ordinario corrispondente, quindi con
portatreno fermo:
Dove:
• Z1 = numero di denti della prima ruota=21;
• Z2 = numero di denti della seconda ruota=75.
Ora eguagliamo i due valori di i ottenendo l’equazione:
Adesso osserviamo tutto il sistema e ricaviamo il rapporto di trasmissione totale applicando la
definizione:
Quindi vediamo che la nostra velocità di entrata è la velocità del portatreno (Ω), mentre la nostra
velocità di uscita è la velocità della ruota 1 (ω1).
Dopo alcuni passaggi matematici ricaviamo:
Abbiamo quindi trovato la formula del rapporto de trasmissione del ruotismo. Quindi:
Da qui notiamo quindi che la velocità in uscita è maggiore della velocità del portatreno poiché i<1.
Inoltre vediamo che è presente il segno meno, ciò sta a significare che viene invertito il moto.
Ora troviamo il rapporto totale di trasmissione:
La velocità dell’utensile sarà data quindi dalla formula:
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Il nostro sistema però è provvisto di due velocità quindi troviamo due velocità dell’utensile:
ωmotore
ωutensile
750 giri/min 167,4 giri/min
1500 giri/min 334,8 giri/min
Elettrico
Dal momento che il motore della macchina, che non è stato sostituito, funziona in corrente trifase a
380 Volt anche l’impianto elettrico deve essere progettato per funzionare a 380 Volt. Per questioni
di sicurezza però è necessario che l’impianto sia diviso in due circuiti separati: uno funzionante a
380 Volt e detto circuito della potenza, mentre l’altro funzionante a 24 Volt e detto circuito
secondario o circuito di comando.
Circuito della potenza
Dalla presa a muro arrivano la corrente a 380 Volt, tramite il cavo a tre poli, che non entra
direttamente nel circuito ma passa attraverso i tre fusibili (F1,F2,F3),che, come tutti i fusibili, se si
verifica un corto circuito o un picco di corrente hanno il compito di rompersi interrompendo il
flusso di corrente.
Successivamente
la
corrente arriva nei morsetti
di entrata del teleruttore
(T1) che è normalmente
aperto. I contatti del
teleruttore sono quindi
aperti e, se viene premuto
lo
start
nel
circuito
secondario, si chiudono e la
corrente
può
arrivare
all’entrata del commutatore
a due velocità (C).
Nel commutatore ci sono
sei uscite, che non sono
alimentate tutte assieme
contemporaneamente
ma
tre alla volta, a seconda
della
posizione
della
rotellina di selezione della
velocità, posizionata nel
pannello comandi. Nel
commutatore ci sono quindi
tre possibili posizioni dei
contatti: se la rotellina è
nella posizione numero 1, allora la corrente arriva alle uscite (U,V,W), mentre se è nella posizione
2, sono alimentate solo le uscite (1,2,3) del commutatore. Se invece la rotellina è sulla posizione 0,
la corrente non esce dal commutatore e quindi il motore non viene alimentato.
Il commutatore è poi collegato direttamente al motore.
Altro elemento che appartiene al mondo della potenza e che lo collega con il circuito secondario è il
trasformatore (TR), che viene alimentato con 380 Volt ed emette in uscita una tensione di 24Volt ,
che arriva direttamente al circuito secondario.
Anche in entrata del trasformatore ci sono dei fusibili di prevenzione (F4,F5).
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Circuito secondario
Il circuito secondario funziona con una tensione di 24Volt poiché i suoi componenti sono moto più
delicati di quelli del circuito della potenza e, se vengono alimentati con 380Volt, aumenta il rischio
che questi vengano danneggiati. Un altro motivo per il quale questo circuito lavora in bassa tensione
è che questo è il circuito con cui viene in contatto l’operatore e quindi non deve essere presente il
rischio di ricevere una scossa di 380Volt.
La corrente, proveniente dal trasformatore, arriva al
microinterruttore (FC) che è normalmente chiuso e
quindi permette il passaggio della corrente.
Nel momento in cui si dovesse alzare la protezione
della macchina il microinterruttore aprirebbe il
contatto non permettendo il passaggio della corrente
e arrestando il movimento del motore.
Nella posizione normale del microinterruttore la
corrente passa e arriva al pulsante di Stop, o di
emergenza, (PA), anch’esso normalmente chiuso che
se premuto ha la funzione di aprire i contatti e
fermare la macchina.
