L’opera: “Cecilia” 1
CECILIA (1922)
Azione sacra in tre episodi e quattro quadri
Libretto di Emidio Mucci
Prima esecuzione febbraio 1934 al Teatro Reale dell’Opera di Roma
Interpreti principali della Prima esecuzione: Claudia Muzio– Maria Huder – Giuseppe Bentonelli –
Gino Vannelli – Giuseppina Sani – Giacomo Vaghi – Carmelo Maugeri; Direttore: Edoardo Vitale;
Maestro del Coro: Andrea Morosini
; Regia: Marcello Covoni
Refice e il suo librettista la definiscono “azione sacra”, ma pare che sia stato un espediente per
facilitarne la rappresentazione. Se fosse stata definita opera lirica, avrebbe incontrato maggiori
difficoltà da parte delle autorità ecclesiastiche. Lo stesso titolo, le prime volte venne formulato in
modo più rassicurante: Santa Cecilia. La composizione da parte di Refice iniziò intorno al 1920 e in
gran parte fu composta a Cesena, nel monastero benedettino del Monte. Era pronta già nel 1924.
Refice avrebbe voluto rappresentarla per l’anno santo del 1925, ma non fu possibile per motivi
politici e per le resistenze da parte della gerarchia ecclesiastica. La prima fu diretta da Edoardo
Vitale, protagonista Claudia Muzio.
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Le immagini riprodotte in queste pagine sono i bozzetti per la nuova produzione di “Cecilia”, pensati sia per spazi sacri che per
teatri
L'ANNUNCIO
Invece della consueta “sinfonia” di apertura l’azione si apre con una dichiarazione di intenti. A
scena aperta, ma chiusa da un velario “pallidamente illuminato d’azzurro”, l’Angelo di Dio (una
voce di soprano fuori campo) invita gli spettatori a assumere il giusto atteggiamento per
comprendere il senso della storia cui assisteranno. Dice l’Angelo: Dovrete “aprire gli occhi alla
dolce visione” e avere il cuore invaso da “umile e serena devozione”. Udrete allora i santi ardori di
Cecilia, la “vergine bianca come giglio, che versò sangue con grande effusione”. La sua preghiera
fece sbocciare “canti e armonie fragranti”. Il tutto rivivrà sulla scena. Perciò, “ascoltate, vi
prego…”. Sotto l’aspetto strutturale l’Annuncio recupera un’antica forma, presente fin dal teatro
greco. Sotto l’aspetto musicale è una bella pagina, anche abbastanza nota per le incisioni di
Claudia Muzio, Renata Tebaldi, Renata Scotto e Maria Pedrini.
PRIMO EPISODIO
Nella casa dei Valeri, a Roma, fervono i preparativi delle nozze di Valeriano e Cecilia. I servi
eseguono sotto la sorveglianza di Tiburzio, fratello di Valeriano. Mentre danno gli ultimi ritocchi
alla scena, inservienti e ancelle esaltano la bellezza della sposa, ma bisbigliano anche qualche frase
misteriosa: “Corre voce ch’ella sia cristiana!”. Tiburzio nega e sprona a intensificare i preparativi.
Infatti Valeriano, vincitore dei cartaginesi, sta arrivando tra acclamazioni popolari. Il giovane
guerriero entra in scena e – tributati i rituali ringraziamenti agli dei che gli sono stati propizi ¬–, si
lascia andare ai ricordi , decantando la bellezza della donna che tra poco farà sua. Si ode un canto
di voci femminili che si avvicina. È il corteo che accompagna Cecilia. Le parole inneggiano alle
nozze: “Gridiamo evviva Imene! O Imene! O Imene!”. Cecilia e il suo corteggio irrompono sulla
scena. La sposa e lo sposo sono finalmente una di fronte all’altro. “Chi sei? “ –chiede Valeriano,
secondo le parole della formula pagana del matrimonio. Risponde Cecilia: “Ove tu Caio, io sarò
Caia”. È il consenso prescritto. I due sono marito e moglie e vengono festeggiati dai presenti,
uomini e donne, a cori separati e uniti. Infine gli sposi restano soli in scena, mentre la comitiva va a
festeggiare nelle stanze accanto, facendo udire la propria presenza con il canto. Tra l’altro anche
un accenno di brindisi. Il racconto, che fin ora è scorso con naturalezza, ha una svolta inaspettata e
poco convincente. Cecilia si nega allo sposo e, in un lungo colloquio, esprime opinioni sull’amore
coniugale inaccettabili, soprattutto in bocca a chi ha appena celebrato un coniugio in piena regola.
