1 Nel mondo c’è quanto basta per le necessità dell’uomo , ma non per la sua avidità Gandhi 2 LA FINE DELL’ISOLA DI PASQUA In una manciata di secoli, la gente dell’Isola di Pasqua cancellò le proprie foreste, portò le proprie piante e i propri animali all’estinzione e vide la propria complessa società cadere a spirale nel caos e nel cannibalismo. Stiamo per seguire il loro esempio? T ra i più frequenti misteri della storia umana ci sono quelli posti dalla scompars a di intere civiltà. La loro scomparsa ci tocca come la scomparsa di nessun altro animale, neanche quella dei dinosauri, potrà mai toccarci. Non importa quanto quelle civiltà sembrino esotiche, i loro artefici erano umani come noi. Chi ci dice che non soccomberemo allo stesso destino? Forse un giorno i grattacieli di New York si ergeranno abbandonati e coperti di vegetazione, come i templi di Angkor e di Tikal. Tra tutte le civiltà scomparse a questo modo, quella della antica società Polinesiana dell’Isola di Pasqua rimane insuperata per mistero e isolamento. Il mistero nasce in particolar modo dalle gigantesche statue di pietra dell’isola e dal suo paesaggio “esaurito”. L’Isola di Pasqua, con una superficie di soli 166 km2 , è il più isolato pezzo di terra abitabile. Esso si trova nell’Oceano Pacifico, oltre 3200 km ad ovest del continente più vicino (il Sud America). La sua collocazione subtropicale e la sua latitudine — essendo 27° a sud si trova approssimativamente tanto sotto all’equatore quanto Houston si trova sopra di esso — contribuisce a dare un clima piuttosto temperato, mentre le sue origini vulcaniche ne rendono fertile il suolo. In teoria, questo insieme di “benedizioni” dovrebbe aver fatto dell’Isola di Pasqua un paradiso in miniatura, lontano dai problemi che affliggono il resto del mondo. L’isola deriva il proprio nome dalla sua “scoperta” da parte dell’esploratore danese Jacob Roggeveen, nella Pasqua (il 5 di aprile) del 1722. La caratteristica più famosa dell’Isola di Pasqua è data dalle sue enormi statue di pietra, più di 200 delle quali un tempo stavano ritte su massicce piattaforme di pietra allineate lungo la costa. Almeno altre 700, in diversi stadi di completamento, erano abbandonate in cave o su antiche strade tra le cave e la costa, come se gli scultori e le squadre di trasporto avessero gettato a terra i propri attrezzi e avessero abbandonato il lavoro. La maggior parte delle statue erette furono scolpite in una singola cava e quindi trasportate in qualche modo per ben 10 km — a dispetto dell’altezza, fino a 10 metri, e del peso, fino a 82 tonnellate. Le statue abbandonate, invece, erano alte fino a 20 metri e pesavano fino a 270 tonnellate. Le piattaforme di pietra erano altrettanto gigantesche: lunghe fino a 150 metri e alte fino a 3 metri, con lastre di rivestimento pesanti fino a 10 tonnellate. Per almeno 30.000 anni prima dell’arrivo degli uomini e durante i primi anni della colonizzazione polinesiana, l’Isola di Pasqua non era per nulla un deserto. Invece, una foresta subtropicale di alberi e arbusti legnosi torreggiava su un sottobosco di cespugli, piante erbacee, felci e erba. 3 Nella foresta crescevano margherite arboree, l’hauhau produttore di corde e il toromiro, che fornisce un legname da ardere compatto. L’albero più comune nella foresta era una specie di palma ora assente sull’Isola di Pasqua, ma in precedenza particolarmente abbondante. La palma dell’Isola di Pasqua era strettamente imparentata con la tutt’ora esistente palma da vino del Cile, che cresce fino a 30 metri di altezza e 2 metri di diametro. L’alto tronco privo di rami della palma dell’Isola di Pasqua sarebbe stato ideale per trasportare e erigere statue e costruire grandi canoe. La palma sarebbe anche stata una valida fonte di cibo, dal momento che l’equivalente cileno fornisce noci commestibili così come linfa dalla quale i Cileni ottengono zucchero, sciroppo, miele e vino. Molte prove ci permettono di immaginare l’isola sulla quale sbarcarono i primi colonizzatori Polinesiani qualcosa come 1.600 anni fa, dopo un lungo viaggio in canoa dalla Polinesia Orientale. Essi si ritrovarono in una paradiso intatto. Cosa ne fu dopo? I grani di polline e le ossa ci forniscono una triste risposta. I primi colonizzatori Polinesiani si ritrovarono su un’isola fornita di suolo fertile, cibo abbondante, materiali da costruzione a piene mani e tutti i prerequisiti per una vita confortevole. Essi prosperarono e si moltiplicarono. Dopo alcuni secoli, essi cominciarono a erigere statue di pietra su piattaforme, come quelle che i loro antenati polinesiani avevano scolpito. Col passare degli anni, le statue e le piattaforme divennero sempre più grandi, e le statue cominciarono a ostentare una corona rossa da dieci tonnellate — probabilmente in una spirale ascendente di rincorsa al primato, quando i clan rivali cercavano di superarsi a vicenda mettendo in mostra ricchezza e potere. Alla fine la popolazione in crescita dell’Isola di Pasqua stava tagliando la foresta più rapidamente di quanto la foresta stessa fosse in grado di rigenerarsi. 4 La gente usava i terreni per i giardini e il legname come combustibile, per la costruzione di canoe e edifici — e, ovviamente, per trascinare statue. Non appena la foresta scomparve, gli isolani rimasero senza legname e senza corde per trasportare ed erigere le proprie statue. La vita divenne più disagevole — le sorgenti e i torrenti si prosciugarono, e la legna non era più disponibile per accendere fuochi. La gente trovò anche più difficile riempirsi lo stomaco, dal momento che gli uccelli terrestri, le grandi conchiglie di mare e molti uccelli marini scomparvero. Poiché il legname per costruire canoe per la navigazione in mare non era più disponibile, la pesca declinò e le focene sparirono dalla tavola. Anche i raccolti declinarono, dal momento che la deforestazione permise che il suolo venisse eroso dalla pioggia e dal vento, seccato dal sole e le sue sostanze nutritive dilavate. L’intensificata produzione di polli e il cannibalismo rimpiazzarono solo parte di quelle perdite di generi alimentari. Alcune statuette con guance incavate e costole visibili che si sono conservate suggeriscono che la gente aveva fame. Con la scomparsa della sovrabbondanza di cibo, l’Isola di Pasqua non poté più nutrire i capi, i burocrati e i preti che avevano mantenuto in funzione una società complessa. Gli isolani ancora in vita descrissero ai primi visitatori europei come il caos locale rimpiazzò il governo centrale e una classe di guerrieri prese il sopravvento sui capi ereditari. Le punte di pietra di lance e pugnali, fabbricate dai guerrieri durante l’epoca della loro maggiore prosperità nel ‘600 e nel ‘700, sono ancora sparse sul terreno dell’Isola di Pasqua oggi. Verso il 1700, la popolazione cominciò a crollare verso una quantità compresa tra un quarto e un decimo del suo numero precedente. La gente cominciò a vivere in caverne per proteggersi contro i nemici. Verso il 1770 i clan rivali cominciarono a rovesciarsi le statue a vicenda, demolendo le teste. Entro il 1864 l’ultima statua era stata abbattuta e profanata. Gradualmente gli alberi divennero meno numerosi, più piccoli e meno importanti. Nel momento in cui l’ultima palma fruttifera adulta venne tagliata, le palme avevano da tempo cessato di avere un qualche significato economico. Questo fatto lasciò solo palme sempre più piccole da tagliare ogni anno, insieme ad altri arbusti e alberelli residui. Nessuno avrebbe notato la caduta dell’ultima piccola palma. A questo punto il significato della storia dell’Isola di Pasqua per noi dovrebbe essere freddamente ovvio. L’Isola di Pasqua è la Terra in piccolo. Oggi, di nuovo, una popolazione crescente si confronta con la riduzione delle risorse. Anche noi non abbiamo una valvola migratoria, poiché tutte le società umane sono interconnesse per mezzo di trasporti internazionali, e noi non possiamo fuggire nello spazio più di quanto gli isolani di Pasqua potessero fuggire nell’oceano. Se continuiamo a seguire il percorso attuale, ci ritroveremo ad avere esaurito le più grandi riserve di pesca del mondo, le foreste tropicali, i combustibili fossili e gran parte del nostro suolo. Se migliaia di semplici isolani dell’Isola di Pasqua con i loro soli attrezzi in pietra e la sola forza dei propri muscoli riuscirono a distruggere la propria società, come possono miliardi di persone con attrezzi in metallo e potenti macchine fallire nel fare di peggio? Ma c’è una sostanziale differenza. Gli isolani dell’Isola di Pasqua non avevano libri, né storie di altre società condannate. A differenza di quegli isolani, noi abbiamo storie del passato — informazioni che possono salvarci. 