la reincarnazione
attraverso
la storia, la filosofia, la religione
definizione del termine: reincarnazione
= secondo alcune religioni e filosofie, il trasmigrare dell’anima
in altro corpo dopo la morte, sino alla totale purificazione e
liberazione dell’anima stessa da ogni vincolo con la materia.
la reincarnazione attraverso la storia, la filosofia, la religione
Cultura
caldeo-mesopotamica
Cultura
egizia
Cultura
indiana
Induismo
Buddhismo
Cultura
greca
Orfismo
Pitagorismo
Platonismo
Cultura
romana
Esoterismo
Cultura
illuminista-romanticista
Teosofia
Antroposofia
Spiritismo
Cultura
contemporanea
origine delle credenze reincarnazioniste
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Secondo alcuni, gli studi reincarnazionisti trarrebbero
origine dalla cultura caldeo-mesopotamica, da cui
successivamente sbocciarono e fiorirono quelle egizia
ed indiana. Ci si riferisce indi, in linea di massima,
all’arco storico che si protrae dal 3500-3000 all’XI
secolo precedente l’anno 0 del calendario gregoriano.
definizione del termine: caldeo
=
d’un’antica popolazione semitica stanziata in Caldea,
regione storica della Mesopotamia, attorno al sec. XI a.c..
la reincarnazione nella cultura egizia
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In Egitto, il testo più importante e noto, di cui s’ha notizia,
è il Libro dei Morti, una sorta di guida per l'aldilà rivolta a
tutte le anime in procinto d’abbandonare il corpo fisico o
che hanno già varcato la soglia della dimensione terrena.
Altresì gli Egizi, oltre a credere nella vita dopo la morte,
avevano certezza anche della reincarnazione. Del resto,
molti nomi di re dell'antico Egitto celavano significati
inequivocabili: Amonemhat I, ad esempio, stava ad indicare
Colui che ripete le nascite e Sensurert I Colui le cui nascite
vivono. Il Libro dei Morti risale probabilmente alla
letteratura egizia del Nuovo Regno; si farebbe indi
riferimento al periodo storico che intercorre tra il 1500 e il
1000 precedente l’anno 0 del calendario gregoriano.
la reincarnazione nella culture indiana
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Le prime teorie sulla reincarnazione in India risalirebbero all’IX o all'VII
secolo precedente l’anno 0 ed, in particolare, sarebbe già contenuta nelle
Upanishad (dal sanscrito Sedersi ai piedi del maestro), testi sacri
dell'Induismo risalenti all'incirca all'800 precedente l’anno 0, già l'idea del
karma sviluppata in tutte le sue sfaccettature. Ogni individualità torna
sulla terra con una condizione personale differente a seconda del bene o
del male commesso. E anche nel Bhagavadgita (dal sanscrito Il canto del
beato), testo del III secolo precedente l’anno 0, si dà un senso alla
reincarnazione considerando l'anima come un'entità staccatasi dal suo
assoluto e che solo attraverso una purificazione, possibile dopo numerose
reincarnazioni, potrà tornare ad unirsi ad esso.
In seguito, anche il Buddhismo, nato sempre in India nel VI secolo
precedente l’anno 0, abbracciò l'idea della reincarnazione e con essa la
legge del karma.
La sola differenza tra queste due correnti è che, se per l‘Induismo l'anima
mantiene la propria individualità, con tratti personali inalterati, nel corso
delle sue numerose esistenze, per il Buddhismo la reincarnazione avviene
con una totale depersonalizzazione. Sia l‘Induismo che il Buddhismo
ritenevano comunque che l'anima potesse trasmigrare indifferentemente
da un uomo a un animale (metempsicosi) a seconda del premio o castigo
che gli era stato comminato. Le teorie più avanzate in tale campo, invece,
ritengono che ciò non sia possibile, in quanto compito dell'anima è quello
d’evolversi ed essa non può tornare indietro. Tuttavia, la convinzione che
l'anima di un uomo malvagio potesse reincarnarsi nel corpo di un animale
la si ritrova anche in Occidente nelle teorie platoniche e neoplatoniche, pur
non avendo subito queste ultime alcuna influenza dalle dottrine indiane.
la reincarnazione secondo l’Induismo
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Secondo le Upanishad più antiche, la realtà autentica non risiede
nelle apparenze spazio-temporali, nei fenomeni, ma è la risultante
statica e permanente della fusione tra microcosmo e macrocosmo.
