la reincarnazione attraverso la storia, la filosofia, la religione definizione del termine: reincarnazione = secondo alcune religioni e filosofie, il trasmigrare dell’anima in altro corpo dopo la morte, sino alla totale purificazione e liberazione dell’anima stessa da ogni vincolo con la materia. la reincarnazione attraverso la storia, la filosofia, la religione Cultura caldeo-mesopotamica Cultura egizia Cultura indiana Induismo Buddhismo Cultura greca Orfismo Pitagorismo Platonismo Cultura romana Esoterismo Cultura illuminista-romanticista Teosofia Antroposofia Spiritismo Cultura contemporanea origine delle credenze reincarnazioniste Secondo alcuni, gli studi reincarnazionisti trarrebbero origine dalla cultura caldeo-mesopotamica, da cui successivamente sbocciarono e fiorirono quelle egizia ed indiana. Ci si riferisce indi, in linea di massima, all’arco storico che si protrae dal 3500-3000 all’XI secolo precedente l’anno 0 del calendario gregoriano. definizione del termine: caldeo = d’un’antica popolazione semitica stanziata in Caldea, regione storica della Mesopotamia, attorno al sec. XI a.c.. la reincarnazione nella cultura egizia In Egitto, il testo più importante e noto, di cui s’ha notizia, è il Libro dei Morti, una sorta di guida per l'aldilà rivolta a tutte le anime in procinto d’abbandonare il corpo fisico o che hanno già varcato la soglia della dimensione terrena. Altresì gli Egizi, oltre a credere nella vita dopo la morte, avevano certezza anche della reincarnazione. Del resto, molti nomi di re dell'antico Egitto celavano significati inequivocabili: Amonemhat I, ad esempio, stava ad indicare Colui che ripete le nascite e Sensurert I Colui le cui nascite vivono. Il Libro dei Morti risale probabilmente alla letteratura egizia del Nuovo Regno; si farebbe indi riferimento al periodo storico che intercorre tra il 1500 e il 1000 precedente l’anno 0 del calendario gregoriano. la reincarnazione nella culture indiana Le prime teorie sulla reincarnazione in India risalirebbero all’IX o all'VII secolo precedente l’anno 0 ed, in particolare, sarebbe già contenuta nelle Upanishad (dal sanscrito Sedersi ai piedi del maestro), testi sacri dell'Induismo risalenti all'incirca all'800 precedente l’anno 0, già l'idea del karma sviluppata in tutte le sue sfaccettature. Ogni individualità torna sulla terra con una condizione personale differente a seconda del bene o del male commesso. E anche nel Bhagavadgita (dal sanscrito Il canto del beato), testo del III secolo precedente l’anno 0, si dà un senso alla reincarnazione considerando l'anima come un'entità staccatasi dal suo assoluto e che solo attraverso una purificazione, possibile dopo numerose reincarnazioni, potrà tornare ad unirsi ad esso. In seguito, anche il Buddhismo, nato sempre in India nel VI secolo precedente l’anno 0, abbracciò l'idea della reincarnazione e con essa la legge del karma. La sola differenza tra queste due correnti è che, se per l‘Induismo l'anima mantiene la propria individualità, con tratti personali inalterati, nel corso delle sue numerose esistenze, per il Buddhismo la reincarnazione avviene con una totale depersonalizzazione. Sia l‘Induismo che il Buddhismo ritenevano comunque che l'anima potesse trasmigrare indifferentemente da un uomo a un animale (metempsicosi) a seconda del premio o castigo che gli era stato comminato. Le teorie più avanzate in tale campo, invece, ritengono che ciò non sia possibile, in quanto compito dell'anima è quello d’evolversi ed essa non può tornare indietro. Tuttavia, la convinzione che l'anima di un uomo malvagio potesse reincarnarsi nel corpo di un animale la si ritrova anche in Occidente nelle teorie platoniche e neoplatoniche, pur non avendo subito queste ultime alcuna influenza dalle dottrine indiane. la reincarnazione secondo l’Induismo Secondo le Upanishad più antiche, la realtà autentica non risiede nelle apparenze spazio-temporali, nei fenomeni, ma è la risultante statica e permanente della fusione tra microcosmo e