TRAFFICI
UMANI
Spedizione in abbonamento postale art.2 comma 20/b - L.662/96DC/DC/199/00/LE - Anno 8 - n.79 - Febbraio 2011
e 1,50
L’INCHIESTA DI
MARIA LUISA MASTROGIOVANNI
E CARLO LANIA
PREMIATA FINALISTA DEL PREMIO “ILARIA ALPI-BIOCR" 1
il tacco d'italia febbraio 2011
I nuovi progetti formativi di Asesi:
UNA MAMMA PER LE MAMME e MISSION IMPRESA
La scuola di formazione A.SE.SI - Associazione Servizi Sindacali, propone due interessanti corsi. Gli interessati dovranno
presentare le domande di partecipazione presso la sede legale di A.SE.SI. sita in V.le della Libertà, n. 79 a Lecce (Tel.
0832/454559 - Fax: 0832/391816) dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle ore 13 e presso la sede formativa Mercaflor sita in via
del Nuovo mercato floricolo, Z.I. Taviano (Tel./fax 0833/914232) dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle ore 12, dove è anche
attivo un servizio di accoglienza, orientamento e informazione.
Qualora il numero dei candidati fosse superiore a quello previsto, un’apposita commissione procederà alle selezioni che si
terranno nella settimana successiva alla scadenza delle iscrizioni presso la sede formativa dell’Ente. I candidati verranno
avvisati telefonicamente.
Gli interessati dovranno far pervenire domanda di ammissione (via fax, posta o consegnandola a mano) entro il
10 marzo 2011. Il modulo di iscrizione è scaricabile sul sito www.asesi.it
TAGESMUTTER: UNA MAMMA PER LE MAMME
L’azione formativa si rivolge a N°15 allieve Donne disoccupate,
inoccupate e inattive, immigrate, in situazione di disagio, iscritte
negli elenchi dei Centri per l’Impiego della Provincia di Lecce, che
hanno assolto l’obbligo scolastico e non soggette all’obbligo formativo.
Il Corso dura 300 ore di cui 70 ore di stage presso affermate aziende
del settore. Per ciascuna allieva è prevista un’indennità pari ad
€2,00 per ora di frequenza sino ad un massimo di €600,00. Inoltre è
previsto il rimborso delle spese di viaggio per allievi non residenti nel
comune di Taviano (Le). La figura professionale che si va a formare
è quella della Tagesmutter. Tale figura svolge funzioni di assistente
domiciliare all’infanzia, presso il proprio domicilio o altro ambiente
adeguato. La Tagesmutter è in grado di offrire: personalizzazione
del servizio attraverso un costante collegamento con organismi della
cooperazione sociale o di utilità non lucrativi. Alla fine del corso verrà
rilasciato, previo superamento dell’esame finale: un Attestato finale; un
libretto professionale di cerificazione delle competenze acquisite e la
certificazione BDLS.
MISSION IMPRESA
L’azione formativa si rivolge a N° 18 persone diplomate e laureate
disoccupate o inoccupate, con età fino ai 34 anni, residenti in Provincia
di Lecce ed iscritte negli elenchi del Centri per l’Impiego. E’ garantita
la partecipazione al 40% per le donne in possesso dei suddetti requisiti.
Il Corso dura 400 ore di cui 300 di formazione (160 in aula e 140 ore
di stage presso aziende del territorio) e 100 ore di accompagnamento
alla creazione di impresa ed alla redazione del piano di impresa. Testi,
dispense e materiale didattico e di consumo gratuiti. Per ciascun
allievo è prevista un’indennità pari ad €2,00 per ora di frequenza
sino ad un massimo di €800,00. Inoltre è previsto il rimborso delle
spese di viaggio per allievi non residenti nel comune di Taviano (Le).
Nell’ambito del percorso gli allievi potranno approfondire le conoscenze
riguardanti la gestione aziendale, le competenze manageriali ed
amministrative; saranno inoltre accompagnati nella rielaborazione
dell’idea imprenditoriale nella sua trasformazione in progetto ed in
piano di impresa. Il corso ha un approccio didattico prevalentemente
operativo e si pone l’obiettivo di fornire agli allievi gli stumenti
cognitivi per mettersi in proprio. Al termine del corso verrà rilasciata
una certificazione delle competenze, previo superamento dell’esame
finale.
Contatti: Sede Lecce: 0832/454559 - Sede Taviano: 0833/914232 - sito: www.asesi.it - email: [email protected]
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il tacco d'italia febbraio 2011
l'EDITORIALE
DI MARIA LUISA MASTROGIOVANNI
Il nuovo corso
del Tacco
Si chiama Best International organised crime report award, la nuova
sezione del Premio Ilaria Alpi organizzata in collaborazione con Novaja
Gazeta e Flare Network e istituita
per promuovere la circolazione di informazioni sulle criminalità organizzate e di sostenere l’attività giornalistica sui fenomeni internazionali.
Sono quattro i finalisti che concorreranno all’assegnazione del premio
finale “Ilaria Alpi-Best International
organised crime report award”. Le
quattro inchieste premiate e selezionate ricevono un piccolo finanziamento finalizzato alla produzione di
un documentario che verrà presentato nei principali festival mondiali
del settore: tra questi uno vincerà il
premio finale.
Per l’edizione 2011 sono stati
premiati e selezionati tra le quattro
finaliste, anche l'inchiesta "Traffici
umani", pubblicata nell’edizione
di settembre del mensile il Tacco
d’Italia, scritta a quattro mani con il
collega Carlo Lania, di Manifesto.
Unico gruppo di giornalisti italiani
tra i quattro finalisti, abbiamo indagato sul fenomeno della ‘riapertura’
della vecchia rotta dei curdi, quella
attraverso la quale, partendo dalla
Turchia e arrivando in Calabria o
nel Salento, per tutti gli anni '90 le
organizzazioni criminali turche hanno trasportato i curdi in fuga verso
l'Europa. Chiuso il Canale di Sicilia,
ecco allora che si è riaperto quello
di Otranto. Stessa strada degli anni
passati, stessi criminali con base in
Turchia ma nuove merci. Il posto dei
curdi oggi lo hanno preso afghani,
iraniani, iracheni, uomini e donne in
fuga da regimi o paesi in guerra.
