MARCO PATTACINI aNcHe StAnOtTe Ho CaMmInAtO Nel LeTtO In estrema sintesi: questa vicenda potrebbe essere realmente accaduta, oppure no. E’ La storia di un paesino detto Popoli e di lui: laFamiglia Agostino baraCCa, in molte cose fissato, direi quasi inchiodato quando pigliava dei dritti. Su tutte però, uno prevaleva: le necessitA’ Fisiologiche. Cercando il senso dell’Aldiquà partendo da unCimitero 1 le rive in cerca di terre da inghiottire, rapinare, figlie d’un cielo a lungo stracciato. E chi se l’aspettava una roba del genere? &Perché? Quando aPopoli arrivò la piena, per il resto del mondo erano le cinque del mattino, Lì, invece, s’affacciava un’alba triste segnata dall’amarezza del disarmo: estremo sapore del limite. I pioppi, che prima si stagliavano alti verso il cielo con spoglie braccia desiderose d’abbracciare una nuvola o almeno un sogno, venivano lentamente ma inesorabilmente inghiottiti. Surreali, spuntavano solo i rami estremi, aggrappati al chissà dove. Flagello diDio per taluni, na sfiga dellaMadonna per altri: disgrazia era, quest’è certo. Dall’alto del Piemonte alle foci del Polesine interi paesi erano nelle medesime condizioni, temendo d’esser spazzati via dalle torbide e tormentate acque d’unPo divenuto troppo. In quel diPopoli quella notte s’allagò la sacca grande e con essa sparì ilCimitero completamente sommerso fino a che l’ultimo degli ultimi lumini s’allontanò scrivendo la prima veritàPerduta: il mondo ha bisogno di camomilla. Disarmati i popolani, non poterono far altro che assistere a quell’atroce spettacolo, formando una lunga fila sull’argine maestro. Il grande fiume gonfio a dismisura, aveva letteralmente staccato in due terre fino a qualche giorno appresso visibili. Largo come il mare è ciò che non si vede più: largo come il mare in un’alba triste. Così Popoli restò l’unico paese al Nell’Aldiqua esistono tanti paesi: alcuni nascono lungo un fiume, altri sfiorano o accarezzano una costa; crescono inseguendo una strada, talvolta figlia anche della pura fantasia. Tutti, vicino, hanno unCimitero. In quella frazione detta Popoli ci si fece idea che quella della morte fosse la prima necessitA’ Fisiologica degli uomini. Lì c’era chi lo giurava: a dir loro, quello fu il lume della memoria disegnato dalle onde delPo… Quella beata cupola azzurra che da immemorabili tempi giaceva su quelle terre, pareva esser divenuta maledetta: non la smetteva più di lacrimare dannate gocce per giorni e giorni. Le acque s’arrampicavano oltre 2 mondo senza unCimitero. Unica sopravvissuta si potea veder la buca del Futuro… sulleOnde delDNB Vicino alla stravecchia Chiesa diPopoli c’era un piccolo convento monastico che, se non decrepito, si presentava certo malandato. Apparteneva alle setteSorelle. Cioè: a onor del vero, il loro Ordine era quello delle Serve di Maria Immacolata et Santissima Madre dei Figlioli Perduti per il Mondo. Ma siccome ripetere tutte le volte: - Buon giorno suorGiacinta devota all’Ordine delle Serve di Maria Immacolata et Santissima Madre dei Figlioli Perduti per il Mondo era una fola per non dir di peggio, fu collettivamente stipulato un riassunto, ribattezzandole setteSorelle. Visto e considerato, traparentesi, che per aver fede al loro Ordine - che per misericordia mia e vostra non riscriverò mai più per esteso avrebbero dovuto essere comeSorelle nel tempo. E quant’è lungo il tempo in clausura, non lo è da nessun’altra parte: eternamente Suo. Per scelta. Pensate che per misurare il tempo in modo comprensibile, Agostino si ripeteva quella famosa massima: voi provate a stare dieci minuti in attesa della vostra morosa, poi provate a sostare dieci minuti con il sedere nudo su una stufa accesa e vedrete subito la differenza, vacca d’un cane. Ma le setteSorelle, invero, apparivano speciali anche per il fatto che di straforo a tutti, misero su una radio clandestina che quando meno ve l’aspettavate s’infilava dentro i programmi degli altri e ci dava giù di brutto. In latino, in 3 dialetto, in italiano, le setteSorelle aspettavano solo il momento più propizio poi s’infilavano dentro per dir lo di lor pensiero attraverso suorPlacidia che possedeva un vocione rauco e importante allo stesso tempo: dono diDio e delle sigarette che, per dispensa della badessa, potea assaporare. Per esempio, una volta s’infilò dentro Radio Maria nel bel mezzo d’un rosario e annunciarono al mondo: Berluscoro stava proclamando: tenendo alla nazione sulla libertà - Sia i popoli, sia le persone troppo spesso hanno poca memoria: inceppando così la ruota della storia in un affannoso ripetersi. Dura lex set lex… A chi è padrone di una percentuale altissima dell’informazione, dovrebbe essere vietato per legge di far politica in prima persona: così come avviene nei paesi più emancipati. - Il verbo s’è fatto carne: godiamone. E giù che diede voce a una lettera scritta a un amico finocchio. Oppure su Radio Vaticano… Innanzi tutto l’etimologia della parola finocchio: è utilizzata perché anticamente quando gli omosessuali erano messi a bruciare vivi sui bracieri ardenti, per mitigare e confondere l’odore repellente erano buttati in quantità industriale dei finocchi. Oggi, carissimo amico, non è più così. Come ha detto l’altra sera canale cinque, da noi ribattezzato canile cinque, finalmente presto ci saranno i PACS. E, allora, da quel dì potrai sposarti anche tu. In Municipio, s’intende. Per la benedizione di Santa Romana Chiesa dovrai attendere ancora un po’. Tuttavia, noi che ti siamo amiche, ti diciamo coraggio perché il signorDio ti accoglie per quello che sei e non per quello che altri vorrebbero che tu fossi. - Crediamo in un solo Dio, ma preghiamo anche gli altri. Perché aiutano milioni e milioni di uomini, ecco perché. Firmissima est inter pares amicitia: saldissima è l’amicizia tra persone eguali, ciàpa mò sù. E via discorrendo. Nell’arco di ventitré anni s’erano ridotte a sette: le morti, quanto le nascite, non si nascondevano: di novizie neppur l’ombra, e sulle lapidi si potevano contare le promosse, dacché assunte in cielo. Restavano all’appello dell’Aldiquà: suorGiacinta, suorElisabetta, suorPlacidia, suorAlberta, suorCometa, suorAnna e suorCandida la badessa, ma per tutti non eran più che una. Nessuno ha veduto mai il dì loro volto, sorriso, pianto. Nessuno. Solo la flebile e adeguata voce, unica in grado di scavalcare tende, contro tende e grate, era nota. Tuttavia, anche per chi coltivava l’abitudine di colloquiar con esse, era impossibile distinguere se a parlare fosse l’una o l’altra. Condividevano persino i modi di dire, gli accenti, le inflessioni: in natura diverse, cercavano comunione nelloSpirito, le setteSorelle. Una benedizione da tutte le tue amiche… Ci vuole del coraggio e mai e poi mai ci si sarebbe aspettato che fossero proprio delle religiose a scandir tali ardite affermazioni. Un'altra volta interruppe un discorso che 4 Eccezion fatta per suorPlacidia laBirichina, che appassionatamente assaporava le Gauloise, perciò sfoderava un vocione alla Jak Follak, e giù che ci dava di legna con la radio attraverso quell’antenna invisibilmente attaccata al crocefisso che svettava sulla Chiesa… introducendosi su Radio Maria ti fa: Oh, giuro: gli rispose così. A raccontarla sembrerebbe una favola, d’accordo, eppure suorCometa replicò in tal modo, con candida flessuosità, sottovoce: - Un bell’accidente, veh… Bisogna ammetterlo: parea disarmante. E anche il signorAgostino, di solito poco propenso alle convenzioni, non trovò modo di proseguire. Sicché, letteralmente muto di parole passò un lunghissimo minuto, che già iniziava al sapore del silenzio. - Dio ti aiuta, Berluscoro si aiuta: altro che unto dalSignore: è bisunto… - Ho capito quant’è lunga l’eternità dopo aver ascoltato un comizio di Pannella, proclamò introducendosi nelle frequenze di Radio Radicale. - Nella stanzina troverete tutto il necessario. Nell’armadietto ci sono lenzuola e salviette di ricambio, ma se vi necessita altro, non esitate a tirare il cordone posto al fianco della scrivania: una di noi vi raggiungerà. I pasti, se vi può andar bene, li serviremo alle otto, alle dodici e alle diciannove. Ah, quasi dimenticavo, perdonatemi… nel bagno troverete anche lo specchio, speriamo che sia grande abbastanza e vi possa bastare: se, come avete detto, vi fermerete solo una settimana dovrebbe esser sufficiente. Un’ultima cosa, purtroppo in questo periodo fa molto freddo, e i nostri riscaldamenti, come avrete presto modo d’apprendere, non sono molto efficienti; per di più i serramenti sono piuttosto malandati, con vetri sottili: sicché vi abbiamo dato due panni, uno lo troverete nel comodino. Comunque, ripeto, non abbiate timore di chiedere, buona notte… Oppure… a Radio Padania Libera: - Gli extra comunitari sono ultra necessari, perché solo se ci si mescola l’Aldiquà, assomiglia all’Aldilà. E così via. Comunque sia, durante una di quelle furibonde liti con se stesso, Agostino baraCCa ebbe la felice pensata di starsene per qualche giorno in quella parte del convento dedicata all’ospitalità. - Ho bisogno di riflettere, sorella, di pensare. Allora ho considerato che forse qui, fuori dal mondo e solo con me stesso, poteva riuscirmi meglio, più facilmente. - Buona notte. - Un bell’accidente, veh… 5 Replicò lui tutto d’un fiato, così com’era solito fare d’istinto. Avrebbe voluto aggiungere grazie, almeno, ma a stento riuscì a pronunziare quell’automatica risposta. O forse avrebbe potuto chiederle chi era delle sette, ma quel tono così complice - che se non fosse per rischiar l’irriverenza si potrebbe definir suadente - gli entrò nell’anima, di per se bastevole a esercitar la necessitA’ Fisiologica del sonno, su cui rimboccare le ruvide, spesse coperte. Alle otto in punto, la ruota - marchingegno di legno che permette di trasferire oggetti da una parte all’altra di una parete senza vedere nulla - ruotò. Ma quel ch’è peggio è che quell’arnese ingrato, faceva un atroce cigolio che catapultò baraCCa dal limbo dei sogni alla luce del dì. riacquistava la perduta tranquillità del tutto a posto madama la marchesa. Traparentesi, lui aveva un vero e sincero odio per il telefono, figuriamoci per i telefonini. Apparteneva a chi non riusciva a parlare senza gli occhi. APopoli lo sapevano tutti quel fatto li, tanto che qualcuno voleva perfino chiamarlo Pronto?, perché come lo diceva il signorAgostino quel pronto?, non lo diceva nessuno. In quelle poche sillabe riusciva a far passare quasi un ragionamento compiuto d’irrevocabile antipatia verso quell’aggeggio cieco che fa tuu…tuu... Ma per decisione unanime il signorAgostino baraCCa era l’unico a non dover esser soprannominato, così com’era d’uso far da queste parti ad’una certa età. Visto e considerato che il nome ti era rifilato appena nato senza conoscenza alcuna di chi tu fossi inseguendo un modello, e il cognome si mostrava come la targa genetica. Beh, a lui, baraCCa gli’andava senz’altro a fagiolo. Onomatopeico, direi. Oltretutto, quando si presentava, quel baraCCa lo marcava proprio così: calcando la mano su quella doppia CC che a suo dire stava a significare consorzioCooperativo, definizione che lui sosteneva esser propria dell’umanità. - E questo non si presentava certo quale un bel modo di svegliarsi, ha fin da subito pensato ad alta voce. E puntualmente è arrivato un sonoro: - Porca miseria, le belè ot’or, e vag in bàgn. Sì, al signorAgostino gli scappava di parlare da solo. Frequentemente, per di più. Da qualche tempo però la tecnologia gli era venuta incontro forte come un tram, vacca d’un cane. Giacché ogni tanto queste sonore valutazioni, o ipotesi che dir si voglia, gli balzavano fuori mentre camminava per strada o in macchina fermo a un semaforo raggelando in tal modo gli ignari spettatori, da quando esistevano, i signori cellulari gl’era divenuto ben più semplice esercitare l’arte del camuffarsi: gli bastava appoggiare la mano su un orecchio come stesse telefonando, e il gioco era fatto. Chi prima lo guardava con fare sconsolato, immediatamente Fatto sta che dalla fumante ruota si sprigionò il vapore profumato del latte caldo che nell’aria si sposava con l’aroma del caffè, anticipando ai sensi il gustoso sodalizio. In una scodella alcuni tozzi di pane raffermo con a fianco una tazzina di marmellata alle prugne, la sua preferita, ottima per di più: vedi che anche le giornate nate storte possono raddrizzarsi. Si disse mentre proseguiva lo spezzettar bocconi con quel rimasuglio di denti veri e fasulli che abitavano la di lui bocca. 6 Non sempre, ahimè, ma talvolta anche le cose principiate male, possono mutare: altrimenti cos’è la speranza, continuava a borbottare tra sé e sé. Solo dopo aver boccheggiato capienti tiri dall’amata pipa, si arrecò nel piccolo e dimesso bagno, e, terminato di spennellar lo viso con saporosa schiuma, un attimo prima d’impugnare il rasoio volse gli occhi all’insù vedendosi nello specchio. Rimase incantato. In alto, con rosso rossetto vergato, spiccava un lascito: Rifletti con la tuaFamiglia, se puoi. Di buon cuore gli scappò un: neppur in tempo a sedersi di fronte alla grata del parlatorio che sentì aprirsi la porta a lui nascosta: quasi che tirando quel cordoncino avesse dato la scossa, anziché suonare. - Buon giorno, esordì suorCandida, vi occorre qualcosa? - Si: capire, sparò Agostino con fare poco elegante. Che cosa significa quella scritta sullo specchio? - Ah, già: lo specchio.... Sono in molti, sapete, a rifugiarsi qui… e tutti, invariabilmente, ripetono quel che anche voi avete detto: sono venuto fuori dal mondo per riflettere con me stesso… Allora suorAnna, tra noi la più burlona, siccome una signorina nostra ospite aveva dimenticato il biuticase, perché almeno qui poteva evitare il trucco, ha scritto quel che ora potete leggere sullo specchio… - Porca l’oca… La bocca giaceva spalancata e inerme nel bel mezzo delle carnose guance saponate, mentre lesse e rilesse quella frase… chi cavolo l’avrà scritta?, e quando?, e perché? Sopra un frullar di pensieri emersero allora le considerazioni udite la sera precedente… Nel bagno dovreste trovare anche lo specchio, spero che sia grande abbastanza e vi possa bastare… dovrebbe esser sufficiente. Ma che storia è questa?, vuoi vedere che le pieSorelle, stanotte, si sono intrufolate nella mia stanza per farmi sto bel scherzetto col rossetto… Ma no, è impossibile. Oppure, l’avranno scritto prima che io arrivassi; ma come avranno fatto a presagire che nutrivo la necessitA’ Fisiologica di riflettere? Boh… chi lo sa. Adesso tiro il cordoncino e glielo domando, pensò mentre a lunghi passi s’accostava allo scrittoio. No, fermati, rasati prima la barba, s’impose mentre riprese la via del bagno. Ma cosa diavolo me ne frega della barba adesso, tanto qui non mi vede nessuno, si replicò giusto sull’uscio. Dietrofront: ho bisogno di capire, fan bego la schiuma e la barba. Famiglia complicata quella d’Agostino … molto complicata. In ogni modo, non fece - Rifletti con la tuaFamiglia, se puoi… scandì baraCCa ripercorrendo quelle semplici parole incastratesi come un chiodo fisso nei suoi più reconditi meandri mentali. - Proprio così: gli specchi riflettono, talvolta più di coloro che vi si accostano, e non c’è bisogno d’andare fuori dal mondo per comprenderlo, ma dentro. Sapete, quando una di noi è costretta a uscir fuori da qui per farsi curare, saluta le sueSorelle dicendo: pregate per me che sono obbligata ad andar fuori dal mio mondo. Vedete signorAgostino … Il mondo, è il proprio mondo…. santoMondo…. 7 Ha aggiunto in conclusione suorCandida la badessa, con l’immutabile fascinoso sussurro sottovoce. E chi si sarebbe mai aspettato delle suore così. Chi?, continuava a interrogarsi ancora una volta spiazzato nonché muto di lingua, Agostino. Mentre lei, quasi riuscisse a scavalcar con gl’occhi del proibito sguardo, tende, contro tende e grate, percependo il di lui imbarazzo, sorrise di cuore… - Altroché, se lo è… - Allora, buon giorno, signorAgostino. - Vacca se è un buon giorno… Replicò incapace di controllarsi. Certi termini con determinate persone sarebbe meglio evitarli ben inteso, ma qui, forse, qui era meglio esser ciò che si era: vacca compresa, si scusò lui. D’altra parte anche loro usavano degli Amen assai particolari. Il suo cervello continuava a masticare mentre col pensiero accompagnava suaSorella fuori dal parlatorio; lunghi, freddi e spropositati corridoi che nella sua fantasia si contrapponevano a minute cellette, ove, in modo dimesso, anch’esse si ritiravano per riflettere. Nessuno lo vide mai l’interno di sto convento: e ognuno se lo immaginava a modo suo. Poi, il rumore della porta chiusasi alle spalle, riportò baraCCa al presente, ancora una volta non aveva detto grazie. Eppure ce n’era di bisogno, dacché quelle parole l’avevan fatto ragionare, e, traparentesi, non più solo con se stesso, ma con la suaFamiglia. A tal proposito, nella carne, Agostino potea definirsi un fortunato: non che il suo fisico fosse da Homopalestrato, quest’è certo, ma neanche da buttar via, anche se gl’anni iniziavano a lasciare segni sempre più evidenti. Nel pensiero invece, ecco, nel pensiero un po’ Homosbalestrato lo era. Non un folle, a parer dei più, ma di sicuro stravagante per natura lo era. Ecco il suo DNA. Un miscuglio di geni gli rendeva rari lì capelli ed enorme il naso, mentre di carattere, al par del fiuto, appariva generoso ma assai lunatico. Pervia della qual cosa, tanti gli volean bene, e tanti no: un po’ ciò che accade a tutti, - Strana arte, quella del riflettere, del pensare, del ponderare, non credete? - Si: vera e propria necessitA’ Fisiologica, direi, rispose lui col forte fiato dell’istinto. Però non capisco cosa significhi sta storia dellaFamiglia… voi stessa mi avete confermato che chi viene qua desidera stare solo con se stesso… - E’ così… ma dal nostro punto di vista, ogni persona è unaFamiglia…. Mi spiego meglio: essendo gli uomini di carne e pensiero costituiti, fin da principio s’è in due. C’è poi chi vi annette un’anima, o più laicamente una coscienza, noi preferiamo chiamarlo Spirito. Tuttavia anch’esso c’è: e siamo a tre. E questo solo per parlare dell’umana natura, si direbbe. Ma voi, senz’altro sapete che l’uomo, vi aggiunge la storia. Gli antichi dicevano, per l’appunto, che le persone sono Naturae e Nurturae, Natura e Storia. DNA&DNB, insomma. Perché la storia? Perché ogni uomo abita nel tempo… Passato, Presente e Futuro: io sono ciò che nel tempo sono stato, e in funzione di quel che domani vorrei essere. E siamo a sei… Voi cosa ne pensate?, non è unaFamiglia di discrete proporzioni? 8 invero, ma forse in lui tanto l’amicizia quanto l’inimicizia erano più evidenti. Dacché raramente si concedeva all’ipocrisia, piuttosto cercava il confronto, arte del sopravvivere dell’Aldiquà, purché fosse schietto come il suo amato vino rossoVivo. Mentre il DNB, la storia d’Agostino, erano vicende di vino, per l’appunto. Ereditaria, per di più. Nutriva per quel nettare un sincero amore, anche se, come in tanti casi avviene, puntuale come le otto di mattina, giunse la stagione dell’odio. Ricevette in eredità una piccola cantina e una grande passione, lui: da quattro generazioni, in realtà, in quel diPopoli i baraCCa producevano vino e intrugli vari purché dotati diSpirito. E anch’esso, ben poco prodigo negli studi, giunta la maggior età scelse d’esercitare lo nobile mestier del cantiniere, annullando d’un sol colpo i sogni dei genitori che lo vedean di già notaio. senza veder futuro: giacché chi non lo scorge, non riesce a esercitare l’importante necessitA’ Fisiologica detta progettare. Allora il vivere diventa sopravvivere. E il presente si fa insopportabile. Invivibile direi. Porca miseria, umana compresa. Così il vino si fece calice amaro: non più capace di rallegrare, ma, al contrario, di rattristare. Sì, desideroso com’era di non sentire il male, baraCCa, per un certo periodo della sua vita non si risparmiò nel bere, quasi fosse andato in cortocircuito: dal produttore al consumatore. Arrivando a raschiare il fondo del barile per scoprire oltretutto che era vuoto. Solo da quando prese ad accettar lo male come parte del sé, il dolore non lo disarmava… e il vino riprese a essergli compagno, non più nemico: - PerBacco & perMe… Aggiungeva sottovoce quasi a non voler far sapere ai più la sua prossimità con l’incarnato et blasfemo Spirito diVino. Agostino baraCCa apparteneva di diritto al club degli stravaganti. E, così come tutti quelli che abitano sto modo d’esser, era turbato. Aveva il dono del creare e amava ripetere che a quelli come lui ogni tanto gli montava la panna. Era sua opinione, per l’appunto, che ispirazione e disperazione fossero vicine di casa: abitando sullo stesso pianerottolo. La sua natura era particolarmente vulnerabile ai chiodi fissi. Oltretutto, come agli umani accade, si trovò ad affrontare grandi problemi come, ad esempio, il rapporto con la malattia, perché nel tempo si era persino indisposto. E di brutto: oggi doveva convivere con un fegato scassatello e col virus dell’HIV. Perché purtroppo per un lungo periodo trovò più - fan bagno la patria potestà: da oggi farò ciò che desidero, sentenziò un bel dì. Farò loSpirito felice, perBacco. E per lungo tempo ne fu appagato… Purtroppo, però, il signorAgostino era anche Homotormentato, non sempre abitava la serenità: talora i suoi pensieri si facean cupi, direi bui al futuro. E il suo cielo si popolava di quelle nuvole che De Andrè raccontava nere come un corvo. Io non so se anche questo fosse dovuto ai suoi geni poco geniali, proprio non lo so, ma sono sicuro che quelle nuvole, quelle nebbie di padana memoria che talvolta popolavano la sua mente, gl’impedivano di vedere innanzi, incastrandola in un presente senza senso. E’ difficile vivere 9 facile ficcare la testa sotto la sabbia: incapace di vivere le proprie difficoltà. Solo col tempo imparò a condividere il dolore che la vita alla fine ti riserva. Insomma, larga parte della sua vita fu un vero e proprio calvario nel quale utilizzava sostanze stupefacenti a man bassa. A onor del vero quelli diPopoli si divisero tra coloro che comprendevano la sua persecuzione e chi invece lo condannava a priori, poiché era più facile infliggere una pena a un tossico che era per certo una testa di legno, per non dir di peggio. E’ ciò che avviene un po’ dappertutto, purtroppo. La differenza è che Qui, per fortuna, in parecchi avean sospeso il giudizio e in tutti i modi si resero disponibili ad aiutarlo. Lui però era incastrato nell’eroina. Per la bellezza, si fa per dire, di quasi vent’anni si era letteralmente impossessata della di lui persona o maschera che dir si voglia: visto che oltretutto sta maledetta roba gli trasformava addirittura lo sguardo: specchio dell’anima. Ma, se è vero che la parola esperto deriva da esperienza, si può certo dire che oggi, sulle droghe, Agostino baraCCa ne sapeva una più del diavolo, e non solo perché come tutti si era fatto di pepe. Quest’era la sua vissuta poesia sul dolore. Ben diverse tra loro negli effetti e nelle dipendenze, sostiene che tutte - e in tutte le parti del mondo - sono utilizzate per sfamare il desiderio d’alterare lo stato d’animo. Come tutte le cose, anche gli stupefacenti non sono solo portatori di male, anzi, talune hanno anche aspetti positivi o curativi. Anch’esse son bianche e nere, insomma, basti pensare al pepe. Ah, a proposito, una cliente d’Agostino che abitava nella bellissima Parma gli raccontò che un bel giorno stava preparando le cipolle al pepe, e, mentre le sbucciava una dopo l’altra, sentì suonare dannatamente al campanello. Corse frettolosamente ad aprir la porta e si ritrovò innanzi la coinquilina in lacrime. A causa dello spessore delle pareti del giorno d’oggi, lei tagliava la cipolla e a quella disgraziata lacrimavano gli occhi a più non posso, mah la modernità. Comunque, secondo lui, le droghe son così ma par difficile ammetterlo. Le sigarette rendono l’Homogalletto: macio, se si vuole. Però senza dubbio alcuno, danno una forte dipendenza e parecchio da fare a lì polmoni. Gli alcolici invece entro una certa misura possono rallegrare alcuni momenti dell’esistenza ma attenzione però: perché ci vuol poco ad assuefarsi. Quando l’utilizzo diventa compulsivo, distruggono non solo il fegato ma l’intera esistenza. Si tratta quindi di trovare l’equilibrio tra un buono e sano bicchiere e il famelico bisogno di spegnere il cervello. La Marijuana, invece, negli effetti equivale agli alcolici. Appartiene alla cultura orientale, fatti salvi gli Indiani d’America che si gustavano i loro calomè della pace in sant’unione, così come il vino alla cultura occidentale, tuttavia anche qui si fa spazio per il diffuso utilizzo. Addirittura, nella puritana America, la distribuiscono gratuitamente ai malati gravi perché rilassa, stimola l’appetito e la conversazione rendendo la vita meno amara. La cannabis dà gli stessi effetti d’un buon bicchiere e, nella giusta misura, rende l’Homoallegro. E sono tanti, ma proprio tanti, coloro i quali godono dei suoi effetti. Oltretutto, a differenza degli alcolici non da nessuna dipendenza fisica: si può tranquillamente smettere di fumarla senza provare alcun dolore fisico. E’ solo una questione psicologica: l’ho provata sulla mia pelle, ripeteva tra sé e sé. Consapevole però che se assunta in continuazione o smodatamente anch’essa diventa dannosa: può indurre alla 10 depressione e il bel vivere si trasforma in mal di vivere. Assai diversi sono la cocaina e l’eroina. Provocano un effetto opposto: uno è un’eccitante l’altro è un deprimente, ma sono entrambi terribili. Agendo sul sistema nervoso centrale in modo potente portano una fortissima dipendenza: sono vere e proprie bestie nere tanto che rendono l’Homoschiavo. La vita si fa invivibile con ste sostanze. L’unica cosa che pensi al mattino, ammesso e non concesso che sia riuscito a dormire, è dove trovare quel fracasso di quattrini che ti servono per comprare la dose giornaliera, giorno dopo giorno: la luce si spegne inesorabilmente e il fisico col cervello si spappolano. Attenzione però perché l’oppiaceo, in medicina, ha un ampio utilizzo quale antidolorifico, anche se nella nostra signoraItalia la cultura medica lo guarda con sospetto al punto di negarli perfino ai malati terminali, per il timore di un’assuefazione. Ma chi se ne frega dell’assuefazione se mi resta ben poco da vivere. Almeno aiutatemi a togliere il dolore, proferiva il signorAgostino su questo punto dando voce al signorConvinto, nome con cui Agostino aveva battezzato quel tipo della suaFamiglia che talvolta s’affacciava predicando impettito agli altri dacché prossimo al superIo o superUomo che dir si voglia…. Anche gli allucinogeni sono assai pericolosi. Innanzitutto alterano fortissimamente le percezioni psicofisiche e rendono difficoltosa qualsiasi azione, anche la più semplice come guidare l’automobile. Cuor di Leone che di nome facea Riccardo, essendo infermiere in una struttura di corteGodi dove assistono i tossicodipendenti, sosteneva che se mangiavi una bella polenta con quei funghetti lì ti sentivi nell’Aldilà. E aveva pure ragione: tanto che alcuni popoli ne fanno utilizzo in speciali riti. Ecco, di questo, Agostino non diceva nulla perché non aveva mai partecipato a queste funzioni. Tuttavia, le poche volte che li avevano provati, si era spaventato perché si sentiva proiettato in un mondo fantastico, senza esser capace di condurre il viaggio mentale, vamolà. Da ultimi, ma non per potenza, i farmaci. Si sa, le medicine sono sostanze tossiche e quindi hanno la capacità di far del bene ma a essi si associano effetti collaterali notevoli. Gli psicofarmaci, ad esempio, se assunti con la prescrizione di un medico, e, aggiungeva, che se n’intenda, hanno effetti positivi. Ma purtroppo possono indurre dipendenza. Per non dire poi se se ne fa un utilizzo personale senza guida alcuna: possono essere spaventosi e persino indurre la morte. Comunque sia, fu difficile per baraCCa archiviare le droghe nelle cose che di certo non aiutano. Dopo anni e anni di consigli e parole uditi qua e là, gli giunse un raffazzonato foglietto dal signorToro seduto su cui c’era vergato: quando il pernsier è stanco e non riposa può giungere il cuor a far da sposa, coraggio signorAgostino. Quelle poche parole scritte con affetto lo fecero rifletter non poco. Sì, forse c’era proprio bisogno che il cuore, il sentimento per la vita lo spronasse a cancellare i cattivi pensieri che l’avevano ormai inghiottito. E questo, Deo Gratia, ebbe luogo. Fatto sta che mentre passava in carrellata la sua identità, al solito pensoso e con il gomito ancora appoggiato alla misera scrivania non poté trattener la mano. E se l’andò a infilare là dove sempre cadeva durante il moto del ragionamento: aperta ad abbracciare il mento. Solo allora, 11 dopo che si era per benino impiastricciato, rammentò la barba incolta già schiumata. Agostino s’incastrava proprio in certe riflessioni, c’era poco da fare. E quando la sua mente vagolava, nulla del corpo suo aveva più importanza: solo gli occhi andavan su e giù in cerca del capire. E il resto, come immobile spettatore, quasi per risparmiare energia, restava pressoché bloccato: come un vero e proprio chiodo fisso. Rasò e lavò il viso sotto lo specchio del rispecchio, cercando in tutti i modi di cancellare quella lunga e ritta ruga che non di rado attraversava la sua fronte dandogli un fare corrucciato. Ma inutilmente. Quella maledetta, quando arrivava, arrivava: poteva far di tutto ma anche con la più forte delle volontà non riusciva a cancellarla per più di qualche minuto. E poi tornava, laScorbutica: così chiamava quel lungo solco che parea divider in due il suo corpo: sotto la carne e sopra il pensiero. giorni di fila sfavillanti torte con mandorle tostate e uva Sultanina, o preziosi asparagi guarniti d’uova sode. Oppure l’inimitabile pasta Ragia in saporosi brodi di carne, che splendore. Vera, per di più. Anch’essa debitamente servita con salsa d’erbe buone e olio, quanto loro, extra vergine. Da quella benedetta ruota che tutto negava allo sguardo, uscivano vere e proprie delizie monastiche accompagnate da profumi dell’altro mondo. E quando si va in un luogo per riflettere, per buttare fuori i tuoi magoni con persone che sanno soprattutto ascoltare convinte che questa sia la prima via del consolare, diviene assai importante anche il buttar dentro. Si tratti di fumanti arrosti o allettanti manicaretti, s’ha quasi l’impressione che compensi il vuoto che soffia da un’anima liberata. Fatto sta che quella settimana per il signorAgostino fu importante e, perché no, piacevole: dentro le già abbondanti carni che circondavano il suo addome mise un paio di chili in più, e altrettanti almeno eran quelli che buttò fuori dall’anima, sputati come si fa con i sensi di colpa. E poi, invero, quella roba li dellaFamiglia era capitata a proposito: così facendo, saldando le parti d’un tutto, riuscì a capir qualcosa in più del sé. Mica roba da poco. Oltretutto, si coglieva fin da principio, il cambiamento, giacché come gli avevano insegnato leSorelle, nel parlar con gli altri era tornato al perduto Voi. Strano, vero. Eppure appariva proprio così: una volta lo era per tutti, altro che plurale Maièstatis: ogni interlocutore, foss’anche il più stretto dei parenti, era interpellato col rispettoso voi: a rimarcare la molteplicità d’ogni persona. Marito, padre, e perfino il parrucchiere erano Maièstatis. Ora invece si utilizzava l’impersonale lei, che paradossalmente era più opportuno per coloro i quali non si conosceva nulla della - Lasciala li, quindi, sta ruga: dacché è tua, dichiarò impettito all’altro che negli occhi lo guardava sovrastato dal comandamento stampato col rossetto. - Lasciala lì porca l’oca: forse fa parte anche lei della tuaFamiglia… in ogniFamiglia c’è qualcuno che puoi solo accettare. In ogniFamiglia. La puntualità con la quale la ruota emetteva quel lancinante cigolio era sconcertante. Ci si poteva regolare l’orologio tant’era preciso; mica come i treni che parton sempre in ritardo, o le disgrazie che arrivano spesso in anticipo. Regolarmente la stanza si colmò del profumo delle abbondanti libagioni: alle setteSorelle piaceva assai ospitare pellegrini. Pervia della qual cosa, frammezzo a una sfilza d’aveMaria e parecchi paterNoster, sfornellavano per giorni e 12 loroFamiglia. Mentre il tu sembrava una scorciatoia, una via diretta se si vuole. Ciò nondimeno, ben poco adatta a comprendere che l’altro, amico o conoscente che sia, possiede una sua pluralità e foss’anche sol per questo merita rispetto. Tuttavia, la cosa più importante fu che in quel luogo Agostino prese finalmente consapevolezza d’essere uno dei tantissimi fratelli e sorelle del signorGesù che cadono quotidianamente in questo bell’Aldiquà, chiamalo poco. Terminata che fu la proficua ritirata né lo convento, diligentemente, il signorElio bussò alla porta sua, e baraCCa l’accolse con un largo sorriso riempito con un bel: TipiStrani i straniTipi E’ proprio così: ogni paese che si rispetti ha il suo matto, e, a giudicare dalla quantità industriale di bislacchi personaggi che l’abitavano, Popoli dovea esser un luogo rispettabilissimo. Malgrado ciò, quello che sopra ogni altro svettava per le sue stravaganze, era con certezza il signorElio. Alto non più d’un metro e sessanta e magro come un chiodo nonostante nessuno fosse mai riuscito a farlo salire su una bilancia dacché lui furibondo rispondeva che quegli arnesi lì non pesavano l’anima - a parer di tutti non superava i cinquanta chili. Il suo volto era pressoché indescrivibile dato che il più delle volte indossava una maschera, cosi come facevano gli antichi greci ben cinquecento anni prima de lo signorGesù nelle loro rappresentazioni teatrali, che erano specchi della vita vissuta. Tanto per dirne una, al mondo esiste il calendario fissato dopo Cristo, quello dell’antica Cina e quello Eliano: per lui siamo nel millenovecentosettantasette e se qualcuno gli chiedeva come vi va, signorElio, lui era capace di rispondervi: - Voi siete anima pura, amico mio. - Lo so, replicò con disarmante semplicità Elio: - lo so… ma ditemi, avete visto, dove nasce il vento? - Forse, signorElio. Sì, forse stavolta si… - Mi fa piacere. Un gran piacere. - Benissimo, domani sarà l’ultimo dell’anno e fra cinque giorni verrà natale, e poi perché vi permettete di chiedermi certe cose voi che festeggiate i Santi senza sapere se ci sono per davvero, e avete smesso di festeggiare i morti che ci sono con certezza? 13 Era disarmante nevvero; fatto sta che di maschere ne possedeva un’infinita collezione. Un giorno, non si sa bene chi, gli spiegò che persona vuol dire maschera, allora, poiché da quand’era nato le uniche parole sensate uscite dalle labbra d’un dottore, da tutti presunto possessor de lo saper supremo, erano riferite a un suo probabile disturbo della personalità, si mise a disturbare la personalità degli altri. Innocuamente, s’intende. Semplicemente dando forma e sembianze agli individui che in lui dimoravano con variopinti travestimenti. E le genti diPopoli, apprezzando questa ragionevole passione, non dimenticando mai di tornare da un viaggio senza una maschera da donare al signorElio. Lui, infatti, era sempre il primo a portare il ben tornato ai suoi compaesani. Di solito non si faceva neppur in tempo a disfare le valige che era già lì a suonare il campanello… - Allora è lo stesso. Era oltremodo schematico Elio, e possedeva orecchie d’argento: non sopportava chi parlava a vanvera, per questo a volte si dava perfin fastidio da solo quando esprimeva chiacchiere poco costruttive, altro che gossipe. Sia che uno gli rispondesse sì, oppure no, fissava il succinto dialogo pronunziando quelle parole: - Allora fa lo stesso. Solo se gli si rispondeva un po’ sì e un po’ no, cambiava formula, replicando: - Allora decidetevi. - Uèla… Ciò sentenziato si voltava e se ne tornava nella sua dimora in compagnia dell’ultima mascherina giunta da chissà dove. Il giorno appresso però, statene certi, era il primo che incontravate: all’improvviso sbucava da dietro un angolo o un albero, e con la nuova personalità spiaccicata sulla faccia, ti faceva: Lui, traparentesi, i suoi amici li chiamava in quel modo, e giacché di nemici non ne aveva, tutti quelli che conosceva per lui si chiaman così: - Uèla, avete visto, dove nasce il vento? - Uèla… grazie! Non mi sono scordato, avete visto… non si può dimenticare un grazie… il grazie lava il cuore. Io penso che il più bel dono di Dio all’uomo sia l’Amicizia, ed io vi considero un sincero amico. Grazie per quello che è stato, e auguri per quello che verrà. E se qualcuno gli rispondeva: - No, signorElio, non l’ho visto neppure questa volta. - Vi siete assai divertito almeno? - Si. 14 E poi spariva. Oltretutto non sopportava le considerazioni sul clima, perché le riteneva banali e ripetitive. E se a qualcuno gli scappava detto: - Voi navigate, volate, esplorate, eppure, ad esempio, nessuno ha visto un serpente in piedi, oppure nessuno ha visto il serpente corallo che ti uccide con il suo rosso e giallo, e neppure l’imitazione rossa e nera. I serpenti sono un argomento che tira tra voi viaggiatori. Alcuni sono velenosi mentre altri mordono per sport, onde per cui, inItalia, all’infuori delle vipere tutti gli altri giocano a calcio. Eppure soprattutto, soprattutto alcuno tra voi ha mai visto dove nasce il vento… nessuno. - signor Elio avete visto che spiovvigina? - L’ho visto, l’ho visto… ma purtroppo vengon giù solo quelle poche gocce che si staccano: venissero giù tutte assieme, allora sì che ci sarebbe qualcosa d’interessante di cui parlare, rispondeva lui risoluto. Un bel giorno fece comparsa in piazza, e subito notò che tutti lo osservavano con fare disincantato. Il fatto è che del tutto involontariamente quel dì, s’era infilato una scarpa bianca e una nera. Finché uno saltò su e gli disse ironicamente: Fatto sta che per la prima volta qualcuno gli rispose che forse stavolta si: aveva scorto il luogo donde sgorga l’alito del globo. Forse, d’accordo, ma era pur sempre meglio di niente, dopo tanto tribolare. Per via della qual cosa, stavolta non fu per niente conciso, tra l'altro neppure riuscì a trattenersi: cominciò a ballonzolare come fosse un saltimbanco per tutto il paese, tamburellando su d’una vecchia pentolaccia d’alluminio mentre a intervalli regolari con robusta voce proclamava: - Che belle scarpe che avete signor Elio. Lui stupito tirò un po’ su i calzoni, le osservò, e con non chalanche rispose: - Se proprio vi piacciono ne ho un altro paio a casa… - A tutto lo popolo diPopoli, udite udite: messerAgostino è tornato tra noi. Questa sera alle ventuno s’ha d’adunarsi per intero in Chiesa, dove baraCCa ci dirà, dove nasce lo vento. Forse. Era il guardiano del vento, lui: esattamente per questo era stato all’unanimità ribattezzato signorElio. Da Popoli non si era mosso mai, e questo lo costringeva, più di chiunque altro, a immaginare: persuaso com’era che questa fosse la miglior ginnastica per la zucca. Gente così se ne vedeva ben poca, così ben mescolata dentro la stessaFamiglia, intendo. E poi era forte: se l’umanità intera poteva fregiarsi d’esser andata qua o là almeno una volta nella vita, lui no: non ne voleva sapere... E poi giù che picchiava con sto mestolo l’ormai sbaccuccata pignatta facendo un fracasso da chissà. Che persino lì smarriti passeri si decisero di volar altrove. Chi l’aveva decisa sta adunanza?, lui… solo lui. Al signorElio a volte, diciamo due o tre l’anno, gli scappava la necessitA’ Fisiologica di fare un'adunanza, o, per dirlo con parole sue: 15 una ciciareda insèm. La fissava e ne stabiliva il luogo e l’argomento, gli altri non potean far altro che dir di sì. E lo facevano volentieri, perlopiù. Dacché spesso assai, erano un vero e proprio spasso queste chiacchierate insieme: Elio si presentava con abiti arzigogolati e coloratissimi, spingendo una cariola stracolma delle maschere che accuratamente selezionava per dar forma all’assortita quantità dei sé che in lui dimoravano. E ogni tentativo messo in atto per farlo desistere, risultava invariabilmente vano: Era l’interrogativo che peregrinava di bocca in bocca. Finché fraCasso, per tranquillizzare gli astanti, prese la parola… - Dove sia Elio non ha importanza alcuna, l'essenziale è che noi si faccia quel che egli ci ha raccomandato: una ciciareda insèm. Vedrete che alla fine, puntuale e a un tempo inaspettato quanto il vento, tornerà tra noi di maschere vestito, per scompigliarci lì pensieri… ne sono certo. Ne son certo, sentenziò fraCasso. Non senza fatica, allora, si rassegnarono al consiglio di dar forma al desiderio di Elio, e insieme principiarono a investigare. Invero, il signorAgostino, era imbarazzato nell’iniziare: non aveva certezza alcuna sul vento. Semplicemente avea così risposto alla domanda d’Elio perché prima di partire per quella settimana benedetta, era un continuo sbuffare, mentre al ritorno, confortato dalla guidata riflessione, il suo respiro s’era di nuovo abbandonato alla silente tranquillità che segue la bufera. Oltretutto non serbava nessuna voglia di confidare che quella trasformazione avvenne a due passi da casa sua, sia pur frammezzo a tende contro tende e grate. Per di più, le setteSorelle erano presenti al solito lì nel di loro pertugio a proposito ricavato nella Chiesa. Invisibili ma pronte nell’ascoltare, dato che partecipavano alla vita diPopoli dalla loro riparata nicchia. In ogni evento fosse esso una semplice chiacchierata con uno sconosciuto o una solenne Messa celebrata nella casa di Dio, si nascondevano agli occhi ma partecipavano col cuore: chiave d’accesso al sentimento. E poi, finalmente, baraCCa da quei giorni si era sentito un figlio di Dio caduto insieme a tanti altri milioni e milioni nell’Aldiquà, grazie a loro. - Uèla, sta cosa s’ha da fare e basta… Replicava lui recuperando lo smalto di chi sapeva ciò che voleva. Era fattoCosì, lui. Allora, nonostante il freddo becco dell’inverno, ancora una volta nessuno si tirò indietro: alle ventuno la Chiesa brulicava come non mai. D’altronde le premesse erano importanti, poiché da un sacco d’anni un po’ tutti, su suo mandato, s’impegnarono nello scoprire dove nasceva il vento. Strano ma vero, neppure uno mancava all’appello fuor diElio. Possibile?, proprio lui… dove si sarà ficcato? A casa non c’era, quest’era certo: Partigiano-Reggiano che da anni lo ospitava nel pezzo vuoto della sua grande casa colonica, l’aveva visto uscire già da un paio d’ore, al solito ammantato. Neppure potea esser al solitoBar, dacché Chador l’aveva doverosamente serrato visto l’appuntamento generale altrove fissato. Una sincera preoccupazione s’impossessò dell’animo di tutti, e i sorrisi sfoggiati in principio lasciarono il posto a un inquieto stato: - Come si farà senza Elio? 16 Mentre nella zucca d’Agostino girovagavan lì pensieri, inesorabilmente giunse l’invito… incapace di distinguere chi fosse tra esse a proferir parola, eccezion fatta per laBirichina vittima delle amate Gouloise che gli procurava fraCasso. A parte Esatto, giacché in quanto cieco era abituato a far di necessitA’ Virtù, e appariva l’unico che dal loro canto riusciva a resuscitare l’immagine del di loro viso: ed era davvero bello, a suo dire. - Forza baraCCa, raccontateci, dove siete stato e cos’avete visto, lo esortò Kalashnikow alzandosi in piedi sull’inginocchiatoio in modo da elevare la voce sul brusio che tardava a spegnersi. - Andate sul pulpito e illuminateci, dai. - Addirittura sul pulpito, figuratevi… Forza dell’esperienza, signoriMiei… - E perché no?, non c’è da esser preti per salir la in cima. Non vogliamo sentire una predica, piuttosto ci piacerebbe capire cosa proviene dall’alto della vostra esperienza, come diceva Seneca il Giovane: lunga è la via dell’insegnamento per mezzo della teoria, breve ed efficace per mezzo dell’esempio. Di questo s’ha da parlare, dunque: della vostra esperienza, sfornò l’erudito fraCasso con quel fare irrevocabile che Qui tutti conoscevano. Egli, infatti, sapeva spiegare le cose complesse rendendole comprensibili a tutti, e questo era privilegio di pochi. Insicuro ma persuaso, il signorAgostino prese allora con lentezza la via del pulpito. Le ossa scricchiolavano a ogni piè sospinto come cardini di pesanti porte, e i gradini, da lungo tempo inutilizzati, quasi per buon gusto furon dell’opinione di replicare con uno stridulo scricchiolio che descrivere non saprei. Gli anni pesavano e si facevano sentire per entrambi, amen. Di là in cima si scorgevano fazzoletti decorati, lucide pelate, e sontuose pettinature alzarsi all’insù per porger lo naso e lì occhi a conforto di quanto le orecchie non potevano ancor cogliere. Tutto tacque baraCCa compreso. Non era mai salito su un pulpito, lui: e più d’ogni altro lo testimoniavano le guance fattesi dapprima rosse per poi approdare al paonazzo degno della miglior porpora cardinalizia; per la prima volta il prominente naso non giaceva fuori tinta. Era sinceramente imbarazzato, altroché. Sia pur considerando che, qualche volta, c’aveva persin pensato di fare il prete, o meglio, a far le prediche. Ciò nondimeno, trovarsi lì senza poter impartire una sia pur piccola benedizione capace di celare quel tacito vuoto, lo riduceva all'impotenza. Finché una lacrima pesante come il piombo scese per l’increspata pelle fino a salar le labbra. E li sbocciarono le porte del sé, magiche quanto una goccia - Mi sembra giusto, ha rinforzato Esatto: dai, fateci vedere… fateci capire. Inutile dire che in bocca a un orbo quel fateci vedere fu quanto mai gaio, così, quasi si trattasse d’una corale dedita al buffo anziché al gregoriano, si liberaron gagliarde le risa. Questo anche dentro la loro nicchia, traparentesi: poiché le setteSorelle distinguevano le voci, una ad’una. Rigorosamente l’opposto di quanto avveniva aldiquà della nera e spartana grata che dal mondo le separava, dove ognuno era pressoché 17 di Malvagia: prezioso vino da lui prodotto mischiando Malvasia e altoSpirito, acquavite appositamente distillata in barba alle leggi della signoraItalia… Allora, aiutato da Bouchè, con una velocità da far paura a un Jumbo, sturarono alcune bottiglie… bisognava pur brindare ai magoni, porca l’oca. Fatto sta che in quattro e quattr’otto ognuno si ritrovò in mano un bicchiere spumeggiante del pregiato vino rubino diPopoli, quello che traparentesi sempre baraCCa produceva in santaPace, sosteneva lui. Perfino leSorelle si affrettarono a far prillar la ruota, dacché anche loro non disdegnavano brindar con loSpirito diVino. - M’è venuto il magone, gli scappò sottovoce. Ai più parve un flebile sussurro, ma non per un amico: Lesto di lingua lo capì al volo. Basta poco a un amico. Saltò su come un fulmine si da far presumere un infarto o, almeno, un ictus: - Alla salute dei magoni, ha da ultimo sputato lesto Lesto. E giù. Un sorso scese a compensare il vuoto lasciato dalla verità sgorgata. Legge di compensazione, sosteneva lui verso chiunque tentasse di fargli veder le cose anche in un altro modo. Legge di compensazione, porca l’oca. - L’era ora, dìevèl d’un càn lèder…. Era ora. Che poi a ognuno, vecchi e bambini compresi, a momenti gli pigliavano un accidente. Poi giù: di nuovo tutti a ridere, incluso Agostino, che ne aveva di bisogno. - Fin qui ci siamo: è importante cominciare bene, a maggior ragione se si tratta di ragionare, e di comprendere come i magoni appartengano a tutti. In questo semplice ma efficace modo, tutto divenne più leggero, suggellò con rinvigoritoSpirito Agostino infilandoci fin da principio il suo modo di parlare e le sue famose attaccate e inflessioni che lo aiutavano da chissà nella libertà. Vamolà… Agostino parlava in questo modo, attaccando le parole per dar loro senso, era fattoCosì baraCCa. - Vi conosco da una vita, testone, ed è la prima volta che ve lo sento dire… e lasciateli scappare stì benedetti magoni. Anzi, sapete cosa vi dico: facciamo un bel brindisi ai signori magoni, ma non per mandarli giù: al contrario, per tirarli su, aggiunse Lesto nel bel mentre sturava una bottiglia di rossoVivo. Oh, lui di lingua appariva una roba da matti, quand’era in forma. Le sparava lì con una naturalezza che avrebbe fatto invidia persin a un contaballe di prima grandezza: facendoti credere che quanto dalla lui bocca sgorgava fosse persin più prezioso dell’oro puro. Il tutto, traparentesi, con piglio regale: pregno com’era della sua etica. Era solito ripetere che era nato e cresciuto con Andreotti, passato per Craxi e adesso si cuccava Berluscoro, riuscirò a morire in pace?, si chiedeva. - E’ vero, stavolta Lesto avete proferito una sacrosanta verità: anche di quassù, abbarbicato sul mio pulpito punto di vista, i magoni è bene buttarli fuori. Anche quando costa caro, anche quando assieme vengono giù le lacrime, appare meglio poterli condividere, i problemi. Insomma, in questi giorni son 18 stato visitato dalla signora nostalgia. Quel benedetto fiume, portandosi con sé l’intero Cimitero, s’è portato appresso anche l’anima lasciandoci solo la buca del Futuro, capite? Riattaccò da lassù senz’altro temere delle amare lacrime che sul viso scendevano come gocce di rugiada a velare un fiore. Quando penso alla mia Clara, al signorFiume, o al signorPagnotta, da un po’ di tempo ahimè, per me son dolori. Non so come spiegare: quel ch’è certo è che mi son accorto come la maggior parte dei miei affetti, giaciono nel campoSanto. Mi sembra d’esser travalicato, insomma, aggiunse dopo una breve pausa. C’è una stagione nella vita, dove i legami possono sopravvivere solo nel ricordo perché morti nella carne, boia d’un mond lèdèr. Io ero complice di una sposa che mi fu amica, compagna, e partecipe. E posso solo ricordarla. Possedevo l’amicizia del signorFiume, che con la sua muta domanda, c’interrogava tutti. E non posso che resuscitarlo nella memoria. E avevo pure Pagnotta, e anche lui, non posso che rievocarlo nell’immagine. Con Clara passai gli anni più vivi della mia vita. Abbiamo riso e pianto insieme. Finché la sorte ci separò per sempre, da allora un bel pezzo del mio cuore soggiace là, vicino a lei. Direi beatamente con lei. Quando condividevamo la luce non eran certo rari i giorni lieti e quelli litigati. Quelli col sapore della ritrovata pace dopo avere per giorni e giorni discusso sul futuro che ci aspettava. Sul senso: dell’Aldiquà e dell’Aldilà. Ancora oggi, attraverso quel pezzo di cuore adagiato al suo fianco, parlo con lei. Ma non odo risposta. Né lisi né lieti, i giorni scorrono solo per me, mentre lei è posta nel meritato eterno riposo. Silente, se non nella memoria, come i giorni di Fiume d’altra parte, signoriMiei… Vi ricordate anche voi, no, di Fiume? Com’è possibile dimenticare una domanda si grande: cos’è l’amore? Spese una vita per interrogarci silenzioso su quell’eterna questione. Muto di parole la cercò nei fatti la sua risposta. - baraCCa, scusatemi se v’interrompo, ma fateci un regalo, spiegateci il vostro Fiume, lo implorò Souvenir. Raccontatelo a quelli che lo schivavano per le sue stramberie, e a quelli che non han fatto in tempo a conoscerlo con gli occhi propri: per cui son costretti a sentir su lui le tante campane. Raccontateci il vostro Fiume, signorAgostino, forza… A quel punto, un po’ tutti pensaron bene di chiederglielo a gran voce, picchiando le mani con fragorosi schiocchi che forti rimbombavano entro le ormai sgangherate cappelle e capellucce della Chiesa, tanto che se avessero proseguito ancora un po’ sarebbero cascati giù, tra l’altro. - D’accordo… d’accordo figlioliMei: ho capito. Smettetela di far casino. Oh, scusate fraCasso, ogni tanto mi scappa proprio, volevo dire confusione… - Allora dite pur casino, l’ha fin da subito rassicurato lui con un ampio sorriso, che già da se poteva bastare a rappresentar la sua serena tolleranza verso le cose che scappano. Finché tutti naturalmente attraversarono il lungo prato delle risa per poi approdare a un intimo silenzio, che permise al signorAgostino di raccontar di Fiume. - Aveva la mia età. E l’avrebbe ancora oggi se non fosse 19 per il fatto che sfidò la vita per cercare l’amore. Annegando a sedici anni nelPo. Ma per tutti. Lo chiamavamo Fiume perché li nacque e morì la sua storia. Aveva per quelle acque una passione innata, quasi genetica, si direbbe. E ci trascinava tutti nei suoi mille giochi ed esperimenti. Il nonno l’aveva istruito a dovere nell’amare ilPo: - Vedete quant’è grande, è il più ampio dell’Italia intera, ma l’hanno chiamato Po. E insieme ci sguazzavamo in quelle pulite acque. Oggi, alla sola distanza di quarant’anni, nelPo non puoi certo bagnarti visto quel che rischi di beccarti su, s’incavolava a tal proposito Agostino contro l’Homosprovveduto che si è autodefinito sapiensSapiens nonostante sia stato capace in un batter d’occhio di rovinare simili risorse. - Ma dove andremo a finire se in soli quarant’anni, che nella storia del mondo son come una briciola su una tavola imbandita, abbiamo stravolto la natura? Dove? Aggiunse per inciso baraCCa. - E Fiume era innamorato delPo: per la sua bellezza, cavalcato com’era dalle chiatte e abitato da trampolieri, aironi e cavalieri d’Italia. Con le nebbie che lentamente salivano e lasciavano scorgere agli occhi le vaporose sagome dei pioppi, alti a puntar il cielo. E i gorgoglii delle acque che portavano li sogni a scrutar dei suoi abitanti. Passò gli anni più gai della vita sua su quelle rive, a strolicare su quel fatto li, che tante volte il signorNonno gli aveva confermato: che le acque scorrevano e portavano con sé la vita di uomini e animali. Si metteva sull’umida e bianca sabbia, e pensava. Siccome un bel dì, il nonno se n’era andato a riposar per sempre nel campoSanto, chiese a mamma e papà d’accompagnarlo. Non ne poteva più delle solite scuse che di giorno in giorno l’uno o l’altra gli propinavano… non oggi, perché devo far questo; non domani perché dovrò far quello. S’impose… sono sei anni che per voi non è né oggi né domani: dopodomani io andrò sulPo, chi mi ama è libero di seguirmi, gli scrisse con mano ferma accompagnata a una determinazione che avrebbe fatto dispetto persino a un blasonato colonnello. C’andarono, ma quello per lui divenne un brutto giorno. Già di primo mattino gl’occhi della mamma erano gonfi per le lacrime versate; e quelli di papà adirati per una notte insonne passata al fianco dei singhiozzi. Quelle poche righe, le prime che Fiume aveva imparato a scrivere, con quel candido e azzurro fiume disegnato a tergo, li avevano squinternati per benino. - La colpa è vostra. - Sempre mia, eh. Sempre mia, ma voi dove state? - A lavorare sto, a lavorare… vi siete forse dimenticata che mangiamo? Fiume avrebbe potuto giurarci sopra quelle parole, nonostante quella notte non l’avesse udite: dormendo d’un sonno sognante e spensierato, felice pel giorno appresso. Ma avrebbe lo stesso potuto giurarci, accidenti. Troppe volte andavano a finire così le discussioni, tra mamma e papà. Tant’è vero che non fecero neppur in tempo a posar le biciclette che la litania, quasi fosse stata interrotta da un barlume di buon senso, riprese… - Non sarebbe cambiato granché se avessimo rimandato di un sol giorno, io dovevo consegnarlo oggi quel 20 lavoro, e voi lo sapevate, riprese il babbo. I suoi amici; illustri medici e psicologi; il prete e persino il sindaco di corteGodi si spesero per la buona causa. Però Fiume non parlava che dentro, tra sé e sé, senza che gli altri lo udissero. Che poi, traparentesi, i genitori ci moriron su quel fatto li. Con lui comunicavo con gli occhi, sapete…. si possono dire e capire tante cose, con gli occhi. Passavamo lunghi pomeriggi sulle assolate e profumate rive delPo, esprimendoci nel silenzio. Interrogandoci e rispondendoci con repentini sguardi o prolungate fissità che s’addentravano, sino infondo all’anima. Passarono nove lunghi anni d’intesa, di bagni allegri, di risa senza spiegazione e di lacrime senza compassione. Poi, un giorno, il figlio di Lapislazzuli stava annegando. Bruno con un guizzo si lanciò: nuotando nell’impazzita corrente, lo raggiunse e lo abbracciò. Lo portò fin dove la spiaggia chiara gira all’insù, proibendo alle impetuose acque di scorrer giù violente. Con gran fatica lo spinse fin quasi sulla riva l’amico suo, salvandolo. Ma lui sparì per sempre nel vortice delPo. Felice d’aver trovato risposta alla sua domanda: cos’è l’amore se non dono di se? - Io so solo che ogni giorno ne avete una, vera o falsa che sia, voi l’avete. - Sentite?, sentite cosa dice vostra madre… vera o falsa. Sono forse falsi i soldi che porto a casa? Rispondete! Ah, tacete eh… ma si state zitta che è meglio. Non vedete che lavoro per il vostro bene? Bruno l’ha capito, ma voi no. E’ vero Bruno che lo sapete, quanto vi voglio bene?, e voi… voi a chi volete più bene?, a mamma o a papà? Bruno non replicò, mai più. Si girò e di corsa si portò in riva alPo. - Dove andate adesso?, venite qua…… rispondetemi! Cos’è l’amore?, scrisse sulla bianca sabbia, e quelle furono l’ultime parole sue: poi ficcò il capo sotto l’acqua. E son certo che gliel’avrebbe tenuto fino a esalar l’ultimo respiro, se non fosse stato che il babbo, stizzito, lo tirò pei capelli. Era livido. E forse non respirava più. E, mentre lo scuoteva rabbiosamente, continuava a dir su alla madre che era sua, solo colpa sua se il loro figlio si era ridotto così. Poi di gran lena inforcò la bicicletta e si avviò per l’ospedale, con lei che trafelata li seguiva nuovamente singhiozzando. Ci vollero due mesi buoni e un gran lavoro de lì dottori per farlo star su: malgrado ciò la parola non gliela restituirono mai. Eppur sentiva. Forse troppo. Da quel giorno Bruno, per tutti, divenne il signorFiume. E Fiume non parlava. Capiva tutto ma non parlava: con occhi attenti fissava i suoi interlocutori, senza proferir nulla. - E Pagnotta? Il signorPagnotta pretese che Popoli profumasse del pane appena sfornato per settantatre anni. Non smise un sol giorno di levar dal forno fragranti pagnotte, accompagnandole sempre a un sorriso: dacché era buono come il pane, lui. Per tutti c’era una parola, rammentate? E per tutti c’era di diritto una pagnotta… anche di domenica. Anzi, soprattutto la domenica: lui non andava a messa o a consegnare l’Unità com’era d’uso a quei tempi. Bensì cuoceva una cinquantina di pagnotte e poi girava fino a quando era riuscito a regalarle tutte: a quelli che né avean di bisogno, 21 s’intende. Quelle erano le sue preghiere e, a un tempo, il modo di cercare l’Unità. Oltretutto, ogni volta guarnite d’un largo e traboccante sorriso propinato come un succoso companatico, per grazia ereditato da mamma natura. Amen. Strana la vita, n’è vero? Ti ritrovi a parlare di sorrisi mentre piangi. Scusatemi… ma m’è tornato su il magone, Uffa… quei due squinternati lì, nati e cresciuti assieme, all’improvviso avesser preso a darsi del Voi, contagiando l’intero paese. - Il vento sbuffa fuori dai magoni liberati avete scoperto messerAgostino: con un Uffa, sbottò Elio. Allora l’organo a canne diPopoli cominciò a colorare l’aria con fluenti note: quand’era in forma, Sibemolle, a quello scassato catorcio che chissà per qual grazia divina continuava a generar musica, gli faceva sputare l’anima. Era in grado di evoluzioni e voli che sarebbero capaci di far sognare anche un sordo. Un talento di mamma natura, forse. Perché Sibemolle era si geniale con la musica quanto severo nell’esistenza. Lui faceva parte di quell’organo a canne, non è che lo suonasse solamente: e spesso, giusto per sentirsi più in sintonia, lo faceva con una canna in più, di Marja, alleluja. Finalmente il signorElio scostando le tende del confessionale, si mostrò in tutta la sua magnificenza d’abito. Solo allora ognuno poté rimirarlo nel suo splendore. L’orbo Esatto compreso, poiché più d’uno si prese la briga e di certo il gusto di trasformar l’evento in una sorta di sfilata d’alta moda del pensiero, descrivendo a gran voce alle setteSorelle e a Esatto i costumi che egli indossava per l’occasione. Il primo ad attaccare fu al solito Lapislazzuli, il fabbro poeta diPopoli, che frammezzo le evoluzioni musicali che come voli di farfalla tingevano la Chiesa intera, fa: - Ripetete… - Uffa! Silenzio. Lungo et felice silenzio. Non c’era dubbio alcuno: quel flebile ripetete, era uscito come un’impetuosa folata dalle labbra di Elio. La sua voce era per davvero inconfondibile: la sigaretta sempre accesa l’aveva a tal punto plasmata che pareva più simile al gracchiar di una cornacchia anziché al parlar d’un uomo. Solo allora l’intera collezione di zucche di quei diPopoli, all’unisono prillò. Nessuno, sia pur strano a dirsi, notò che dal confessionale saliva lentamente una spessa e lamentosa colonna di fumo disegnando vortici che descriverei come eteree ed evanescenti ciambelle, di per se fedeli testimoni della prossimità del vento di Elio. E fu impossibile trattenere una liberatoria ballata delle lingue, o gaia risata che dir si voglia. - SignorElio, cosa fate lì dentro?, state forse confessandovi? Chiese allora baraCCa. -A lor signori sia ora dato di rimirar l’abito del vento, con sfoggio e prestanza senza pari indossato da Elio, anzi, dal signorElio… - Sì, vi confesso, ero curioso d’ascoltare il vento vostro, signorAgostino. Ciò nonostante, non volevo influenzarvi con la mia presenza, gracidò. Provocando il pensiero sul perché 22 Nel qual mentre suorPlacidia laBirichina se ne usciva con i suoi afuorissimi sulle celate e celebrate onde corte… gustoso mandar giù e del dir su…. - E’ un manifesto sull’inscindibile, il signorElio: sul davanti è possibile ammirare un nobile costume d’un bianco candido e sfavillante, con pregevolissima stoffa creato, su cui svetta una maschera nera che più nera non si può, ironica e trionfante alla maniera del siòrPulcinella. - New age più new economy, uguale old story…Prozac forever! - Padre Figlio e spiritoSanto, stanno a Libertè Egalitè e Fraternitè. Nel qual mentre, intanto, tutti stavano li: fissi nel guardare il sorriso largo e sincero che iniziava a disegnarsi sul volto d’Esatto, figlio del lume donato dalla signora fantasia, utile compagna d’ogni Homocreativo, ma in particolar modo gradita a chi aveva per sorte d’esser privo della vista. Poiché diventava una vera e propria necessitA’ Fisiologica capace di squarciare il buio. Di guardare avanti. Ed era facile prevedere che anche le setteSorelle, che per scelta han negato il mondo agl’occhi, stessero godendosi il medesimo spettacolo di costruire un’immagine attraverso le descrizioni altrui. Onde per cui, giacché vedere un sorriso accendersi spesso mette di per sé di buon umore, a partire in tromba stavolta fu Partigiano-Reggiano: anch’esso fisiologicamente narratore… Oppure… - La vita è un fulmine ma ci sono dei pomeriggi che non passano mai. - Essere o non essere? Mah, intanto parcheggiamo all’ombra. Dopodiché, approfittando dell’ormai spianata strada saltò su Lesto, che quando si trattava di dar sfoggio della sua capacità di sventolare la favella state pur certi che non si tirava indietro, all’opposto: ci si tuffava a capofitto, Lesto di nome e di fatto. C’era solo un’altra cosa che riusciva a fare più velocemente, anzi, due: spazzolare un bel piatto di cappelletti in brodo cui immancabilmente aggiungeva un sorso di rossoVivo, Lambrusco che faceva Agostino, celebrando il tutto con l’immancabile saetta: de gustibus non disputandum est, perpiaser… Al solito mescolando e rimestando le parole a piacer suo. Mentre, con pari abilità, si trangugiava un sorso dell’amata bevanda per diretta via fin giù a destar lo stomaco e loSpirito. E poi via, che attaccava la lingua: organo del - Lo spettacolo continua, signore e signori… MesserElio è duple fax: di qua e di là. Nella parte dietro, difatti, il tutto è all’opposto colorato: nero e pesante, il mantello copre tutto il corpo suo. Sopra, sorridente e immacolata spunta una maschera bianca come il latte che fa la Celestina, la più bella delle mie vacche, quando non ha la mastite. Anche il signorPartigiano-Reggiano era fattoCosì, lui se si trattava di fare un esempio state pur certi che si rifaceva a quel che sapeva, per cui, in un modo o nell’altro c’infilava una delle sue bestie 23 che più di tutte godevano della di lui conoscenza e riconoscenza. Celestina era la capostipite. Perciò Qui la conoscevano tutti: e sapevano che se non ci metteva il becco, la malattia, il suo latte era candido che più candido non si poteva, secondo Partigiano-Reggiano. - Traparentesi, aggiunse lamentandosi, non è possibile che nel duemila non ci siano ancora le vacche che si mungono dal lunedì al venerdì: cosa aspettano a inventarle?, sarebbero comode come lo sarebbe per un napoletano mettere il campanello d’allarme al Vesuvio, ma fa lo stesso. Porca miseria, ve lo dico io che la Chiesa diPopoli avrebbe potuto star su per un bel pezzo ancora. Perché se resse alla chiassosa risata che definir corpulenta parrebbe un eufemismo, allora superava ogni collaudo. sangue blu al par di quelli che vedi alla tivù. Solo allora si poterono notare le scarpe da lui colorate come lo è un prato a primavera… - Uelà, HominisapiensSapiens, camminiamo sui fiori, lo sappiamo o no? La vita si veste di bianco e nero perché abita il bene e il male in diverse proporzioni, ma tutti, proprio tutti, camminiamo sui fiori. Questa volta, bisogna pur ammetterlo, fu stupendo, direi insuperabile. Con la grazia d’un angelo, dando sfogo a quelle mosse a lui solo congeniali, pareva accarezzare il pavimento come stesse giocherellando su una nuvola al pari d’uno spirito celeste. Mentre a tutto tondo la banda dei quattro tromboni detta Tacabanda, vera e propria istituzione di Qui, fece una di quelle zingarate che solo un sordo non potea apprezzare. Al termine, Sibemolle, artista nato quindi Homotormentato, accompagnò nelle sfrenate danze Elio, dando fiato a una melodia mirabile che se solo non fosse pel fatto che nessuno se la ricordava in preciso, la si sarebbe potuta adottare come inno diPopoli. Era una roba strana questa, lo so. Ma anche Sibemolle appariva stravagante, e quella musica lì gli scappava solo ogni tanto. Nei momenti meno aspettati gli sbucava dalle mani come venisse da chissà dove e subito dopo dovesse andarsene chissà dove. Non si rivelava mica padrone lui di quel pezzo lì. Voglio dire: figurava chiaro che era suo, avendolo lui scovato dentro di sé e non su un libro di musica. Nonostante ciò appariva altrettanto chiaro che non poteva possederlo a piacimento, non riusciva a comandarlo: era lui che saltava fuori. E lo faceva quando gli pareva. Forse anche per questo un bel dì diventerà in pianta stabile l’inno - Oh, io uuuuu…..na una riiii…riiii…sata risata così graaaaaa…grassa non l’aaaa….l’aaaa….l’avevo seee e seee sentita mai, sussurrò al vicino di banco Giusto: sareeee sarebbe staaa… a staaa…stata capa…. capace di sfaaa…sfamare anche la più eeeee…esigente deeee…delle aaaaaa….aaaa…anime in pena. Comunque sia, ci volle un bel po’ prima che si spegnesse l’allegria. Erano felici d’aver ritrovato Elio, vamolà. Tuttavia non era mica finita li… ogni matto che si rispetti serbava sempre una sorpresa. Dopo aver salutato pressoché tutti con un abbraccio, un uelà, o, un sincero sorriso, quando giunse innanzi all’altare, Elio fece un bel paio di lente piroette in modo che tutti potessero apprezzare il bianco e il nero di cui era vestito e disse grazie di cuore per gli applausi: un grazie non lo negava mai. Infine, come si conviene, alzando i lunghi abiti si prostrò con un inchino degno di un uomo dal 24 diPopoli: mica come quello italiano che essendo nato come provvisorio è certamente destinato a restar lì a lungo. Non per sempre, forse, ma a lungo si: par fattaCosì, la signoraItalia. Fatto sta, comunque, che Elio cessò la felice ballata sui fiori solamente quando le canne dell’organo, esauste per aver dato fiato alle bizzarre evoluzioni di Sibemolle, si riconsegnarono al silenzio. Un silenzio totale, direi figlio del parecchio da pensare, e neppur parente col silenzio e basta, che nasce dal niente da dire… Questo, a mio modo di vedere, è il grande limite umano. Non siamo solo rose e fiori, in ognuno di noi, in chi è stato come in chi sarà, abitano il bene e il male, il bianco e il nero, insomma. L’importante è comprendere che nonostante tutto, lo male non c’è imposto dal signorDio ma dalla natura che non conosce giustizia se non in senso lato, sicché in ogni qual modo cerchiamo di librarcene anche camminando sui fiori, sigoriMiei, e così sia…. Bene e male abitano l’uomo in diverse proporzioni, perché la natura non è mai giusta negli individui, lo è nella vita nel modo più ampio si possa guardare, molto lato, e mai personale. Io sono squinternato di tutto punto, lo so. E molti altri, per tanti versi stanno meglio di me, almeno quanti però, ne son ahimè certo, sono quelli che stanno peggio. No, signoriCari, in tutti, ma proprio in tutti abita il bianco e il nero, sta a noi cercare dov’è la linea di confine tra i due, giorno per giorno. Il disegno supremo lasciamolo a Dio che per certo non ci ha creati col male addosso per il semplice pretesto di poterlo cancellare con qualche goccia d’acqua unita a qualche formula. Vi prego fraCasso assolveteci e riconciliateci con la vita. - Uelà, dico a voi, caro matto da slegare, ego te absolvo. Ha allora sentenziato fraCasso mentre spolverava e sfoggiava con tono autorevole l’amato latino. Lui appena poteva lo tirava fuori, intanto perché dentro quella lingua dimoravano secoli e secoli d’umana storia e poi perché sosteneva che finché si teneva desta non appariva come una lingua morta, come taluno vorrebbe. Poi, accompagnato dalle sue lunghe braccia fece un ampio gesto che pareva una sacrosanta benedizione impartita se non da un Cardinale, quanto meno da un signorVescovo che congedò l’amato figurante. - Oplà, signorElio, avete allargato laFamiglia… - Mercy, danke, thenchyu very grazie, ma la prossima volta, absolvetemi anche dal peccato originale, se potete. - Certamente messerAgostino abbiamo aggiunto il signorDio, chiamatelo poco. Adesso si che è diventata unaFamiglia importante, la mia. E, mi sbaglierò, ma mi par proprio che nasca da quel fatto li, il vento. Dacché quando uno non va d’accordo con qualcuno della sua o dell’altrui Famiglia, allora sbuffa… così com’è accaduto a voi Ha prontamente replicato Elio riaccendendo quell’affettuosa rivalità che li rendeva così amici: simili e diversi. - Assolvetemi perché e proprio da li, secondo me, che dobbiamo partire: dal peccato originale del male supremo. 25 signorAgostino. Sì, forse avete ragione il vento nasce proprio da quelli che soffiano i magoni liberati: uffa! il Welfare state diPopoli Porca l’oca, certi matti, per via del dono dell’immaginazione, vedono più in là dei normali E lo pensarono un po’ tutti, evidentemente. Perché proprio nessuno volle aggiunger parole alla brezza di Elio. E fu solo musica, allora. Che, traparentesi, a Sibemolle gli scappò un’altra volta l’inno. Roba da non crederci: due volte nella stessa serata, non era accaduto mai. Tranne stasera. Il miglior amico del signorbaraCCa risultava esser Toro, seduto un emiliano che aveva studiato a Venezia all’università Cà Foscari laureandosi in filosofia. Era padron di si tante meningi, che se sfregavi la testa sua come un cerino ne ricavavi un falò, perBacco. Aveva insegnato per ben dieci anni ai corteGodini nel loro importante ateneo. Poi, un bel giorno, stanco d’istruire a una generazione di so tuto mi, se ne tornò in quel diPopoli a esercitare la professione del barbiere. A mezza giornata però: l’altra metà la divideva equamente tra l’andar per donne, pensare e dormire. Mamma natura si era mostrata generosissima con lui: appariva alto, nonché con fluenti capelli biondi che gli scivolavano mossi sulle ampie spalle. Sembrava un angelo tant’era bello, e facea girar la testa a tutte le donne diPopoli e perfino del circondario. Come un Cupido sfilava le sue frecce d’amore, ma non era preso dal sol piacer carnale: lasciava al ragionamento lo spazio dovuto. Fu il signorElio a dirgli Toro seduto siediti ovunque ma non sui fiori. E lui lo capì subito che non si poteva esercitare il nobile mestier del pensatore sedendosi su quanto di meglio la natura ti regala. Era un figlio di papà: suo padre, infatti, possedeva un’azienda agricola con ben trecento vacche, cinquecento maiali e polleria a più non posso. APopoli non si era ambientato mai perché da giovane gli amici suoi sapevano solo giocare a pallone, cosa che lui odiava. Sicché prese a 26 soprattutto a studiare conseguendo dapprima la maturità al liceo classico di corteGodi, poi andò a laurearsi in quel di Venezia. Insomma era un emiliano che, se voleva, parlava in veneziano. E quando partiva, prendeva pei fondelli perfino il siòrPlatone per via del fatto che metteva in bocca al siòrSocrate le sue pensate. Per lui, infatti, Socrate fu il miglior pensatore della storia, il più eccellente vate. Traparentesi, quando aveva voglia di scherzare lo chiamava water. In oltre, amava infinitamente anche i presocratici e, come per Baracca, tra questi il suo preferito era il sigorEraclito che ben cinquecento anni prima che nascesse il sigorGesù predicava: aveva nessuna voglia di vivere grazie al sudore altrui foss’anche del proprio padre. Allora aprì una barberia e parra strano che in un paesino come Popoli ci fosse un barbiere che potesse campar del proprio lavoro, ma le cose stavano proprio in tal modo. Già di primo mattino c’era la fila davanti alla bottega sua, perché mentre ti lavava, schiumava, rasava e profumava; la faceva in barba anche ai soloni e ai sapientoni. Poi ti spazzolava lì capelli con far sapiente, e se si desiderava, ti faceva il taglio preferito. Non lo decideva mai lui che taglio fare: perché questo lo determinano i parrucchieri o i barbieri che pensano di saper cosa sia meglio per il proprio cliente. No, lui semplicemente ti consigliava, con abili mosse ti faceva vedere il risultato finale bagnandoti lì capelli o spazzolandoli all’insù. Ed anche color che avevano per sorte lucide pelate con rimasugli di chioma, sapevano che da lui non si sarebbero potuti aspettar miracoli, ma ciò non di meno, con maestria, aveva appreso ad acconciare le teste e donar loro grazia. Lavorava cinque ore il giorno, ne dormiva otto, e per il resto andava per donne o pensava , spesso leggendo, nei verdi prati diPopoli. Allora lo si poteva vedere appollaiato a leggere, prendere appunti, disegnare e fantasticare: in una parola a filosofare, per dar sale alla vita, ecco perché. - Vi auguro che la ricchezza non vi manchi mai perché possiate meglio vedere quanto poco valete. In oltre diceva che il siòrPlatone l’era, un furbeto parché non era democratico come la maggior parte degli altri ateniesi, esso, infatti, si qualificava come aristocratico: di quelli che pensano che il miglior metodo per governar il mondo sia quello di scegliere tra i più sapienti. Bello, bravo: ma chi decide quali sono i più sapienti. Sta tutta lì la fregatura dell’Aristocrazia, ostregheta. Socrate era invece uno che aveva in repulsione la politica, per lui esisteva solo la ricerca del sapere, un vero filosofo, insomma, e tra l’altro sosteneva secondo Toro seduto che: Sennonché, un bel giorno Agostino accompagnò Esatto dall’assistente sociale per via della storia dell’autobus. Quella che diede il via al Welfare StAtE diPopoli, così come proclamava tutto d’un fiato e in modo variegato quanto quello del suono di una cornamusa, baraCCa. Beh, intanto bisogna annotare che già a vederli quei due li erano uno spasso: lui alto e cicciottello con i pochi capelli rimasti che ingrigivano al sole, ed Esatto, orbo ma furbo, che come il solito camminava - Il siòrParon non podria averghe più di quattro volte del siòrLavorador, punto e a capo. Toro seduto era un intellettuale, insomma. Però, come si fa a mantenere uno studioso nell’Aldiquà? Lui, poi, non 27 come una scheggia. Per farla breve formavano una bella e assortita coppia circense. Dunque: intanto, giunti a corteGodi, da buoni campagnoli si presentarono con trenta minuti buoni d’anticipo, e tirati a dovere. percorreva felicemente col suo bianco bastone: per fare un po’ di movimento e, in pari tempo, risvegliando il cervello al nuovo dì. Così accadeva per il ritorno, puntuale, alle dodici e trenta rientrava nella sua amata Popoli col solito minibus. Tuttavia, siccome a utilizzare quella linea, erano in pochi, l’Azienda Consorziale Trasporti la classificò un ramo secco, quindi da tagliare. E quei pochi diPopoli s’arrangiassero pure. Senza però considerare che per un normodotato era possibile trovare alternative ma per un orbo no…. Sicché, radiosa, l’assistente sociale propose a Esatto il privilegio dell’accompagnamento. Per lui, solo per lui, il Comune avrebbe fatto spostare un’auto che l’avrebbe portato da casa sua fino al posto di lavoro, e viceversa. Col bel risultato di creare un andicappato dipendente anziché indipendente, e perfettamente in grado d’arrangiarsi, come gli altri di tutte le facoltà dotati. Oltretutto, lasciando a piedi tutti quelli che, se pur pochi, godevano del servizio di trasporto pubblico. Tuttavia, quel che più d’ogni altra cosa non digerivano baraCCa ed Esatto fu che il denaro versato per quel finto privilegio, era il medesimo se non di più. Siccome però a pagare le spese erano due enti distinti - quali il Comune e l’Azienda Consorziale Trasporti - nonostante si trattasse in tutti i casi di soldi pubblici, questa, ai governanti, parea la miglior delle soluzioni. - L’assistente sociale mi ha detto di venire verso l’una che non ci sarebbero stati problemi, ripeteva l’orbo. Oh, non ne posso più: dalla bellezza di cinque giorni mi fanno andare avanti e indietro come se dovessi andare a prendere il collirio dentro il comodino. Si può sapere, dove cacchio hanno gli occhi, le istituzioni? Dove l’hanno, eh? Meno male che: l’I t a l i a e u n a R e p u b b l i c a democratica fondata sul lavoro. Scandiva a cascata le parole urlando torvo e curvo incurante dei passanti tra le bancarelle del mercato dell’obesa corteGodi. Ma troppe volte m’è venuta la tentazione d’aggiungere A l t r u i. Il fatto è che Esatto faceva il centralinista al famoso Ospedale Psichiatrico Giudiziario di corteGodi, luogo che poteva facilmente raggiungere col minibus, che partiva alle sette e trenta daPopoli verso il capoluogo. Invero, poiché gli scatoloni di diversità, così chiamava lui le carceri, li avevano costruiti nuovi, grandi, e di cemento armato, li avevano edificati in periferia. Ciò nondimeno, dalla fermata del tram non distava più di qualche centinaio di metri che lui - Vedete signorEsatto per mandare un minibus fin là occorrono quattrini. - Ah, perché? Quelli che portano me lo fanno agratis? Inveì Esatto in faccia all’assessore, nel frattempo giunto a dar 28 man forte all’assistente sociale, poiché quei due villici si erano davvero imbufaliti. Quella delle veritàPerdute è una sorta di gioco al quale quei due e Maròlà non riuscivano a rinunciare. Tutto iniziò allorquando le onde delPo disegnarono la propria opinione con quel lumino… consigliando al mondo intero di sorbirsi un po’ di camomilla. Non durò più di qualche istante, è vero, ma tutti poterono leggere e approvare quella verità, come molte altre, perdutasi nel tempo. E non bisogna nascondersi che, in un certo senso, sul ragionare dell’Aldiquà le veritàPerdute svolgevano una loro funzione: in quanto opinioni erano soggette alla discussione. E cosa c’è di più proficuo che discutere, confrontarsi, mettersi alla prova per giungere a una determinazione. Da quel giorno, per Agostino barraCCa e Antonio Di Mano, in quel diPopoli concordemente ribattezzato Lesto di Lingua per via della sua innata capacità d’inventar balle, presero a fare la pipì sulla neve quei dannati li: per espellere le loro convinzioni. Così divenne una vera e propria necessitA’ Fisiologica, fisiologicamente esercitata. Si eran messi a scrivere sulla bianca neve certi che sciogliendosi avrebbe portato con sé anche le loro idee, perennemente contrapposte ma compatibili. Sono pareri, le veritàPerdute. E son ben diverse dalle verità di fatto, perché solo quest’ultime sono immutabili nel tempo. Ehilà, HomosapiensSapiens, apri gli occhi: se vuoi essere forever devi almeno imparare a fare bene i conti con tutte le risorse: naturali, materiali e spirituali, mi sembra il minimo, porca miseria. Sicché Agostino se ne uscì disperato da tanta umana incomprensione. Allora, dopo una cena da leccarsi i baffi a base di tortelli di zucca e amaretti seguiti da involtini di carne mista in foglia di verza, voluta da Esatto per festeggiare la sconfitta, uscì dal solitoBar dei ritiri e con la pipì scrisse sulla neve una nuova veritàPerduta… Per tutta risposta, Lesto, che aggiuntosi alla baldoria quella sera, aveva fatto della sua vescica un fiasco, scrisse proprio al fianco suo … - Mentre la verità dei fatti è innegabile: ieri era il giorno prima di oggi, e tre per due, fuorché non gli si cambi nome, faranno sempre sei. Era vero, ad esempio, che gli omosessuali dovessero essere bruciati fino a pochi secoli fa. In seguito è stato vero che l’omosessualità fosse trattata come una malattia: solo oggi, e non certo da tutti, porco cane, è vista qual è: come natura crea… Insomma, dico io, se è da sempre, tutti uguali, @ tutti diversi, tiè 29 in ogni luogo, e per qualunque specie vivente, che ciò avviene, non può essere ancora una volta accolta come una necessitA’ Fisiologica della vita che ci siano esseri viventi non deputati alla riproduzione? Chiedeva impettito baraCCa più a sé che agli avventori del solitoBar, vero e proprio tempio del pensiero diPopoli, mentre fuori nevicava a più non posso. - E poi, riprese dopo essersi ben bene enfiato lì polmoni, non avveniva la stessa roba per gli eretici?, e non è forse vero, che fino a sessant’anni fa le donne non potessero neppur votare? Ecco cosa son, per me, le veritàPerdute: idee, opinioni… lo so, lo so: il signorPlatone diceva che le idee non muoiono. Ma per sorte, umano tra gli umani, anche il signorPlatone non le azzeccava mica tutte le sue pensate. Figuratevi se potrei farlo io, tra l’altro. Eppure io, Agostino baraCCa, penso invece che anche le idee possano morire. E per fortuna… questo però significa che anche certe grandi idee possono sparire, figlioliMiei. Ah, traparentesi, tutte le volte che poteva lui quel figlioliMiei lì ce lo infilava, manco fosse il padreEterno in persona. Per questo dobbiamo trattarle come valori, che solo se discussi continuamente possono sopravvivere: dacché anch’essi son soggetti all’inflazione del tempo. E allora esprimiamo pure le nostre opinioni nel modo che meglio ci riesce, ma discutiamole come se potessero sciogliersi come neve al sole e morire per sempre, decretò. Poi, senza ascoltare il silenzio piombato giù dalle di lui parole, si portò a stilare la sua ennesima veritàPerduta. E la firmò pure con quell’arzigogolata @, seguito da Lesto, padrone del Tiè. perché è diverso impostare la propria esistenza pensando che gli altri esseri semplicemente ti somiglino, oppure, sostenere in modo consapevole che nella sostanza gli altri sono come te. Molto diverso, sosteneva il signorAgostino, nelle sue idee sul Welfare State. Mentre il signorLesto, che piuttosto pensava che, di fatto, siamo tutti diversi, che ognuno è fatto a modo suo e quindi alla fine tutti cercano cose differenti, ribatteva che le sue eran fisime, altro che balle. Ma baraCCa a suggello della sua tesi citò il professorBasaglia: - Da vicino nessuno è normale. E non foss’altro sol per questo, siam tutti uguali. Basaglia la sapeva lunga: era uno psichiatra così esperto da divenire un luminare e financo un buon politico, avendo con tutta la sua forza voluta, la legge che ha aperto le porte ai malati di mente. - Vedete amico mio, quando sostenete che siam tutti diversi supportate una verità perché quel tutti è unificante: siamo esemplari unici della medesima specie. Esattamente come se noi dicessimo che gli esseri umani hanno tutti il naso. Basta guardare i cinesi per capire, a uno come me sembrano fatti con lo stampino. Traparentesi, il dottorBarchetta bravissimo infettivologo di corteGodi che curava baraCCa, sosteneva che gli occhi a mandorla dei cinesi sono una necessitA’ Fisiologica: siccome vivono per lavorare, in realtà gli cala la palpebra. E questo, provate a dir di no, li fa gli uni come gli altri. In buona sostanza era fattoCosì baraCCa, aveva delle fisse: sosteneva che per vivere occorrevano i presupposti. E a maggior ragione pel vivere assieme nelle unificanti diversità: 30 - PerBacco, non mi verrete a dire che siete uguale a un cinese, adesso, ululò imbufalito Kalashnikow che già da un pezzo faceva il palo alle tesi di Lesto. - Ehi Voi, noi due abbiamo maturato questo parere, voi cosa ne pensate? Vacca, Qui accadde un finimondo. Dunque, innanzi tutto le setteSorelle furono fin da principio perplesse... - Lo sono e come, proferì mettendo la firma sulla sua verità, @. La neve però, si sa, si scioglie al sole: le veritàPerdute non durano oltre il tempo. E questo anche aPopoli, benché fosse un paese del tutto particolare. Ed è proprio di questo che stiam parlando, di un posto dove un giorno, sotto la quercia secolare detta suaMaestà, il signorAgostino e il signorMaròlà si ritrovarono a discutere sulla vita, e alla fine giunsero alla risoluzione che volesse presa con filosofia. Per Toro seduto, inutile dirlo, fu una vera e propria goduria. Sicché, il Welfare State diPopoli da un pezzo a questa parte, da quando ilPo s’è d’un fiato bevuto il loro Cimitero, avea come presupposto quella regola li… - Come con filosofia? La vita deve essere vissuta con devozione verso Dio, altro che. - Va bene, ma questo cosa significa?, domandò Agostino. Noi non stiamo dicendo che non possa esistere loSpirito della vita, al contrario: noi a Dio ci crediamo, ci scherziamo e a tempo debito c’incavoliamo pure con lui. Semplicemente diciamo che proprio perché c’è un principio vitale noi, dobbiamo dare significato al nostro star Qui cercando l’amore per il sapere: questo è il significato letterale dell’amata filosofia. Eppure le acque non si chetarono: i giovani diRoccabella, quelli del centro sociale, non capivano il significato di tanto putiferio. E i più conservatori s’incavolarono da chissà. In oltre la sala d’attesa dell’ambulatorio della dottoressaMacchiavelli si trasformò in un clan. Non si parlava d’altro: il solitoBar, l’oratorio, perfino la Tacabanda non aveva altro argomento… La vita vuole presa con filosofia, con amor per lo sapere, caro HomoSapiensSapiens…. E questo in qualunque Stato sociale, vergò Maròlà. Stavolta sulla schiuma da barba che aveva appositamente disteso sotto il portico del solitoBar. Era fattoCosì il signorMaròlà, se non c’era la neve, lui la faceva a suo uso e consumo, vamolà. E lo comunicarono subito a tutti gli altri: Che cosa intendevano quei due lì per Stato sociale? Sicché il signorAgostino e il signorMaròlà furono costretti a calare le braghe fin da subito: e lo fecero chiedendo man forte all’arte della retorica de loMaestro, che come sempre si 31 rifece alla sua esperienza e raccontò un frammento della sua storia, pertanto loMaestro attaccò: Che, pensavate che non lo sapessimo a picché qualche volta vi addormentaste in aula? - AMaronna & SantaRosalia, non fatemi tirare giù tutti i santi del Paradiso: dovete studiare, caschi il mondo voi dovete studiare, mi avete inteso? Fa chiù dannu 'n cretinu ca nu porcu 'nto jardinu, fa più danno un cretino che un porco nel giardino. Alla Vuciarria, se non sapete fare due più due, se non conoscete Sciascia, o Pirandello, o almeno Verga, allora divenite carne da macello, capite? E voi non potete dare alla signoraMammà, il dispiacere di portarvi sparato da questa schifosissima mafia al campoSanto. Testa ca' un’parla si chiama cucuzza', Testa che non parla si dice zucca. Già il male a lì polmoni si portò via il padre vostro: se perdesse anche voi, per lei sarebbe la fine, capito mi avete? Ciro comprendeva, e mammà andava orgogliosa d’avere nu’ figghio così: campava la famiglia facendo il garzone di un pescivendolo e studiava pure. E spesso lo raccontava al marito suo, parlando con la foto sul comò. E una volta tanto le sue pupille s’inumidivano per la felicità, nutrendosi di serenità. Sì un pirocchiu arrinisciùtu: Sei un pidocchio riuscito, le ripeteva in continuazione. Fatto sta che il giorno dell’esame Ciro Paternò, non ancora dottore, si presentò al banco degli esaminandi, e porse una di quelle bottigghie di Marsala, che serbava solo per gli amici suoi, a u’ Rettore che si complimentò con Ciro: - E’ vero professorRettore, non posso che ammetterlo, mi scusasse. - E stattevenne citto: non dovete scusarvi, anzi, vi meritate una lode. Ecco, dentro no piezzo del vostro cuore sappiate che u’ Rettore non può aumentarvi il voto, ma è in grado farvi una lode... sì, cari professori, sappiate che il dottorCiro Paternò s’è laureato con settantadue e lode, aMaronna & SantaRosalia. Sono sicuro che sarete d’accordo con me, vero? Perché s’è laureato in architettura, ma ha nel cuore suo circolano sangue e filosofia. Così, mentre il vento scompigliava i capelli alle nuvole, il signorAgostino, Partigiano-Reggiano, la dottoressaMacchiavelli, Giusto, Esatto, Kalashnikow e loMaestro, diedero inizio al progetto del nuovo Stato Sociale diPopoli. Come loro: pensato al contrario. - Dunque, esordì baraCCa, sui giornali non fanno altro che parlare di Welfare State, ma nessuno ha il coraggio di fare proposte davvero innovative. - Perché non si cerca l’interesse collettivo, l’obiettivo che tutti si propongono, è lo Stato leggero, quello che non rompe i celesti, suggellò mitragliando con la bocca sua, in tutto e per tutto simile a un Kalashnikow, proprio lui. - Picciotto, ora siete laureato in architettura, ma già da qualche tempo siete no dottore della vita, un vero masculo. 