TRAFFICI UMANI Spedizione in abbonamento postale art.2 comma 20/b - L.662/96DC/DC/199/00/LE - Anno 8 - n.79 - Febbraio 2011 e 1,50 L’INCHIESTA DI MARIA LUISA MASTROGIOVANNI E CARLO LANIA PREMIATA FINALISTA DEL PREMIO “ILARIA ALPI-BIOCR" 1 il tacco d'italia febbraio 2011 I nuovi progetti formativi di Asesi: UNA MAMMA PER LE MAMME e MISSION IMPRESA La scuola di formazione A.SE.SI - Associazione Servizi Sindacali, propone due interessanti corsi. Gli interessati dovranno presentare le domande di partecipazione presso la sede legale di A.SE.SI. sita in V.le della Libertà, n. 79 a Lecce (Tel. 0832/454559 - Fax: 0832/391816) dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle ore 13 e presso la sede formativa Mercaflor sita in via del Nuovo mercato floricolo, Z.I. Taviano (Tel./fax 0833/914232) dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle ore 12, dove è anche attivo un servizio di accoglienza, orientamento e informazione. Qualora il numero dei candidati fosse superiore a quello previsto, un’apposita commissione procederà alle selezioni che si terranno nella settimana successiva alla scadenza delle iscrizioni presso la sede formativa dell’Ente. I candidati verranno avvisati telefonicamente. Gli interessati dovranno far pervenire domanda di ammissione (via fax, posta o consegnandola a mano) entro il 10 marzo 2011. Il modulo di iscrizione è scaricabile sul sito www.asesi.it TAGESMUTTER: UNA MAMMA PER LE MAMME L’azione formativa si rivolge a N°15 allieve Donne disoccupate, inoccupate e inattive, immigrate, in situazione di disagio, iscritte negli elenchi dei Centri per l’Impiego della Provincia di Lecce, che hanno assolto l’obbligo scolastico e non soggette all’obbligo formativo. Il Corso dura 300 ore di cui 70 ore di stage presso affermate aziende del settore. Per ciascuna allieva è prevista un’indennità pari ad €2,00 per ora di frequenza sino ad un massimo di €600,00. Inoltre è previsto il rimborso delle spese di viaggio per allievi non residenti nel comune di Taviano (Le). La figura professionale che si va a formare è quella della Tagesmutter. Tale figura svolge funzioni di assistente domiciliare all’infanzia, presso il proprio domicilio o altro ambiente adeguato. La Tagesmutter è in grado di offrire: personalizzazione del servizio attraverso un costante collegamento con organismi della cooperazione sociale o di utilità non lucrativi. Alla fine del corso verrà rilasciato, previo superamento dell’esame finale: un Attestato finale; un libretto professionale di cerificazione delle competenze acquisite e la certificazione BDLS. MISSION IMPRESA L’azione formativa si rivolge a N° 18 persone diplomate e laureate disoccupate o inoccupate, con età fino ai 34 anni, residenti in Provincia di Lecce ed iscritte negli elenchi del Centri per l’Impiego. E’ garantita la partecipazione al 40% per le donne in possesso dei suddetti requisiti. Il Corso dura 400 ore di cui 300 di formazione (160 in aula e 140 ore di stage presso aziende del territorio) e 100 ore di accompagnamento alla creazione di impresa ed alla redazione del piano di impresa. Testi, dispense e materiale didattico e di consumo gratuiti. Per ciascun allievo è prevista un’indennità pari ad €2,00 per ora di frequenza sino ad un massimo di €800,00. Inoltre è previsto il rimborso delle spese di viaggio per allievi non residenti nel comune di Taviano (Le). Nell’ambito del percorso gli allievi potranno approfondire le conoscenze riguardanti la gestione aziendale, le competenze manageriali ed amministrative; saranno inoltre accompagnati nella rielaborazione dell’idea imprenditoriale nella sua trasformazione in progetto ed in piano di impresa. Il corso ha un approccio didattico prevalentemente operativo e si pone l’obiettivo di fornire agli allievi gli stumenti cognitivi per mettersi in proprio. Al termine del corso verrà rilasciata una certificazione delle competenze, previo superamento dell’esame finale. Contatti: Sede Lecce: 0832/454559 - Sede Taviano: 0833/914232 - sito: www.asesi.it - email: [email protected] 2 il tacco d'italia febbraio 2011 l'EDITORIALE DI MARIA LUISA MASTROGIOVANNI Il nuovo corso del Tacco Si chiama Best International organised crime report award, la nuova sezione del Premio Ilaria Alpi organizzata in collaborazione con Novaja Gazeta e Flare Network e istituita per promuovere la circolazione di informazioni sulle criminalità organizzate e di sostenere l’attività giornalistica sui fenomeni internazionali. Sono quattro i finalisti che concorreranno all’assegnazione del premio finale “Ilaria Alpi-Best International organised crime report award”. Le quattro inchieste premiate e selezionate ricevono un piccolo finanziamento finalizzato alla produzione di un documentario che verrà presentato nei principali festival mondiali del settore: tra questi uno vincerà il premio finale. Per l’edizione 2011 sono stati premiati e selezionati tra le quattro finaliste, anche l'inchiesta "Traffici umani", pubblicata nell’edizione di settembre del mensile il Tacco d’Italia, scritta a quattro mani con il collega Carlo Lania, di Manifesto. Unico gruppo di giornalisti italiani tra i quattro finalisti, abbiamo indagato sul fenomeno della ‘riapertura’ della vecchia rotta dei curdi, quella attraverso la quale, partendo dalla Turchia e arrivando in Calabria o nel Salento, per tutti gli anni '90 le organizzazioni criminali turche hanno trasportato i curdi in fuga verso l'Europa. Chiuso il Canale di Sicilia, ecco allora che si è riaperto quello di Otranto. Stessa strada degli anni