Bisogni di relazione e di appartenenza Bisogni di autonomia e di separazione È un paradosso dell’esistenza umana il fatto che l’uomo debba simultaneamente cercare l’unione e l’indipendenza (E. Fromm, 1947, tr. it. 1971, p. 79). L’autonomia non è “autosufficienza” e mancanza di relazione M. Corsi (2003, p. 36) Bisogni di relazione Bisogni di autonomia • • • • • di individuazione, • di progettazione e di scelta, • di sviluppo delle proprie caratteristiche e dei propri impulsi, • bisogni narcisistici, di essere se stessi, di costruire e realizzare della propria identità, • di esercizio del proprio “potere” (S. Weil), • «sgancio» • ecc. • • • • • di appartenenza, di amore e di affetto, di essere con, di accettazione incondizionata, di rapporto, di “dipendenza”, di di “fusione”, «aggancio» ecc. • Winnicott: dipendenza ↔ autonomia • Fairbairn: dipendenza immatura ↔ dipendenza matura • Bowlby: sicurezza ↔ esplorazione • Mahler: fusione ↔ separazione/individuazione • Fromm: appartenenza ↔ autonomia • Loewald: densità primaria ↔ individualità • Sander: eteroregolazione ↔ autoregolazione • Ecc. • 0 – 4/6 mesi: dipendenza (quasi) totale dall’altro. – È l’affidamento all’altro che permette al bambino di esistere. A 6 mesi il bambino giunge a sentire «Io sono» e inizia a sviluppare la capacità di essere solo. • Stadio orale - Fiducia/sfiducia (Erikson) • 4/6 – 24 mesi: periodo di transizione dalla dipendenza immatura all’autonomia (o dipendenza matura) – Desiderio di farcela / paura di non farcela a conquistare una propria autonomia. Oggetti transizionali (durante l’intero periodo). Patologia come persistenza di «oggetti interni» primitivi (psicosi/borderline). Verso i 24 mesi il bambino raggiunge un primo stabile senso del Sé. Capacità di riconoscersi in uno specchio. Capacità di relazionarsi con un oggetto intero. • Stadio anale - Autonomia/vergogna-dubbio (Erikson) • 24 mesi – 5/6 anni: scoperta degli affetti – Il bambino possiede una propria «base» di identità, ma ha ancora bisogno del sostegno ambientale. È un bambino ancora «dentro» la famiglia, impegnato nella scoperta delle trame affettive. Patologia come «conflitto» fra desideri e norme (nevrosi). • Stadio fallico – Iniziativa/senso di colpa (Erikson) Funzioni Mesi Preminente comportamento del bambino che si coordina con le attività materne (L. Sander) I Regolazione iniziale 1 -3 Il neonato può essere immaginato come dotato di sottosistemi fisiologici semi-indipendenti (che influenzano il sonno, la veglia, l’alimentazione ecc), ciascuno con il proprio ritmo e con tempi propri, che devono armonizzarsi nel neonato e contemporaneamente col mondo circostante. L’orchestrazione di tale complessità è una delle conquiste principali dell’accudimento post-natale II Scambio reciproco 4 -6 Comportamento del sorriso, che si estende ad un pieno coinvolgimento motorio e vocale in sequenze di scambi affettivamente spontanei “avanti e indietro”. L’alimentazione con il cucchiaio, il vestirsi, ecc. diventano attività mutualmente coordinate. Importanza di permettere un’autentica reciprocità e non solo di sollecitare reazioni da parte del bambino. III Iniziativa / attività direzionata Focalizzazione 7 -9 Attività iniziate dall’infante per assicurare un reciproco scambio sociale con la madre o per influenzare l’ambiente IV V Autoaffermazione VI Riconoscimento VII Continuità del sé come organizzatore attivo 10 -13 Una delle radici dell’autonomia nel primo anno di vita deriva da come il bambino vive l’esito delle attività da lui intraprese. Tali azioni tendono a essere focalizzate sulla madre, della quale il bambino verifica accuratamente la disponibilità nei riguardi delle proprie specifiche iniziative. La madre è spesso assai pressata da tali richieste, incluse quelle di rassicurazione a fronte della paura dell’estraneo. Se la madre è sufficientemente sicura di sé riuscirà a trovare un equilibrio. Se il bambino non è certo della disponibilità della madre a fronte della propria autoasserzione, potrebbe continuare a cercarla durante il secondo anno di vita, quando invece deve cominciare a imporsi nei suoi confronti. Quando questa fase non è stata negoziata con successo, il bambino si forza freneticamente di farsi accettare dalla madre dopo un’asincronia e contemporaneamente lotta per affermare se stesso rispetto a lei. 14 -20 In questo periodo lo scopo del bambino è possedere l’iniziativa come fine a se stessa – e ciò spesso causa un conflitto. Il bambino amplia la definizione del suo comportamento, spesso a dispetto dell’opposizione materna. 