Si tratta della dottrina della non-dualità, secondo la quale esiste
una sostanziale identità tra la scintilla sacra presente all'interno di
tutto ciò che vive in modo apparentemente autonomo e l'infinito
cosmico. Nei tratti più antichi dei Veda, la meta ultima che si
desidera è la continuazione della vita nel sentiero degli dei, dove i
giusti e i virtuosi godono dell‘immortalità in un regno di luce e di
compagnie dilettevoli.
In una vertigine di nascite e rinascite cosmiche s’inserì l'idea della
trasmigrazione delle esistenze da un corpo all'altro attraverso il
tempo ciclico: gli esseri sia divini che umani si reincarnano in una
sequenza di vite successive (il samsara), sotto la legge
costringente del karma che lega indissolubilmente al soggetto
tutto il peso degli atti compiuti nelle esistenze anteriori e lo
riversa in quelle successive.
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Per misurare l'angoscia prodotta da codesta visione si pensi che
nel 2005 siamo nell'anno 5105 dell'età di Kali (Kaliyuga), la quale
è stata preceduta da tre altri yuga (età), il Dvaparayuga, il
Tretayuga e il Kritayuga, nei quali gli uomini erano più alti, felici e
santi. Dell'attuale Kaliyuga devono ancora trascorrere 420.000
anni segnati da progressiva decadenza e miseria. Questi quattro
yuga formano insieme una grande età (mahayuga) di 4.321.000
anni. Mille di questi mahayuga formano un kalpa, al termine del
quale Brahma, «il creatore», si riposerà, provocando un eguale
ciclo di dissoluzione cosmica. Al suo ridestarsi il processo
riprenderà da capo, e così all'infinito.
Si comprende come su questo sfondo si sia accarezzata in India la
speranza di sfuggire a questo ciclo infernale di rinascite in cui la
venuta all'esistenza ci ha posti, e dove l'angoscia veniva ancora
accresciuta dalle condizioni di un habitat minaccioso e greve:
l'aspirazione divenne perciò universalmente il moksa o mukti che
significa liberazione, uscita, salvezza dal tempo e dalla condizione
umana. Si trovano delineate in questo passo le maggiori vie che
secondo la tradizione indù permettono di conseguire la salvezza e
cioè: la via della conoscenza, la via delle opere, la via della
meditazione e la via della dedizione amorosa.
le caste: l‘apartheid più antico del mondo

Come conseguenza del destino e frutto della reincarnazione, l‘Induismo ha
creato il fenomeno delle caste, la divisione in diverse classi sociali, ben
differenziate e non comunicanti tra loro. Chi è vissuto bene, può sperare di
nascere in una casta superiore, altrimenti precipita sempre di più. È’ l'apartheid
più antico dei mondo. Nonostante sia stato abolito dal Parlamento nel 1947,
sotto la forte pressione di Gandhi, resiste concretamente con giustificazioni di
tipo religioso, ma soprattutto economiche. In passato le quattro classi principali
venivano considerate come blocchi completamente separati. Un uomo, ad
esempio, non poteva sposare una donna appartenente a una casta diversa.
Neppure era ammesso mangiare insieme. Abolite in teoria queste distinzioni, la
segregazione fondamentalmente resta. Casta è una parola portoghese diffusasi
da Goa, colonia portoghese in India e vuol dire stirpe, mentre nella lingua
indiana, varna, significa colore. Non a caso, forse, i bramini, la «top classe»,
sono di carnagione più chiara, e a mano a mano che si discende nella scala, la
pelle diventa più scura. I paria, gli intoccabili, sono spesso quasi neri. Sembra
che siano stati gli Arii a introdurre questa classificazione tra nobiltà e plebe.
Ecco,
in
breve,
le
quattro
divisioni:
l. l bramini o sacerdoti: occupano il posto più alto della scala sociale e religiosa.
Sono
i
puri,
dalla
loro
bocca
esce
la
parola
divina.
2. I guerrieri: sono i membri della nobiltà e gli alti funzionari.
3. Gli amministratori: vi appartengono gli industriali, i mercanti, gli agricoltori.
4. I servi: è la casta più bassa, formata dai quattro quinti della popolazione, su
cui pesa il lavoro dei campi, del bestiame, della casa. Ancora oggi, costituiscono
lo
«zoccolo
duro»
della
società.
