52° anno dalla fondazione 54° anno dalla fondazione 52° anno dalla fondazione Stagione di concerti 9 Venerdi 6 febbraio 2015, ore 20.45 AUDITORIUM TORELLI, SONDRIO Alfonso Alberti Anna D’Errico due pianoforti BRAHMS, CASTIGLIONI BACH, LIGETI, KURTÁG ROTARY CLUB SONDRIO 54° anno dalla fondazione 2014-2015 PROGRAMMA La stagione di concerti 2014-2015 è realizzata con il sostegno di: JOHANNES BRAHMS (1833-1897) Variazioni su un tema di Haydn per due pianoforti, op. 56b MINISTRO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI Direzione generale per lo spettacolo dal vivo Tema. Andante Variazione I. Poco piu animato Variazione II. Piu vivace Variazione III. Con moto Variazione IV. Andante con moto Variazione V. Poco presto Variazione VI. Vivace Variazione VII. Grazioso Variazione VIII. Presto non troppo Finale. Andante REGIONE LOMBARDIA Direzione Generale Culture, Identità e Autonomie della Lombardia PROVINCIA DI SONDRIO Settore Istruzione e Cultura COMUNITÀ MONTANA ALTA VALTELLINA DI BORMIO COMUNE DI SONDRIO COMUNE DI SONDALO NICCOLò CASTIGLIONI (1932-1996) COMUNE DI BORMIO He, per pianoforte solo1 Omaggio a Edvard Grieg per due pianoforti B.I.M. Bacino Imbrifero Montano dell’Adda Fondazione Pro Valtellina *** Fondazione Credito Valtellinese JOHANN SEBASTIAN BACH (1685-1750) Gott, durch Deine Güte, per pianoforte a 4 mani (trascr. György Kurtág) Ich ruf ’ zu Dir, Herr Jesu Christ, per pianoforte solo2 (trascr. Ferruccio Busoni) O Lamm Gottes, unschuldig, per pianoforte a 4 mani (trascr. György Kurtág) Jesus bleibet meine Freude, per pianoforte solo1 (trascr. Harold Bauer) Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit, per pf a 4 mani (trascr. György Kurtág) GYÖRGY LIGETI (1903) Dal 1° Quaderno degli Studi per pianoforte solo2 Fanfares - Automne à Varsovie Tre pezzi, per due pianoforti: - Monument [Monumento] - Selbstportrait mit Reich und Riley (und Chopin ist auch dabei) [Autoritratto con Reich e Riley (e c’è anche Chopin)] - Bewegung [Movimento] Pianoforte: Alfonso Alberti1, Anna D’Errico2 Venti dita Cner di duo Anna D’Errico) impaginato il presente programma uriosamente, il fatto di avere in prima persona (insieme alla part- non rende meno necessaria, a chi scrive, un’ulteriore riflessione su di esso prima di stenderne il testo di sala. E il risultato è strabiliante: si scopre che nel succedersi dei quattro autori (Brahms, Castiglioni, Bach, Ligeti) vi è un percorso particolarissimo che non era stato pianificato a tavolino (a tavolino erano state studiate la piacevolezza, la varietà e anche una certa logica – ma non così stringente – dei contrasti), un percorso che riguarda il rapporto con l’Altro musicale. È in quattro tappe e, se seguito nella sua progressione logica, scombina parzialmente l’ordine del programma. I cinque brani di Johann Sebastian Bach (1685–1750) non sono per pianoforte, ma per il pianoforte vengono trascritti da Ferruccio Busoni, Harold Bauer e György Kurtág. La questione della trascrizione è, nella musica classica, abbastanza impegnativa e per nulla scontata. Non esiste il concetto, comune in altri repertori (come quello della musica leggera) dell’arrangiamento, per cui qualunque brano è teoricamente arrangiabile per qualunque organico (voce e pianoforte, voce e orchestra sinfonica, voce e jazz band...): il brano viene pensato dal compositore, generalmente, con una destinazione specifica, e quella è, e resta. Il trascrivere quel brano (che è altro – un’altra epoca, un altro stile – rispetto a chi trascrive) diventa perciò una scelta che deve essere motivata, e che in genere acquista valore d’arte solo se è operata da un musicista della stessa statura