32 - Già: e poco importa se l’organizzazione sociale è impostata dal mercato anziché dalla politica, vero?, ha chiesto Esatto. - Ueh, loMaestro, finalmente avete ampliato gli sguardi ma cos’avete trovato la gallina dalle uova d’oro?, gli fa il signorCioppino, aggiuntosi al gruppo nonostante i suoi occhi appesantiti dal sonno rubato dal pane fresco che doveva sfornare mattina dopo mattina. Ah, vi voglio proprio dire una cosa a proposito di galline: tutti si chiedono se sia nato prima l’uovo o la gallina. Ebbene io penso che sia nato prima l’uovo. - Giu… giuuuu… giusto, rispose Giusto confermando se ce ne fosse ancor di bisogno, d’esser tale di nome e di fatto. - Noi che alle giovani generazioni pensiamo e per loro lavoriamo, sancì a quel punto il dottorCiro Paternò detto loMaestro con quella strana parlata mezza italiana e mezza siciliana, non crediamo che degli animali intelligenti come sono gli uomini, possano organizzarsi senza prendere in considerazione che proprio da loro bbisogna partire. Minchia, ma perché non la diamo a loro, i ggiovani, la pensione, eh? - Perché? - Il perché non lo so, so solo che un bel giorno un signore s’imbatté in un bel mucchietto d’uova e per pura fortuna non se le mangiò tutte. E giù tutti a ridere per questa proficua stemperata. - Avete ragione signorCioppino: Cu nasci tunnu 'n po moriri quadrato, chi nasce rotondo non può morire quadrato. Vedete, intanto quello che possiamo dire alla signoraUmanità è che noi quattro gatti diPopoli, i conti con la matita li sapimmo fare. Se solo lo volessimo, sarebbe assolutamente possibile dar loro quello che prende un apprendista metalmeccanico. Altrimenti, come oggi avviene, un giovane avi a dari picciuli a Diu e a tuttu u' munnu, deve dare soldi a Dio e a tutto il mondo. Invece, i vecchi andrebbero orgogliosi, ve lo dico io, di lavorare tre anni in più per il bene dei propri ggiovani. Se ha un fine nobile, la fatica diventa un valore, affinché non siano in debito con Dio e con nessun altro. E l’impegno dell’Aldiquà acquisisce senso, o no? La barista mia me lo fece carpire, aggiunse il dottorCiro. - Eh già, così i vecchi muoion di fame, obbiettò la dottoressaMacchiavelli, così soprannominata per la sua propensione alla politica. - Nient’affatto; i vecchi continueranno a lavorare fino a una certa età, poi lasceranno inderogabilmente il posto ai giovani, altrimenti questi ultimi sarebbero a spasso. E da quel dì matureranno la pensione che nessuno gli regala, visto che se la sono guadagnata col lavoro loro. Lo so anch’io che la pensione degli anziani non è, come molti credono, frutto del risparmio fatto per loro conto dallo Stato bensì proviene dai versamenti dei lavoratori. Ma ciò non toglie che è un sacrosanto e inviolabile diritto. 33 - Chi? Chador?, chiese Partigiano-Reggiano. vorrebbe a fare una legge semplice ma efficace: tanto inquini, tanto paghi e quei soldi li uso per compensare li danni tuoi. Dovremmo saggiamente fermarci e fare il punto della situazione, e democraticamente, santoCielo disonorato. - Sì, proprio lei, mi fa: dottore non vi pare che duemila anni dopo il signorGesù, l’umanità debba almeno imparare a progredire?, ammesso e non concesso che festeggiare la fine del secolo serva a qualcosa di più che a stappare bottiglie di Champagne o avviare mega lavatrici della coscienza come il Giubileo di fine secolo. Avete ragione, dovetti ammettere. E i bilanci, signoraUmanità, quando li facciamo? Almeno un inventario nel nuovo millennio avremmo potuto farlo, noi pensassimo: - Ma così stan le cose, rifilò lì bello bello loMaestro carico del complimento di antica memoria del Rettore, al solito con l’indice al sol levato degno del miglior retore. Ciro fisso fiducioso il presupposto basilare dello Stato Sociale di Qui: dove le correzioni, nei limiti del possibbile, si eseguivano dal principio. - Sui ggiovani si hanno da fare le azioni perché verso essi s’è responsabbili del domani, o no? Pensate che c’era una tribù Indiana di cui non ricordo il nome che quando doveva assumere una decisione importante come spostare il campo, metteva in fila i sette più anziani del villaggio assegnando a ognuno il compito di rappresentare un’intera generazione. In buona sostanza per rispetto del futuro ragionavano sette generazioni avanti. E noi pensiamo che fossero selvaggi. Noi, proprio noi, che siamo stati governati dal signorBossi che ce l’ha duro e dal Berluscoro che su quel fatto li è meglio non parlarne neanche. Ciò nonostante, noi sapimmo che u surci dici o scravagghio: nuddru s'arricchisci co so travagghiu!, difficilmente si ci arricchisce senza un aiuto disinteressato. E io nutro financo il sospetto che Berluscoro si sia avvalso di aiuti interessati, cui troverà senz’altro il modo di farvi fronte: magari alle spalle nostre. E l’opposizione? All’opposizione abbiamo delle mezze pippe. Sapete cosa vi dico: io mi faccio di Viagra e, se non fosse poiché la credo nella migliore delle ipotesi un’irraggiungibile utopia, diventerei anarchico, altro che fisime. Quali problemi abbiamo risolto, e quali restano? Dovremmo chiederci. Il fatto è che, come sostiene Chador, ci sembra d’essere tra i molti che si pongono questa domanda, ma fra i pochi che azzardano una risposta: perché secondo noi l’umanità di problemi ne ha da vendere aMadonna & santaRosalia. Falla como vuoi sempre cucuzza è. Solo che non si vuole trovare il tempo di parlarne insieme senza lo stramaledetto diritto di veto. Prendete ad esempio le emissioni di anidride carbonica: tutti sappiamo che c’è e che rischia di creare problemi gravissimissimi, come il surriscaldamento del nostro bel pianeta. Siccome però lì pseudo padroni di sto benedetto mondo come sono gli americani, non vogliono rallentare la loro veloce corsa verso quello che loro chiamano progresso, ma che a parer dei più è, di fatto, un regresso che rischia di spegnere in un arco di tempo brevissimo la luce della vita, aMaronna & SantaRosalia - ha nuovamente aggiunto in fede alle sue radici - tutto è bloccato. Fermo lì in un inerte danno colossale. Cosa ci 34 - Dopodiché, continuò Agostino felice d’aver rammentato nella sua capiente mente tanta spicciola saggezza: anarchico mai per l’amor del cielo, perché c’è sempre stato e sempre ci sarà il bisogno di qualcuno che governi. Ad esempio, a governare Popoli potrebbe essere il senso del limite per noi vero e proprio sesto senso. Mutuato col desiderio. Ecco dove dovrebbero orientarsi le pensate umane tra Limite & Desiderio. E, come modello, introducendo il guadagno massimo fissato in un milione di euro l’anno a testa: chi ne vuole di più sarà libero d’andarsene altrove, iv capi? E sia chiaro che quell’altrove non è certo la paceEterna perché l’ha detto il signorGesù, e non io, sta roba qua… Pensate, ad esempio, come sarebbe bello per lo sport non avere giocatori che percepiscono un fracasso di soldi e che, come le prostitute, vanno con il miglior offerente. Si riscoprirebbe il valore della casacca, della casata, direi: alla faccia di chi ritiene che questo, quello del denaro, sia l’unico modo possibile di governar lo mondo. - Bein alòra? Lo interrogò Kalashnikow, che con una premessa del genere si sentiva libero di volare. - Allora, siccome è sotto gli occhi di tutti il fatto che la natura non conosce giustizia per principio, i quattrini derivati dalle imposte li dovremmo impiegare innanzi tutto per colmare le diversità. Un po’ come si fa con la ghiaia quando si riempiono le buche, ma in principio però, anzi, per principio. Come facevano gli antichi: ogni tot anni si scrollavano i portafogli dei più ricchi per riequilibrare la ricchezza: questo era in principio il Giubileo, l’anno sabbatico. E in codesto modo sì, nei fatti, risultava esser Santo nelloSpirito e portatore di serenità diffusa, come insegnava il nostro caro amico donLeonardo Tartaglia. È più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago. che un ricco entri in Paradiso. Nel mio piccolo, sostengo che è più facile che un coccodrillo passi attraverso un profilattico che un ricco vada in Paradiso. E fino a quando questa regola non sarà universalmente riconosciuta, i ricchi saranno sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Facciamo un esempio: prendiamo il reddito dei top then, i dieci più ricchi del mondo, e proviamo a vedere quanti milioni, dico milioni, di persone si sfamerebbero. Vi rendete conto sì o no che Bill Ghates ha lo stesso fatturato annuo di ventisei paesi africani messi assieme? E in Italia? Beh, basta un solo dato: il dieci per cento della popolazione detiene il quarantanove per cento del patrimonio, fate un po’ voi… Allora, finalmente, si smetterebbe di misurare tutto quanto partendo dal criterio economico. - Esatto, disse proprio lui, così si potrebbe sostenere che un cieco come me non è qualcosa di meno degli altri, ma piuttosto un patrimonio come qualunque altra persona, Porca d’una miseria ladra. - Giusto, ma come saremmo capaci di far ciò?, chiese Lesto, e chi se no. 35 - Minchia, è saltato su a quel punto il dottorPaternò alzatosi in piedi sul tavolino del solitoBar: dal basso dobbiamo partire, dal basso. E’ mai possibbile che gli esseri umani non capiscano che si nasce tutti Homini, predicava com’era suo uso fare muovendo l’indice sinistro come fosse l’asta di una bandiera dedicata al principio della responsabilità, suo vero chiodo fisso e auspicabile necessitA’ Fisiologica dei viventi che han per sorte di calpestare l’Aldiquà. Colo che voli la vutti china, la mugghieri 'mbriaca e i picciriddi cuntenti, si vorrebbe la botte piena, la moglie ubriaca e i bambini contenti. C’è chi nasce bello e chi nasce brutto che manco lo si può guardare, aMaronna & santaRosalia. Chi è alto e chi basso, chi nero e chi bianco, chi è votato alla riproduzione e chi no. Come qualunque altro animale siamo, proferiva lui che financo di biologia ne sapeva un sacco. importante che la maggior parte possibbile di persone parta dallo stesso punto, pensassi. O, se non lo stesso, il più prossimo possibbile al nastro di partenza, minchia: noi Qui faremo così, i ggiovani cercheremo di metterli alla pari. Sarà il tempo a deciderne il destino, il tempo. Poi, però, poiché il militare è stato finalmente reso facoltativo, noi gli chiederemo un anno di servizio civile obbligatorio perché è così, conoscendo il bbisogno, che ci si educa alla socialità. Noi possiamo semplicemente colmare l’ingiustizia della sorte: proviamo a pensare a uno Stato fattoCosì, due punti e a capo. Io, Stato, mi prendo cura di te fino a ventitré anni. Fino a diciotto, come minimo, ti faccio studiare il più possibbile. Anche se non sei portato per gli studi, creo scuole su misura per i meno dotati: semplici semplici, a bassissima soglia perché solo così, acquisendo, si sarà nel tempo capaci di restituire. Poi, in un secondo momento ti chiedo un anno della vita tua, per frequentare la scuola della vita di tutti. Un anno in cui vai negli ospedali, nelle galere, e pure dai carabbinieri; dai viggili del fuoco e nei diversi luoghi di culto, in tutti però, esclamò erigendosi in punta di piedi come fosse chissà chi. Un anno passato a imparare che gli altri ti sono indispensabbili, insomma. Dopodiché ti si prospettano due possibilità: o inizi a lavorare o continui a studiare, consapevole che a quel punto orienti la vita tua. Come qualunque altro animale con loSpirito e l’intelligenza, però. - Giusto, e poi?, chiese Esatto rubando la parola di bocca a Maròlà. Ma c’è anche chi nasce ricco e chi non ha da campare, e mentre sulle altre cose non c’è dato di porvi rimedio, su questa sì. E poi via, di nuovo: - Allora, quel sale che teniamo in zucca lo dovremmo usare per salare la vita, e non la solita minestra. Se è vero che la vita è un lungo cammino: è - E poi, da diciannove a ventitré anni e solo se non sei figlio di ricconi, noi ti diamo quello che percepisce un nobile 36 metalmeccanico in apprendistato. Così facendo puoi decidere se sommarle a uno stipendio che in questo modo sarà degno di quel nome e consentirti per esempio di farti un mutuo per la casa; oppure studiare perché le tue capacità, Deo gratia, te lo consentono; altrimenti viaggiare. Per cercare un luogo dove tu possa vivere serenamente in questo rotondo mondo… perché la vita è lunga e dura, e scegliere dove abitare, aiuta il come esistere, aMaronna Aggiunse a tal punto di suo pugno il signorAgostino brandendo l’umana penna sua posta frammezzo le gambe, siglando l’ennesima veritàPerduta. Che per fare quel su e giù lì ve lo dico io che ne fece di fatica, ma lui era fattoCosì: quando si metteva in testa una cosa state tranquilli che la portava in fondo. - La vita non è un gioco, riprese loMaestro. Ma saper giocare, anzi mettersi in gioco, è fondamentale per vivere. Fondamentale. Altrimenti si è il nulla mescolato con niente: nuddu 'mmiscatu ccu nenti. Per tanto, se vogliamo fondare uno Stato Sociale, dobbiamo partire da noi, minchia: dalla nostra natura, e imparare guardando con molta umiltà i nostri figghi che giocano. Che bello l’ascolto, che bello: io l’accio imparato guardando u’ figghio mio, perché niscuno nasce sapiente. Lo si diventa, cacchio: i bimbi conoscono fin da principio la necessitA’ Fisiologica d’avere qualcosa di solamente suo, ma hanno anche la grazia di aiutarsi tra loro. È stato guardando lui giocare che ho capito quanto importanti siano per l’uomo le radici. E facendo due più due, ho capito quant’hanno sbagliato gli uomini che han tentato di cancellare la natura umana, impostando l’intero sistema economico sulla negazione della proprietà privata. Si ha la necessitA’ Fisiologica di possedere qualcosa di proprio. Almeno quanto, però, sbaglia chi non intende porre limiti alla proprietà privata. Questa non è la via della saggezza: tra il tutto e il nulla abita la via di mezzo, pensasse. A momenti, traparentesi, quando proferì quel lavoro, lì, si era a tal punto scaldato che se non stava attento cacciava un blisgone da chissà. Se s’infiammava, sembrava un cerino. - &SantaRosalia, lo interruppe Esatto che non vedeva, ma intuiva che quella litania rischiava di divenire un rosario. - Ecco proprio lei, perché io la tengo nel cuore, non è come sanGennaro: Iddu tiene o’ sangue speciale, come dicessero a Napoli. Io, minchia, tengo per patrona una Santa all’acqua di rose. Di quelle che nella vita gli puoi chiederle al massimo un piacere, perché la grazia non gl’è concessa. Eeeeeee, figghiMiei … 37 Ecco, il dottorCiro certe volte doveva dar spazio all’Homobenzina dacché faceva parte della suaFamiglia. Come Lapislazzuli, apparteneva alla tribù di quelli che s’infervorano con un non nulla. Allora non prestava attenzione a quel che aveva sotto le scarpe, anche se si trattava d’una di quelle belle balle di fieno rotonde che fanno adesso, ci si drizzava sopra in punta di piedi e sbandierava con quel dito come fosse un predicatore del Nord Carolaina, almeno. casa, disse allargando smodatamente le braccia come stesse contenendo il mondo intero. Questo per voler porre l’accento, per esempio, che per fare un buco nell’ozono o provocare l’effetto serra, o l’irrazionale disboscamento ci vogliono dei bei cafoni. Invero, persone con poco sale in zucca che pur sapendo che avanti così succede un macello, non possiedono il coraggio di fare qualche passo indietro, di compiere qualche rinuncia, AMaronna & santaRosalia. - Questo dovrebbero cercare, gli HominiSapiens&Risapiens, la via di mezzo madre della giustizia sociale, riprese. E porre in essere per li figli tuoi pari opportunità nella misura maggiore possibbile, altro che storie. O figghio mio como quello di Esatto, chillo di isso ripeté puntando Maròlà, chillo di Giusto, oppure como quello di Kalashnikow e della dottoressaMacchiavelli tengono lo stesso bbisogno, aggiunse: crescere con pari opportunità. E poi… - O suvvia, smettetela con sta santaRosalia, aggiunse secco secco Pastrufazio. Era bestiale lui, a vederlo mentre parlava, sembrava un mulino a vento, sin da comprendere perché gli italiani si mostrano famosi giacché si sbracciano. Era una roba da matti. Comunque sia, ve lo immaginate voi uno che dall’alto in basso appariva fattoCosì, due punti e a capo: Occhi rigorosamente neri, nerissimi direi. Il collo praticamente inesistente, le sue spalle invece raccoglievano la capoccia fatta tal quale a un uovo con una lucida pelata che dominava il tutto. Altro che fronte spaziosa: il signorPastrufazio conteneva il mappamondo in testa, Vacca bestia. Il torace piatto, senza la minima marcatura dei muscoli; sotto si depositava una pancia capiente, smodatamente più larga delle gracili gambe che lo sorreggevano con la stessa fatica fatta dalle gambe di un trampoliere. Il tutto sempre in movimento, anche quando il suo corpo restava immobile, Pastrufazio faceva rumore. Nutriva una sfrenata passione per Carlo Emilio Gadda perciò qui lo chiamavano Patrufazio, in onore allo scrittore che così chiamò un suo famoso personaggio. E possedeva meningi rugginose che scalpitavano futuro nell’equità, questo è Stato sociale… @lleluj@… Sancì a quel punto nella sua prima e ultima veritàPerduta il dottorCiro Paternò a tutti gli effetti loMaestro. Dopo di che, riprese come solo lui sapeva fare a predicare: - Forse noi sbagliamo a proporre come vincente il modello sociale della signoraItalia, e non solo quello. Se ci pensiamo su per benino, ravvisiamo che, purtroppo in buona compagnia, stiamo facendo delle cappellate grandi come una 38 nel cervello, e questo costringeva la sua lingua a saltellare: lui parlava, parlava, parlava in continuazione. E quando lo faceva sulle rotoballe di fieno che sono una roba elegante, moderna e raffinata, sembrava davvero un signorCicerone, Pastrufazio: un Cicerone d’altri tempi. Però, possedeva un sano principio sull’Aldiquà e cioè che nei limiti del possibile bisogna godersela la vita. Era simpatico dacché mai lagnoso, anche quando le cose non gli andavano, per il verso giusto diceva, domani sarà un altro giorno. Era certamente consapevole che si facendo non avrebbe schivato l’amarezza che la vita alla fine ti poteva riservare, ma confidava nel fatto che nell’Aldiquà tutto ha un termine, anche le cose peggiori. Questo gli dava modo più di chiunque altro di gustarsi il poco che d’un sol colpo diveniva tanto, poiché cosciente che quello e solo quello, in quel dato momento, gli era dato. il miglior letto dei suoi sogni al contrario. Da allora il signorAgostino si mise a fare una pubblicità progresso: gente, salite sulle rotoballe, ripeteva in continuazione. Lui lo proponeva a tutti quel fatto li. E aveva pure ragione… Da quel giorno là, insomma, da quando Agostino baraCCa e Maròlà scrissero la prima norma dello Stato Sociale diPopoli: la vita vuole presa con filosofia, Qui tutte le estive assemblee si facevano sulle rotoballe a guardare il mondo al contrario. Questa, bisogna riconoscerlo, fu una bella pensata del signorAgostino. Un bel giorno, mentre vagolava per i campi nel modo in cui lo attirava: girando a zonzo, s’imbatté faccia a faccia con uno di quei grandi rulli che ogni tanto si vedono nei verdi prati. Lo affascinava quella roba li: gialla, soffice, profumata dal sapore dolce e amaro, che ha il fieno delle più varie erbe costituito. Ah, se solo si potesse esser piccoli piccoli, e girovagare tra le centinaia d’erbe che formano i prati stabili della pianura padana, si avrebbe la consapevolezza di camminare in mirabolanti foreste, ricche, e a un tempo profumate. Ebbene quella apparve agl’occhi suoi come una bella opportunità: ci salì in cima, si coricò e divenne Quei lavori li sono rotondi, ad altezza d’uomo, e fattiCosì. Sicché se ci monti sopra mettendoti di schiena a testa in basso, scorgi il mondo da un’altra prospettiva, porca miseria. Aerei che atterrano sulle nuvole e lepri che corrono a test’ingiù, vedi. E quel fatto lì ti fa riflettere: perché anche vedere le cose al contrario, è una necessitA’ Fisiologica, secondo lui. Anzi, come sostengono alcuni pensatori, una necessitA’ Filosofica tanto che una tesi filosofica regge proprio se vista anche al contrario, secondo loro. - Sono io, ammetteva Agostino, a esser fatto al rovescio o è il mondo che gira in senso opposto a come vorrei, si chiedeva. E mai trovava una risposta certa. Bizzarro, vero? Ma lui era proprio fattoCosì. Dentro la suaFamiglia abitava da sempre uno che si chiedeva: &Perché? Allora viveva irrequieto, alla perenne ricerca di una risposta a ciò che lo 39 circondava, nella profonda convinzione che guardare le cose al contrario serva perché… Il Futuro il dubbio è il miglior terreno da coltivare, @ Una bella mattina - nonostante ci fosse un nebbione che impediva di scorger se erano le piante a venirti addosso o tu che eri incapace di scansarle, perché a destra e a manca saltava sempre fuori qualcosa d’imprevisto - il becchino diPopoli si mise al lavoro. Siccome era prossimo il due di Novembre, ilCimitero era particolarmente affollato di gente: Listò nella sua nuova veritàPerduta: posto che solo attraverso questo faticoso esercizio le certezze acquisiscono senso, ecco perché. Tanto che l’onestà formale dev’essere fuori discussione mentre l’onestà intellettuale vuole perseguita e bramata a tutti i costi, pensava lui. E poi su quei soffici e profumati materassi osava l’impossibile e recitava lettere d’amore alla sua dolce Clara unendo l’Aldiquà con l’Aldilà… - Si può sapere che cavolo state facendo Kalasnikow, non avete di meglio da fare? E lux Maxina… - Per dinciBacco: potete innaffiare i fiori, accendere i lumini spentisi… Dolce m’è il pensier che nuovamente potrò abbandonarmi tra le braccia tue. Dolce è il sapor dell’uva che vorrei cogliere dal tuo ombelico. Dolce è il dormir sapendo che tra i tuoi pensieri m’è capitato d’abitare. Ah quanto vorrei poter nuovamente sfiorar le tue labbra. Disegnare percorsi ignoti e, a un tempo, d’amore sul corpo tuo. Mi manchi Clara. Mi manchi tanto… Anche se ancora Orfeo non mi fa il regalo di poterti sognare e con te coccolare. Allora ti sogno ad occhi aperti. Fissi direi. Fissi su un fiore che alla fine sarà nuovamente tra le mie mani. E quanto il mar culla i suoi abitanti, li sogni miei, a occhi aperti, beatamente si cullano nel desiderarti dolcezza mia infinita… - No: i lumini ve li accendete voi - Allora lustrate le lapidi… - Sono vostri i morti. Io lucido quelle dei miei cari, per il resto arrangiatevi voi. A me spettano altre mansioni come tagliar l’erba e curare piante e cespugli, e le faccio. - Ma andate a quel paese per piacere… 40 - Andateci voi a quel paese, se volete esser sepolti altrove, siete liberi di farlo: io resto aPopoli e faccio una buca da morto perché sono certo che prima o poi qualcuno la occuperà. E poi è vero o no che è dal seme che muore che nasce il grano? Le VeritàPerdute - Suvvia è di cattivo auspicio: solo uno come voi poteva pensare una roba del genere. La buca la dovrete preparare quando ci sarà il bisogno, ma dico io: usate un po’ di buon gusto signorKalashnikow… Comunque sia, da un sacco di tempo, quest’era l’ordine di risveglio diPopoli. Fatta eccezione per il gallo di Pastrufazio, che talvolta probabilmente gli giravano anche a lui poiché era capace di partire persino alle tre di notte con i suoi cHiccHiricHi: dando libero sfogo al suo carattere. E di Cioppino che, da quando morì papà Pagnotta, a letto non riusciva neppur più ad andarci: pel fatto che c’avea troppo da fare per profumare l’aria col fragrante profumo del suo favoloso pane che, traparentesi, persino da corte Godi gli comandavano. Insomma dalle quattro alle sette, quelli diPopoli si riaffacciavano al nuovo dì con una sorta di Ora et Labora in ordine sparso. Dapprima le setteSorelle, poi rustici e fattori per venire alle massaie ed alle pie donne, a seguire via via studenti e lavoratori. Sennonché, quella mattina, verso le otto, le numerose impronte sparse sulla neve potevano fedelmente testimoniare che erano già in molti a esser desti, e qualcuno, non si sa bene chi, dalla Piazza cacciò un urlo da chissà: - Non è questione di buon gusto o meno io son convinto della giustezza di quest’iniziativa dacché ognuno potrà meditare di più sulla propria fine, poiché esattamente perché inevitabile, vero e proprio sale dell’Aldiquà. Senza sperare di non morire mai. No signoriMiei, credetemi: codesta è una scelta opportuna. Giusto, il marmista fragile lo comprese al volo che aveva ragione lui. Allora fece una bella lapide di marmo di Carrara e vi scrisse FUTURO. Da quel giorno man mano che qualcuno occupava la buca, Kalashnikov ne faceva un’altra e spostava la lapide. Cosi aPopoli esisteva la buca del Futuro, dove uno a uno, i paesani andavano a riflettere sulla propria finitudine, tutto qui. - Correte gente: c’è una veritàPerduta… Homosapiens est socialis, @ 41 Homosocialis est poco sapiens, tiè Le vacche non risposero cose comprensibili ma certamente preser posizione in virtù del fatto che, sia pur strano a dirsi, Partigiano-Reggiano sosteneva che principiarono a smuntellare, come diceva lui. E tutte in coro: tanto che pareva ci fosse un terremoto o quantomeno un fulmine a ciel sereno, porca vacca, anzi, benedetta la signoraVacca che munger si fa senza crear problemi. Sembrava un concerto della Tacabanda. Probabilmente si trattava d’un comizio ai nostri orecchi sconosciuti, dedicato alla presuntuosa definizione di sapiensSapiens che, addirittura raddoppiandola, ci siamo affibbiati da soli noi Homini. E questo nonostante si sia stati capaci persin di farle impazzire, ste benedette signoreVacche. La capostipite, Celestina, era di sicuro una mucca pazza, ma di gioia: visto l’affetto che la legava a Partigiano-Reggiano sempre pronto a spazzolarla per benino quasi fosse il suo tesoro, traparentesi. Invero, ultimi ma persuasi, il signorAgostino e il signorLesto la serata precedente, mentre rientravano alla propria dimora provenienti dal solitoBar - cui entrambe erano e saranno fedeli nei secoli dei secoli - stamparono sul bianco foglio che aveva soavemente ammantato la piazza, la loro contrapposta opinione. Che, destinata a sciogliersi come neve al sole, venia da tutti considerata una vera e propria veritàPerduta: e la fecero nella vasca delle idee, o piazza che dir si voglia. Come avrebbero potuto non approfittarne di sta stupenda nevicata?, sarebbe stato andar contro natura… Oltretutto, avendo abbondantemente lubrificato le loro pensate col chiaroSpirito, vino rosato sempre prodotto da barCCa, era per davvero indispensabile esercitare sto bisogno fisiologico del far pipi, e al più presto. D’accordo, d’accordo… forse questo non parea né il luogo né il modo migliore per liberarsi di un'impellenza, agli occhi dei più. Ma, come in sintesi scrive Giusto: da quei due soggetti c’è Fatto sta che ognuno andò a pescare la risposta dove meglio gli riusciva. Era come se quella veritàPerduta avesse ridestato la signora responsabilità: capacità di dare risposte. Che unica può testimoniare il nostro sapere, quando c’è, evidentemente. I certamente sì e i certamente no, si sprecavano. Indeciso nessuno, astenuti neppure. Chi si schierò con baraCCa per il sì, chi con Lesto di lingua per il no, invero una minoranza. Eppure tutti, proprio tutti, si schierarono: perché per impostare la propria esistenza, è importante saper scegliere l’una o l’altra tesi. d’aspettarsi di tutto. In un batti baleno, un po’ tutti giunsero alla spicciolata a rimirare sto lascito. Saranno mesi che quei due si apprestavano a ragionare su quel fatto lì dell’Homosapiens. Mica roba da poco. Visto l’orario Partigiano-Reggiano dovette tornare canticchiando dai suoi animali intonando il cielo in una stalla. E, mentre terminava di rassettare il letto di paglia alle amate vacche sue, ne parlò persin con loro: Oltre all’estensore Lesto a tirar le sia pur esigue fila dell’Homosocialis est poco sapiens, fu chiamata la signoraGelsomina, famosa e formosa prima donna per natura. - Siamo sociali, o no, noi HomosapiensSapiens? 42 Nonostante tutto, data la scarsa propensione degli individualisti a far gruppo, la scelta non fu semplice. Erano in diciotto e ognuno pretendeva d’esser il solo, il più illuminato, come sempre, risultò esser LuxMaxima. Pareva il più accanito: e incessantemente citando il lèder siorSilvio lo cavaliere, non la smetteva più di stramaledire gli altri: contrario sono saliti alle stelle, perché quando si tratta di guadagnare vien di per sé, la capacità di far cartello, di mettersi d’accordo per guadagnare il più possibbile. Lo so, lo so che il socialismo è il più inseguito degli umani desideri, d’accordo, ma so anche che allo stesso modo, è il più difficile da realizzare. Lo vogliamo capire o no che non possiamo neppur nascere senza gli altri e tanto meno riusciremmo a vivere. Io ho bisogno e non voglia d’un dentista, d’un professore, d’un panettiere, d’un idraulico, d’un amico e financo d’un confessore, laico o religioso che sia. Onde per cui, aMaronna & santaRosalia, gli altri ci sono indispensabbili: per questo non possiamo che essere sociali. - Non son altro che comunisti, sbraitava: - proprio Qui dovevo capitare, nel bel mezzo di questo strano luogo, dove continuano a nascere degli sbandati a sinistra, dei compagni del menga che altro non san fare che perseguitare gli onesti lavoratori del libero mercato… - Quella del libero mercato, caro LuxMaxima, è proprio una bella storia, perché il mercato deve si avere il suo spazio ma non può essere libero di occupare quello altrui come la politica, l’ha fin da subito ripreso loMaestro, mentre con quel suo fare dinoccolato si portava su su fino in cima al solito tavolino che Chador gli riservava nel solitoBar. Il suo passo reso pesante dal fardello di ciccia e cervello che quell’anima era costretta a portarsi appresso. Tra l’altro, vista la di lui stazza, aveva a tal punto piegato l’asse da far temere il peggio: in qualunque modo fosse cascato, per il dottorCiro sarebbe stato un salto mortale, porca l’oca. Tuttavia, Deo gratia, resse. E, giunto che fu lassù, prese a sfoderare la sua arte oratoria accompagnandola con l’eretto indice che pareva disegnar nell’aria le sue opinioni… - Ma sì sì, ormai lo sappiamo come la pensate, urlò dal di sotto Lapislazzuli, che di nome fa Rocco Schivaletto e ce n'era proprio bisogno di un cognome così per un cerino umano che manco riusciva a dormire, neppur se lo voleva. Per voi come per baraCCa, pare esistere una sola legge: sopra il milione di euro a testa l’anno anche la pecunia puzza del sangue e sudore altrui. Pecunia Olet. Ma noi non la vorremo mai e poi mai una legge siffatta, e neppure lo accoglieremmo come principio morale: noi vogliamo essere liberi e buona notte. Lapislazzuli appariva fattoCosì: Homobenzina, non parlava, sparava. Soprattutto se si trattava di libertà confusa, anzi, confusissima col liberismo, come fa Berluscoro. Qui lo sanno tutti: era un fedele liberista libertino. Era fabbro, e forgiava il ferro con grande maestria e si mostrava, manco a farlo apposta, focoso e assai simpatico. Per lui il siorSilvio era un vero e proprio lèder, e tutti si guardavano bene dal fargli presente che la pronuncia dialettale, anziché quella - Prendiamo, giusto per fare un esempio, la benzina e le assicurazioni: sono forse diminuiti i prezzi da quando s’è passati dal regime contingentato al libero mercato? Al 43 anglosassone di lèdèr, significava ladro, dacché ai più si mostrava più appropriata. Ancora oggi quelli diPopoli ridevano quando spiegava la prima volta che fece l’amore, se così si può definire giacché fu a pagamento. Nel millenovecentocinquantasette nel casino della signoraOrietta s’entrava con pochi soldi: cinquecento lire. Con cento potevi guardare mentre se aggiungevi il resto, potevi consumare. Fatto sta che lui essendo una pellaccia sventolava le cento lire e le porte de laParadisa, casa d’appuntamento di corteGodi, si spalancavano. Il problema era che il tutto consisteva in una corsa contro il tempo. Belle e brutte parecchie femmine cominciavano a strusciarsi, a sbaciucchiarti in viso e sfregarti in ogni dove. Il tutto per dieci minuti al massimo, poi, se riuscivi a resistere alla tua carne, dovevi necessariamente scegliere: potevi aggiungere il resto e potarti in camera la tua preferita, che come tutte le altre lavorava con l’orologio in mano ripetendo la solita litania: scopata: triste modo d’avviarsi alla bella necessitA’ Fisiologica del far l’amore. - Forza Lapislazzuli, andate. Anche noi la pensiamo come voi… ma, siccome fa un freddo becco tanto che stanotte la mia dentiera batteva da sola sul comodino, adesso andiamo tutti al solitoBar a gustarci in santa pace pane e salame. Durante la lauta colazione, le idee s’inchinarono al confronto. Così fu. Evviva le diverse opinioni, ben venute le veritàPerdute. Stavolta vinsero le tesi del signorAgostino, Cristiano e progressista a un tempo. Ma a modo suo però. Lui, infatti, non accettava che un uomo come tutti gli altri potesse diventare Papa Imperatore quindi Deus ex Machina. In oltre, cosa non da poco, indicato da prescelti e non dal basso: così facendo si mortificava il principio che siamo tutti figli di Dio quindi uguali, altro che balle. Gesù disse a Pietro tu farai la mia Chiesa e non che la comanderai. Piuttosto ne sarai al servizio. Perciò proprio non lo capiva, sto fatto qui. Insomma non sopportava una Chiesa non democratica, guidata a forza dall’alto. E possedeva un sano principio nel sangue: era Cristiano ma rispettava alla pari ogni altra religione. E fu felice quando il Consiglio Episcopale Italiano decise, dopo infinite rimostranze, di metter mano allo stupendo Padre Nostro. Stabilendo che anziché la formula non ci indurre in tentazione si potesse recitare non ci abbandonare alla tentazione. Perché assai più comprensibile e di certo rispettosa di un Dio che prima t’induce al peccato, per poi perdonarti a suon di confessioni. Anche se, all’infuori diPopoli, questa determinazione fu in - Dai su, avete finito? Suvvia che vi prende stasera: volete farmi tribolare…. Oppure, dovevi uscire poiché, la signoraOrietta usava argomenti convincenti: con una scopa t’intimava di lasciare il posto agli altri. E per fortuna la utilizzava dalla parte della saggina, e non da quella del manico, vacca d’un cane. Fatto sta che lui la prima volta consumò con cinquecento lire senza raggiungere il godimento, giacché ardente com’era prese, a smaniarsi e arrovellarsi a più non posso. Finché, per eccezione fatta ai principianti, passarono trenta minuti ma inesorabile giunse la scopa della signoraOrietta a cacciarlo via. Anziché fare, si cuccò una bella 44 concreto ignorata continuando a ripetere al buon Dio di non indurti in tentazione, mah. E non vedeva l’ora che si pronunciassero anche sul peccato d’essere pro, pro, pro, pro nipoti di mangiatori di mele. Da quando in qua l’uomo è in peccato solo poiché non riesce a resistere alle umane tentazioni? E tutto questo per sempre, per di più. A meno che, con oli ed acque sante frammiste a formule e preghiere, il tutto venga in un battibaleno cancellato. E per di più per scelta altrui: lo si voglia o no anche i genitori sono altri. No no, ha ragione Guccini: se Dio non avesse voluto l’uomo capace di masturbarsi, l’avrebbe fatto con le braccia più corte, perDiana. Sicché secondo baraCCa il peccato originale semplicemente non esiste. C’è il male e il bene, questo si: ma nessuna macchia ti è imposta dal buonDio. Oltre a ciò, non capiva come dei comunisti abbiano potuto considerare un male la proprietà privata. Basta guardare giocare dei bambini per capire che è necessitA’ Fisiologica. Attenzione però, essa non può essere illimitata, altrimenti avviene ciò che stiamo sperimentando: uomini oltraggiosamente ricchi alle spalle di altri uomini disperatamente poveri. Allora serve una via di mezzo, confermava lui. Cinquecento migliaia per ognuno sono poche, bene, allora siete libero di guadagnarne un milione d’euro a testa ogni anno, ma oltre neppure un centesimo. Tale sarebbe, a suo modesto avviso, una saggia via di mezzo. Unica strada che potrebbe garantire un’equa distribuzione delle risorse. In oltre, per il fatto che credeva nell’autodeterminazione dei popoli e considerava che la globalizzazione, se gestita in un certo qual modo, fosse una conquista, pensava che scaturisse come indispensabile che le merci avessero un passaporto alla stregua delle persone. Ogni prodotto dovrebbe essere comprato o venduto solo se si garantisce che è stato costruito secondo i principi fondanti dell’ONU. I sacrosanti Diritti Umani, insomma. Tutto qui. Questa era esser la sua sintesi dell’Homosapiens est socilis. 