Al di fuori di queste categorie, esistono almeno tremila sottocaste, tra cui quella
dei 90 milioni di paria, gli intoccabili: vanno tenuti a debita distanza e chi li
sfiora anche solo accidentalmente deve correre a purificarsi. Sono i non-aventidiritto, ammessi solo a pulire gabinetti, vestire cadaveri, fabbricare scarpe. Li
chiamano habsh, cioè uomini-scimmia, e così vengono trattati.
la reincarnazione secondo il Buddhismo
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Quattro nobili verità formano il nucleo centrale della filosofia buddhista e si
collocano alla base della dottrina reincarnazionista:
1. Tutto è dolore: su questa terra non c'è nulla di duraturo e capace di
dare piena felicità. Svaniscono anche i momenti più belli e tutta l'esistenza
umana è caratterizzata dal dolore.
2. La causa del dolore: il dolore è portato dal desiderio, dalla ricerca
delle cose sbagliate o dalle cose giuste ma vissute nel modo sbagliato. Non
ha senso ascrivere a cose e persone del mondo un valore che non hanno.
3. I mezzi per eliminare il dolore: v'è un solo rimedio, unica via di
salvezza: il distacco da tutto, la soppressione di ogni desiderio; eliminare il
desiderio significa eliminare il dolore.
4. Estinzione del dolore: la strada che conduce alla cessazione del
desiderio e alla serenità, si ottiene seguendo otto sentieri che
rappresentano un nuovo modo di pensare, di parlare e di agire.
Per spiegare queste verità, Buddha amava disegnare per terra una ruota
con otto raggi. La ruota della vita è uno dei simboli dei Buddhismo. La vita
è come questo cerchio che non finisce mai. L’uomo vi cammina sopra dalla
nascita alla morte per tornare alla prima nascita. Gli otto raggi
rappresentano i sentieri spirituali che portano i fedeli a raggiungere il
nirvana, la liberazione dal doloroso ciclo della nascita, della malattia, della
vecchiaia e della morte. Un antico libro buddhista descrive così il nirvana:
il nirvana è la regione ove non esiste terra, acqua, fuoco e aria; non è la
regione di uno spazio infinito, né quella di una coscienza infinita; non è la
regione del puro nulla; non è questo mondo né l’altro mondo, dove non vi
sono né sole né luna. Esso è senza fondamento, senza continuazione e
senza fine. È la fine della sofferenza.
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Il discepolo per passare dalla condizione di ignoranza a quella della
conoscenza liberatrice, deve impegnare tutto se stesso nella pratica di
questi
otto
«indicatori
stradali»:
l. Retta conoscenza: equivale all'adesione alle precedenti «quattro
verità»,
con
la
visione
esatta
delle
cose.
2. Retto comportamento o intuizione che implica un atteggiamento di
benevolenza, di disinteresse, un impegno a non voler fare del male a
nessuno e a tener lontano ogni desiderio sensuale, odio o malizia.
3. Retta parola, che comporta l'astensione dal dire il falso, dalle
chiacchiere inutili e, viceversa, l'adozione di un linguaggio saggio, sincero.
4. Retta azione, che comprende tutto l'atteggiamento morale. Sono
proibiti in modo speciale l'assassinio, il furto e l’adulterio.
5. Retta occupazione, cioè una corretta condotta per guadagnarsi i giusti
mezzi di sussistenza e di esistenza, senza nuocere agli altri.
6. Retto sforzo, che significa incrementare le qualità buone orientate a
evitare ciò che è nocivo e a rafforzare ciò che è salutare.
7. Retto ricordo o memoria, cioè attenzione oculata alle cose per non
cedere alle sollecitazioni del desiderio nel pensiero, nelle parole e nelle
azioni.
8. Retta concentrazione che si ottiene con la meditazione intensa che
rende possibile la conoscenza perfetta. Per raggiungere la purificazione
assoluta, l'illuminazione e l’assoluta impassibilità, torna utilissimo lo Yoga:
una disciplina che permette di controllare i sensi, sottomettere il pensiero
e la sensibilità fino a fissare il Vuoto assoluto. Questo lungo cammino per
raggiungere il Nirvana può richiedere più vite e numerose rinascite. Per
ridurre questo andare-e-tornare (= reincarnazione), occorre seguire gli
otto sentieri e i 5 precetti: non uccidere, non rubare, non commettere
adulterio, non mentire, non usare bevande inebrianti.
la religione greca
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La religione greca non è paragonabile alle grandi religioni monoteiste. Se la società è
cattolica, allora tutti sono cattolici; se la società è musulmana, allora tutti sono
musulmani. Nel mondo greco non vi erano attriti religiosi e le condanne per reati
religiosi erano rarissime. Mentre le nostre religioni sono ‘esclusiviste’, nel mondo
greco c'erano delle divinità maggiori che venivano venerate ovunque, ma accanto a
queste ogni città aveva le sue divinità specifiche.