passati, stessi criminali con base in Turchia ma nuove merci. Il posto dei curdi oggi lo hanno preso afghani, iraniani, iracheni, uomini e donne in fuga da regimi o paesi in guerra. ‘Traffici umani’ diventerà ora un reportage girato tra il Salento, l’Albania, la Grecia e la Turchia, sulle tracce delle organizzazioni mafiose che organizzano e gestiscono i viaggi di migranti che dall’Afghanistan arrivano in Puglia. Adesso è importante trovare nelle Istituzioni chi crede nel progetto e contribuisca a finanziarlo. Anche perché l’immagine che viene fuori dal documentario è quella di una Puglia terra d’accoglienza e tolleranza. Credo che sia un’occasione unica di promozione del territorio. Abbiamo deciso di riproporvi l'inchiesta premiata finalista all'Ilaria Alpi-Biocr, a simbolo del nuovo corso del Tacco d'Italia: un prodotto d'inchiesta stringato all'osso, per lettori attenti, 'no frolls', che abbiano voglia di documentarsi, con l'orecchio e la mente disposti ad ascoltare ciò che i fatti hanno da raccontare. IL TACCO D'ITALIA Il mensile del Salento Anno VIII - n. 79 - Febbraio 2011 Iscritta al numero 845 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 27 gennaio 2004 EDITORE: Dinamica Scarl REDAZIONE: piazza S. Giovanni Elemosiniere 5 73042 Casarano (Le) Tel/Fax 0833/599238 [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE: Maria Luisa Mastrogiovanni HANNO COLLABORATO: Carlo Lania, Maria Buonsanto, Manuela Mareso, Paola Ancora. PUBBLICITA': dr. Mario Maffei [email protected] 339-6562204 IMPAGINAZIONE: Alessandro Matteo FOTO DI COPERTINA: Bianca Moretti STAMPA: SPRINT, Maglie (LE) DISTRIBUZIONE: Edicole, librerie e altri punti vendita cerca l'elenco su www.iltaccoditalia.info ABBONAMENTI: 15,00 Euro per 10 numeri c/c n. postale 54550132 IL PROSSIMO NUMERO 8 Marzo 2011 NOTIZIE NON MODIFICATE GENETICAMENTE INCHIESTE SENZA COLORANTI AGGIUNTI OPINIONI CON FERMENTI LATTICI VIVI LEGGI COME MANGI www.iltaccoditalia.info 3 il tacco d'italia febbraio 2011 L'INCHIESTA TRAFFICI UMANI DI MARIA LUISA MASTROGIOVANNI E CARLO LANIA Per l'occasione hanno riaperto la vecchia rotta dei curdi, quella attraverso la quale, partendo dalla Turchia e arrivando in Calabria o nel Salento, per tutti gli anni '90 le organizzazioni criminali turche hanno trasportato i curdi in fuga verso l’Europa. Strada più meridionale rispetto alla tradizionale rotta Valona-Otranto usata negli stessi anni dagli scafisti albanesi, e in seguito abbandonata ma mai chiusa davvero e rimasta lì inutilizzata fino a quando gli accordi fatti dal Governo italiano con la Libia del colonnello Gheddafi, e la conseguente fine degli sbarchi a Lampedusa, ha convinto i trafficanti di uomini a ripristinarla. LA teORIA deI RuBInettI Chiuso il Canale di Sicilia, ecco allora che si è riaperto quello di Otranto. Stessa strada degli anni passati, stessi criminali con base in Turchia, ma nuove merci. Il posto dei curdi oggi lo hanno preso afghani, iraniani, iracheni, uomini donne e bambini in fuga da regimi o paesi in guerra e diretti anch’essi in nord Europa, Germania in particolare. Non si tratta però dell’unica no- 4 il tacco d'italia febbraio 2011 vità. Sono cambiati anche i mezzi di trasporto. Messi da parte i gommoni e le carrette, adesso si viaggia in barca a vela, metodo escogitato dai trafficanti nella speranza (rivelatasi vana) di sfuggire ai minuziosi controlli fatti dalla Guardia di finanza nello Jonio. E così sono ricominciati gli sbarchi in Calabria e nel Salento meridionale. Poca roba se si pensa agli anni in cui lungo queste stesse coste, da Riace fino a Santa Maria di Leuca e Otranto, sbarcavano a decine di migliaia, e niente anche in confronto ai 29mila arrivati fino a luglio dell’anno scorso a Lampedusa, fino a quando Gheddafi, profumatamente pagato dal nostro governo, si è deciso a chiudere (per ora) il rubinetto delle partenze. Ma i disperati che approdano oggi in Calabria e Salento sono pur sempre il segnale di un fenomeno in ripresa. In tutto, da gennaio a oggi, ne sono arrivati 1070 la maggior parte dei quali, 582, afghani ma anche iraniani, iracheni, palestinesi, nordafricani e perfino sei birmani e tre georgiani. Altissima la percentuale di bambini, ben 404, praticamente quasi la metà sul tota- le, mentre 108 sono le donne. Il triplo rispetto al 2009, quando in tutto l’anno ne sono arrivati appena 315 (70 nel 2008). ‘Lo scacchiere mediterraneo è un grande gioco di apertura e chiusura di nuove rotte. Ora che la Libia ha chiuso il canale di Sicilia, per il principio dei vasi comunicanti una parte di quel flusso migratorio si è riversata sullo Jonio. Non si può pensare di arginare fenomeni come questo’ spiega Cataldo Motta, il procuratore della Repubblica di Lecce che coordina le indagini sul traffico di uomini. Le rotte della disperazione Il fatto che oggi si spostino in barca a vela potrebbe far pensare che le condizioni di viaggio per gli immigrati siano migliori rispetto al passato, ma non è così. Per i trafficanti di uomini i clandestini sono e restano una merce e come tale vengono trattati: fino a 50, 60 a viaggio vengono stipati sino all’inverosimile nelle stive, dove restano per i cinque giorni della traversata in condizioni che si possono immaginare. Per ciascuno di loro il viaggio dal paese di origine fino in Germania può arrivare a costare dai 5.000 ai 10.000 dollari, tariffa all inclusive che comprende anche il costo della traversata del Mediterraneo e un biglietto per arrivare in treno fino a destinazione. Stando ai calcoli fatti dagli inquirenti un