45 sta Benedetta Regola. Ecco fraCasso era capace di fare cose del genere, e se ne faceva un baffo se a più riprese i suoi superiori gli ordinavano di non fare così e di comportarsi cosà. A tal proposito fraCasso che come tutte le persone intelligenti era dotato di sano umorismo, ne raccontava spesso una sulla fede… Crescere nell’Aldiquà La neve brontolava sotto le scarpe, quella mattina li. Le prime ad accorgersene, con la devota consuetudine d’esser le iniziali a destarsi furono le setteSorelle, seguite a ruota da rustici e fattori, con appresso la signoraNanda, la signoraFlorida, la signoraMassenzia e DindonDan, campanaro di fraCasso nonché emerito elemento in pectore de la Tacabanda, che frettolosamente si portavano a prender messa prima alle sette in punto. Qui era importante la messa prima perché si pregava per tutte le religioni e in modo particolare per le monoteiste, poiché sono le più pericolose. Se credi in un solo Dio, c’è il rischio - e si può ben vedere su giornali e televisioni - che gli altri ti siano nemici: e li nascono i casini. Tale era il parere di fraCasso un frate cappuccino così uguale nei modi e nella forma a sanFrancesco da far fragore, perché anche lui abitava l’amore, financo nei fatti. Sì, le sue opinioni facevano un tal casino che tutti lo ribattezzarono fraCasso. E lui lo rammentava spesso il fatto che quando ilSanto andò dal Papa per chiedergli l’approvazione della sua prima Regola, il Pontefice, per tutta risposta, gli intimò di andarle a predicare ai porci quelle idee sulla fede. Allora lui non fece tanto: se ne andò in campagna e cercò un porcile, poi prese a fare ciò che gli aveva ordinato sua Maestà: predicò e si rotolò con i maiali nel fango fino a inzupparsi il saio e puzzare per benino. Dopo di che, così conciato, riprese la via della santaSede: e al Papa, vista tanta obbedienza, non restò altro da farsi che approvarla - Un bel giorno Gesù e Giovanni stavano raccogliendo olive nell’orto: Gesù sulla pianta e Giovanni sotto le metteva nel sacco finché a un certo punto Gesù informò Giovanni che stavano arrivando i romani, ma di non preoccupasi: di aver fede. Tuttavia, a quel punto i romani arrivarono e gliele suonarono di brutto al povero Giovanni. Ciò nonostante, appena i soldati se ne andarono, continuarono il lavoro. In nome della fede Giovanni scelse di proseguire almeno un altro po’, ma quando Gesù lo informò che stavano tornando i romani erano lì lì per darsela a gambe se non fosse stato che Gesù in persona gli rinnovò l’invito a trattenersi, sempre in nome della fede. E i romani lo menarono di nuovo. Allora Giovanni disse a Gesù che era disposto continuare solo al patto d’esser lui a salire sull’albero. Così avvenne. Buttò giù olive a più non posso nonostante fosse malconcio, poveretto. E riempirono quasi un altro sacco, finché cacciò un urlo: - Tornano Gesù… stanno tornando… eccoli che arrivano… dai scappiamo almeno stavolta… - Mio amato Giovanni abbi fede, abbi fede! Giunti che furono sul posto i coscritti dissero: 46 - A questo poveretto gliene abbiamo date abbastanza… malmeniamo un po’ quello sulla pianta! farmi sto scherzo del cavolo, ma ti giuro che stavolta me la paghi cara. Scese e fece mettere nel serbatoio il gasolio, pagò e trafelato facendo le scale due alla volta si portò nell’appartamento. - Romeo, Romeo…. Dove ti sei ficcato bestiaccia, salta fuori… rispondi, rispondi che tanto, alla fine, ti becco uccellaccio malefico. Romeo quatto quatto si avvicinò a piccoli passettini. - Vieni qua bestiaccia… adesso te la faccio proprio pagare. Che cosa fai? Dove stai volando? Tanto ti acchiappo. Finì per prenderlo e deciso più che mai gli disse: adesso ti metto in croce. Prese chiodi e martello e lo inchiodò per le ali, prima una poi l’altra. Adesso starai lì per una bella settimana per vedere se impari la lezione. Ti darò da mangiare e da bere, ma guai a te se fiati uccellaccio che non sei altro. Passarono due giorni, Romeo era sofferente e sconsolato fin quando, a stento, volse gli occhi all’insù e proprio di fronte vide un crocefisso. Presi dall’allegria e consapevoli che al signorDio piace un sacco vedere gl’uomini felici, baraCCa attacco con una sua storiella. Sì dal fatto, che c’era uno scapolo impenitente che aveva come miglior amico un pappagallo che parlava. Era cresciuto con lui e parlava fluentemente l’unica cosa era che come tutti i pappagalli aveva l’erre moscia, fate i conti di sentir parlare Guccini. Era intelligentissimo e assai birichino. Un bel giorno approfittando del fatto che il signorBertani era uscito da casa, il pappagallo si mise al telefono e chiamò la ditta che consegnava il gasolio facendo un ordine di duemila litri. Passarono due giorni e il campanello suonò. Bertani rispose e si senti dire: - Siamo quelli della Tamoil e siamo venuti a consegnare il gasolio. - Ehi tu cosa fai li… dico a te: come ti chiami? - Ma quale gasolio? - Mi chiamo Gesù… Gesù. - Quello che ha ordinato lei… - Anche tu in croce? Si può sapere da quanto tempo sei li. - Ma io non ho ordinato proprio niente! - Eh guarda, sono più di duemila anni. - Senta signorBertani, noi, a scanso d’equivoci registriamo nella segreteria tutte le telefonate e c’è proprio la sua ordinazione di duemila litri… cosa vogliamo fare? - Duemila anni… ma quanto cavolo di gasolio hai ordinato, Cristo? - Portate un attimo di pazienza che scendo. Noi due, Romeo, facciamo i conti dopo perché lo so che sei stato tu a 47 - - Il più chiaro, rispose deciso: così almeno se per caso viene mancare la luce si potrà intravvedere… Hic… - Orbene, ho scelto di rivolgermi a lei perché tiene “nà capa tanta. Non ha la pace perpetua su questa terra e allora studia, studia a più non posso fino a diventare anche dottore di quell’organo che chiamiamo cervello, la duttoressaMacchiavelli, secondo ammià… Cara dottoressa, mentre vi parlo tengo tra le mani una piccola fotografia dove ancora in fasce song sdraiato su un prato. Sul tergo, l’amata madre mia ha vergato: anima cara sono qui sull’erba che ti aspetto per fare i giochi. Bacetti. J song nato nel millenovecentosessantotto all’Ospedale Cardarelli. Dei primi tre anni della vita mia non ho ricordi se non ricavati da un’altra fotografia dove sempre mia madre mi cullava amorevolmente in braccio. A tre anni iniziai a jocare con Roger il mio primo e unico cane: un magnifico pastore maremmano, grande, grosso e affettuoso assai. Frequentavo la scuola materna parrocchiale di Santo o’ Pesce, dove abitavo, e mi divertivo molto nel jocare con i paesani miei. Avevo una discreta propensione al disegno perché ma chiacciono assai li colori. E me la cavavo pure con i lavori manuali. L’unica cosa ca’ m’infastidiva era l’obbligatoria ora di riposo dopo il pranzo: penso di non aver dormito neppure una volta, per fortuna l’amorevole suorAngela sopportava il mio continuo girarmi e rigirarmi sopra la striminzita brandina. Litigavo raramente; ero amico con tutti, ma com’è logico, ne tenevo uno in do core di nome Pasquale, figlio di un pescatore. Pescatori, pescatori e agricoltori c’erano a Santo o’ Pesce. Escluso un falegname e un panettiere, tutti gli altri andavano per mare o per prati. Che bella era Santo o’ Pesce, Saltò su dopo una lunghissima pausa, il signorSalvatore Pincani Qui piombato dalla lontana Napoli all’età di quarant’anni, e fin da subito ribattezzato Trincani in virtù del fatto che dall’età di quattordici anni viaggiava per la signoraItalia alla gradazione media di sei gradi alcolici. In effetti, lui di solito andava a vino o a Gin tonico, anche se era consapevole che quello era divenuto un Gin cronico. E sosteneva che aveva smesso di sorbirsi l’insalata russa perché ci volevano delle cannucce troppo grandi per tirare su i piselli e le carote, simpatico nevvero. Si fermò a Popoli per fare lo nobile mestiere dello spazzino e quel soprannome era, per lui, con certezza onomatopeico, come per il suo amico signorAgostino baraCCa il cognome. - Che tenete tutti quanti da ride accussì sulla fede proprio non lo capisco: la religione è una cosa seria quanto sanGennaro, chillo che è in contatto con l’Aldiquà c’ò sangue suoio ca’ se squaglie. No, chisto, j non lo capisco proprio. No sacco di cose non capisce ammià, quest’è vero. Tanto che no bello jorno ho sentito il bisogno di sdraiarmi sul lettino diFreaud, soprannome con cui solo lui chiamava la dottoressaMacchiavelli semplice medico condotto sia pure specializzata in malattie infettive e in omeopatia, tanto per capirci. Era l’ennesima volta in vita sua che si affidava a un medico. La prima fu quando gli prescrissero una rettoscopia, lui andò a prenotarla e lo informarono che a eseguirla erano due medici di colore domandandogli chi avrebbe preferito. 48 col mare in faccia e verdi prati a vista d’occhio: c’erano cinquecento anime, mille tra vacche e bufale e "nà sfracassata di maiali. Ho ancora nel naso il profumo, per me tale era e resta, del liquame sparso nei prati per concimarli. E negli occhi le miriadi di lucciole ca’ ci divertivamo a contare al ritorno del rosario serale nel mese di Maggio. Come vicini di casa tenevo dei montanari da poco, trasferitisi nella più fertile pianura, i quali avevano tre figli masculi e una femmena: Catiello, mio coetaneo; Alfonso di un paio d’anni più grande, Rosetta e infine Nicolino o cchiù birichino che con suo fratello Alfonso si divertiva a effettuare la gara tra chi dei due fosse o cchiù bravo a fare lo sciupafemmene. Oltre a loro c’era un’altra famiglia sempre proveniente dalla montagna con due figli: Salvatore che, traparentesi, oltre a chiamarsi come ammià, teneva cinque o sei anni in più e Tramontana della mia stessa età, nà femminella simpaticissima e pepata come Olivia di Braccio di ferro: tal quale ma in carne e osa. Giocavo nei prati con Catiello che fin da picciddò era o cchiù monello, quasi che i genitori suoi avessero previsto il modello: o’ modello. Catiello o’ monello, no’ tipaccio proprio ma anche isso buono come sono di solito i montanari dalle parti nostre. Ah, quante bevute feci c’ò Catiello, quante volte ci girava il mondo mentre eravamo bei fermi col sedere per terra. A noi si aggiungeva suo fratello Alfonso, Salvatore, e, quando poteva perché lui abitava un po’ distante da noi, il mio amicone Pasquale. Il nostro joco preferito era chillo degli indiani contro i cow boy, anche se, non di rado, facevamo o’ nascondino tra le piante e le balle di fieno. Jocavamo con archi frecce e fucili di legno, che costruivamo con gran cura nella mia falegnameria. Quando all’imbrunire sentivamo l’irrevocabile urlo: - Salvatore venite accà. Non distinguendo quasi mai se a pronunciare quel diktat fosse la madre mia o chilla del mio omonimo, eravamo tutti costretti a malincuore a far ritorno a casa. Maledetta la volta che precisassero o motivo, così almeno gli altri avrebbero potuto continuare a jocare, niente: proprio solo e soltanto un Salvatore venite accà, mannaja a miseria. La famiglia mia era composta dai miei genitori e dai nonni paterni. Io adoravo mio nonno per la sua tranquillità e disponibilità ed ero ricambiato. Il primo mobile ca’ song riuscito a fare come pareva ammià, senza ascoltare il no del padre mio, l’acciò firmato nonno Gennaro, perché all’epoca era ormai defunto a causa d’un infarto. Mia nonna era tanto severa, quanto tirchia, e faceva passare le pene dell’inferno a mia madre: nulla di ciò che cucinasse o facesse era ben fatto: eccezion fatta per la Pastiera, specialità napoletana, che regolarmente si pappava per metà alla faccia nostra. A madre mia era buona assaje, ancorché rigida nell’educarmi si mostrava amorevole nell’accettare i miei errori, e stravedeva per me come la beataVergine per il signorGesù. Mio padre, in conflitto sul lavoro con mio nonno, era severo e assente. Non ricordo una serata insieme a guardare la televisione o a jocare a carte o, che ne so, a far quattro chiacchiere: per lui dopo la cena era obbligatorio andare o’ bar, a quello di Scampia però, non quello di Santo o’ Pesce frequentato da soli contadini e pescatori. Per fortuna ammià le scuole elementari, le feci nella frazione, dove vivevo, anche se a causa dello scarso numero 49 degli allievi le classi erano unificate: ricordo che la prima la feci con la terza. Era divertente perché avevi il confronto immediato sul percorso che negli anni avresti dovuto fare. J ancora non sacciò o motivo, ma ero il cocco della maestra Tricarico: ero buono quest’è vero, ma non ero certo un secchione, non lo sono stato mai. La cosa da una parte m’inorgogliva e dall’altra m’infastidiva poiché ciò provocava invidia nei miei compagni, ecco perché… provavo “nà sorta di disagio, insomma. La maestra aveva una figlia della nostra stessa età e ogni tanto la portava con sé, anche se lei frequentava le scuole di Cicciano, dove abitavano. J ero particolarmente felice quando ciò accadeva perché era un maschiaccio proprio come chiacciono ammià e’ femmene, e non le nascondo che quella fu la mia prima cotta, a bagno Maria, però. Diciamo che negli studi ero nella media. Strada facendo è iniziata la scoperta della sessualità e i giochi che facevamo durante la ricreazione ne erano influenzati. C’è n’era uno, dove i masculi si mettevano in fila spalla a spalla e altrettanto facevano e’ femmene; ora, j non ricordo cchiù quale fosse il meccanismo ma alla fine della fiera, si creavano le coppie di marito e mogliera. Quando la sorte mi accoppiava alla figlia della maestra, ero felicissimo perché mi piaceva proprio, anche se la timidezza, mia naturale compagna di vita, m’impediva di dichiarare le mie nascoste intenzioni. Traparerentesi, bastava che mi sfiorasse che diventavo tal quale no’ pomodoro sanMarzano poiché ero anche paffutello. Tuttavia, ero soddisfatto anche quando mi capitava la Filomena, o la Pasqualotta o Marinella, più grande di noi d’un paio d’anni: era la più ambita poiché era la più bella. Quando si dice che una porta nel nome o’ proprio destino. Si Marinella era la cchiù bella. Anche i giochi pomeridiani tra noi quattro o cinque amici iniziavano a cambiare, chi era capace si arrampicava sugli alberi, j non sono stato capace mai, mannaja. A pescare poi ero una frana: tiravo su sole scarpe vecchie, o pesciolini del menga e gli amici miei regolarmente mi sfottevano con le loro belle orate o coi polipi che pescavano a mano, mentre a me facevano una paura dell’anima. Oppure s’iniziava a dare i primi calci al pallone, lo sport nazionale, e li ho scoperto quanto oltretutto fossi anche incapace: per me jocare con una palla in mezzo ai piedi equivaleva a un tentato suicidio. Ma anche il sesso si affacciava alle porte: confrontavamo le nostre segrete doti e davamo la caccia ai giornalini pornografici. Il padre di Catiello ne aveva una discreta scorta sotto o’ materasso, e con essi iniziavano i primi tentativi di masturbazione. Ricordo che la prima volta che mi uscì qualche goccia di seme mi sentivo già un uomo fatto. Mentre Pasquale, che teneva una dotazione considerevole, ci prendeva tutti in giro: beato lui, traparentesi, nonostante fossimo coetanei iniziò a eiaculare un anno prima di me. E quant’è lungo un anno a quell’età, non si può neanche immaginare. Mamma natura quell’anno non finiva mai, mannaja a’ chiavic. Comunque la mia infanzia è trascorsa allegramente così: la mattina a scuola, e il pomeriggio nei prati o al mare a imparare a nuotare. L’unica cosa che un po’ mi disturbava era l’ora di religione, non per l’argomento in sé ma per via del parroco. In paese donPecoraro non era quel che appariva e nel tempo, facendo una metafora con Santo o’ Pesce lo ribattezzammo don o’ Pesce dacché dalle parti nostre pure l’organo di riproduzione maschile è chiamato accuscì: pesce. Questo, vista e considerata la vox populi che lo vedeva amante di una piacente vedova del luogo. Poveretta, aveva 50 subito un trauma tremendo: in un drammatico incidente stradale aveva perso il marito e due figli. Per il paese intero, fu uno schok terrificante. Anche se per me non fu purtroppo il primo confronto con la morte: giacché, un mio compagno di classe jocando da solo a pallone nella grande cantina della casa colonica in cui abitava fece capitolare o’ pallone, che finì nell’enorme tino di legno dove i suoi stavano facendo o’ vino a uso familiare. sicché, nel tentativo di recuperarlo, restò asfissiato dall’anidride carbonica che si sviluppa durante la fermentazione alcolica. Dopo ore e ore di ricerche suo zio lo trovò esanime disteso sulla vinaccia. Rammento ancora la macchina dei Carabinieri che si fermò presso la nostra falegnameria per chiedere dove abitasse la famiglia in questione, e l’urlo che cacciò mia nonna nell’apprendere dalla loro bocca l’accaduto. Piansi molto la morte di Tonino. E ho fissato nella memoria il mazzo di fiori che per una triste settimana avevamo riposto sul suo banco di classe. Ancor oggi, quelle rare volte che vado al cimitero a trovare i miei cari, non manco di passare anche da lui. La vita è fatta così, ho capito: inscindibile dalla morte, porta d’accesso all’Aldilà. E col passare degli anni mi convinsi sempre più che forse è proprio questo a renderlo così unico e speciale sto benedetto Aldiquà. Più tardi, avevo circa quindici anni, persi mio nonno Gennaro al quale ero legatissimo: era lui a fare da paciere nelle liti tra me e mio padre, si prestava sempre lui a sopportare le angherie di mia nonna, oltre a tutto ciò, per sbollire la situazione mi caricava sulla macchina sua per portarmi a visitare le belle colline di Posillipo. Con lui chiacchieravo a lungo e volentieri. Fu grazie lui che nacque il mio amore per il bel mestiere del falegname. Ero figghio unico ma tenevo Roger fedelmente al mio fianco in ogni occasione. Povero il mio bel maremmano Roger: anche a lui spettò una triste fine, dacché avendo una tremenda paura dei temporali, s’intrufolava in da’’ casà, luogo a lui altrimenti negato. Una sera, mia nonna, nonostante lui fosse comodamente accucciato nei pressi della porta d’ingresso, volle a tutti i costi farlo uscire e per tutta risposta si accuccò no’ profondo morso alla mano destra che gli costò dodici punti di sutura. Era la prima e unica volta che Roger, nato e vissuto libero, ebbe un comportamento accussì. Il veterinario sentenziò che era divenuto arteriosclerotico e per tanto apparve necessario abbatterlo. Così fu. Gli fece un’iniezione che gli paralizzo i polmoni, lo seppellii nel pezzo di terra che avevamo dietro la falegnameria, con gli occhi lucidissimi, mannaja anche o cane mio, addio… arrivederci nell’Aldilà fedele compagno. Poteva fare il cane poliziotto se gli avessero dato la divisa tant’era scaltro. J, invece, anche senza divisa avrei solo potuto fare il cane ladro. Anche se ne riconoscevo l’utilità, tenevo una vera e propria idiosincrasia per le divise. Figuratevi dottoressa che no bello jorno, quando avevo quattordici anni, per festeggiare la fine del collegio dai Gesuiti dove ho frequentato le medie inferiori di cui le parlerò appresso, mio padre comprò “nà barchetta a motore, perché anche a lui piaceva assai andar per mare. Ebbene, da lì a poco o’ Maresciallo di Scampia chiese a mio padre se gentilmente avessi potuto accompagnare lui e un suo subordinato su una spiaggia raggiungibile solo in barca, e mio padre naturalmente rispose di sì. E a me non restò che ubbidire. Tenevo o costume ed ero nero come un Marocchino mentre loro erano in divisa con tanto di scarpe, per di più. Il tragitto durò circa mezzora e loro confabulavano 51 su alcuni nudisti che si erano accampati in barba alla legge su una spiaggia stupenda con accostati alti scogli, un Paradiso in terra pareva. A un certo punto mi chiesero cosa ne pensassi e per tutta risposta mi misi a cantare a squarciagola bocca di Rosa del mitico Fabrizio De Andrè. Mi guardarono stupiti e certamente infastiditi ma j song fattoCosì, cari i miei carabinieri. Giunti sul posto scoprimmo che di spiagge non ce n’era neppure l’ombra e quindi non potevo far altro che gettare l’ancora tra gli scogli. Loro presero a bestemmiare perché c’erano i ricci di mare e non volevano beccarsi dei pungiglioni. - Va bene, dissi: allora torniamo indietro e lasciamo sti bei figlioli e figliole liberi di prendersi il sole gnudi, così come natura crea. Assolutamente no! La legge lo vietava. A quel punto, all’Appuntato e al Maresciallo non restò altro che togliersi le scarpe e i calzini poi, arrotolatisi con gran cura i calzoni d’ordinanza, presero a muovere lentamente i primi passi nelle calde acque: o Maresciallo, il riccio l’ha scampato mentre l’Appuntato se l’è acuccato. E giù un’altra bella sfilza d’improperi a sanGennaro che di sicuro il riccio non l’ha inventato, ma da sant’uomo qual era, l’ha tignuto per chillo che era, pappandoselo pure. Il bello è che quei bei giovani, tre masculi e due femmene, se la presero pure con me dandomi dell’allievo carabiniere, santaPorcellana che non so se c’è, ma se c’è dev’esser bella e preziosa assai. Per grazia Divina di divise in vita mia non ne indossai niscuna. Manco il servizio militare feci: fui esonerato per ipertensione, il primo anno mi definirono rivedibile, il secondo feci cinque giorni all’ospedale militare di Grotta a Mare, dove ne combinai di tutti i colori. Ad esempio, sapendo che dovevo fare l’elettrocardiogramma, mi sorbii due o tre scodelle di caffè e feci, due gradini alla volta, almeno sei o sette volte l’ampio scalone dei tre piani dell’edificio. Quando mi collegarono gli elettrodi e accesero la macchina, che non era come quelle del giorno d’oggi, bensì un semplice pennino che segnava il tracciato su un rotolo d’apposita carta, il pennino saltò fuori dal rullo. L’infermiere mi chiese: - Ma è agitato?, e j - Tranchillo come no pesce song. Contaballe che non ero altro: Ma la vera chiave di volta me la suggerì il mio medico di famiglia, da me informato della circostanza. L’anno precedente, quello intercorso tra il rivedibile e l’esonero, continuai a tenere sotto controllo la pressione perché facevo o’ volontario presso la Misericordia dei Poveri Cristi di Cicciano e no dottore mi consigliò di sottopormi ad un breve ricovero per stabilire se quest’ipertensione fosse dovuta a qualcosa che non funzionasse a dovere, ma non cavarono un ragno dal buco. Per farla breve o’ dottore mio mi suggerì il da farsi: durante l’analisi delle urine avrei dovuto pungermi con un ago da cucito un dito, e immergerlo nel liquido fisiologico. In tal modo avrebbero trovato tracce di sangue nelle urine imputando così l’ipertensione a un cattivo funzionamento delle reni. Fatto sta che fui con tanto di timbro giudicato inabile a servire la Patria, con mia grande gioia. Tornando a casa a bordo della mia fiammante due cavalli cantavo a squarciagola con Il dottore di De Andrè: 52 Tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riesci a descriverlo con le parole e la luce del giorno divide la piazza, tra uno scemo che ride e l’altro che passa: gli alti radon se stessi tu ridi di loro. all’insegnamento poiché in precedenza quella era una scuola d’agraria e, infine, lo stupendo laghetto con tanto d’isolotto con svettanti piante e cespugli oltre a piccoli gommoni per la navigazione. Il tutto in un magnifico parco che il professorZoncalamano aveva nel tempo arricchito di piante autoctone e tropicali… che meraviglia. L’unica cosa che mancava in quei tre giorni erano la scuola e le ore di studio: furbi i Gesuiti. Ne tornammo tutti entusiasti, e solo noi di Santo o’ Pesce ci inscrivemmo in quattro, tra noi la Pasqualina, una delle tante figlie del fornaio. Perché proprio quell’anno avevano deciso d’accogliere anche e’ femmene sia pur come esterne: cioè con l’obbligo di rientrare al proprio domicilio alle diciassette. La maggior parte dei ragazzi abitanti nei paesi vicini faceva così; noi interni che dormivamo presso l’immenso camerone eravamo quaranta, facevamo ritorno a casa o’ sabato pomeriggio zeppi di compiti. Gli orari erano così suddivisi: sveglia alle sette, con conseguente rifacimento del letto e igiene personale, rigorosamente con acqua fredda, per non dir gelata. Prima colazione, poi alle otto in punto suonava la campanella che annunciava l’inizio delle lezioni. C’erano due prime classi quell’anno: una di esse era mista, ma purtroppo non era la mia. Iellato fin dall’inizio, ero. O forse avevano già nasato che le’ femmene a me piacevano eccome, mah. Alle dodici e trenta, terminate le lezioni, si andava tutti a pranzo in un unico refettorio con una lunga sfilza di tavoli da quattro posti. Poi, finalmente, un paio d’ore di ricreazione; dopo di che, un paio d’ore di studio per fare i compiti, nuovamente tutti insieme in un unico ambiente dove non sentivi una mosca volare. Seguiva un’altra ora di ricreazione, al cui termine gli esterni tornavano a casa mentre gli interni si acuccavano un’altra ora di studio. Al termine, fatta una breve Poi mi pare Perché Dio punì il primo uomo nel giardino incantato, lo costrinse a vagare e ignorare che al mondo c’è il bene e c’è il male. E ancora E senza sapere a chi dovessi la vita in un manicomio, io l’ho restituita. Nu’ poco come ammià, insomma. Beh, ne ebbi abbastanza del collegio, santaPorcellana nata vota. Ecco, veniamo al collegio Gesuitico di Monte Pascoli, dove frequentai le scuole medie inferiori. I dieci figli del fornaio di Santo o’ Pesce, oltranzisti della fede, lo fecero tutti. Oltretutto anche Pasquale aveva fatto quella scelta, sia pur non per la stessa ragione, ma bensì perché o’ padre suo, quanto il mio, erano convinti che là si studiasse in modo più rigoroso rispetto alle scuole statali. La mia esperienza confermò questa tesi: dai Gesuiti si studiava, senza tante balle. Ricordo che prima dell’inizio dell’anno scolastico, durante il mese d’agosto, l’Istituto organizzò come di consueto tre giorni di prova. Che spettacolo: un gioco dietro l’altro, visite ai musei interni, alla piccola palestra, alla vecchia stalla ca’ sarebbe diventata la sala giochi invernale, al campo di calcio utilizzato per le occasioni speciali. Che, invero, distava quasi un chilometro: nei verdi prati una volta destinati 53 pausa, giungeva l’ora del pasto serale. Alle nove tutti a letto con la luce accesa per mezz’ora per chi voleva leggersi qualcosa, giornalini o fumetti perlopiù. Due cose non scorderò mai nella vita di quei tre anni: la pessima qualità del vitto, e la buffa alta percentuale di lenzuola che andavano su e giù, a causa degli impegnativi esercizi sessuali fatti dai singol, dopo che il prete guardiano aveva terminato i suoi giri di ronda e si ritirava nel suo letto. L’unico ad avere tende separé. E fu alquanto triste scoprire nel tempo che queste gli servivano anche per nascondersi quando a notte inoltrata molestava un ragazzino. Molto triste, tuttavia ahimè assolutamente vero. Quel povero ragazzo si vergognava assaie perché tutti l’avevano capito e lui non era omosessuale, semplicemente non trovava il coraggio di ribellarsi alle prepotenze di donGioacomo. Taluni lo schernivano, come si fa tra ragazzini e, lui chiagneva, versava le lacrime dell’infernale tormento, santoCielo disonorato. Non posso poi dimenticare la fatica che feci per convincere il Preside a esonerarmi dall’obbligo di jocare c’ò pallone: immaginate voi lo sforzo d’un imbranato quale sono j, a jocare su campi di porfido con squadre composte di venticinque elementi tutti vestiti a modo proprio, per cui dovevi memorizzare i tuoi compagni per distinguerli dagli avversari. Per me era letteralmente impossibile. Ci provai ma proprio non mi riusciva di toccare a’ palla se non quando, per errore, qualcuno me la scaraventava addosso. Tanto che quando la sorte decideva la composizione delle quattro squadre, noti che i campi erano due e le squadre erano pertanto di troppi elementi, quando ero j a farne parte dai miei compagni scappava un coro di: nooo, uffa, e accidenti vari. Escluse ovviamente le bestemmie, vista la continua presenza di un prete, anche se, sarei pronto a giurarci, qualcuno dentro di sé le masticava pure. C’era, a onor del vero, un piccolo campo per la pallacanestro, ma quando andava grassa, non eravamo più di quattro o cinque a jocarci e il mio metro e novanta non serviva a niente Dio canta e Maria zufola: dopo un’oretta c’ingoiava la noia. È proprio vero che il calcio non è per un italiano uno sport qualsiasi, ma una vera e propria filosofia di vita. Si figuri là in do song nato j… tutti i santi jorni in tutti i santi bar, non si faceva altro che parlare e accapigliarsi sul Napule: - E’ un allenatore del piffero chillo… - Ma che state a dì paisà, chillo è o cchiù bbravo du munno. - Ma lo dicite voi… è solo un fatto di quattrini: chilli c’à voiono per accattare i jocatori buoni. - Mo state a vedè che per vincere ci vuole uno jocatore: è questione di squadra, di formazione, è tutto l’allenatore o’ perno della situazione. - Ma jattevenne: voi di calcio non ne capite “nà mazza, Maradona ci vorrebbe, con chillo vincimmo o scudetto coppa Italia, coppa dei Campioni, coppa Intercontinentale eeeeee - e pure coppa dell’olio, lo interrompeva l’altro 54 Tutti i santi jorni in tutti i santi bar, l’unica variante erano le zinne della Ferilli o le gambe della Cucinotta, la cucina preferita dagli italiani. Fatto sta che i preti di sorveglianza capendo la mia difficoltà si riunirono in concistoro e stabilirono che potevo fare qualche altra attività purché, ben inteso, sotto i loro occhi. Che fare? Inizialmente pensai d’aiutare il professorZancalamano, un insegnante laico che viveva in collegio, era o’ cchiù Gesuita di tutti e teneva “nà capa tanta. L’accio sempre apprezzato come insegnante di scienze perché sono per natura curioso, e lui era un pozzo inesauribile. Aveva contribuito alla stesura di labbri di testo, addirittura. E aveva due ampi spazi adibiti a museo, perché era sapientemente convinto che il vedere con i propri occhi uno scheletro, un minerale o, che ne so, un circuito elettrico fosse più istruttivo c’à rappresentarlo in teoria. Ci faceva eseguire esperimenti di chimica, di fisica, d’energia. Bensì, la cosa che a me più piaceva era costruire le schede arboree così come lui ci aveva insegnato. S’iniziava col selezionare le varie erbe o foglie, che poi dovevi con cura essiccare dentro fogli di jurnale sottoposti alla pressione di libri, rigirandole ogni giorno fino a che fossero pronte per essere catalogate. Ci aveva imparato a fare schede col bristol su cui riporle, fissandole con minuscole strisce di nastro adesivo trasparente che ricavavi stendendo una fettuccia su un pezzo di vetro per poi ridurla a striscioline, con l’ausilio di un righello e un cutter. Fatto ciò, dovevi applicare al cartoncino un foglio di quaderno su cui descrivere vita morte e miracoli della specie in questione. Ciò, evidentemente, a seguito di lunghe ricerche sui libri. Ma questo era un lavoro di studio non di tempo libero, nel quale invece spolveravo i vari oggetti riposti nelle grandi vetrine. Così lo aiutavo nei lavori più disparati che a lui necessitavano. Poi, c’accia a dì, vista la mia discreta manualità mi diedero il compito di sistemare la vecchia stalla che sarebbe divenuta a’ sala giochi invernale. Sostituii i vetri rotti e stuccai gli altri. Verniciai gli infissi, pitturai i muri e stesi un’apposita vernice sul pavimento. Ne uscì un bel lavoro e ricevetti i complimenti di tutti. Preti compresi. Ma tre anni son lunghi…. Presi a leggere il bollettino Gesuitico o i rari Diabolik, gli altri fumetti non mi appassionavano. Qualche volta, quando ne avevo la possibilità, mi facevo portare un giornale da Antonio De Gennaro, figlio di noti imprenditori di Scampia. Lui era esterno e poteva farlo, oltretutto era buono come il pane e si prestava alle mie richieste, divenendo perfino il mio compagno di banco. Non le dico il patatrac che accadde quando il prete scoprì che il mio quotidiano preferito era Lotta Continua: - Adesso basta, quest’è troppo, o giochi con gli altri o studi, fai tu. J di ore di studio ne avevo già abbastanza e men che meno avevo voglia di ricominciare col calcio, mannaja a miseria. Allora presi a leggere libri, chiaramente quello che passava il convento, ma almeno non sprecavo o’ tempo. E’ stata la mia fortuna, perché con quel lento e faticoso esercizio ho preso dimestichezza con la letteratura e la saggistica che ancor oggi conservo. Al laghetto poi, potevamo accedere solo saltuariamente e non avevo alternative. Ah, guarda un po’, ricordo che una volta j stavo sul gommone e De Gennaro sulla piattaforma, allora allungò il passo per salire anche lui a 55 bordo, e j, bastardo, diedi un secco colpo di remi così lui finì in acqua. scortato da una pattugliata di Polizia, con tanto di lucciole accese. Non sapevamo come aiutarlo, ed anche le parole restavano parole. Fortunatamente in un mese o poco più la cosa si risolse: dopo il pagamento di un lauto riscatto, fu rilasciato incolume ed ebbe modo di tornare dai suoi cari. Poi venne il mio turno. Da mia madre ho ereditato tante belle cose, ma una particolarmente spiacevole: il mal di testa. Ho iniziato a soffrirne assiduamente con nausea, vomito, fastidio per la luce e gli odori. Era un vero problema perché inizialmente i professori non mi credevano: il mal di testa non è una frattura ed è impossibile da dimostrare. Però, sempre più spesso presi anche a rimettere e quello potevano ben constatarlo. Purtroppo, la loro lettura fu che si trattasse di un fattore psicosomatico e consigliarono i miei genitori di passarmi come esterno. In realtà penso che quel provvedimento fosse dovuto a ben altro. DonAmbrogini, all’epoca Preside, un bel giorno in studio - dove, ripeto, non si sentiva una mosca volare, a un quarto d’ora del suono della campanella che annunciava il termine dell’apprendimento stava come di consueto girando tra i banchi. Ebbene, si accorse che anziché un testo stavo leggendo no piccolo settimanale Gesuitico fatto apposta per i ragazzi quindi simpatico e allettante, fu intransigente. Si portò alle spalle mie e mi mollo un ceffone che fece rimbalzare la mia capa sul duro banco di legno. Poi si arrecò sulla porta d’ingresso e m’intimò di seguirlo urlando: Quanto si è stupidi a quell’età, o semplicemente sarà la voglia di divertirsi che ti portava a fare cose così monelle, non lo so. So solo che si facevano. Insomma o leggevo o m’ascucciavo. La cosa migliore per me era l’arrivo della stagione invernale perché s’andava in sala giochi dove potevo jocare a pingpong, ma anche lì dopo interminabili attese vista la sproporzione che c’era tra tavoli e jocatori. Anche a bigliardino o santoBigliardino chillo che tiene l’aureola che puzza, perché con tutto quel squassarsi favorisce la peristalsi e a perreta scappa che è no piacere. Beh, guarda caso, ero una vera e propria schiappa anche lì e niscuno ma proprio niscuno voleva jocare con ammià. Ma la vera cosa interessante dell’inverno era la settimana bianca, per chi se lo poteva permettere e j fortunatamente ero tra questi. Andavamo a Monte Precipizio, con piste che erano uno strazio, in una vecchia caserma abbandonata. Due sacerdoti molto abili c’impararono a sciare. Lo sci è l’unico sport che è, nel tempo, rimasto alla mia portata e mi piace “nà sfracassata. Il terzo e ultimo anno fu quello delle disgrazie: Antonio De Gennaro, visto le possibilità paterne, aveva acquistato un motorino che nella forma e nelle prestazioni era simile a quelli da competizione. Purtroppo una sera cadde rovinosamente e subì la frattura della colonna vertebrale che, nonostante i tentativi fatti nei più importanti ospedali europei, lo costrinse alla sedia a rotelle. Mentre Luisello Lo Jacono, figlio di un grande imprenditore di Tor Vergata subì il rapimento del nonno. Era uno dei primi casi, ed eravamo tutti disarmati e attoniti nel vedere il pulmino che trasportava gli allievi - Fessetto, tanghero, jammà accà, jammà accà. Non mi restò altro che seguirlo; mi portò in un'aula adiacente e prese a corrermi appresso sbraitando: 56 - Fermati, fermati, fessetto che non sei altro…tanghero! Che sorpresa mi fece vederlo capitare in falegnameria qualche anno appresso… tra tutti aveva scelto proprio ammià. Tra noi c’era “nà sorta d’amore e odio. Rievocammo i tempi passati, quelli belli e quelli brutti, come quella mattina che in do cortile mentre attendevamo l’arrivo dei vari pulmini che portavano i ragazzi esterni, eravamo intenti a confabulare gesticolando con un gruppetto di compagni, lui infuriato mi convocò nello studio suo minacciandomi la sospensione. Erano gli anni di piombo, quelli do’ rapimento di Aldo Moro e lui, conoscendo le mie idee di sinistra, temeva che stessi sobillando gli altri a fare chissà cosa. Ricordo che piansi e negai. Negai perché non era vero: song innanzitutto un non violento e se c’è una cosa, di cui posso essere orgoglioso, è che nella travagliata vita mia sono onorato di non essere mai venuto alle mani, c’ò niscuno. Per tanto, pur non riuscendo a turarmi il naso, così come consigliava il grande Montanelli di fronte alle nefandezze della DC, non ero per niente d’accordo con i brigatisti, e disprezzavo i loro metodi che hanno rovinato più di “nà generazione, mannaja, mannaja e mannaja nata vota. L’unica cosa positiva di quei drammatici jorni era che si leggeva o’ jurnale in classe e si commentava, cosa che vorrei fosse obbligatoria al pari dell’educazione civica anche ai giorni nostri. Tuttavia, torniamo al mio mal di testa che non ne voleva sapere di lasciarmi in pace: concordammo che gli ultimi mesi mancanti al termine dell’anno scolastico li facessi da esterno, per potermi curare. Il mio bravo medico di base non seppe far altro che prescrivermi Aspirine o Orudis. Ciò nonostante le cose non migliorarono, andai quindi da neurologi e specialisti vari fino ad approdare al centro per le cefalee del Santo Bono. Tuttavia, anche lì non cavarono un Ma io, timoroso che rincarasse la dose di botte presi a fare uno slalom tra i banchi rispondendogli: - Si fermi prima lei che mi fermo anche j. Alla fine così andarono le cose. Tremava letteralmente per l’eccitazione, allora mi giustificai: - Professore, avevo già finito i compiti e non mi par di aver fatto nulla di male. - Lo dici tu, rispose. Allora perché gli altri studiavano ancora? Andò a finire che mi prese e mi mise con le spalle al muro, trattenendomi con le grandi mani sue le spalle ben distese e poi scoppiò a chiagnere. J rimasi citto citto, disarmato, fino a quando mi disse: - Vattene… Purtroppo, non era la prima volta che alzava le mani: ricordo che un giorno sollevò con l’intero banco il povero Natalino, che era nò poco picchiatello e per di più s’intartagliava, e lo tirò su per le orecchie a sventola. Un paio d’anni cchiù tardi, capendo la situazione, fu esonerato dall’insegnamento e spedito a fare o’ prete in una chiesetta nelle colline di Posillipo. 