Nel mondo greco è interessante rilevare un dualismo religioso: c'era la cosiddetta
religione olimpica, una religione pubblica che mirava a risolvere i problemi comuni
dell'intera città. Al giorno d'oggi la religione è individuale e spirituale: ognuno prega
la divinità affinché risolva i problemi personali. La religiosità olimpica prevedeva
invece che si richiedesse la risoluzione di problemi collettivi. Va poi notato che era
quasi sempre un chiedere la protezione da cose materiali: guerre, carestie, epidemie.
Come mai questo interesse collettivo? La risposta è reperibile nel fatto che a quei
tempi nella società greca non c'era differenza tra cittadino e uomo privato. Per noi
invece i due aspetti sono ben distinti: abbiamo una vita privata ed una vita in cui
facciamo parte della società. E' chiaro che una religione come quella olimpica non
appagava il singolo cittadino e le sue esigenze: tutti noi ci chiediamo Che ne sarà di
me? Quale è il mio destino?. Questa religione deve il suo nome all'Olimpo, il monte
greco sulle vette del quale si riteneva risiedessero gli dei.
Oltre alle divinità dell'Olimpo, c'erano anche le divinità ktone', ossia le divinità della
terra, ‘create’ dagli strati popolari anteriori ai Greci. Queste divinità hanno spesso a
che fare con l'agricoltura e con la fertilità del suolo: ne è un esempio Demetra. Viene
naturale chiedersi che cosa c'entrino queste divinità con gli interessi personali,
individuali degli uomini: questi culti in origine erano culti della fertilità del suolo, poi
l'alternarsi delle stagioni venne paragonato alla nascita e alla morte della natura: così
come muore la natura durante l'inverno per poi rinascere in primavera, anche l'uomo
muore e nasce. Questo determinò il passaggio degli interessi collettivi e della
comunità a quelli individuali e propri del singolo cittadino. Questi culti erano
caratterizzati dai misteri, una parola di derivazione incerta: vi è chi sostiene che
derivi dalla parola greca muthos, mito, e chi è convinto che derivino dal verso che si
emette quando non si parla: mmm. In effetti i misteri erano un qualcosa che non
andava rivelato e parrebbe quindi più attestata la seconda ipotesi; tuttavia i misteri
stessi si basavano su veri e propri miti e quindi pure la prima ipotesi è valida.
l’Orfismo
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Strettamente collegato ai misteri è l'Orfismo, una setta misterica
sviluppatasi intorno al VII secolo precedente l’anno 0. L'Orfismo si basava
su due miti: 1. Il mito d’Orfeo, che si recò nel mondo dei morti per
ricondurre indietro la donna amata, Euridice; l'avrebbe riavuta se non si
fosse mai voltato a vederla durante il tragitto che conduceva dal mondo
dei morti a quello dei vivi; ma non si trattenne e tutto sfumò. 2. Il mito di
Dioniso: questo afferma che i Titani uccisero e divorarono il piccolo
Dioniso, figlio di Zeus. Quest'ultimo, adirato, scagliò la folgore e li
distrusse; in conclusione fu che gli uomini furono generati dalle ceneri dei
Titani. Da questo mito emerge come gli uomini abbiano una duplice
natura: da una parte sono buoni per via di Dioniso, che era stato divorato,
dall'altro malvagi per via dei Titani. Per questo gli Orfici giungono ad
affermare che noi siamo costituiti da due elementi, uno positivo e l'altro
negativo. Dentro di noi c'è un daimon, un'anima. Propriamente il daimon è
un qualcosa di diverso dall'anima come la intendiamo noi e come la
intende Platone: l'anima è il nostro io, quello che siamo effettivamente; il
daimon è un qualcosa di estraneo al corpo, è un qualcosa di sublime che si
trova imprigionato nel corpo stesso. Per gli Orfici non c'è identificazione tra
corpo e anima: il corpo non è la casa dell'anima, ma una situazione
artificiale: è ciò che ci deriva dai Titani. Gli Orfici giocavano sul fatto che
corpo in greco si dice soma, ma soma, con diversa accentuazione, significa
prigione. Il corpo è quindi la prigione dell'anima, ma è anche la tomba (in
greco sema). Durante il corso della vita l'anima non può manifestarsi bene
perchè è ostacolata dal corpo e le uniche occasioni in cui può manifestarsi
è quando il corpo è più debole: nel sonno, in punto di morte. Tutto questo
implica un capovolgimento dei valori del binomio vita-morte: la morte non
è più un qualcosa di negativo, bensì un qualcosa di sublime, una
liberazione dalla parte peggiore di noi, il corpo.