macrocosmo. Si tratta della dottrina della non-dualità, secondo la quale esiste una sostanziale identità tra la scintilla sacra presente all'interno di tutto ciò che vive in modo apparentemente autonomo e l'infinito cosmico. Nei tratti più antichi dei Veda, la meta ultima che si desidera è la continuazione della vita nel sentiero degli dei, dove i giusti e i virtuosi godono dell‘immortalità in un regno di luce e di compagnie dilettevoli. In una vertigine di nascite e rinascite cosmiche s’inserì l'idea della trasmigrazione delle esistenze da un corpo all'altro attraverso il tempo ciclico: gli esseri sia divini che umani si reincarnano in una sequenza di vite successive (il samsara), sotto la legge costringente del karma che lega indissolubilmente al soggetto tutto il peso degli atti compiuti nelle esistenze anteriori e lo riversa in quelle successive. Per misurare l'angoscia prodotta da codesta visione si pensi che nel 2005 siamo nell'anno 5105 dell'età di Kali (Kaliyuga), la quale è stata preceduta da tre altri yuga (età), il Dvaparayuga, il Tretayuga e il Kritayuga, nei quali gli uomini erano più alti, felici e santi. Dell'attuale Kaliyuga devono ancora trascorrere 420.000 anni segnati da progressiva decadenza e miseria. Questi quattro yuga formano insieme una grande età (mahayuga) di 4.321.000 anni. Mille di questi mahayuga formano un kalpa, al termine del quale Brahma, «il creatore», si riposerà, provocando un eguale ciclo di dissoluzione cosmica. Al suo ridestarsi il processo riprenderà da capo, e così all'infinito. Si comprende come su questo sfondo si sia accarezzata in India la speranza di sfuggire a questo ciclo infernale di rinascite in cui la venuta all'esistenza ci ha posti, e dove l'angoscia veniva ancora accresciuta dalle condizioni di un habitat minaccioso e greve: l'aspirazione divenne perciò universalmente il moksa o mukti che significa liberazione, uscita, salvezza dal tempo e dalla condizione umana. Si trovano delineate in questo passo le maggiori vie che secondo la tradizione indù permettono di conseguire la salvezza e cioè: la via della conoscenza, la via delle opere, la via della meditazione e la via della dedizione amorosa. le caste: l‘apartheid più antico del mondo Come conseguenza del destino e frutto della reincarnazione, l‘Induismo ha creato il fenomeno delle caste, la divisione in diverse classi sociali, ben differenziate e non comunicanti tra loro. Chi è vissuto bene, può sperare di nascere in una casta superiore, altrimenti precipita sempre di più. È’ l'apartheid più antico dei mondo. Nonostante sia stato abolito dal Parlamento nel 1947, sotto la forte pressione di Gandhi, resiste concretamente con giustificazioni di tipo religioso, ma soprattutto economiche. In passato le quattro classi principali venivano considerate come blocchi completamente separati. Un uomo, ad esempio, non poteva sposare una donna appartenente a una casta diversa. Neppure era ammesso mangiare insieme. Abolite in teoria queste distinzioni, la segregazione fondamentalmente resta. Casta è una parola portoghese diffusasi da Goa, colonia portoghese in India e vuol dire stirpe, mentre nella lingua indiana, varna, significa colore. Non a caso, forse, i bramini, la «top classe», sono di carnagione più chiara, e a mano a mano che si discende nella scala, la pelle diventa più scura. I paria, gli intoccabili, sono spesso quasi neri. Sembra che siano stati gli Arii a introdurre questa classificazione tra nobiltà e plebe. Ecco, in breve, le quattro divisioni: l. l bramini o sacerdoti: occupano il posto più alto della scala sociale e religiosa. Sono i puri, dalla loro bocca esce la parola divina. 2. I guerrieri: sono i membri della nobiltà e gli alti funzionari. 3. Gli amministratori: vi appartengono gli industriali, i mercanti, gli agricoltori. 