57 ragno dal buco. Le provai tutte, insomma, perché soffrire di cefalee è veramente brutto. Ero come mia madre, trovavo conforto solo con massicce dosi di analgesici e standomene a letto con le serrande abbassate. Fino a che, non ricordo chi, mi consigliò di recarmi a Caserta dove esercitava un anziano omeopata che aveva vissuto per più di vent’anni in Cina. Rammento la lunga sfilza di domande che mi fece, volle sapere un po’ di tutto. Poi mi fece accomodare su un lettino e mi fece un trattamento d’agopuntura al termine del quale, mi prescrisse un paio di medicamenti che avrei dovuto procurarmi in un'apposita farmacia. All’epoca l’omeopatia era vissuta più come “nà sorta di stregoneria anziché un modo per curarsi. Ho ancora negli occhi la sua faccia fattasi orientale: con pochi e lunghi capelli bianchi e un paio di baffi che non ho mai più rivisto dal vivo: sottili e longilinei, d’almeno venti centimetri. Che uniti alla sua modestia e onestà lo rendevano speciale assaje. Mi avvisò che con quella terapia molto probabilmente inizialmente i sintomi si sarebbero accentuati, ma che poi il problema si sarebbe risolto. E andò proprio così, caccia a fa. Ora, non dico di non aver mai più sofferto di mal di testa ma certamente con una frequenza assai diradata e una sintomatologia notevolmente alleggerita. Vattela a pesca, mannaja i pregiudizi. Infine, per contraltare e dulcis in fundo o mio amicone Pasquale fu bocciato. Davvero un anno memorabile. Mi consenta di chiudere l’argomento collegio, che nel bene e nel male mi segnò assai, raccontando la mia ultima marachella, giusto per chiudere in bellezza. O professorZancalamano, che non dimenticherò mai e che cchiù volte andai a trovare anche negli anni successivi, faceva raccogliere nel parco che circondava il laghetto le più varie erbe e foglie per le schede botaniche. E per far ciò accoppiava un ragazzo di terza con uno della prima classe, perché lo imparasse a dovere su quali scegliere. A me toccò Caffettiera, un pacioccone di una bontà estrema ma un po’ tonto, così soprannominato perché balbettava di brutto, e all’inizio d’ogni sua considerazione emetteva un cccrrrr… cccrrr…. cccrrr… tal quale a una moca quando sta salendo o’ caffè. In gruppo ci recammo nel parco ebbene j, per scherzo, gli feci raccogliere una quantità infinita d’ortiche, sostenendo che erano di varietà diverse o che una fosse cchiù bella dell’altra. Alla fine poverino aveva le mani viola. E j, imbecille, ridevo. Mi beccai un quattro: l’unica insufficienza che presi in scienze. Infine l’anno terminò col classico esame, eravamo tutti agitati aspettando ognuno il turno proprio, tenevo le gambe che facevano Giacomo-Giacomo. Tranne qualche tentennamento in inglese - le lingue non sono mai state alla portata mia andò tutto liscio come l’olio e feci o stesso identico disegno della quinta elementare: bell’assaje du cannone che sparava fiori che tanto piacque ai professori, accuscì fui promosso. Fine do collegio, Deo gratia. Però l’ultimo ricordo lo vorrei dedicare al vecchio donPolacchi, il nostro confessore preferito. Ci mettevamo d’accordo in una quindicina, i più discoli, e confessavamo tra le altre cose d’aver nominato il nome di Dio invano. Allora lui pazientemente cominciava a dirti: - Mio caro mai nominare il nome di Dio invano, puoi dire un sacco di altre cose come porca miseria, mondo ladro, vacca miseria, vacca d’un cane, porca l’oca, anche porca gallina, miseriaccia ladra, per Diana, per dinci Bacco se proprio vuoi e poi dì ogni tanto santoCielo. Dovendo ripetere un’infinità di volte queste cose, se ne usciva dalla sua modesta, 58 maleodorante cameretta, zeppa di libri col peso dei suoi novanta e più anni ripetendo: porca miseria, mondo ladro, vacca d’un cane, porca l’oca, porca gallina, miseriaccia ladra per Diana, per dinci Bacco e santoCielo…. Durante le vacanze estive accadde un avvenimento che mi segnò per tutta la vita: mentre ascoltavo la radio sulla macchina del padre mio - perché in casa non la tenevamo aprii il cruscotto per pescare il libretto delle istruzioni, giusto per distrarmi. Comunque, sorpresa delle sorprese, cosa trovai?, una lettera d’amore indirizzata proprio a lui. Io non posso vivere senza di te, c’era scritto, sei il mio tesoro e come mi diverto con te non avviene con nessun altro, ti amo fino alla follia e vorrei che tu fossi solo per me. La richiusi e la riposi al posto suo, e piansi. Quanto piansi, lo so solo j... Non sapevo cosa fare: se affrontare a viso aperto mio padre o informare a madre mia, che evidentemente già nasava la situazione, tanto che accompagnata da nonno Gennaro, la sera facevano la ronda in piazza a Scampia. Dove ancor oggi ha sede il Bar Sport - seconda casa di mio padre - per verificare che ci fosse parcheggiata la macchina sua. Però il marpione aveva un amico do core che gli prestava la vettura, e il gioco era fatto: libero d’andare dalla sua amante. Alla fine ebbi solo il solo il coraggio di parlarne con Pasquale, dacché era anche lui nella mia identica situazione. Rammento i lacrimoni che ci scinnivano, soprattutto quando ascoltavamo piange il telefono di Domenico Modugno. Lo ascoltavamo e la riascoltavamo decine di volte, riavvolgendo la cassetta. E in silenzio chiangnevamo. Sia pure, l’annus orribili non era ancora finito. Venne il momento di scegliere le scuole superiori ed ero deciso, anzi decisissimo, a frequentare l’istituto d’arte per imparare a disegnare i mobili che avrei costruito con le mani mie. Purtroppo però tali studi si potevano fare solo a Napule e non ci fu niente da fare: - I mobili li sapimmo fare diggià è cchiù importante che tu t’impari a far di conto con i quattrini, perché niscuno nasce imparato soprattutto c’ò gli spicci. Insistetti inutilmente: se fossi riuscito a brevettare una mia vecchia idea di una calamita capace d’attirare a se le rotture di scatole in questo caso avrebbe funzionato egregiamente. Fin che una sera mio padre chiamò a dar forza alle sue tesi un nostro collega di Cicciano, il signorAmoroso, suo amico fraterno che di tutto fece per dar forza alle tesi sue. E ne era evidentemente convinto tanto che suo figlio si laureò in economia e commercio, per poi esser costretto ad assoldare un architetto per fare delle cucine che si vendevano a malapena. Il giorno successivo fui inscritto all’istituto di ragioneria che, mannaja anche a quello che sta laggiù, o’ Demonio, proprio quell’anno fu inaugurato a Grotta a Mare. Lo frequentavo controvoglia, e solo grazie ai seri studi fatti dai Gesuiti, feci i primi due anni senza aprire un libro, tranne quello di stenografia. In seconda, fui rimandato in Inglese, j sacciò parlare solo o dialetto mio, le lingue sono la mia bestia nera, ma superai l’esame di riparazione. In terza però non ne potevo proprio più. E un bel jorno mio padre mi venne a prendere al termine delle lezioni e subito m’informò che o figlio di Tristano, l’unico dipendente che aveva, si era licenziato. Colsi la palla al balzo: - Veng j a fatica in int’a’ falegnameria. 59 - Che diciste ammo, non vulite cchiù studia? In compenso il mestiere mi piaceva molto, tanto che già da un pezzo quando avevo un po’ di tempo, mi affiancavo a mio nonno nel ramazzare a falegnameria dai trucioli, con lui prodigo di consigli su come si facesse un mobile. Amo far pulizia tanto che un’estate di vacanza, avevo quindici o sedici anni, pensai addirittura di fare la pulitura dalla segatura che si forma sotto la sega a nastro. Di solito veniva “nà ditta di operai specializzati perché era un lavoraccio a causa del calore e della conseguente mancanza d’ossigeno. Oltretutto, ci pagavano pure perché il materiale ricavato veniva da loro ceduto a caro prezzo alle aziende che producevano compensati. J speravo in un premio finale. Ma fu un premio speciale: a conclusione del lavoro buttando gli attrezzi fuori dal boccaporto posto sotto la macchina nel quale con contorsioni m’intrufolai, inavvertitamente lanciai un martello sopra un vaso d’olio cotto, quello che serve per lucidare i mobili d’epoca, e si ruppe versando il suo prezioso contenuto nelle fognature. Mio padre prese a dirmene di tutti i colori e mi menò al punto che mia nonna dovette ungermi con l’olio d’oliva per lenire il bruciore delle botte ricevute. Quella fu la mia paga. Comunque fare o’ falegname mi piaceva molto, solo che ero in continuo contrasto con mio padre perché lui pretendeva d’aver sempre ragione. E anche se in qualche occasione il prodotto non era all’altezza e si faceva fatica a venderlo, la colpa era di chissà chi, o chissà cosa. Usava invariabilmente le stesse tecniche di produzione, senza considerare però che è necessario saper modulare le lavorazioni in base alle idee. J questo l’accio imparato leggendo e rileggendo: Tecnologia dei mobili d’arte; e Tecniche di restauro; scritti dall’emerito dottorAntonio De Rosa, insegnante - Ammià non me ne può fregar di meno di fare o ragioniere col rischio poi di dover lavorare in banca, con i piedi al caldo a contare i soldi degli altri mentre i miei pensieri volano in inta’ segatura… - Vabbuono, vabbuono, accio capito. Accuscì a lo calar do sole, potite andare al bar con i soldini in saccoccia. I soldini erano proprio soldini…. fino a quel momento non avevo mai ricevuto una paghetta e così proseguì: ho lavorato in falegnameria fino a quando una bella mattina mbriaco pesto, mi sono tagliato tre falangi su tre dita, ritrovandomi questa bella mano in squadro. Mia madre era disperata e non osteggiò la scelta di andarmene per sempre da Santo o’ Pesce, perché mettersi contro o’ padre mio, significava prendere degli improperi se non delle botte, non sarebbe stata la prima volta. Per di più, nonno Gennaro, che a causa dei continui litigi con mio padre si era trasferito a Napule, non mancava mai di venirmi a trovare appena gli era possibile, e accettò che facessi o' monnezzaro altrove. Con la mano in squadro che manco riusciva a stringere la scopa ma vabbuono accuscì. Pochi giorni dopo, il professorPascariello, insegnante di lettere, si presentò a casa nostra per scongiurare che ci ripensassi: a scuola non andavo male. Nondimeno fu inutile: c’è lo vede lei un ragioniere che non riesce a contare le mazzette perché ha le dita mozzate? 60 di belle arti a Napule. Poi, preso dall’ingordigia di scoprire ne lessi altri, tra questi il più importante fu Architettura del novecento perché dava una chiara spiegazione dell’evoluzione del gusto. Insomma, per tornare al nobile legno, i rapporti già tesi fra me e mio padre, per il quale sapevo per certo che esistevano due cose: la scopa d’assi e giocare all’asso di scopa c’ò e’ femmene, si acuirono poiché pretendevo d’avere voce in capitolo sulle varie lavorazioni. Già non c’era comunicazione, ad esempio nel tragitto tra Santo o’ Pesce ed Eboli dove ci recavamo frequentemente a causa dell’elevato numero di clienti là residenti, non scambiavamo più di tre o quattro parole. Il resto era silenzio. Le liti si facevano sempre più frequenti e poderose, le sue urla e le bestemmie che m’indirizzava, erano così potenti che eravamo diventati gli zimbelli dei vicini di casa. E andava già bene quando non mi metteva le mani addosso. Ho impiegato anni e anni a convincerlo che alla pratica bisognava applicare la teoria. L’attività mi diede ragione e le vendite ne risultarono in continuo aumento fino a raddoppiarsi. Fummo la prima falegnameria in Campania a produrre trumò moderni. Questo fino a quando la mia malattia, l’alcolismo, prese il sopravvento rendendomi inabile a proseguire un lavoro che richiedeva anche un considerevole sforzo fisico. Poi nel millenovecentottantasette, in vacanza con quella che divenne a mia mogliera e con una mia cugina Tedesca, subimmo un grave incidente stradale: a me dovettero togliere un pezzo d’intestino e trasfondermi parecchio sangue. Poiché la dinamica dello scontro che ebbi con un’altra autovettura, era a me favorevole, ne ricavai un risarcimento all’epoca cospicuo. Ebbene, giusto per fare un esempio, siccome non riuscivo più a sollevare a mano le tavole in noce e faticavo perfino con i laminati, proposi a mio padre d’acquistare un muletto. La risposta fu: - Se proprio lo voliste fare, fatelo con i quattrini vostri. Punto e a capo. E così andò. Acquistai il muletto ma una stramaledetta mattina i miei pensieri erano ciechi, non bui, ma proprio cechi. Non ricordo quanto bevvi, so solo che in un bater d’occhi mi ritrovai con questa bella mano monca, mannaja. Ora veniamo all’affettività e alla sessualità… Tenevo quattordici anni quando conobbi “nà ragazza dei quartieri Spagnuoli, non bellissima ma piacente. Lei ne teneva diciassette, ma non li dimostrava, almeno nella testa. Feci proprio con lei la prima volta l’amore. Si dice che la prima volta non si scorda mai, j non mi ricordo neppure il nome suo. In realtà non l’amavo ero solo fisicamente attratto, e quando i miei amici mi videro tornare sul mio Ciao con un sorriso che andava da orecchio a orecchio, non ebbero difficoltà a intuire l’accaduto. Rammento che mi presero in giro e mi fecero i complimenti per essere approdato nel gruppo dei maschi. La prima vera cotta la presi per Nina, anch’essa dei quartieri Spagnuoli. Era davvero bellissima e sessualmente priva d’inibizioni. Con lei restai per un anno o poco più, poi all’epoca presso la famosa discoteca il Totano di San Paolo do Brasil, anch’esso in provincia de Napule - cosi ribattezzato in memoria di Maradona - conobbi Rossella che ben presto prese il posto di Nina int’o’ core mio. Era di Sbarco un 61 paesino c’ò mare cchiù bello dù munno. Studiava per diventare ostetrica e aveva un fisico da fotomodella con un viso semplice e a un tempo attraente che disarmava. Con lei mi sentivo veramente fidanzato e com’era consuetudine ai tempi miei ci frequentavamo il sabato, la domenica, il martedì e il giovedì. Non mancai un appuntamento: mi piaceva veramente. Fino a quando, per una singolare coincidenza conobbi finalmente Rosalina, quella che sarebbe diventata a mogliera mia… Ciò che è fissato come “nà fotografia nella memoria mia fu il primo bacio che ci scambiammo. Ero in compagnia di Jacopo, con me primo attore della famigerata compagnia teatrale Totò del nostro paise picciriddo. Ci divertivamo un sacco a scrivere le scenette in dialetto e a rappresentarle là dove ci chiamavano: senza falsa modestia devo dire che eravamo davvero bravi. Lui era fidanzato con Cenerentola, unica sorella di Rosalina ma soprattutto unica Cenerentola a essere uscita dalle favole, ebbene una domenica Cenerentola propose a me e Rossella un pranzo in loro compagnia nel suo appartamento di Grotta a Mare. Verso le tre del pomeriggio fece rientro Rosalina, io ebbi il classico colpo di fulmine. Era cchiù giovane di me di cinque anni ma già portava un fisico statuario che se non fosse per la bella carnagione olivastra paragonerei alle tre grazie del Canova fuse assieme. Si fermò per un po’ a parlare con noi, e anche il suo eloquio era all’altezza della situazione. In un attimo di silenzio disse: Sapendo che il servizio igienico era proprio attaccato alla sua stanza, m’inventai una necessitA’ Fisiologia che non era il far pipi, bensì quella di darle un bacio. E così, in effetti, avvenne, dietro la porta del vano suo ci scambiammo un lungo e profondo bacio che non passerà dalla mente mia se non quando il buon Dio la spegnerà per sempre. E Rosella sarà la mia sposa dell’Aldilà, perché se o’ merita, altro che balle. Anche se lei, che nel tempo è diventata Biologa e non credendo si accontenta di divenire carne per i lombrichi, j son certo che i nostri spiriti nell’Aldilà faranno all’amore, mannaja. Dopo un paio di mesi j e Rosalina eravamo fidanzati e facèmm l’’amorè, lei era illibata. In seguito ci siamo separati ma nel mio core resterà la mia unica mogliera. Nei secoli dei secoli. Tanto che siamo rimasti in buoni rapporti, e sono felice del fatto che dopo due anni di solitudine lei abbia trovato un nuovo compagno: se lo merita. Se lo merita eccome. Ha provato in ogni modo a farmi smettere di bere, ma ogni suo sforzo fu invariabilmente vano. Fino a quando un triste giorno fece le valige prese con sé Pietro e tornò indietro: lo portò a casa dei suoi genitori. In tutta sincerità devo ammettere che a mancarmi non era tanto lei ma Pietro, verso Rosalina nutrivo ormai più affetto che amore, il tempo talvolta logora anche gli idilli più profondi. Il Tempo è padrone di tutto nell’Aldiquà. Ma sapevo fin dall’ottantacinque di essere diventato no’ ben poco santoBevitore, quindi avevamo rapporti protetti, tuttavia una sera il profilattico si ruppe e lei rimase in cinta. Eppure, Dio è stato magnanimo: mi ha regalato o figghio cchiù sobrio d’ù munno. Ed è la cosa più preziosa che ho, e ancor oggi riempie le mie giornate sia quando sono liete sia quando sono tristi: i miei pensieri sono solo per lui, perché ne è degno, ecco - Bene, io vi lascio e vado in camera a terminare i compiti. 62 perché. Si fa in quattro per me, esegue straordinari sul lavoro ed è eccezionale nell’accettarmi con i miei infiniti limiti, santoCielo. J e Rosalina abbiamo vissuto quattro anni di fidanzamento e altrettanti da coniugi e, fatto salvo il mio enorme problema con l’alcool, sono stati stupendissimissimi. Il ricordo cchiù bello che tengo è chillo della vacanza in Calabria in compagnia di Katarina, una mia cugina di secondo grado che vive a Berlino, dove suo padre ha un’enorme pizzeria chiamata Margherita, che fantasia eh? Beh, fu veramente memorabile. Era uno di quei momenti in cui non bevevo per dimenticare, tutt’al più ci facevamo qualche bicchiere in compagnia. J e Rosalina avevamo a isposizione una tenda militare da sei posti prestatami da un amico, che a causa del disordine era completamente occupata da vestiti e cianfrusaglie varie. Restava libero solo un materassino matrimoniale che, dacché guarnito d’un piccolo foro, ci costringeva ogni notte a svegliarci per rigonfiarlo. Lo eseguivamo democraticamente: una vola per uno perché quando c’è l’amore, allora la democrazia funziona anche in due. Facevamo l’amore due o tre volte al giorno: eravamo nel fulgido dell’età e della relazione. Mia cugina si accontentava di una piccola canadese posta a fianco alla nostra, e solo più tardi ci confessò che si rallegrava nell’origliare i nostri sospiri e allusioni, che ci divertivamo a scambiarci mentre facevamo i pocci, come diciva Rosaljna. Giungemmo a Vibo Valenzia a sera inoltrata e non trovammo alcun campeggio libero. Sicché, presi dalla stanchezza, ci accampammo, dove la lunga spiaggia terminava, lasciando spazio a splendidi scogli. La mattina, al risveglio, ci trovammo contornati da almeno una quindicina di tende: avevamo involontariamente inaugurato un campeggio abusivo. Invero nei quindici jorni di permanenza niscuno ci ruppe l’anima ed eravamo diventati amici tanto che spesso mangiavamo tutti assieme attorno a un fuoco cantando e suonando la chitarra. Era davvero bello. Tra tutti, il cchiù simpatico era Calogero: un ragazzo di Firenze, il cui nome tradiva le origini sicule dei genitori. Al quale, a causa di un incidente, avevano amputato “nà gamba. Sembrava che gliel’avessero appiccicata alla lingua perché non stava citto un attimo. Il suo eloquio, sia pur poco forbito, era piacevolmente ammorbidito dalla classica parlantina fiorentina. Non dimenticherò mai quella sera che presi dalla voglia di camminare sul bagnasciuga ci staccammo dal gruppo e c’incamminammo in direzione dell’abitato. A un certo punto distinguemmo al chiaror della luna due sagome che amoreggiavano. J dissi: - Calogero, amico mio, allontaniamoci per non disturbare. Non l’avessi detto mai. Con l’ausilio delle sue stampelle prese ad avvicinarsi a una velocità tale che dovetti quasi corrergli dietro pregandolo di farla finita perché a ogni piè sospinto - uno dei suoi con l’ausilio delle stampelle equivaleva a due dei miei - urlava: - Oh si sçopa… evviva… oh si sçopa! Il tutto dirigendosi verso il luogo dove loro stavano consumando. Sennonché, giunti a una decina di metri, piantò le stampelle nella sabbia e se ne uscì con un sonoro: - Maremma maiala… son buchaioli! 63 In effetti, si trattava d’omosessuali che con non chalance, si ricomposero e c’invitarono a sedere in loro compagnia. Erano simpatici, e uno di loro non staccava gli occhi dalla mia camicia indiana con maniche a chifons. Non so se per quel mio modo di vestire, avesse mal interpretato le mie tendenze sessuali, so solo che ci misi tre giorni a scrollarmelo di dosso con i suoi inviti a cena e omaggi di Cirò, ottimo vino calabrese. Terminata che fu la nostra permanenza, come da programma, ricaricammo la mia due cavalli: in direzione del Gargano dacché volevamo conoscere anche quel bel pezzo della signoraItalia. Non amo viaggiare in autostrada dove puoi solo prestare attenzione a chi ti sta dietro, di fianco o davanti senza poterti godere il panorama. Sicché segnammo sulla cartina il tragitto alternativo che prevedeva l’attraversamento dell’Irpinia, e ci apprestammo a percorrerlo. Ciò nondimeno, poco dopo “nà breve sosta per rifocillarci e far benzina, giunti a Bovalino subimmo un incidente spaventoso. Noi eravamo in salita e vi assicuro dottoressa mia cara che “nà due cavalli, stracolma di tende, abiti e cianfrusaglie varie, faticava a raggiungere i sessanta chilometri orari. Pioveva e le colline da quelle parti non sono rivestite di vegetazione bensì di nuda terra, di conseguenza si era formato sull’asfalto un sottile strato di melma scivolosa quanto il ghiaccio. Dopo “nà curva cieca, mi trovai di fronte un’altra autovettura che era impossibile evitare. La mia amata due cavalli andò in frantumi. Dall’altra automobile scese l’intera famiglia Pongo, che traparentesi o avvocato mio ha ribattezzato Bingo Pongo negro del Congo. Era di una simpatia unica quell’avvocato: s’immagini che alla fine della causa mi propose un pagamento a trenta, sessanta, novanta secondi, tanto per esser chiari. Comunque i Pongo presero a urlare e imprecare tenendosi i capelli fra le mani e senza il minimo accenno d’aiutarmi a estrarre a cugina mia, incastrata fra le lamiere. Se non fosse per l’aiuto offerto da alcuni passanti, saremmo ancora là. Fortunatamente all’apparenza eravamo quasi tutti incolumi: solo Katarina aveva un taglio in testa che sanguinava copiosamente, ma non comprometteva la sua lucidità. Dopo un quarto d’ora arrivò una pattuglia di Carabinieri che si misero subito all’opera nei rilievi do’ caso e nel raccogliere le varie versioni dei fatti. J cominciavo a sentire dolore all’addome, sul lato sinistro. Pensavo a una costola incrinata, poiché lo scontro avvenne proprio sul fianco della guida, dove sedevo. L’ambulanza tardava ad arrivare perché doveva venire da Foggia, distante quaranta chilometri. Visto il mio continuo peggioramento, i Carabinieri mi proposero di fermare “nà macchina di passaggio per farmi accompagnare al nosocomio, ma io rifiutai: non me la sentivo di lasciare Rosalina che era spaventata come non mai, e soprattutto ero preoccupato per le condizioni di Katarina che all’apparenza sembrava la più malmessa. Tanto che quando l’autolettiga arrivò, la fecero stendere sul lettino, misero Rosalina su “nà poltrona nonostante accusasse esclusivamente dolore a un dito, mentre j fui fatto sdraiare per terra sui bagagli e le tende che ebbero l’accortezza di caricare. Il giorno appresso, infatti, quando o padre mio e il padre di Rosalina, giunti in sole due ore da Santo o’ Pesce a Foggia poiché i medici avevano riservato la mia prognosi, nel pomeriggio successivo si recarono sul luogo dello scontro per verificare con i propri occhi l’accaduto, trovarono i resti della mia macchina già privi delle ruote dello stereo e della batteria. Sono del sud ma talvolta lo odio. A me fu diagnosticata una massiccia emorragia interna. Tuttavia, siccome non avendo a 64 disposizione che “nà sacca di sangue compatibile, per l’intervento chirurgico dovettero attendere che gli annunci fatti su “nà tivù locale sortissero qualche effetto. L’unico a presentarsi, fu un signore sulla quarantina portatore di handicap, prelevato dall’ambulanza. Che ebbi l’onore di conoscere solo il giorno successivo quando si presentò con un paio di bottiglie di succo di frutta e un televisore portatile. Chi ha per sorte di vivere sulla propria pelle la sofferenza non riesce neppure a esser insensibile a quella altrui. Il sangue era comunque insufficiente e l’intervento avvenne solo a notte inoltrata al sopraggiungere e “nà pattuglia di Polizia che ne aveva recuperato un paio di sacche, alla base NATO di Bari. Per fortuna andò tutto per il meglio: il quarto giorno di ricovero, con ancora i punti nell’ampio squarcio che mi fecero nell’addome, j e Rosalina facimmo ammore chiusi nei servizi igienici. Vent’anni si hanno una sola volta nella vita. tutto. Non si riusciva a trovare “nà posizione che non cozzasse con quel benedetto arnese. Infine ci rassegnammo al sesso orale, niente di male, per carità, ma lo subimmo: questo c’ascucciava. “Nà volta rotte le acque presi coraggio e come si suol dire ripresi a esercitare, senza falsa modestia con successo: frequentai parecchie donne ma al massimo per qualche mese poi, per una ragione o per l’altra, ci lasciavamo. Infine fu la volta di Teresa con cui ebbi “nà convivenza di tre o quattro anni. Ricordo che il contrasto col quale affrontavamo i problemi era pari alla stima reciproca. Appariva come “nà persona col cuore largo e di una disponibilità unica, cui seppe aggiungere “nà fedeltà estrema. Detto ciò, non posso però nascondermi che era tanto buona quanto cocciuta: quando una cosa stava così, stava così e basta. Non esisteva diritto di replica, l’ultima parola spettava sempre a lei. Ecco, per definire il nostro rapporto d’amicizia che a tutt’oggi ci intriga, prendo a prestito le parole di Ferdinando Pessoa: vivere è fare l’uncinetto con l’opinione degli altri. Quando mia moglie mi lasciò, non seppi far altro che versare due lacrimoni pesanti come il piombo, e sdraiarmi impietrito sul divano. Tutto era finito a causa di quella stramaledetta sete di spegnere i miei dolori, annegandoli nell’alcool. Che rabbia avevo dentro. Che rabbia. A risollevarmi un po’ ci pensò Moranda, una mia coetanea vicina di casa che da giovàn avevo corteggiato a lungo senza ottenerne soddisfazione. Anch’essa reduce da un matrimonio fallito era in cerca di consolazione e la trovò in me. La Renault quattro che nel frattempo avevo acquistato resterà sempre nel mio core, ma glielo dico j che quella sera ci fece penare non poco: non aveva i ribaltabili e il ferro che separava i sedili posteriori era un vero strazio. Non ho letto il Kamasutra ma penso che in quell’occasione, lo praticammo Diventare maggiorenni Ho compiuto anch’io diciotto anni. Capita. Come avrà capito dottoressa le sto raccontando la mia vita in modo disordinato e non cronologico: ma non mi riesce di fare altrimenti, forse sono un po’ celebro lesso, o peggio celebro illuso quindi fuso. Ciò nondimeno, più probabilmente è dovuto al fatto che i ricordi sgorgano in base alle emozioni provate. Comunque sia, per festeggiarli dignitosamente partimmo in quattro: sulla mia due cavalli Charleston fiammante, alla volta delle isole Eolie. Avevamo pattuito una 65 sola regola: tornare a casa quando si erano terminati i soldi. Tutto quel che sapimmo fu che a Napule era possibile imbarcarsi con un aliscafo. Tuttavia essendo Agosto, tutte le prenotazioni erano esaurite allora un ragazzone del nostro gruppo, Ivano, un mio amicone che mi ha sempre dato “nà mano: gigante di ciccia e bontà, propose d’andare a vedere in porto nella speranza di trovare navi capaci d’imbarcarci. Per inciso, per descriverle Ivano le dirò che ricordo sempre con piacere le Olimpiadi del paise con l’albero della cuccagna, che immancabilmente lo vedeva tra i vincitori, un ragazzone con due spalle così, che si cuccava sempre il prosciutto. Rammento che siccome a casa sua si mangiava verza, verza, ed ancora verza e poco più. Una bella sera, egli, di ritorno dal bar, andò nella stalla e con un pugno secco assestato sulla testa d’un povero vitello, lo fece secco. Il mattino seguente, al risveglio, i suoi familiari stavano già scavando la fossa per seppellirlo. Fatto sta, che l’imbracata la prendemmo per davvero. Ci spostammo alla volta del porto, dove trovammo un marinaio vestito di tutto punto con divisa fiammante da ufficiale. Cui spiegammo il nostro problema e lui molto gentilmente c’informò che di li partivano solo navi che imbarcavano acqua, e quindi non caricavano passeggeri. Poi però aggiunse che per la modica spesa di venti mila lire a testa, avrebbe potuto telefonare all’imbarco degli aliscafi avvisandoli che saremmo arrivati: giacché qualcuno tra i prenotanti ogni tanto disdiceva la prenotazione, avremmo potuto a nome suo approfittarne. Ci sembrò perfetto. Perfetto un corno: all’imbarcadero lui non aveva nemmeno telefonato. Allora Ivano incavolato come una bestia sentenziò: - Via da Napule per l’eternità, mannaja a chivich. Sverginati e scottati, fummo noi campagnoli. Com’eravamo ingenui: è bastata una divisa di tutto punto… figuratevi dottoressa che la prima volta che andammo sulla funicolare di Napule c’era un nero ma nero che più nero non si poteva, Ganese probabilmente. Il conducente involontariamente premette il pulsante che serrava le porte mentre lui stava, scinninno e questo imbufalito si voltò ed esclamò: - Che cosa fate? - Lo seppelliamo, è morto stanotte per chissà cosa. - Ma che lo seppelliamo e lo seppelliamo, mettetelo in frizer che me lo mangio tutto j. - Ma può esser morto di malattia. - Ca facite paisà mà state schiattan… - E’ morto perché gli è tirato un colpo, ve lo dico j, mettetemelo in frizer, per piacere. E così fecero. Ridemmo a crepapelle felici di questa completa integrazione degli anni settanta, altro che mediatori culturali lì cera bisogno di un doppio interprete, se non triplo perché spero sapesse altrettanto bene l'italiano. In ogni modo, 66 volgemmo la mia misera due cavalli con tutto il suo carico umano, quattro persone, più tende e bagagli, alla volta della Calabria. Là giunti sul posto trovammo ad aspettarci la bellissima Tropea. “nà perla incantevole. Per di più scoprimmo che con venti mila lire ci avrebbero portato sulle Eolie con un peschereccio, e questa volta per davvero. L’unico neo era costituto dal fatto che avrei dovuto lasciare a terra, la macchina - che per me era oro colato - in consegna al titolare dell’agenzia di viaggi che aveva prenotato la nostra partenza. Mi assicurò che se ne sarebbe preso cura personalmente, e la notte l’avrebbe ricoverata in un’autofficina di un suo amico. Le Eolie sono stupende: un posto incantevole ma j tenevo o’ fuoco dentro. Lasciare il mio patrimonio in mano ad uno sconosciuto… allora, d’accordo con gli amici miei, dopo quattro giorni tornai, questa volta con un peschereccio diverso che nel bel mezzo del mare ruppe i motori. Non foss’altro, mentre lo riparavano un marinaio cucinò divinamente un’ottima pasta con le cozze che ancora i baffi mi leccherei, se non fosse che non li ho, perché accio una faccia paffutella c’o’ manco no filo c barba: pare o sedere e’ nu’ criaturo. Come prevedevo quel testa di cavolo, per non dire di peggio, dell’agenzia di viaggio, stava usando la mia macchina. Era sporca e con il tettuccio aperto. Per me fu un vero e proprio affronto. In quattro e quattr’otto, gli intimai che se non me l’avesse fatta trovare pulita sul piazzale e con il pieno di benzina, l’avrei denunciato. Devo essere stato molto convincente perché, in effetti, andò così. In oltre sul parafango posteriore notai un segno che j non avevo fatto, allora andai da un carrozziere che mi fece un preventivo di centoventi mila lire, in cambio lui ne volle venti, il ladruncolo. Nonostante ciò, fu lo stesso. Tornai dall’agenzia di viaggi e mi feci dare tutte la somma così guadagnai cento mila lire, che all’epoca non erano poche, dato il fatto che quella piccola riga venne via con la pasta abrasiva: se lo meritava quel cafone. Dovetti fare il muso duro ma quando mi ci metto, lo so fare, allora il titolare dell’agenzia cedette senza proferir parola. Almeno in Italiano, in calabrese non lo so, e senz’altro alle mie spalle. Ero appagato ma mi restava da trovare un posto dove dormire con la mia modesta tenda. Trovai un campeggio che con cinque mila lire al giorno mi avrebbe ospitato. Mi sembrava un prezzo congruo. Tuttavia cchiù fortunato ancora fui: proprio all’ingresso conobbi due ragazze di Firenze che mi ospitarono, avendo loro “nà tenda da quattro posti: meglio ancora avrei risparmiato le cinque mila lire. Una delle due era piacente. Allora j, che avevo in me la forza del diciottenne, mi diedi da fare e la conquistai. All’epoca mica c’erano i cellulari d’adesso ma solo quelli della Polizia, sicché tutte le mattine facevo “nà capatina in porto per vedere se gli amici miei rientravano. Comunque, siccome l’accordo che avevamo pattuito era inequivocabile, loro rimasero sulle Eolie per almeno un mese. Beati loro. Personalmente mi godevo la Calabria, la Charleston e la fiorentina, che non eran poco. Quando finalmente fecero ritorno, due di loro avevano sì e no cinquanta mila lire in tasca. Appena sufficienti per tornare in treno perché j e mio cugino ne avevamo ancora di soldi, giacché ero stato ospitato non spesi un gran che. In oltre, aveva anch’esso festeggiato i diciott’anni e suo padre gli fece un bel regalo di cinquecento marchi che tradotti lire erano una bella cifra. Sicché noi potemmo fermarci ancora qualche jorno mentre i nostri amici, rimasti a secco, se ne fecero ritorno sulle rotaie. La tenda delle due fiorentine era spaziosa, quindi 67 tutto andava per il meglio. Almeno fino a quando giungemmo a contare quanto c’era rimasto in saccoccia e scoprimmo che era appena sufficiente per prendere l’autostrada e indirizzarci alla volta di Firenze, dacché per sdebitarci, decidemmo di riaccompagnare fin la su le ragazze, ebbene ci risolvemmo a partire. Ci restava appena il tempo per l’ultima cena. Sennonché, al ritorno dallo spogliatoio, le due fiorentine c’informarono d’aver conosciuto “nà ragazza in lacrime, perché il giorno successivo sarebbe dovuta partire e aveva passato “nà vacanza triste e solitaria. Allora la invitarono a cenare con noi: era il minimo. A tavola davanti a “nà fumante pizza la ragazza senza la minima difficoltà, c’informò che era ninfomane. Allora i miei ormoni cominciarono ribollire come un cotechino int’a’ pentola a pressione: ninfomani non ne avevo conosciute ammai. Durante il tragitto di ritorno, quindi, le dissi che nella nottata l’avrei raggiunta nella sua tenda che, senza la minima difficoltà, m’indicò. A quel punto, dovevo trovare un escamotage per convincere la fiorentina. Non trovai di meglio di dirle che avevo bisogno d’andare in bagno. Nata vota “nà necssitA Fisiologica mutuava l’altra. Nel frattempo, mi misi d’accordo con mio cugino, fratello di Katarina, perché se avessi ritardato, lui avrebbe dovuto tranquillizzarla, inventandosi non so cosa purché fosse efficace. Giacché, tenevo tutta la voglia d’andare alla scoperta della ninfomania, sia pur mezzo mbriaco. Così andò, giunsi davanti alla sua teda e c’infilammo dentro. Era una canadese, ma il bello è che dentro c’erano altre due persone che dormivano, o almeno così appariva. Sicché ero davvero imbarazzato, perché l’amore con degli spettatori non l’avevo fatto ammai. Lei invece non mostrava la minima difficoltà nonostante avesse bevuto anche lei, o forse proprio perché aveva anche lei alzato il gomito, l’alcool toglie le inibizioni. E già non ce n’era bisogno. Ora, per vero pudore non vi racconto com’è andata, anzi, mi scappa: j raggiunsi l’orgasmo mentre lei era ancora in alto mare. Figuraccia del cavolo. Colpa della testa che mi bolliva per la conquistata novità, o per via di quei due che sbirciavano, questo non lo so, fatto sta che andò a finire cosi. Lei ci mise tutto l’impegno di questo mondo, ma non bastò. Ero iper eccitato non solo per la sua bellezza ma proprio perché dentro la mia capoccia era come se avessi uno che mi dicesse: forza falle vedere quanto sei bravo, sei in grado di soddisfare anche le anime in pena, se vuoi. Ciò nondimeno, non sempre volere è potere: il mix ninfomania, alcool e spettatori mi resero protagonista di una prestazione da Manuale delle Giovani Marmotte più che da Play Boy. Terminati che furono i preliminari, invero assai piacevoli, a me bastò la lunghezza d’un attimo per giungere a compimento, mannaja. E come canta Gaber quando un uomo raggiunge l’orgasmo, c’è la prova, per lei no. La domanda classica è: sei stata bene. Ma per pudore non gliela rivolsi. Poi ti si avvicina ancora: la rivincita, già lei potrebbe io no, e perché, prima potevo: lei potrebbe sempre, anche questa è bella… Tornato in tenda, la fiorentina aveva un diavolo per capello, perché non credeva assolutamente al fatto che avessi impiegato così tanto tempo solo per andare in bagno. Karol aveva fatto il possibile, ma porca miseria lui non è un conta balle come me. Tuttavia la tranquillizzai con un prolungato bacio al gusto di Malvasia di Lipari. Il mattino, decisi di restare in tenda perché la testa era pesante quanto il piombo e, sorpresa delle sorprese, a metà mattinata vene a trovarmi proprio lei, lei che avevo si tanto deluso. Sperava in un mio recupero ma proprio non me la sentivo, dovetti lasciala con 68 amorevoli baci e il classico scambio d’indirizzi che a nulla più valsero. Poi, con mio cugino e quei pochi soldi che c’erano rimasti in tasca ci indirizzammo verso il nord. Facendo solo “nà breve sosta a Pozzuoli per salutare un ragazzo che avevamo conosciuto in campeggio. Pozzuoli è grande e davvero bella. J presi un caffè e scoprii che lì lo facevano già zuccherato. Mannaja: a me piace amaro. Siccome però, in tempo di guerra non potevano mettere la zuccheriera sul bancone perché sarebbe sparita per intero, fanno così: lo zuccherano preventivamente a tutt’oggi. Va pur là che Napule è strana e i napoletani lo sono ancor di più. Riprendemmo il viaggio alla volta di Firenze, Sennonché al primo semaforo “nà macchina ci tamponò. Santo cielo, j avevo davvero int’o’ cuorè la mia due cavalli: era il mio unico patrimonio, ma si vede che era nata sotto “nà cattiva stella. Andai da un carrozziere e mi feci preventivare il danno che all’epoca ammontava a trecento mila lire, “nà cifra consistente. Tornai dal mal capitato che mi tamponò che non ebbe la minima difficoltà a sganciarmi il dovuto, perché in quel modo non gli sarebbe aumenta l’assicurazione. Ebbene, non tutto il male vien per nuocere, ero perfino contento. Con quei soldi potemmo fermarci a Firenze ancora per un bel po’, visto che avevo già in mente di dire una balla a mio padre e cioè che mi ero procurato quel danno facendo una retromarcia. Invero, fece molta fatica a crederci, ma alla fine ebbi la meglio. Fatto sta che tornammo con sole mille lire in tasca che lasciammo cadere nel torrente Filolungo che divide Santo o’ Pesce da Cicciano. La memorabile vacanza durò quarantacinque giorni e sono stati, sicuramente, tra i cchiù belli della vita mia. Il primo ad andarsene fu proprio colui cui ero più legato, Gennaro. A lui devo molto e soprattutto la passione per lo nobile mestiere del falegname, che a sua volta aveva ereditato da uno zio essendo ben presto rimasto orfano. Era amorevole anche negli insegnamenti e nel concedermi il perdono per le inevitabili marachelle di gioventù. Contro la disgrazia d’esser morto giovane a causa di un infarto però, non ci fu nulla da fare. Poi fu la volta della mia nonna materna, Antonietta, che passò oltre venti anni su una poltrona a causa d’un ictus devastante. Non viveva con noi ma la mia passione per i campi, gli animali e i mezzi agricoli, ha fatto si che la vedessi settimanalmente, dacché facevano gli agricoltori e mio zio, fratello di mia madre, mi accoglieva come un figlio. Si spense come una candela e noi tutti vivemmo l’inevitabile evento come una liberazione, evidentemente sua, in primis. La demenza senile, invece, colpì Addolorata, la nonna paterna, e questa non fece che accentuare i lati negativi del suo carattere. Propiziò le pene dell’inferno a mia madre Marianna. In modo particolare gli ultimi dieci anni in cui era allettata. Sinceramente, non ho di lei un buon ricordo, fatto salvo le vacanze estive in montagna dove si trasformava e diventava quasi un’altra persona. Mio nonno e mia madre ebbero un bel da fare per sopportare il suo duro carattere. E questo influenzava l’armonia di tutta la famiglia. Da ultimo tocco a mio nonno Sigfredo, che ebbe la fortuna di restare in buona salute fin quasi alla fine dei suoi giorni. Era un lavoratore instancabile e falciava l’erba a mano lungo i canali o tra i filari delle viti addirittura in anticipo rispetto il passaggio della falciatrice meccanica di mio zio. Basta dire che sfidando il buon senso potava le viti a novembre, preso dalla fregola e sfidando il rischio delle I lutti familiari. 