‘Traffici umani’ diventerà ora un
reportage girato tra il Salento, l’Albania, la Grecia e la Turchia, sulle
tracce delle organizzazioni mafiose
che organizzano e gestiscono i viaggi
di migranti che dall’Afghanistan
arrivano in Puglia. Adesso è importante trovare nelle Istituzioni chi
crede nel progetto e contribuisca a
finanziarlo. Anche perché l’immagine che viene fuori dal documentario
è quella di una Puglia terra d’accoglienza e tolleranza. Credo che sia
un’occasione unica di promozione
del territorio.
Abbiamo deciso di riproporvi l'inchiesta premiata finalista all'Ilaria
Alpi-Biocr, a simbolo del nuovo
corso del Tacco d'Italia: un prodotto
d'inchiesta stringato all'osso, per
lettori attenti, 'no frolls', che abbiano
voglia di documentarsi, con l'orecchio e la mente disposti ad ascoltare
ciò che i fatti hanno da raccontare.
IL TACCO D'ITALIA
Il mensile del Salento
Anno VIII - n. 79 - Febbraio 2011
Iscritta al numero 845 del Registro
della Stampa del Tribunale di Lecce
il 27 gennaio 2004
EDITORE:
Dinamica Scarl
REDAZIONE:
piazza S. Giovanni Elemosiniere 5
73042 Casarano (Le)
Tel/Fax 0833/599238
[email protected]
DIRETTORE RESPONSABILE:
Maria Luisa Mastrogiovanni
HANNO COLLABORATO:
Carlo Lania, Maria Buonsanto,
Manuela Mareso, Paola Ancora.
PUBBLICITA':
dr. Mario Maffei
[email protected]
339-6562204
IMPAGINAZIONE:
Alessandro Matteo
FOTO DI COPERTINA:
Bianca Moretti
STAMPA:
SPRINT, Maglie (LE)
DISTRIBUZIONE:
Edicole, librerie e altri punti vendita
cerca l'elenco su www.iltaccoditalia.info
ABBONAMENTI:
15,00 Euro per 10 numeri
c/c n. postale 54550132
IL PROSSIMO NUMERO
8 Marzo 2011
NOTIZIE NON MODIFICATE GENETICAMENTE
INCHIESTE SENZA COLORANTI AGGIUNTI
OPINIONI CON FERMENTI LATTICI VIVI
LEGGI COME MANGI
www.iltaccoditalia.info
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il tacco d'italia febbraio 2011
L'INCHIESTA
TRAFFICI
UMANI
DI MARIA LUISA MASTROGIOVANNI E CARLO LANIA
Per l'occasione hanno
riaperto la vecchia rotta
dei curdi, quella attraverso
la quale, partendo dalla Turchia e
arrivando in Calabria o nel Salento,
per tutti gli anni '90 le organizzazioni criminali turche hanno trasportato i curdi in fuga verso l’Europa.
Strada più meridionale rispetto alla
tradizionale rotta Valona-Otranto
usata negli stessi anni dagli scafisti
albanesi, e in seguito abbandonata
ma mai chiusa davvero e rimasta lì
inutilizzata fino a quando gli accordi fatti dal Governo italiano con
la Libia del colonnello Gheddafi,
e la conseguente
fine degli sbarchi a Lampedusa, ha
convinto i trafficanti di uomini a
ripristinarla.
LA teORIA
deI RuBInettI
Chiuso il Canale di Sicilia, ecco
allora che si è riaperto quello di
Otranto.
Stessa strada degli anni passati,
stessi criminali con base in Turchia,
ma nuove merci. Il posto dei curdi
oggi lo hanno preso afghani, iraniani, iracheni, uomini donne e bambini in fuga da regimi o paesi in guerra
e diretti anch’essi in nord Europa,
Germania in particolare. Non si
tratta però
dell’unica no-
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il tacco d'italia febbraio 2011
vità. Sono cambiati anche i mezzi di
trasporto. Messi da parte i gommoni
e le carrette, adesso si viaggia in
barca a vela, metodo escogitato dai
trafficanti nella speranza (rivelatasi
vana) di sfuggire ai minuziosi controlli fatti dalla Guardia di finanza
nello Jonio. E così sono ricominciati
gli sbarchi in Calabria e nel Salento
meridionale. Poca roba se si pensa
agli anni in cui lungo queste stesse
coste, da Riace fino a Santa Maria
di Leuca e Otranto, sbarcavano a
decine di migliaia, e niente anche
in confronto ai 29mila arrivati fino a
luglio dell’anno scorso a Lampedusa,
fino a quando Gheddafi, profumatamente pagato dal nostro governo, si è
deciso a chiudere (per ora) il rubinetto delle partenze. Ma i disperati
che approdano oggi in Calabria e
Salento sono pur sempre il segnale
di un fenomeno in ripresa.
In tutto, da gennaio a oggi, ne sono
arrivati 1070 la maggior parte
dei quali, 582, afghani ma anche
iraniani, iracheni, palestinesi,
nordafricani e perfino
sei birmani e
tre georgiani.
Altissima la
percentuale di
bambini, ben
404, praticamente
quasi la
metà sul
tota-
le, mentre 108 sono le donne. Il
triplo rispetto al 2009, quando in
tutto l’anno ne sono arrivati appena
315 (70 nel 2008). ‘Lo scacchiere
mediterraneo è un grande gioco di
apertura e chiusura di nuove rotte.
Ora che la Libia ha chiuso il canale
di Sicilia, per il principio dei vasi
comunicanti una parte di quel flusso
migratorio si è riversata sullo Jonio.
Non si può pensare di arginare fenomeni come questo’ spiega Cataldo
Motta, il procuratore della Repubblica di Lecce che coordina le indagini
sul traffico di uomini.