4. I servi: è la casta più bassa, formata dai quattro quinti della popolazione, su cui pesa il lavoro dei campi, del bestiame, della casa. Ancora oggi, costituiscono lo «zoccolo duro» della società. Al di fuori di queste categorie, esistono almeno tremila sottocaste, tra cui quella dei 90 milioni di paria, gli intoccabili: vanno tenuti a debita distanza e chi li sfiora anche solo accidentalmente deve correre a purificarsi. Sono i non-aventidiritto, ammessi solo a pulire gabinetti, vestire cadaveri, fabbricare scarpe. Li chiamano habsh, cioè uomini-scimmia, e così vengono trattati. la reincarnazione secondo il Buddhismo Quattro nobili verità formano il nucleo centrale della filosofia buddhista e si collocano alla base della dottrina reincarnazionista: 1. Tutto è dolore: su questa terra non c'è nulla di duraturo e capace di dare piena felicità. Svaniscono anche i momenti più belli e tutta l'esistenza umana è caratterizzata dal dolore. 2. La causa del dolore: il dolore è portato dal desiderio, dalla ricerca delle cose sbagliate o dalle cose giuste ma vissute nel modo sbagliato. Non ha senso ascrivere a cose e persone del mondo un valore che non hanno. 3. I mezzi per eliminare il dolore: v'è un solo rimedio, unica via di salvezza: il distacco da tutto, la soppressione di ogni desiderio; eliminare il desiderio significa eliminare il dolore. 4. Estinzione del dolore: la strada che conduce alla cessazione del desiderio e alla serenità, si ottiene seguendo otto sentieri che rappresentano un nuovo modo di pensare, di parlare e di agire. Per spiegare queste verità, Buddha amava disegnare per terra una ruota con otto raggi. La ruota della vita è uno dei simboli dei Buddhismo. La vita è come questo cerchio che non finisce mai. L’uomo vi cammina sopra dalla nascita alla morte per tornare alla prima nascita. Gli otto raggi rappresentano i sentieri spirituali che portano i fedeli a raggiungere il nirvana, la liberazione dal doloroso ciclo della nascita, della malattia, della vecchiaia e della morte. Un antico libro buddhista descrive così il nirvana: il nirvana è la regione ove non esiste terra, acqua, fuoco e aria; non è la regione di uno spazio infinito, né quella di una coscienza infinita; non è la regione del puro nulla; non è questo mondo né l’altro mondo, dove non vi sono né sole né luna. Esso è senza fondamento, senza continuazione e senza fine. È la fine della sofferenza. Il discepolo per passare dalla condizione di ignoranza a quella della conoscenza liberatrice, deve impegnare tutto se stesso nella pratica di questi otto «indicatori stradali»: l. Retta conoscenza: equivale all'adesione alle precedenti «quattro verità», con la visione esatta delle cose. 2. Retto comportamento o intuizione che implica un atteggiamento di benevolenza, di disinteresse, un impegno a non voler fare del male a nessuno e a tener lontano ogni desiderio sensuale, odio o malizia. 3. Retta parola, che comporta l'astensione dal dire il falso, dalle chiacchiere inutili e, viceversa, l'adozione di un linguaggio saggio, sincero. 4. Retta azione, che comprende tutto l'atteggiamento morale. Sono proibiti in modo speciale l'assassinio, il furto e l’adulterio. 5. Retta occupazione, cioè una corretta condotta per guadagnarsi i giusti mezzi di sussistenza e di esistenza, senza nuocere agli altri. 6. Retto sforzo, che significa incrementare le qualità buone orientate a evitare ciò che è nocivo e a rafforzare ciò che è salutare. 7. Retto ricordo o memoria, cioè attenzione oculata alle cose per non cedere alle sollecitazioni del desiderio nel pensiero, nelle parole e nelle azioni. 