69 possibili gelate invernali. Alle quattro del mattino era già nella stalla, e come il solito era il primo a fare i fieni. Aveva la cultura del lavoro nel sangue. E, sia pur poco espansivo, si mostrava affettuoso con me anche quando non le combinavo proprio giuste. Ricordo ad esempio che fu lui a difendermi dalla rabbia di mio zio quando per la prima volta pretesi d’usare la motofalciatrice: inesperto com’ero, falciai l’erba ad almeno quindici centimetri dal suolo, tanto che pazientemente mio zio dovette raccogliere il falciato e rifare da capo l’operazione per poi stendere il tutto a essiccare al sole. E questo in un appezzamento d’almeno un ettaro: mica roba da poco, mannia ammià. Veniamo ora al lutto più drammatico: che subii intorno ai trent’anni. Verso le nove del mattino squillò il telefono, mia madre stava riassettando i letti al piano superiore della nostra ampia casa, mentre j ero di sotto a prendermi “nà tazzin e’ caffè. Fu lei a rispondere e dopo pochi istanti cacciò un urlo che ho ancora nelle orecchie. Dall’altra parte del telefono c’era in lacrime mio zio Stefano, che avvisava che Serena, sorella di mio padre, si era suicidata impasticcandosi. Aveva due figli meravigliosi, capaci negli studi e un marito che aveva fatto “nà brillante carriera, int’a’ grossa multinazionale fino a diventare direttore generale delle sedi del nord est Italia. Nessun problema economico. Insomma, nulla che facesse presagire un simile gesto. Aveva solo il mal di vivere: “nà profonda depressione che non trovava rimedio alcuno. Medici su medici, preghiere su preghiere a nulla valsero. Il ricordo più bello che conservo di lei è quando mi comunicò che aveva portato con sé “nà mia maglietta quando si recò in pellegrinaggio a Lourdes: oltre che per sé, chiedeva alla Madonna una grazia anche per me, perché mi aiutasse a smettere di bere. Abitava a Treviso e con Rosalina fummo loro ospiti nel viaggio di nozze, posto che oltre ad un ampio appartamento possedevano anche “nà mansarda arredata che misero a nostra isposizione. Visitammo le ville venete e partecipammo al carnevale di Venezia. Lei, i miei cugini ma soprattutto quella pasta d’uomo che è o’ zio mio, furono a nostra completa isposizione per la bellezza di quindici giorni. Ho vissuto la sua perdita come uno squarcio pur conoscendo per esperienza diretta la depressione e il desiderio di morire. E, ancor oggi, quando rivivo quei momenti, mi viene un nodo alla gola, la rabbia di essere inermi nei confronti del male. Purtroppo, è sempre così di fronte a “nà persona che sceglie di togliersi la vita: per lei è “nà liberazione mentre per chi resta c’è il vuoto, spesso incolmabile. Da allora giace nella cappella di famiglia con i suoi genitori, finalmente in un eterno riposo. Però le tante e importanti perdite m’hanno insegnato, se così si può dire, a sposarmi con l’elaborazione del lutto. Sì come cantavo, quel di, ho saputo sposare laMorte. Questo, anche grazie a letture sull’argomento: una di un cappuccino psicologo di cui non ricordo il nome e in modo particolare la morte e il morire, libro nel quale Elisabeth Kubler Ross individua chiaramente quelle che sono le cinque fasi del percorso per elaborare un lutto: rifiuto, collera, patteggiamento, depressione e accettazione. Ne ho ricavata una personale medicina, che porto sempre in tasca con me, perché m’aiuta nei momenti più difficili, permettetemi che ve li legga dottoressaFroid. Quando un evento negativo irrompe nella vita di un uomo, mette in crisi gli equilibri preesistenti, la prima reazione che egli mette in atto è il rifiuto, la negazione della realtà, la fuga dalla ferita dolorosa e incombente. Aldilà delle apparenze, una tale 70 reazione può considerarsi non solo legittima, ma anche psicologicamente sana. Essa, infatti, ubbidisce alla necessità di prendere le distanze da uno shock per recuperare, anche se momentaneamente, equilibrio e salute emotiva. Da questo punto di vista, il rifiuto non va combattuto ed è meglio non affrontare la ferita fino a quando sia possibile lenirla. Il rifiuto aiuta a superare la paura ed evita, in qualche modo, che si sia sopraffatti dall’ansia eccessiva, dall’insicurezza, dalla disapprovazione, che fiaccano sempre ogni capacità di ripresa. Il rifiuto, però, non può prolungarsi eccessivamente nel tempo. In questo caso, esso finisce col trascinarsi in un pericoloso ostacolo al necessario confronto con le emozioni forti, che stanno sullo sfondo. Le emozioni negative e rifiutate, alla fine, emergono sotto forma d’immotivata irritabilità, d’eccessiva aggressività verso gli altri. E’ la fase della collera, le cui manifestazioni dipendono dalla profondità delle ferite e dalla facilità a esprimerla. Anche la collera cela in se aspetti sani e positivi. Essa non solo permette di lottare contro ciò che si teme, ma fornisce anche l’energia necessaria per cambiare quanto deve essere cambiato, consentendo così di migliorare. Ed è ancora la collera che aiuta ad amare se stessi, mettendo a fuoco ciò che è all’origine della ferita e che va curato. Paradossalmente, la collera, ponendo in luce l’autore della ferita, crea le condizioni preliminari per poterlo accogliere. Le paure che vengono da fattori esterni come la morte e perfino le malattie, diminuiscono progressivamente, e solo nella misura in cui si affrontano le forti emozioni del risentimento. Riuscire a formulare e poi a esprimere in modo costruttivo i propri sentimenti, aiuta non poco a guarire le ferite di cui la collera è espressione. Spesso la collera divide rigidamente il mondo in bianco e nero: da una parte c’è chi ha ragione la persona ferita dalla patologia, dalla parte opposta c’è chi ha torto: l’artefice dello star male. In modo lento ma inesorabilmente, si fa strada la tolleranza. E’ il momento del patteggiamento, nel corso del quale paure e collera sfocano i loro contorni in proporzione alla maturata capacità di riconciliarsi. Nei lutti come nelle malattie si sperimenta la sensazione d’essere traditi dalla vita. Ecco allora far capolino la depressione, attribuendosi impietosamente la colpa di quanto è accaduto. Quella della depressione è la fase nella quale si reagisce alla ferita in maniera colpevole, divenendo così ancor più vulnerabili alle ferite stesse. Questa volta per uscire dallo stallo bisogna provare a cambiare ciò che è possibile cambiare. Diventa allora possibile cogliere il senso di quanto è accaduto fino a quel punto e disporsi verso nuovi equilibri. Una riconquistata serenità permette d’accettare ciò che si rivela impossibile da modificare. La fase dell’accettazione, infine, si manifesta ricca di positive energie nella misura in cui è stata preceduta e sostenuta da un accompagnamento. Solo la possibilità di condividere le proprie vicissitudini e d’essere accompagnato permette d’attraversare il passaggio tortuoso della crisi e transitare verso nuovi orizzonti del proprio ciclo vitale. E j, grazie al cielo d’amici capaci ne ho incontrati diversi int’a’ vita mia. La politica: mia vera passione… L’uomo è un animale politico, sosteneva Aristotele e secondo ammià teneva ragione assaie. A quattordici anni feci la mia prima e unica tessera di partito: quella della FGCI. Ero un catto-comunista, a dispetto tanto dei miei compagni atei quanto dei miei amici cattolici, tutti della DC. 71 Io ero e resto convinto che il vero messaggio del signorGesù Re dei Giudei, quindi dei più poveri, fosse quello della fraternità e della ricerca della giustizia sociale: in “nà parola Amore per il prossimo. Ma ero davvero l’unico a Santo o’ Pesce ad andare a Messa e alla sia pur piccola festa dell’Unità. I miei amici cattolici presero a guardarmi con diffidenza e uno ad uno s’allontanarono. Altrettanto fecero quelli della FGCI quando mi rifiutai di rinnovare la tessera, ritenendo i partititi indispensabili ma troppo distanti dalle reali necessità do popolo, purtroppo. Fatto sta che la passione per la politica l’avevo in do sangue, leggevo quotidiani, per lo più di sinistra, e, così come avviene a tutt’oggi, m’addormentavo ascoltando Radio Radicale. A venticinque anni ricevetti “nà telefonata del tutto inaspettata: Era il Sindaco di Cicciano che all’epoca conoscevo solo di vista; mi chiese se ero disponibile a candidarmi nelle liste de PCI alle ormai prossime elezioni comunali. Ero indeciso, già pieno d’impegni sia con la compagnia Totò, piccola ma attiva, in oltre facevo parte del consiglio de “O’ Pescatore” “nà associazione nata grazie alla volontà dei pescatori di Santo o’ Pesce per conservare memoria del passato marinaresco. Per prima cosa chiedemmo al Municipio la possibilità di recuperare il vecchio porto ormai abbandonato. Poi, non ci fermammo li: in “nà vecchia casa colonica raccogliemmo migliaia d’attrezzi da pesca, quelli degli agricoltori e degli artigiani correlati come il fabbro, il falegname, il maniscalco, il ciabattino costruendo un museo permanente di grande utilità per le scuole e per chiunque lo volesse visitare. E il quindici Agosto d’ogni anno, durante la sagra dei pescatori, si ammassa “nà sfracassata di gente per visitare le interpretazioni dei lavori antichi. Oltretutto ero già alcolizzato e, anche se lui, il Sindaco, lo sapeva, la cosa non lo disturbava posto che confidava in un mio recupero. Inviò come emissario per convincermi Tonino Esposito, mio vecchio amico molto attivo nel partito, oggi presidente della Cooperativa dei pescatori. Accettai, ma come indipendente di sinistra. Fui eletto, con mio grande stupore, come consigliere anziano: cioè colui che, dopo il Sindaco, riceve il maggior numero di preferenze. Fui quindi candidato a fare l’assessore all’ambiente, ma non me la sentii. Mi bastava il ruolo di consigliere comunale. Le mie più grandi battaglie furono per la costruzione della rete fognante in quel di Santo o’ Pesce e l’impedimento dell’apertura di un’enorme cava di ghiaia che, sia pur collocata sul territorio del comune capoluogo era confinante con il nostro. Perciò avrebbe gravato sulla nostra popolazione per chissà quanti anni, se si comprende il previsto riempimento con rifiuti di questo gigantesco buco profondo sedici metri. Battaglie vinte, con mia grande soddisfazione. Il ricordo più negativo invece fu il ricatto cui ci sottoposero i rappresentanti dello PSI: siccome il PCI, compresi gli indipendenti, raccolse il cinquanta per cento esatto dei voti, fummo costretti, per governare, ad allearci con qualcun’altro. La DC non era ancora pronta al centro sinistra che oggi viviamo, i repubblicani avevano eletto come rappresentante il mio carissimo amico Antonio De Gennaro, che sulla sua carrozzina a rotelle non mancava a una seduta, se non per causa di forza maggiore: ma anche lui non era disponibile ad allearsi. Restavano i socialisti che da bravi Craxiani accettarono l’accordo al modico prezzo della poltrona di vicesindaco, due assessori su cinque, e un tacito patto tra i due partiti che prevedeva che a metà legislatura fosse un uomo dello PSI a divenire Sindaco. 72 Li sputtanai nel primo consiglio comunale, leggendo “nà lettera di Leoluca Orlando sulle commistioni in politica e tutti mi batterono le mani. Ma mi sentivo inesperto nell’opera di amministratore locale, così presi a frequentare la scuola di politica delle ACLI organizzata presso il seminario di Napule. Rammento ancora la prima domanda che ci posero: cos’è la politica? Rispondemmo in piccoli gruppi in forma scritta e noi decidemmo che politica è l’azione attraverso la quale si raggiunge il bene collettivo e la giustizia sociale. Sbagliato: questo se mai è il fine. Politica è azione di guida degli eletti dal popolo, attraverso la formazione di un governo. Quante cose dovevo imparare, e ho fatto mio, sperduto in “nà massa di democristiani… da quando hai saputo sposare la signoraMorte. Dormi beatamente perché sai che a te sta pensando altra gente. E finalmente sogni. Sogni quello che già c’è: che come un fiore sboccia nel tuo cuore ed ha il sapore dolce dell’amore. E di nuovo svegliati: hai incontrato l’Anima gemella, e hai generato un figlio. Un figlio che è sveglio, dorme, sogna e, se Dio vorrà, anch’esso genererà. Che poi morirà… questo è il ciclo della vita con senso, amata mia. E cantavo, cantavo, cantavo a squarciagola, con Roger al guinzaglio, un cappone che aveva occupato il posto del mio vecchio maremmano. Arrivarono prima i Carabinieri poi perfino a’ Polizia. Volevano arrestarmi per disturbo della quiete pubblica perché erano le tre di notte e avevo svegliato un intero condominio. Prima però mi portarono al Pronto Soccorso del Cardarelli. E lì ripresi la mia chitarra in mano e sottovoce continuavo a cantare a canzone mia. Vennero tre dottori. Il dottorFranco Maritiello il dotorAldo Nocco e perfino o professorBenedetto Vallealata. Nessuno di loro mi chiedeva come stavo, mi ascoltavano cantare, confabulavano tra loro e decisero del fatto che chi canta di vita e di morte assieme deve stare per un po’ all’ospedale. Senza chitarra, però. Non sapevo di soffrire di sindrome bipolare cioè d’alternare momenti in cui stai bene ad altri in cui sei o depresso o euforico. Così passai i miei primi giorni con i tipi strani. Ricordo che il secondo giorno mi si avvicinò uno che mi fa: Per finire la malattia mentale… La psichiatria è come un marchio a fuoco: se ne entri non ne esci cchiù. J song stato per la prima volta ricoverato al Diagnosi e Cura di Napoli in modo coatto, cioè con dei medici che decidono che in quel dato momento sia per te opportuno stare chiuso in ospedale. Avevo preso “nà bella sbronza con una bellissima femmena e dopo aver fatto l’amore, presi la mia chitarra e cominciai a cantare. Me scinnivano le parole così di getto… Svegliati! Forza: non sai che devi morire? Svegliati, svegliati, svegliati perché al tempo devi dedicare ogni battito del tuo cuore. Svegliati perché la vita è una novella lunga e bella. E ora dormi, dormi sonni tranquilli - Devo aspettare che tolgano la Polizia dall’Ospedale per uccidere quell’ortopedico. - Quale? 73 - Quello che mi ha ingessato male questo piede. - E’ bellissimo: va da Brindisi a Barletta poi passa da Napoli e arriva a Genova. - Com’è capitato? - Assomiglia all’Italia - E’ capitato che “nà macchina mi ha investito ed io mi son rotto il piede, e lui non mi ha ingessato dito per dito ma tutti assieme allora adesso mi fa male. - Assomiglia. Si assomiglia, ma mi fa male il piede quando vado in macchina: le macchine vanno con i piedi. - E tu lo vuoi uccidere? - Le macchine vanno con le ruote, però i piedi servono. - Certo. Se lo merita. - Io ci ho pensato a “nà macchina che va con le mani. - Hai la pistola? - E poi? - No, ho o’ coltèll: a me chiacciono i coltelli. Vado là gli dico che mi son rotto un piede e guardo come me lo ingessa: se non me lo immobilizza dito per dito, gli pianto il coltello tra le costole e gli squarcio il cuore. Così lo mando in Paradiso. - E poi mi son rotto il piede, e lui me l’ha ingessato male. Appena tolgono la Polizia dall’Ospedale io, vado là e lo ammazzo quell’ortopedico. Però, adesso devo andare fare la pipi… - Stai attento che non ti voli via, piuttosto. - In Paradiso gli ortopedici non servono, non vedi che le ossa restano qui. Tutto se ne va non si sa bene dove ma le ossa restano qui. - Ah! Paisà tenete la faccia gonfia, che vi siete fatto o’ Botolino? - Allora lo mando su Marte e lo butto nel mare, io vengo da Marte. - No… ma so fatto “nà botte e vino, Un mondo tutto da scoprire, insomma. Il secondo ricovero successivo a Napoli lo subii a Villa Irlanda a Bergamo, perché ero già salito nel profondo nord. In camera con me, lo ricorderò sempre, c’era nu’ uaglione omosessuale - Com’è il mare di Marte? 74 cattolico che non riusciva a gestire quella che per lui era un’insanabile contraddizione. Vagava da “nà clinica all’altra con in tasca “nà lettera del Vescovo di Genova che lo consolava, ma non lo perdonava, sicché era costretto a vivere con un lacerante senso di colpa. Mentre disegnavo e cantavo mi guardava e, chiedendomi il permesso, si masturbava. Era Dio a volerlo così, ne son certo, ma per lui le cose non stavano in questi termini. Pregava, pregava, pregava e si masturbava. Non passerà mai dalla memoria mia. In seguito, fui preso in carico da uno psichiatra del Servizio di Salute Mentale di Milano. Con lui avevo saltuari colloqui e prendevo alcuni psicofarmaci. Poi le cose tra noi sì incrinarono: mi fece due ricoveri coatti al Diagnosi e Cura perché, a suo dire, ero nella fase euforica. Allora chiesi di poter cambiare medico visto che era un mio diritto. Mi fu assegnato il dottorLucio, Lucio… eee. Lucio…. Mannia, i nomi nun me li ricordo ammaiè, i cognomi poi. Ho di lui “nà grande stima. Ma benedetto iddio mi ha dato da leggere Il romanzo del vino, proprio ammià. Che, beh…. lasciamo stare. E con lui le cose andarono fin da subito meglio. Durante un periodo in cui non stavo bene, anziché al Diagnosi mi ricoverò col mio consenso presso “nà struttura psichiatrica, diciamo aperta. Dal duemila continuo a prendere psicofarmaci che mantengono il mio umore un po’ più stabile, anche se purtroppo il buio mi si affaccia ancora; la depressione mi devasta. Non so quante volte ho chiesto a Dio di fare un’eccezione e dotarmi di un bottone per spegnere il cervello: l’alcool l’ho sempre assunto a tal fine. Per fortuna sono circondato da professionisti e amici che mi stanno aiutando in tutti i modi. J vorrei accettarmi per quel che sono, amen. Poi anche in quella struttura le cose principiarono ad andarmi strette, allora dopo “nà riunione tra pazienti e operatori, scrissi questa lettera: La sofferenza in un Ospitale psichiatrico: Poche parole chiave e, spero chiare. Noi siamo i sofferenti: quindi Persone che hanno bisogno di attenzione e comprensione. Perché il Noi è maiuscolo: perché anch’io vedo come sono trattati, i servizi igienici, le sigarette fumate in camera o la semplice fatica di schiacciare una bottiglietta d’acqua vuota e separarne il tappo di plastica che avrebbe fini nobili, ma ciò non di meno, restiamo Persone. Per non dire delle grandi difficoltà: fare la doccia e ancor di più trovare un lavoro: anche un lavoretto sia pur minimo, ma che ti consenta in un qualche modo di sentirti come gli altri. Quasi tutti, abbiamo certificato dai medici delle invalidità espresse quantitativamente e questo è di certo indice di chi sta, più o meno bene. Purtroppo, gli esempi che ho fatto prima - e che come Voi sapete non sono certo esaustivi: anche solo la differenza di pulire con uno spazzolino il water che non è il tuo - mette in luce il peggior difetto, a mio modo di vedere, che contribuisce a rendere Noi a causa delle diverse malattie più o meno individualisti. Per fortuna non agli estremi limiti, ma più attenti all’avere che al dare, cosa questa, che io considero il peggior difetto degli esseri viventi. La diversità nello star bene ti fa comportare in modo diverso, dall’esempio della bottiglietta a quello del lavoro, per non parlare della capacità di relazionarsi con gli altri. Questo rende il vostro lavoro diverso da chi opera in altri reparti ospedalieri. Gli altri, in questo caso Voi: persone qualificate - cioè che hanno subito, chi più chi meno, anni di studio - e stipendiate. 75 Ora, lo so bene che quando si va attorno ai termini economici si arriccia il naso. Però Noi abbiamo, per fortuna - e non so ancora per quanto, visto come stanno andando le cose - un cospicuo sussidio perché ci si prenda cura della nostra Persona. Non intendo solo cura fisica - cadere da un letto ma anche psicologica: come chiedere se hai passato una buona giornata, sapere se hai dei legami con l’esterno, fino a ridursi al semplice ma non piccolo dire al mattino buon giorno, solo a Martino renderei obbligatorio la Salve Regina Mater misericordia vita, dolcezza e speranza nostra, rivolgi a noi esuli figli di Eva quegli occhi tuoi misericordiosi. E questo tutti i giorni, se no lo licenzierei, perché ne abbiamo bisogno, ecco perché. Al contrario, Voi per l’appunto percepite uno stipendio. Questa è la differenza se si vuole riduttiva ma inconfutabile La parola salario, come Voi certamente sapete, deriva dal fatto che in antichità il sale era tra i beni più preziosi e con quello era retribuito il lavoratore - a parte chi era addirittura in schiavitù e doveva accontentarsi di bere e mangiare - oggi siamo all’Euro, e so bene che per taluno tra voi non sono corrispondenti all’attività svolta, che meriterebbe di più. Fatta questa premessa, che m’è servita per spiegare sia pur in modo succinto la differenza tra Noi e Voi, ora veniamo alle poche cose importanti che io e, forse Noi tutti, desidereremmo: comprensione e rispetto. Abbiamo persino una legge - che consiglierei a qualche operatore di leggersi per benino - che tutela i sofferenti mentali e, in modo particolare, pone Voi al nostro servizio come sosteneva il professorBasaglia. Non sono purtroppo un etimologo ma in parole povere penso che comprendere significhi mettersi nei panni dell’Altro, e rispetto onorare la condizione Altrui. Solo un breve accenno alla consapevolezza dei miei limiti: io so di essere in stato di bisogno: sofferente per tanti, troppi anni, le mie dipendenze fisiche e psichiche fanno di me una Persona, povera, ma che resta Persona. Anche se, mi rendo ben conto, che a me come al signorNicola e a quella quantità industriale di bislacchi personaggi che il buonDio ha messo al mondo - e testardo com’è continua a buttarne giù - servirebbe Santa Rita da Cascia protettrice degli impossibili. Comunque sia, a questo punto torniamo ai più preziosi riferimenti generali. Chi ha peregrinato anche in altre strutture psichiatriche in parte restrittive, e ha quindi vissuto sulla pelle le diversità di comportamento tra i vari Noi e i vari Voi. A solo puro titolo esemplificativo si potrebbe dire che c’è differenza tra una camomilla, una marmellata, un bicchiere di latte, un the a merenda; e per taluno forse anche alle venti, fino a giungere alle cose più importanti che possono portare a una migliore accettazione d’un luogo soprattutto se in quel posto ci devi passare tanto tempo. La comprensione e il reciproco rispetto sono quindi uno strumento indispensabile che sta alla base dell’armonia che c’è tra Voi e Noi che può portare a grandi cose, essendo la base della lotta contro la sofferenza psichiatrica. Termino con una parola che a me sta particolarmente a cuore responsabilità, cioè capacità di dare risposte: che possono essere tristi e non all’altezza se uno sta male, e che al contrario dovrebbero diventare nobili se uno sta bene. Questa è la vera differenza che sta alla base dello stigma che persiste tra cosiddetti normali e i matti, e che purtroppo anche qui in qualche caso avviene. Insomma, carissima, per terminare ho voluto leggerle questa mia lettera per farle comprendere quanto grande sia 76 stata e sia a tutt’oggi la mia sofferenza. Oltretutto se ne andò alCreatore anche Nicola cui dedicai alcune righe, così giusto per tener memoria d’un disgraziato reso solo dalla malattia. problema è stato quello di definire chi dei tanti fosse il beneficiario. Allora s’è consultato con Pietro che col suo buonsenso ha prontamente risposto che vista la pena spettata agli interessati, volevano premiati tutti assieme. Voleremo in cielo in carne ossa e non torneremo più dice De Gregori. Mi manca Nicola. Mi manca tanto, ma sono felice comunque perché so che con questo suo triste peregrinare s’è guadagnato il Paradiso. E la ci sguazzeranno tutti assieme con piacere e meritato godimento, finalmente con la sigaretta sempre accesa. E il fumo che salirà porterà su a vagolare i loro infiniti pensieri. A presto nell’Aldilà signorNicola. Imbarazzo in Paradiso: Ogni Cristo scenderà dalla croce e anche gl’uccelli faranno ritorno, canta Lucio Dalla. E anche lui, o meglio, loro sono scesi dalla loro croce: sto parlando della famiglia diNicola. Il signor Elio dava un nome diverso ad ognuna di queste funzioni: azione, pensiero, passato, presente e futuro. Lui invero un giorno era il magistrato, il giorno successivo la polizia veneta, poi il maresciallo per passare al leopardo ferito e chiudere con Migliavacca. Sicché, l’altro ieri quando ha abbandonato il suo mesto peregrinare in questa vita terrena che con lui non era stata per niente generosa e s’è presentato al cospetto del Creatore, il signorDio era davvero imbarazzato. Non sapeva più chi in realtà si trovasse di fronte. Prima di tutto però s’è scusato per avergli assegnato un ruolo così gravoso su questa benedetta terra. L’aveva creato con un cervello capiente ma per niente coordinato. Era sì intelligente ma ahimè non in grado di dominare e controllare i suoi infiniti pensieri. Un matto coi fiocchi, era il signorNicola, e lui, ne son certo, ne era consapevole. Rimpiangeva il manicomio, dove i ruoli erano drasticamente definiti: da una parte i malati, da quella opposta medici ed operatori. E si trovava spiazzato in un ambiente dove i sofferenti non venivano più trattati dall’alto in basso, tranne in qualche limitato caso dovuto ad operatori che a dirla tutta arrivavano fin lì, ma bensì alla pari. Si, a Migliavacca è spettato un ruolo impegnativo nell’Aldiquà. E poiché Dio lo sapeva bene l’ha accolto a braccia aperte in Paradiso. L’unico Forse anche in me dimorano in troppi e se non fossi un vero democratico, mi sarei già suicidato… Cosa ne pensasse dottoressaMacchiavelli? - Mah, signorSalvatore: vi ho ascoltato in religioso silenzio e penso che questo vostro buttar fuori sia di per se terapeutico, io, però non sono una psichiatra. Tuttavia mi vien da dire che forse voi siete nato tardi e male: nel senso che non avete ucciso vostro padre e neppure lo ritenete un Dio. Poi, insomma, tutto questo vino… la cosa più utile che posso fare per voi è prescrivervi un farmaco che si chiama Antabuse, è un antagonista dell’alcool e con quello potreste smettere di bere. - Sapete mia cara dottoressaFread, forse i genitori si possono tenere così come son fatti se la natura li ha voluti così. L’amore può compensare il dolore. E mio padre oggi, forse preso dai sensi di colpa, mi telefona un giorno sì e l’alto pure e mi vuole un gran bene, almeno quanto glie ne voglio j. 77 Semplicemente la mia storia è andata così e ora può solo migliorare: mi prescriva, sto antisbronza così potrò finalmente assaporare e non trangugiare i vini che fa il nostro comune amico, baraCCa. Perché j nun so cchiù si o’ vinò va buonò o no va buonò: sacciò solo che bevuto male è na chiavic. Anzi, sapete cosa vi dico? J lo vado a trovare subito il signorAgostino. Le risa li presero gagliardi, allora Salvatore, finalmente liberato dei suoi magoni, disse nell’ormai acquisito dialetto reggiano: Detto e fatto, mosse per la via della cantina diPopoli e prese sottobraccio baraCCa comunicandogli la decisione assunta di sottoporsi a una terapia, e lui ne fu felice di trovare in Trincani tanta spicciola saggezza. Così, col cuor gaio e una bottiglia di Malvagia si portarono a far visita al pensatore, al solito appollaiato nei verdi prati diPopoli. Giunti che furono, Agostino sturò la bottiglia e versò un calice di quel prezioso nettare a ognuno, poi esordì: Infine, prese a soffiare il vento della felicità ritrovata e raccontò un segreto che gli aveva confidato PartigianoReggiano, certo com’era della riservatezza dei suoi interlocutori: - Come saprete… nella vecchia casa colonica che teneva in riva al fiume, Partigiano-Reggiano aveva “nà fantastica cantina, dove stagionava i salumi per se e per gli amici. Ebbene, non lo disse con niscuno se non con ammià, un giorno che eravamo in vino veritas. Durante la sciagurata alluvione le acque avevano sommerso quelle case fino al secondo piano ricordate? Beh lui ha visto arrivare due giganteschi pesci Siluro, che chissà quale anima in pena ha portato a infestare il nostro povero Po, che si sono pappati due salami, un culatello e ben tre prosciutti, mannaià o’ porcò, anzi povero o’ porcò…. - Ier sira a io ciape un ciclon cal pedaleva da per lù… e po’, caro Toro seduto con i voster sold e la mè tèsta as faris na vera tìmpesta, ansi dmei ancorà na belà festa…. - Mio caro Toro seduto, cos’è tutto questo star qui in meditabondo silenzio? È il silenzio degli innocenti? O siete forse preoccupato per le troppe femmine? - Sapete miei cari, le femmine vanno e vengono, qualche volta mi vien persin da pensare che quella cosa là, sarebbe meglio imbalsamarla, ma forse se ne perderebbe un po’ il gusto, cosa ne dite? - Meno male che non avevano sete di Lambrusco, disse ridendo Toro seduto, versandosi un altro calice di Malvagia e offrendolo agli altri. - Avete ragione assai, replicò Trincani, ragione da vendere, ma probabilmente qualcosa di positivo ci sarebbe anche li: potremmo girare attorno a tutto quel ben di Dio fino alla fine di nostri giorni, caro Toro seduto… - Per me basta uno, disse il signorSalvatore, da oggi voglio anch’io confrontarmi col senso del limite. 78 - Sia benvenuto cotanto senno, a tal proposito, amici cari vorrei leggervi un pezzo di Anassimandro, che a parer mio di saggezza ne aveva da vendere. - La transustansazione è il mezzo più veloce di comunicazione, più rapido d’internet. - Padre, per il Figlio per lo Spirito Santo uguale a quadratura del cerchio. - Chi era costui? - Era un presocratico, cioè un pensatore nato prima di Socrate e prima ancora di Eraclito che tanto piace a baraCCa. Per l’esattezza, circa seicento anni avanti Cristo. Di lui si ha solo un piccolissimo frammento che cita Simplicio nel de Phyca: Tra quanti affermano che il principio è uno, in movimento e infinito, Anassimandro figlio Prassiade, Milesio, successore e discepolo di Talete, ha detto che principio ed elemento degli esseri è l’infinito, avendo introdotto per primo questo nome del principio. E dice che il principio non è né l’acqua né un altro dei cosiddetti elementi, ma un’altra natura infinita, dalla quale tutti i cieli provengono e i mondi che in essi esistono: “Da dove, infatti, gli esseri hanno l’origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro le pene e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo”. Cosa né pensate Agostino? - Il rimorso è la peggior punizione per un credente, ciapa mo sù... - Il nostro nuovo computer fa tutto: spacca anche la legna per il camino. Riuscirà a spaccare in due chi mal ci governa? - E’ vero che se tu cambi, gli altri possono cambiare. Così com’è altrettanto vero che se tu non ti cambi, gli altri ti stanno lontano. - Noi suore non andiamo mai in pensione, perché Dio stagiona perpetuamente senza invecchiare. O, più prosaicamente, perché i pensionati muoiono tutti. - Penso che fosse anche lui un consapevole figlio di Dio, nato nella notte dei tempi, ancor prima del signorGesù, questo penso. Uno che aveva si ben compreso come il tempo sia padrone dell’Aldiquà, il senso dell’Aldilà. Nel qual mentre laBirichina, s’intrufolava su Radio Maria… - L’Amore è un’amicizia sine Die, senza limite alcuno. 79 scambiarci quelle tenerezze che oggi, non ci resta che sperare. Dimmelo con gli occhi tuoi: perché la censura dei tuoi vada in clausura. E sfiora il cuore mio con una carezza ai tuoi cagnolini, sapendo che anch’io, quanto loro, dipendo da te. Orsù Dolcezza mia sorridi alla vita e dille grazie d’esser stata con te si generosa…. Un giorno senza di te è come un fiore senza profumo. Il Monumento - Alla fine, però, dovremo archiviare anche sto benedetto monumento, ha ironicamente ricordato la signorinaChador, così chiamata per la sua velata beltà. Aveva capelli lisci e lunghi con colori che spaziavano dall’ocra al rosso, secondo come la luce giocasse con loro, Ed un volto tanto semplice quanto importante come l’hanno le donne dell’Est: per questo la ribattezzarono Chador. Aveva fatto mulinare la testa a tutti quei diPopoli pel fatto che i suoi lineamenti affettuosi e candidi, disegnavano la purezza, tracciando la premura e resuscitando alla memoria sculture di Michelangelo. Un giorno, Sibemolle, quando se ne andò al servizio militare le scrisse una lettera d’amore, e la fece sua. Recitava… Sì, Chador era proprio bellissima e meritava quelle parole. E poi abitava la sincerità, dote di non poco conto. Ebbene, mentre già da un pezzo si prestava attenta a rassettare il solitoBar, sia pur con le accorte orecchie d’una barista, suggellò il problema del monumento… - Allora? Lo vogliamo fare o no sto nuovo monumento? - Lo faremo, ha sancito vista l’ora Partigiano-Reggiano lasciandosi chiudere la porta alle spalle, dando in tal modo inizio alla lunga processione di saluti che anticipavano la ritirata degli avventori. - Lo faremo e buona notte. Orsù dunque Dolcezza mia, rivolgi a me quegli occhi tuoi misericordiosi. E continua a riempir il mio cuore del canto dei fringuelli e del dolce volo delle libellule. Orsù dunque Dolcezza mia: dimmi che anche tu prima di prender sonno e consegnare il tuo assopimento ai tuoi desideri, hai pensato a me. Dimmi che il cielo è azzurro come l’ha voluto il Padre nostro. E come gli occhi tuoi riluce del profondo mar. Oh! Quanto vorrei esser libero d’abbandonarmi tra le braccia tue. Quanto vorrei che i chilometri, in un batter d’occhio, divenissero centimetri. Quanto vorrei sfiorare il tuo tatuaggio e dirti birichina. Perché solo le birichine si fanno i tatuaggi, ma solo le ammiccanti piacciono a me. Orsù dunque Dolcezza mia, dimmi che anche tu aspetti quel dì in cui potremo A tal proposito ieri l’altro accadde un putiferio: proprio al solitoBar, tutti litigavano con tutti per via di sto benedetto monumento da rifare. APopoli, proprio in piazza, era sito il monumento ai caduti. Sopra il quale, i ragazzi del centro sociale diRoccabella, altra frazione di corteGodi, poiché erano un po’ brilli, avevano fatto degli orrendi murales proprio sul piedistallo. Allora i vecchi del solitoBar s’incavolarono di brutto: mossero verso loro battezzandoli come imbecilli. Avessi visto: il signorMaròlà con la sua flemma appiccò il 80 fuoco al solito Garibaldi, e, ordinato una bottiglia di Malvagia a Chador, si mise a sbraitare… - Cosa fate, beoni? Quel monumento ai Caduti è un simbolo. - Cosa? - Sì, perché non fate anche voi un monumento ai valori, cavolo? - De che? Gli è scappato detto a Hitchcok, un tipo magro quanto uno stuzzicadenti con occhi e pensieri stralunati, così soprannominato perché il suo sguardo aveva una strana propensione al mistero. - Abbiamo già il bancomat, ha sputato il solito Hitchcok con amaro sarcasmo. Potete farlo solo voi diPopoli... Qui tutto marcia al contrario. - Il monumento, invero, sta franando, avete ragione. Eppure, non per questo potete disonorarlo: proviamo piuttosto a escogitarne uno nuovo, soprattutto nei contenuti. E’ qui che si gioca la partita: mettere le generazioni a confronto, signoriMiei… - E’ il simbolo della libertà conquistata, caro figlio dei fiori col cellulare. - Bella la libertà alla sovietica, molto piacente, si direbbe… ha a quel punto incautamente ironizzato, amaroLucano, leader del centro sociale. generazioni a confronto. - Ma vai a farti benedire, sentenziò imbufalito il signorKalashnikow pugnando sul tavolo come quando calava il due di coppe con briscola a denari: - Adesso che siete liberi, ironizzate e fate i coglioni? - Vacca, Maròlà - così ribattezzato per via del fatto che in continuazione, ma proprio di seguito, sgranocchia semi di zucca salati sostenendo che aiutavano gli ingranaggi della sua zucca a ragionare - ha ragione. Invece di fare un nuovo monumento ai caduti che già li ricordiamo nel prato di sotto di Partigiano-Reggiano, dove tutti andiamo a meditare sulle rotoballe di fieno o all’ombra della quercia grande Qui conosciuta come suaMaestà, facciamo un monumento al senso, ha aggiunto allora DindonDan. Il clima si faceva pesante, e il battibecco prese fuoco in quattro e quattr’otto. Il signorUgo allora si alzò con molta solennità, tanto bastò per riportare la quiete in tutta la piazza: Ugo, soprannominato Maròlà, era riconosciuto come un’autorità perfino fuori del circondario. Beh, insomma: è andata a finire che da quel giorno lì Qui non si parla d’altro… A chi facciamo il monumento?, ai signoriSanti, ai signoriEroi, ai signoriPatrioti, ai signoriScienziati, - Perché non facciamo un referendum sul simbolo? - Come? 81 oppure ai signoriAttori, e perché non lo facciamo ai signoriMuratori…. - Allora, ditemi, chi è Dio? Ha chiesto con fare smaliziato LuxMassima. Da allora aPopoli pareva non esserci altro argomento. LuxMassima, noto frequentatore di night club, avrebbe voluto fare un monumento alla signoraMoana Pozzi: trasgressiva per natura. Perché a ragione sosteneva che trasgredire vuol dire andare oltre: dacché spesso ce n’è di bisogno d’andare aldilà degli umani pregiudizi, allora andiamo oltre raffigurando una siffatta creatura. In quel caso però, le suorSorelle del piccolo convento castigarono quest’ipotesi nell’eresia: contro natura, a parer loro. - Dio è vita oltre ilCimitero. Non credete ad esempio che questa piazza possa esser degnamente dedicata a Madre Teresa di Calcutta o a padre Pio che han portato gocce d’amore in un mare di miserie? - No, ha sancito bello bello LuxMassima, fedele alla sua non credenza. Al solitoBar, anziché santi o prostitute andava per la maggiore Pelè, seguito a ruota dal signorSenna e dal signorSabin. Per quest’ultimo si schierarono i quattro dell’aveMaria, fedeli giocatori di scopone scientifico e creatori dei funerali con giudizio che si tenevano per commemorare una dipartita dentro il casotto di Kalashnikow, il becchino. Ai quali, sovente s’aggiunge l’architetto più biologico del mondo: il dottorCiro Paternò detto loMaestro. Era proprio lui il più convinto sostenitore del signorSabin, che a dir suo meritava d’esser ricordato per sempre giacché con i suoi studi aveva salvato un fracasso di vite umane dalla poliomielite, senza chiedere nulla in cambio. Era di origini Palermitane, Ciro, ed era dotato di uno spiccato senso dell’umorismo e d’una profonda conoscenza della natura umana che gli consentiva di fare un mestiere che solo sulla carta non era il suo, il maestro delle scuole elementari di Qui, anche se era laureato in architettura. Invero, questo accadde, Ciro propose una soluzione democratica: una sorta di concorso d’idee sulle diverse scuole di pensiero, sugli stili, perché, traparentesi, lì lo sapevano che la forma veicola la sostanza. - E sì che la natura è sotto gli occhi di tutti… affermava LuxMasima. In effetti, era insostituibile: sapeva spiegarti con estrema semplicità che E = M. C2 dove E sta per Energia M sta per Massa e C2 sta per velocità della luce alla quadratura, era la famosa teoria della relatività di Albert Eistein. E te la snocciolava come stesse parlando di una partita di tresette. Insomma, non aveva tutti i torti: se ci siamo, è perché due esseri della medesima specie si sono cercati e trovati, questa è mamma natura, a me pare, sosteneva persuaso. Tuttavia fraCasso non si lasciava intortare facilmente, lui diceva che Dio è giusto, e per questo l’hanno voluto a fare il sacerdote di Qui… - Non nella soddisfazione carnale, che pur ci vuole, ma nella pienezza spirituale che deriva dalla comunione con Dio si ha il vero godimento, questo è secondo me il senso che stiam faticosamente cercando nell’Aldiquà. 82 - Mizzica, facciamo una bedda cosa: ogni abitante di quel diPopoli, ha dieci centimetri quadrati di carta su cui scrivere come vorrebbe il nuovo monumento e, visto che ci siamo, anche il nuovo Cimitero. La biro ce la mette lui, amen, sentenziò loMaestro. E sia chiaro: niscuno sarà accucchia bruodu, nulla facente. Ora, raccontare com’era, il dottorCiro è impegnativo: basti dire che da lontano somigliava a un ippopotamo, e da vicino a una libellula. La sua stazza parea simile a quella d’un transatlantico: centosei chili di carne e ossa, approssimativamente distribuiti in un metro e sessanta scarsi d’altezza, facevano di lui un nano gigante. Ciò nonostante, quel che più d’ogni altra cosa sconcertava, era la leggerezza con cui si muoveva: la sensibilità del suo sfiorar la pelle era simile a un volo di una libellula. Il volto che si allungava sotto un cespuglio nero e torvo di capelli tipico dei siciliani, pareva quello d’un fanciullo tant’era di grazia adornato. Lineamenti gioviali gli disegnavano una costante serenità. E poi era furbo, il dottorCiro, a parer di tutti. Fu il primo a esser caduto fin Qui dall’estero, almeno tale considerato date le sue origini sicule. APopoli faceva loMaestro, così come gli aveva consigliato il famoso professorLoSussurro, emerito reggente della facoltà di filosofia in quel diPalermo. scuola avete fatto e perché state qui?, ti chiedeva. Dopo una vera e propria sagra di banalità, tipo ho frequentato il liceo e sono curioso, o, ho studiato al ginnasio e desidero acquisire la storia, è venuto il turno mio. Rosso come un peperone rosso, ero. Traballante mi accostai al banco suo, com’era d’uso fare ai tempi miei, e, piano piano, spiattellai il mio verdetto: le magistrali feci, e vorrei conoscere la verità. Mizzica! No ceffone grande quanto na tonnara mi mollo o professore. Che per un bel pezzo bruciava, quanto no limone verduzzo spremuto su na ferita. Traparentesi. E’ proprio vero che a megghia parola è chidda ca nun si dici, la migliore parola è quella che non viene pronunciata. Poi, con un filo di voce, LoSussurro sussurrò: - E questo, vi pare vero? - Altroché, risposi balbettando mentre con una mano cercavo di verificare i danni della guancia mia, ormai paonazza e sbuffeggiante quanto l’Etna. - Allora, voi saprete che la verità è propria dei fatti: mentre la filosofia, l’amor per il sapere non è vero in sé, aiuta a cercare, ma mi auguro che non arrivi mai a conoscerla per intero la signora verità assoluta. Mai. Iscrivetevi alla facoltà di fisica o a quella di architettura, li vedrete le cose vere dei fatti, se son quelle che cercate…. La raccontava spesso lui, quella storia li… - Era il mio primo ggiorno all’università. Emozionato, fui, fin dai primi passi in quei lunghissimi corridoi… manco un cane conoscevo, aMaronna & santaRosalia. Appena entrato, o professore ci chiamò per nome, uno a uno. Che Altro non seppi fare di raccoglier quei libbri, che ancora conservo e spesso divoro, e uscire da quell’aula a me proibita. Sull’orlo dell’uscio, però, nuovamente mi raggiunse la potente voce sua… 83 - SignorCiro, pensateci: fare u maestro è un bel mestiere, c’è sempre qualcuno che ti chiede... &Perché? - A lungo pensai a quell’affermazione mentre, vagolando di qua e di là in quell’immenso edificio della conoscenza, dando retta a LoSussurro o professor, pescando la facoltà d’architettura. Quella scelsi, perché mai e poi mai sarei riuscito a capire la fisica: come fa un Cristiano a centrare la bocca con un cucchiaio di minestrina in brodo, mentre la terra gira a milleseicento chilometri l’ora? Mare e montagne comprese, aMaronna & santaRosalia. E fui pure tentato di infilarmi in Scienze Politiche ma mi trattenni perché, conoscendomi, più che ascoltare avrei cominciato a rimbrottare e far comizi: Era fattoCosì, il dottorCiro. E, pervia del fatto che in quel diPopoli per istruire i piccoli avevano voluto uno venuto dal di fuori, considerato che gli usi e costumi locali glieli insegnavano tutti gli altri, scelsero unMaestro che conoscesse la verità dei fatti. Lasciò a generazioni intere la sua smodata cultura mutuata con la pazienza che solo lui sapeva avere con lì più piccoli. Traparentesi, in piena mesopadania inferiore a più d’uno scappava quell’aMaronna & santaRosalia di siciliana memoria da lui lasciata in eredità. Senza irriverenza però, senza presunzione, con il semplice desiderio d’abbracciare la grazia del capire, tutto qui. Comunque sia, ancora una volta, una sua pensata giunse in soccorso al paese intero, tal quale ad acqua pura che sgorgava da un’alta fonte di ghiacciai disfatti: - Toh, che bella sorpresa, dentro l’uovo di Colombo c’era l’America. Fate attenzione però: sveglia ragazzi… il modello occidentale della via allo sviluppo l’abbiamo imbroccato a tutta velocità e fors’anche all’incontrario. E questo, per me, non è certo segno di progresso ed emancipazione degli Homini. In America, infatti, pur di costruirsi la felicità che è addirittura sancita quale diritto nella costituzione, fanno il diavolo a quattro. Malgrado questo, come sappiamo, la signora felicità è surrettizia: soprattutto se basata sulla concorrenza, vero motore americano. Senza comprendere che è la serenità, questa sì, il vero e proprio auspicio di una vita sensata. Però, la serenità non vien per certo dal superIo che è fine a se stesso e tomba della giustizia. Nonostante ciò, per il modello americano ha senso solo il sacrosanto individualismo, punto e a capo. Beh, sapete cosa mi avrebbero risposto? Scrusciu di carta e cubaida nenti, tutto fumo e niente arrosto. - Daremo a ognuno, grandi e piccoli, un foglio di carta di dieci per dieci su cui scrivere i simboli che preferiscono. Per il nuovo monumento e visto che ci siamo anche per il nuovo Cimitero, ripeté per esser chiaro e limpido quanto il rosato che produce baraCCa. Detto e fatto, così andò. Ogni cittadino aveva a disposizione ventiquattro ore: tre giorni. Tre giorni di lavoro, voglio dire: perché Lì c’era una norma ferrea… ogni lavoro, per importante che fosse, non poteva rubarti più di otto ore, amen. Sicché, il mercoledì alle ventuno, solo dopo che i contadini avevano terminato di mungere le vacche e accudir la polleria, loMaestro diede inizio alla lettura delle tesi. Tutto il popolo diPopoli, da lì più anziani ai più piccoli avevano diritto di voto perciò, per l’occasione, si adunò per una lauta cena dato l’evento organizzata in Chiesa. A base di cappelletti e faraona 84 arrosto con contorno di catalogna condita con sale, olio, e l’aceto balsamico che più d’uno Li accudiva in solaio. Con Sibemolle e la Tacabanda che allietavano la serata seguendo le parole che tanto somigliano a una bella preghiera alla signora fantasia dell’immortale Louis Armstrong: la musica nessuno la conosce, quando nasce, nasce per miracolo non dipende da nessuno, non dipende da me. La musica è quella: una donna splendida e capricciosa. E roba del genere. Non era certo la prima volta che l’intera collezione umana di Qui si adunava per decidere e mangiare: loro anziché per delega, certe risoluzioni le prendevano in prima persona, cappelletti compresi. A tal proposito, poiché ogni persona ragiona meglio se ha la pancia piena, organizzavano delle abbondanti libagioni. D’estate le facevano all’ombra di suaMaestà la grande quercia che svettava nel prato di Partigiano-Reggiano, d’inverno in Chiesa: perché fraCasso, era sicuro che al signorDio gli piacesse vedere gli uomini che mangiavano e bevevano insieme. E insieme decidevano. Traparentesi, queste gustose assemblee erano un evento attesissimo dalle rèzdòre, che liberandosi dalle monotonie scodellate al consorte, si sbizzarrivano nei più gustosi piatti come il famoso pancotto sempre condito con l’aceto balsamico, vera specialità di Tùtà Testa. Ad aver la peggio solitamente era il maiale, in queste terre, a buona ragione ritenuto il miglior amico dell’uomo. Lo smontavano e rimontavano in tutti i modi, con salumi dai sapori stupefacenti, o direttamente sulle braci: Qui, il porco, aveva vita facile ma breve. Fatto sta che mentre i più giovani ultimavano la distribuzione dei fumanti et abbondanti piatti, iniziò lo spoglio… Ora, se se ne avesse la possibilità, quei dieci centimetri quadrati di carta dovrebbero essere pubblicati per intero con un bel si stampi di passata memoria. Non ce n’era uno uguale all’altro. Perfino la loro classificazione poteva esser fatta solo per grandi linee: le opinioni spaziavano in ogni dove, da chi avrebbe voluto un monumento a sant’Antonio protettor de lì animali, a chi avrebbe molto preferito l’effige del Oltretutto, suorGiacinta laBirichina dando voce all’ironia sparava via radio le sue massime di concetto… - C’è qualcuno che non matura mai, prima è acerbo e poi marcisce… - Sapete chi era Molotov? L’inventore della cipolla… - Sapete cosa c’è di strano nella Molfetta che va in calore dodici ore l’anno? Il fatto che troverà sempre un Molfetto che le dirà d’averne abbastanza… - Sapete cosa fa Dio? Di sicuro più ore dell’orologio. - Tra lo svincolo Como - Chiasso e San Giovanni Brogeda, a causa del vento forte non han fatto il Giubileo. - Cosa ne pensate d’unire le feste ai ponti, alle ferie e alle sagre, per poi andare in pensione? - Chi va piano, va sano, ma spesso arriva in ritardo. 