Le rotte
della
disperazione
Il fatto che oggi si spostino in barca
a vela potrebbe far pensare che le
condizioni di viaggio per gli immigrati siano migliori rispetto al
passato, ma non è così. Per i trafficanti di uomini i clandestini sono e
restano una merce e come tale vengono trattati: fino a 50, 60 a viaggio
vengono stipati sino all’inverosimile
nelle stive, dove restano per i cinque
giorni della traversata in condizioni che si possono immaginare. Per
ciascuno di loro il viaggio dal paese
di origine fino in Germania può arrivare a costare dai 5.000 ai 10.000
dollari, tariffa all inclusive che comprende anche il costo della traversata del Mediterraneo e un biglietto
per arrivare in treno fino a destinazione. Stando ai calcoli fatti dagli
inquirenti un viaggio con la barca a
vela può fruttare ai trafficanti fino a
300 mila euro. Ma le indagini della
magistratura hanno permesso di
stabilire alcuni punti fermi. Primo
luogo di raduno per tutti è Aksary,
un quartiere di Instanbul dove i profughi si ritrovano dopo aver viaggiato
via terra per migliaia di chilometri.
É qui che si procede all’organizzazione dei viaggi in mare. Da Instanbul si prosegue sempre via terra fino
ad Antalia, Izsmir e Techirdeg, i tre
porti meridionali della Turchia dai
quali salpano le barche a vela.
A questo punto agli inquirenti non
è ancora chiara la rotta imboccata
dalle navi. Le possibilità sono due.
La strada più corta prevede il passaggio in Grecia attraverso lo Stretto
di Corinto, via più breve ma più rischiosa per la maggiore sorveglianza
a cui è sottoposta. L’alternativa è il
passaggio a sud della Grecia per poi
risalire verso la Calabria e il Salento
meridionale. Importanti informazioni in più per quanto riguarda rotte,
Il viaggio dal paese di
origine fino in Germania
può arrivare a costare
dai 5.000 ai 10.000
dollari, tariffa all
inclusive
durata dei viaggi ed eventuali soste
gli investigatori contano di averle
ai primi di settembre, quando al
pm Guglielmo Cataldi arriveranno i
risultati delle analisi effettuate sui
Gps delle barche sequestrate dalla
finanza.
Gli scontrini
dei rifornimenti
Un’altra cosa però gli inquirenti
hanno potuto stabilirla. Nel loro
viaggio gli scafisti fanno almeno una
sosta in Grecia, nel porto di Leftaka
che potrebbe essere un nuovo punto
di partenza o solo un approdo utile
a caricare altri clandestini. Che
comunque la città greca sia coinvolta nel traffico di essere umani non
sembrano esserci dubbi. A bordo
di una barca a vela gli inquirenti hanno infatti rinvenuto sia uno
scontrino per l’acquisto di sigarette
effettuato in un negozio di Lefkata,
sia la ricevuta per la riparazione
di un motore eseguita sempre nel
porto greco. ‘Rispetto ai gommoni, le
barche a vela presentano più di un
vantaggio - spiega ancora Motta che
del Mediterraneo, e di chi lo naviga,
conosce molti misteri -: prima di
tutto la velocità.
I gommoni vengono individuati più
facilmente dai radar proprio per la
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il tacco d'italia febbraio 2011
loro velocità. La barca a vela invece,
navigando a 4 nodi, desta meno sospetti. Ma a differenza dei gommoni
e dei pescherecci, le barche a vela
possono nascondere il loro carico
illegale, rendendolo invisibile per gli
aerei e gli elicotteri’.
Una Strana
lista d’imbarco
Il tallone d'Achille degli scafisti,
quello che li tradisce agli occhi
esperti delle motovedette della
Finanza, è però la linea di galleggiamento troppo bassa. A causa del loro
carico, l'acqua sfiora infatti pericolosamente il bordo delle barche,
rendendo lampante il motivo del loro
navigare. Fino a oggi la Guardia di
finanza ha sequestrato un gommone
e sette barche a vela. Belle navi da
crociera, nate per scopi ben diversi
da quelli per cui oggi gli scafisti
(quasi tutti turchi e marinai esperti,
non più i vecchi malavitosi di un
tempo) le utilizzano. A parte una, di
proprietà di un turco, tutte sono state
prese a noleggio. Una ricevuta trovata a bordo di uno scafo battente bandiera francese certifica il noleggio
per un mese per 5.000 euro effettuato presso una società francese. Ma
a bordo di una di queste splendide
imbarcazioni gli investigatori hanno
trovato anche una strana lista. Un
elenco di 27 nomi, 19 dei quali sono
in seguito risultati essere i nomi di
16 afghani e 3 iraniani fermati sulle
coste salentine dalle forze dell'ordine. Lo scopo della lista è ancora
da accertare, anche se gli inquirenti
sono convinti che ad attendere a terra i clandestini ci sia una banda di
italiani che ha il compito di rivestirli
e di dar loro un biglietto di treno per
proseguire il loro viaggio. Per fortuna, però, ad attendere gli immigrati
non ci sono solo i trafficanti.
Da quando sono ripresi gli sbarchi,
è ricominciata infatti anche
la solidarietà.
>
La gara
di solidarietà
I primi immigrati, bagnati e provati
dal viaggio, sono stati ospitati nelle
scuole d'Otranto, ma poi il sindaco
Luciano Cariddi e l'assessore alle
politiche sociali Lavinia Puzzovio
hanno deciso di intervenire. 'Non si
poteva tenerli nelle scuole, dove non
c'era neanche una doccia per lavarsi', spiega oggi Cariddi. Si è deciso
quindi di riaprire agli immigrati il
vecchio centro Don Tonino Bello,
chiuso dal 2005, dopo averlo ripulito e attrezzato. Tutto a spese del
Comune di Otranto, che ancora oggi
provvede a rifornire gli immigrati di
pasti caldi e vestiti. 'Pur avendone
diritto, nessuno di loro chiede asilo
politico, perché vogliono andare in
Germania. Per loro l'Italia è solo
un paese di transito', aggiunge don
Maurizio Tarantino, direttore della
Caritas di Otranto. 'Non capiscono
che così rischiano di essere rimpatriati'. Al don Tonino Bello restano
poche ore, il tempo di riposare prima
di essere smistati nei vari Cie (Centri identificazione ed espulsione).
Come per la Libia, in questi giorni il
governo sta cercando di fare accordi con la Grecia e Turchia perché
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il tacco d'italia febbraio 2011
collaborino nel fermare gli immigrati. Ad Atene e Ankara si chiedono
maggiori controlli sulle imbarcazioni, ma anche più informazioni visto
che fino a oggi, sia la Grecia sia la
Turchia hanno preferito chiudere gli
occhi. 'In vent'anni non è cambiato
niente, l'approccio all'immigrazione
è sempre e solo politico', dice sconsolato don Maurizio. 'Non capiscono
che non si può impedire alla gente
di fuggire dalla guerra e dalle fame.