18 -36 Attività (incluso il linguaggio) che esprimono percezione del proprio stato, intenzioni e contenuti del pensiero. La capacità di parlare e di comunicare in modo prevedibile le esperienze interne e le intenzioni, affinché siano decodificate dalla madre empatica, rendono possibile al bambino la conferma delle sue percezioni interne in una situazione di scambio reale. Progressiva conquista della “costanza di Sé”. A partire il bambino inizia a nascondere, utilizzando difese, il contenuto interno così ingenuamente svelato nell’espressione delle intenzioni e dei desideri che gli aveva permesso di condividerli. 18 -36 Attività che rompono e riparano il coordinamento a un livello intenzionale (comportamenti aggressivi intenzionali si affiancano a iniziative che puntano a fornire un recupero della concordanza interattiva). A fronte della rottura, la riesperienza della continuità del proprio Sé produce una situazione in cui la costanza del Sé diventa una sorta di struttura interna – ciò che Sandler e Rosenblatt hanno chiamato la rappresentazione di Sé come schema. • 5/6 – 10/11 anni: scoperta del mondo – Il bambino «esce» – metaforicamente, ancora prima che realmente – da casa e si spende nell’ambiente sociale: studia, si impegna, si relaziona: è questo il «lavoro» del bambino. Egli sperimenta il culmine della «meraviglia per l’oggetto». Da quel momento in avanti, la meraviglia non potrà più prescindere dal coinvolgimento della realtà interna. • Stadio di latenza - Industriosità/senso di inferiorità (Erikson) • 10/11 – 18/20 anni: scoperta di sé – Nell’adolescenza la spinta verso l’individuazione è arricchita dall’esplosione degli impulsi (affettivi, sessuali, cognitivi). Lo scopo dell’adolescente è non farsi trascinare dagli impulsi ma integrarli nella propria identità, sperimentando e arricchendo la continuità del proprio essere e conquistando l’autonomia. La riflessione è su di sé: «chi sono io, per essere un poeta che scorge la grandezza delle cose?» (Keats) • Adolescenza - Identità/dispersione (Erikson) • 20 – 40 anni: scoperta delle relazioni mature – Da quest’età in avanti, poiché la «struttura» di personalità è ormai acquisita, il rischio è di «sedersi» sulle conquiste raggiunte e non continuare a crescere. Nella prima età adulta il raggiunto controllo delle vicende emotive potrebbe indurre a «giocare» con esse senza un reale impegno verso la comprensione profonda degli affetti. • Età della giovinezza - Intimità/isolamento (Erikson) • 40 – 60 anni: scoperta del pensiero maturo – Il rischio di povertà degli affetti della prima età adulta si trasforma in questa età nel rischio di povertà del pensiero, il non giungere a sperimentare la «bellezza del pensare». • Età adulta - Generatività/stagnazione (Erikson) • Oltre 60 anni: scoperta del Sé maturo – Morte come perdita vs. esperienza della bellezza di esserci e di esistere. «La morte è insopportabile per chi non riesce a vivere». • Senilità - Integrità/disperazione (Erikson) Jorge Luis Borges - Elogio dell'ombra La vecchiaia (è questo il nome che gli altri le danno) può essere il tempo della nostra felicità. L'animale è morto o è quasi morto. Rimangono l'uomo e la sua anima. Vivo tra forme luminose e vaghe che non sono ancora le tenebre. Buenos Aires, che prima si lacerava in suburbi verso la pianura incessante, è diventata di nuovo la Recoleta, il Retiro, le sfocate case dell'Once e le precarie e vecchie case che chiamiamo ancora il Sur. Nella mia vita sono sempre state troppe le cose; Democrito di Abdera si strappò gli occhi per pensare; il tempo è stato il mio Democrito. Questa penombra è lenta e non fa male; scorre per un mite pendio e assomiglia all'eternità. I miei amici non hanno volto, le donne sono quel che erano molti anni fa, gli incroci delle strade potrebbero essere altri, non ci sono lettere sulle pagine dei libri. Tutto questo dovrebbe intimorirmi, ma è una dolcezza, un ritomo. Delle generazioni di testi che ci sono sulla terra ne avrò letti solo alcuni, quelli che continuo a leggere nella memoria, a leggere e a