85 signorCheguevara rivoluzionario per natura, o a Paperino, eterno sconfitto. Le proposte si presentavano come gli uomini: tutti diversi, quindi identici nelle radici. Perché Lì lo sapevano che quando una cosa riguarda tutti è principio d’eguaglianza. Solo che se si proferisce che gli uomini hanno tutti due gambe si capisce subito, mentre se sostieni che son tutti diversi, ci metti un po’ di più. Attenti però, il DNA non mente: il dato che il novantanove virgola due per cento è identico per ognuno, direi che può bastare per prender posizione, o no? Anzi, si pensi che per quanto concerne il DNA, quello dei topi sia per il novanta e più per cento uguale a quello degli uomini: sicché si potrebbe arditamente sostenere che l’HomosapiensSapiens è un topo più IVA, sosteneva convinto il signorAgostino baraCCa. Al termine della torta di riso, con grande sforzo i mucchietti di foglietti furono ridotti a cinque. Simboli religiosi, laici, simboli storici, simboli ideali e inclassificabili… A parte un Budda e un Maometto, i simboli religiosi, perlopiù, erano Cattolici. Ancora una volta tuttavia, apparivano ognuno fedele al proprio credo. Si spaziava da San Francesco ai Santi Pietro e Paolo per giungere Santa Chiara. Taluni si schierarono per Marx, chi per Oscho chi per Bill Gates, ognuno si mostrava fedele al suo modello, Porca l’oca. Infine, fu il turno degli inclassificabili, il plurale, però non era dovuto al fatto che in quel mucchietto giacesse più d’un parere. Sola soletta, infatti, svettava l’opinione dellaFamiglia di Giusto, a suo dire più d’ogni altra numerosa e complicata, poiché volevano parlare tutti insieme fino a farlo balbettare. In buona sostanza Giusto, per sintesi estrema, scelse il disegno: abituato com’era al senso della misura acquisito nel tagliare vetri e marmi, sfruttò la superficie il più possibile… dieci più dieci fa venti, vamolà, pensò. Così fin da subito decise di fare un duplefax, abbozzando la sua idea davanti e dietro... Su un lato si poteva notare la sua ipotesi per il campoSanto e sull’altro sto sacrosanto monumento,: l’uno e l’altro nei sensi collegati. Ebbene, fu proprio Giusto a stendere lo pensiero che più di ogni altro apparve degno: perché se è vero che il campoSanto rende tutti uguali, è altrettanto vero che il monumento può rende tutti diversi, nei modelli s’intende. Sicché, come motivazione prese a prestito la massima di un noto sociologo di cui non ricordava neppure il nome che per certo aveva letto qua o là… tuttiParenti e tutti Differenti 86 possibile: Giusto per tener memoria, scriveva lui. Ad esempio, quando si trattava di rappresentare la personalità del trapassato nei funerali con giudizio. Perché chi resta nell’Aldiquà, esprime sempre un giudizio sul defunto, e non di rado lo si caccia o all’Inferno o in Paradiso, raramente si colloca nel Purgatorio, perché a parer dei più, là c’è troppo da tribolare. E poi c’è sempre bisogno di qualcuno che preghi per l’Anima tua, e vallo a trovare se ne sei capace. Insomma i funerali con giudizio si tenevano nel capannotto di Kalashnikow il quale, per prima cosa, annotava la canzone preferita del defunto. Vacca miseria, appar difficile scegliere una canzone per la vita. Agostino baraCCa in questo era fortunato visto che un suo amico, Vinicio Capossela, gli vestiva praticamente su misura un pezzo chiamato: Che cos’è l’amor? Che fa: - buona sera signorina sono il Re dalla cantina… Ma per gli altri: come si fa a scegliere tra Bob Marley e Battiato, tra De Andrè e Paolo Conte col suo Azzurro, tra Pelù e Jovanotti che cantano Mai più, come si fa? E Vasco Rossi, piuttosto che Francesco Guccini o Gaber che spiega, e dice la libertà non è star sopra un albero e neanche il volo d’un moscone, libertà non è uno spazio libero: libertà è partecipazione. E poi, il difficile stava nello sceglierne una tra le tante. Per dire, Esatto pretese che a rappresentarlo fosse proprio Jovanotti col suo: sono un ragazzo fortunato perché non c’è niente che ho bisogno, perché mi hanno regalato un sogno. Mentre Partigiano-Reggiano era senza dubbio alcuno per Guanta la mela. Comunque sia fu una lunga, lunghissima serata, perché tutti ritennero opportuno che Giusto dovesse spiegarsi con parole sue. Intartagliate, d’accordo, ma sue… Lapidi del campoSanto signorCaio signorSempronio signorTizio Trampolino delle opinioni Trampolino diverse Ora, siadelle detto a suoidee merito che il signorGiusto, aPopoli, era rispettato come lo sarebbe un generale, perché teneva l’elenco delle lapidi: Qui altrimenti detto registro della livella, così come chiamava la morte Totò. Marmista figlio di marmisti, perpetuò la tradizione e annotava coloro che son passati all’eterno riposo descrivendo per ognuno quanto più 87 - I ci…iCimiiiiii iiiiiiiiii iCimiteri, so…no…sono tutti diversi, nell’Aldiquà. A me…a me miiiiii…piaaa… piacereeeeeee piacerebbero tutti uguali, vacca boia. signorAmarone con deliziosi salami, coppe, sopressate più l’immancabile signorCulatello a mo’ di Verdi, che profumavano quel locale. Perché, tra l’altro, egli sosteneva che anch’esse, le idee, vogliono stagionate per poi sposarsi con la ragionevolezza portata dal tempo. - Come sono in America, osservò a tal proposito Kalasnikow il becchino, in virtù della di lui competenza maturata sul campoSanto: - Una bianca croce per tutti. - Ed il monumento?, cos’è?, una roba moderna? Chiese la signoraGentilezza, mal celando l’evidente desiderio di dar sfogo alla sua invidia dovuta alla bocciatura della sua proposta su Pirandello: permalosa com’era, per lei o eri il primo o non eri nessuno. Sempre. Proprio per questo l’avevano così ribattezzata, poiché anche lei era fattaCosi. - Noo, nooooo: nie…niente croci, per l’amor di Dio niente siii… siii… simboli religio… religiosi nel luogo deeee… del per sempre. E poi, gli ame… ameriii…cani… gli americani imparaaaaa… imparano… trooo….troppo tardi a… a stare al mondo. Da vivi… si…si scannano l’un l’altro, da… da morti capiscono…d’eeee…d’esser tutti uguali, boo boia d’un mond lèdèr. - Nooooo….è uuuna roba antica: co… come sono iiii punti di vista. La piaaa… la piazza è uuu…una…. la piaaa…piazza è una vasca d’idee. Allora faaa… facciamoci un trampolino. Giusto per gua… gua….guardare le ideeeee degli altri da un altro e alto puuuuunto punto di… di vista. Solo se acce… accettano il cooo… confronto i modelli sono destinati a reee…. restare nel tempo, diiii divenendo in taaaa in taaaa tal modo valori. - E voi vorreste assegnare a ognuno una nuvoletta?, lo interrogò Souvenir affascinato dalla bizzarra proposta. - Si… unaaaaa…una nuvoletta, testimone del teee.… testimone delloSpirito di ognuuuu ognuno giaaa… giacché ooo… ognuno muore nella caaa… ca… carne ma può sopravvivere neee. nelloSpirito, o cooo… coscienza, amen. Detto e fatto: a parer dei più quelle tesi eran giuste come il suo estensore, e l’assemblea diPopoli approvò senza esitazione alcuna. Realizzando il progetto che in concreto facea veder l’idea duplefax che la morte rende l’Homoparente e il trampolino dei modelli da spazio all’Homodifferente, Qui il tutto sarà destinato al confronto: perché la piazza è una vasca d’idee, sostiene il signorGiusto. E ognuno sarà libero di salir là in cima a decantare il proprio modello per confrontarlo con l’altrui. - Quest’è bella, sì, mi sembra davvero una buona idea. E quand’era Souvenir a emetter sta opinione, state pur certi che aPopoli gli danvan tutti retta. Il signorSouvenir aveva una sincera passione per le buone idee. Lì si sosteneva perfino che giù in cantina, qua e là appuntate su foglietti, ne avesse una discreta collezione di buone idee. Frammezzo a Nebbioli, Chianti, Brunelli, Buttafuoco e qualche bottiglia di 88 Pervia della qual cosa, in poco tempo si concretò la sua proposta: la piazza da quel dì ospitava un semplice ma bellissimo monumento del trampolino disegnato dall’architetto loMaestro. E il campoSanto, tutto da ricostruire, vedrà una semplice ma profonda rivisitazione culturale ponendo una lapide a nuvoletta ove ognuno, evidentemente, scriverà il suo lascito all’Aldiquà e testimonierà l’eternoSpirito. L’imprenditore di quel diPopoli Souvenir era un gran geniaccio, che si faceva qualche buon bicchiere, e sosteneva che se sanFrancesco fosse vivo oggi sarebbe senz’altro inseguito dal Servizio Psichiatrico di Salute Mentale. Comunque sia lui, in virtù del fatto che meglio di chiunque altro poteva testimoniare quanto fosse utile per non dire indispensabile pensare agli altri, in quel diPopoli era apprezzato più di chiunque altro. La sua storia lo testimoniava: dacché era l’imprenditore di Qui. Uno che i soldi non se li era fatti ma guadagnati e condivisi. Amen… Il bello è che tutto ebbe inizio con un tamponamento. E’ proprio vero che le buone idee ti possono venire nei momenti più impensati. Era in via di marcia verso corteGodi e pensava a quanto fosse cambiata, sta città: fino a poco tempo fa risultava la prima in Italia per numero di cooperative, oggi lo era per numero di palestre. Cavolo: hanno cambiato muscolo, ripeteva tra sé e sé: son passati dall’uso del cervello all'utilizzo della carne senza capire che s’è belli fuori solo se si è belli dentro, come recita un modo di dire cinese: quest’era estEtico, secondo Souvenir. Comunque sia, stava andando a sbrigare dannate pratiche per la visita oculistica della moglie, signoraFlorida. Quando al primo semaforo, una Uno s’è fatta in due mandando a soqquadro il suo Maggiolone con una botta di quelle che trasformano tutti i modelli in un catorcio. Grazie al cielo e alle cinture, tranne le auto, nessuno si fece male. 89 Insomma, uno di quei casi dove in molti ti dicono che sei stato fortunato, e che tu vorresti augurargliene altrettanta di fortuna: così, giusto per vedere. I rottami erano ovunque, lì attorno. Sbalestrato e attonito come un fantasma, il signorSouvenir, non seppe far altro che raccoglierli; nello stesso tempo una deliziosa creatura con lunghi capelli biondi, bianca quanto un foglio bianco, scese da quella che solo con generosità la si poteva ancora definire un’auto e le si butto letteralmente al collo sbaciucchiandolo qua e là sulla fronte e sulle guance per sincerarsi che fosse ancora di carne e ossa costituito. in cambio risposta alcuna. Allora, scossa da siffatta ipocrisia, quella macina d’idee che appariva la sua testa, prese a rimuginare. In un paio di giorni Souvenir aveva trovato una soluzione. E a bassissimo prezzo, per di più: si trattava d’istallare una tagliola, un semplice cuneo di legno di forma triangolare che era in grado scorrere su una tavoletta da potersi regolare a diverse altezze, posta sotto l’acceleratore. Più aumentava l’esperienza e più si poteva spostare il cuneo verso l’alto aumentando la velocità. All’opposto, abbassandolo la marcia diminuiva. Un vero e proprio marchingegno, insomma. Che consentisse di fare la gavetta: la gavetta della tagliola. - Mi dovete scusare, mi dovete scusare… ho appena preso la patente. Limitatore di velocità universale - Si vede. - Avete visto la P? - Ho visto la Pacca, boia d’un mondo. Da quel momento, il cervello diSouvenir è come se si fosse grippato come un vero e proprio chiodo fisso su quell’evitabilissimo incidente. Bastava solo moderare la velocità perché le cose andassero in altro modo. Lui, invero, da un paio di minuti sostava solo soletto innanzi a un rosso semaforo, finché quella bionda principiante dea pareva esser per davvero bendata e gli si scaraventò addosso. In vario modo imprecando, allora, lui s’incavolava con la stupenda pensata della P messa a tergo delle auto dei principianti: a che cavolo serve poi?, chiedeva e richiedeva a tutti senza riceverne Il tutto al costo di quattro Euro. Manco a dirlo, tuttavia, questo era un vero problema: come poteva funzionare nell’imperante libero mercato un arnese che costava solo quattro Euro e che andava bene su tutti i modelli compresi quelli da decine e decine di migliaia di Euro, e che oltretutto avrebbe potuto salvare vite umane? 90 Male. suoi oggetti cui allegava il passaporto suggeritogli da baraCCa per certificare che il basso costo non derivava da alcuno sfruttamento della persona. Altrimenti la globalizzazione non è emancipazione ma sfruttamento. Pensate, ripeteva, che esiste una grossa ditta di pesca dell’Europa settentrionale, che pur di risparmiare e aumentare i profitti, manda via aerea il pesce in Algeria, dove gli operai hanno ben pochi diritti, e là lo eviscerano e lo lavano per poi rispedirlo al mittente. Economia alla faccia dell’Etica: questo rischia d’esser la globalizzazione del giorno d’oggi, sentenziava. Pertanto, Qui, Souvenir era in sostanza ossequiato come lo sarebbe un ingegnere innanzi a uno squadrone di muratori intero. E poi, così come fece il signorOlivetti, trasformò un’anonima fabbrica in un luogo di condivisione con biblioteca, asilo, zona studio e sala giochi. Lì non si spartiva solo la fatica, ma anche il resto: le responsabilità, le critiche, le proposte, e perfino gli utili. Socialismo reale? Forse… quel ch’è certo è che nella sua ditta anche il più stupido e banale dei lavori non era più alienante, anzi, per i più era per davvero emancipante. Oltretutto, come gli aveva suggerito Toro seduto prendendo spunto dalle idee del signorSocrate: fissò il suo stipendio pari a quattro volte quello d’un suo impiegato, tutto qui. S’accontentava lui. E se ne faceva un baffo dei corteGodini che giravano e rigiravano con i loro SUV: Souvenir si godeva la sua veccia Citrolen Pallas cui istallò la tagliola si da poter raggiungere al massimo i centotrenta chilometri orari, dacché di più non serviva. Forza delle buone idee figlioliMiei. Lo testimoniarono i fatti: il signorSouvenir per tre lunghi anni provò in tutti i modi a convincere varie aziende cui proponeva l’affare. Ma era affare da poco. Le case automobilistiche poi, col classico savuar fer de lì ricconi, davanti si congratulavano per la felice pensata e, alle spalle, lo liquidavano come fosse un pazzo. Oltretutto, per via della sconcertante semplicità, neppure si poteva brevettare sto congegno, e anche facendolo in radica o in stile con decori e fregiature in similoro, il prezzo non avrebbe potuto superare i sette Euro, IVA compresa. Un’inezia. E siccome il mercato è libero e osannato solo quando qualcuno guadagna assai sui tanti che pagano molto, nessun prese neppure in considerazione di poter produrre un aggeggio del genere… alla faccia dell’utilità, vamolà. Sicché, quell’idea restò lì incastrata nella di lui capiente zucca, a fecondare le altre pensate. E così avvenne, perché siccome non tutto il male vien per nuocere, il signorSouvenir non ha mica fatto tanto: piantò su una fabbrica di baracchini inutili d’ogni forma e colore. Produceva gondolette di Venezia e torri di Pisa; statue della Libertà e torri Eifel; ponti di Bassano e Battisteri di Firenze; torri degli asinelli e asinelli siciliani con tanto di carretto; statue della Pietà e Colossei riproduzioni della Mecca e Muri del pianto, Tori gemelle e Porte di sanPietro Burgo, nonché danzatrici che segnano il mutar del tempo: insomma, un po’ di tutto a patto che non servissero a nulla e non costassero più di quattro Euro. Il successo fu immediato: il bum dei souvenir. In pratica, fece un’azienda con settanta operai e gli affari gli andavano a gonfie vele: esportava in tutto il mondo, i 91 fede inCristo, parean persin prillarsi al suo passaggio. Bianco nel volto come un lenzuolo appena candeggiato ma scuro quanto il caffè nelloSpirito, lo signorVescovo lo accolse con un gelido: - Come vi va, padreFilippo? In Vitaeeternam - Bene, direi… Proprio bene, Eminenza. - L’individualismo è la masturbazione del superIo, questa è la mia omelia di oggi, amen, ha spiattellato quella mattina a Messa prima dopo aver eseguito le varie liturgie e letto le sacre scritture, fraCasso. - E se a qualcuno non va giù per via del palato troppo fine, ebbene, è liberissimo d’andare a scomodar lo Vescovo, proseguì. Detto e fatto, la Zitta - così chiamata perché oltre ad esser zitella, con tanto di sorella in clausura in quel di Bergamo de scùra, possedeva una portentosa lingua che zitta non stava mai - presa al volo la santa benedizione, girò i tacchi verso casa e si portò al riparo da occhi indiscreti. Giunta che fu, con compunta fedeltà, telefonò proprio al Vescovo della diocesi di corteGodi con cui s’intendeva alla perfezione. Anche a lui eran certo note le stravaganze di padreFilippo Borghetti, che per via del fatto che predicava poco ma razzolava parecchio, era detto fraCassò. Ma questa perentoria sentenza sul superIo pronunziata nella Santa Chiesa, era troppo ardita. Davvero troppo. Così si dispose per una convocazione immediata. A fraCasso allora non restò altro che inforcare il suo unico mezzo di locomozione, la sconquassata bicicletta da donna, e prender la via del superiore. Trovatosi in Vescovado, i suoi pesanti passi rimbombavano scoppiettanti negli ampi corridoi. E i sontuosi quadri che tappezzano li muri raffigurando illustri porporati, per omaggiar la sua autentica - In multiloquio non derit peccatum: le molte chiacchiere non possono essere del tutto innocenti, ricordatevelo padreFilippo. - Già, ma è indispensabile Instaurare omnia in Cristo, Eccellenza. Si: dobbiamo restaurare ogni cosa in Cristo, a mio modo di vedere. - Sentite, padreFilippo, io so che voi siete un buon figliolo: figuratevi che avevo perfino in mente di farvi Monsignore… ma come si può, come si fa, dico io, a sconcertare in tal modo i fedeli e le pie donne? - Colpa d’un sogno Eminenza. Un sogno che mi ha fatto letteralmente camminare nel letto. Vedete, ho fantasticato una Chiesa con un Papa portavoce e non Monarca. Una Chiesa fatta dalla base e non dall’alto, giacché, parola del signorGesù, lo spiritoSanto scende su ognuno di noi e non su uno solo. Sa, per me, Dio è Giustizia, Gesù è Amore e lo Spirito Santo significa Ricerca e Abbandono. Ho immaginato una Chiesa democratica gestita da un collegio di gente da ogni dove venuta a portare le più varie opinioni sulla fede, per insieme confrontarle. Una vera casa, in sostanza, dove tutte le idee hanno cittadinanza purché coerenti col Vangelo e 92 l’esempio di Cristo. Perché penso che Dio ci abbia fattiCosì: figli suoi creati a sua immagine e somiglianza perciò il modello è in noi e l’altro, poiché anch’esso figlio di Dio, non solo merita il massimo rispetto ma m’è addirittura indispensabile. In oltre ho sognato una Chiesa con un clero che sia libero di ammogliarsi come lo erano lì santiApostoli… perché anche il pensiero delle donne dovrebbe abitare la nostra amata Chiesa: insomma, ho sognato una bella fumata bianca che rende grazie alle umane opinioni sul signorDio, amen e vamolà. - Su Nettuno, è lì che giace l’Homonessuno, Eminenza. - Con questo cosa vuol dire, che il Paradiso non esiste? - Macché: al contrario Eminenza perché Dio non si dimentica di chi vive per il bene altrui, solo gli uomini lo fanno. Ma finché c’è qualcuno che ti pensa, si resta nell’Aldiquà: l’importante è che qualcuno ti porti memoria. Fatto sta che dopo morto e seppellito, un bel dì di Settembre, mi ritrovai alla stazione di Torino. Va pur là che era strana quella stazione li: chiudeva a mezzanotte. Per i vivi, voglio dire. Perché subito dopo entravano tutti i caduti in dimenticanza di quel dì: quelli che non avevano nessuno che versasse una lacrima per la loro dipartita. Alcuni, freschi freschi, parevan vestiti di tutto punto come si conviene a un gran galà, belli fuori ma soli dentro, così come li avevano frettolosamente infilati nella cassa per sopir ogni ricordo. Mentre altri si presentavano gnudi o di cenci vestiti perché, per le più varie ragioni, non avevano nessuno ma proprio nessuno che pensasse a loro nel nostro bell’Aldiquà. Era una gran babele di lingue: i vari dialetti si mescolavano per non dire di un gruppo di signorotti fiorentini che tra loro conversavano con parlar forbito… - Il vamolà tenetevelo per voi, e non parlate con nessuno di queste eresie, intesi? - Vedete, signorVescovo, in verità credo quia absurdum: io credo perché è impossibile, è irrealizzabile una vita impostata sul chiedere anziché sul dare. L’Uomo & Dio soli abitano la nostra anima, e devono andar d’accordo per giungere alla paceEterna. Come diceva Sallustio: con la concordia le piccole cose crescono, con la discordia le grandi vanno in rovina… tuttavia, come vuole il Magistero, obbedisco. Obbedisco, anche se m’è assai difficile. Sapete, invero si trattava d’un sogno complicato, me ne rendo conto, ma non era finito li: figuratevi che ho fantasticato d’esser morto e dimenticato da tutti. Come sono i diseredati che camminano per le nostre vie di cenci vestiti. Quando nessuno ci ha più in memoria, Eminenza. Immaginatevi che i morti dimenticati se ne andavano tutti quanti a bordo di un lungo treno… - Oh suvvia, te tu t’ha visto quant’è lungo, sto treno? - Se nella cassa c’avessero almeno messo qualche bottiglia di buonBrunello per confortar lo viaggio… - E dove portava sto beato treno dei dimenticati? Dove portava…. L’ha interrotto bruscamente loVescovo. - Sta tranquillo: in qualunque posto ci porti esisterà lo Spiritofelice loSpirito diVino… 93 Comunque sto treno viaggiava tutte le notti e scavalcava valichi e deserti per caricare tutti quelli nei tempi abbandonati. D’ogni ordine e grado. Tutti…… compresi. Allora non c’era nulla da fare contro sto maledetto morbo. L’unica cosa che a lui pareva saggia - e secondo me lo era per davvero - era di mandare i malfermi a raccogliere petali di rose all’alba per poi ricavarne un decotto… ah, quanta cura palliativa, quanto mantello per loSpirito c’era in quei sapori rugiadosi del mattino. Quanta volontà di veder il sorgere del sole almeno un’altra volta ancora. Invece ci sforziamo sempre di ottenere quel che è vietato, e desideriamo quel che c’è negato, questo è il male dell’uomo, insisteva. Nel dolore del saper di ciò, il dottorNostramus scrutava il futuro, perché il sapere può farti preVedere. Eppure, da umano qual era, sbagliò nel voler fissare una data: il duemila è passato indenne per fortuna. Come lei ben sa. Mille e non più mille, non va preso alla lettera, esso, infatti, insegna che agli uomini è dato tanto ma non tutto: e nessuno sa quando il tempo spegnerà anche il mondo. Occhio però: se l’Homosapiens non si da una regolata, non c’aspetta un gran futuro. Quest’è certo. Perciò, l’arte del prevedere è un esercizio impegnativo ma imprescindibile vera e propria necessitA’ Fisiologica da esercitarsi nella ferma consapevolezza che l’uomo è tutt’altro che onnipotente e soprattutto non è autosufficiente. Ad esempio, io quando posso utilizzo il latino perché lo ritengo importante, ma mi curo di tradurlo poiché non tutti lo comprendono. E mi chiedo a che fine il Pontefice abbia promulgato la messa in latino, lasciando i più a peregrinare nel buio. Questo a mio avviso è un arbitrario uso del potere nella nostra benedettaChiesa. - Ma padreFilippo alcuni non saranno mai dimenticati: dal signorGesù in giù. - Esatto, ma il giudizio umano è diverso dal senno divino. Su questa terra s’è ricordati per il tanto bene così come il signorGhandi, o per il tanto male vedi il signorHitler. E questi, come modelli, resteranno Qui fino alla fine dei tempi: sarà poi il signorDio a scegliere ilGiusto. Sta, di fatto, però, che una moltitudine di persone son dimenticate persin da vive, costrette a peregrinar nella miseria e di loro non si porterà memoria alcuna. - E’ davvero un sogno complicato. Vi credo quando dite che vi ha fatto camminare nel letto. Avete ragione: figuratevi Eminenza che proprio quel dì, a Parigi, perché quel treno girava l’intero mondo, salì persino il dottorNostradamus. Era spaesato come e più degli altri. E continuava a ripetere gutta cava lapidem, gutta cava lapidem… la goccia scava la pietra. Poveretto, erano in pochi a capirlo. Si sedette al mio fianco spiegandomi nel suo stupendo latino che da quando l'ultima delle sue profezie, quella che nel duemila sarebbe finito il mondo, non s’è verificata, nessuno lo nominava più. E anche a lui non restava che lasciar sta terra dell’Aldiquà. Pensi Eccellenza che era un fior di medico che curava persino lì Reali di Francia, in oltre soffrì molto perché la peste lo vinse portandogli via l’intera famiglia, figli - Ora m’è chiaro e certo più piacevole da comprendere: la vostra è una lotta contro il personalismo fine a se stesso: l’uomo è dimenticato ben presto se pensa d’esser un superIo. 94 - Precisamente. È proprio così, Eminenza: l’esistenza ha senso solo se condivisa altrimenti non si conquista la pace perpetua. E i primi a esser dimenticati sono senza dubbio alcuno gli egoisti: loro si che muoiono per sempre. Perché non hanno la grazia dell’a-more eterno, cioè l’amore che scavalca la fine del tempo: quello che, alla lettera, non muore. Vede noi uomini sperimentiamo l’amore a più riprese, talvolta ahimè è anch’esso soggetto all’usura del tempo e si affievolisce fino a sparir nel nulla: questo può essere l’amore umano dell’Aldiquà. Cioè perituro. Mentre l’amore infinito si può sperimentare solo nella grazia con Dio capace di traghettarti nell’Aldilà, a me pare. A futura Memoria - Cento di questi giorni, non uno di più, proclamò fraCasso a conclusione del battesimo di Giacomino. Era speciale il frate diPopoli: aveva un naso che sembrava un cofano di una Volvo 747, e occhi all’insù uguali a fanali tipo una Tipo, incastrati frammezzo a un bel paio di orecchie a sventola che udivano anche il più flebile dei bisogni, in breve, era un modello unico. Come pochi altri a par suo, sapeva giungere al nocciolo della questione, lo sviscerava e lo contemplava, lo girava e lo rigirava, poi, certo d’aver fatto il possibile, lo tirava fuori. Possedeva, in oltre, un forte senso dell’importanza dell’Aldiquà e proprio non sopportava coloro che prendevano sotto gamba l’esistenza. Era, infatti, persuaso che la vita fosse un teatro entro il quale ognuno potea recitar la parte sua. Ben inteso, non a prescindere da ciò che la natura gli riservasse poiché essa e solo essa stabiliva tempi e modi, ma per fortuna non determinava l’intero corso dell’esistenza che ognuno, anzi, potrebbe in un certo qual modo far proprio portando a compimento il destino. Mettendo a frutto i talenti che ciascuno, ma proprio ciascuno, possiede. D’accordo taluno diceva che il futuro non era più quello di una volta: ma come si fa a viver bene senza sperare in un domani migliore? 95 Il signorGiusto e la signoraRosetta, provetti genitori di Giacomo, conoscevano le di lui stranezze e sorrisero. APopoli fraCasso era rispettato come un mito, e tutti sapevano che il senso del limite era il suo vero chiodo fisso… - Non ci sarà nessuna espansione se non avremo un posto dove riposar per sempre, cari i miei signori… non c’è nessuna evoluzione se non si accetta la morte come parte imprescindibile della vita, suggellò baraCCa. - Tanti auguri di poter morire, HomosapiensSapiens. E con tutto il cuore. Cent’anni non vi bastano più?, va bene, d’accordo, prendetene centocinquanta, ma non uno di più, dacché dovete lasciar spazio agl’altri, ecco perché. Poi, approfittando del fatto che in Chiesa c’erano tutti, posto che Lì battesimi e funerali erano le uniche feste di precetto, diede il via all’assemblea: - Dobbiamo rifare il campoSanto, e cominciare nuovamente… RiCoMiNcIaRe, ha sentenziato sillabando a modo suo. - Vi rendete conto che ci state proponendo d’abitare in un luogo dove giungendo, si scorge sulla destra l’intero paese, e sulla sinistra unCimitero, solo in mezzo a un prato? - perBacco, è saltato su a quel punto Agostino evocando fin da principio il suo Dio di riferimento: - Sarà anche balzana ma a me sembra una buona idea. Così da quella parte della strada potremo scrivere tutti e a destra Popoli perché tutti i popoli muoiono. - D’accordo, ma non possiamo ripartire da un errore: se lo costruiremo ancora nella sacca grande, alla fine subirà la medesima sorte, gli fa Sibemolle dall’alto del suo scranno d’organista. - Tu… eeeeeee tu…e tuttiPo. i Po… e tuuttiii Po…i.Po. - Giusto, fate un’estrema sintesi, suggerì in quel mentre il signorMaròlà pescando nel mare della conoscenza: un amico sa cosa c’è da fare per aiutare un compagno. L’impeto espresso con quella focosa partenza, di per sé, gli aveva fin da subito rivelato che dovea esser questione proveniente dal di dentro. E, di solito, le cose che da li vengono son sincere… mica roba da poco, amava aggiungere a sigillo solo dopo una misurata pausa, il signorMaròlà. Giusto s’intartagliava di brutto, e sembrava un vero e proprio mitragliatore quando partiva. Pervia di ciò, Maròlà gli propose un’alternativa: cercare l’estrema sintesi, e scriverla. Da quella volta li, siccome era davvero una saggia idea ceduta agratis, Giusto aveva un’autentica ammirazione, direi quasi incanto, per il vecchioMaròlà. Fatto sta che le estreme sintesi del signorGiusto, - Ma non c’è altro spazio, ha prontamente obbiettato DindonDan stavolta dando voce a sé e non al suo trombone. Lui parlava pochissimo e musicava un bel po’: e poi, da buon campanaro, suonava sempre l’altra campana perciò si spense fin da subito l’acceso borboglio. - Questo non è vero, abbiamo tutto il campo a nord, quello oltre la strada… - Ehi, Kalashnikow, cosa state dicendo: quella è l’area nella quale abbiamo previsto per l’espansione del paese. 96 il marmista fragile diPopoli, Qui erano venerate alla pari d’una reliquia. Lui possedeva una vera e propria maestria nel manovrare vetri e marmi che, sosteneva, ingannano nelle apparenze, a suo dire, infatti, sono opposti in fragilità: poiché oggi fabbricano dei vetri che resistono agli spari mentre i marmi, essendo naturali, con botte secche vanno in frantumi. Anche se, a onor del vero, fin da ragazzino avrebbe ambito divenir avvocato. Tuttavia, ben presto capì che, a causa della sua difficoltà nell’articolar parole, nel tempo impiegato a declamare l’arringa difensiva, il suo assistito potrebbe tranquillamente aver terminato di scontar la pena. Perciò divenne abile nell’esercizio della sintesi, dono di non poco conto. Invero le estreme sintesi non gli riuscivan facilmente, anzi talvolta non gli uscivano per niente, sia lodato GesùCristo. E, di solito, quando Giusto s’alzava da un convivio in silenzio e se ne andava, state pur tranquilli che quei diPopoli lo seguivano: certi che abbisognava rifletter sull’argomento. In ricompensa però, talvolta eran un vero e proprio spasso, poiché spesso a suggello non risparmiava una sana imprecazione, memore del fatto che solo ed esclusivamente quelle, forse proprio perché gli scappavano, riusciva a sputarle tutte d’un fiato. Sicché, non di rado i suoi proclami finivano in gloria, o quasi. La morte è la vera livella: la prima Chiesa, e ancor di più è il tempo che abbiamo dedicato alle signore litigate sul monumento, e questo è bene, non lo metto in dubbio. Eppure con la morte non siam noi a dettare il tempo: quella quando scappa scappa… non possiamo farci trovare senza ilCimitero, visto che nessuno di noi vuol finire all’estero per sempre, ha allegato a quel punto Pstrufazio. Anzi, forse la soluzione migliore, la più propizia, sarebbe quella di far tutto là, nel prato a nord: il nuovo Cimitero e la nuova Chiesa. - Piano, piano… andiamoci molto piano con i simboli religiosi vicino al luogo del per sempre: per l’umanità, l’unanimità è pace surrettizia. Non siam mica tutti Cristiani Qui. E quando gli altri non la pensano come te, non c’è che il confronto, Homoesperto, il contraddittorio, ha scaricato lì bello bello Convinto pezzo forte dellaFamiglia d’Agostino. I Cristiani come me vadano nella loro Chiesa, i laici scelgano ciò che più li aggrada e sarà un bel giorno quando potremo costruire una casa anche per le altre confessioni, davvero un bel dì. Ecco perché abbiamo fatto bene a scegliere una nuvoletta a memoria dei nostri defunti: simbolo delloSpirito o coscienza che dir si voglia che mette tutti alla pari. E’ difficile da credere, lo so, ma aPopoli proprio non potevano farne a meno della necessitA’ Fisiologica di litigare. Per la qual cosa, le decisioni importanti si maturavano solo dopo avervi ragionato su, e a me non par cosa di poco conto. Per esempio, prendete il battesimo di Giacomino: lui si decise a trent’anni. Ci strolicò sopra il più possibile su cos’è la vita e quale senso abbia l’Aldiquà, poi stabilì che a suo parere aveva necessitA’ Fisiologica degli uomini e Qui si potrà vedere…. evocante & AdamoZufola, ha vergato sul suo foglietto dei riassunti che sempre si porta appresso, e in un batter d’occhio passò di mano in mano. - Dunque, io vorrei solo farvi presente un piccolo problemino: sono anni e anni, ormai, che parliamo di rifare la 97 ragione il signorGesù: - se sbaglia lui, sbaglia tutta la melonaia, ecco. Ah già, Ecco era il soprannome appioppato nel tempo a Giacomino: ecco era il suo amen. Non pronunziava frase ove non vi fosse quell’inutile ma inesorabile sentenza, il signorEcco. Beh, insomma, siccome i genitori di Ecco, Giusto & Rosetta, l’avevano cresciuto nel peccato di una famiglia senza grazia, quali sono quelle senza il decreto del matrimonio di un sacerdote, allora contemporaneamente al battesimo si dovettero sposare. Perché si dice che a Dio piacciano anche i figli irregolari, ma a Santa Romana Chiesa molto meno. Il fatto è che per sposarsi ci volevano un sacco d’altri sacramenti: onde per cui d’un sol colpo fraCasso dovette somministrarne sette. Il tutto senza poterne tirare neanche uno, anche se, traparentesi, si dice che qualcuno della suaFamiglia l’avrebbe fatto più che volentieri. Comunque, a Giusto mancava dalla prima comunione in su, cioè: la sua prima comunione si mostrò anche l’ultima. Mentre, per fortuna - e solo per fortuna giacché anche i suoi genitori come quelli di Giusto erano di quelli rossi che più rossi non si poteva - Rosetta era riuscita ad arrivare fino alla cresima. Al solito, fraCasso li tentò in tutti i modi: aveva coinvolto anche i genitori. Al contrario di ciò che avviene di solito, e così come accade nel Vangelo in modo antitetico: avere sperimentato il dare anziché saper chiedere. Fatto sta che, finite le cerimonie e impartite le benedizioni, puntuali quanto il levar del sole si ripresentarono i diversi pareri. E fraCasso ci mise la lunghezza d’un attimo per capirlo: - La morte è padrona del tempo, la vita del senso: è per questo che una vita senza senso non sarà mai vita eterna… Agostino ha ragione… troviamo presto un luogo ove riposar per sempre, dacché grande è lo sforzo per vivere nell’Aldiquà. - In fondo non è poi così male un paese che ha come panorama il prato degliSpiriti, decretò a quel punto Tùtà Testa, giacché nessun più della sua perpetua sapea legger nelle parole di fraCasso Ed il coro degli astanti riempì a suo modo un SI grande come una casa. Con applausi e risate che ben presto mutarono in danze che spaziavano dal liscio al reggae, fino a terminar nel gregoriano delle setteSorelle così ben eseguito da potersi accostare solo a un calice di Sciachetrac colmo dei suoi profumi di fiori scelti, e densi sapori alla mandorla. Che avean persino inebriato Bouchè, così soprannominato per la sua scarsa propensione all’acqua: sia da bersi che per lavarsi. Il tutto guardandosi bene dall’uscir di Chiesa, perché il frate diPopoli diceva che anche al signorDio piaceva ballare e far baldorie. Sicché il battesimo di Ecco divenne la festa di una scelta, com’era giusto che fosse. La sua determinazione di sposare un’idea capace di trascinare anche mamma e papà: evento raro ma possibile, perDiana. Così convertito alla felice definizione di fraCasso che voleva Dio in principal modo - Un buon pastore non fa l’avvocato del Diavolo ma lo impersona, amava ripetere dopo aver imprecato contro l’ipocrisia di certi suoi colleghi che pur di far numero annoveravano masse di convertiti senza coscienza o, peggio ancora, senza consapevolezza perché in fasce. E fu davvero felice quel dì, di prenderne atto… davvero contento, perDiana. Perché la scelta di Dio fatta da un figlio 98 giusto, Pasquino Barigazzi, marmista fragile di quel diPopoli, si confermò a maggior ragione il signorGiusto, non più solo per la sua bravura nel tagliare a giusta misura vetri e marmi. E fu festa degliSpiriti per aver confrontate e sposate le idee fino a giungere al fior fiore d’una preferenza d’abitare in un luogo ove tutti condividevano un’unica prospettiva: l’eguaglianza dettata dalla livella. Detto e fatto: Il giorno appresso alla festa principiò lo sbancamento. Il campo a nord divenne il nuovo prato degliSpiriti come aveva suggerito Tùtà Testa, e fin da subito vi apposero il nuovo cartello con su scritto tuttiPopoli, che svettava sull’unica via d’accesso a quello strano paese, ove da un lato si viveva e dall’altro si riposava per sempre. I corteGodini castigarono quella scelta come una bizzarria. Ma proprio per questo, giacché bizzarria, divenne parte fondante di tuttiPopoli. Sennonché, come il solito, laBirichina ispirata diede sfogo alle sue minime sulle onde corte… I Travalicati E’ stravagante a dirsi ma Qui procedeva tutto così, quei sei personaggi: Giusto, baraCCa, Esatto, Maròlà, Kalashnikow e loMaestro governavano il paese con la collaborazione di tutti. Ogni mese, infatti, facevano le plenarie: grandi e piccini si radunavano sempre li, attorno alla grande quercia di Partigiano-Reggiano, considerata monumento a mamma natura, e parlavano, parlavano, parlavano di tutto quel che c’era da pronunciare. D’estate era molto bello: PartigianoReggiano portava un sacco di rotoballe e ognuno ci saltava su, così, mentre il buio si faceva sempre più profondo, anche i discorsi andavano aldilà delle balle, favoriti da quelle soffici tribune. Si udivano le voci e, senza scorgere un non nulla, si distinguevano l’un l’altro dai loro fiati e dalle loro intonazioni. Sì, le plenarie sulle rotoballe erano davvero magiche: restituivano il verbo anche ai più diseredati. E anche Elio, sia pure a modo suo, partecipava perché l’era al più bel mès mat dal mond, per fortuna di quei di tittiPopoli. Ogni qualvolta gl’era di gradimento saltava su nel buio e intonava Romagna mia, altrimenti Via con me del suo idolo Paolo Conte, allora ci si accompagnavano Sibemolle e la Tacabanda, i cinque ottoni di Qui che suonavano alla loro ombra, mossa da una fioca candela e intonavano musiche alla Bregovick, e melodie zigane. Cui di solito si aggiungeva Esatto anch’esso provetto musicista che a tuttiPopoli portava il suo contrabbasso in ogni luogo. Anche questa era una bizzarra eccentricità di quei di - I passeri si appaiano in cielo, i fessi s’appaiano in terra… - Tra lo scemo e il seme esiste la stessa differenza che c’è tre il germe e il genio… - Nella vita puoi combattere ad armi pari, ma finire dispari… - A causa del buco nell’ozono tra il polo sud e il polo nord si rischia un enorme polo lesso… 99 Qui: a Esatto chiesero di far musica da quando non ci vedeva più. Lui, infatti, fino a diciotto anni ci vedeva, poi uno stramaledetto glaucoma gli spense la luce. E lui prese a suonare il contrabbasso gentilmente offertogli dal consorzio umano del solitoBar, come chiamano il governo di tuttiPopoli composto di quei sei famosi personaggi. E strimpellava, suonava ciò che gli occhi gli ricordavano, il bello dei colori, le sfumature castane dei capelli della sua compagna… musicava la vita, Esatto. E in questo modo la abitava. Tutti i santi giorni, senza che nessuno gli dicesse su, poiché era un suo sacrosanto diritto che rallegrava l’intera comunità. E i prati diventavan verdi smeraldo e i cieli si facevano d’un azzurro che ‘l pennello non saprebbe imitare, mentre le nuvole scorrazzavano, al suono suo. La quercia si popolava sopra la sua testa di compartecipi minuscoli spettatori: passerotti e cinciallegre che cinguettavano al vibrar delle corde accompagnandolo in fantastiche armonie. L’altro giorno venne persino coda bianca, la lepre secolare di tuttiPopoli, ad ascoltarlo. Coda bianca faceva impazzire tutti i cacciatori e si diceva che l’avesse fatta franca persino con i bresciani che ogni tanto arrivavano fin Qui, con le loro schioppettate. Nondimeno lei era più sgaggia di tutti quanti, e con quattro salti guadagnava sempre un ricovero sicuro. E persino nelle spesse e impenetrabili nebbie che Li nascevano, s’udivano le melodie d’Esatto che diventavano un celestiale quanto fermo punto di riferimento. scarico vita, morte e miracoli dei defunti. E’ nata così la tradizionale festa dei travalicati: quando uno si ritrovava ad avere più affetti al campoSanto che altrove, gli si faceva una gran festa a tuttiPopoli. Perché da quel momento in poi doveva convivere con la difficile arte del ricordo: stagione complicata d’ogni vita, perché propensa alla malinconia. Tutti allora gli si stringevano attorno e confezionavano un’enorme torta d’augurio come si farebbe per il miglior compleanno, solo che anziché spegnerle si accendevano candeline, una per ogni affetto travalicato, una per ogni amore che aveva varcato le soglie dell’esistenza terrena per approdare all’eterno riposo. Così per lì più anziani la memoria si faceva meno pesante: perché condivisa, perBacco. Dal registro della livella si evinceva che il nuovo prato degliSpiriti fu malauguratamente inaugurato da… SALVATORE PINGANI Detto Trincani ANNI 48 Di spirito diVino ti sei nutrito e amore hai restituito D’inverno, invece, le assemblee le facevano al solitoBar. Tuttavia le più riservate, quelle in cui dovevano palare dei trapassati le facevano direttamente nella baracca della livella capeggiati dal custode del per sempre, Kalashnikow. Facevano i funerali con giudizio: scrivendo sul registro di carico e COGITO ERGO SUM 100 La morte, si sa, non ha età. E Trincani non ha avuto nessuna avvisaglia, nemmeno il tempo di scriver di suo pugno il lascito all’Aldiquà. Allora ci pensò Lapislazzuli, il fabbro poeta di tuttiPopoli a stilar in due parole quel che tutti avevano in animo. Il fatto è che un infarto secco come un chiodo aveva messo temine alla sua esistenza. E dire che si meritava ben altro Trincani, dacché per lui era d’obbligo un’espressione, un gesto d’affetto anche per i più diseredati. In particolar modo da quando aveva preso dimestichezza col bere e ne aveva fatta una virtù, il tempo suo lo dedicava al prossimo. Ripuliva le strade di tuttiPopoli e nello stesso tempo le coscienze dei suoi abitanti, fermandosi anche per ore e ore a confortare chi ne aveva la necessità. Sicché per quei di Qui fu un lutto tremendo. Per tre giorni s’incontravano per strada, o al solitoBar incapaci di proferir parola. Il dolore troppo grande per esser digerito, rese tutti, sagome di un teatro spettrale ove non esisteva dialogo: ognuno masticava la sofferenza tra sé e sé. Ci pensò donLeonardo Tartaglia a riappacificare tutti col buonDio, ritenuto causa d’un affronto troppo grande. E lo fece con quest’omelia: Non è nulla di tutto ciò, è la Terra, il vero Purgatorio: lì s’ha da compiere il supremo esame. E’ fattaCosì perché lì c’è il bene e il male, allora è necessario fare quotidianamente i conti col da farsi per raggiungere almeno il minor male possibile. E solo a volte prevale il bene talvolta anche in un’occasione sola. Ebbene, quand’è così, quando il bene t’è sgorgato dal cuore come da un’alta fonte d’acqua pura, allora non importa più se nella vita sei stato un malandrino perché Dio ti spalanca le porte del Paradiso. Dato il fatto che sia pur per poco, hai abitato il dono disinteressato. In questi casi, quando cioè in Paradiso arrivano gli inesperti, c’è bisogno degli onorati membri del sindacato dei buoni di tutti i tempi: unica Istituzione presente in questo stupendo luogo. Composta da coloro che in vita han passato tremende tribolazioni col cuore aperto, pronto a donare. Normalmente le difficoltà inaridiscono, rendono gli uomini più duri. Tuttavia ci sono casi assai speciali, dove avviene il contrario: il tanto star male ti fa esser partecipe del male altrui. Coloro che han per dono d’esser in questa grazia di Dio sono i cosiddetti buoni di tutti i tempi, che quando giungono in Paradiso son festeggiati quanto non mai. Per tre giorni almeno si fa baracca e giù che si mangia, si beve e si ride a più non posso. Finito ciò, l’amara pillola: questi signori sono gli unici a dover lavorare anche in Paradiso. Devono affiancare i nuovi venuti, in special modo chi ha si fatto del bene ma non si sono fatti mancar nulla anche delle carnali tentazioni divenendo dei veri e propri birichini. Ebbene costoro si trovano spaesati in un luogo dove il male non esiste, il Paradiso per l’appunto, dove vige una sola norma amarsi nella libertà. Dio ci tiene molto alla libertà, per questo motivo c’ha cacciato su questa terra in prova, per veder come ci destreggiavamo con essa e se Oggi dalle 8.00 alle 20.00 Sciopero generale dei Buoni di tutti i tempi Il Paradiso ognuno se lo immagina a modo suo. C’è chi pensa che sia una devozione continua, una sorta di ringraziamento perpetuo al buonDio che ti ha premiato. Snocciolando rosari e messe a non finire; confessando anche il più banale dei torti commessi, e sentendoti in colpa se non hai dato una sigaretta a chi ne aveva di bisogno. 