Non ci riusciranno mai'.
Cataldo Motta,
procuratore
della Repubblica:
“A differenza
dei gommoni
e dei pescherecci,
le barche a vela
possono nascondere
il loro carico illegale,
rendendolo invisibile
per gli aerei
e gli elicotteri”
IL REPORTAGE
RESTINCO,
PRIGIONIERI SENZA COLPA
DI MARIA LUISA MASTROGIOVANNI E CARLO LANIA
"Non si tratta di
detenzione. Non sono
detenuti. Quindi non si
configura il reato di evasione. Loro
lo sanno e ci provano”. Erminia
Cicoria, il capo di gabinetto della
prefettura di Brindisi, ci accompagna nelle tre ore che trascorriamo
al Restinco, il Cie che accoglie gli
ultimi migranti sbarcati in questi
giorni di scirocco nel basso Salento,
stipati nelle stive di barche a vela di
lusso. Li incontriamo: hanno passato
quattro giorni nella stiva della barca.
Hanno passato il confine con la Turchia a piedi, provenienti dall’Iraq.
Ad Aksaray, un quartiere di Istanbul, hanno incontrato l’organizzazione a cui hanno pagato settemila dollari a persona. Ieri sera da Restinco
hanno chiesto asilo politico.
Gli altri, da lì, solo in agosto, ci hanno provato cinque volte a scappare.
La maggior parte sono stati ripresi,
con le buone o con le cattive. E ne
portano tutti i segni.
Cinque di loro, che fanno parte del
gruppetto che sotto ferragosto hanno
impilato un po’ di armadietti per salire sul tetto e poi scavalcare il muro
di sei metri, hanno un braccio o una
gamba rotti. “Sono caduti dal muro”,
spiega Erminia Cicoria. Ma tre su
cinque negano.
L’interprete dall’arabo, messa a
nostra disposizione dal direttore del
Centro, Nicola Lonoce, ci traduce la
loro versione: “Macché cadute. Ci
hanno picchiato con i manganelli”.
Disteso per terra su un materasso
trascinato nel cortile dagli altri
ospiti del centro, Morad Bigawi
tunisino di 18 anni, con piede e
gamba sinistra ingessati, ci mostra
vistosi ematomi sul braccio, spalla
e coscia destra. Racconta di essere
stato picchiato dagli agenti di polizia
e guardia di finanza, che lo hanno
riacciuffato per le campagne, mentre
cercava di scappare.
É più o meno quello che racconta
Jbeli Moura, tunisino di 34 anni.
É stato in prigione un anno e sei
mesi per spaccio. Ha scontato la sua
pena ma, per una beffa kafkiana tipica della burocrazia italiana, invece
di essere rimpatriato direttamente
dopo essere uscito dal carcere, come
tutti quelli nella sua condizione,
passa da un Cie, dove può accadere
che trascorra anche diversi mesi prima di tornare in patria. Così Moura,
che ha la famiglia in Belgio, cerca
di fuggire, si rompe o, a quanto
dice lui, gli rompono un braccio per
impedirgli la fuga. Intanto è lì, in un
“centro di identificazione ed espulsione”, nonostante non abbia bisogno di essere identificato, perché è
già stato in un carcere italiano.
Preghiere sul muro. Uno degli affreschi realizzati dagli ospiti di Restinco.
Raffigura un uomo in preghiera rivolto verso la Mecca. Nel fumetto versi del corano
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il tacco d'italia febbraio 2011
Storia simile a quella di Rezamag
Mahdi, tunisino di 38 anni, che ha
sposato una cittadina francese da
cui ha avuto tre figli, di dieci, sette e
cinque anni. Viveva a Grenoble con
la sua famiglia. In Italia in vacanza,
racconta di aver picchiato un poliziotto che a suo dire aveva offeso sua
moglie e per questo ha scontato due
mesi nel carcere di Ravenna e quattro a Foggia. Ora è stato trasferito
a Restinco, nonostante non solo sia
stato abbondantemente identificato
nel carcere, ma, soprattutto, nonostante abbia permesso di soggiorno,
patente e carta d’identità francesi.
É arrivato lì da poche ore e il capo
di gabinetto chiede al direttore
del Centro di verificare quella che
sembra una situazione a dir poco
anomala. Rezamag faceva l’artigiano, ristrutturava appartamenti. Ci
mostra la sua tessera di iscrizione
alla Camera di commercio francese.
Parla a bassa voce, ha modi pacati
ma decisi.
Fanno a gara per poter raccontare la
loro storia.
Ci seguono mentre visitiamo le
stanze per i colloqui che si tengono
con gli psicologi, i consulenti legali,
gli assistenti sociali, i mediatori
culturali.
Sono servizi, questi, previsti dal
capitolato d’appalto della gara vinta
dal consorzio Connecting people,
che gestisce Cie e Centri di accoglienza in tutta Italia.
In particolare devono garantire: 54
ore settimanali di assistenza legale;
24 di assistenza psicologica; 24 di
assistenza sociale; 156 di mediazione; 24 ore di insegnamento della
lingua italiana.
Sono corsi frequentati soprattutto
dai migranti ospitati all’interno del
“Cara”, il centro di accoglienza per
i richiedenti asilo politico che oggi
accoglie 60 persone.
Con le assistenti sociali e il personale che si occupa sia del Cie sia del
Cara, gli ospiti hanno un ottimo rapporto: "Veniamo qui tranquillamente
da sole - dice un'assistente sociale
- anche la sera, senza scorta".
I richiedenti asilo politico vivono in
moduli prefabbricati che diventano roventi sotto il sole del Salento,
anche perché l’aria condizionata è
rotta e in tutto il Centro non c’è una
chiazza d’ombra o la traccia di un
albero che dia un po’ di tregua e di
respiro.
La stessa situazione per gli ospiti del
Cie, oggi 40, che si trascinano dalle
stanze alla mensa e dalla mensa al
cortile. Nel cortile il sole è a picco e l’unica ombra è quella di due
grandi gazebo sotto i quali nessuno
trova ristoro, perché il pavimento
di cemento restituisce il doppio del
calore che assorbe.
