Che cosa meravigliosa è la vita,
anche nei suoi aspetti più terribili;
come la mia anima è piena di gratitudine
e amore verso Dio per questo!
Così parlava da un letto di dolore una giovane ragazza
che Santa ancora la Chiesa non l’ha proclamata,
ma di certo lo è già nei nostri cuori
a
vi
per tutto l’amore che ha sparso intorno a sé.
Il silenzio è la
per andare a
Dio
La pace è il riposo
dell’anima in Dio
La Croce è
il senso di tutto
uole
Dio ci v bini
m
a
tutti b
Il dolore ci butta
tra le braccia di Dio
La preghiera
è
il respiro de
ll’anima
La Storia della Venerabile
Benedetta Bianchi Porro nasce a Dovadola l’8 agosto
1936. Appena nata, seconda di sei figli, si rivela cagionevole di salute tanto che mamma Elsa le impartisce
subito un battesimo di necessità con l’acqua di Lourdes. Ha pochi mesi quando viene colpita da poliomelite, una malattia che le provoca l’accorciamento della
gamba destra e la costringerà a portare una scarpa
ortopedica, nonché, più avanti, anche un fastidiosissimo busto. Non è agile
come gli altri bambini, certo, e quando deve salire in bicicletta si allontana
per non farsi vedere ma, se si sente chiamare “zoppetta”
dai compagni, lei non se la prende: «In fondo dicono la
verità. Sono zoppa». Questa bimbetta dalle lunghe trecce
nere è comunque gioiosa, solare, con un bel caratterino volubile; corre, salta coi fratelli trascinando la gamba malata,
gioca alle bambole e anche alle costruzioni, mangia la cioccolata, coglie fiori da portare alla Madonna, legge tantissimi libri, ama la
natura e la vita di campagna e, all’età
di cinque anni, per volere della mamma, già annota i
fatterelli della sua vita in un diario, «il mio libro», come lei chiama questo
compagno di vita. A otto anni riceve la sua “indimenticabile Prima Comunione”, la prima di tante altre che saranno la sua gioia: «Oggi è una bella giornata e anch’io sono felice perché ho ricevuto Gesù nel cuore», scrive qualche anno dopo nel suo diario. Per i numerosi spostamenti
della famiglia a causa del lavoro del papà Guido, ingegnere, e della guerra che imperversa nel Paese, Benedetta
cambia spesso la scuola, ma questo non le impedisce di
prendere sempre dei bei voti, addirittura “moltissimo” in
religione! Scrive talmente bene che
Il libro è il più caro
amico della nostra
l’insegnante legge i suoi temi a tutta
solitudine...
la classe, ma lei non vuole: «Lodano
una cosa che non è mia. È un dono
del Signore...e non voglio mortificare i compagni che
questo dono non ce l’hanno». Anche quando la famiglia si trasferisce definitivamente a Sirmione, Benedetta continua a frequentare la scuola con voti eccellenti.
E quando non studia passa intense giornate a fare
passeggiate, a fare il bagno nel lago, a suonare il
pianoforte, a leggere gli amati libri. Poi un giorno, al
liceo, durante una lezione di latino, si accorge di non
sentire più bene. È il primo dei tanti sintomi di una
rara e incurabile malattia che sta per cambiare la
sua vita. Però non vuole scoraggiarsi al timore di diventare sorda… le rimarrebbe comunque la voce
dell’anima: «È questa la voce che devo seguire». Si iscrive all’Università di
Medicina a Milano. Vuol fare il medico: «Voglio vivere,
lottare, sacrificarmi per tutti gli uomini». Ma questa
bella ragazza sempre curata, ben vestita e pettinata,
con quei suoi immancabili e adorati orecchini, non
cammina più tanto bene, deve aiutarsi con un bastone,
ed è ormai quasi completamente sorda, tanto che alle
lezioni deve farsi accompagnare da un’amica per rispondere all’appello. E alle umiliazioni fisiche si aggiungono quelle morali… ad un esame, quando chiede
al professore di scrivere le domande che non capisce, lui getta via il suo libretto
gridando: «Non si è mai visto un medico sordo!».
Dirà alla mamma a casa: «Il professore è stato
buono perché non mi ha rovinato il libretto». Nonostante questo episodio riesce a dare tutti gli esami. Viene respinta soltanto all’ultimo, ma ormai ha
imparato quanto basta per diagnosticarsi da sola la
terribile malattia che inesorabile avanza. Subisce un
intervento che la paralizza. A poco a poco perde anche il gusto, il tatto e
l’olfatto. Dopo un
altro intervento perde pure la vista. Benedetta non vede, non sente, non si muove, è sola
con se stessa, nel buio… gli unici contatti col
mondo là fuori sono un filo di voce e il palmo
della mano destra rimasto stranamente sensibile ai gesti e ai segni dell’alfabeto muto.
Due viaggi a Lourdes non le guadagnano il miracolo della guarigione del corpo ma quello dell’anima:
«Mi sono accorta della ricchezza del mio stato e
non desidero altro che conservarlo». Non nasconde il dolore, non nasconde la sua paura e la
debolezza, ma trova nella fede la forza di accettare con pazienza e docilità la volontà di Dio, che per
lei è la croce della sofferenza. «Da quando so che
c’è Chi mi guarda lottare cerco di farmi forza».
Sì, Gesù è con lei, le sorride; lo sente vicino e la incoraggia ad andare avanti, a percorrere questa via di
dolore fatta di giorni tutti uguali, immobili, dove ogni suo bisogno dipende da un campanello che suona e qualcuno che accorre. Ma è nell’anima che Gesù le fa vivere una vita straordinaria, la vera vita…
Non sembra più neanche lei la malata quando la
sua stanza si affolla di amici, e amici degli amici, e
conoscenti, e sconosciuti
bisognosi. A volte intorno al suo letto ci sono fino a
quindici persone e lei si preoccupa di tutti e di ognuno: è lei che, gravemente malata, li conforta, li incoraggia, li consola uno per uno. Da quel letto, da quel
corpicino menomato e inerme si sprigiona un eccezionale messaggio di vita, di amore, di amicizia e di
speranza. Benedetta ascolta tutti con quel palmo di mano, parla a tutti con
quel filo di voce, arriva a chi è lontano con le numerose lettere che detta… e
sono parole di infinita saggezza, sono perle di grazia che Dio le lascia trovare
per giungere ai cuori di chiunque! Muore il 23 gennaio 1964, a soli 27 anni,
dicendo un semplice «Grazie» a Dio per tutto ciò che
le ha concesso, mentre un uccellino si poggia alla sua
finestra e una magnifica rosa bianca sboccia in giardino, in pieno inverno. La stessa rosa che ha sognato
la notte della festa dei Santi sospesa in mezzo a una
gran luce che si diffondeva da una tomba spalancata
del cimitero di Dovadola, nel paese dove è nata e dove ora riposa. Il dolce segno della sua santità...
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