8. Retta concentrazione che si ottiene con la meditazione intensa che rende possibile la conoscenza perfetta. Per raggiungere la purificazione assoluta, l'illuminazione e l’assoluta impassibilità, torna utilissimo lo Yoga: una disciplina che permette di controllare i sensi, sottomettere il pensiero e la sensibilità fino a fissare il Vuoto assoluto. Questo lungo cammino per raggiungere il Nirvana può richiedere più vite e numerose rinascite. Per ridurre questo andare-e-tornare (= reincarnazione), occorre seguire gli otto sentieri e i 5 precetti: non uccidere, non rubare, non commettere adulterio, non mentire, non usare bevande inebrianti. la religione greca La religione greca non è paragonabile alle grandi religioni monoteiste. Se la società è cattolica, allora tutti sono cattolici; se la società è musulmana, allora tutti sono musulmani. Nel mondo greco non vi erano attriti religiosi e le condanne per reati religiosi erano rarissime. Mentre le nostre religioni sono ‘esclusiviste’, nel mondo greco c'erano delle divinità maggiori che venivano venerate ovunque, ma accanto a queste ogni città aveva le sue divinità specifiche. Nel mondo greco è interessante rilevare un dualismo religioso: c'era la cosiddetta religione olimpica, una religione pubblica che mirava a risolvere i problemi comuni dell'intera città. Al giorno d'oggi la religione è individuale e spirituale: ognuno prega la divinità affinché risolva i problemi personali. La religiosità olimpica prevedeva invece che si richiedesse la risoluzione di problemi collettivi. Va poi notato che era quasi sempre un chiedere la protezione da cose materiali: guerre, carestie, epidemie. Come mai questo interesse collettivo? La risposta è reperibile nel fatto che a quei tempi nella società greca non c'era differenza tra cittadino e uomo privato. Per noi invece i due aspetti sono ben distinti: abbiamo una vita privata ed una vita in cui facciamo parte della società. E' chiaro che una religione come quella olimpica non appagava il singolo cittadino e le sue esigenze: tutti noi ci chiediamo Che ne sarà di me? Quale è il mio destino?. Questa religione deve il suo nome all'Olimpo, il monte greco sulle vette del quale si riteneva risiedessero gli dei. Oltre alle divinità dell'Olimpo, c'erano anche le divinità ktone', ossia le divinità della terra, ‘create’ dagli strati popolari anteriori ai Greci. Queste divinità hanno spesso a che fare con l'agricoltura e con la fertilità del suolo: ne è un esempio Demetra. Viene naturale chiedersi che cosa c'entrino queste divinità con gli interessi personali, individuali degli uomini: questi culti in origine erano culti della fertilità del suolo, poi l'alternarsi delle stagioni venne paragonato alla nascita e alla morte della natura: così come muore la natura durante l'inverno per poi rinascere in primavera, anche l'uomo muore e nasce. Questo determinò il passaggio degli interessi collettivi e della comunità a quelli individuali e propri del singolo cittadino. Questi culti erano caratterizzati dai misteri, una parola di derivazione incerta: vi è chi sostiene che derivi dalla parola greca muthos, mito, e chi è convinto che derivino dal verso che si emette quando non si parla: mmm. In effetti i misteri erano un qualcosa che non andava rivelato e parrebbe quindi più attestata la seconda ipotesi; tuttavia i misteri stessi si basavano su veri e propri miti e quindi pure la prima ipotesi è valida. l’Orfismo Strettamente collegato ai misteri è l'Orfismo, una setta misterica sviluppatasi intorno al VII secolo precedente l’anno 0. L'Orfismo si basava su due miti: 1. Il mito d’Orfeo, che si recò nel mondo dei morti per ricondurre indietro la donna amata, Euridice; l'avrebbe riavuta se non si fosse mai voltato a vederla durante il tragitto che conduceva dal mondo dei morti a quello dei vivi; ma non si trattenne e tutto sfumò. 2. Il mito di Dioniso: questo afferma che i Titani uccisero e divorarono il piccolo Dioniso, figlio di Zeus. Quest'ultimo, adirato, scagliò la folgore e li distrusse; in conclusione fu che gli uomini furono generati dalle ceneri dei Titani. Da questo mito emerge come gli uomini abbiano una duplice natura: da una parte sono buoni per via di Dioniso, che era stato divorato, dall'altro malvagi per via dei Titani. Per questo gli Orfici giungono ad affermare che noi siamo costituiti da due elementi, uno positivo e l'altro negativo. Dentro di noi c'è un daimon, un'anima. Propriamente il daimon è un qualcosa di diverso dall'anima come la intendiamo noi e come la intende Platone: l'anima è il nostro io, quello che siamo effettivamente; il