È possibile commettere “eresia” agli sgoccioli del XX secolo pubblicando un volume che tratta
(anche se non solo) di fumetti? È pensabile in Europa vedere, a un passo dal 2001, un’odissea nello
strazio di libri bruciati – come le streghe fra le fiamme americane di Salem? Sembrerebbe proprio di
sì…
Negli ultimi mesi della sua vita Léon Degrelle lavorò a una singolare e finale opera di saggistica.
Decise di scrivere una sorta di quaderno di memorie – ricordi delle sue esperienze sociali e umane,
del suo lavoro di giornalista, di opinionista e di editore, delle sue vicende politiche, militari e
belliche. E nel farlo ebbe l’idea di usare come filo conduttore la sua amicizia con Hergé, il
celeberrimo creatore del personaggio di Tintin – universalmente noto ancor prima che Spielberg
decidesse di trarre da una delle sue avventure (“Il segreto dell’unicorno”) la pellicola
cinematografica in animazione computerizzata lanciata nel 2011.
La bandiera dell’immaginaria Sildavia
Dicevamo del “libro maledetto” di Degrelle che si vorrebbe colpito in eterno da una damnatio
memoriae insieme al suo autore… Si tratta di “Tintin, mon copain”. Il libro fu finito di scrivere da
Degrelle nel 1994 (l’anno della sua morte, che lo colse nella città di Malaga, nel suo esilio in terra
spagnola) e sonnecchiò per sei anni nelle braccia di amici, simpatizzanti, camerati e confidenti,
finché venne pubblicato “clandestinamente” nel dicembre 2000 dalle Editions Pélican d’Or,
fantomatica casa editrice con sede a Klow, in Syldavie – come si legge sul frontespizio originale! La
Sildavia (conosciuta anche come Regno del Pellicano Nero), con capitale Klow, è una fiorente
monarchia balcanica… del tutto fittizia! Fu inventata dallo stesso Hergé nel 1938 per le
ambientazioni mitteleuropee dell’episodio di Tintin intitolato “Lo scettro di Ottokar”, nella sua prima
versione in bianco-e-nero, uscita quasi un decennio prima della ben più conosciuta versione a colori;
questo Stato immaginario riappare in altre storie di Tintin.
L’opera fu editata in 1000 esemplari irripetibili, più 25 a tiratura limitata (cartonate e numerate a
mano da I a XXV, con allegata una cartella stampa con la presentazione del tomo). Il libro fu subito
colpito dagli strali della Moulinsart SA (la società che detiene i diritti commerciali di Tintin) e della
Foundation Hergé (l’organizzazione voluta dalla vedova dell’artista, che si occupa invece dei “diritti
morali”): ne furono rintracciate, sequestrate e arse 850 copie per “violazione del Copyright”
(impossibile infatti pubblicare senza permesso scritto degli aventi diritto qualsivoglia immagine
concernente l’opera di Hergé senza rischiare querele e altre grane legali – e questo vale anche per
Internet: basta dare un’occhiata all’ufficialissima Wikipedia, com’è “nuda” di immagini nelle voci
riguardanti Remi e i suoi personaggi). Le restanti 150 (più 25) orfanelle di cellulosa si rifugiarono
nelle catacombe e da allora vengono contese sul mercato del collezionismo – non solo del
collezionismo “nostalgico”.
Francesco G. Manetti
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Ma la Rete è ben più potente della “censura”. Nel 2005 il libro di Degrelle fu scansionato e messo su
Internet (ovviamente con tutti i dovuti, politicamente corretti e pessimi commenti, con tutto il
contorno di sberleffi, pernacchie e smorfie scandalizzate di disgusto, e via dicendo), sia in versione
integrale (che appare e riappare con andamento sincopato), sia in estratti. Finché nel marzo 2014
ecco spuntare a sorpresa la traduzione italiana su carta stampata, con “Il mio amico Tintin” delle
Edizioni Astrid (distribuzione Ritter).