trasformare. Dal Sud, dall'Est, dall'Ovest, dal Nord, convergono i cammini che mi hanno portato nel mio segreto centro. Quei cammini furono echi e passi, donne, uomini, agonie, resurrezioni, giorni e notti, dormiveglia e sogni, ogni infimo istante dello ieri e di tutti gli ieri del mondo, la ferma spada del danese e la luna del persiano, gli atti dei morti, il condiviso amore, le parole, Emerson e la neve e tante cose. Adesso posso dimenticarle. Arrivo al mio centro, alla mia algebra, alla mia chiave, al mio specchio. Presto saprò chi sono. Quando ci riferiamo alla nozione di Mondo Interno alludiamo all’idea che le persone non vivono solamente sul versante della realtà esterna, ma hanno un loro proprio mondo di «vissuti» che ha preso forma nel corso del loro sviluppo, tenendo conto sia delle inclinazioni e degli impulsi soggettivi che del modo in cui questi si sono strutturati nel corso delle esperienze relazionali sperimentate – soprattutto quelle precoci – delle strategie di difesa adottate, delle capacità di elaborazione cognitiva disponibili ecc. Come è «fatto» il mondo interno? Le strutture affettive si formano tramite il costante processo di «internalizzazione» da parte del bambino della relazione con gli altri importanti che caratterizzano la sua vita. La mamma più brava • Winnicott chiedeva: “qual è la mamma più brava?”. “Andate in un parco e guardate il bambino che gioca più lontano dalla sua mamma. Quella è la mamma più brava!” • Vuol dire che quel bambino non ama più la sua mamma o che la ama meno di quei bambini che invece ronzano attorno alle loro mamme? No, forse la “ama” anche di più, ma ha meno “bisogno” di lei. È più autonomo, più se stesso e meno dipendente. La mamma la porterà sempre “dentro” di sé. Le è grato e magari neppure lo sa. • Già in Freud esiste una compiuta trattazione di un meccanismo di internalizzazione dell’altro, che egli chiama «identificazione». • L’identificazione si può definire come quel «processo inconscio mediante il quale una persona modella il proprio modo di pensare e di agire su quello di una figura importante della sua vita, per esempio un genitore. Influenzata dall’affettività, l’identificazione è un processo continuo che ha luogo nel corso di tutta la vita, sebbene sia particolarmente importante nei primi anni e nell’adolescenza» (Person-Cooper-Gabbard 2005). [...] Di noi ciascuno reca l'impronta Dell'amico incontrato per via In ognuno la traccia di ognuno. Per il bene od il male In saggezza o in follia Ognuno stampato da ognuno. Ora che il tempo urge da presso, Che le imprese sono finite, A voi tutti l'augurio sommesso Che l'autunno sia lungo e mite. Primo Levi, dicembre 1986. Dal 1923, l’identificazione diventa per Freud il meccanismo fondamentale che sta a alla base della costruzione dell’Io. …il carattere dell’Io è un sedimento degli investimenti oggettuali abbandonati, contenente in sé la storia di tali scelte d’oggetto […] Se e quando esse prendono il sopravvento, o diventano troppo numerose, soverchianti e fra loro incompatibili, si è prossimi a un risultato patologico […] e forse il segreto dei casi di cosiddetta “personalità multipla” consiste nel fatto che le singole identificazioni si accaparrano a turno la coscienza dell’individuo… Freud (L’Io e l’Es, 1923). Mille giorni di me e di te io mi nascosi in te poi ti ho nascosto da tutti e tutti per non farmi più trovare e adesso che torniamo ognuno al proprio posto liberi finalmente e non saper che fare non ti lasciai un motivo né una colpa ti ho fatto male per non farlo alla tua vita tu eri in piedi contro il cielo e io così dolente mi levai imputato alzatevi chi ci sarà dopo di te respirerà il tuo odore pensando che sia il mio io e te che facemmo invidia al mondo avremmo vinto mai contro un miliardo di persone e una storia va a puttane sapessi andarci io... ci separammo un po' come ci unimmo senza far niente e niente poi c'era da fare se non che farlo e lentamente noi fuggimmo lontano dove non ci si può più pensare finimmo prima che lui ci finisse perché quel nostro amore non avesse fine volevo averti e solo allora mi riuscì quando mi accorsi che ero lì per prenderti. Chi mi vorrà dopo di te si prenderà il tuo armadio e quel disordine che tu hai lasciato nei miei fogli andando via così come la nostra prima scena solo