Se il pulsante non è premuto, la corrente può arrivare
al pulsante di start (PM), che è normalmente aperto.
Se viene premuto questo pulsante si chiude il
circuito ed si può azionare la macchina.
Con il pulsante premuto, poi, si eccita il
teleruttore(T1) e, tramite l’autoritenuta, l’impianto
funziona continuamente senza che l’operatore debba
premere ancora il pulsante di start. In questo modo i
contatti del teleruttore restano chiusi e il circuito di
potenza può essere azionato.
Ogni volta che il pulsante di stop o il microinterruttore vengono premuti si interrompe il flusso di
corrente nel teleruttore, si apre l’autoritenuta e si interrompe il funzionamento della macchina.
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Messa a punto della corona dentata a denti diritti interni
Nel rimettere in funzione l’impastatrice, abbiamo notato che un ingranaggio a denti dritti interni era
usurato. Tale corona, bloccata con tre viti e due spine di centraggio, che ha la funzione di far ruotare
su se stessa la frusta, è stata costruita con uno spessore dell’arco sul diametro primitivo leggermente
inferiore rispetto a quello del pignone, causando così la sua usura. Il pignone invece non ha subito
nessuna alterazione grazie al trattamento termico cementazione. Per questo motivo abbiamo deciso
di ricostruire la corona con gli opportuni trattamenti e tolleranze dimensionali e geometriche.
Caratteristiche
• Materiale: Acciaio non legato da bonifica UNI EN
10083 – 25 C40 E +H;
• Trattamenti termici: bonifica;
• Misure e parametri uguali al precedente;
Progettazione e costruzione
La costruzione di questo pezzo non è stata semplice perché
sono emerse alcune difficoltà pratiche legate principalmente
alle macchine da utilizzare.
Ciò che più ci ha vincolato in questa lavorazione è stato il
fissaggio del pezzo sulla dentatrice. Questa macchina infatti
è solitamente utilizzata per produrre ruote dentate
esternamente e per produrre il pezzo è stato necessario
togliere la spina di centraggio, proprio perche nel nostro
caso sarebbe stata solo di impiccio. Abbiamo quindi dovuto
procedere alla progettazione di un sistema che ci
permettesse di fissare il pezzo sulla dentatrice ma allo stesso
tempo che consentisse l’adeguato centraggio del pezzo.
Il lavoro di progettazione della maschera per il fissaggio del
pezzo ha richiesto più tempo e attenzione del previsto a
causa di continui intoppi e motivi di discussione per ottenere un manufatto che necessitasse delle
minime lavorazioni e del minimo spreco di materiale ma che presentasse le migliori caratteristiche
funzionali.
Abbiamo quindi deciso di non costruire una vera
e propria maschera ma di ricavare maschera e
ingranaggio su uno stesso pezzo di acciaio.
Dopo alcune idee abbiamo impostato le misure
generali per la costruzione del sistema:
L’assieme disegnato rappresenta la soluzione
che abbiamo ritenuto ottimale per le nostre
esigenze. Nella parte superiore è presente
l’ingranaggio da dentare (parte in blu) e in
quella sottostante la maschera che serve
solamente da appoggio, fissaggio e centraggio
per la lavorazione.
Tale complessivo è stato ricavato da un quadro
in acciaio bonificato. Questo materiale è adatto
per costruzioni meccaniche pochè presenta, allo
stato bonificato, una buona tenacità e resistenza
a trazione.
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La designazione dell’acciaio da bonifica è composta da:
• La denominazione acciaio;
• Il numero della norma di riferimento: UNI EN 10083;
• La designazione convenzionale del tipo di acciao: 25 C40 E;
• Il simbolo relativo a prescrizione di temprabilità: +H.
Con il centro di lavoro abbiamo ottenuto il pezzo circolare e sgrossato la parte interna che
comprende la cava e la gola. Sempre con questa macchina abbiamo ricavato gli inviti per la
successiva lavorazione di foratura. Abbiamo poi rifinito il tutto con il tornio manuale. La successiva
lavorazione è stata quella di ottenere, con il trapano radiale, i quattro fori per il fissaggio.