5 L’ACQUA : UNA RISORSA PREZIOSA "Se, nei prossimi dieci o quindici anni, non vedrà concertata nessuna azione volta a garantire la fornitura dell’acqua in un quadro mondiale efficace di regolamentazione politica, economica, giuridica e socioculturale, il suo dominio provocherà innumerevoli conflitti territoriali e condurrà a rovinose battaglie economiche, industriali e commerciali" E ’ quanto afferma Riccardo Petrella, consigliere alla Commissione Europea, professore all’Università Cattolica di Lovanio e Presidente del Club di Lisbona, ed è ciò che già si sta verificando in diverse parti del mondo. L’acqua è destinata a rivestire un’importanza sempre più rilevante nei rapporti tra gli Stati, con il rischio di dare origine a violenti conflitti. Anche se la superficie terrestre è coperta per il 71% di acqua, questa è costituita per il 97,5% da acqua salata. L’acqua dolce è per il 68,9% contenuta in ghiacciai e nevi perenni, per il 29,9% nel sottosuolo e solo lo 0,3% è localizzata in fiumi e laghi, e quindi potenzialmente disponibile. Tale quantità corrisponde allo 0,008% dell’acqua totale del pianeta. Si tratta di un quantitativo irrisorio distribuito in modo ineguale sulla superficie terrestre. La maggior parte di essa, infatti, è concentrata in alcuni bacini in Siberia, nella regione dei grandi laghi in Nord America, nei laghi Tanganika, Vittoria e Malawi in Africa, mentre il 27% è costituita dai cinque più grandi sistemi fluviali: il Rio delle Amazzoni, il Gange con il Bramaputra, il Congo, lo Yangtze e l’Orinoco.Nel mondo, un miliardo e 400 milioni di persone del pianeta non hanno accesso all’acqua potabile. Il rischio è grande che nell’anno 2025, quando la popolazione supererà gli 8 miliardi di esseri umani, il numero delle persone senza accesso all’acqua potabile aumenti a più di 3 miliardi. In media ogni abitante del pianeta consuma oggi il doppio di acqua rispetto all’inizio del 1900, e globalmente, il consumo mondiale di acqua è circa decuplicato solo nell’arco di un secolo. Negli ultimi cinquant’anni la disponibilità d’acqua è diminuita di tre quarti in Africa e di due terzi in Asia. Secondo le stime della FAO a partire dal 2000 almeno 30 paesi dovranno far fronte a crisi idriche croniche. E’ chiaro, quindi, che la principale fonte di vita dell’umanità si sta trasformando in una risorsa strategica vitale .Oggi la domanda di acqua è in forte crescita, mentre la disponibilità diminuisce ,poiché parte delle acque utilizzabili risultano inquinate. Il valore crescente dell'acqua, le preoccupazioni concernenti la qualità e la quantità di approvvigionamenti, oltre che le possibilità di accesso, accordate o rifiutate, stanno avvicinando l'acqua al petrolio e a certe ricchezze minerali in quanto risorsa strategica. La sua rarità e il suo valore crescente porteranno sempre più a delle politiche dell'acqua e a conflitti internazionali che potranno attribuire ai diritti su quest'ultima un'importanza di primo piano. Le risorse d’acqua sono distribuite in modo ineguale. Questo non significa che deve esserci anche ineguaglianza nell’accesso all’acqua fra le persone, le comunità e le regioni. Inoltre, l’ineguaglianza nella distribuzione dell’acqua e della ricchezza finanziaria non significa che le persone ricche d’acqua e ricche economicamente possano farne l’uso che vogliono, anche venderla (o comprarla) all’esterno per derivarne il massimo profitto. L’acqua è "res publica". 6 INQUINAMENTO DELL’ACQUA Microsoft® Encarta® Enciclopedia Online 2008 L a contaminazione dell’acqua è causata dall’immissione di sostanze quali prodotti chimici e scarichi industriali e urbani, che ne alterano la qualità compromettendone gli abituali usi. Alcuni dei principali inquinanti idrici sono: le acque di scarico contenenti materiali organici che per decomporsi assorbono grandi quantità di ossigeno; parassiti e batteri; i fertilizzanti e tutte le sostanze che favoriscono una crescita eccessiva di alghe e piante acquatiche; i pesticidi e svariate sostanze chimiche organiche (residui industriali, tensioattivi contenuti nei detersivi, sottoprodotti della decomposizione dei composti organici); il petrolio e i suoi derivati; metalli, sali minerali e composti chimici inorganici; sabbie e detriti dilavati dai terreni agricoli, dai suoli spogli di vegetazione, da cave, sedi stradali e cantieri; sostanze o scorie radioattive provenienti dalle miniere di uranio e torio e dagli impianti di trasformazione di questi metalli, dalle centrali nucleari, dalle industrie e dai laboratori medici e di ricerca che fanno uso di materiali radioattivi. Anche il calore liberato nei fiumi dagli impianti industriali e dalle centrali elettriche attraverso le acque di raffreddamento può essere considerato un inquinante, in quanto provoca alterazioni della temperatura che possono compromettere l’equilibrio ecologico degli ecosistemi acquatici e causare la morte degli organismi meno resistenti, accrescere la sensibilità di tutti gli organismi alle sostanze tossiche, ridurre la capacità di autodepurazione delle acque, aumentare la solubilità delle sostanze tossiche e favorire lo sviluppo di parassiti. Le sostanze contaminanti contenute nell’acqua inquinata possono provocare innumerevoli danni alla salute dell’uomo e all’equilibrio degli ecosistemi. La presenza di nitrati (sali dell’acido nitrico) nell’acqua potabile, ad esempio, provoca una particolare condizione patologica nei bambini che in alcuni casi può condurre alla morte. Il cadmio presente in certi fanghi usati come fertilizzanti può essere assorbito dalle colture e giungere all’uomo attraverso le reti alimentari; se assunto in dosi elevate, può provocare forti diarree e danneggiare fegato e reni. Tra gli inquinanti più nocivi per l’uomo vi sono alcuni metalli pesanti, come il mercurio, l’arsenico, il piombo e il cromo. Gli ecosistemi lacustri sono particolarmente sensibili all’inquinamento. L’eccessivo apporto di fertilizzanti dilavati dai terreni agricoli può avviare un processo di eutrofizzazione, cioè di crescita smodata della flora acquatica. La grande quantità di alghe e di piante acquatiche che si viene a formare deturpa il paesaggio, ma soprattutto, quando si decompone, consuma l’ossigeno disciolto nell’acqua, rende 7 asfittici gli strati più profondi del lago e produce odori sgradevoli. Sul fondo del bacino si accumulano sedimenti di varia natura e nelle acque avvengono reazioni chimiche che mutano l’equilibrio e la composizione dell’ecosistema (quando le acque sono molto calcaree si ha, ad esempio, la precipitazione di carbonato di calcio). Un’altra fonte di inquinamento idrico è costituita dalle cosiddette piogge acide, che hanno già provocato la scomparsa di ogni forma di vita da molti laghi dell’Europa settentrionale e orientale e del Nord America. Gli inquinanti delle acque provengono soprattutto dagli scarichi urbani e industriali, dai processi di percolazione, dai terreni agricoli e dalle aziende zootecniche. Finora l’obiettivo primario dei programmi di smaltimento degli scarichi urbani è stato quello di ridurre la concentrazione delle sostanze solide in sospensione, dei materiali organici, dei composti inorganici disciolti (soprattutto quelli contenenti fosforo e azoto) e dei batteri nocivi presenti nei liquami immessi negli impianti di depurazione, per potere, poi, scaricare le acque depurate nell’ambiente. Da qualche tempo, tuttavia, una maggiore attenzione viene rivolta anche al delicato problema del trattamento e dello smaltimento dei fanghi che si producono nei processi di depurazione. Gli scarichi industriali contengono una grande varietà di inquinanti e la loro composizione varia a seconda del tipo di processo produttivo. Il loro impatto sull’ambiente è complesso: spesso le sostanze tossiche contenute in questi scarichi rinforzano reciprocamente i propri effetti dannosi e quindi il danno complessivo risulta maggiore della somma dei singoli effetti. La concentrazione di inquinanti può essere ridotta limitandone la produzione all’origine, sottoponendo il materiale a trattamento preventivo prima di scaricarlo nella rete fognaria o depurando completamente gli scarichi presso lo stesso impianto industriale, recuperando, eventualmente, le sostanze che possono essere reintrodotte nei processi produttivi. I fertilizzanti chimici usati in agricoltura e i liquami prodotti dagli allevamenti sono ricchi di sostanze organiche (contenenti soprattutto azoto e fosforo) che, dilavate dalla pioggia, vanno a riversarsi nelle falde acquifere o nei corpi idrici superficiali. A queste sostanze si aggiungono spesso detriti più o meno grossolani che si depositano sul fondo dei bacini. Pur contenendo spesso organismi patogeni, i liquami di origine animale vengono scaricati a volte direttamente sul terreno e da qui sono trasportati dall’acqua piovana nei fiumi, nei laghi e nelle falde sotterranee. L’inquinamento del mare è dovuto alle immissioni accidentali o intenzionali di petrolio e oli combustibili, all’apporto di sostanze inquinanti trasportate dai corsi d’acqua e agli scarichi degli insediamenti costieri. Questi ultimi, in particolare, contengono ogni sorta di contaminanti (metalli pesanti, sostanze chimiche tossiche, materiale radioattivo, agenti patogeni) e spesso sono all’origine di epidemie di tifo, colera, salmonellosi e altre malattie infettive. Gli inquinanti vengono trasportati dalle correnti marine lungo le coste e in alto mare, a media e lunga distanza. Il petrolio e gli oli combustibili riversati in mare formano sulla superficie dell’acqua pellicole oleose che, impedendo l’assorbimento dell’ossigeno atmosferico, provocano morie di organismi marini. Nel petrolio, inoltre, sono presenti anche idrocarburi aromatici che possono costituire un grave pericolo per la salute dell’uomo, al quale giungono attraverso la catena alimentare marina. La fonte dell’inquinamento, in questo caso, è data dai riversamenti di grandi quantità di greggio dalle petroliere coinvolte in incidenti, dal deliberato rilascio di piccole quantità di derivati del petrolio da navi di vario tipo e dalle perdite di petrolio che si verificano nel corso delle operazioni di trivellazione presso le piattaforme petrolifere marine. Si calcola che per ogni milione di tonnellate di petrolio trasportate via mare, una tonnellata vada dispersa a causa di riversamenti di varia natura, anche se il pericolo maggiore è rappresentato dagli incidenti che non di rado interessano le superpetroliere 8 L’ARIA Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. L 'aria secca al suolo è composta all'incirca per il 78% V/V di azoto, per il 21% V/V di ossigeno e per l'1% V/V di argon, più altri componenti in quantità minori. L'aria cosiddetta umida può contenere fino a un 7% di vapore acqueo; tale percentuale dipende dal tasso di umidità relativa dell'aria e dalla temperatura ed è limitata dalla pressione di vapore saturo dell'acqua. La massima percentuale contenibile dipende dalla temperatura, varia da valori prossimi allo 0% a -40°, a circa 0,5% a 0°, al 5-7% intorno ai 40°. Il tasso di diossido di carbonio risulta