viaggio con la barca a vela può fruttare ai trafficanti fino a 300 mila euro. Ma le indagini della magistratura hanno permesso di stabilire alcuni punti fermi. Primo luogo di raduno per tutti è Aksary, un quartiere di Instanbul dove i profughi si ritrovano dopo aver viaggiato via terra per migliaia di chilometri. É qui che si procede all’organizzazione dei viaggi in mare. Da Instanbul si prosegue sempre via terra fino ad Antalia, Izsmir e Techirdeg, i tre porti meridionali della Turchia dai quali salpano le barche a vela. A questo punto agli inquirenti non è ancora chiara la rotta imboccata dalle navi. Le possibilità sono due. La strada più corta prevede il passaggio in Grecia attraverso lo Stretto di Corinto, via più breve ma più rischiosa per la maggiore sorveglianza a cui è sottoposta. L’alternativa è il passaggio a sud della Grecia per poi risalire verso la Calabria e il Salento meridionale. Importanti informazioni in più per quanto riguarda rotte, Il viaggio dal paese di origine fino in Germania può arrivare a costare dai 5.000 ai 10.000 dollari, tariffa all inclusive durata dei viaggi ed eventuali soste gli investigatori contano di averle ai primi di settembre, quando al pm Guglielmo Cataldi arriveranno i risultati delle analisi effettuate sui Gps delle barche sequestrate dalla finanza. Gli scontrini dei rifornimenti Un’altra cosa però gli inquirenti hanno potuto stabilirla. Nel loro viaggio gli scafisti fanno almeno una sosta in Grecia, nel porto di Leftaka che potrebbe essere un nuovo punto di partenza o solo un approdo utile a caricare altri clandestini. Che comunque la città greca sia coinvolta nel traffico di essere umani non sembrano esserci dubbi. A bordo di una barca a vela gli inquirenti hanno infatti rinvenuto sia uno scontrino per l’acquisto di sigarette effettuato in un negozio di Lefkata, sia la ricevuta per la riparazione di un motore eseguita sempre nel porto greco. ‘Rispetto ai gommoni, le barche a vela presentano più di un vantaggio - spiega ancora Motta che del Mediterraneo, e di chi lo naviga, conosce molti misteri -: prima di tutto la velocità. I gommoni vengono individuati più facilmente dai radar proprio per la 5 il tacco d'italia febbraio 2011 loro velocità. La barca a vela invece, navigando a 4 nodi, desta meno sospetti. Ma a differenza dei gommoni e dei pescherecci, le barche a vela possono nascondere il loro carico illegale, rendendolo invisibile per gli aerei e gli elicotteri’. Una Strana lista d’imbarco Il tallone d'Achille degli scafisti, quello che li tradisce agli occhi esperti delle motovedette della Finanza, è però la linea di galleggiamento troppo bassa. A causa del loro carico, l'acqua sfiora infatti pericolosamente il bordo delle barche, rendendo lampante il motivo del loro navigare. Fino a oggi la Guardia di finanza ha sequestrato un gommone e sette barche a vela. Belle navi da crociera, nate per scopi ben diversi da quelli per cui oggi gli scafisti (quasi tutti turchi e marinai esperti, non più i vecchi malavitosi di un tempo) le utilizzano. A parte una, di proprietà di un turco, tutte sono state prese a noleggio. Una ricevuta trovata a bordo di uno scafo battente bandiera francese certifica il noleggio per un mese per 5.000 euro effettuato presso una società francese. Ma a bordo di una di queste splendide imbarcazioni gli investigatori hanno trovato anche una strana lista. Un elenco di 27 nomi, 19 dei quali sono in seguito risultati essere i nomi di 16 afghani e 3 iraniani fermati sulle coste salentine dalle forze dell'ordine. Lo scopo della lista è ancora da accertare, anche se gli inquirenti sono convinti che ad attendere a terra i clandestini ci sia una banda di italiani che ha il compito di rivestirli e di dar loro un biglietto di treno per proseguire il loro viaggio. Per fortuna, però, ad attendere gli immigrati non ci sono solo i trafficanti. Da quando sono ripresi gli sbarchi, è ricominciata infatti anche la solidarietà. > La gara di solidarietà I primi immigrati, bagnati e provati dal viaggio, sono stati ospitati nelle scuole d'Otranto, ma poi il sindaco Luciano Cariddi e l'assessore alle politiche sociali Lavinia Puzzovio hanno deciso di intervenire. 'Non si poteva tenerli nelle scuole, dove non c'era neanche una doccia per lavarsi', spiega oggi Cariddi. Si è deciso quindi di riaprire agli immigrati il vecchio centro Don Tonino Bello, chiuso dal 2005, dopo averlo ripulito e attrezzato. Tutto a spese del Comune di Otranto, che ancora oggi provvede a rifornire gli immigrati di pasti caldi e vestiti. 'Pur avendone diritto, nessuno di loro chiede asilo politico, perché vogliono andare in Germania. Per loro l'Italia è solo un paese di transito', aggiunge don Maurizio Tarantino, direttore della Caritas di Otranto. 'Non capiscono che così rischiano di essere rimpatriati'. Al don Tonino Bello restano poche ore, il tempo di riposare prima di essere smistati nei vari Cie (Centri identificazione ed espulsione). Come per la Libia, in questi giorni il governo sta cercando di fare accordi con la Grecia e Turchia perché 7 il tacco d'italia febbraio 2011 collaborino nel fermare gli immigrati. Ad Atene e Ankara si chiedono maggiori controlli sulle imbarcazioni, ma anche più informazioni visto che fino a oggi, sia la Grecia sia la Turchia hanno preferito chiudere gli occhi. 'In vent'anni non è cambiato niente, l'approccio all'immigrazione è sempre e solo politico', dice sconsolato don Maurizio. 