A Bruxelles, fra gli anni Venti e gli anni Trenta
Due vite in parallelo, quelle di Degrelle e Hergé, che solo occasionalmente si intersecarono, da
colleghi più che da amici, all’ombra delle rotative e negli uffici di un importante quotidiano di
Bruxelles. Tutto merito dell’abate Norbert Wallez. Il prete era infatti il direttore del giornale
cattolico belga nazionalista e tradizionalista Le Vingtième Siècle (fondato nel 1895), e vi rimase in
carica dal 1924 al 1933. Fu il religioso ad assumere fra i suoi collaboratori il disegnatore e
fumettista Georges Remi, in arte Hergé (dalle iniziali del suo cognome e del suo nome – R. G. – lette
come un acronimo in francese), proveniente dal mondo delle pubblicazioni dello scoutismo e
creatore del personaggio di Totor (nel 1926). Il 1° novembre 1928 uscì il primo numero del
supplemento settimanale del giornale Le Vingtième Siècle, rivista dedicata ai ragazzi: Le Petit
Vingtième. Il giovane Hergé fu fin da subito la colonna dell’ebdomadario.
La copertina del Petit
Vingtième del 15 maggio
1931, appena finita
la pubblicazione di
“Tintin nel Paese dei Sovieti”
Non aveva ancora 22 anni quando, il 1° gennaio 1929, iniziò ad apparire a puntate sul periodico “Les
aventures de Tintin, reporter du Petit Vingtième, au Pays des Soviets”, prima avventura in assoluto
del giovane reporter col ciuffo biondo, l’unica a non aver mai avuto una versione a colori nel
dopoguerra e l’ultima a essere tradotta in Italia – addirittura negli anni Novanta! Anche in Francia e
in Belgio rimase piuttosto “nascosta”, dalla prima edizione integrale in volume del 1930 alla prima
ristampa del 1973, fino al fac-simile del 1981 – appena un biennio prima della morte del disegnatore.
Francesco G. Manetti
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“Tintin nel Paese dei Sovieti” è una spassosa, irriverente, impietosa e diretta (talvolta cruda) satira
del regime stalinista e del comunismo. Da sbellicarsi dalle risate le sequenze in cui si vedono i
progressisti europei in pellegrinaggio nel “paradiso dei lavoratori” – un “paradiso” che si rivelerà
ben presto una patacca d’infimo conio. E infatti il nostro Hergé fu soprattutto un conservatore:
appoggiò il “colonialismo illuminato” con “Tintin in Congo” e non si fece affascinare dal consumismo
e dagli scintillii d’Oltreoceano, dimostrandolo a chiare lettere nell’episodio “Tintin in America”; negli
anni della Seconda Guerra Mondiale rimase su posizioni piuttosto neutrali, preferendo dedicarsi
anima e corpo alla sua arte espressiva, a quel linguaggio – il fumetto – del quale rimane tuttora uno
degli indiscussi maestri e artefici. Hergé è l’inventore di quel particolare stile grafico chiamato
“linea chiara”, un modo di disegnare che si ispira al movimento Liberty del principio del Novecento e
al “giapponesismo”, che vede le sue muse negli autori dell’Impero del Sol Levante. Le caratteristiche
di questa nuova scuola delle strisce disegnate sono la mancanza di sfumature, di tratteggi e di
chiaro-scuri, con i contorni netti e precisi delle figure. Sulla scia di Hergé – anni più tardi – arriverà
E. P. Jacobs con i suoi Blake & Mortimer, e altri ancora fino ai giorni nostri. I fumettisti della ligne
claire ripulivano così tanto le matite delle loro tavole (nella fase precedente all’inchiostratura), che
arrivavano addirittura a bucare con la gomma il cartoncino, pur di raggiungere l’auspicata e pura
essenzialità del tratto! Anche l’italiano Roberto “Magnus” Raviola (il disegnatore di Alan
Ford, Kriminal e Satanik), nei suoi ultimi lavori – a partire da Necrondegli anni ’80 – si rifece
“chiaramente” alla Linea Chiara franco-belga.