molto variabile negli ultimi tempi. In particolare le attività umane (industria, inquinamento, combustione, deforestazione, ecc...) hanno prodotto un grosso incremento di questa percentuale nell'ultimo secolo, passata da circa 280 ppm nel 1900 a 315 ppm nel 1970 fino a 350 ppm (0.035%) negli ultimi anni. La concentrazione di tale componente sembra essere (insieme a quella del metano ed altri gas) uno dei responsabili principali dell'effetto serra. Infine, la composizione e la pressione dell'aria cambiano fortemente con l'altitudine. Composizione dell'aria secca Nome Formula Proporzione o frazione molecolare Per cento in peso Azoto N2 78,08 % 75,37 % Ossigeno O2 20,95 % 23,1 % Argon Ar 0,934 % 1,41 % Diossido di carbonio CO2 da 330 a 350 ppm Neon Ne 18,18 ppm Elio He 5,24 ppm Monossido di azoto NO 5 ppm Kripton Kr 1,14 ppm Metano CH4 1 / 2 ppm Idrogeno H2 0,5 ppm Ossido di diazoto N2O 0,5 ppm Xeno Xe 0,087 ppm Diossido di azoto NO2 0,02 ppm Ozono O3 da 0 a 0,01 ppm Radon Rn 6,0×10-14 ppm Nota: 1 ppm (parte per milione) = 0,0001 % 9 INQUINAMENTO ATMOSFERICO Microsoft® Encarta® Enciclopedia Online 2008 L a contaminazione dell’aria ha luogo per immissione di sostanze gassose, liquide o solide che ne alterano la naturale composizione. Queste sostanze sono nocive per la salute dei viventi, provocando effetti tossici acuti a breve termine o cronici a medio e lungo termine; possono alterare il clima terrestre; corrodono materiali da costruzione e monumenti; possono essere sgradevoli all’olfatto e rendere malsani gli ambienti. La concentrazione nell’atmosfera delle sostanze inquinanti è misurata in microgrammi per m³ d’aria o, nel caso degli inquinanti gassosi, in parti per milione (ppm), ovvero in numero di molecole di inquinante per milione di molecole d’aria. Si distinguono sorgenti di inquinamento naturali e antropiche. Infatti, sebbene l’idea stessa di “inquinamento” sia solitamente associata agli effetti delle attività umane, va ricordato che composti virtualmente contaminanti derivano anche da fenomeni naturali. In quest’ultimo caso, tuttavia, le modificazioni ambientali possono essere in una certa misura riequilibrate dalla capacità dell’ambiente di tamponare le variazioni. Le attività umane, invece, hanno spesso effetti a lungo termine meno prevedibili e possono generare modificazioni irreversibili: le sostanze inquinanti prodotte dall’uomo spesso vengono immesse nell’ambiente in quantità ingenti e in tempi relativamente brevi. Generalmente, le sostanze inquinanti si disperdono nell’aria “diluendosi”. Il loro grado di concentrazione dipende da fattori quali le condizioni climatiche e meteorologiche, la temperatura, la velocità dei venti, lo spostamento dei grandi sistemi di alta o bassa pressione e la topografia locale. Normalmente, salendo in quota a partire dal livello del mare la temperatura diminuisce. Tuttavia, quando uno strato di aria fredda si incunea al di sotto di uno strato di aria calda si ha una situazione di inversione termica e l’aria fredda, essendo impossibilitata a salire, ristagna in prossimità della superficie. In questo modo viene ostacolata la dispersione delle sostanze inquinanti, la cui concentrazione, in periodi prolungati di alta pressione associata all’assenza di venti, può aumentare fino a livelli pericolosi per la salute. Nelle aree fortemente industrializzate o urbanizzate possono essere sufficienti tre giorni consecutivi di alta pressione stazionaria per far salire la concentrazione delle sostanze nocive oltre la soglia di allarme. Nel 1948 a Donora, in Pennsylvania, a causa di un’inversione termica la concentrazione degli inquinanti nell’aria crebbe a tal punto che più di 6000 persone accusarono disturbi all’apparato respiratorio e 20 addirittura morirono. A Londra l’eccessivo inquinamento atmosferico causò la morte di 3500-4000 persone nel 1952 e di altre 700 nel 1962. Tra i casi di contaminazione dell’aria con sostanze tossiche, se ne ricordano alcuni in modo particolare, per le tragiche conseguenze sulla popolazione e sull’ambiente. Il 10 luglio 1976 la città di Seveso, e alcuni paesi limitrofi della Brianza, furono contaminati da una nube di diossina sollevatasi dopo l’esplosione dello stabilimento chimico. Simbolo di quell’incidente (segnato dall’evacuazione della popolazione, da lunghe e 10 costose operazioni di bonifica dei terreni e da effetti sulla salute ancora oggi in fase di studio) fu l’immagine di bambini con il volto deturpato dalla cloracne (formazione di pustole di difficile cicatrizzazione). La gravità dell’accaduto e le polemiche che ne seguirono sancirono la necessità di stabilire una normativa adeguata in materia di sicurezza degli impianti chimici, valida a livello europeo. L’emissione di sostanze inquinanti nell’atmosfera può essere ridotta mediante particolari tecnologie. Una prima soluzione può essere quella di rivolgersi a fonti alternative di energia, come quella solare ed eolica. Il livello degli inquinanti contenuti nei gas di scarico delle automobili può essere ridotto facendo in modo che i carburanti vengano bruciati completamente e dotando i veicoli di marmitte capaci di trasformare i gas di scarico in miscele di sostanze meno inquinanti. L’Unione Europea ha emanato vari provvedimenti in tal senso, per adeguare i veicoli a nuovi standard; in particolare, tutte le automobili immatricolate a partire dal 1° gennaio 2006 devono avere il dispositivo Euro4, che consente di mantenere le emissioni inquinanti entro i valori fissati dalla normativa comunitaria. Inoltre, al carburante diesel e alla benzina possono essere preferiti il gas GPL e il gas naturale compresso GNC, che hanno prodotti di combustione meno nocivi e sviluppano assai meno monossido di carbonio; in alcuni paesi è già diffuso l’uso di biocombustibili come l’etanolo per autotrazione, e anche in Italia si comincia a discutere con maggiore attenzione sull’adozione di questo carburante. Il futuro “ecologico” dei veicoli sembra risiedere nel motore a idrogeno ma, al di là di alcuni prototipi, questa opzione non è ancora disponibile sul mercato. Le polveri emesse dagli impianti industriali possono essere filtrate e trattenute da speciali depuratori (vedi Filtro elettrostatico); gli inquinanti contenuti nei fumi e nelle emissioni gassose possono essere abbattuti mediante il lavaggio con sostanze liquide o solide, o inceneriti e ridotti in sostanze quasi inerti In molti paesi si è già provveduto a valutare a quali concentrazioni determinate sostanze possano provocare danni alla salute e a fissare, quindi, valori soglia che non devono essere superati. Per quanto riguarda le emissioni di inquinanti, sono state varate, inoltre, normative che ne fissano i limiti massimi ammissibili. Dato che l’inquinamento atmosferico, evidentemente, non rispetta i confini tra uno Stato e l’altro, esso può essere affrontato solo adottando piani d’azione internazionali. Due trattati, in particolare, sono considerati di particolare importanza nell’ambito della gestione dell’inquinamento atmosferico. Nel 1987, a Montréal, 35 paesi siglarono il trattato noto come “Protocollo di Montréal” sulla protezione dell’ozonosfera, con il quale si sono impegnati a ridurre gradualmente la produzione e l’uso dei principali clorofluorocarburi (ponendosi come obiettivo una riduzione del 50% entro il 1998). Il protocollo fu rinegoziato a Londra nel 1990 ed è in vigore nei paesi dell’Unione Europea dal gennaio 1991. Dieci anni dopo Montréal, nel 1997, fu la volta del “Protocollo di Kyoto”, che sanciva l’impegno dei paesi firmatari a ridurre le proprie emissioni entro determinati valori entro il 2008-2012. Di fatto, la ratifica e l’attuazione nei singoli paesi del trattato internazionale si è presentata irta di ostacoli; oggi molti esponenti della comunità scientifica ritengono di difficile realizzazione il raggiungimento dei suoi obiettivi. 11 IL SUOLO Da Wikipedia, l'enciclopedia libera P er suolo si intende lo strato superficiale che ricopre la crosta terrestre, derivante dall'alterazione di un substrato roccioso, chiamato roccia madre, per azione chimica, fisica e biologica esercitata da tutti gli agenti superficiali e dagli organismi presenti in o su di esso. Esso rappresenta una risorsa naturale importante perché consente la crescita della vegetazione spontanea e di conseguenza un ambiente ricco e vario dove vivono molte forme di vita, principalmente microrganismi e insetti. Qui, grazie alla presenza di una microflora e microfauna, si completano i cicli dell’azoto, del carbonio e del fosforo che sono fondamentali per tutti gli esseri viventi. Il suolo è anche una fonte di cibo perché permette la crescita delle colture agricole e l’allevamento del bestiame; inoltre fornisce il legname che viene usato da una parte della popolazione terrestre come combustibile. Il suolo è costituito da particelle solide, acqua e aria miscelate tra loro. Le particelle solide possono avere natura inorganica od organica. I costituenti inorganici sono in massima parte dei minerali: silicati, ossidi e idrossidi di ferro, alluminio, manganese, ecc., che secondo la loro dimensione si classificano in scheletro e terra fina, a sua volta suddivisa in sabbia, limo ed argilla. Questi derivano dall’alterazione della roccia in materiale più piccolo e incoerente che si accumula a formare i depositi superficiali. L’accumulo del materiale incoerente può avvenire nel luogo dove è stata disgregata la roccia o in altri luoghi se viene trasportato dai fiumi, dal vento, dai ghiacciai e dalla forza di gravità. Dai processi di degradazione cui vanno incontro i residui di vegetali (foglie, frutti, rami secchi o intere piante) ed animali morti deriva, invece,La frazione organica del suolo. I composti organici possono mantenersi inalterati per lunghi periodi (composti nonumici) o andare incontro a profonde e veloci trasformazioni della loro struttura chimica originaria (composti umici o humus).L'acqua e l'aria occupano gli spazi liberi tra le particelle solide (pori), collegati fra loro a formare una fitta ed estesa rete che rende possibile il movimento dell'acqua nel suolo. Il suolo può comprendere sia sedimenti sia regolite.Il suolo è composto da una parte solida (componente organica e componente minerale), una parte liquida e da una parte gassosa. Un suolo si origina dall'alterazione, per via fisica, chimica e biologica (detta, in inglese, weathering) di un substrato pedogenetico, vale a dire un accumulo di materiale disgregato e inconsolidato derivante da alterazione di qualche tipo di roccia; solo raramente un suolo si sviluppa direttamente da roccia in posto (come è il caso, ad esempio di alcuni suoli sviluppatisi direttamente su marne). Ad un certo punto del cammino di formazione di un suolo compare anche la frazione organica, originata dal lento accumularsi di resti organici (animali, piante, funghi, batteri), una parte dei quali 12 viene complessata (attraverso l'attività dei microrganismi) fino ad essere trasformata in composti resistenti alla degradazione (humus).Il percorso di formazione di un suolo varia moltissimo in dipendenza dell'ambiente in cui si trova a svilupparsi, le cui caratteristiche dipendono dall'intensità di alcuni, ben definiti, fattori pedogenetici: • • • • • il clima; la topografia; la componente biotica; la roccia madre; il tempo. Il livello di espressione di questi fattori di pedogenesi determina varie successioni di eventi aventi luogo in un suolo o che hanno effetti su di esso; queste successioni di eventi vengono chiamati processi pedogenetici.Con il termine di degradazione dei suoli si intendono dei processi degenerativi che si traducono nella scomparsa di un suolo o nella sua perdita di capacità di fungere da substrato per le comunità biologiche che normalmente vi si sviluppano. La degradazione dei suoli è generalmente accostata a errati utilizzi da parte dell'uomo; tuttavia, esistono dei casi di degradazione del suolo anche in condizioni perfettamente naturali. Le modalità di degradazione dei suoli possono ricondursi a tre tipologie: • • • erosione salinizzazione urbanizzazione Lo spessore del suolo dipende dalla pendenza del terreno. Se il terreno è in pendenza i detriti di roccia non si accumulano sul posto perché, per azione della forza di gravità, rotolano verso il basso. Se il terreno è molto ripido, il suolo è del tutto assente come si può osservare sulle pareti rocciose in montagna. Il fattore più attivo nella genesi del suolo è indubbiamente il clima: gli elementi maggiormente coinvolti sono l'intensità e la frequenz a delle piogge, l'evaporazione, la temperatura ed i venti. Senza l'acqua delle precipitazioni le attività chimiche e biologiche non sono possibili. Infatti, l'acqua discioglie una parte dei sali minerali contenuti nel suolo: questi possono reagire fra di loro dando origine a composti assimilabili da piante e animali. Tuttavia un eccesso di pioggia può filtrare i sali e allontanarli durante lo scorrimento (lisciviazione), impoverendo il suolo stesso. Così, ad esempio, nei climi caldi dove le precipitazioni sono particolarmente intense (come nelle zone equatoriali), molti sali ed elementi nutritivi (come l'azoto, il calcio, il sodio, il potassio, ecc.) vengono rimossi e il suolo diventa meno fertile. Viceversa nei climi aridi la poca acqua contenuta nel suolo evapora portando in superficie i sali disciolti: il suolo è altrettanto poco fertile ma perché è diventato troppo salino. La temperatura può agire in diversi modi: in genere l'attività chimica e biologica è favorita dalle alte temperature, mentre è ridotta dal freddo e cessa quando l'acqua del suolo è gelata. Così nei suoli tropicali il materiale organico ed inorganico è del tutto alterato chimicamente, mentre nei suoli gelati della tundra esso si presenta frantumato, ma solo meccanicamente; difatti l'acqua penetra nelle fessure delle rocce, trasformandosi in ghiaccio, aumenta di volume e le frantuma. Anche il vento interviene attivamente nel processo pedogenetico: esso può incrementare l'evaporazione, e, nelle regioni 13 aride che mancano di una copertura vegetale, può sollevare e trasportare per lunghe distanze la parte superficiale del suolo (erosione eolica), che si va poi ad accumulare in zone diverse da quella di origine. Il suolo è parte importante del paesaggio e contribuisce a determinare il modo in cui la vegetazione naturale, le coltivazioni e gli insediamenti umani si distribuiscono sul territorio. Ma l'importanza del suolo risiede soprattutto nella sua duplice funzione di riserva degli elementi nutritivi e dell'acqua e di supporto meccanico (come farebbero a stare in piedi le piante se non avessero il suolo in cui affondare le radici?) per la vegetazione, consentendo la formazione di boschi, foreste ed aree protette. L'osservazione diretta ci consente di riconoscere l'effetto fondamentale della presenza del suolo: se facciamo un'escursione in montagna o in campagna possiamo vedere che accanto ad affioramenti di roccia nuda, sui quali difficilmente attecchiscono le piante, si estendono zone più o meno ampie in cui le rocce sono ricoperte da una coltre di suolo. È proprio su questo terreno che si sviluppa la vegetazione spontanea o si piantano le colture agricole. Il suolo, inoltre, riveste un ruolo di fondamentale importanza per l'uomo e gli altri organismi viventi poiché influenza la composizione delle acque. Infatti, la qualità delle riserve idriche sotterranee dipende dal destino dei prodotti inquinanti, inorganici ed organici, provenienti dalle attività agricole, industriali o dalle città e che finiscono nel suolo. Diverse proprietà chimiche e fisiche del suolo agiscono sulla concentrazione e sulla permanenza dei singoli composti inquinanti nel terreno, e quindi sulla probabilità che essi entrino in contatto con le falde acquifere superficiali contaminandole. Il suolo può avere un grande valore per l'uomo anche se è lasciato indisturbato e mantenuto nelle sue condizioni naturali. E' il caso delle aree protette (parchi e oasi): la sopravvivenza dei delicati ecosistemi di queste zone dipende anche e soprattutto dal fatto che il suolo si mantenga in buono stato e non subisca modificazioni da parte dell'uomo. Ad esempio, un tempo l'uomo considerava le zone umide come aree malsane da bonificare e destinare all'agricoltura. Oggi le zone umide sono considerate ecosistemi importanti e fragilissimi, la cui sopravvivenza può essere assicurata solo mediante un'azione attenta di mantenimento delle condizioni particolari del suolo. L’agricoltura è quella che determina una trasformazione del suolo maggiore e costituisce la forma più imponente di sfruttamento delle risorse rinnovabili (acqua, suolo, flora, fauna e atmosfera) del nostro pianeta. Essa rappresenta, infatti, l'attività produttiva principale, addirittura quasi esclusiva, di moltissimi paesi in particolare di quelli delle regioni tropicali e subtropicali. L'agricoltura utilizza il terreno per ottenere alimenti (frutta, verdura, radici e altri parti di piante che costituiscono il nutrimento quotidiano di base per più di nove decimi dell'umanità), fibre ed altri beni utili all'uomo. Praticata a quasi tutte le latitudini, si presenta in forme estremamente varie: da quella primitiva a scarso reddito delle zone più povere della Terra (Africa, Asia e America centromeridionale), a quella moderna, ad elevata produttività per unità di superficie, delle regioni temperate (Europa e Nord America). Nel corso degli ultimi anni, per far fronte alle esigenze alimentari della popolazione mondiale in crescita (senza però poter ampliare la superficie dei terreni coltivabili perché non produttivi o perché occupati dalle città), l'agricoltura ha subito una vera e propria rivoluzione. Essa è diventata intensiva, cioè ad alta produzione per unità di superficie, e specializzata, ossia rivolta verso la coltivazione di poche colture selezionate e migliorate per essere più produttive o qualitativamente migliori. Tutto ciò è stato conseguito grazie al progresso delle tecniche e delle tecnologie agronomiche, all'introduzione di sistemi di irrigazione sempre più efficienti ed al crescente uso di fertilizzanti chimici e di fitofarmaci di facile impiego ed economicamente convenienti, anche se in alcuni casi inquinanti. 14 L'INQUINAMENTO DEL SUOLO L'inquinamento del suolo è un fenomeno di alterazione della composizione chimica naturale del suolo causato dall'attività umana. Fra le sue cause principali si contano: • • • • • • • • rifiuti non biodegradabili acque di scarico prodotti fitosanitari fertilizzanti idrocarburi diossine metalli pesanti solventi organici Questo tipo di inquinamento porta all'alterazione dell'equilibrio chimico-fisico e biologico del suolo, lo predispone all'erosione e agli smottamenti e può comportare l'ingresso di sostanze dannose nella catena alimentare fino all'uomo. Le sostanze che raggiungono le falde acquifere sotterranee, inoltre, possono danneggiare il loro delicato equilibrio. Le interferenze con queste ultime possono manifestarsi e, di conseguenza, causare alterazioni pericolose nelle acque potabili, e quindi in quelle utilizzabili dall'uomo. I maggiori effetti sulla salute sono legati al contatto diretto delle persone con zone di terra contaminata e particolarmente frequentata. Di rilievo tossicologico sono l'assunzione di acqua contaminata, l'ingresso di tossici nella catena alimentare (ad esempio tramite gli animali che hanno pascolato su un terreno inquinato o il consumo di ortaggi) e l'inalazione di composti vaporizzati. Esiste un'ampia gamma di effetti sulla salute, acuti e soprattutto cronici, che possono manifestarsi a livello clinico; l'entità del danno biologico è legata a diverse variabili, 15 tra le quali: natura chimica del contaminante, modalità di esposizione, quantità di