che andavamo via di schiena incontro a chi insegneremo quello che noi due imparammo insieme e non capire mai cos'è se c'è stato per davvero quell'attimo di eterno che non c'è mille giorni di te e di me... ti presento un vecchio amico mio il ricordo di me per sempre per tutto quanto il tempo in questo addio io mi innamorerò di te. • Nonostante Freud avesse individuato la centralità dell’identificazione nella costruzione della personalità, egli dava molta importanza al modo in cui le «pulsioni» hanno investito degli «oggetti» per trovare soddisfacimento. – Quindi, per Freud, la vera forza motrice del comportamento è la pulsione che, per soddisfarsi, cerca un «oggetto» ed è per questo che il suo modello è visto come «unipersonale», in quanto la relazionalità e la ricerca del mondo esterno avviene per soddisfare le pulsioni e non per in virtù di un’intersoggettività primaria. Per Freud, il bambino desidera ridurre al minimo il fastidio che gli recano le pulsioni… • Nell’evoluzione della teoria psicoanalitica si è assistito al crescere dell’importanza assegnata alle relazioni oggettuali. – La crescente importanza assegnata all’interazione con gli altri piuttosto che, come pensava Freud, al soddisfacimento pulsionale, ha consentito di concettualizzare la dinamica psichica in termini più utili di quanto non avvenisse nel tradizionale schema di conflitto fra pulsioni e difese. • Tale cambiamento è comparso quasi contemporaneamente in M. Klein, R. Fairbairn, H.S. Sullivan, E. Erikson, E. Jacobson, J. Bowlby, M. Mahler, L. Sandler, D. Winnicott e altri – Con questi autori si è iniziato a parlare di «relazioni oggettuali», dove con oggetto intendiamo il correlato del soggetto (da ob-jectum = gettato contro). – L’oggetto è primariamente l’altro, anche se l’altro, in quanto internalizzato, assume uno statuto autonomo all’interno della nostra psiche è una rappresentazione interna degli oggetti esterni più significativi e trae il suo carattere specifico dall’impatto emotivo che tali figure hanno avuto (Fairbairn, 1952) Sulla base del concetto di oggetti interni è stato sviluppato anche il concetto di un mondo della realtà interna che implica situazioni e relazioni cui l’Io partecipa insieme ai suoi oggetti interni. Queste situazioni e relazioni sono paragonabili a quelle che la personalità vive nel mondo della realtà esterna; ma la forma che assumono rimane quella conferita loro dall’esperienza di situazioni e relazioni vissuta dal bambino nei primissimi anni di vita. Si deve aggiungere che il mondo della realtà interna è concepito come essenzialmente inconscio; ma ciò non ne impedisce la manifestazione nella coscienza sotto forma di sogni e fantasie. Questo mondo inconscio della realtà interna è anche ritenuto la fonte di ogni tipo di angoscia morbosa, paure irrazionali e sintomi psicopatologici. Ne consegue che il comportamento umano in generale deve essere influenzato profondamente dalle situazioni presenti nel mondo interno. Il fatto è che, una volta accettato il concetto di realtà interna, si deve ritenere che ciascun individuo viva contemporaneamente nei due mondi, quello della realtà interna e quello della realtà esterna. Fairbairn (1952, tr. it. 1992, p. 23) • Progressivamente è stato messo in luce la dimensione relazionale degli «oggetti interni» in quanto con essi l’Io intrattiene una relazione. → di qui le relazioni interne, in cui l’Io è ingaggiato in relazioni positive o negative con oggetti interni. → gli affetti dipendono dall’esperienza emotiva che l’Io sperimenta nei confronti degli oggetti/altri interni. • Oggi si assiste a una sempre maggiore propensione della psicoanalisi verso un pensiero «relazionale» che intende superare il «mito della mente isolata» (Stolorow e Atwood, 1992). – La mente ha un’origine condivisa (Meltzoff, Trevarthen, Stern). → Il mondo interno si può immaginare costituito da «oggetti interni» o, meglio, da RELAZIONI INTERNE. → sostenere che il mondo interno è costituito da relazioni interne significa affermare che gli affetti hanno una dimensione relazionale, sono «fatti» come relazioni. – Detto in termini psicoanalitici più tradizionali: «le pulsioni sono “originariamente collegate” con gli oggetti» (Mitchell, 2000, p. 59) Una relazione interna contiene: - una rappresentazione del Sé - una