la reincarnazione secondo l’Orfismo
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Credenza orfica è quella della reincarnazione, ossia della
trasmigrazione delle anime: probabilmente questo concetto
è di derivazione orientale. Quella della reincarnazione è
un'autentica minaccia di continuazione delle sofferenze
sulla terra. La vita terrena è sia il segno della colpa, sia la
punizione: è una sorta di peccato originale che ci deriva dai
Titani; se conduciamo una vita retta, una volta morti la
nostra anima non si reincarna in un altro corpo, ma vive
libera. Se però ci comportiamo male, allora si reincarna in
un altro corpo finché non riusciremo a comportarci bene; il
corpo in cui reincarnarsi dipende da come ci si è comportati
nella vita precedente: quanto peggio ci si è comportati,
tanto peggio è il corpo in cui ci si reincarna.

Come si fa a porre fine al circolo della reincarnazione, a far sì che l'anima
possa vivere senza corpo? La sofferenza è un buon sistema di
purificazione; un altro sistema di purificazione è la scelta d’alcuni modi di
vita: la non violenza, il vegetarianismo. Proprio il vegetarianismo era un
altro punto di rottura con le religioni olimpiche, che prevedevano i sacrifici
di animali. Anche la partecipazione ai riti è un buon modo per purificarsi.
Mentre la religione olimpica chiede beni materiali e l'esaltazione delle
caratteristiche umane e naturali al sommo grado, la religione orfica chiede
l'opposto, ossia si chiede di essere strappati alla vita terrena. E' una
religione ascetica. Il vegetarianismo non consiste solo nel non uccidere gli
animali (rinuncia alla violenza) ma anche nel rinunciare a ciò che più lega
l'uomo alla vita terrena. Per l'Orfismo all'inizio esiste un'unità perfetta,
l'uovo primordiale o notte, che si scinde e dà luogo a esseri separati. A ciò
dovrà succedere un ciclo di reintegrazioni delle parti nell'unità del tutto:
l'Orfismo sfocia così in una dottrina della salvezza. A tale scopo vengono
coltivate le tecniche di purificazione. Negli scavi archeologici condotti
nell'Italia meridionale sono comparse lamine d'oro, risalenti al IV e III
secolo precedenti l’anno 0 e contenenti scritti in esametri. Alcune di esse
forniscono indicazioni e istruzioni all'anima del defunto sul viaggio
nell'aldilà che essa sta per affrontare. L'alternativa sarà tra destra positiva
e sinistra negativa: a sinistra è infatti la sorgente del Lete, ossia della
dimenticanza, mentre a destra è quella di Mnemosine, ossia della
memoria. Alla prima si abbeverano i più ed è proprio bevendo l'acqua del
Lete, la quale fa dimenticare tutto ciò che si è vissuto in precedenza, che
si continuerà nel ciclo delle reincarnazioni. Al contrario, bevendo all'acqua
della Memoria, se si è vissuta una vita pura, si potrà passare alle sedi dei
beati, a vivere con gli eroi.
la reincarnazione secondo il Pitagorismo
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Pitagora (isola di Samo 570 a.c. - Metaponto 490 a.c.) fu
uno dei molteplici filosofi e scienziati greci ad aver fede
nella reincarnazione, di cui però si hanno scarne notizie
certe. L'unico dato storico a cui poter fare seriamente
riferimento è la setta religiosa da egli stesso fondata a
Crotone, nella quale si sosteneva alacremente la
trasmigrazione delle anime, costrette ad incarnarsi in
successive 'carceri' corporee, umane e bestiali, a causa di
una colpa originaria da espiarsi sino alla finale purificazione
o catarsi. Egli credeva nelle molte rinascite personali: il suo
soprannome era già indicativo, Mnesarchide cioè Colui che
ricorda le sue origini. Secondo una tradizione orale, egli
affermava d’essere stato Eraclide e poi Eufonio, ucciso
nell'assedio di Troia da Menelao.