L’abate Norbert Wallez,
direttore del XX Siècle
Negli stessi mesi dell’esordio di Georges Remi sul settimanale per piccoli lettori del Vingtième,
l’abate Wallez invitò nel suo nutrito staff editoriale un altro pezzo forte della cultura belga – stavolta
come giornalista, inviato e commentatore per le colonne del quotidiano. Si trattava ovviamente
dell’altrettanto giovane Léon Degrelle, nato nel 1906 (appena un anno prima di Hergé) a Bouillon e
ancora studente all’Università. Sentiamo il particolare dell’incontro dalla viva voce del protagonista
(capitolo II di “Tintin, mon copain”): L’ultima delle mie piccole opere si intitolava “Jeunes plumes et
vieilles barbes de belgique” (nota: uno dei suoi primi scritti in volume, risalente al 1928).
Evidentemente le vecchie barbe venivano maledettamente strigliate! Fu allora che un grande critico
letterario che, beato, non portava la barba ma in compenso possedeva molto talento, Monsignor
Schyrgens, notò il detto libretto. Con mio stupore, la domenica seguente, gli consacrò una
Francesco G. Manetti
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recensione sensazionale proprio sul “XX Siècle”, dicendo che “promette molto bene questo giovane
puledro che scalcia, scalpita e vuole saltare gli ostacoli! L’abate Wallez, curioso di conoscere
quell’impetuoso puledro, mi invitò a passare nel suo ufficio di Bruxelles. In dieci minuti fu tutto
sistemato: avrei continuato i miei studi universitari a Lovanio, ma sarei diventato redattore del suo
quotidiano, scrivendo, dalla capitale studentesca, tutto quello che volevo. Decisione magnifica che,
bruscamente, mi assicurava un vasto pubblico e, meraviglia per un giovanissimo studente, delle
gradevoli pepite d’oro nel fondo del mio magro borsellino! Senza tardare, pubblicai sul “XX Siècle”
un’inchiesta illustrata sulle catapecchie che avrebbe fatto un grande scalpore. Il Ministro belga del
Lavoro ne sottolineò l’importanza prefazionando il volume che avrebbe raccolto, poco dopo,
l’insieme di quei discorsi. Ero lanciato nella pampa dei papiri! Georges Remi, il debuttante Hergé,
divenne istantaneamente mio amico”.
Dalla realtà al fumetto
Secondo Degrelle, quando Hergé stava ancora dando un aspetto grafico definitivo al suo parto
artistico, il reporter Tintin, fu proprio a lui che si ispirò – sia per quanto riguarda l’abbigliamento, sia
per le caratteristiche del volto. C’è da dire, innanzitutto, che la “faccina” di Tintin è volutamente
stilizzata, volutamente anonima. Si tratta di una delle più geniali invenzioni del fumetto, come
linguaggio a se stante, trovata che fu sfruttata e portata alle massime conseguenze dagli autori
della Ligne Claire. In una “faccina” così pulita e addirittura “ideale” come quella di Tintin (un
semplice ovale dove gli occhi sono poco più che due punti, il naso una “virgola” e la bocca una sottile
falce), TUTTI i lettori possono identificarsi, sognando di vivere insieme a lui le sue mirabilanti
imprese da giramondo. Ma Degrelle, in alcuni ritratti e foto risalenti al 1927/28 pubblicati nel suo
volume, a Tintin somiglia per davvero tantissimo – anche grazie al ciuffo sbarazzino inalberato in
cima alla testa! E inoltre i pantaloni “alla zuava” di Tintin, indossati anche dagli Avanguardisti
italiani, avrebbero avuto la loro fonte d’ispirazione in un costosissimo paio di pantaloni da golf che
Degrelle sfoggiava proprio in quel periodo – facendosi ammirare dai suoi colleghi del giornale.
Il famoso ciuffo di Degrelle,
in una foto del 1928!