'Non capiscono che non si può impedire alla gente di fuggire dalla guerra e dalle fame. Non ci riusciranno mai'. Cataldo Motta, procuratore della Repubblica: “A differenza dei gommoni e dei pescherecci, le barche a vela possono nascondere il loro carico illegale, rendendolo invisibile per gli aerei e gli elicotteri” IL REPORTAGE RESTINCO, PRIGIONIERI SENZA COLPA DI MARIA LUISA MASTROGIOVANNI E CARLO LANIA "Non si tratta di detenzione. Non sono detenuti. Quindi non si configura il reato di evasione. Loro lo sanno e ci provano”. Erminia Cicoria, il capo di gabinetto della prefettura di Brindisi, ci accompagna nelle tre ore che trascorriamo al Restinco, il Cie che accoglie gli ultimi migranti sbarcati in questi giorni di scirocco nel basso Salento, stipati nelle stive di barche a vela di lusso. Li incontriamo: hanno passato quattro giorni nella stiva della barca. Hanno passato il confine con la Turchia a piedi, provenienti dall’Iraq. Ad Aksaray, un quartiere di Istanbul, hanno incontrato l’organizzazione a cui hanno pagato settemila dollari a persona. Ieri sera da Restinco hanno chiesto asilo politico. Gli altri, da lì, solo in agosto, ci hanno provato cinque volte a scappare. La maggior parte sono stati ripresi, con le buone o con le cattive. E ne portano tutti i segni. Cinque di loro, che fanno parte del gruppetto che sotto ferragosto hanno impilato un po’ di armadietti per salire sul tetto e poi scavalcare il muro di sei metri, hanno un braccio o una gamba rotti. “Sono caduti dal muro”, spiega Erminia Cicoria. Ma tre su cinque negano. L’interprete dall’arabo, messa a nostra disposizione dal direttore del Centro, Nicola Lonoce, ci traduce la loro versione: “Macché cadute. Ci hanno picchiato con i manganelli”. Disteso per terra su un materasso trascinato nel cortile dagli altri ospiti del centro, Morad Bigawi tunisino di 18 anni, con piede e gamba sinistra ingessati, ci mostra vistosi ematomi sul braccio, spalla e coscia destra. Racconta di essere stato picchiato dagli agenti di polizia e guardia di finanza, che lo hanno riacciuffato per le campagne, mentre cercava di scappare. É più o meno quello che racconta Jbeli Moura, tunisino di 34 anni. É stato in prigione un anno e sei mesi per spaccio. Ha scontato la sua pena ma, per una beffa kafkiana tipica della burocrazia italiana, invece di essere rimpatriato direttamente dopo essere uscito dal carcere, come tutti quelli nella sua condizione, passa da un Cie, dove può accadere che trascorra anche diversi mesi prima di tornare in patria. Così Moura, che ha la famiglia in Belgio, cerca di fuggire, si rompe o, a quanto dice lui, gli rompono un braccio per impedirgli la fuga. Intanto è lì, in un “centro di identificazione ed espulsione”, nonostante non abbia bisogno di essere identificato, perché è già stato in un carcere italiano. Preghiere sul muro. Uno degli affreschi realizzati dagli ospiti di Restinco. Raffigura un uomo in preghiera rivolto verso la Mecca. Nel fumetto versi del corano 8 il tacco d'italia febbraio 2011 Storia simile a quella di Rezamag Mahdi, tunisino di 38 anni, che ha sposato una cittadina francese da cui ha avuto tre figli, di dieci, sette e cinque anni. Viveva a Grenoble con la sua famiglia. In Italia in vacanza, racconta di aver picchiato un poliziotto che a suo dire aveva offeso sua moglie e per questo ha scontato due mesi nel carcere di Ravenna e quattro a Foggia. Ora è stato trasferito a Restinco, nonostante non solo sia stato abbondantemente identificato nel carcere, ma, soprattutto, nonostante abbia permesso di soggiorno, patente e carta d’identità francesi. É arrivato lì da poche ore e il capo di gabinetto chiede al direttore del Centro di verificare quella che sembra una situazione a dir poco anomala. Rezamag faceva l’artigiano, ristrutturava appartamenti. Ci mostra la sua tessera di iscrizione alla Camera di commercio francese. Parla a bassa voce, ha modi pacati ma decisi. Fanno a gara per poter raccontare la loro storia. Ci seguono mentre visitiamo le stanze per i colloqui che si tengono con gli psicologi, i consulenti legali, gli assistenti sociali, i mediatori culturali. Sono servizi, questi, previsti dal capitolato d’appalto della gara vinta dal consorzio Connecting people, che gestisce Cie e Centri di accoglienza in tutta Italia. In particolare devono garantire: 54 ore settimanali di assistenza legale; 24 di assistenza psicologica; 24 di assistenza sociale; 156 di mediazione; 24 ore di insegnamento della lingua italiana. Sono corsi frequentati soprattutto dai migranti ospitati all’interno del “Cara”, il centro di accoglienza per i richiedenti asilo politico che oggi accoglie 60 persone. Con le assistenti sociali e il personale che si occupa sia del Cie sia del Cara, gli ospiti hanno un ottimo rapporto: "Veniamo qui tranquillamente da sole - dice un'assistente sociale - anche la sera, senza scorta". I richiedenti asilo politico vivono in moduli prefabbricati che diventano roventi sotto il sole del Salento, anche perché l’aria condizionata è rotta e in tutto il Centro non c’è una chiazza d’ombra o la traccia di un albero che dia un po’ di tregua e di respiro. La stessa situazione per gli ospiti del Cie, oggi 40, che si trascinano dalle stanze alla mensa e dalla mensa al cortile. Nel cortile il sole è a picco e l’unica ombra è quella di due grandi gazebo sotto i quali nessuno trova ristoro, perché il pavimento di cemento restituisce il doppio del calore che assorbe. Per questo, siccome l’unico posto fresco è la mensa, portano lì i materassi, e passano le ore, i giorni, i mesi. Fino a sei, entro i quali devono ritornare in patria. In fondo al