Fondamentalmente, la dottrina dell’anima pitagorica e la
connessa trasmigrazione dell’anime, definita metempsicosi,
non differiscono dalle credenze orfiche, se non per il
metodo di purificazione professato: per i Pitagorici la via
della saggezza è quella autentica di purificazione, mediante
la quale l’anima s’eleva all’immortalità che il corpo e la
metempsicosi le negano.
la reincarnazione secondo il Platonismo
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Platone (Atene 427-347 a.c.), uno dei maggiori filosofi greci di cui
rimangono integralmente le numerosissime opere, nei suoi scritti
sostenne l'immortalità dell'anima e la sua rinascita, nonché la
possibilità da parte di questa di ricordare limpidamente alcune o
tutte le sue esistenze precedenti. Dal ‘Menone’ può leggersi:
L'anima essendo immortale, essendo rinata più volte e avendo
visto tutte le cose che esistono sia in questo mondo che nell'altro,
ha conoscenza di tutte; e non è meraviglia che essa possa
ricordare tutto ciò che ha conosciuto sulla virtù e su ogni altro
argomento perché, dato che tutta la natura è simile e l'anima ha
imparato tutte le cose, non vi è difficoltà nel rievocare.
L'idea del karma risulta fortemente presente anche in Platone che,
ad esempio, la propone ne ‘Le leggi’: O giovane che fantastichi di
essere abbandonato dagli dei, sappi che se divieni peggiore andrai
in un'anima peggiore, e in un'anima migliore se migliorerai, e in
ogni successione di vita e di morte farai e soffrirai ciò che il simile
ha dal simile. Questa è la giustizia celeste alla quale né tu né altri
sfortunati si potranno mai vantare di essere sfuggiti. Un'altra
considerazione la si può trovare ne ‘La Repubblica’: Anime
effimere, una nuova generazione di uomini comincia adesso il ciclo
delle sua esistenza morale. Il vostro destino non vi verrà
assegnato a caso, ma dovete sceglierlo voi stesse, chiara allusione
al principio di causa ed effetto, palese eredità della cultura
indiana.
la reincarnazione nella cultura romana
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I Romani subirono l'influenza dei filosofi greci. Cicerone
(Arpino, 3 Gen 106 a.c. – Formia, Dic 43 d.c.) si convertì al
Platonismo fino ad affermare, nell‘‘Ortensio’: Gli antichi, sia
che fossero veggenti o interpreti della mente divina nella
tradizione delle iniziazioni sacre, sembrano aver conosciuto
la verità quando affermavano che siamo nati nel corpo per
pagare la pena dei peccati commessi in una vita
precedente. Virgilio (15 Ott 70 a.c – 21 Set 19 a.c.), nel
sesto libro dell'Eneide, dà voce ad Anchise che, dall’aldilà,
nell'istruire il figlio Enea così dice: Son anime a cui sarà
dato il corpo a tempo debito. Frattanto dimorano sulla riva
del Lete e bevono l'oblio delle loro vite precedenti. La
convinzione reincarnazionista trovò la sua massima
espressione nella scuola neoplatonica di Alessandria, i cui
precetti suscitarono ripercussioni nelle culture posteriori.
la questione reincarnazionista nella cultura cristiana
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In età contemporanea ha avuto origine, ed è tuttora in fase
d’evoluzione, una questione d’interpretazione riguardante la
credenza o meno nell’idea reincarnazionista da parte dei seguaci
della Chiesa antica. V’è una maggioranza d’alcuni ch’affermano
l’esistenza della trasmigrazione delle anime come precetto di certi
eccellenti Cristiani antichi, mentre la restante minoranza reputa
ciò soltanto un grave falso storico.
La questione reincarnazionista trae difatti origine da un dissidio
d’interpretazione degli scritti di alcuni eminenti autori della
Cristianità antica, quali Giustino Martire (100 d.c. – 165 d.c) e
Origene (Alessandria, 185 d.c – Tiro, 253 d.c.).