rappresentazione dell’altro - un affetto che collega il Sé e l’altro Le modalità con cui abbiamo vissuto le relazioni con altri importanti nelle prime fasi della vita si fissa all’interno della nostra psiche e va a costituire il patrimonio di “prototipi di relazione” che utilizziamo nell’interagire con gli altri e con noi stessi. Ad esempio, se l’esperienza del bambino è quella di una madre emotivamente presente e disponibile a incoraggiare la spontaneità e la gioia della scoperta, la relazione potrebbe essere così descritta: a) Io mi sento capito, incoraggiato ad esistere come persona dotata di motivi propri e di un proprio Sé; b) L’altro è percepito come disponibile all’ascolto, alla condivisione e all’incoraggiamento; c) L’affetto che caratterizza questa relazione è positivo, di stima, sostegno e entusiasmo Del tutto diversa sarà, per fornire un altro esempio, l’esperienza di un bambino che ha vissuto con una madre depressa. In questo caso, gli sforzi del bambino per mettersi in relazione con la madre saranno scarsamente accolti e la relazione interna conseguente potrebbe essere del tipo: a) Il mio senso del Sé è bisognoso; b) L’altro è lontano e inaccessibile, non responsivo; c) L’affetto che caratterizza questa relazione è di tristezza, abbandono (a causa della mancata esperienza comunicativa), al limite anche di senso di catastrofe, perché il Sé si sente totalmente solo e senza legami. • Molte scuole di psicologia, e non solo quelle psicoanalitiche, condividono l’importanza centrale della relazione : – La terapia cognitivista parla di “schema interpersonale” che viene definito come una rappresentazione tipica dell’interazione fra Sé e l’altro ricavata dall’esperienza. – Stern parla di “schemi di essere con” – Bowlby di “modelli operativi interni” (MOI) – Fogel di “frame” – L’analisi transazionale di copioni… • NB: quando parliamo di «rappresentazioni» dobbiamo tenere presente che, come si diceva, negli stadi iniziali dello sviluppo, fino a 6-12 mesi (a seconda degli autori), c’è una conoscenza relazionale implicita/procedurale, che viene rappresentata in modo «presimbolico». Successivamente, la conoscenza relazionale diventa esplicita/semantica e rappresentata in modo simbolico. …mentre la madre emette le parole, il bambino non le percepisce come tali, ma è immerso nel loro suono, nel loro ritmo, ecc. come aspetti emergenti di un’esperienza uniforme. (Loewald) • A tale proposito, Sandler distingue – le «rappresentazioni oggettuali» nella fantasia inconscia, – le «relazioni oggettuali interne», concepite come strutture, ossia come «matrici» che si sono formate sotto il forte influsso delle fantasie e delle percezioni infantili. → «non tocchiamo mai con mano» queste matrici, ma da esse discendono i temi ricorrenti che ci sforziamo di evidenziare nei desideri, nelle fantasie e nelle relazioni d'oggetto degli individui. • La strutturazione delle relazioni oggettuali è strettamente connessa con il sistema motivazionale del Sé, in quanto: – Miriamo a mantenere o a incrementare le condizioni che producono stati affettivi positivi intensi – Puntiamo a diminuire, evitare e fuggire da condizioni che determinano stati affettivi negativi • Le relazioni oggettuali interne possono essere considerate come tratti del carattere, in quanto anch’essi sono da intendere come manifestazioni automatizzate di relazioni interne inconsce. Perché si «fissano» le relazioni interne? – Per Sandler il principale motivo per cui si fissa una certa relazione interna risiede nel suo garantire sicurezza affettiva – Per non restare solo al buio… – Perché il desiderio di comunicare è così centrale che «è meglio una cattiva relazione che nessuna relazione» (Fairbairn) –… • Le relazioni interne vengono costantemente “esternalizzate” induzione di ruolo (Sandler) Questo concetto esprime l’idea che ciascuno di noi «proietta» (esternalizza) sull’altro il ruolo che l’altro ha nella sua relazione interna, sondando la sua «rispondenza di ruolo», cioè la sua disponibilità a assumere il ruolo consono alle proprie relazioni interne. • Questa esternalizzazione delle relazioni interne avviene anche nei normali rapporti quotidiani. Infatti, nei rapporti che abbiamo con le altre persone tendiamo ad attribuire all’altro un certo ruolo che corrisponde a determinate relazioni