corridoio, alcuni tappeti sono sistemati per la preghiera. E’ il periodo del Ramadan e la maggior parte di loro è osservante. Ci fanno vedere i dormitori, stanze da 12 posti con sei letti a castello; i bagni, alla turca, dove mancano molte porte. “Le divelgono – dice il capo di gabinetto della Prefettura – e dal nostro punto di vista è educativo che comprendano che, se rompono una cosa, questa non viene automaticamente sostituita. Devono essere responsabili. Intanto noi eliminiamo tutto ciò che può essere utilizzato per la fuga”. Come le porte del campetto di calcetto. Fino ad un anno fa, quando Restinco era solo un Centro di accoglienza, prima di diventare Cie il 14 agosto dell’anno scorso, il campetto era usato dai “richiedenti asilo”. Da allora, da un lato un muro e dall’altro un semplice cancello rinforzato separano una zona dall’altra. Di fatto è un’unica struttura presidiata da Carabinieri, polizia, Guardia di finanza 9 il tacco d'italia febbraio 2011 e dal vicino Battaglione San Marco. Sedare le risse o le rivolte è un problema, anche perché, come più volte lamentato dai rappresentanti del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziari) di Brindisi, si lavora in carenza di organico e si ha la tentazione di lasciar fare agli altri il “lavoro sporco” dell’acciuffare chi scappa o bloccare i tafferugli. Intanto ogni giorno continuano ad arrivare qui, come dice Cherif Hamdi, mostrando il suo braccio contuso che non riesce a muovere, “per lavorare, non per essere picchiati”. Il vigile urbano ai tempi del federalismo Il convegno del 21 marzo a Matino illustrerà la rivoluzione della sicurezza ed è per gli operatori del settore un’occasione di formazione e aggiornamento professionale Ha da sempre accompagnando l’evoluzione delle città, tutelando e assistendo le comunità nella crescita civile. Ha affiancato i cittadini ed adeguato ai tempi, di volta i volta, i propri compiti e la propria attività. Le novità per la figura del vigile urbano non sono finite. Ai tempi del federalismo, una vera e propria rivoluzione investe anche l’imponente corpo, che in tutta Italia conta oltre 60mila uomini. E che assume nuovi compiti non limitati solo alla gestione del traffico e della sicurezza stradale, ma estesi anche al contrasto dei fenomeni di degrado urbano, al controllo della sicurezza sociale sul territorio, fino al raggiungimento dell’obiettivo di una completa integrazione degli ex vigili con le altre forze di polizia, all’interno di un’organizzazione regolata a livello regionale. La Polizia municipale oggi si confronta infatti anche con problematiche di controllo e gestione del territorio, sicurezza urbana e viabilità con sempre nuove responsabilità aggravando l’impegno, ma nello stesso tempo valorizzando la professionalità senza perdere di vista la funzione primaria: essere vicini alla cittadinanza, vivere la città, lavorare per conciliare le esigenze spesso contrastanti delle varie componenti sociali in un tessuto urbano in continua trasformazione. Per venire incontro ai cittadini è previsto un numero unico nazionale, che a seconda del territorio da cui è chiamato collega alle sale operative delle varie città. La disciplina della costituzione dei vari corpi spetta alle Regioni, che sono tenute a prevedere un incentivo alla gestione associata nelle realtà più piccole. Per chiarire il nuovo panorama di sicurezza ormai alle porte, lunedì 21 marzo presso il Palazzo Marchesale di Matino L'Assessore Vittorio Inguscio in piazza San Giorgio si terrà il convegno “Polizia locale nel nuovo sistema integrato di sicurezza urbana a tutela del cittadino e più in generale del consumatore”. Il convegno è organizzato da Vittorio Inguscio, assessore alla polizia municipale del Comune di Matino, con il pieno sostegno del sindaco ed è organizzato allo scopo di promuovere una crescita culturale e di competenza della Polizia locale e per sensibilizzare la cittadinanza sull’attività degli “ex vigili” in materia anche di sicurezza urbana. Al convegno è prevista la partecipazione di Raffaele Fitto, ministro alle Politiche regionali; Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno; Rosario Giorgio Costa, senatore Pdl; Cataldo Motta, procuratore capo della Repubblica; Angelo Giuliani, comandante della Polizia Locale di Roma; Mario Tafaro, prefetto di Lecce; Antonino Cufalo, questore di Lecce, e numerose altre autorità. Relatori: - Dott. Massimo Ancillotti, Comandante Polizia Municipale di Firenze - Dott. Giuseppe Carmagnini, Ufficiale Polizia Municipale di Prato - Luca Tassoni, Dirigente Superiore Ispettivo Polizia Municipale di Bologna - Ing. Dott. LUIGI Romano, Dirigente della Motorizzazione civile di Lecce - Avv. Valentina Romano, Avv. Amministrativo A.U. Moderatore: - Dott. Donato Zacheo, Comandante Polizia Municipale di Lecce L’incontro si svolgerà sotto l’alto patrocinio di Senato della Repubblica; Camera dei Deputati; Presidenza del Consiglio dei Ministri; Regione Puglia; Provincia di Lecce; Anci - Associazione Nazionale dei Comuni Italiani; Banca Popolare Pugliese. MATINO - Lunedì 21 Marzo presso il palazzo marchesale in piazza San Giorgio BILANCI PUGLIA: 20 ANNI D'IMMIGRAZIONE DI MARIA BUONSANTO La Regione Puglia si impegna a promuovere iniziative rivolte ad attribuire agli immigrati extracomunitari e alle loro famiglie condizioni di uguaglianza con i cittadini italiani nel godimento dei diritti civili e rimuovere le cause che ne ostacolano l’inserimento nell’organizzazione sociale, culturale ed economica della Regione” (Legge regionale 