Lo sposo, infatti, piuttosto perplesso, le rinfaccia la celebrazione. “Non ebbero le nozze i
consensi?”. Come a dire: “Non mi hai detto sì?”. Il libretto è manchevole e noi siamo dalla parte di
Valeriano che pretende quanto gli è dovuto. Ci convince poco l’apparizione dell’Angelo di Dio che
prende le difese della giovane, mentre Valeriano la insegue per farla sua. Valeriano non si arrende.
Glielo dice con parole ardite, anche se stemperate in un’immagine dannunziana: “Io ti seguirò, ti
inseguirò, penetrerò nel tuo chiuso giardino, coglierò tutti i fiori e tutti i frutti”. Il proposito è
espresso con il desiderio che, a lungo coltivato, gli “romba furioso nelle vene”. L’Angelo di Dio
fiammeggiante di luce si interpone tra Valeriano e Cecilia e il sipario sancisce la fine del primo
episodio.
SECONDO EPISODIO
Valeriano sta attuando la promessa. Segue Cecilia ovunque, sempre con il proposito di farla
finalmente sua. Si trovano all’imbocco delle Catacombe di Protestato, dove la sposa intende
portarsi. All’interno i cristiani si preparano alla celebrazione. Una bella ouverture sul tema della
sequenza In paradisum deducant te angeli accompagna l’aprirsi della scena. I cristiani si scambiano
le loro esperienze. Una vecchia cieca racconta il recente sogno che ha fatto. Ha visto il figlio morto
tentare inutilmente di bere a una vasca piena d’acqua, ma il bordo troppo alto glielo impediva. Ella
allora aveva pregato e ecco che una sorgente era scaturita in basso, sicché il figlio aveva potuto
spegnere il suo desiderio. Il coro dei cristiani inneggia alla potenza della preghiera per i defunti. Il
sogno, infatti, era una chiara allusione alla salvezza eterna del figlio della cieca. Il racconto è
interrotto dall’ingresso di Cecilia e Valeriano. Quest’ultimo, da pagano, esprime il proprio orrore
per il luogo e per i riti che vi si celebrano, ma Cecilia lo invita a procedere mano nella mano,
promettendogli ben altro giardino e ben altri fiori e frutti rispetto a quelli che egli inseguiva. Il
concetto, che vorrebbe contrapporre la brama della carne a quella dello spirito, è espresso con
parole che sviliscono l’intuizione. La promessa di Cecilia si riduce a stormire di fronda, sospirante
melodia dell’onda, pispiglio di passeri, canto della primavera, bianco strepitare di cascate… Tutte
cose che Valeriano avrebbe voluto sperimentare nel chiuso giardino di Cecilia e che nella metafora
meglio si appropriano! Per fortuna l’arrivo del vescovo di Roma Urbano attrae l’attenzione dei
presenti. Il pontefice inizia il suo discorso con le seguenti parole: “Cercate e troverete, chiedete e
vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto”. Sono dardi che vanno dritti al cuore di Valeriano, ma anche
ai molti cristiani presenti, i quali si accalcano attorno al vescovo implorando miracoli. Chi è cieco,
chi è storpio, chi soffre di altre infermità. Urbano richiama l’attenzione sulle malattie dello spirito.
“Felice chi è cieco negli occhi del corpo, tristo chi ha l’anima cieca”. A prova di ciò narra la vicenda
dell’apostolo Paolo, dapprima accecato in quanto persecutore dei cristiani e poi risanato, per
essere vaso di elezione. Il racconto del vescovo è sobrio e molto bello. Più bello ancora in musica.
Belle anche le interruzioni del coro. Al momento in cui Paolo di Tarso, nella narrazione del
vescovo, recupera la vista, anche la Vecchia Cieca torna a vedere e grida la sua gioiosa meraviglia.