Per la contestualizzazione storica, i riferimenti letterari e filosofici
e le argomentazioni su questi sostenute, pare possedere la
ragione, in questa difficile questione, la percentuale di coloro che
reputano l’accettazione della reincarnazione da parte di alcuni
Cristiani antichi unicamente un falso storico.
la reincarnazione e le ritrattazioni di Giustino Martire ed Origene
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Giustino Martire, a quanto ci consta, è il primo padre della Chiesa che mise
in rilievo il dissidio assoluto e inconciliabile tra la teoria della
reincarnazione, in forme umana ed animale, e le concezioni cristiane
sull'escatologia (dottrina concernente la vita individuale dopo la morte e la
condizione
finale del mondo), appellandosi sia alla retta ragione, sia alla Sacra
Scrittura.
L’Apologista mette in evidenza le difficoltà che impediscono al cristiano
d’accettare la teoria platonica della metempsicosi:
1. L'idea antropologica della profonda unità tra gli elementi costitutivi
dell'uomo, per cui l'anima non può cambiare indifferentemente il corpo.
2. Motivi d’ordine razionale: Giustino dapprima dimostra errati i
presupposti della metempsicosi (l'immortalità e l'affinità naturali dell'anima
con la divinità e la visione di dIO per connaturalità), poi rileva che in corpi
ferini l'anima umana non avrebbe coscienza d'essere punita, né potrebbe
vivere con un orientamento dinamico verso dIO.
3. Motivi ricavabili dalla mentalità cristiana dell’Apologista: la rinascita si
verifica nell'ambito spirituale; vi è passaggio di spirito profetico da una
persona ad un'altra (senza trasmigrazione di anime); la risurrezione dei
morti come dottrina autenticamente cristiana (che si oppone alla teoria
della metempsicosi).
Giustino si preoccupa di rendere conto della sua fede in maniera razionale,
sente la necessità del dialogo col Platonismo del suo tempo da «filosofo
cristiano», ma allo stesso tempo esprime con chiarezza la sua netta
opposizione a dottrine inaccettabili per la Chiesa, quale è appunto la
metempsicosi.
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Origene non ha mai professato la metensomatosi (metempsicosi) delle
anime umane in altri corpi umani, bestiali o astrali, nonostante le accuse
formulate in seguito contro di lui. La sua costante riflessione sulle Sacre
Scritture, ove non aveva mai incontrato una simile tesi, e le conclusioni
che traeva dai dati filosofici gli impedivano di accettare una dottrina che
disprezzava o considerava insignificante la componente corporea
dell’uomo. Per Origine il corpo è segno della creaturalità - solo la Trinità è
assolutamente incorporea - e accompagna sempre l’anima nelle varie fasi
(creazione, preesistenza, vita terrena, stato intermedio dopo morte,
resurrezione) assumendo però di volta in volta qualità adatte. Questo
corpo, che potremmo quasi definire “codice genetico” che caratterizza
ciascun individuo e lo distingue dagli altri può manifestarsi in diversi mondi
(terreno e ultraterreni), ma rimane sempre il medesimo.
La “ensomatosi”, cioè l’incorporazione dell’anima, è ben distinta dalla
“metensomatosi”, cioè da successive trasmigrazioni in diversi corpi.
L’uomo, dunque, creato ad immagine di dIO (cf Genesis 1,26), plasmato
dalla polvere del suolo (cf Genesis 2,7), e, dopo il peccato, rivestito di
tuniche di pelli (cf Genesis 3,21), cioè di qualità terrestri, ha la possibilità
di ascendere al Sommo Bene lungo i secoli (cf Perì Archôn III,1,23 [24]) e
di vedere il proprio corpo - non uno diverso da quello che lo individualizza,
- glorificato alla conclusione della storia, sull’esempio appunto di cristo,
modello di ogni creatura razionale. Dalla creazione alla resurrezione
permane dunque l’identità della persona, garantita dal fatto che ognuno
avrà lo stesso corpo, la stessa anima, lo stesso spirito. La grande speranza
di Origene era che tutti gli uomini, liberamente, sotto la guida del Logos
divino (cf Contra Celsum 8,72), potessero arrivare alla perfezione: i loro
corpi saranno così rivestiti di qualità migliori, le loro anime si dirigeranno
solo verso il bene e i loro spiriti saranno pienamente risvegliati e uniti a
dIO.
la reincarnazione e il concilio costantinopolitano
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Spesso si sente ripetere che nella Chiesa dei primi secoli fosse viva la
credenza nella reincarnazione, e che la condanna delle teorie
reincarnazioniste venne operata dal concilio costantinopolitano II del 553.