26/2000). I fatti di cronaca dell’ultimo decennio hanno dimostrato che non sempre questi impegni sono stati rispettati. Ma quali sviluppi ci sono stati nell’immigrazione pugliese? Se nella sua storia la Puglia si è configurata sostanzialmente come terra di emigrazione, negli ultimi decenni si è assistito, invece, ad una decisa inversione di tendenza. Il Tacco d’Italia è divenuto porto d’immigrazione, rappresentando prima terra di passaggio verso il resto dell’Europa e d’Italia e, successivamente, terra di approdo nella logica di una sistemazione stanziale. ANNI NOVANTA: I CPT Il 1991 è l’anno considerato come “inaugurale” del fenomeno immigratorio nella Regione. A farla da padrone in quegli anni la forte pressione migratoria proveniente dai paesi dell’Europa orientale, in primis dall’Ex Jugoslavia e dall’Albania. Iniziano gli sbarchi clandestini ed il traffico di esseri umani. L’attività di soccorso e ricovero di queste ingenti masse di persone, spesso prive di tutto, trova una prima risposta nel dl 451 del 1995, convertito nella legge 563 del 1995, la cosiddetta legge Puglia. Vengono istituite apposite strutture di accoglienza. Il successivo regolamento di attuazione n. 233 del 1996 dispone l'istituzione di tre centri, a Brindisi, a Lecce e ad Otranto. Accanto al soccorso inizia il contrasto e la repressione dell’immigrazione clandestina. A tal fine l'art. 14 del d.l. 5 luglio 1998 n. 286 istituisce i "centri di permanenza temporanea ed assistenza" (Cpt), strutture diverse dai centri d'accoglienza perché finalizzate al trattenimento 11 il tacco d'italia febbraio 2011 vigilato di stranieri già destinatari di un provvedimento di espulsione o di respingimento. Spazi di detenzione motivati dalla necessità di procedere ad accertamenti supplementari sulla identità o nazionalità degli stranieri. Spazi di detenzione, cinti a volte da alte mura, a volte recintati con del filo spinato, controllati dalle forze dell’ordine all’esterno e all’interno. Spazi da cui non ci si può allontanare. Ultimo Decennio Alle soglie del 2000 le province di Napoli (49.899), Caserta (13.380), Bari (20.182), Brindisi (10.709) e Lecce (10.215) superano insieme le 100.000 unità di stranieri, totalizzando quasi i due terzi degli immigrati nel Sud. Si tratta per lo più di un’immigrazione instabile. Instabilità evidenziata anche dalla scarsa presenza di soggiornanti per motivi di lavoro. Naturale approdo per un grande numero di richiedenti asilo e di profughi per motivi umanitari, la Puglia ha la percentuale più bassa di soggiornanti per motivi di lavoro, il 39,4%. Le comunità straniere più numerose sono l’albanese, che rappresenta oltre un terzo delle presenze immigrate sul territorio, la jugoslava e la marocchina. Gli sbarchi clandestini nella Regione nel corso del 2000 sono 18.990. Al 31 dicembre 2002 gli sbarchi sono 3.357, oltre 15.000 in meno di due anni prima. Rispetto al 1991, nel 2002 il numero dei soggiornanti, considerando solo gli immigrati regolari, è passato da circa 16.000 a oltre 35.000. Al primo gennaio 2009, invece, il totale ammonta a 73.848. La cifra, quindi, in un ventennio si è più che quadruplicata. 12.700 sono le domande di regolarizzazione accolte nel 2002. Lecce, le pagine nere dell’accoglienza È a Lecce che si è sperimentata un’idea di accoglienza diventata un prototipo per l’Italia: qui sono nati i Cpt (centri di permanenza temporanea) e i centri d’identificazione per richiedenti asilo. Tra le strutture nate a partire dal 1998: il Cpt Regina Pacis di San Foca retto dalla Curia leccese, il Cpa (Centro di prima accoglienza) Don Tonino Bello di Otranto, retto dal Comune, e il Centro di accoglienza per profughi e richiedenti asilo Lorizzonte, gestito dalla onlus CTM-movimondo. Tutti balzati agli onori della cronaca per la dubbia gestione che ne è stata fatta. Ma come è cambiata la geografia dei flussi migratori a Lecce? Se gli anni Novanta sono stati caratterizzati massicciamente dalla presenza di albanesi e magrebini, a partire dal 2002 si assiste ad un profondo mutamento. L’incremento degli stranieri provenienti dalle storiche aree di emigrazione si stabilizza su livelli di crescita medi. Basti pensare che la comunità albanese, per esempio, dal 2002 al 2008 aumenta solo del 40% e quella marocchina del 77%. Un’impennata si registra, invece, nel numero di persone provenienti dall’Est Europa, con picchi del 58,33% della Bulgaria. Seguono: Romania, Polonia, Moldavia e Ucraina. Il 2008 è stato, dati Caritas/Migrantes, il primo anno in cui l’Italia, per incidenza degli stranieri residenti sul totale della popolazione, si è collocata al di sopra della media 12 il tacco d'italia febbraio 2011 europea e, seppure ancora lontana dalla Germania e specialmente dalla Spagna (con incidenze rispettivamente dell’8,2% e dell’11,7%), ha superato la Gran Bretagna (6,3%). 40mila sono state le acquisizioni di cittadinanza nel 2008, quadruplicate rispetto al 2000 e più che quintuplicate (53.696) se si tiene conto anche delle cittadinanze riconosciute direttamente dai Comuni. 