Francesco G. Manetti
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Ma la serie delle “coincidenze” non è finita qua. Fra la fine del 1929 e gli inizi del 1930 Degrelle fu
inviato in Messico per seguire da vicino la rivolta dei Cristeros contro le persecuzioni anticattoliche.
Poi si spostò brevemente negli Stati Uniti e in Canada. Insieme ai reportage il giornalista Léon
inviava in Belgio anche altro materiale cartaceo, tra cui copie di giornali su cui apparivano fumetti
statunitensi, come Krazy Kat e Bibì & Bibò. Il fumetto moderno in senso editoriale – inteso come
allegato settimanale per i ragazzi all’interno di un quotidiano per adulti – nasce proprio in America,
grazie a editori come Hearst e Pulitzer, alla fine dell’800; tanta fu la fortuna e la potenza di quel
mezzo di comunicazione (e propaganda: basti pensare al ruolo che ebbe durante la guerra per
Cuba!) che ancora oggi sui giornali USA vengono pubblicate strisce a fumetti giornaliere in bianco-enero (le cosiddette daily strips) e tavole a colori domenicali (le sunday pages), distribuite alle varie
testate da apposite agenzie (le syndications) che ne detengono i diritti.
I pantaloni alla zuava (o da golf)
indossati da Degrelle
A tal proposito racconta ancora Degrelle (capitolo III del libro su Tintin): Fu lo stesso Hergé,
sfidando gli odi del dopoguerra, ad avere il coraggio di riconoscere senza tentennamenti la filiazione
degrelliana (del suo personaggio) in un’intervista rilasciata a “La Libre Belgique” del 30 dicembre
1973, dicendo: Ho scoperto il fumetto… grazie a Léon Degrelle! Questi era infatti partito come
giornalista per il Messico, inviando al “Vingtième Siècle” non solo delle cronache personali ma anche
(per inquadrare l’atmosfera) dei giornali locali in cui comparivano dei fumetti americani. Fu così che
conobbi i miei primi comics”.
Una tavola del fumetto
americano Krazy Kat
del 1922
Francesco G. Manetti
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Il quadro si completa qualche tempo dopo, quando nel 1931 le Editions Rex di Lovanio (Léon ne
sarebbe diventato proprietario nel 1933) pubblicano il saggio di Degrelle “Histoire de la guerre
scolaire 1879-1884”, a sostegno della scuola cattolica. Le illustrazioni, di fortissimo impatto visivo, in
un bianco-e-nero abbagliante stupiscono ancora oggi per la loro atemporalità. Futurismo,
espressionismo, razionalismo: difficile collocarle… E sono firmate Hergé, fin dalla copertina del
volume. Per restare nel mondo del fumetto, quelle masse bianche che emergono da uno sfondo nero
(e viceversa) non ricordano forse il celebratissimo “Sin City” di Frank Miller di oltre 60 anni dopo?
Nella biografia di Remi che il francese Pierre Assouline scrisse nel 2003, il padre di Tintin
ammetteva di non avere alcun rimorso per quella “scomoda” collaborazione, e di non volerla
assolutamente rinnegare. Il destino gioca a volte scherzi incredibili! La “Guerre Scolaire” con la
copertina di Hergé fu stampata da Casterman. Sì, proprio da quello che in futuro sarebbe stato
l’editore delle raccolte in volume delle avventure di Tintin! Fra gli altri lavori di Hergé per la Rex di
Degrelle si ricorda la copertina del libro “Le carnaval de Binche” di Alfred Labrique (1930).