Per questo, siccome l’unico posto fresco è la mensa, portano lì i
materassi, e passano le ore, i giorni,
i mesi.
Fino a sei, entro i quali devono ritornare in patria.
In fondo al corridoio, alcuni tappeti
sono sistemati per la preghiera. E’ il
periodo del Ramadan e la maggior
parte di loro è osservante.
Ci fanno vedere i dormitori, stanze
da 12 posti con sei letti a castello;
i bagni, alla turca, dove mancano
molte porte. “Le divelgono – dice il
capo di gabinetto della Prefettura – e
dal nostro punto di vista è educativo
che comprendano che, se rompono
una cosa, questa non viene automaticamente sostituita. Devono essere
responsabili. Intanto noi eliminiamo tutto ciò che può essere
utilizzato per la fuga”.
Come le porte del campetto
di calcetto. Fino ad un
anno fa, quando Restinco
era solo un Centro di accoglienza, prima di diventare Cie il 14 agosto
dell’anno scorso, il campetto era usato dai “richiedenti asilo”. Da allora,
da un lato un muro
e dall’altro un semplice
cancello rinforzato
separano una zona
dall’altra.
Di fatto è un’unica
struttura presidiata
da Carabinieri, polizia,
Guardia di finanza
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il tacco d'italia febbraio 2011
e dal vicino Battaglione San Marco. Sedare le risse o le rivolte è un
problema, anche perché, come più
volte lamentato dai rappresentanti del Sappe (Sindacato autonomo
polizia penitenziari) di Brindisi, si
lavora in carenza di organico e si ha
la tentazione di lasciar fare agli altri
il “lavoro sporco” dell’acciuffare chi
scappa o bloccare i tafferugli. Intanto ogni giorno continuano ad arrivare qui, come dice Cherif Hamdi,
mostrando il suo braccio contuso che
non riesce a muovere, “per lavorare,
non per essere picchiati”.
Il vigile urbano
ai tempi del federalismo
Il convegno del 21 marzo a Matino
illustrerà la rivoluzione della sicurezza
ed è per gli operatori del settore
un’occasione di formazione
e aggiornamento professionale
Ha da sempre accompagnando l’evoluzione delle città, tutelando e
assistendo le comunità nella crescita civile. Ha affiancato i cittadini
ed adeguato ai tempi, di volta i volta, i propri compiti e la propria
attività. Le novità per la figura del vigile urbano non sono finite. Ai
tempi del federalismo, una vera e propria rivoluzione investe anche
l’imponente corpo, che in tutta Italia conta oltre 60mila uomini. E
che assume nuovi compiti non limitati solo alla gestione del traffico
e della sicurezza stradale, ma estesi anche al contrasto dei fenomeni
di degrado urbano, al controllo della sicurezza sociale sul territorio,
fino al raggiungimento dell’obiettivo di una completa integrazione
degli ex vigili con le altre forze di polizia, all’interno di un’organizzazione regolata a livello regionale.
La Polizia municipale oggi si confronta infatti anche con problematiche di controllo e gestione del territorio, sicurezza urbana e
viabilità con sempre nuove responsabilità aggravando l’impegno,
ma nello stesso tempo valorizzando la professionalità senza perdere
di vista la funzione primaria: essere vicini alla cittadinanza, vivere
la città, lavorare per conciliare le esigenze spesso contrastanti delle
varie componenti sociali in un tessuto urbano
in continua trasformazione.
Per venire incontro ai cittadini è previsto
un numero unico nazionale, che a seconda del territorio da cui è chiamato collega
alle sale operative delle varie città.
La disciplina della costituzione dei vari
corpi spetta alle Regioni, che sono tenute
a prevedere un incentivo alla gestione
associata nelle realtà più piccole.
Per chiarire il nuovo panorama di sicurezza ormai alle porte, lunedì 21 marzo
presso il Palazzo Marchesale di Matino
L'Assessore
Vittorio Inguscio
in piazza San Giorgio si terrà il convegno “Polizia locale nel nuovo sistema integrato di sicurezza urbana a tutela del cittadino e più in generale del consumatore”.
Il convegno è organizzato da Vittorio Inguscio, assessore alla
polizia municipale del Comune di Matino, con il pieno sostegno
del sindaco ed è organizzato allo scopo di promuovere una crescita
culturale e di competenza della Polizia locale e per sensibilizzare
la cittadinanza sull’attività degli “ex vigili” in materia anche
di sicurezza urbana.
Al convegno è prevista la partecipazione di Raffaele Fitto, ministro alle Politiche regionali; Alfredo Mantovano, sottosegretario
all’Interno; Rosario Giorgio Costa, senatore Pdl; Cataldo Motta,
procuratore capo della Repubblica; Angelo Giuliani, comandante
della Polizia Locale di Roma; Mario Tafaro, prefetto di Lecce;
Antonino Cufalo, questore di Lecce, e numerose altre autorità.
Relatori:
- Dott. Massimo Ancillotti,
Comandante Polizia Municipale di Firenze
- Dott. Giuseppe Carmagnini,
Ufficiale Polizia Municipale di Prato
- Luca Tassoni,
Dirigente Superiore Ispettivo Polizia Municipale di Bologna
- Ing. Dott. LUIGI Romano,
Dirigente della Motorizzazione civile di Lecce
- Avv. Valentina Romano,
Avv. Amministrativo A.U.
Moderatore:
- Dott. Donato Zacheo,
Comandante Polizia Municipale di Lecce
L’incontro si svolgerà sotto l’alto patrocinio di Senato
della Repubblica; Camera dei Deputati; Presidenza
del Consiglio dei Ministri; Regione Puglia; Provincia
di Lecce; Anci - Associazione Nazionale dei Comuni
Italiani; Banca Popolare Pugliese.
MATINO - Lunedì 21 Marzo
presso il palazzo marchesale in piazza San Giorgio
BILANCI
PUGLIA:
20 ANNI D'IMMIGRAZIONE
DI MARIA BUONSANTO
La Regione Puglia si
impegna a promuovere
iniziative rivolte ad attribuire
agli immigrati extracomunitari e alle
loro famiglie condizioni di uguaglianza con i cittadini italiani nel godimento dei diritti civili e rimuovere
le cause che ne ostacolano l’inserimento nell’organizzazione sociale,
culturale ed economica della Regione” (Legge regionale 26/2000).