36.951 le persone sbarcate sulle nostre coste, 17.880 i rimpatri forzati, 10.539 gli stranieri transitati nei centri di identificazione ed espulsione (Cei) e 6.358 quelli respinti alle frontiere. La regolarizzazione conclusa a settembre 2009, chiusasi con 294.744 domande di assunzione di lavoratori non comunitari come collaboratori familiari o badanti (queste ultime pari a un terzo del totale), ha evidenziato ancora una volta la complementarità tra esigenze della popolazione italiana e presenza straniera. Innegabili i benefici anche per lo Stato: l’operazione ha fruttato, infatti, 154 mln di euro in contributi arretrati e marche, mentre nel periodo 2010-2012 farà entrare nelle casse dell’Inps 1,3 mld di euro. LA TESTIMONIANZA ALBANIA-ITALIA SOLA ANDATA DI PAOLA ANCORA É arrivato a Brindisi su un'enorme nave battente bandiera panamense. Il ponte di comando era appena distinguibile, assiepati com’erano gli albanesi diretti sulle coste italiane. Era la notte del 7 marzo del 1991. Suo padre stava fuori, sul ponte di prua, con gli altri uomini, mentre donne e bambini dentro, al riparo dal freddo e dall’umidità dell’Adriatico. Bekim – il nome è di fantasia – è partito da Durazzo che aveva nove anni. Oggi presta servizio nelle Forze armate. É fra i primi immigrati che – ottenuta la cittadinanza italiana - si sono arruolati e sorvegliano le nostre strade, i confini, qualche volta vanno in guerra al seguito delle truppe tricolore. “Di quel giorno di vent’anni fa – racconta – ricordo soltanto la marea di persone. Erano dappertutto, il porto di Brindisi sembrava non bastasse a contenerle tutte. E poi c’erano la Polizia e la Caritas che distribuivano coperte, cibo e acqua. Faceva freddo”. A fermare la fuga dall’Albania post comunista di centinaia di migliaia di famiglie albanesi non bastava certo il freddo di quella lingua di mare che le separava dal Belpaese, tutto lustrini e soldi facili, come nei quiz televisivi e nelle soap opera made in Italy che Bekim e la sua famiglia potevano guardare alla tv. “Nessuno, in realtà – dice il ventottenne – conosceva davvero l’Italia. Oggi, con l’inserimento dell’Albania nella lista bianca di Schengen, i miei parenti e gli amici rimasti laggiù potranno invece venire a visitare questo Paese e l’Europa, confrontarsi, assaggiarne la cultura e chiarirsi le idee”. Bekim ha accolto con soddisfazione la notizia che il Comitato dell’Unione europea per gli Affari Esteri, il 7 settembre, si è espresso a favore della liberalizzazione dei visti per l’Albania e la Bosnia. Il prossimo passo sarà il voto della Commissione per gli Affari Interni, Libertà e Giustizia. E anche in quell’occasione l’Italia, per voce del Ministro dell’Interno Roberto Maroni, sosterrà la liberalizzazione dei visti per gli albanesi. “Questo – aggiunge Bekim - servirà anche al progresso dell’Albania, che dopo le elezioni democratiche del ’91 si è aperta al commercio internazionale ed è migliorata dal punto di vista economico rispetto a vent’anni fa, ma è rimasta isolata e, quindi, socialmente arretrata”. Un pensiero alla sua terra d’origine e uno a casa sua, l’Italia, e il Salento, dove arrivò su un pullman della Caritas da bambino e dove è rimasto. “Mio padre ha trovato lavoro al Nord, come tante altre famiglie sbarcate con noi. Fa il metalmeccanico. Io, invece, ho avuto l’opportunità di restare qui dove sono cresciuto e dove ho tutti i miei affetti”. Bekim parla dell’immigrazione, quella di ieri, dall’Albania, e quella di oggi, dall’Africa e dall’Est Europa, diverse secondo la legge italiana ed europea, ma ugualmente dettate dal bisogno e dalla speranza in una vita migliore. “Come impatto visivo – dice - il nostro arrivo non aveva avuto precedenti: ecco perché trovammo tanto spazio su giornali e televisioni. La gente ci accolse con grande umanità. Mia madre, che ricorda quei giorni meglio di me, racconta l’umiltà, il calore delle persone che ci aiutarono. L’immigrazione di oggi non è diversa. Ma sono cambiate le persone, gli italiani, anche i salentini secondo me. C’è più aggressività, più cinismo, molta più diffidenza”. La crisi economica, il lavoro che manca, il desiderio di sviluppo trattenuto dalla confusione 13 il tacco d'italia febbraio 2011 della politica all’italiana e da leggi sempre diverse, alla lunga, sfiancano anche il meglio disposto e mettono gli uni contro gli altri. “No – risponde Bekim – rispetto a vent’anni fa, credo si stia mediamente tutti meglio, abbiamo più ‘cose’, siamo materialmente più ricchi, ma manca la comunicazione fra le persone, il contatto umano, persino fisico, si è perso”. “L’equazione immigrato–delinquente va per la maggiore”, continua Bekim. “Bisognerebbe accendere i riflettori non solo su chi, italiano, albanese, rumeno o giapponese, delinque e va punito, ma anche su tutti quegli immigrati che ogni giorno vanno al lavoro, pagano le tasse e mandano i figli a scuola. Sono parte della società italiana e meritano rispetto e attenzione”. Nell’Arma, lui non è mai stato discriminato. “Vivere fianco a fianco un’esperienza simile aiuta a conoscersi e, come me – a fare il servizio di leva per arruolarsi – c’erano per la prima volta nella storia d’Italia due ragazzi brasiliani, un cinese, una ucraina e un ragazzo turco”. E che succede quando Bekim, com’è suo dovere, ferma extracomunitari per qualche controllo? “Credo di riuscire a gestire certe situazioni meglio di un collega nato e cresciuto qui, semplicemente perché lo guardo e vedo ciò che ho vissuto io”. Sei anni fa, per Bekim, è finita la stagione dell’incertezza, quando aveva paura che le leggi cambiassero e non gli rinnovassero il permesso di soggiorno; o che potesse perdere la casa o non trovare lavoro. Da sei anni è cittadino italiano. Bekim si è arruolato perché “quando ne avevo bisogno – spiega - sono stato aiutato, la gente mi è stata vicina, e ora ho l’occasione di ricambiare”. CONTROCANTO DI MANUELA MARESO Direttora di Narcomafie DIETRO ROSARNO I fatti di Rosarno del gennaio scorso hanno rappresentato una tragica occasione per tornare