La parte inferiore con diametro 32 h7x5 ha il compito di centrare la maschera nella dentatrice
fissata con le quattro viti. Dopo aver eseguito l’operazione e tolto il pezzo abbiamo diviso
l’ingranaggio con un utensile da taglio nel tornio
e successivamente rettificato le facce della
corona a misura.
L’ingranaggio risulta con le seguenti misure:
• Modulo 2;
• Numero di denti 75;
• Addendum 2 mm;
• Dedendum 2,34 mm;
• Altezza totale 4,68 mm;
• Spessore arco sul d primitivo 3,1416 mm;
• Diametro primitivo 149.68 mm;
• Diametro di testa 145.68 mm;
• Diametro di piede 153.68 mm.
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Schema
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Costruzione del riparo
Per mettere a norma un qualsiasi macchinario è necessario predisporre uno schermo protettivo che
separi gli organi in movimento dall’ambiente esterno. Questi dispositivi possono essere:
• Fissi, se i meccanismi che proteggono non necessitano manutenzione o non devono essere
manomessi facilmente;
• Semifissi, se devono essere rimossi periodicamente per la manutenzione o qualsiasi altra
modifica. Un esempio di queste protezioni è il coperchio della nostra macchina che è ficcato
con una semplice vite e può essere rimosso in caso di bisogno.
• Mobili, quando devono essere continuamente spostati per poter agevolmente operare sulla
macchina a motore fermo.
La nostra impastatrice era sprovvista del riparo mobile che deve proteggere il campo di azione
dell’utensile.
Anche in questa fase abbiamo trovato delle difficoltà a livello progettuale. Ognuno di noi aveva
infatti un’idea diversa di come costruire tale riparo. Alla fine la soluzione ottimale che abbiamo
deciso di adottare è stata quella di una struttura composta da tondini di acciaio inossidabile, di
forma bombata che possa schermare gran parte della zona di azione.
La realizzazione di tale riparo è stata altrettanto complicata poiché prima di arrivare ad un pezzo
accettabile ed esteticamente simmetrico abbiamo dovuto costruire due prototipi. La cosa che ci ha
creato più disagio è stata la difficoltà incontrata nel sagomare i profilati in acciaio.
Nella realizzazione del primo prototipo, costruito per avere un idea generale dell’ingombro, non
abbiamo avuto grossi problemi poiché lo abbiamo utilizzato strisce di lamiera e non abbiamo
dovuto adottare una elevata precisione, proprio perché era una “prova”. Il secondo prototipo ci ha
creato molte più difficoltà. La nostra idea era quella di realizzare un telaio con un profilato
quadrato10x10 e delle sbarre intermedie con dei tondini in acciaio inossidabile. Il problema è sorto
quando abbiamo notato che per sagomare le aste di sezione quadrata bisogna disporre di macchinari
adeguati come una calandra. Quindi, non disponendo di tale macchina, abbiamo optato per
sagomarle a caldo. Le due aste si sono però deformate durante questa operazione poiché come è
noto a tutti se si scalda un pezzo di materiale ferroso fino a farlo divenire duttile sicuramente
subisce delle deformazioni. Un altro problema è sorto durante la fase di unione de tutte le aste del
riparo. Questa unione è stata effettuata tramite saldatura
a filo. E non è per niente semplice per delle persone
poco esperte come noi saldare una struttura simile. Ciò
che ne è uscito è stato un riparo asimmetrico e per niente
accettabile. Quindi abbiamo deciso di costruire un terzo
riparo solo con il tondino di acciaio inossidabile. In
questo modo l’operazione di sagomatura è stata
effettuata a mano, inoltre abbiamo potuto saldare la
struttura a punti e, quando abbiamo commesso degli
errori è stato possibile rompere la saldatura
manualmente e rifarla.
Il riparo è poi appoggiato su di due perni che permettono
di ruotarlo e di appoggiarlo sulla parte superiore
dell’impastatrice.
Su uno di questi due perni è stata fissata una piccola camma che con la minima rotazione del riparo
fa aprire i contatti del microinterruttore e ferma in questo modo la rotazione del motore.
Con questa protezione siamo riusciti ad aumentare la sicurezza dalla macchina poiché l’utensile può
essere azionata solo se il riparo è abbassato e se per caso questo dovesse essere sollevato l’utensile
si arresterebbe immediatamente.