daimon è un qualcosa di estraneo al corpo, è un qualcosa di sublime che si trova imprigionato nel corpo stesso. Per gli Orfici non c'è identificazione tra corpo e anima: il corpo non è la casa dell'anima, ma una situazione artificiale: è ciò che ci deriva dai Titani. Gli Orfici giocavano sul fatto che corpo in greco si dice soma, ma soma, con diversa accentuazione, significa prigione. Il corpo è quindi la prigione dell'anima, ma è anche la tomba (in greco sema). Durante il corso della vita l'anima non può manifestarsi bene perchè è ostacolata dal corpo e le uniche occasioni in cui può manifestarsi è quando il corpo è più debole: nel sonno, in punto di morte. Tutto questo implica un capovolgimento dei valori del binomio vita-morte: la morte non è più un qualcosa di negativo, bensì un qualcosa di sublime, una liberazione dalla parte peggiore di noi, il corpo. la reincarnazione secondo l’Orfismo Credenza orfica è quella della reincarnazione, ossia della trasmigrazione delle anime: probabilmente questo concetto è di derivazione orientale. Quella della reincarnazione è un'autentica minaccia di continuazione delle sofferenze sulla terra. La vita terrena è sia il segno della colpa, sia la punizione: è una sorta di peccato originale che ci deriva dai Titani; se conduciamo una vita retta, una volta morti la nostra anima non si reincarna in un altro corpo, ma vive libera. Se però ci comportiamo male, allora si reincarna in un altro corpo finché non riusciremo a comportarci bene; il corpo in cui reincarnarsi dipende da come ci si è comportati nella vita precedente: quanto peggio ci si è comportati, tanto peggio è il corpo in cui ci si reincarna. Come si fa a porre fine al circolo della reincarnazione, a far sì che l'anima possa vivere senza corpo? La sofferenza è un buon sistema di purificazione; un altro sistema di purificazione è la scelta d’alcuni modi di vita: la non violenza, il vegetarianismo. Proprio il vegetarianismo era un altro punto di rottura con le religioni olimpiche, che prevedevano i sacrifici di animali. Anche la partecipazione ai riti è un buon modo per purificarsi. Mentre la religione olimpica chiede beni materiali e l'esaltazione delle caratteristiche umane e naturali al sommo grado, la religione orfica chiede l'opposto, ossia si chiede di essere strappati alla vita terrena. E' una religione ascetica. Il vegetarianismo non consiste solo nel non uccidere gli animali (rinuncia alla violenza) ma anche nel rinunciare a ciò che più lega l'uomo alla vita terrena. Per l'Orfismo all'inizio esiste un'unità perfetta, l'uovo primordiale o notte, che si scinde e dà luogo a esseri separati. A ciò dovrà succedere un ciclo di reintegrazioni delle parti nell'unità del tutto: l'Orfismo sfocia così in una dottrina della salvezza. A tale scopo vengono coltivate le tecniche di purificazione. Negli scavi archeologici condotti nell'Italia meridionale sono comparse lamine d'oro, risalenti al IV e III secolo precedenti l’anno 0 e contenenti scritti in esametri. Alcune di esse forniscono indicazioni e istruzioni all'anima del defunto sul viaggio nell'aldilà che essa sta per affrontare. L'alternativa sarà tra destra positiva e sinistra negativa: a sinistra è infatti la sorgente del Lete, ossia della dimenticanza, mentre a destra è quella di Mnemosine, ossia della memoria. Alla prima si abbeverano i più ed è proprio bevendo l'acqua del Lete, la quale fa dimenticare tutto ciò che si è vissuto in precedenza, che si continuerà nel ciclo delle reincarnazioni. Al contrario, bevendo all'acqua della Memoria, se si è vissuta una vita pura, si potrà passare alle sedi dei beati, a vivere con gli eroi. la reincarnazione secondo il Pitagorismo Pitagora (isola di Samo 570 a.c. - Metaponto 490 a.c.) fu uno dei molteplici filosofi e scienziati greci ad aver fede nella reincarnazione, di cui però si hanno scarne notizie certe. L'unico dato storico a cui poter fare seriamente riferimento è la setta religiosa da egli stesso fondata a Crotone, nella quale