a riflettere sulla questione migratoria e sui processi di integrazione nel nostro Paese. I primi commenti della classe politica in merito agli scontri tra i braccianti stranieri (provocati dal ferimento di due di loro per mano di balordi locali) e i rosarnesi hanno infatti inquadrato la questione in termini di crescente xenofobia (così il governatore Agazio Loiero a poche ore dagli incidenti) o di degrado dovuto a eccessiva tolleranza nei confronti dei clandestini, infelice uscita del ministro dell'Interno Roberto Maroni. Si è parlato di “emergenza Rosarno”. Peccato che le condizioni dei migranti della Piana fossero note da almeno un decennio, denunciate dagli accurati dossier di Medici senza frontiere e divulgate da bravi giornalisti come Antonello Mangano, autore di “Gli Africani salveranno Rosarno”. Chi viveva in quei territori, chi li amministrava sapeva tutto già da tempo: le reazioni di stupore e sdegno di quei giorni non si possono comprendere. In realtà i fatti di Rosarno poco o nulla hanno a che vedere con l'immigrazione. Porre la questione in quei termini nasconde le vere radici del problema. I braccianti della Piana erano solo in parte immigrati irregolari; la maggior parte di loro erano rifugiati politici o, comunque, in possesso di un regolare permesso di soggiorno. E la convivenza con la popolazione calabra era caratterizzata dal reciproco rispetto e dal sostegno da parte di molte realtà della società civile. Dietro Rosarno c'è anzitutto l'assenza (distratta? complice?) di uno Stato che ha lasciato che migliaia di persone, non degli invisibili dunque, fossero barbaramente sfruttate per pochi euro al giorno, costrette a vivere in bidonvilles ai margini della civiltà. Dove erano le istituzioni? Dove i sindacati? Dove l'ispettorato del lavoro? Dietro quelle assenze ci sono motivazioni (non giustificazioni) complesse. Qualcuno ha spiegato che lo sfruttamento è una conseguenza della globalizzazione, che costringe a sottopagare la raccolta se si vuole che i propri prodotti siano in grado di competere con quelli di importazione. Ma è una falsa spiegazione: l'Unione europea a partire dagli anni Novanta ha erogato fondi per il sostegno all'agrumicoltura, con contributi elargiti in base alla produzione. Si è poi saputo, grazie a inchieste della magistratura, che associazioni di produttori speculavano su questi fondi, dichiarando quantità ben superiori a quelle reali. Sempre l'Ue, per porre fine alla produzione di “arance di carta” ha dunque stabilito nel 2007 che gli aiuti sarebbero stati calcolati sulla base dell'estensione dell'agrumeto e non più dei carichi prodotti. Questo ha fatto sì Cercano asilo politico e sognano la cittadinanza italiana. Quello che trovano è sfruttamento e umiliazione. La lettura del fenomeno migratorio, ricordando la vergogna di Rosarno che la raccolta diventasse ulteriormente sconveniente. La verità è che i costi di produzione non sono alti solo per via della manodopera, ma per la cattiva organizzazione del sistema produttivo di quelle aziende, che sono piccole, con terreni di estensione spesso non superiore all'ettaro, che non hanno mai investito per la loro modernizzazione. Per molti coltivatori della Piana l'agrumicoltura, condotta in condizioni di arretratezza, è oggi un'attività secondaria, che si porta avanti per “arrotondare”. Per i proprietari è meglio lasciare marcire le arance sugli alberi, piuttosto che curare il frutteto. L'unica via per poter ricavare qualcosa è schiavizzare ulteriormente 14 il tacco d'italia febbraio 2011 la manodopera. Di fronte a questo la politica non è riuscita a intervenire per evidenti motivi elettorali: nello stesso territorio 10mila piccole aziende che si arrabattano portano almeno diecimila voti, mille aziende più grandi ed efficienti sicuramente non altrettanti. In tutto questo, quale il ruolo della 'ndrangheta in territori in cui nulla accade senza che ci sia la sua regia o quantomeno l'accondiscendenza? Anche nel 2008 c'erano stati dei ferimenti, che avevano portato all'arresto del ventenne Andrea Fortugno per aver sparato a quattro immigrati ferendone gravemente due. Il movente era il rifiuto dei braccianti di piegarsi a una richiesta estorsiva. Fortugno, condannato in primo grado a 18 anni, secondo gli inquirenti aveva contatti con la 'ndrangheta: cercava di fare “il grande salto”. Nei giorni della guerriglia di gennaio un cartello con la scritta “Andrea Fortugno è innocente” è stato esposto di fronte al Municipio da un gruppo di cinquanta manifestanti armati di bastoni, capeggiati da un assessore dell'ultima giunta comunale sciolta per mafia. Qualcuno ha fatto notare che non è un caso che per due anni di fila gli incidenti si siano verificati proprio a fine raccolto: si mettono in fuga i migranti a cui si devono ancora retribuire le giornate di lavoro, “tagliando” così ulteriormente i costi di manodopera. E la 'ndrangheta in questo avrebbe il suo guadagno. In realtà questa ipotesi è legata a una visione non più attuale dell'organizzazione, che non è la 'ndrangheta stracciona degli anni CinquantaSessanta, ma una vera e propria holding politico-affaristica. Per capire Rosarno bisogna guardare i piani industriali che sono previsti in quelle aree. La 'ndrangheta deve mettere le mani su quei terreni. I piccoli coltivatori con i 400 euro all'anno a “cota” e senza più manodopera straniera saranno costretti a cedere le loro proprietà. Affossare l'agricoltura è dunque un affare milionario. 15 il tacco d'italia febbraio 2011 16 il tacco d'italia febbraio 2011