Il “Mio amico” sviscerato: prima e durante la guerra
Frontespizio del libro di
Degrelle “Histoire de la Guerre
Scolaire” illustrato da Hergé
Il volume “Tintin, mon copain” si apre con una sentita dedica: Alla memoria di mio fratello Edouard,
assassinato, nella sua casa di Bouillon, davanti alle sue bambine, dagli epuratori belgi, l’8 luglio
1944; così come alla memoria di mia madre (che aveva quasi ottanta anni) e di mio padre, morti di
stenti nelle prigioni dell’odio a Bruxelles, il 23 ottobre 1947 e l’11 marzo 1948. Léon sta parlando di
Marie-Louise Boever e di Édouard Degrelle e della loro indegna fine. Non può non venire in mente
Brasillach e la sua amatissima madre tenuta in ostaggio perché il figlio si consegnasse alle nuove
autorità…
Il libro è organizzato secondo un ordine cronologico (non rigoroso) degli eventi, iniziando dal fatidico
1928. È diviso in otto parti che comprendono ben 41 capitoli, per un totale di 252 pagine – copertine
Francesco G. Manetti
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comprese. La prima parte, “La nascita di Tintin”, si compone di cinque capitoli. Il primo, “Hergé e
Totor al Vingtième Siècle”, parla degli albori dell’arte fumettistica di Georges Remi – fino all’arrivo
al giornale diretto da Wallez. Il capitolo II (che si intitola “Re dei Papua, se occorre”) tratta del primo
incontro fra Degrelle e l’abate Wallez. La vicenda dei fumetti americani spediti in Belgio viene
narrata invece nel capitolo III, “La B.D. europea nasce in Messico” (B.D. sta per bande dessinée,
ovvero “fumetto” in lingua francese; talvolta si scrive Bédé): si narra anche delle presunte analogie
fra Milou – il buffo fox terrierdi Tintin, sua inseparabile “spalla” dal carattere quasi umano – e il
cagnolino che fungeva da mascotte nel reggimento tedesco della Prima Guerra Mondiale nel quale
militava Adolf Hitler. “I calzoni da golf di Tintin” è il capitolo IV: è qui che Degrelle ci racconta delle
origini degrelliane dell’abbigliamento del giovane reporter creato da Hergé. La storia della
capigliatura di Tintin e dei lavori di Remi per la Rex è infine l’argomento del capitolo V, “Da dove è
uscito il ciuffo?”
La bandiera del Rex
La seconda parte si intitola “I corrotti e le scope”, con riferimento alle sfilate del Rex in cui venivano
issate scope e si ripulivano i marciapiedi, simbolo della volontà dei manifestanti di ripulire il sistema:
altri cinque capitoli. Il VI, “Tintin dai Soviet”, a dispetto del titolo si occupa della figura femminile
nella vita e nei primi lavori dei Hergé, e degli inizi della carriera dell’artista al XX Siècle. “La
baracca politica” è il capitolo VII: qui il rapporto con Hergé entra in gioco solo in maniera
incidentale, e al centro del discorso c’è la situazione politica, burocratica e sociale europea del
dopoguerra – considerando anche i primi anni ’90. Con il capitolo VIII, “L’arpionamento dei
pescicani”, Degrelle descrive la nascita del suo movimento, il Rex: le prime adunate, i primi comizi,
le lotte contro i bancari, contro la corruzione, contro il parassitismo (siamo intorno al 1935). “Il
padrone nel fango” è il titolo del capitolo IX, in cui Degrelle si occupa del giro di denaro che
comincia a vorticare intorno al XX Siècle, corrompendone l’animo. Arriviamo così al capitolo X, “I tre
amici e la vittoria”, con le traversie economiche di Degrelle, Hergé e Paul “Jam” Jamin – un altro dei
disegnatori di punta del Petit Vingtième, anche lui proveniente dall’universo cattolico/scoutista. A
differenza di Remi, il fumettista Jam (1911 – 1995) ebbe numerosi e gravi problemi giudiziari dopo la
guerra: fu incarcerato, condannato a morte, graziato e liberato nel 1952. Tutto questo per aver
collaborato al giornale degrelliano Le Pays Réel, a partire dal 1936, e a Le Soir e Brüsseller
Zeitung – cosiddetti “fogli collaborazionisti”. Nei decenni successivi alla libertà Jamin avrebbe
firmato i propri lavori con lo pseudonimo di Alidor.