Per giustificare ciò, si fa riferimento ad un sinodo di Costantinopoli indetto
nel 543 dal patriarca Menas, nel quale si approvò una serie di
anatematismi contro l’origenismo, diretti a quei teologi che nel VI secolo si
ispiravano più o meno correttamente al pensiero di Origene.
Nel testo del sinodo in alcun modo si tratta della reincarnazione, in quanto
questa non era professata da nessuno dei cristiani a cui il concilio si
poteva rivolgere, Origene compreso. I canoni invece si occupano della
questione della preesistenza delle anime (canoni 1 e 2) e dell’apocatastasi
(canoni 7 e 9): ci si oppone alla reintegrazione cosmica, vista come
possibilità che cristo nel mondo futuro venga di nuovo crocifisso anche per
i demoni e gli empi, ed ottenga per loro la salvezza.
Canone 7: Se qualcuno dice o ritiene che il signore gesù cristo nel secolo
futuro sarà crocifisso per i demoni, come anche per gli uomini, sia
scomunicato.
Canone 9: Se qualcuno dice o ritiene che la punizione dei demoni e degli
uomini empi sia provvisoria, e che un giorno avrà fine e vi sarà una
reintegrazione (apokatàstasis) dei demoni e degli uomini empi, sia
scomunicato.
A questi canoni, che, oltre a non fare parte degli atti del concilio
costantinopolitano II del 553, neppure trattano dell’argomento
‘reincarnazione’, alcuni ne aggiungono altri, falsamente attribuiti al
concilio. Essi sono dedicati ad argomentazione ancora diversa (il passaggio
di stato), non già all’idea della trasmigrazione delle anime.
la reincarnazione dall’Esoterismo alla cultura contemporanea
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Ipotizzato come storicamente autentico il dissidio tra reincarnazione e
Chiesa antica ed eccettuando la diffusione post-romana della teoria in
correnti settarie, tipo ebraiche ed islamiche, l’idea reincarnazionista
gradualmente scomparve per poi venire tramandata unicamente dalle
discipline esoteriche dei templari, dei cabalisti, dei rosacrociani; ciò sino al
pensiero rinascimentale.
Un nuovo sviluppo si ebbe con l'Illuminismo e il Romanticismo (XVIII e XIX
secolo), quando autori come Von Helmont, Kant e Goethe, riportarono
nelle loro opere considerazioni sulla reincarnazione.
A cavallo tra la seconda metà del XIX secolo e la prima del secolo scorso,
un forte risveglio spirituale fu avviato da Rudolf Steiner (Croazia,
Kraljevica 1861- Basilea, Dornach 1925), filosofo austriaco fondatore della
società antroposofica. Centro di questa dottrina è la distinzione, nell'uomo,
di sette principi (dal corpo fisico a quello etereo e astrale, dall'io all'io
spirituale, allo spirito vitale e all'uomo-spirito). Con la morte il corpo fisico
si dissolve, mentre quelli etereo e astrale accompagnano l'io in un periodo
di sonno profondo che precede le successive incarnazioni fino al ritorno
allo spirito puro. Insieme con la società antroposofica, si svilupparono più
tardi pure la società teosofica, che propugna un ritorno alle fonti della
sapienza antica, specie orientale, fondandosi su un’accettazione sincretica
delle verità proprie di ogni religione del passato e ritenendo possibile il
contatto diretto con la divinità, e lo spiritualismo, credenza misticoreligiosa che attribuisce all’intervento degli spiriti dei morti i fenomeni
medianici e paranormali.
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Nella cultura contemporanea mondiale la credenza della
reincarnazione è legata perlopiù alla grande ereditarietà
della cultura indiana, indi, ad Induismo e Buddhismo e alle
dottrine filosofico-religiose, specie orientali, che da questi
hanno tratto origine.
la reincarnazione
Cancellario
Giada
attraverso
D’Ambrosio
Daria
di
la storia, la filosofia, la religione
Mogavero Federico
© 2005
Sacco Gianmarco
la fine
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la reincarnazione attraverso la storia, la filosofia, la religione