contaminante presente, durata dell'esposizione, fattori genetici individuali. Il cromo e diversi prodotti fitosanitari sono cancerogeni. Il piombo è particolarmente pericoloso per i bambini piccoli, nei quali c'è un alto rischio di sviluppare danni cerebrali e al sistema nervoso, mentre più in generale il rischio è legato a danni renali. Anche mercurio e ciclodieni sono noti per indurre una maggiore incidenza di danno renale, talvolta ir reversibile. Le diossine sono noti cancerogeni nonché composti molto tossici che tendono anche a concentrarsi lungo l'avanzare della catena alimentare. L'esposizione cronica al benzene a concentrazioni sufficienti è notoriamente associata a una maggiore incidenza di leucemia. I policlorobifenili e i ciclodieni sono collegati a tossicità epatica. Gli organofosfati e i carbammati, presenti in molti prodotti fitosanitari, possono indurre una catena di effetti legati all'inattivazione dell'acetilcolinesterasi e che portano al blocco neuromuscolare. Molti solventi clorurati provocano danni epatici, renali e depressione del sistema nervoso centrale. Esiste un intero spettro di ulteriori effetti sulla salute come mal di testa, nausea, affaticamento, irritazione oculare e rash cutanei, legati alle sostanze già citate e ad altre. L'inquinamento del suolo può avere significative conseguenze deleterie per gli ecosistemi. Possono avvenire cambiamenti radicali della chimica del suolo che possono scaturire da molte sostanz e chimiche pericolose persino a basse concentrazioni delle specie inquinanti. Questi cambiamenti possono manifestarsi nell'alterazione del metabolismo dei microrganismi e artropodi che vivono in un dato ambiente terreno. Il risultato può essere l'eventuale eradicazione di una parte della catena alimentare primaria, che a sua volta ripercuote le conseguenze maggiori sui predatori o sulle specie dei consumatori. Anche se gli effetti delle sostanze chimiche sulle forme di vita inferiori possono essere di lieve entità, si può avere normalmente un bioaccumulo che tende a concentrare la quantità stessa di sostanze lungo l'avanzamento della catena alimentare. Molti di questi effetti sono ben noti, come l'accumulo di DDT in consumatori aviari che conduce all'indebolimento dei gusci d'uovo, con il conseguente incremento della mortalità dei pulcini e il rischio potenziale dell'estinzione delle specie.Gli effetti si manifestano anche sui terreni adibiti all'agricoltura e che risentono di un dato livello di inquinamento. Gli inquinanti tipicamente alterano il metabolismo delle piante, il cui risultato più comune è la diminuzione della produzione di raccolto. Questo rappresenta un effetto secondario sulla conservazione del suolo, dato che la diminuzione dei raccolti favorisce i fenomeni di erosione. Alcuni dei contaminanti chimici possiedono lunga persistenza, mentre in altri casi si formano dei composti chimici derivati in seguito a reazioni secondarie che avvengono nel suolo stesso. Il rimedio principale all'inquinamento del suolo consiste nell'attuazione di corrette politiche di gestione dei rifiuti sensibili ai risvolti ambientali, nonché nell'emanazione e rispetto di specifiche normative volte alla sostenibilità ambientale e alla tutela dell'ambiente naturale. Il riciclaggio, recupero e reimpiego di materiali quali carta, vetro, plastica, metalli, svolge un ruolo importante nella prevenzione e riduzione a monte del pericolo di inquinamento. Molti prodotti chimici possono essere anch'essi recuperati e riciclati, ovvero smaltiti opportunamente dopo essere stati posti a trattamenti che ne annullano o riducono la pericolosità. L'inquinamento del suolo può essere contrastato col rimboschimento dei territori forestali o mediante procedimenti di bonifica. La porzione di terreno inquinata può essere rimossa tramite escavazione e posta in zona di confinamento in modo che non si abbiano rischi per gli esseri umani o ecosistemi sensibili. Importante è l'affermarsi dei cosiddetti biorimedi, metodiche che sfruttano la digestione microbica di particolari sostanze organiche. 16 MORTE DEL LAGO DI ARAL Storia di un disastro ambientale misconosciuto "Grande lago, in estensione il quarto della terra": così la definizione del lago di Aral in una qualsiasi enciclopedia degli anni '50-'60.Oggi, il lago di Aral rappresenta uno dei maggiori disastri ambientali mondiali ed è l'emblema dell'insipienza umana nel valutare il rapporto costi/benefici nell'ambito dello sfruttamento delle risorse del pianeta. olti laghi sulla superficie terrestre presentano un comportamento dinamico e mostrano, a causa di una miscela di fenomeni naturali ed antropici, la tendenza a ridursi (Ciad, Urmia) o addirittura a sparire completamente (Lop Nor). In questo ambito, il lago di Aral rappresenta un caso unico sia per le dimensioni dell’evento che per il fatto di essere stato deliberatamente “sacrificato” dai pianificatori sovietici. Il lago di Aral costituiva una ricchezza per le popolazioni che abitavano lungo le sue coste. Moynaq era un porto importante, ed il lago fonte di vita per migliaia di famiglie: nel 1957 il pescato ammontava a 26.000 tonnellate e consentiva un buon tenore di vita non solo ai pescatori ma anche a tutti gli operai che lavoravano nelle industrie ittiche conserviere e nei cantieri navali della zona. Poi venne la scellerata decisione dei pianificatori sovietici di trasformare l'Uzbekistan in uno sterminato campo di cotone. Un'area pari a quella dell'Irlanda doveva essere costantemente irrigata per consentire la crescita regolare delle piantagioni e - per far sì che l'acqua non mancasse - si decise di deviare il corso dei fiumi Amu Darya e Syr Darya, immissari del lago d'Aral. E così, anno dopo anno, decennio dopo decennio, il Lago d'Aral cominciò a prosciugarsi passando dagli originari 68.000 kmq agli attuali 24.900! Non era mai stato molto profondo e le terre cominciarono ad affiorare. Dal 1987 l'Aral si è diviso in due: il Grande e il Piccolo Aral; quest'ultimo ultimamente si è diviso a sua volta in due grandi pozze.Moynaq e gli altri porti oggi distano un'ottantina di km dall'acqua, ma la linea di costa è arretrata in alcuni punti anche di 150 km. Laddove c'era acqua e una ricca flora e fauna (pensate: c'erano addirittura le foche!) oggi c'è una distesa di sabbia giallastra e qualche relitto di peschereccio ancora affiorante (la gente del posto li ha smantellati piano piano nel tentativo di ricavarne rottami da riutilizzare). . In primo luogo, la salinità accresciuta dell'acqua non ha più permesso la pesca, che rappresentava la maggior risorsa economica delle popolazioni residenti sulla riva del lago. Delle 24 specie ittiche, ne sono rimaste solo 4. Le condizioni del suolo non sono certo migliori: le dune di sabbia del deserto del Kyzyl Kum avanzano dove prima vi erano le acque del lago; la terra nuda è ricoperta da una coltre di sale reso tossico dall’apporto di fertilizzanti e defolianti utilizzati per molti anni nelle piantagioni di cotone. Non sono questi però purtroppo i veleni più pericolosi di cui preoccuparsi: la piccola isola, visibile al centro del bacino sud nella mappa del 1850, ha ospitato per decine di anni i laboratori sovietici per lo sviluppo delle armi chimiche e batteriologiche, abbandonati dopo il 1989. M Vozrozhdeniye… Probabilmente questo nome vi non dirà assolutamente nulla. In russo significa "rinascita", in realtà è diventato sinonimo di morte. Diciamo che, quando l'Aral era un lago, Vozrozhdeniye era un'isola. Non la troverete in nessun atlante, ma esiste davvero anche se oggi non è più un'isola irraggiungibile: sceso il livello dell'acqua, a Vozrozhdeniye ci si potrebbe arrivare facilmente perché solo un po' d'acqua la separa dalla terraferma. Ci si potrebbe arrivare facilmente…ma è meglio che non vi avviciniate nemmeno. Sì, perché Vozrozhdeniye era una base segreta russa dove si sperimentavano armi batteriologiche e chimiche. Proprio quelle capaci di diffondere vaiolo, 17 peste, brucellosi, febbre del Queensland ed altre malattie micidiali e dimenticate. Quasi nessuno dei familiari degli scienziati che lavoravano sull'isola era vaccinato contro i letali agenti patogeni che qui venivano sperimentati, "ci si limitava a compiere gli esperimenti solo se il vento soffiava verso sud, lontano dalle abitazioni…". Ci sarebbero anche "sepolti" bidoni, ormai corrosi, contenenti centinaia di tonnellate di bacilli di antrace (e non sono leggende metropolitane perché tracce di contaminazione da antrace sono già state trovate e sembra che una micidiale melma di antrace e candeggina abbia cominciato a filtrare nella sabbia).Insomma, un potenziale bellico micidiale e pericolosissimo, lasciato lì a disposizione di qualche terrorista, abbandonato perché i soldi necessari per una bonifica sembra non li abbia nessuno. A concludere il quadro desolante aggiungiamo che i cambiamenti del microclima (con temperature fino a –35°C d’inverno e 50°C d’estate), causati dal venire meno della funzione regolatrice delle acque del lago, hanno accelerato il processo di evaporazione delle acque e rinforzato l’azione del vento che disperde i sali avvelenati sulle zone agricole circostanti. Nonostante tutto concludiamo questa rassegna con un barlume di ottimismo e speranza! Dal 1996 il bacino nord (Piccolo Aral) ha stabilizzato la sua superficie a causa del ritrovato afflusso delle acque del Sir-Dar’ja. Ed è proprio da questo bacino che giungono le uniche buone notizie: sulle rive del lago da qualche anno sono riapparsi pellicani e cormorani. Ricapitolando: • residui batteriologici e chimici • tonnellate di pesticidi e defolianti usati nei campi di cotone che finiscono nelle acque residue del lago • altissima salinità delle acque (circa 50 grammi x litro). • parte dei suoli inariditi e salinizzati vengono spazzate dai venti che spirano costantemente e vanno a formare 47 milioni di tonnellate di polveri