I fatti di cronaca dell’ultimo decennio hanno dimostrato che non
sempre questi impegni sono stati
rispettati. Ma quali sviluppi ci sono
stati nell’immigrazione pugliese?
Se nella sua storia la Puglia si è configurata sostanzialmente come terra
di emigrazione, negli ultimi decenni
si è assistito, invece, ad una decisa
inversione di tendenza. Il Tacco
d’Italia è divenuto porto d’immigrazione, rappresentando prima terra di
passaggio verso il resto dell’Europa
e d’Italia e, successivamente, terra
di approdo nella logica di una sistemazione stanziale.
ANNI NOVANTA: I CPT
Il 1991 è l’anno considerato come
“inaugurale” del fenomeno immigratorio nella Regione. A farla da
padrone in quegli anni la forte pressione migratoria proveniente dai paesi dell’Europa orientale, in primis
dall’Ex Jugoslavia e dall’Albania.
Iniziano gli sbarchi clandestini ed il
traffico di esseri umani. L’attività di
soccorso e ricovero di queste ingenti
masse di persone, spesso prive di
tutto, trova una prima risposta nel dl
451 del 1995, convertito nella legge
563 del 1995, la cosiddetta legge
Puglia. Vengono istituite apposite
strutture di accoglienza. Il successivo regolamento di attuazione n. 233
del 1996 dispone l'istituzione di tre
centri, a Brindisi, a Lecce
e ad Otranto.
Accanto al soccorso inizia il contrasto e la repressione dell’immigrazione clandestina. A tal fine l'art. 14
del d.l. 5 luglio 1998 n. 286 istituisce i "centri di permanenza temporanea ed assistenza" (Cpt), strutture
diverse dai centri d'accoglienza
perché finalizzate al trattenimento
11
il tacco d'italia febbraio 2011
vigilato di stranieri già destinatari di
un provvedimento di espulsione o di
respingimento. Spazi di detenzione
motivati dalla necessità di procedere
ad accertamenti supplementari sulla
identità o nazionalità degli stranieri.
Spazi di detenzione, cinti a volte da
alte mura, a volte recintati con del
filo spinato, controllati dalle forze
dell’ordine all’esterno e all’interno.
Spazi da cui non ci si può
allontanare.
Ultimo Decennio
Alle soglie del 2000 le province di
Napoli (49.899), Caserta (13.380),
Bari (20.182), Brindisi (10.709) e
Lecce (10.215) superano insieme
le 100.000 unità di stranieri, totalizzando quasi i due terzi degli
immigrati nel Sud. Si tratta per lo
più di un’immigrazione instabile.
Instabilità evidenziata anche dalla
scarsa presenza di soggiornanti per
motivi di lavoro. Naturale approdo
per un grande numero di richiedenti
asilo e di profughi per motivi umanitari, la Puglia ha la percentuale più
bassa di soggiornanti per motivi di
lavoro, il 39,4%. Le comunità straniere più numerose sono l’albanese,
che rappresenta oltre un terzo delle
presenze immigrate sul territorio, la
jugoslava e la marocchina.
Gli sbarchi clandestini nella Regione nel corso del 2000 sono 18.990.
Al 31 dicembre 2002 gli sbarchi
sono 3.357, oltre 15.000 in meno di
due anni prima. Rispetto al 1991,
nel 2002 il numero dei soggiornanti, considerando solo gli immigrati
regolari, è passato da circa 16.000
a oltre 35.000. Al primo gennaio
2009, invece, il totale ammonta a
73.848. La cifra, quindi, in un ventennio si è più che quadruplicata.
12.700 sono le domande di regolarizzazione accolte nel 2002.
Lecce, le pagine nere
dell’accoglienza
È a Lecce che si è sperimentata
un’idea di accoglienza diventata
un prototipo per l’Italia: qui sono
nati i Cpt (centri di permanenza
temporanea) e i centri d’identificazione per richiedenti asilo. Tra le
strutture nate a partire dal 1998: il
Cpt Regina Pacis di San Foca retto
dalla Curia leccese, il Cpa (Centro
di prima accoglienza) Don Tonino
Bello di Otranto, retto dal Comune, e
il Centro di accoglienza per profughi
e richiedenti asilo Lorizzonte, gestito
dalla onlus CTM-movimondo. Tutti
balzati agli onori della cronaca per
la dubbia gestione che ne è stata fatta. Ma come è cambiata la geografia
dei flussi migratori a Lecce? Se gli
anni Novanta sono stati caratterizzati
massicciamente dalla presenza di
albanesi e magrebini, a partire dal
2002 si assiste ad un profondo mutamento. L’incremento degli stranieri
provenienti dalle storiche aree di
emigrazione si stabilizza su livelli
di crescita medi. Basti pensare che
la comunità albanese, per esempio,
dal 2002 al 2008 aumenta solo del
40% e quella marocchina del 77%.
Un’impennata si registra, invece,
nel numero di persone provenienti dall’Est Europa, con picchi del
58,33% della Bulgaria. Seguono: Romania, Polonia, Moldavia e Ucraina.
Il 2008 è stato, dati Caritas/Migrantes, il primo anno in cui l’Italia, per
incidenza degli stranieri residenti
sul totale della popolazione, si è
collocata al di sopra della media
12
il tacco d'italia febbraio 2011
europea e, seppure ancora lontana
dalla Germania e specialmente dalla
Spagna (con incidenze rispettivamente dell’8,2% e dell’11,7%), ha
superato la Gran Bretagna (6,3%).
40mila sono state le acquisizioni di
cittadinanza nel 2008, quadruplicate
rispetto al 2000 e più che quintuplicate (53.696) se si tiene conto anche
delle cittadinanze riconosciute
direttamente dai Comuni. 36.951 le
persone sbarcate sulle nostre coste,
17.880 i rimpatri forzati, 10.539
gli stranieri transitati nei centri di
identificazione ed espulsione (Cei) e
6.358 quelli respinti alle frontiere.