Francesco G. Manetti
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Un disegno di Paul Jamin, collaboratore di
Degrelle al Pays Réel
“Tintin ai tempi della croce uncinata”, quarta parte del libro, comincia con il capitolo XVII (primo di
quattro), “La fioritura di un divo”: gli inizi di Hergé (e del già citato Jam) a Le Soir, nel 1940, e
l’inizio della Fama con la “F” maiuscola. Il capitolo XVIII – “Il caro prezzo di un naso adunco” – si
occupa delle “grane” che dovette passare Hergé, soprattutto nel dopoguerra, con la pretesa di aver
raffigurato “stereotipi giudaici” negli anni 1940/44 al Le Soir. “Seguito militare di Tintin nel paese
dei Sovieti” è il titolo del capitolo XIX: Degrelle ricorda l’esperienza della campagna in Russia, della
Legione Wallonie e della nascita della 28° SS-Freiwilligen-Grenadier-Division der SS Wallonien.
L’argomento finisce in un campo minato con I gas e i campi, capitolo XX, dove non si parla soltanto
dei campi tedeschi…“L’Hergé del 1940” è la terza parte del volume; si apre con il capitolo XI (primo
di sei), “Lo spauracchio Hitler”, dedicato alla situazione politica europea prima del conflitto. “Il
metodo Coué”, titolo del capitolo XII, fa riferimento alle tecniche di autosuggestione e di autoipnosi
per migliorare se stessi introdotte dallo psicoterapeuta e farmacista francese Émile Coué fra gli anni
’10 e gli anni ’20 del secolo scorso; tecnica metaforicamente applicata un po’ dovunque, secondo
Degrelle, in senso antigermanico, come un mantra eterno. Nel capitolo XIII, “Il sonaglio oltre la
morte”, l’attenzione si sposta al 1939 e alla collaborazione di Hergé al periodico L’Ouest, con le
strisce “neutraliste” di Monsieur Bellum. Il capitolo seguente è il XIV: “Tintin, Germaine e il gatto
siamese”. Siamo nel 1940, con i Tedeschi in Belgio e in Olanda: la popolazione, in parte inizialmente
fuggita, torna a casa. Nel capitolo XVI, “Degrelle fucilato”, l’autore narra della falsa notizia della sua
morte e di come riuscì a sfuggire alle esecuzioni di Abbeville, nel nord della Francia. “Tintin e Milou
al Soir volé”, capitolo XVI, si occupa del periodo successivo alla fine della vita editoriale del XX
Siècle e del trasferimento dei fumetti di Hergé sul quotidiano Le Soir.
Francesco G. Manetti
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Degrelle in uniforme
Si giunge dunque alla quinta parte, “Guai ai vinti”, che comprende cinque capitoli. Il XXI si apre con
una domanda: “Chi ha vinto la Seconda Guerra Mondiale?” E soprattutto, a quale prezzo? Questo si
chiede Degrelle, con stimolanti considerazioni a proposito di Roosevelt. Il capitolo XXII si intitola “Il
Belgio in salsa Hitler”: i rapporti fra la Germania e Bruxelles. In “Hergé sotto chiave”, capitolo XXIII,
si racconta la tragica storia delle epurazioni, delle vendette, delle uccisioni, delle umiliazioni – con le
donne rasate, con le svastiche dipinte sulla fronte – scene già viste, anche in altri luoghi d’Europa…
E la turpitudine continua nel seguente capitolo XXIV, “L’intolleranza assoluta”. Persino Hergé – che
aveva mantenuto posizioni politiche di assoluta neutralità – fu brevemente incarcerato nel 1944! E
nonostante il suo non-impegno con il Rex e con il nazionalsocialismo, Hergé non dimenticò i suoi
colleghi che invece incapparano nelle rivalse e negli anni di galera, offrendo loro conforto e
ospitalità (capitolo XXV, “Era terrificante! Terrificante!”).
Il “Mio amico” sviscerato: tacciono i cannoni
Si giunge così al dopoguerra, al 1945, con la sesta parte, “L’Europa sotto il giogo” (due soli capitoli).