interne desiderate. • es. Se il mio «altro interno» è minaccioso, vedrò nell’altro qualcuno di minaccioso. Il guaio è quando l’altro «avverte» la mia induzione di ruolo e, perché si trova bene in quel ruolo, lo incarna e diventa autenticamente minaccioso. Esso che la relazione interna di è «duplicata» (esternalizzata) in una relazione reale! → La relazione oggettuale desiderata influenza il modo in cui si percepisce il dato reale… Dinamica delle relazioni interne • Nella costruzione delle relazioni interne vi è inizialmente una separazione fra relazioni interne “cattive” e relazioni interne “buone I ricordi affettivi si segno positivo e negativo sono costruiti separatamente nel corso delle interiorizzazioni precoci (M. Klein) e rimangono scissi e dissociati nel tentativo di: – mantenere un dominio su esperienze di relazione tra sé e gli altri di segno positivo, – evitando di entrare in contatto con le esperienze paurose di stati affettivi negativi. In particolare: – Gli stati affettivi negativi tendono ad essere proiettati, trasformandosi in paura nei confronti di oggetti esterni “cattivi” – gli stati affettivi positivi diventano ricordo di una relazione con oggetti “ideali” (Kernberg 2005). Questa trasformazione evolve in due principali modalità dell’esperienza psichica precoce, scisse tra loro: – idealizzata in quanto si tratta di un segmento di rappresentazioni esclusivamente positive di sé e degli altri; – persecutoria o paranoide per quanto riguarda la parte di rappresentazioni degli altri soltanto negative e di una rappresentazione di un sé minacciato. (Kernberg 2005). • Questa originaria esperienza scissa protegge le esperienze idealizzate da una “contaminazione” con quelle cattive, fino a quando non si sviluppa un più alto grado di tolleranza al dolore e una valutazione più realistica del mondo esterno in situazioni dolorose (M. Klein; Kernberg 2005). – Per Fairbairn, dobbiamo salvare l’Altro buono (che è in relazione con l’Io buono) rimuovendo l’Altro cattivo (che è in relazione con l’Io cattivo = Sabotatore interno) Immagine di sé accettata Sé positivo/buono ↔ Altro soddisfacente COSCIENZA - - - - - - - - - - - - - - difese - - - - - - - - - - - - - - INCONSCIO Sé negativo/cattivo ↔ Altro insoddisfacente Immagine di sé non accettata (e proiettata) • identificazione concordante = ci si identifica con la stessa esperienza che sta provando l’altro. – Si ha una condivisione emotivo/empatica. – A partire da questa esperienza, il terapeuta può chiedersi: “cosa avrei bisogno di sentirmi dire in questa circostanza? Cosa mi aiuterebbe?” • identificazione complementare il terapeuta si identifica con ciò che il cliente non è in grado di tollerare (e ha rimosso) e che proietta. – Ad es. il terapeuta potrà trattare in maniera sprezzante un paziente con bassa autostima, potrà consigliare di essere forte a un cliente che si sente debole ecc. Ciò rinforza la “patologia” del cliente. Quando il terapeuta sperimenta un tale stato egli sente ciò che presumibilmente sentono le persone che vivono con il cliente (spesso senza riuscirlo a tematizzare), avverte la stessa tendenza ad “agire contro”. • In altre parole: – quando l’altro si identifica con la parte cosciente si ha una condivisione empatica con le potenzialità e le sofferente del Sé cosciente; – quando ci si identifica con la parte rimossa, che proprio in quanto tale tende a essere agita, si tende a utilizzare le stesse difese che la persona usa per controllare le parti non accettate di sé • Così si può incoraggiare la persona fragile alleandosi con le parti «forti» del suo Sé cosciente oppure la si può attaccare sulle parti fragili inconsce; • Empatizzando e sostenendo le parti funzionanti e coscienti del Sé, si può invece attendere che emergano anche le parti rimosse e negate Radio 2 - 22/2/2012 IO, CHIARA E L'OSCURO – Il pensiero kleiniano, adottato dal testo di Waddell, Mondi interni, parla in termini di introiezione di oggetti. Ma tale introiezione avviene sempre in uno sfondo relazionale; • N.B. Non si parla mai solamente di esperienze “reali”, ma del modo in cui ciascuno, in base alle proprie tendenze innate (di tipo temperamentale, “pulsionale”, relative alla struttura embrionale del Sé ecc.), ha soggettivamente vissuto quelle esperienze. – Ad esempio, una madre