La regolarizzazione conclusa a settembre 2009, chiusasi con 294.744
domande di assunzione di lavoratori non comunitari come collaboratori familiari o badanti (queste
ultime pari a un terzo del totale),
ha evidenziato ancora una volta la
complementarità tra esigenze della
popolazione italiana e presenza
straniera. Innegabili i benefici anche
per lo Stato: l’operazione ha fruttato,
infatti, 154 mln di euro in contributi
arretrati e marche, mentre nel periodo 2010-2012 farà entrare nelle casse
dell’Inps 1,3 mld di euro.
LA TESTIMONIANZA
ALBANIA-ITALIA
SOLA ANDATA
DI PAOLA ANCORA
É arrivato a Brindisi
su un'enorme nave battente
bandiera panamense.
Il ponte di comando era appena distinguibile, assiepati com’erano gli albanesi
diretti sulle coste italiane.
Era la notte del 7 marzo del 1991. Suo
padre stava fuori, sul ponte di prua, con
gli altri uomini, mentre donne e bambini
dentro, al riparo dal freddo e dall’umidità dell’Adriatico.
Bekim – il nome è di fantasia – è partito
da Durazzo che aveva nove anni. Oggi
presta servizio nelle Forze armate.
É fra i primi immigrati che – ottenuta la
cittadinanza italiana - si sono arruolati
e sorvegliano le nostre strade, i confini,
qualche volta vanno in guerra al seguito
delle truppe tricolore.
“Di quel giorno di vent’anni fa – racconta – ricordo soltanto la marea di
persone. Erano dappertutto, il porto di
Brindisi sembrava non bastasse a contenerle tutte. E poi c’erano la Polizia e la
Caritas che distribuivano coperte, cibo e
acqua. Faceva freddo”.
A fermare la fuga dall’Albania post comunista di centinaia di migliaia di famiglie albanesi non bastava certo il freddo
di quella lingua di mare che le separava
dal Belpaese, tutto lustrini e soldi facili,
come nei quiz televisivi e nelle soap
opera made in Italy che Bekim e la sua
famiglia potevano guardare alla tv.
“Nessuno, in realtà – dice il ventottenne
– conosceva davvero l’Italia. Oggi, con
l’inserimento dell’Albania nella lista
bianca di Schengen, i miei parenti e gli
amici rimasti laggiù potranno invece
venire a visitare questo Paese e l’Europa, confrontarsi, assaggiarne la cultura e
chiarirsi le idee”. Bekim ha accolto con
soddisfazione la notizia che il Comitato dell’Unione europea per gli Affari
Esteri, il 7 settembre, si è espresso a
favore della liberalizzazione dei visti per
l’Albania e la Bosnia. Il prossimo passo
sarà il voto della Commissione per gli
Affari Interni, Libertà e Giustizia. E
anche in quell’occasione l’Italia, per
voce del Ministro dell’Interno Roberto
Maroni, sosterrà la liberalizzazione dei
visti per gli albanesi.
“Questo – aggiunge Bekim - servirà
anche al progresso dell’Albania, che
dopo le elezioni democratiche del ’91 si
è aperta al commercio internazionale ed
è migliorata dal punto di vista economico rispetto a vent’anni fa, ma è rimasta
isolata e, quindi, socialmente arretrata”.
Un pensiero alla sua terra d’origine e
uno a casa sua, l’Italia, e il Salento,
dove arrivò su un pullman della Caritas da bambino e dove è rimasto. “Mio
padre ha trovato lavoro al Nord, come
tante altre famiglie sbarcate con noi. Fa
il metalmeccanico. Io, invece, ho avuto
l’opportunità di restare qui dove sono
cresciuto e dove ho tutti i miei affetti”.
Bekim parla dell’immigrazione, quella
di ieri, dall’Albania, e quella di oggi,
dall’Africa e dall’Est Europa, diverse
secondo la legge italiana ed europea, ma
ugualmente dettate dal bisogno e dalla
speranza in una vita migliore.
“Come impatto visivo – dice - il nostro
arrivo non aveva avuto precedenti: ecco
perché trovammo tanto spazio su giornali e televisioni. La gente ci accolse con
grande umanità. Mia madre, che ricorda
quei giorni meglio di me, racconta
l’umiltà, il calore delle persone che ci
aiutarono. L’immigrazione di oggi non è
diversa. Ma sono cambiate le persone,
gli italiani, anche i salentini secondo
me. C’è più aggressività, più cinismo,
molta più diffidenza”. La crisi economica, il lavoro che manca, il desiderio
di sviluppo trattenuto dalla confusione
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il tacco d'italia febbraio 2011
della politica all’italiana e da leggi
sempre diverse, alla lunga, sfiancano
anche il meglio disposto e mettono gli
uni contro gli altri. “No – risponde
Bekim – rispetto a vent’anni fa, credo si
stia mediamente tutti meglio, abbiamo
più ‘cose’, siamo materialmente più
ricchi, ma manca la comunicazione fra
le persone, il contatto umano, persino
fisico, si è perso”.
“L’equazione immigrato–delinquente
va per la maggiore”, continua Bekim.
“Bisognerebbe accendere i riflettori non
solo su chi, italiano, albanese, rumeno
o giapponese, delinque e va punito, ma
anche su tutti quegli immigrati che ogni
giorno vanno al lavoro, pagano le tasse
e mandano i figli a scuola. Sono parte
della società italiana e meritano rispetto
e attenzione”.
Nell’Arma, lui non è mai stato discriminato. “Vivere fianco a fianco un’esperienza simile aiuta a conoscersi e, come
me – a fare il servizio di leva per arruolarsi – c’erano per la prima volta nella
storia d’Italia due ragazzi brasiliani, un
cinese, una ucraina e un ragazzo turco”.
E che succede quando Bekim, com’è
suo dovere, ferma extracomunitari per
qualche controllo? “Credo di riuscire
a gestire certe situazioni meglio di un
collega nato e cresciuto qui, semplicemente perché lo guardo e vedo ciò che
ho vissuto io”.
Sei anni fa, per Bekim, è finita la stagione dell’incertezza, quando aveva paura
che le leggi cambiassero e non gli rinnovassero il permesso di soggiorno; o che
potesse perdere la casa o non trovare
lavoro. Da sei anni è cittadino italiano.