tossiche che si riversano sulle aree agricole circostanti raggiungendo anche gli angoli più remoti del nostro pianeta (sono state trovate anche sull'Himalaya! Addirittura il 10% delle polveri della Terra proverrebbe dall'Aral) • catena alimentare gravemente compromessa in ogni suo gradino. Per di più non si può più coltivare nulla, la tradizionale coltivazione del riso nel delta è diventata impossibile poiché il riso sopporta solo una minima concentrazione di sale sia in acqua che in terra. • acque del lago che non sono più in grado di regolare la temperatura ambientale (si va dai 35° C in inverno ai + 50° C in estate) e ciò ha modificato il clima di un'estesissima area. E la gente del posto? Coloro che in questo inferno sono costretti a vivere? La gente del posto si ammala e muore nell'indifferenza più totale. L'elenco delle malattie è terribile e secondo l'organizzazione Medici senza Frontiere in Asia centrale si registrano le peggiori condizioni sanitarie del pianeta. Il 97% delle donne soffre di anemia con aumento delle emorragie durante il parto, 80 bambini su 1000 muoiono nei primi anni di vita (la media italiana è di 8 per mille), numerosi sono i casi di malformazioni, il 60% di loro è malato. Sono aumentati in misura esponenziale i casi di cancro al fegato, alla gola, le epatiti, le tubercolosi, le malattie dell'apparato respiratorio, le patologie renali e le infezioni virali. Non si contano i casi di tifo, paratifo e dissenteria. La speranza di vita è di 40 anni. Dice un proverbio uzbeko: "All'inizio bevi l'acqua, alla fine il veleno". E questo, nel silenzio folle e colpevole di tutti. 18 LA CARTA La carta è un materiale costituito da materie prime fibrose, generalmente vegetali, unite per feltrazione ed essiccate. A seconda dell'uso a cui è destinata alla carta possono essere aggiunti collanti, cariche minerali, coloranti ed additivi diversi. È un materiale igroscopico. Il materiale più comunemente usato è la polpa di legno, solitamente legno tenero come per esempio l'abete o il pioppo, ma si usano anche altre fibre come cotone, lino e canapa. Premettendo che non esistono attività di produzione/trasformazione industriale che in qualche modo non influenzino l'ambiente, anche nel caso dell'industria cartaria i principali problemi sono da ricercare nel reperimento delle materie prime e nel loro trattamento. La materia prima più usata attualmente per la produzione di carta è il legno, la ricerca del quale ha portato molte industrie della carta a contribuire alla deforestazione. Diversi grandi produttori asiatici, per esempio la Cina, con la connivenza dei governi locali interessati hanno sistematicamente devastato la foresta pluviale per anni. In altri casi si è ricorso a sotterfugi per nascondere la provenienza del materiale. In questo modo sono esposte ad eccessi di impoverimento ambientale le foreste dell'Indonesia, Malesia, Cambogia e Amazzonia. Anche il processo di produzione e di riciclo presenta aspetti critici dipendenti, fra l'altro, dai processi di stampa con cui è trattato il materiale cellulosico da recuperare. Il necessario processo di sbiancamento della cellulosa si basa spesso sull'uso di composti ossidanti, spesso derivati del cloro, che, se dispersi o non opportunamente trattati, possono inquinare i corsi d'acqua. Per evitare questi problemi esistono essenzialmente due soluzioni: il recupero del materiale per produrre carta riciclata, che presenta tuttavia caratteristiche che non la rendono adatta a tutte le applicazioni e il cui aspetto ne rende difficile la commercializzazione, oppure l'abbattimento esclusivo di alberi piantati allo scopo e il loro successivo reimpianto. 19 Il riciclaggio della carta è un settore specifico del riciclaggio dei rifiuti. Gli impieghi fondamentali della carta sono: 1. supporto fisico per la scrittura e la stampa; 2. materiale da imballaggio. Si tratta di prodotti di uso universale, con indici crescenti di produzione e di domanda, e il cui utilizzo ha a valle una forte e diffusa produzione di rifiuti. Come tutti i rifiuti, la carta pone problemi di smaltimento. La carta è però un materiale riciclabile. Come il vetro, infatti, la carta recuperata può essere trattata e riutilizzata come materia seconda per la produzione di nuova carta. La trasformazione del rifiuto cartaceo (che si definisce carta da macero) in materia prima necessita di varie fasi: • raccolta e stoccaggio (in questa fase è particolarmente rilevante che le amministrazioni locali richiedano e organizzino la raccolta differenziata dei rifiuti); • selezionamento (per separare la fibra utilizzabile dai materiali spuri - spaghi, plastica, metalli - che normalmente sono incorporati nelle balle di carta da macero); • sbiancamento (per eliminare gli inchiostri) A questo punto del ciclo, la cellulosa contenuta nella carta-rifiuto è ritornata ad essere una materia prima, pronta a rientrare nel ciclo di produzione. Dal punto di vista economico, il riciclaggio è sicuramente meno oneroso che l'incenerimento. È ovvio che la carta riciclata non produce un pari peso di carta "nuova" (sicché per fare una tonnellata di carta nuova ci vuole normalmente - e comunque in misura variabile a seconda degli impianti e del prodotto fabbricato - anche una certa percentuale di cellulosa fresca, proveniente da alberi), e che il procedimento ha i propri costi - economici, energetici e di inquinamento. Tuttavia: • • • nelle fabbriche che producono carta per giornali da carta da giornali riciclata non si usa più cellulosa proveniente da alberi; il costo della materia prima riciclata è notevolmente più basso di quello della pasta di legno, i relativi scarti possono essere utilizzati come combustibile cogeneratore del vapore necessario al processo di fabbricazione, e la produzione è meno inquinante; il riciclaggio riduce la quantità di rifiuti da trattare, i relativi costi di stoccaggio, lo spreco di spazio da destinare allo stoccaggio medesimo, l'inquinamento da incenerimento, e ovviamente il consumo di alberi vivi (anche se gli alberi impiegati per la produzione della carta provengono da vivai a coltivazione programmata dove vengono periodicamente tagliati e ripiantati). 20 P RICICLAGGIO DEI RIFIUTI er riciclaggio dei rifiuti si intende tutto l'insieme di strategie volte a recuperare materiali dai rifiuti per riutilizzarli invece di smaltirli. Possono essere riciclate materie prime, semilavorati, o materie di scarto derivanti da processi di lavorazione, da comunità di ogni genere (città, organizzazioni, villaggi turistici, ecc), o da altri enti che producono materie di scarto che andrebbero altrimenti sprecate o gettate come rifiuti. Il riciclaggio previene lo spreco di materiali potenzialmente utili, riduce il consumo di materie prime, e riduce l'utilizzo di energia, e conseguentemente l'emissione di gas serra. Il Riciclaggio è un concetto chiave nel moderno trattamento degli scarti ed è un componente insostituibile nella gerarchia di gestione dei rifiuti. L'evidente problema della gestione dei rifiuti è diventato sempre più di rilevanza nazionale. La smodata crescita dei consumi e dell'urbanizzazione hanno, da un lato, aumentato moltissimo la produzione dei rifiuti e, dall'altro, ridotto le zone disabitate in cui trattare o depositare i rifiuti. La società moderna oggi si trova quindi costretta gestire una grande quantità di rifiuti in spazi sempre più limitati. Una situazione in cui si alimenta anche il traffico e lo smaltimento illegale dei rifiuti. L'uso delle discariche, pur avendo in sé costi bassi, comporta uno spreco di materiale che sarebbe almeno in parte riciclabile nonché l'uso di vaste aree di territorio e non configura la soluzione ottimale; inoltre crea grandi concentrazioni di rifiuti con possibili conseguenze sull'ambiente. Gli inceneritori, invece, basano il loro funzionamento sull'incenerimento dei rifiuti: gli impianti più recenti sfruttano la combustione così ottenuta recuperando un minimo di energia elettrica e calore ma posso no provocare emissioni tossico-nocive (in particolare di polveri sottili e di diossine). A monte del riciclaggio e della raccolta differenziata, assume rilevanza il tema della prevenzione dei rifiuti, della responsabilità sociale dei produttori e di un ins ieme di leggi volte alla riduzione degli imballaggi, all'uso di materiali biodegrabili, come le bioplastiche, e di pile ricaricabili. Il riciclaggio è sicuramente più complesso dello smaltimento in discarica o negli inceneritori cui non si sostituisce ma che ne limita comunque l'utilizzo. Si parla di sistema di riciclaggio riferendosi all'intero processo produttivo e non soltanto alla fase finale; questo comporta: • l'uso di materiali biodegradabili per la produzione dei beni, che facilitano lo smaltimento "naturale" della materia nel momento in cui il prodotto si trasforma in rifiuto • l'uso di materiali riciclabili come il vetro, i metalli o polimeri selezionati, evitando anche i materiali accoppiati, più difficili o impossibili da riciclare • la raccolta differenziata dei rifiuti, passaggio fondamentale del processo In questo modo la separazione dei materiali riduce i costi di ritrattamento. Per realizzare una raccolta differenziata efficace è di grande importanza la fase di differenziazione attuata dai singoli utenti. L'adozione di tecniche avanzate per il recupero di ulteriore materiale riciclabile dal rifiuto indifferenziato (ad esempio il trattamento meccanico-biologico) Il riciclaggio apre un nuovo mercato in cui nuove piccole e medie imprese recuperano i materiali riciclabili per rivenderli come materia prima o semilavorati alle imprese produttrici di beni. Un mercato che si traduce pertanto in nuova occupazione. 