moderatamente poco accudente potrà essere sperimentata come abbastanza soddisfacente per un certo bambino e come assai meno soddisfacente per un altro, in base alla loro diversa “sensibilità” – Alcuni psicoanalisti hanno dato più importanza alla realtà (su tutti Bowlby, ma anche Winnicott, Fairbairn ecc.) altri (su tutti Melanie Klein) alle fantasie innate • N.B. I tradizionali concetti psicoanalitici che tentano di spiegare la formazione della personalità come frutto di «internalizzazioni» (imitazioni, identificazioni, identificazione proiettiva vs introiezione, ecc.) possono essere reinterpretati da un punto di vista sistemico come una influenza reciproca di sistemi che si sintonizzano e iniziano a condividere modalità di funzionamento. Quando parliamo di mondo interno intendiamo anche riferirci al fatto che in esso vi sono degli stati mentali. Il tempo presente e il tempo passato son forse presenti entrambi nel tempo futuro, e il tempo futuro è contenuto nel tempo passato T.S. Eliot (East Coker) • Il concetto di stato mentale fa riferimento allo strutturarsi storico delle nostre emozioni, cioè al fatto che i nostri vissuti non sono «senza spazio e senza tempo», reazioni momentanee, ma sono costruiti giorno per giorno, tenendo conto di ciò che siamo, di come ci sentiamo in relazione alle sollecitazioni che ci provengono dall’ «Ambiente», di come gli altri ci percepiscono e così via. – Ciò non implica l’idea di uno sviluppo lineare e progressivo della personalità: ci possono essere – e ci sono! – degli stati mentali brevi ma di grande intensità, che lasciano delle tracce importanti in ciascuno di noi; altri momenti, invece, pur essendo altrettanto importanti, rientrano nel quadro di una costruzione progressiva della personalità. I meccanismi di difesa • Un concetto importante per la comprensione del mondo interno è quello dei meccanismi di difesa, che sono delle “funzioni” dell’Io utilizzate inconsciamente per difendersi da affetti sgradevoli o eccessivamente intensi che, se non arginati, procurano ansia e angoscia. – Freud pensava che questi affetti potessero provenire dal contatto con la realtà (es. grande spavento) o dalle pulsioni inconsce intollerabili. • I meccanismi di difesa si consolidano durante l’infanzia e mettono l’Io al sicuro dall’emergere di affetti non gestibili o incompatibili con l’identità cosciente. – Essendo delle modalità di controllo e gestione degli affetti, essi sono tutt’uno con il carattere e la personalità, perché rappresentano delle modalità tipiche con cui il soggetto si rapporto con il mondo interno. W. Reich ha parlato a tale proposito di “corazza caratteriale”. I meccanismi di difesa sono i seguenti: (la definizione di alcuni di essi è stata messa a punto da psicoanalisti successivi a Freud, in particolare dalla figlia di Freud, Anna Freud) 1. rimozione: espellere e tenere lontano qualcosa dalla coscienza (Freud, La rimozione 1915); è il meccanismo di difesa più efficace ma anche il più dispendioso da un punto di vista energetico, perché richiede un costante investimento contropulsionale. Es: se mi voglio difendere dall’aggressività verso mio fratello, dovrò lottare costantemente per allontanare questa consapevolezza e ciò richiede un costante impegno); 2. regressione: ritorno ad un livello di funzionamento mentale più primitivo. Es: un bambino che ha già imparato a camminare inciampa facendosi male. Potrà ritornare, temporaneamente, a gattonare; 3. formazione reattiva: si sostituisce un desiderio inaccettabile con uno di carattere opposto. Viene normalmente diagnosticata nei pazienti con disturbo di personalità ossessivo-compulsivo; 4. 5. 6. isolamento: quando l’idea di un effetto traumatico viene scissa dall’affetto a cui originariamente era associato. Freud in Inibizione, sintomo e angoscia (1926) la definisce come “l’abolizione della possibilità di contatto, […] quando il nevrotico, mediante una pausa, isola un’impressione o un’attività, egli ci fa intendere simbolicamente che non vuole non vuole lasciare che i pensieri che la concernono entrino in contatto associativo con altri pensieri”. Si tratta pertanto di un’interruzione delle catene associative. È frequente nei pazienti ossessivo-compulsivi; rendere non avvenuto o rinnegamento della realtà (Verleugnung): implica il pensiero magico e