Nel capitolo XXVI, “Un aereo precipita”, Degrelle ricorda tutte le sue imprese e tutte le sue
disavventure nel periodo bellico: i combattimenti, le prigioni, le percosse, le torture, le fughe, il volo
Norvegia/Spagna, il velivolo che cade – calandosi nei panni di una sorta di Tintin più realistico, in un
mondo ben più pericoloso! “Nel paese dei 100.000 arresti” è il capitolo XXVII del tomo, in cui
Degrelle efficacemente si difende dalle accuse di “crimini di guerra” che gli furono mosse.
Di sei capitoli è composta la settima parte del libro, “Le maree dell’odio”. Nel capitolo XXVIII,
“Hergé: vietato disegnare”, veniamo edotti sui guai che anche Georges Remi dovette passare nei due
anni fra il 1944 e il 1946 per “sospetto collabarazionismo”, fino all’ottenimento del “certificato di
civismo” necessario per poter continuare a lavorare in ambito editoriale. “Il consorzio Hergé”
(capitolo XXIX) è la storia di come l’artista dovette adattarsi e piegarsi, dopo il 1946, per non
rischiare di finire stritolato dalle accuse di razzismo, di rexismo – per non dire di “nazismo”;
l’argomento continua nel capitolo XXX, “Tu ben parlato, missié” e si conclude con il capitolo XXXI,
“Di destra? Di sinistra?” Nel capitolo XXXII (“L’uccello è volato via”) Degrelle abbandona ancora una
volta la stretta disanima dei suoi rapporti con Hergé e torna a parlare delle sue esperienze
Francesco G. Manetti
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personali: la fine della guerra e l’esilio in Spagna, con l’ospitalità di Franco. “Cinque rapimenti alla
Tintin” (capitolo XXXIII) è una specie di breve romanzo di spionaggio! Degrelle sostiene di essere
scampato a numerosi tentativi di sequestro, messi in atto da agenti del Mossad o da emissari
“democratici” dal Belgio.
Una caricatura di Degrellenel le
vesti di Tintin apparsa nel 1991
sulla rivista nazionalista francese
Forces Nouvelles
L’ottava e ultima parte di “Tintin, mon copain” si intitola “Hergé l’immortale” e si compone di ben
otto capitoli. Nel mirino del capitolo XXXIV, “Le vecchie vendette”, ci sono i denigratori di Hergé e
della sua opera che continuarono imperterriti a gridare contro di lui anche dopo il 1946, e ben oltre
l’anno della sua scomparsa; stessa sorte, e stessi guai, toccarono a detta di Degrelle al papà
letterario del Commissario Maigret, “Il rexista Simenon”, protagonista del capitolo XXXV. Nel
capitolo XXXVI, “Gli ultimi sputi”, arriviamo agli ultimi anni di vita di Degrelle, e alle continue
ignominie, non solo nei confronti del fondatore del Rex, ma persino del tutto sommato neutrale e
innocuo Hergé. La banda di partigiani della resistenza belga, nominatosi L’Insoumis, pubblicò un
libretto dove Remi era indicato come “collaborazionista” – con tanto di foto segnaletica. E – secondo
le parole di Degrelle vergate nel 1994 – nel Museo Nazionale della Resistenza di Bruxelles si può
tuttora vedere il nome di Hergé affisso nella Galleria dei Traditori, sotto il numero 69, definendolo
un infame “rexista” (il documento è tratto dal libello partigiano di cui parlavamo prima). In “Tintin
che sodomizza Milou” (capitolo XXXVII), Degrelle si occupa con disgusto delle “parodie
pornografiche” di Tintin che circolavano negli anni ’80 e ’90. Nel capitolo XXXVIII, “Tintin da
Buddha”, si parla dell’entusiasmo dell’ultimo Hergé per il misticismo orientale e del suo
avvicinamento a quelle antiche religioni; e nel capitolo XXXIX, “Hergé consegnato agli psicanalisti”,