101 sapevamo metterla a frutto per il raggiungimento delle cose propositive e positive. Sì dal fatto perciò, che in Paradiso si vive in anarchia: è un posto di villeggiatura, insomma. Non c’è bisogno di altri che decidano per te, che t’istruiscano e ti proibiscano di far questo e quello altrimenti l’eternità sarebbe una dannazione. Semplicemente, in un breve lasso di tempo, s’impara a vivere liberi e amoreggianti. Per questa ragione il sindacato dei buoni dei buoni di tutti i tempi riveste un ruolo assai speciale. Perché contrariamente a quanto si può pensare libertà e amore non sono così semplici d’abitare allora c’è bisogno di qualcuno che t’aiuti a imparare. Ad esempio, se una ragazza che tanto ti piace non ti si concede non hai altra via che corteggiarla con amore, infinito amore. E non è detto che tanto basti, lei, infatti, sarà libera di accogliere le tue avance o di rifiutarle. E’ fattaCosì l’eternità. Ciò che di bello c’è, è che c’è uno squinterno di gente che parlan tutti allo stesso modo e le occasioni non mancano per certo. Le giornate scorrono in modo semplice ma con una rapidità tale che lascia sconcertati, non c’è il minimo accenno a dover onorare Dio per la sua magnificenza, anzi, lui si vede ben poco e c’è solo una gran festa per il suo compleanno che si festeggia ogni cent’anni, se no pensate voi quanti anni avrebbe Dio. E si rallegra l’anniversario più del solito - ogni occasione è buona per rivalersi delle tribolazioni vissute nell’Aldiquà per una settimana intera si danza e si balla e i più fortunati fanno l’amore. Sono cose che si fanno normalmente in Paradiso, ma in quei giorni hanno un’enfasi particolare. In Paradiso, infatti, non si lavora se non per libera scelta, ognuno può fare quel che crede e in molti si dilettano a passar giornate a far trucioli costruendo stupendi mobili mentre altri ancora falciano le stupende pianure e colline che qui crescono o si prendon cura dei vigneti. Qui ha una grande importanza, lo spirito diVino che anche sulla terra t’inebria e a tratti ti fa sentir prossimo alla pace eterna. in questo luogo l’hai già allora non bevi più per alterar il tuo stato d’animo, ma per accompagnarlo in una sorta di limbo dove le misure e i registri sono più consoni allo star bene, ed è fantastico: non sei mai ubriaco se non d’amore. E poi, non essendoci il male, devi imparare a dire, adesso basta: per il tuo bene. Capita così anche con le donne a dispetto di quanto si creda: in Paradiso si fa l’amore spesso e volentieri. E anche chi ha scelto la castità terrena per devozione a Dio, qua, si accorge d’aver si fatto la scelta che gli pareva giusta, ma che non era dettata da Dio. Dio ama l’amore in tutte le sue espressioni: altrimenti non avrebbe scelto Apostoli ammogliati. Ed è il più felice di tutti quando scopre che nascono intese tra i suoi ospiti, quando si mescolano cinesi con danesi, italiani con mussulmani, quando lo strar bene in libertà vince ogni tabù. Ebbene ieri è accaduto un fatto increscioso. L’unico sindacato del Paradiso non ha potuto far altro che indire uno sciopero. Loro, infatti, appartengono alla categoria dei richiamati per necessità. Si ha un modo di dire nell’Aldiquà: se ne vanno sempre i migliori. E’ enfatico, in realtà se ne vanno tutti. Tuttavia color che abitano un cuore largo sono a rischio dacché siccome in Paradiso ci sono dei giorni di super lavoro dove arrivano quantità industriali d’individui e tra questi vi sono molti spaesati: coloro cioè che non si sarebbero mai aspettati un simile premio, hanno la necessità assoluta di vedersi affiancati da un buono di tutti i tempi. Che per un certo periodo, t’insegnerà che non è poi così semplice vivere abitando il bene in assoluta libertà. Puoi essere disorientato. Taluni si tuffano a capofitto in tutto quel che nella vita gl’è 102 stato privato, per poi scoprire che solo se si ha il senso della misura, è vero bene. Il troppo stroppia anche in Paradiso. Può capitare ad esempio che qualcuno preso dalla foga si sbronzi, faccia indigestione, o canti anche per tre giorni di seguito la sua canzone preferita. Qualcuno fa l’amore a più non posso e se non riesce a trovare la compagna, si masturba dietro gli alberi o dietro le siepi perché, insomma, lui ha voglia di star bene. Ebbene è proprio a costoro che i membri del sindacato devono insegnare che non è dal tutto e subito che si ha il vero godimento. passaporto per l’Aldilà. Gli sarebbe bastato esser soltanto tribolato che Dio l’avrebbe comunque premiato, ma a lui non bastava. Aveva un cuore largo di quelli che non si stancan mai di chiederti: - Posso fare qualcosa per voi? Insomma è toccato a lui. E il sindacato s’è ribellato perché questo sembrava davvero troppo. Allora hanno stabilito il primo sciopero generale della storia del Paradiso perché Salvatore proprio non se lo meritava: le sue tribolazioni su questa terra erano state infinite. E tanto bastava e avanzava. Siccome però Dio fa tutto con una logica, anche se a noi spesso sconosciuta e incomprensibile, ha detto che ha scelto lui perché il suo esempio può fare qualcosa per tanti, soprattutto per color che restano a peregrinare in questo faticoso Aldiquà. Tutto qui. Allora lo sciopero è rientrato e s’è fatto una gran festa a Trincani, gl’han subito riempito un calice di Prosecco per il ben venuto e lui li ha mandati tutti a quel paese, Santi compresi. - Non c’è fretta, vedrete che alla fine l’amore arriverà di grazia vestito, e con lei passerete giorni e giorni stupendi. E’ bello far l’amore in Paradiso perché si sperimenta la vicinanza con Dio. Può, però tal volta capitare, che presi dalla foga non si adottino le dovute precauzioni, che qui sono tutt’altro che vietate ma anzi ben viste, e l’amata resti in cinta. Allora il nascituro vien in gran fretta spedito sulla terra e diventa un Esposito se capita a Napoli o un figlio di buona donna se capita altrove. E Madonna mia, quanti ce ne sono. Questi sono i più tribolati nell’esistenza e i più amati da Dio che li sente a maggior ragione figli suoi. Comunque sia, quando capitano queste giornate di particolar ressa e si ha un gran bisogno di buoni di tutti i tempi per accompagnar lì nuovi arrivati, si ricorre a mali estremi: Dio fa l’appello e ne strappa qualcuno ai suoi cari per necessità suprema. Qui lo sanno tutti quel fatto lì e, per quanto fastidioso, si accoglie perché si comprende che è necessario per il buon funzionamento del Paradiso. Ciò nondimeno ieri è toccato a Trincani: Trincani era un buono tribolato. Uno cioè che aveva il doppio - Sono libero o no? Ha chiesto. - Certo. - Allora lasciate che io beva al momento opportuno quando per me, come per voi, sarà solo bene, adesso devo lavorare. CosìSia… 103 Poi venne la volta di…. L’aveva scelta proprio lui quella frase lì d’Orazio non lodare nessun uomo prima della morte, l’arte è lunga, la vita è breve. Che poi, burlone com’era lasciò scritto che per il suo funerale voleva una sola ghirlanda fatta di cipollotti: così piangerete per qualcosa di buono e alla fine ve li mangerete in pinzimonio, facendovi l’alito spiritoso che vi ricorderà di me. E al termine un TFR a tutti: un trattamento di fine riposo e via tutti a far dell’arte la summa vitae, perché per voi l’Aldiquà continua, altro che balle. L’insopportabile dolore della morte d’un amico aveva destato l’interaFamiglia di Agostino barCCa: che anche stanotte aveva camminato nel letto, come fece a suo tempo fraCasso, con il lungo e insopportabile sogno di non sopravvivere alla carnale fine attraverso la memoria, ma Maròlà resterà Qui, incastrato nel ricordo degli amici suoi. GELSOMINA STAMPANELLI Detta Zitta ANNI 93 Ho dato senso allaVita perciò sono mortaFelice CARPE DIEM Fino a che giunse anche l’ora sua… UGO FERIOLI Detto Maròlà ANNI 81 ANTE MORTEM NE LAUDAS HOMINEM UANTUM ARS LONGA VITA BREVIS 104 all’esercito e il terzo all’alfabetizzazione. Tutti gli altri all’agricoltura. E noi di tuttiPopoli siamo un misto di contadini e pensatori come voi. Per quello che concerne la Chiesa, non saprei proprio dirvi se da quel di tuttiPopoli avranno un fedele discepolo, questo proprio non lo so. D’altra parte la vecchia guardia non manca nevvero? L’esercito penso invece che andrà liscio, giacché i nostri giovani a tutto pensano fuorché sparare e farsi sparare, mentre l’alfabetizzazione principierà da loMaestro e proseguirà a più non posso. Questa sì. Anche se faranno i contadini, lo saranno col piede largo e il cervello affinato dalla conoscenza, e questo anche grazie a voi e alla vostra barberia, vera e propria scuola di pensiero. Guardando all’Aldilà Un bel giorno baraCCa si portò trafelato da Toro seduto, pareva che avesse in animo la verità, tant’era scosso e arrossato. S’era perfino dimenticato di portar con sé la solita bottiglia. E poi via che gli scappò una di quelle sue immancabili considerazioni sull’Aldiquà: - Toro seduto, io penso che il senso salverà il mondo: il bello lasciamolo agli Americani. Si da il caso che, a tuttiPopoli ci fosse una comunità di vita fondata nel millenovecentosettanta da donLeonardo detto Tartaglia perché, come Giusto, all’infuori di quando parlava del suo amato Altissimo, un po’ s’incespicava nel proferir parola. Sicché dalle labbra sue lo Spirito Santo scendeva come sgorgasse da un’acquasantiera, mentre tutte le altre parole invero assai poche, poiché per lui parlavano i fatti - eran vittime di un disco dalla sorte incantato. Per sua fortuna non ai livelli di Giusto, pur tuttavia gli slittava un po’ la frizione, se così si può dire. DonLeonardo era uno straordinario ministro di Dio, così extra-ordinario che il Vescovo di corteGodi nel duemilasette, dopo interminabili discussioni con gli abitati di tuttiPopoli ma ascoltando in modo particolare le pie donne e i ben pensanti corteGodini non poté far altro che scomunicarlo a Divinis, appigliandosi a un banale pretesto: e cioè che amasse una donna. Ci fu una vera e propria rivoluzione capeggiata da fraCasso e DindonDan, che di buon conto illustrarono al signorVescovo che non solo un sacco di - Il senso è un significato, ma anche una direzione di marcia. Non sono convinto vada lontano dal bello, piuttosto che il bello sia lontano dagli Americani, rispose lui. - Avete ragione, ho fatto un’estrema sintesi, scusatemi Toro seduto, ma a me scappano le estreme sintesi. Intendo dire che il bello di Dowstojevky come la felicità, che gli Americantanti hanno sancito quale diritto costituzionale, sono temporali. Io sono uno che crede nel signorGesù e so che il tempo ha fine, il senso no. - Sono d’accordo baraCCa, il senso è senza fine. La salvezza credo si trovi li. Beato voi che la abitate… - Grazie Toro seduto, e ricordatevi che un tempo nelle famiglie: un figlio maschio era ceduto alla Chiesa; uno 105 sacerdoti erano nelle medesime condizioni, ma che oltretutto Tartaglia era un vero esempio d’amore verso chiunque, altro che balle. Ma a nulla valsero le loro rimostranze: i fatti erano e restavano meno importanti delle chiacchiere per santaRomana Chiesa. Nella di lui comunità coltivavano un enorme pezzo di terra e soprattutto coltivano la solidarietà verso i più deboli, verso le pecorelle smarrite. Là, infatti, fossero essi tossicodipendenti oppure semplicemente amore-dipendenti, erano accolti come fratelli. Ebbene, dal giorno della scomunica Agostino chiese a donLeonardo di dir Messa comunque, e lui accettò. Agostino fino ad allora andava da fraCasso, suo amico fraterno, per le palle diceva lui, ma non era d’accordo con lui sulla definizione di Dio come giusto. Infatti, come sosteneva Kalashnikow bestemmiando a manetta: provate a seppellire un bambino morto per tumore al cervello, o un giovane morto all’improvviso per non si sa bene cosa, o un’anima che non ha trovato pace nell’Aldiquà dandosi la morte, che cambi idea immediatamente. Tant’è vero che baraCCa pensava che Dio fosse padre e madre, Gesù amore disinteressato e lo Spirito Santo, ricerca e abbandono: anche Dio era una bella famiglia, insomma. E pensava che Dio avesse sì un suo disegno infinito, ma che questo non fosse neppur possibile immaginarlo agli uomini. Fatto salvo quando si sperimentava l’amore disinteressato. Allora donLeonardo, che anch’esso riteneva che le cose stessero allo stesso modo, accettò l’invito di Agostino e continuò a celebrare la santa Messa, cui partecipavano moltissimi di quei di tuttiPopoli. Mentre altri continuano ad andare da fraCasso. Orbene, sia pur strano a dirsi, in un piccolo paesino c’erano due case di Dio. Questo fino a che fraCasso che lo chiamavano il matto. Il matto perché non portava il saio sostenendo giustamente che non era l’abito a fare il monaco e perché come sanFrancesco viveva di poco e vestiva di stracci. Il matto perché dormiva per terra su uno striminzito sacco a pelo e amava il silenzio. Il matto perché con gli altri divideva quel poco. Il matto perché quando confessava dava per penitenza ore e ore di autostop, convinto com’era che in tal modo, calpestando la strada, si pregasse veramente Dio. Un bel giorno ebbe una crisi mistica che lo portò ad avvicinarsi alle filosofie orientali che credono nella reincarnazione. Litigò di brutto con baraCCa: - Ma santoCielo cosa vi passa per la testa? - Devo esser sincero con voi Agostino, io non ne posso proprio più di questa Chiesa che predica la povertà coperta d’oro. Che sostiene di conoscere la Verità assoluta e, tanto per farvi un esempio manda i miei confratelli francescani a custodire il sacro sepolcro dove ogni tanto, anzi, ogni spesso direi, fanno a ramazzate con gli Ortodossi. Secondo me il Cattolicesimo ha ben poco a che spartire col Cristianesimo allora io medito. Medito e recito i mantra, vamolà. - Vamolà dove? Proprio voi che eravate il più bel seguace del figlio del vento come lo chiamava nel suo libro un vostro collega francescano che aveva capito tutto di sanFrancesco. Proprio voi lo abbandonate per rifugiarvi nell’oooooooooooooommmmmmmmmmmmmmm e pregate facendo rotolare dei rulli? Pensando giustamente che tutto sia in divenire, quest’è vero, lo conferma il tutto scorre del signorEraclito. Nondimeno che nulla, financo il pensiero e le 106 buone idee, possano esser acquisiti nel tempo almeno fino a quando, penso io, idee migliori le classifichino nel cestino delle pensate umane? Proprio voi pensate, insomma, che anche la più nobile delle facoltà umane qual è il pensiero non sia che una dimensione transitoria. Io, lo giuro, se tornassi a nascere farei sciopero ad oltranza, ciapa mo sù. viventi fino a quando il massimo dei massimi è non reincarnarsi più. - Giusto. E allora? - - Ma lo volete capire o no che il tempo non ha nessuna importanza? Infatti, tutto muta. Almeno i Buddisti sono degli autentici non violenti. Sono tolleranti, persino rispettosissimi degli animali essendo vegetariani. - Anche questa è proprio bella: sgozzano dei capretti per lavar col di loro sangue i peccati umani e si professano puri perché non sentono piangere l’insalata quando è estirpata, il grano o il farro quando sono mietuti. Vedete fraCasso gli esseri umani sono per natura onnivori ed io stimo profondamente coloro che scelgono di nutrirsi solo con vegetali, a patto che riconoscano che anche loro sono esseri viventi. Ripeto, se ci fosse dato d’udir il pianto delle piante, saremmo meno ideologici nelle scelte. - Suvvia, siate più rispettoso: guardate il Dalai Lama. L’hanno addirittura nominato premio Nobel per la Pace. - Hanno fatto benissimo, ma anche sanFrancesco era un non violento. Chiamava addirittura sorella la morte, anche se io preferisco la stupenda canzone di Trincani che dice: hai saputo sposare la signoraMorte. Vedete, secondo me, la teoria della reincarnazione si contraddice nel momento in cui sostiene che ci si reincarna infinite volte, in molte specie 107 - Allora; secondo me; questo significa vivere, vivere e di nuovo vivere per poi sperare di morire per sempre. Io penso, invero, che non possa esistere il vostro nulla supremo senza l’io, la propria coscienza, il proprio spirito. Che cosa sarebbe il nulla cosmico se non ci fossero infinite, particele a comporlo quali siamo noi, il nulla è quindi pieno anziché vuoto totale. La vostra estasi non può essere superamento della morte dacché non vi sarebbe nessuna estasi senza individuo, senza uomo, come sostiene Edgar Morin. Ah, quanto saremmo maturi noi Homini quando accoglieremo la nostra morte della carne. E quanto saremmo felici nel vedere il nostro spirito ricongiungersi col principio vitale che è in Dio. Non nell’indifferenza cerco la mia salvezza. Il brivido di meraviglia è quanto di meglio abbia l’uomo, sosteneva Goethe. La vostra è una crisi tristica anziché mistica, altro che balle. Detto ciò, non capisco le religioni che definiscono Dio estrema giustizia o verità assoluta. Gli Allah sèimpèr dùr, fratelli degli Allah sèimpèr pàs, ad esempio: con la loro Sciaria hanno tradotto in legge la giustizia divina come fosse dato loro di conoscerla. In nome di questo, commettono bestialità atroci. Infibulano le donne e decapitano chi si permette di contraddire queste loro verità, oppure lapidano le adultere. E così facendo, come avvenne a suo tempo con l’inquisizione, spesso tolgono la vita a dei poveri Cristi, accidentaccio. - Non vi capisco Agostino. Spiegatevi meglio per l’amor delCelo… capace di sposare l’eternità del bene, e il Paradiso so che esiste ma non lo definisco. Lo immagino allegro Deo gratia, ma non lo conosco. - Allora vi faccio un esempio: vedete fraCasso, quando si elegge un luogo o un simbolo come casa di Dio: i mussulmani con la Mecca, gli Ebrei con Gerusalemme…. - Porca galera, voi baraCCa volete sempre aver ragione, e i maghi allora? Cosa mi dite dei maghi? - Allora, a questo punto, voi che la sapete tanto lunga dovete dirmi cos’è il Paradiso, l’Inferno, il Purgatorio, ditemelo avanti… - Da che mondo è mondo la magia ti fa credere che risolve i problemi, mentre la fede te li crea. Sentirsi fratelli del signorGesù secondo me vuol dire semplicemente darsi disinteressatamente, difficile ma bellissimo, amico mio caro. E’ ahimè assai più facile imporre le mani o recitare formule che regalano la guarigione. Salvo scoprire che, comunemente, queste sono frutto d’una pia illusione. E, senza dubbio alcuno, scoprire poi che se anche si fosse per davvero guariti da un male, ce ne aspetta un altro. Ciò nonostante, quel che è peggiore è che tutto questo lascia il male, che ogni essere umano alla fine sperimenta, senza spiegazione alcuna quindi incapace di donarti speranza. Per non dir del fatto che chi saggia sulla propria pelle la sofferenza, può ricevere in cambio la grazia di veder la vita sotto un’altra prospettiva: quella di scorgerne la luce della possibilità di una guarigione con la sua bellezza. In oltre, può regalarti l’accettazione: quando si ha una fede, il dolore non dà nessuna espiazione o gratificazione come taluni porporati insegnano. Semplicemente si accetta come evenienza naturale dell’esistenza terrena, dacché siamo in Purgatorio. Certi che nell’Aldilà, sarà tutta un’altra cosa. - Io penso che viviamo in Purgatorio, che l’Inferno non sia altro che morire senza aver nella vita abitato un’idea - Mi lasciate senza parole…. Mi vien solo da esclamare D’io, cioè Lui è in Noi… - Adesso basta. Ve la prendete perfino con gli Ebrei che sono stati sterminati come le mosche? - Mi tocca fraCasso. Mi tocca. Che cosa avviene in terra Santa? - Ditemelo voi cosa avviene. - Avviene quel che è sotto gli occhi di tutti. Piangono contro un muro e poi, si girano, e ammazzano dei palestinesi che abitano lì da sempre. Tutto ciò in nome di una presunta supremazia su un territorio, che a mio modesto modo di vedere, per renderlo veramente santo dovrebbe essere condiviso. Invece, loro hanno bombe atomiche capaci di fare mille volte i morti che fecero i nazisti. E tutto questo in nome di Dio. 108 Concili: per vedere se sono in maggioranza coloro che credono valide le tesi dell’Opus Dei o della Caritas, dei Lefevriani piuttosto di quelle dei teologi della Liberazione, &Perché? No signoriPapi avete sbagliato tutto. Fin da principio. Da quando sedendovi sullo scranno di Pietro vi siete sentiti capaci di comandare il Mondo. Di discernere tra ciò che è bene e ciò che è male in nome e per conto di Dio. Lui, si dice, ha dato dieci comandamenti che io baraCCa non conosco neppure a memoria ma, nel mio piccolo, mi permetterei di aggiungerne uno, uno soltanto: HomoSapiensSapiens sei libero di credere in Me oppure no. Allora si che comprenderemmo quanto le necessitA’ Fisiologiche accomunino un Muratore con un Pontefice. E liberandosi dal semplice esercitarle si può guardare oltre. Verso ciò che a nessun uomo è dato di conoscere, al massimo può immaginarlo il disegno Supremo. Allora il battesimo ha tutta un’altra luce. Il signorGesù non ha mai battezzato un bambino e mai si sarebbe permesso di farlo. Credere dev’essere una scelta consapevole com’è stata quella del figlio di Giusto. Amen. Infine, permettetemi un consiglio caro fraCasso, quando direte nuovamente Messa leggete pure le Sacre Scritture, ma aggiungete qualche pagina di altri libri, o giornali, di credenti e non perché il bene, il buono non è monopolio dei Cattolici. E poi, come già da qualche tempo facevate, continuate a predicare poco e razzolare parecchio, perché di questo si ha bisogno per vivere in santaPace nell’Aldiquà. - Oh finalmente fraCasso, finalmente…. Questo si che è un nobile proposito: accogliere l’alito di Dio che è in ognuno di noi. Sì, siete libero di farlo fratel fraCasso, vivaDio. Comunque, correva l’anno duemilanove, il giorno undici Gennaio per la precisione. Quando Papa Benedetto XVI sentenziò: - I figli sono vostra proprietà genitori cari, e non dovete assecondarli nei loro capricci o richieste fuori dal vostro credo. E con solennità li battezzo. Era, infatti, l’annuale ricorrenza del battesimo del signorGesù. A baraCCa gli scappò: - Benedetto?, mah: battezzandoli li avete eletti figli di Dio, esattamente come il signorGesù. Come fate a sostenere teologicamente una contraddizione in termini: poiché figli di Dio, sono nati liberi di discernere tra il bene e il male. Solo se saranno fortunati, avranno genitori capaci d’aiutarli ma se, per esempio, avessero genitori come quelli di Trincani? Nessuno può impossessarsi della vita d’un essere vivente, neppure chi l’ha generato. A maggior ragione se si crede in Dio che l’ha creato della sua stessa sostanza. Il sommo Pontefice Papa Giovanni XXIII si che aveva capito se non tutto, un bel po’. Sosteneva, infatti, che Dio è Padre & Madre ed ha pure avvertito l’urgenza di fare il Concilio Vaticano II. Due Concili in tutti gli anni che dimorano in Vaticano, che pena. Si ha proprio la convinzione di saper già tutto su Dio e che sia pressoché inutile che gli uomini ne discutano e su di Lui si confrontino. Se fosse per me, ne vorrei uno ogni due anni di Pochi giorni dopo Toro seduto - che dapprima si professava agnostico per poi dichiararsi ateo - mentre se ne stava spaparanzato sull’erba fece tre bellissimi disegni per braCCa. 109 Gesù al ghe più Gesù..Gesù…Gesù ……. E baraCCa da par suo gli rispose con un altro disegno, accompagnandolo con una bottiglia di Picolit, magnifico passito veneto, che aveva appositamente acquistato per brindar con l’amico suo laureatosi in quel di Venezia…. Gesù..Gesù……. Gesù non c’è più caro Toro seduto, ma Deo Gratia ci sono milioni e milioni di suoi fratelli e sorelle in giro per il mondo, basta vederli Amico mio caro. E ricordatevi che di Cristo se n’è stato uno ma tutti gli altri son Qualcuno. 110 - Vi capisco baraCCa e vi rispetto, ma non riuscirete mai e poi mai a provarmi l’esistenza di Dio. - Allooooo….Allooooooooooo……Allora? - Un attimo di pazienza, amico mio caro: l’ortolano gli rispose che mentre sua madre lo aspettava, all’improvviso, manifestò la voglia di sentire della musica e, fa lui: - Ebbene, se è per questo anche i buchi neri sappiamo che ci sono ma non riusciamo a collaudarli, mi pare. E chissà quali altre cose esistono nello Spazio o nell’infinitamente piccolo che ancora non conosciamo quindi non possiamo esperimentare. Tuttavia v’è di più: non ho nessun bisogno di provare che ci sia Lui, quanto piuttosto il suo risultato: la fraternità dettata dall’eguaglianza, che Lui ci propone. - Mi guardi un po’ io non assomiglio certo a un giradischi non le pare, non le pare, non le pare? E l’altro: Allora, chinatisi per l’ennesima volta a un amichevole confronto, alzarono i calici di spiritoFelice che rallegrarono anche Lesto di lingua che quando si trattava di brindare non si tirava mai indietro, ed Esatto che raccontò una bella barzelletta a Giusto: - A parte che s’incanta, no. Proprio come te Giusto, si vede che tua madre prima di partorire aveva voglia di sentir un po’ di buona musica… - Avete ragione Esatto, quant’è bella la musica. E sarebbe una bella musica per le mie orecchie, sentenziò a quel punto il signorAgostino, se lì Reali d’Inghilterra ci dessero anch’essi del Voi. Altro che plurale Maièstatis. Hanno le nostre stesse necessitA’ fisiologiche, i Reali del mondo intero. Compresi quegli Sceicchi che per il sol fatto che scavando un buco, a differenza di quel che avviene Qui, anziché trovar limpida acqua trovano Petrolio, han si tanti soldi da comprare navi da riempire con macchine fuori serie e naviganti, cuochi, camerieri, orchestrali, addetti alla sicurezza, addetti alla compagnia, addetti ai buoni consigli e vagonate di mogli al di lor servizio. E se solo si facesse una legge universale siffatta: la proprietà è privata solo fino a tre metri dal sottosuolo, non credete che sarebbe meno scandaloso viver su sto benedetto Mondo? - C’era un signore preoccupatissimo perché sua moglie che era all’ottavo mese di gravidanza, all’improvviso manifestò un’irresistibile voglia di cocomero… - Allora…che…eeee…che…problema….c’eeeeee..c’era - Ascoltate ben a modo, quel signore cominciò ad andare per fruttivendoli prima uno poi l’altro, poi un altro ancora fino a che, dopo averne visitati dodici, l’ultimo gli disse che in Dicembre era impossibile trovare un cocomero maturo e lui rispose che in quel modo, come vuole la diceria popolare, suo figlio sarebbe nato con un’enorme voglia di cocomero. - Giiiiiiiuuuuuuuuuuuu…. ggggggiiiiuuuu 111 Allora Esatto, memore del buon consiglio del signorMaròlà chiese a Giusto di scrivere un’estrema sintesi sul suo fedele blocchetto degli appunti e lui vergò: secondo me baraCCa vuole bene all’umanità, santo Cielo… evviva la buona musica, e anche chi s’incanta, porca vacca. Così fu Quella apparve come la piena del millennio. Un’alluvione così non s’era vista mai, tanto che la chiamarono subito esondazione. Non si sa bene se l’ultima del secondo o la prima del terzo millennio. Era il duemila, per la precisione e, traparentesi, diversi omini per la foga d’arrivare in ritardo o di non starci per nulla, riteneva d’esser già nella nuova era, lasciando a peregrinare nella vecchia quei testardi che s’ostinavano a contare le decine con le dita. E faceva lo stesso se in quel modo anche la matematica veniva ridotta a opinione. Facea lo stesso, nell’Aldiquà. Moriva e nasceva un’epoca: mica da tutti, esserci. Comunque: era Dicembre, a onor del vero; allorquando, sconfinato quanto a memoria d’uomo, non era stato mai, ilPo profanava anche gli angoli più discreti delle golene. La situazione non lasciava scampo: dalla Protezione Civile alla Chiesa, l’umana società era coinvolta, chi offrendo tempo per rafforzare gli argini, chi elevando preghiere per rinforzare i ponti con l’Altissimo. Ma sete implacabile, era quella delPo. Ogni sforzo d’alzare i terrapieni con sacchi di sabbia si da restituire al grande fiume lo spazio che il poco senno umano gl’aveva rubato, si rivelava d’ora in ora crudamente vano, se non del tutto inutile. I casi erano due: o quelli di 112 corteGodi prestavano i sacchi in esubero a quelli di tuttiPopoli, oppure si sarebbe allagata la sacca grande. Pervia della qual cosa, siccome a corteGodi dimoravano in sessantacinquemila, mentre a tuttiPopoli abitavano non più di seicento persone o anime che dir si voglia, i casi divennero subito uno: la legge del più forte. E poi quelli di corteGodi erano vivi, mentre a tuttiPopoli rischiavano solo i morti, giacché nella sacca grande altro non c’era che ilCimitero. Ovvero zona di ripopolamento e sfoltimento, poiché anche Qui, come in numerosissimi altri luoghi dall’Homosapiens abitati, nei pressi delle dimore del per sempre, si consumavano frequenti le passioni d’amore, rendendo merito al detto campoSanto. Oltre a tutto, in fondo, a tuttiPopoli lo sapevano che non era certo quello il terreno migliore per costruire unCimitero: messo li, tra due argini. Alla fine, doveva pur succedere; suvvia come si fa a innalzare un campoSanto dentro un’enorme buca posta vicino al grandePo?, è roba da matti. cavalcando l’argine maestro, l’intero popolo di tuttiPopoli prestava gli occhi all’implacabile, crudele spettacolo. Quasi come in un sogno, le acque, man man salendo, spensero i lumini. Prima quelli posti a terra, poi via via quelli sempre più alti fino a spegnere i meno abbienti, giacché, traparentesi, anche nella sistemazione delle spoglie v’è differenza nell’Aldiquà: chi ha pochi quattrini dimora per sempre scomodo a coloro che gli portano il fiore del ricordo. Tutto s’oscurava agli occhi aprendo spalancati spazi al rimpianto del passato; finché l’ultimo degli ultimi lumi, quel che sopra ogni altro brillava, volò via sulle onde scrivendo l’ormai famosa veritàPerduta - Occhio però: da che mondo è mondo, di robe da matti l’Homosapiens né fa, amava proclamare il signorAgostino baraCCa. Tanto che si potrebbe dedurre che anch’esse siano una necessitA’ Fisiologica. Indesiderata come molte altre, ma fisioLogica, sentenziava il retore che talvolta prevaleva sui molti altri notabili della di lui Famiglia. L’importante è accettarle e avere l’umiltà di riconoscerle, per poi porvi rimedio. - E in discreta quantità, un bel po’ diciamo, perché perDiana, è ben dura perdonare, esordì Esatto. Quei somari di corteGodi meriterebbero una bella lezione, giacché hanno preferito tener sacchi inutilizzati in grande quantità per una presunta sicurezza. Ma l’occhio per occhio, orba, lasciatelo dire a me. Noi, invece, dobbiamo guardare avanti: in ragion del fatto che il dolore c’è, dobbiamo farglielo vedere, nulla di più. Ed era un nulla di più piazzato lì come fosse non una pietra, ma un macigno filosofale. Roba che solo Esatto sa fare, s’intende. Ai nostri occhi, cieco lo era per davvero, e questo gli faceva vedere l’anima delle cose. Ciò nondimeno, in ballo tra la frazione di tuttiPopoli e il comune di corteGodi, non In ogni modo questo, equamente ripartito tra il destino e ciò che gli uomini a esso attribuiscano, accadde: le eccessive acque si allargarono dentro la sacca grande. Sicché, 113 c’era più solo il solito scudetto che da anni e anni andava e veniva colmando di gioie o sprofondando nel dolore i perenni rivali. Pesava ben di più: una memoria negata. A onor del vero, per estrema sintesi, Giusto, il marmista fragile, sul registro della livella scrisse: Memoria annegata, Dio scàpe da lèt in patìa coi mùdant in man. Ed è stato anche buono, perché erano in un bel po’ a tuttiPopoli che proponevano di dargli una regolata per le feste ai corteGodini, anche se questo avesse significato deviare ilPo fino a trascinar nel nulla la terra loro. Il dolore, troppo grande per non reagire, aveva inacidito gli animi. Solo Esatto, con la sua lungimiranza, poteva…. Il bello è che uno può anche far finta di non chiedersi ste robe qua. Ma tutti no. Perché se è vero che a interrogativi del genere, spesso, non s’è in grado di trovar risposta nelle parole, altrettanto spesso l’azione non può sottrarsi: fisioLogicamente, Porca l’oca. Di buon conto, inequivocabile fu la sentenza dei corteGodini: - I sacchi possono servire a noi. In fondo non sarà una gran sciagura, se si allagherà la sacca grande: i morti son già morti. - Non per sempre, però. Non per sempre. Finche potremo averne memoria saranno con noi, risposero castigati nella ragione e nel rancore a tuttiPopoli. - Ssssssssssstttttttttttttt, fa lui fiondando l’affusolato dito tra gli spalancati occhi inermi, consapevole che quel prolungato sibilo aveva il potere magico di riconquistare il rispetto. Perché un orbo che dice taci, è come un sordo che ti chiede: - Non senti quel che stai dicendo? Allora, tutti si rimisero a pensare. Chiamatelo poco. Vorrei avercelo io uno così nella miaFamiglia: che ti fa ssssssssssttttttttttttt, innescando la nobile necessitA’ Fisiologica del pensare. Ma a nulla valse. Soli, sull’argine maestro, irrequieti e immobili spettatori del lume, finché tutto sparì. La sacca grande, enorme, riluceva d’acque. Solo il tempo avrebbe riconsegnato il campoSanto, solo il tempo. E il destino volle che non lo restituisse mai più: le acque l’avevano portato via per intero. Così com’è un paese senza il prato degliSpiriti. Così, come talvolta capita nell’Aldiquà, tal funzione provocò il desiderato effetto del saper reagire: la scelta dei corteGodini di non prestare i sacchi in più, non era di poco conto: in ballo c’erano domande di quelle che se sai rispondere non vinci nessun milione, anzi, forse forse ce lo rimetti, ma puoi dar senso alla vita… Quando ilPo si riconsegnò al proprio letto, sterminate quanto un deserto, apparivano le paludi. E tutto, fuor del limo, era agl’occhi negato. Ciò che alla furia delle onde s’era sottratto, aveva comunque cambiato forma, e nulla, più di quelle immagini, restituiva intatto il tutto scorre del siorEraclito. La sacca grande non accoglieva altro che detriti e miserie. Nessun muro di cinta, cancello, oratorio. Nessuna Quando devo aiutare il prossimo? Chi mi è prossimo? &Perché? 114 lapide; neanche un sia pur misero fiore poteva testimoniare l’incursione delle acque. Tutto si restituì scandalosamente nudo: solo sopravvissuto, restò ilFuturo. Fatto sta che immerso in quel dannato orizzonte limaccioso, sola giaceva quella fossa. Non si sa bene il perché, ma talvolta si formano nell’animo delle persone strane convinzioni, e così avvenne anche quel dì: muti di parole iniziarono a svuotare dalle stagnanti acque ilFuturo, con la sensazione che solo li avrebbero potuto trovar risposta al loro dolore. Un lungo passamano che nessuno escludeva, come con un cucchiaino per il mare, con piccoli secchi, presero a esplorare. notte tempo, quelli di tutti Popoli costruirono la loro rivincita proprio con i sacchi di sabbia. L’idea fu sfornata dal solito signorSouvenir: - Dobbiamo fargliela vedere, perBacco. Accumulando un bel po’ di sacchi vergini e asciutti, e utilizzandoli stompando l’ingresso del campoSanto di corteGodi. Detto e fatto. In più, i ragazzi del centro sociale diRoccabella, vi fecero sopra un bel murales suggerito dal signorElio, padrone del vento. Poi baraCCa prese in mano ‘l pennello e scrisse quella che per lui e quei di tuttiPopoli dovrebbe diventare la più importante delle NecessitA’ Fisiologiche… Cos’è il destino se non ciò che accade? Cos’è? Uno specchio, limpido e intatto, giaceva sul fondo delFuturo. E ve lo dico io che vedersi specchiato in Uelà, HomosapiensSapiens, chi vive per sé, muore per sempre, anche nelloSpirito… una buca da morto, Vacca d’un cane, fa pensare. E anche un bel po’. Scrisse allora il signorGiusto. Da allora quel pertugio che giace solo soletto nella sacca grande divenne la tomba del superIo o superUomo che dir si voglia, dove per norma quei di tuttiPopoli andavano a specchiarsi: educandosi in tal modo a seppellire la supponenza e l’ipocrisia di chi crede d’esser nell’essenza più importante di chiunque altro. Quindi, dabbene, ognuno andava a guardarsi nelFuturo. Ognuno. Aprendo in tal modo le porte al senso dell’Homointelligente cioè capace di saper legare: legare la vita con la morte, il limite con il desiderio. La giustizia, come spesso accade nelle umane questioni, non ristabilì le forze e non premiò le vittime. Sennonché, 115 Indice di “Anche stanotte ho camminato nel letto” Marco Pattacini è nato nel 1964 a Motecchio Emilia. Nel 2000 ha pubblicato con la casa editrice Gian Giacomo Feltrinelli “Punto e a Capo” il virus dell’utopia è più forte dell’HIV. Continua a vivere ed esprimere liberamente le sue opinioni in Emilia. &Perché……………………………………………...02 sulleOnde delDNB……………………….………….....03 TipiStrani i straniTipi………………….………...….….13 Uelà, HomosapiensSapiens, cammini sui fiori, lo sai o no? La vita veste di bianco e nero perché abita il bene e il male in diverse proporzioni ma tutti, proprio tutti, camminiamo sui fiori. il Welfare state diPopoli…………...……………..……26 Il Futuro……………...………………………..……...40 Le veritàPerdute……………………...………………...41 Dedico questo lavoro a mio figlio e a mia madre dacché mi hanno insegnato e continuano a insegnarmi un sacco di cose. Crescere nell’Aldiquà………….………………..……...45 Disegno in copertina di Marco Pattacini Spirito santo L’imprenditore di quel diPopoli………....…...……..…..89 Recapito mail: [email protected] In Vitaeeternam………………………..……….….…....91 Il Monumento…………………...………………-…....79 A futura Memoria………………………………...…….95 I Travalicati…………….…….…………………...…….99 Guardando all’Aldilà…………………………..……...104 Così fu………………………………………………...112 116