21 Il riciclaggio è stato spesso criticato per: • i costi ambientali del processo della trasformazione dei rifiuti • il basso rendimento nella quantità delle materie prime ottenute • la bassa qualità dei prodotti finali Un'ulteriore critica è stata che per come è stato pubblicizzato tra la popolazione, ha diffuso l'idea che esso giustifica condotte consumistiche. I sistemi più efficaci per la gestione dei rifiuti sono invece quelli basati sulla riduzione dei rifiuti e sul loro riuso (tecnicamente definito reimpiego), in cui, una volta terminato l'utilizzo di un oggetto esso non va ad aumentare la mole dei rifiuti, ma, dopo un semplice processo di pulizia viene utilizzato nuovamente senza che i materiali di cui è composto subiscano trasformazioni. L'esempio tipico è quello delle bottiglie in vetro come contenitori di latte ed acqua, che invece di essere frantumate possono essere riempite nuovamente senza passare per costosi (soprattutto da un punto di vista ambientale) processi di trasformazione. La mancanza in molti stati di politiche di sostegno del riuso con incentivi e disincentivi, fanno sì che al giorno d'oggi la gran parte dei contenitori, delle confezioni e degli imballaggi sia invece ancora costituita da plastica e carta e non possa quindi essere riutilizzata tal quale. La scelta delle imprese è ovviamente una scelta economica che cade inevitabilmente su questi prodotti dal costo finanziario ridotto, anche se dall'elevato impatto ambientale. Uno dei Paesi che applicano significativamente le tecniche della riduzione e del riuso è la Danimarca, in cui, grazie ad una legislazione favorevole, ben il 98% delle bottiglie in commercio è riutilizzabile, ed il 98% di esse torna indietro ai consumatori senza essere riciclato. [1]. La Germania invece raggiunge un tasso di riciclaggio di oltre il 50%. I materiali riciclabili sono tutti i rifiuti che possono venire riutilizzati per produrre nuovi oggetti uguali allo scarto (vetro, carta) oppure utilizzati per produrre nuovi materiali (legno, tessuti). Le materie prime che possono essere riciclate sono: • legno • vetro • carta e cartone • tessuti • pneumatici • alluminio • acciaio • alcune materie plastiche • frazione organica (avanzi di cibi ecc.) Essendo molto usata per gli imballaggi, la plastica è uno dei principali componenti dei rifiuti solidi; inoltre, dato che non è biodegradabile e che produce diossina se bruciata, è fondamentale riciclarla quanto più possibile. Molti tipi di plastica possono essere facilmente riciclati (è il caso del PET principalmente avviato alla produzione di nuovo polimero, di poliesteri, e su cui è attiva l'organizzazione europea PetCore ), mentre per altri tipi (specie di bassa qualità e/o termoindurenti) la procedura è più complessa, in quanto il costo di rilavorazione è generalmente superiore al costo di produzione di plastica nuova. Pertanto le numerosissime materie plastiche presenti sul mercato non possono essere mescolate fra di loro: un circolo vizioso da cui è difficile uscire, ma non impossibile (basta averne la volontà politica): impianti a tecnologia avanzata permettono ad esempio di separare automaticamente le varie tipologie di plastiche in tempi rapidi e quindi economicamente vantaggiosi, e sono già stati adottati in diversi paesi. 22 L'ULTIMO GRANDE POLMONE DELLA TERRA RAPPORTO DI GREENPEACE L'Amazzonia è qualcosa di più di un ecosistema, di una grande foresta, di un immenso paese da proteggere: l'Amazzonia è il nostro futuro. Non più di un quinto delle foreste originarie del pianeta è rimasto intatto. La metà di ciò che resta è minacciata dalle attività minerarie, agricole e soprattutto dall'estrazione commerciale di legname. L'Amazzonia brasiliana è la più grande estensione al mondo di foresta primaria: 370 milioni di ettari, un terzo del totale di tutto il Pianeta. Non basterebbe un'intera biblioteca per descriverne le immense vastità, le meraviglie, i contrasti. Una grande parte del suo patrimonio è ancora sconosciuta. Quello che possiamo fare è proteggere l'ultimo grande polmone del pianeta. L’allarme di Greenpeace è perentorio: le multinazionali del legname stanno minacciando l'integrità di questa terra meravigliosa. Dopo aver esaurito le foreste del Sudest Asiatico e dell'Africa Centrale, le grandi compagnie asiatiche, nordamericane ed europee si stanno ora spostando sull'Amazzonia brasiliana, attratti dall'incredibile volume di legname presente in Amazzonia, circa 60 miliardi di m?. Si tratta di 23 compagnie dotate di grande potere economico, alcune delle quali con consolidata fama di abusi sociali e ambientali. Fino ai primi anni '70, il 99 % della foresta amazzonica era ancora intatto. Alla metà degli anni '80 il 13,7 % era compro messo: in appena tre decenni, sono stati distrutti più di 55 milioni di ettari di foresta, l’equivalente di una regione vasta quanto la Francia. Nel corso degli ultimi decenni la quota amazzonica nella produzione di legname del Brasile è salita dal 14 % all' 85 %, tanto che solo nel 1997 la regione ha fornito almeno 28 milioni di mq di legname. Fonti ufficiali ammettono che l'80 % di tale produzione è illegale. Ma anche l'estrazione considerata legale è altamente distruttiva: impiega tecnologie inadeguate così che due terzi del legname viene sprecato. L'estensione dell'Amazzonia Ogni anno, in aree isolate e inaccessibili, l'industria del legname penetra nella foresta, devastandone aree immense che non compaiono nelle statistiche ufficiali. Tra l'agosto del 1997 e l'agosto del 1998 in Brasile, l'industria del legname ha spazzato via 1.683.000 ettari di foresta primaria amazzonica, preparando il terreno ad altre attività altrettanto distruttive quali l'allevamento e l'agricoltura attraverso l’apertura di nuove strade. Nel solo stato del Pará sono state aperte vie di comunicazione per 3.000 chilometri, benché fino ad oggi vi abbiano operato piccole e medie imprese dotate di mezzi ridotti. Quanto più la zona di estrazione penetra in profondità nella foresta, tanto più si allentano i controlli da parte dell'agenzia ambientale brasiliana. In queste condizioni si diffondono pratiche illegali di sfruttamento forestale, il taglio di specie 24 protette, l'invasione di terre abitate dalle popolazioni indigene. Molto spesso, dopo il taglio degli alberi, la residua foresta è data alle fiamme e sulle sue ceneri vengono seminate piante erbacee a crescita rapida, la cui natura infestante impedisce la crescita di nuovi alberi. Ma anche i pascoli spesso durano poco: in breve tempo il sottilissimo manto fertile della foresta si consuma senza rigenerarsi e, priva della protezione dei rami, l'umidità viene asciugata dal sole lasciando spettrali distese di argilla rossiccia. Uno scenario che rischia di diventare generalizzato. Fino ad oggi l'estrazione di legname è stata finalizzata prevalentemente al consumo interno brasiliano. Ma il mercato sta mutando. La crisi finanziaria asiatica ha accelerato lo spostamento delle grandi compagnie verso il Brasile e al tempo stesso la svalutazione della moneta brasiliana, il Real, ha reso economicamente competitivo il legname brasiliano sul mercato internazionale, tanto che si prevede un aumento del 20% dell’ esportazione. In un decennio, 25 compagnie europee, asiatiche e statunitensi si sono insediate in Brasile, arrivando a gestire quasi la metà dell'esportazione di legname. Da sole, otto di queste compagnie possiedono un pezzo di foresta grande quanto il Belgio. Solo una di esse opera sulla base di certificazione d'impatto ambientale (Forest stewardship Council - FSC) e solo un'altra ne ha fatto richiesta. Su 17 compagnie interpellate, 15 dichiarano di non avere alcun piano definito per ottenere tale certificazione. Produzione e capacità stimata delle compagnie multinazionali nell'amazzonia brasiliana In ogni caso la sola capacità operativa delle multinazionali rappresenta un fattore di rischio. Basti pensare che una grande compagnia è in grado di produrre annualmente oltre150 mila m? di legno lavorato, circa 30 volte la produzione di una compagnia locale di medie dimensioni. Il pericolo di una deforestazione su larga scala rischia di distruggere specie animali e vegetali legate indissolubilmente alle condizioni ambientali e climatiche della foresta e le risorse culturali, medicinali e nutritive da cui dipendono i popoli indigeni e le popolazioni autoctone. La foresta amazzonica è vitale per il ciclo delle piogge di tutta la regione, in quanto l'acqua è costantemente riciclata attraverso l'evaporazione e la pioggia. Il disboscamento ha già causato sensibili mutazioni nel microclima e esiste la possibilità che un suo aumento acceleri i mutamenti climatici su larga scala e il fenomeno del riscaldamento globale. La foresta amazzonica è un tutt'uno con i popoli che la abitano. È grande e ospitale e, se non viene aggredita, permette una vita dignitosa a tutti i suoi abitanti. Per questo la difesa dell'Amazzonia è indissolubilmente legata ai grandi problemi sociali del Brasile, dalla riforma agraria, ai diritti delle nazioni indigene, a quelli delle comunità locali. Greenpeace sta lavorando insieme alle comunità locali e ai piccoli raccoglitori di gomma naturale (i seringueiros) per preservare la foresta e proporre alternative alla sua distruzione. Non esiste una soluzione unica, ma un insieme di strade da percorrere coinvolgendo più attori, nello sviluppo di attività compatibili, quali la raccolta di gomma naturale, di frutta selvatica e noci, di fibre, di miele, di piante medicinali. Potrebbe anche essere avviato uno sfruttamento eco -compatibile del turismo e delle risorse ittiche e forestali. Per questo è necessaria la creazione di una fitta rete di parchi naturali, a cui affiancare riserve esclusive in cui svolgere attività garantite da un monitoraggio costante degli standard di compatibilità ambientale. Questo potrebbe aprire la strada ad uno sviluppo armonico dell'Amazzonia, assicurando ai venti milioni di persone che la abitano la sussistenza e la continuità di cultura e tradizioni. La foresta amazzonica è una delle ultime risorse naturali che siamo ancora in grado di proteggere, ma bisogna intervenire subito. Anche da questo dipenderà il nostro futuro. 