l’obiettivo di Degrelle si allarga fino a comprendere l’animo malinconico dell’artista alla fine della
sua vita. “Le querele di Fanny” (capitolo XL) è dedicato alla vedova Remi, Fanny Vlamynck, nata nel
1934, ex-colorista dello Studio Hergé e sua seconda moglie (i due si sposarono nel 1977); dieci anni
dopo la morte dell’artista, Fanny si risposò con Nick Rodwell, un uomo d’affari britannico di quasi
venti anni più giovane di lei; la coppia gestisce in maniera inflessibile tutti i diritti concernenti
l’opera di Hergé, tramite la Moulinsart SA; nel 2009 hanno inaugurato il Musée Hergé (in tutta
sincerità un capolavoro di architettura moderna e vero e proprio scrigno di tesori artistici) a
Francesco G. Manetti
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Lovanie-La-Neuve in Belgio. L’ultimo capitolo, il XLI, “Tintin in Paradiso”, è una riflessione sulla
morte e un saluto di Degrelle al suo amico, spirato il 3 marzo 1983 a Bruxelles. Il volume si chiude
con una postfazione postuma, “La tomba del gigante”, in cui si spiega da parte degli ignoti curatori
che le ceneri di Léon Degrelle, morto il 31 marzo 1994, furono disperse nei pressi del paese natale di
Bouillon, in un luogo dove un bosco fu tagliato in modo da rappresentare tre rune: la Algiz (morte e
vita), la Teiwaz (Dio e giustizia) e la Ansuz (eloquenza).
Un collage fotografico
di Degrelle mentre legge quattro
diversi album delle avventure di
Tintin
(dalla copertina di “Eu SS
Tintim”,
libro pubblicato in Portogallo)
Rex & Remi
Alcune considerazioni finali. Può sembrare che in alcune parti di “Tintin, mon copain” Georges
“Hergé” Remi venga tirato un po’ troppo “per la giacchetta”, seppur in virtù di un malcelato
entusiasmo, più che per mero calcolo “politico”… E molte delle accuse rivolte contro Degrelle dai
difensori di Hergé e del suo intoccabile “spirito democratico” si muovono proprio in questa
direzione. Oppure si prendono per oro colato tutte le considerazioni, tutti i ricordi – persino tutti i
momenti iperbolici e tutte le battute di spirito di Degrelle, paradossalmente soprattutto da parte dei
suoi avversari ideologici, e Hergé viene senza mezze misure “fascitizzato”, chirurgicamente
separandolo in qualche modo dalla sua opera – innegabilmente considerata straordinaria erga
omnes. Siamo arrivati all’assurdo di un grande fumetto creato da un artista da disprezzare! In realtà
Degrelle non tende mai ad arruolare con la forza il disegnatore nelle sue schiere, non lo consacra
mai fra i martiri epurati, non lo inquadra realmente e univocamente sotto le bandiere del Rex.
Addirittura lo difende dalle accuse di “collaborazionismo” e di “tradimento”, riproduce vignette non
certo tenere nei confronti di Hitler – arrivando dunque ad allontanarlo idealmente da sé; per questo
il rogo delle “pagine maledette” stona ancor di più. Perché forse dietro le fiamme ci sono solo un
pugno di franchi in diritti d’autore… La vicinanza, una certa affinità, e forse un periodo di amicizia,
Francesco G. Manetti
http://www.ereticamente.net/2014/05/leon-degrelle-ultimo-atto-lamore-per-il.html
se ci sono state, ci sono state – sembra dire Degrelle. Ma soprattutto ci fu un lavoro comune, in un
giornale. E l’umanità. Perché, in fondo, “Il mio amico Tintin” è l’appassionata e coinvolgente storia
di un Uomo, più che di un “rex”.
Francesco G. Manetti
Léon Degrelle
IL MIO AMICO TINTIN
Edizioni ASTRID, marzo 2014
pagg. 252 – € 30,00
brossurato – illustrazioni in b/
Francesco G. Manetti
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Léon Degrelle, ultimo atto