si sosteneva alacremente la trasmigrazione delle anime, costrette ad incarnarsi in successive 'carceri' corporee, umane e bestiali, a causa di una colpa originaria da espiarsi sino alla finale purificazione o catarsi. Egli credeva nelle molte rinascite personali: il suo soprannome era già indicativo, Mnesarchide cioè Colui che ricorda le sue origini. Secondo una tradizione orale, egli affermava d’essere stato Eraclide e poi Eufonio, ucciso nell'assedio di Troia da Menelao. Fondamentalmente, la dottrina dell’anima pitagorica e la connessa trasmigrazione dell’anime, definita metempsicosi, non differiscono dalle credenze orfiche, se non per il metodo di purificazione professato: per i Pitagorici la via della saggezza è quella autentica di purificazione, mediante la quale l’anima s’eleva all’immortalità che il corpo e la metempsicosi le negano. la reincarnazione secondo il Platonismo Platone (Atene 427-347 a.c.), uno dei maggiori filosofi greci di cui rimangono integralmente le numerosissime opere, nei suoi scritti sostenne l'immortalità dell'anima e la sua rinascita, nonché la possibilità da parte di questa di ricordare limpidamente alcune o tutte le sue esistenze precedenti. Dal ‘Menone’ può leggersi: L'anima essendo immortale, essendo rinata più volte e avendo visto tutte le cose che esistono sia in questo mondo che nell'altro, ha conoscenza di tutte; e non è meraviglia che essa possa ricordare tutto ciò che ha conosciuto sulla virtù e su ogni altro argomento perché, dato che tutta la natura è simile e l'anima ha imparato tutte le cose, non vi è difficoltà nel rievocare. L'idea del karma risulta fortemente presente anche in Platone che, ad esempio, la propone ne ‘Le leggi’: O giovane che fantastichi di essere abbandonato dagli dei, sappi che se divieni peggiore andrai in un'anima peggiore, e in un'anima migliore se migliorerai, e in ogni successione di vita e di morte farai e soffrirai ciò che il simile ha dal simile. Questa è la giustizia celeste alla quale né tu né altri sfortunati si potranno mai vantare di essere sfuggiti. Un'altra considerazione la si può trovare ne ‘La Repubblica’: Anime effimere, una nuova generazione di uomini comincia adesso il ciclo delle sua esistenza morale. Il vostro destino non vi verrà assegnato a caso, ma dovete sceglierlo voi stesse, chiara allusione al principio di causa ed effetto, palese eredità della cultura indiana. la reincarnazione nella cultura romana I Romani subirono l'influenza dei filosofi greci. Cicerone (Arpino, 3 Gen 106 a.c. – Formia, Dic 43 d.c.) si convertì al Platonismo fino ad affermare, nell‘‘Ortensio’: Gli antichi, sia che fossero veggenti o interpreti della mente divina nella tradizione delle iniziazioni sacre, sembrano aver conosciuto la verità quando affermavano che siamo nati nel corpo per pagare la pena dei peccati commessi in una vita precedente. Virgilio (15 Ott 70 a.c – 21 Set 19 a.c.), nel sesto libro dell'Eneide, dà voce ad Anchise che, dall’aldilà, nell'istruire il figlio Enea così dice: Son anime a cui sarà dato il corpo a tempo debito. Frattanto dimorano sulla riva del Lete e bevono l'oblio delle loro vite precedenti. La convinzione reincarnazionista trovò la sua massima espressione nella scuola neoplatonica di Alessandria, i cui precetti suscitarono ripercussioni nelle culture posteriori. la questione reincarnazionista nella cultura cristiana In età contemporanea ha avuto origine, ed è tuttora in fase d’evoluzione, una questione d’interpretazione riguardante la credenza o meno nell’idea reincarnazionista da parte dei seguaci della Chiesa antica. V’è una maggioranza d’alcuni ch’affermano l’esistenza della trasmigrazione delle anime come precetto di certi eccellenti Cristiani antichi, mentre la restante minoranza reputa ciò soltanto un grave falso storico. La questione reincarnazionista trae difatti origine da un dissidio d’interpretazione degli scritti di alcuni eminenti autori della Cristianità antica, quali Giustino Martire (100 d.c. – 165 d.c) e Origene (Alessandria, 185 d.c – Tiro, 253 d.c.). Per la contestualizzazione storica, i riferimenti letterari e filosofici e le argomentazioni su questi sostenute, pare possedere la ragione, in questa difficile questione, la percentuale di coloro che reputano l’accettazione della reincarnazione da parte di alcuni Cristiani antichi unicamente un falso storico. la reincarnazione e le ritrattazioni di Giustino Martire ed Origene Giustino Martire, a quanto ci consta, è il primo padre della Chiesa che mise in rilievo il dissidio assoluto e inconciliabile tra la teoria della reincarnazione, in forme umana ed animale, e le concezioni cristiane sull'escatologia (dottrina concernente la vita individuale dopo la morte e la condizione finale del mondo), appellandosi sia alla retta ragione, sia alla Sacra Scrittura. L’Apologista mette in evidenza le difficoltà che impediscono al cristiano d’accettare la teoria platonica della metempsicosi: 1. L'idea antropologica della profonda unità tra gli elementi costitutivi dell'uomo, per cui l'anima non può cambiare indifferentemente il corpo. 2. Motivi d’ordine razionale: Giustino dapprima dimostra errati i presupposti della metempsicosi (l'immortalità e l'affinità naturali dell'anima con la divinità e la visione di dIO per connaturalità), poi rileva che in corpi ferini l'anima umana non avrebbe coscienza d'essere punita, né potrebbe vivere con un orientamento dinamico verso dIO. 3. Motivi ricavabili dalla mentalità cristiana dell’Apologista: la rinascita si verifica nell'ambito spirituale; vi è passaggio di spirito profetico da una persona ad un'altra (senza trasmigrazione di anime); la risurrezione dei morti come dottrina autenticamente cristiana (che si oppone alla teoria della metempsicosi). Giustino si preoccupa di rendere conto della sua fede in maniera razionale, sente la necessità del dialogo col Platonismo del suo tempo da «filosofo cristiano», ma allo stesso tempo esprime con chiarezza la sua netta opposizione a dottrine inaccettabili per la Chiesa, quale è appunto la metempsicosi. Origene non ha mai professato la metensomatosi (metempsicosi) delle anime umane in altri corpi umani, bestiali o astrali, nonostante le accuse formulate in seguito contro di lui. La sua costante riflessione sulle Sacre Scritture, ove non aveva mai incontrato una simile tesi, e le conclusioni che traeva dai dati filosofici gli impedivano di accettare una dottrina che disprezzava o considerava insignificante la componente corporea dell’uomo. Per Origine il corpo è segno della creaturalità - solo la Trinità è assolutamente incorporea - e accompagna sempre l’anima nelle varie fasi (creazione, preesistenza, vita terrena, stato intermedio dopo morte, resurrezione) assumendo però di volta in volta qualità adatte. Questo corpo, che potremmo quasi definire “codice genetico” che caratterizza ciascun individuo e lo distingue dagli altri può manifestarsi in diversi mondi (terreno e ultraterreni), ma rimane sempre il medesimo. La “ensomatosi”, cioè l’incorporazione dell’anima, è ben distinta dalla “metensomatosi”, cioè da successive trasmigrazioni in diversi corpi. L’uomo, dunque, creato ad immagine di dIO (cf Genesis 1,26), plasmato dalla polvere del suolo (cf Genesis 2,7), e, dopo il peccato, rivestito di tuniche di pelli (cf Genesis 3,21), cioè di qualità terrestri, ha la possibilità di ascendere al Sommo Bene lungo i secoli (cf Perì Archôn III,1,23 [24]) e di vedere il proprio corpo - non uno diverso da quello che lo individualizza, - glorificato alla conclusione della storia, sull’esempio appunto di cristo, modello di ogni creatura razionale. Dalla creazione alla resurrezione permane dunque l’identità della persona, garantita dal fatto che ognuno avrà lo stesso corpo, la stessa anima, lo stesso spirito. La grande speranza di Origene era che tutti gli uomini, liberamente, sotto la guida del Logos divino (cf Contra Celsum 8,72), potessero arrivare alla perfezione: i loro corpi saranno così rivestiti di qualità migliori, le