Tutti si inginocchiano. Anche Valeriano, che proclama la sua fede e chiede il battesimo. Il
sacramento viene celebrato tra canti e invocazioni. Sul calare della tela riappare l’Angelo di Dio a
preannunciare ai due sposi il martirio mentre il coro canta una devota beatitudine: “Beati coloro
[che sono] affranti dal dolore perché il loro martoro [sic] avrà un consolatore”.
TERZO EPISODIO
La casa dei Valeri è trasformata in aula di tribunale. Amachio, prefetto di Roma, è seduto sullo
scranno di giudice e ha accanto lo scriba e i littori. Davanti al prefetto, Cecilia, inerme e serena. La
folla accusa Cecilia di aver tradito la religione degli avi. Valeriano è già stato giustiziato insieme al
fratello Tiburzio. Amachio, volendo salvare la giovane donna, le dice: “Una sola parola può
scamparti dalla buia morte, che ha già ingoiato la fresca giovinezza di Valeriano tuo sposo, e di
Tiburzio tuo cognato”. Cecilia, tutta rapita, ode – ella sola – (e naturalmente gli spettatori, non gli
altri attori in palcoscenico) la voce del suo sposo che da fuori campo canta: “La morte per Cristo è
gran dolcezza…”. Amachio, che vede l’imputata assorta e raggiante, sollecita una risposta,
ostentando il potere di vita o di morte che ha su di lei. Cecilia risponde con coraggio: “La potenza
dell’uomo è come un otre gonfio di vento…”. Insiste, Amachio, chiedendo: sacrifichi o no agli dei?
Per tutta risposta Cecilia deride gli dei pagani, fatti “di sasso e di metallo”. Amachio è costretto a
condannarla a morte, ma non secondo i vari suggerimenti che vengono dai littori, bensì con il
fuoco nell’ipocausto. Da notare che i metodi suggeriti dai littori sono molto truculenti e anche
carichi di morbosità. Per esempio chiedono di esporre la giovane nuda sulla croce.
“Conficchiamola nuda sulla croce! La sua nuda bellezza splenda al sole!”. Tali espressioni in alcune
edizioni del libretto vengono emendati. Amachio dice a Cecilia: “Tuttavia voglio darti una prova
dell’infinita mia clemenza…”. E rivolto ai littori: “Ordino che l’ipocausto sia alimentato da fuoco
violento e sia condotta là, nel calidario, questa donna, ove costretta dai vapori ardenti, o rinneghi
le parole sacrileghe o muoia soffocata”. Le ancelle cercano di trattenere Cecilia, ma ella muove
risolutamente verso l’ipocausto, dicendo: “Debbo andare, ché Cristo mi chiama”. Nel calidario
Cecilia canta: “O fuoco, o casto fuoco, a poco a poco sciogli la nuvola del corpo mio”. Accade però
che nonostante la quantità di legna messa a ardere, Cecilia resti illesa. Anzi una pioggia di petali di
rose scende su di lei. Allora Amachio, al colmo dell’irritazione, dà ordine di sgozzare la martire.
Cecilia ferita a morte dispensa le ancelle dal prestarle soccorso. Vuole morire al suolo e detta il
proprio testamento, materiale e spirituale. Lascia la casa alla comunità cristiana, perché sia resa
luogo consacrato allo sposo celeste, Gesù, nel quale fissa lo sguardo e muore. A chi si rattrista per
la perdita di Cecilia il vescovo Urbano dice di ascoltare la voce che viene dal cielo. Tutti pongono
attenzione. Viene dall’alto un canto. “Alleluia! Lodate Cecilia, soli dell’universo!”
©2007 Michele Colagiovanni
LINK AUDIO PER ASCOLTO
http://www.youtube.com/watch?v=0YjIF90vwdw Grazie sorelle- Renata Tebaldi 1956
http://www.youtube.com/watch?v=R1wG-RYN8Uc Per amor di Gesù- Renata Tebaldi
http://www.youtube.com/watch?v=frLMJt5K06w&feature=related Claudia Muzio 1934
http://www.youtube.com/watch?v=Vgm0o1ZhfiQ
http://www.youtube.com/watch?v=RELdX4tzyL4&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=goXbwmnl7JE&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=gpoWGryJE4Y&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=HPSWxBv8qvQ&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=lFZZzchln3A&feature=related
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