25 LA FAME NEL MONDO Un pianeta urla per la fame : 800 milioni di persone senza cibo Un mondo condannato alla fame ed alla sofferenza. Sono 800 milioni le persone, da un emisfero all'altro, che soffrono di fame. E non basta, perché la malnutrizione riguarda un numero ben superiore di persone: oltre 2 miliardi. Nel corno d'Africa, cuore della disperazione, l'80% della popolazione soffre di gravi malattie legate alla malnutrizione. I bambini sono soggetti alla caduta di capelli, fino alla calvizie, alla perdita delle unghie e talvolta anche del primo strato di pelle. I1 mondo è pieno di affamati perché le risorse sono mal distribuite. Per questo non è sufficiente aumentare la produzione alimentare, ma combattere la lotta su più piani: da una parte sviluppare l'agricoltura nelle zone più povere, proteggendo le economie rurali, e dall'altra correggere certi effetti dell'economia globalizzata: caduta dei prezzi dei prodotti agricoli, diffusione incontrollata delle colture industriali volute dai gruppi economici più forti, liberazione dei contadini e dei paesi poveri dal giogo dell’indebitamento. Occorrono interventi strutturali in grado di modificare le tendenze spontanee dell'economia mondiale. È necessario che i bisogni ed i contributi dei paesi in via di sviluppo ottengano una giusta considerazione nel commercio mondiale. Liberare dalla fame significa anche liberare dalla guerra, ha detto il Pontefice in un Suo messaggio. "Liberare dalla fame milioni di esseri umani non è impresa facile e presuppone di estirpare le stesse cause alle radici della fame, come guerre e conflitti interni".La FAO ha calcolato in 10 centesimi di dollaro a persona all’anno il costo di una integrazione a base di ferro. (l'anemia è la principale malattia da regime alimentare - colpisce un miliardo e mezzo di persone) del cibo destinato alle persone anemiche. Nella sola India un'operazione del genere verrebbe a costare 44 milioni di dollari l'anno. In Thailandia si è avuto successo con un programma che, prima di aggredire la malnutrizione combatte la povertà. Il programma ha dato vita ad una serie di iniziative produttive che comprendono l'introduzione di tecnologie agricole più moderne, la creazione di migliaia di centri di allevamento di bestiame, ed il miglioramento delle strutture educative e dei servizi sociali: la carenza di proteine è stata ridotta così da una prevalenza del 51 fino al 21% in termini globali, mentre le forme più drastiche di malnutrizione sono calate dal 2,1% allo 0,01. 26 RAPPORTO UNICEF È allarme rosso per la situazione infanzia nel mondo . Ogni anno 11 milioni di bambini muoiono per cause facilmente prevenibili e molti altri si “perdono in mezzo ai vivi”, resi invisibili dalla miseria,non registrati alla nascita o costretti a lavorare in condizioni estreme. Come i bambini soldato, o quelli nei bordelli, vittime dello sfruttamento sessuale. Oltre 600 milioni,sotto i 5 anni, devono sopravvivere con meno di un dollaro al giorno, 200 milioni sono affetti da rachitismo per malnutrizione e oltre 110 non vanno a scuola. Ogni minuto 6 ragazzi sotto i 25 anni vengono infettati dall’HIV e l’AIDS colpisce soprattutto l’Africa: su 2,8 milioni di persone morte lo scorso anno il 79% erano africani. AIDS Carenze alimentari e mancanza di cure adeguate pregiudicano la crescita del bambino nei primi anni di vita. Nei Paesi in via di sviluppo il 39% dei piccoli sotto i 5 anni é affetto da rachitismo, mentre sono oltre 170 milioni quelli sottopeso. RACHITISMO 30 milioni di bambini non sono protetti dalle vaccinazioni obbligatorie (nel primo anno di età) e tra questi 11 milioni muoiono per malattie che si potrebbero prevenire. VACCINAZIONI Più di un miliardo di persone continua a non avere accesso all'acqua potabile ed un terzo della popolazione mondiale non dispone di servizi igienici, soprattutto in Cina, Congo, Etiopia, India. Mentre sono 2 milioni i bambini che muoiono per malattie diarroiche ed altri disturbi legati al consumo d'acqua. ACQUA E SERVIZI IGIENICI 44 milioni di donne non ricevono alcuna assistenza durante la gravidanza ed il parto. Questa é ogni anno la causa di morte di circa 600.000 puerpere e 5 milioni di neonati prima, durante il parto o nella prima settimana di vita. Ancora oggi nel mondo oltre 130 milioni di donne hanno subito la mutilazione degli organi genitali. MATERNITA' ASSISTITA COSA FARE Tutti gli uomini devono e possono battersi per la tutela dei diritti umani, troppo spesso violati. Non può esserci sviluppo se questo non è planetario, ed obiettivi dello sviluppo sono quelli di assicurare una condizione di vita dignitosa, un'alimentazione adeguata, un'assistenza sanitaria, istruzione, lavoro e protezione contro le calamità. Intervenire in aiuto delle Nazioni povere e di combattere la povertà attraverso ogni mezzo: sostenere i programmi internazionali; diffondere il messaggio con campagne di informazioni capillari e ripetute nel tempo al fine di sensibilizzare sempre più il cittadino; promuovere incontri con le Istituzioni cooperando con esse per istituire centri di raccolta e per formalizzare programmi di intervento educativo; attivarsi con i media per diffondere l’obbligo della difesa dei diritti umani. 27 PROTOCOLLO DI KYOTO Da Wikipedia. I l protocollo di Kyoto è un trattato internazionale in materia ambientale riguardante il riscaldamento globale sottoscritto nella città giapponese di Kyoto l'11 dicembre 1997 da più di 160 paesi in occasione della Conferenza COP3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Il trattato è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica anche da parte della Russia. Il trattato prevede l'obbligo in capo ai paesi industrializzati di operare una riduzione delle emissioni di elementi inquinanti (biossido di carbonio ed altri cinque gas serra, ovvero metano, ossido di diazoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo) in una misura non inferiore al 5% rispetto alle emissioni registrate nel 1990 — considerato come anno base — nel periodo 2008-2012. Il protocollo di Kyoto prevede il ricorso a meccanismi di mercato, i cosiddetti Meccanismi Flessibili; il principale meccanismo è il Meccanismo di Sviluppo Pulito. L'obiettivo dei Meccanismi Flessibili è di ridurre le emissioni al costo minimo possibile; in altre parole, a massimizzare le riduzioni ottenibili a parità di investimento. Perché il trattato potesse entrare in vigore, si richiedeva che fosse ratificato da non meno di 55 nazioni firmatarie e che le nazioni che lo avessero ratificato producessero almeno il 55% delle emissioni inquinanti; quest'ultima condizione è stata raggiunta solo nel novembre del 2004, quando anche la Russia ha perfezionato la sua adesione. Premesso che l'atmosfera terrestre contiene 3 milioni di megatonnellate (Mt) di CO2, il Protocollo prevede che i paesi industrializzati riducano del 5% le proprie emissioni di questo gas. Il mondo immette 6.000 Mt di CO2, di cui 3.000 dai paesi industrializzati e 3.000 da quelli in via di sviluppo; per cui, con il protocollo di Kyoto, se ne dovrebbero immettere 5.850 anziché 6.000, su un totale di 3 milioni. Ad oggi (6 giugno 2007), 174 Paesi e un'organizzazione di integrazione economica regionale (EEC) hanno ratificato il Protocollo o hanno avviato le procedure per la ratifica. Questi paesi contribuiscono per il 61,6% alle emissioni globali di gas serra. Gli Stati Uniti hanno firmato ma hanno poi rifiutato di ratificare il trattato. Nel novembre 2001 si tenne la Conferenza di Marrakech, settima sessione della Conferenza delle Parti. In questa sede, 40 paesi sottoscrissero il Protocollo di Kyoto. Due anni dopo, più di 120 paesi avevano aderito al trattato, fino all'adesione e ratifica della Russia nel 2004, considerata importante poiché questo paese produce da solo il 17,6% delle emissioni. All'aprile 2007 gli stati aderenti sono 169. I paesi in via di sviluppo, al fine di non ostacolare la loro crescita economica frapponendovi oneri per essi particolarmente gravosi, non sono stati invitati a ridurre le loro emissioni. L'Australia, che aveva firmato ma non ratificato il protocollo, lo ha ratificato il 2 dicembre 2007. Tra i paesi non aderenti figurano gli USA, cioè i responsabili del 36,2% del totale delle emissioni (annuncio del marzo 2001). In principio, il presidente Bill Clinton aveva firmato il Protocollo durante gli ultimi mesi del suo mandato, ma George W. Bush, poco tempo dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, ritirò l'adesione inizialmente sottoscritta. Alcuni stati e grandi municipalità americane, come Chicago e Los Angeles, stanno studiando la possibilità di emettere provvedimenti che permettano a livello locale di applicare il trattato. Anche se il provvedimento riguardasse solo una parte del 28 paese, non sarebbe un evento insignificante: regioni come il New England, da soli producono tanto biossido di carbonio quanto un grande paese industrializzato europeo come la Germania. Il Kazakistan ha firmato il documento, ma non lo ha ancora ratificato. L'India e la Cina, che hanno ratificato il protocollo, non sono tenute a ridurre le emissioni di anidride carbonica nel quadro del presente accordo, nonostante la loro popolazione relativamente grande. Cina, India e altri paesi in via di sviluppo sono stati esonerati dagli obblighi del protocollo di Kyoto perché essi non sono stati tra i principali responsabili delle emissioni di gas serra durante il periodo di industrializzazione che si crede stia provocando oggi il cambiamento climatico. I paesi non aderenti sono responsabili del 40% dell'emissione mondiale di gas serra. Adesione al Protocollo di Kyoto al febbraio 2006. In verde gli stati che hanno firmato e ratificato il trattato, in giallo gli stati che lo hanno firmato ma non ancora ratificato 29