loro anime si dirigeranno solo verso il bene e i loro spiriti saranno pienamente risvegliati e uniti a dIO. la reincarnazione e il concilio costantinopolitano Spesso si sente ripetere che nella Chiesa dei primi secoli fosse viva la credenza nella reincarnazione, e che la condanna delle teorie reincarnazioniste venne operata dal concilio costantinopolitano II del 553. Per giustificare ciò, si fa riferimento ad un sinodo di Costantinopoli indetto nel 543 dal patriarca Menas, nel quale si approvò una serie di anatematismi contro l’origenismo, diretti a quei teologi che nel VI secolo si ispiravano più o meno correttamente al pensiero di Origene. Nel testo del sinodo in alcun modo si tratta della reincarnazione, in quanto questa non era professata da nessuno dei cristiani a cui il concilio si poteva rivolgere, Origene compreso. I canoni invece si occupano della questione della preesistenza delle anime (canoni 1 e 2) e dell’apocatastasi (canoni 7 e 9): ci si oppone alla reintegrazione cosmica, vista come possibilità che cristo nel mondo futuro venga di nuovo crocifisso anche per i demoni e gli empi, ed ottenga per loro la salvezza. Canone 7: Se qualcuno dice o ritiene che il signore gesù cristo nel secolo futuro sarà crocifisso per i demoni, come anche per gli uomini, sia scomunicato. Canone 9: Se qualcuno dice o ritiene che la punizione dei demoni e degli uomini empi sia provvisoria, e che un giorno avrà fine e vi sarà una reintegrazione (apokatàstasis) dei demoni e degli uomini empi, sia scomunicato. A questi canoni, che, oltre a non fare parte degli atti del concilio costantinopolitano II del 553, neppure trattano dell’argomento ‘reincarnazione’, alcuni ne aggiungono altri, falsamente attribuiti al concilio. Essi sono dedicati ad argomentazione ancora diversa (il passaggio di stato), non già all’idea della trasmigrazione delle anime. la reincarnazione dall’Esoterismo alla cultura contemporanea Ipotizzato come storicamente autentico il dissidio tra reincarnazione e Chiesa antica ed eccettuando la diffusione post-romana della teoria in correnti settarie, tipo ebraiche ed islamiche, l’idea reincarnazionista gradualmente scomparve per poi venire tramandata unicamente dalle discipline esoteriche dei templari, dei cabalisti, dei rosacrociani; ciò sino al pensiero rinascimentale. Un nuovo sviluppo si ebbe con l'Illuminismo e il Romanticismo (XVIII e XIX secolo), quando autori come Von Helmont, Kant e Goethe, riportarono nelle loro opere considerazioni sulla reincarnazione. A cavallo tra la seconda metà del XIX secolo e la prima del secolo scorso, un forte risveglio spirituale fu avviato da Rudolf Steiner (Croazia, Kraljevica 1861- Basilea, Dornach 1925), filosofo austriaco fondatore della società antroposofica. Centro di questa dottrina è la distinzione, nell'uomo, di sette principi (dal corpo fisico a quello etereo e astrale, dall'io all'io spirituale, allo spirito vitale e all'uomo-spirito). Con la morte il corpo fisico si dissolve, mentre quelli etereo e astrale accompagnano l'io in un periodo di sonno profondo che precede le successive incarnazioni fino al ritorno allo spirito puro. Insieme con la società antroposofica, si svilupparono più tardi pure la società teosofica, che propugna un ritorno alle fonti della sapienza antica, specie orientale, fondandosi su un’accettazione sincretica delle verità proprie di ogni religione del passato e ritenendo possibile il contatto diretto con la divinità, e lo spiritualismo, credenza misticoreligiosa che attribuisce all’intervento degli spiriti dei morti i fenomeni medianici e paranormali. Nella cultura contemporanea mondiale la credenza della reincarnazione è legata perlopiù alla grande ereditarietà della cultura indiana, indi, ad Induismo e Buddhismo e alle dottrine filosofico-religiose, specie orientali, che da questi hanno tratto origine. la reincarnazione Cancellario Giada attraverso D’Ambrosio Daria di la storia, la filosofia, la religione Mogavero Federico © 2005 Sacco Gianmarco la fine