Bekim si è arruolato perché “quando
ne avevo bisogno – spiega - sono stato
aiutato, la gente mi è stata vicina, e ora
ho l’occasione di ricambiare”.
CONTROCANTO
DI MANUELA MARESO
Direttora di Narcomafie
DIETRO ROSARNO
I fatti di Rosarno del gennaio scorso hanno rappresentato una tragica
occasione per tornare a riflettere sulla
questione migratoria e sui processi di
integrazione nel nostro Paese. I primi
commenti della classe politica in merito
agli scontri tra i braccianti stranieri
(provocati dal ferimento di due di loro
per mano di balordi locali) e i rosarnesi
hanno infatti inquadrato la questione in
termini di crescente xenofobia (così il
governatore Agazio Loiero a poche ore
dagli incidenti) o di degrado dovuto a
eccessiva tolleranza nei confronti dei
clandestini, infelice uscita del ministro
dell'Interno Roberto Maroni. Si è parlato di “emergenza Rosarno”. Peccato che
le condizioni dei migranti della Piana
fossero note da almeno un decennio,
denunciate dagli accurati dossier di
Medici senza frontiere e divulgate da
bravi giornalisti come Antonello Mangano, autore di “Gli Africani salveranno
Rosarno”. Chi viveva in quei territori,
chi li amministrava sapeva tutto già da
tempo: le reazioni di stupore e sdegno di
quei giorni non si possono comprendere.
In realtà i fatti di Rosarno poco o nulla
hanno a che vedere con l'immigrazione. Porre la questione in quei termini
nasconde le vere radici del problema. I
braccianti della Piana erano solo in parte immigrati irregolari; la maggior parte
di loro erano rifugiati politici o, comunque, in possesso di un regolare permesso di soggiorno. E la convivenza con la
popolazione calabra era caratterizzata
dal reciproco rispetto e dal sostegno da
parte di molte realtà della società civile.
Dietro Rosarno c'è anzitutto l'assenza
(distratta? complice?) di uno Stato che
ha lasciato che migliaia di persone, non
degli invisibili dunque, fossero barbaramente sfruttate per pochi euro al giorno,
costrette a vivere in bidonvilles ai
margini della civiltà. Dove erano le istituzioni? Dove i sindacati? Dove l'ispettorato del lavoro? Dietro quelle assenze
ci sono motivazioni (non giustificazioni)
complesse.
Qualcuno ha spiegato che lo sfruttamento è una conseguenza della globalizzazione, che costringe a sottopagare
la raccolta se si vuole che i propri
prodotti siano in grado di competere con
quelli di importazione. Ma è una falsa
spiegazione: l'Unione europea a partire
dagli anni Novanta ha erogato fondi
per il sostegno all'agrumicoltura, con
contributi elargiti in base alla produzione. Si è poi saputo, grazie a inchieste
della magistratura, che associazioni di
produttori speculavano su questi fondi,
dichiarando quantità ben superiori a
quelle reali. Sempre l'Ue, per porre fine
alla produzione di “arance di carta”
ha dunque stabilito nel 2007 che gli
aiuti sarebbero stati calcolati sulla base
dell'estensione dell'agrumeto e non più
dei carichi prodotti. Questo ha fatto sì
Cercano asilo politico
e sognano la cittadinanza
italiana. Quello che
trovano è sfruttamento
e umiliazione. La lettura
del fenomeno migratorio,
ricordando la vergogna
di Rosarno
che la raccolta diventasse ulteriormente
sconveniente. La verità è che i costi di
produzione non sono alti solo per via
della manodopera, ma per la cattiva
organizzazione del sistema produttivo
di quelle aziende, che sono piccole, con
terreni di estensione spesso non superiore all'ettaro, che non hanno mai investito per la loro modernizzazione. Per
molti coltivatori della Piana l'agrumicoltura, condotta in condizioni di arretratezza, è oggi un'attività secondaria, che
si porta avanti per “arrotondare”. Per i
proprietari è meglio lasciare marcire le
arance sugli alberi, piuttosto che curare
il frutteto. L'unica via per poter ricavare
qualcosa è schiavizzare ulteriormente
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il tacco d'italia febbraio 2011
la manodopera. Di fronte a questo la
politica non è riuscita a intervenire per
evidenti motivi elettorali: nello stesso
territorio 10mila piccole aziende che si
arrabattano portano almeno diecimila
voti, mille aziende più grandi ed efficienti sicuramente non altrettanti.
In tutto questo, quale il ruolo della
'ndrangheta in territori in cui nulla
accade senza che ci sia la sua regia o
quantomeno l'accondiscendenza?
Anche nel 2008 c'erano stati dei ferimenti, che avevano portato all'arresto
del ventenne Andrea Fortugno per aver
sparato a quattro immigrati ferendone
gravemente due. Il movente era il rifiuto
dei braccianti di piegarsi a una richiesta estorsiva. Fortugno, condannato
in primo grado a 18 anni, secondo gli
inquirenti aveva contatti con la 'ndrangheta: cercava di fare “il grande salto”.
Nei giorni della guerriglia di gennaio un
cartello con la scritta “Andrea Fortugno
è innocente” è stato esposto di fronte al
Municipio da un gruppo di cinquanta
manifestanti armati di bastoni, capeggiati da un assessore dell'ultima giunta
comunale sciolta per mafia.
Qualcuno ha fatto notare che non è un
caso che per due anni di fila gli incidenti si siano verificati proprio a fine
raccolto: si mettono in fuga i migranti
a cui si devono ancora retribuire le
giornate di lavoro, “tagliando” così
ulteriormente i costi di manodopera.
E la 'ndrangheta in questo avrebbe il
suo guadagno. In realtà questa ipotesi
è legata a una visione non più attuale
dell'organizzazione, che non è la 'ndrangheta stracciona degli anni CinquantaSessanta, ma una vera e propria holding
politico-affaristica. Per capire Rosarno
bisogna guardare i piani industriali che
sono previsti in quelle aree. La 'ndrangheta deve mettere le mani su quei terreni. I piccoli coltivatori con i 400 euro
all'anno a “cota” e senza più manodopera straniera saranno costretti a cedere le
loro proprietà. Affossare l'agricoltura è
dunque un affare milionario.
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