consiste nel compiere gesti rituali per annullare atti o sentimenti sentiti come inaccettabili. In Freud il trauma originario è quello della mancanza del pene nella donna. È un meccanismo di difesa molto primitivo che Freud utilizza spiegare feticismo e psicosi. Gabbard spiega che questo meccanismo viene anche detto del “fare e del disfare” ed è caratteristico dei pazienti ossessivo-compulsivi. Un paziente prendeva alla lettera il detto “se metti i piedi su una crepa, romperai la schiena di tua madre”. Ogni volta che, camminando su un marciapiede, calpestava una crepa, tornava indietro e rifaceva il percorso evitando la crepa; introiezione: è l’incorporazione nel soggetto di un elemento della realtà esterna: l’oggetto entra a far parte del Sé del soggetto con tutte le sue caratteristiche. Freud parla del Super-io come introiezione della figura paterna. 7. 8. 9. proiezione (o spostamento): un individuo attribuisce un proprio pensiero o un proprio sentimento inaccettabili a un’altra persona. trasformazione nel contrario e rivolgimento contro se stessi: si tratta di un meccanismo di difesa in cui le pulsioni non sono dirette verso la loro mèta naturale (che è il soddisfacimento) o verso l’oggetto che darebbe loro appagamento, ma vengono rigirate verso il soggetto stesso, come avviene tipicamente nel masochismo e in altri comportamenti autolesivi (depressioni, suicidi, ricerca di incidenti) in cui vi è un rivolgimento verso se stessi; sublimazione (introdotto da A. Freud): l’energia libidica e aggressiva viene neutralizzata e indirizzata verso scopi socialmente più accettabili; 10. identificazione con l’aggressore (introdotto da A. Freud): il soggetto, di fronte ad un pericolo esterno (rappresentato tipicamente dall’autorità) si identifica con il suo aggressore, assumendo sia la stessa funzione aggressiva, sia imitando fisicamente e moralmente la persona dell’aggressore, sia adottando i simboli di potenza che lo contraddistinguono. Si ricordi che l’identificazione è, come l’introiezione, un processo di internalizzazione di una realtà esterna, ma a differenza dell’introiezione non consiste nell’assimilazione totale dell’oggetto, ma comporta una modificazione del soggetto, un un’assunzione da parte del soggetto di alcune caratteristiche dell’oggetto. Nell’introiezione l’oggetto esterno viene “messo dentro”, con la modalità dell’incorporazione orale. Può essere fatta rientrare nell’identificazione con l’aggressore anche una forma di altruismo, che implica la resa dei propri impulsi a favore di quelli degli altri; 11. ascetismo e intellettualizzazione (introdotto da A. Freud): tipica dell’adolescenza, consiste nel rifugiarsi in attività intellettuali per esercitare un controllo su contenuti affettivo-istintuali e ridurre conseguentemente ansia e tensione; 12. negazione mediante le fantasie, le parole, le azioni (introdotto da A. Freud): in questo caso il rimosso può giungere alla coscienza, ma viene negata la pertinenza col soggetto (ad esempio si può negare che quella pulsione ci colpisca personalmente ecc.). Siccome risulta compromesso l’esame di realtà, questo meccanismo di difesa indica un funzionamento fortemente compromesso della psiche e lo troviamo ad esempio negli psicotici; 13. restrizione dell’Io (introdotto da A. Freud); 14. Somatizzazione: questa difesa è tipica dei pazienti ipocondriaci, che trasferiscono i sentimenti dolorosi a parti del corpo; 15. Conversione: solitamente, ma non esclusivamente, associato all’isteria, questo disturbo è caratterizzato dalla rappresentazione simbolica di un conflitto intrapsichico in termini fisici. • Se si concepisce il mondo interno come costituito da relazioni oggettuali, anche i conflitti intrapsichici debbono essere concepiti non come dei semplici conflitti fra impulsi e difese, in quanto sia gli impulsi che le difese sono relazioni oggettuali: – Ad esempio, negli ossessivi il sentirsi cronicamente sottomesso a un’immagine genitoriale potente e protettiva può difendere il paziente da una rappresentazione rimossa del Sé, violentemente ribelle nei confronti di un’immagine genitoriale castrante e sadica. Dal punto di vista clinico, sia la difesa caratteriale sia l’impulso rimosso coinvolgono relazioni oggettuali interne reciprocamente opposte. (Kernberg 2005, tr. it. 2006, p. 109)