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Analisi del materiale della struttura
Per completare lo studio della nostra impastatrice e per mettere a frutto le conoscenze assimilate
durante l’anno abbiamo deciso di effettuare un analisi sulla ghisa della struttura.
Abbiamo quindi prelevato un campione di materiale dalla macchina. Per fare questo non abbiamo
danneggiato in alcun modo la nostra struttura poiché abbiamo tagliato un pezzo di materiale dai
supporti per il bruciatore che, come detto prima, abbiamo deciso di eliminare.
Da questo pezzo di materiale abbiamo ricavato due provini che abbiamo utilizzato per un esame
metallografico e per una prova di durezza.
Esame metallografico
Dal pezzo di materiale estratto abbiamo ricavato un frammento con una superficie abbastanza
ampia. Abbiamo poi inglobato il frammento nella resina per poterlo lucidare Abbiamo quindi
lisciato il provino usando un lapidello ottenendo quindi una superficie piana e a specchio; la
lucidatura è avvenuta in varie passate e con dei dischi abrasivi di granulometria sempre più fina, le
ultime due passate sono avvenute con dei dischi di panno imbevuti di un liquido diamantato con
granulometria di 6 e 3 µm. Dopo aver raffreddato opportunamente con aria il provino, lo abbiamo
posizionato all’interno del quantometro. Il quantometro è una macchina che rileva le percentuali
degli elementi all’interno di un materiale attraverso un fascio di elettroni che attaccano la struttura
cristallina. Gli elementi rilevati sono questi:
Materiale
Fe
C
Quantità % 93,53 3,488
Si
Mn
Cr
Ni
Mo
Sn
Cu
Mg
S
2,024 0,296 0,069 0,043 0,002 0,010 0,352 0,000 0,026
Materiale
Al
Pb
Ti
Sb
Nb
B
Co
Bi
V
Ca
Quantità % 0,001 0,0077 0,018 0,008 0,006 0,001 0,005 0,006 0,020 0,000
L’analisi al quantometro non è avvenuta nel nostro laboratorio poiché la scuola non possiede un
quantometro. Per fare questa operazione ci siamo perciò serviti del laboratorio di proprietà del
padre di Massimo S. che gentilmente ci ha concesso di utilizzare i suoi strumenti.
Dopo aver effettuato l’analisi con il quantometro abbiamo messo il provino sul microscopio
metallografico e abbiamo ricavato una foto della struttura cristallina.
Dalla foto si possono notare la grafite di colore più scuro e la sua composizione a lamelle.
Possiamo quindi affermare che questa è una ghisa grigia lamellare.
Prova di durezza
Per determinare con maggiore precisione di che ghisa si tratta abbiamo effettuato anche una prova
di durezza Rockwell C. Dal campione di materiale abbiamo estratto un provino con le facce
parallele. Per questa prova non abbiamo bisogno di preparare la superficie poiché i durometri che
abbiamo in laboratorio ci permettono di leggere il valore di durezza direttamente sullo strumento,
senza dover analizzare le caratteristiche dell’impronta. Per questa prova abbiamo deciso di
applicare un carico di 150 N.
Abbiamo ricavato un valore di durezza HRC di 24.
Dai manuali possiamo quindi affermare che la struttura portante della nostra impastatrice è costruita
in ENGJ 200.
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Conclusioni
Al termine del nostro lavoro siamo riusciti a raggiungere lo scopo che ci eravamo prefissati: la
nostra macchina è ora infatti in grado di lavorare in minime condizioni di sicurezza.
Durante il nostro operato abbiamo potuto inoltre analizzare e prendere visione delle numerose
difficoltà che ogni azienda quotidianamente incontra per compiere il proprio lavoro. Abbiamo
dovuto affrontare difficoltà quali il prelievo del materiale dal magazzino, l’attrezzamento delle
macchine per la produzione di pezzi fuori serie; abbiamo sviluppato la capacità di sfruttare al
meglio le risorse e i macchinari presenti nei nostri laboratori al fine di minimizzare il tempo di
produzione e di ridurre gli sprechi.
Un altro aspetto produttivo non meno importante che siamo stati in grado di sviluppare è stata la
capacità di coordinazione nel lavoro di squadra, per far si che ognuno di noi avesse in ogni
momento un compito da svolgere adatto alle proprie abilità.
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Scarica

Impastatrice planetaria