dello stesso compositore (oppure dal compositore stesso, beninteso, che talvolta trascrive le sue stesse opere). Il primo, il terzo e il quinto brano sono trascritti da Kurtág per pianoforte a quattro mani (e perciò due esecutori), mentre il secondo e il quarto sono trascritti rispettivamente da Busoni e Bauer per un solo esecutore (venendo perciò eseguiti uno da Anna D’Errico e l’altro dallo scrivente). Detto brevemente: Ferruccio Busoni (1866–1924) è grande maestro della trascrizione, e le sue motivazioni nel trascrivere sono culturali (acquisire al pianoforte il grande repertorio del passato, associandolo ai repertori successivi in programmi storici che mostrino al pubblico l’evoluzione del linguaggio) e poetiche: la sfida è quella di ricercare su uno strumento diverso quel certo suono e quella certa poesia – non sempre totalmente coincidenti con quelle di Bach! la contraddizione, entro certi limiti, fa parte del gioco. Harold Bauer (1873–1951), nome decisamente meno noto, è invece fra i pianisti (un’altra è stata, per esempio, Myra Hess) che hanno trasposto sul pianoforte uno dei brani bachiani più noti al grande pubblico, Jesus bleibet meine Freude: la sua trascrizione, certo meno significativa come documento culturale, è notevole per il fascino sonoro che raggiunge. György Kurtág (1926), infine, è compositore contemporaneo, e vien quasi da aspettarsi “effetti speciali” di ogni genere, che magari snaturino la sostanza armonica del brano. In realtà le sue trascrizioni per pianoforte a quattro mani (destinate, per uso sia casalingo sia concertistico, a sé e alla moglie) sono molto fedeli al testo. Gli “effetti speciali”, che sono principalmente due, non sono così appariscenti (tanto meno snaturanti), e vale la pena di menzionarli perché è in essi che la trascrizione svela la motivazione che ha per Kurtág: la trasfigurazione sonora. Primo: detta molto semplicemente e senza entrare in tecnicismi acustici, ogni suono in generale è una dosatissima miscela di un suono fondamentale e di mille altri suoni (molto più discreti, per lo più impercettibili) che ne costituiscono il timbro. L’organo è strumento particolarissimo perché attraverso l’espediente dei registri (leve che vengono tirate dallo stesso organista o dal registrante che gli sta al fianco) può evidenziare artificialmente, aprendo o chiudendo serie di canne collegate, proprio questi suoni accessori. Ecco perciò il primo espediente di Kurtág: ricreare i registri dell’organo sul pianoforte chiedendo a uno dei pianisti di suonare la melodia principale contemporaneamente con le due mani, ma una delle due con un pianissimo impercettibile, solo un’ombra dell’altra (e in uno dei pezzi ciò avviene a mani incrociate, così che l’ombra sia ancora di più un’ombra). Il secondo espediente, che ha luogo in Gott, durch Deine Güte, è vistosissimo per chi guarda i due esecutori. Il suono pianistico (che, ripetiamolo, è l’oggetto di indagine di Kurtág) dipende da mille fattori, ma da uno in particolar modo: da “come si mettono le mani” (cosa su cui insegnanti di ogni generazione perdono la testa coi loro allievi). E se il compositore fa in modo di forzare una particolare posizione della mano? Ecco la soluzione di Kurtág: i due esecutori intrecciano in maniera inverosimile i loro arti, tanto che chi siede a destra suona anche la parte che si trova più a sinistra, mentre l’altro suona le due parti centrali incrociando fra loro anche le proprie mani. Ne esce un suono diverso, forse persino “sbagliato” dal punto di vista accademico: però inconsueto e interessante. S(1833–1897) lo prende (trascrivendolo, certo) come punto di e Busoni, Bauer e Kurtág trascrivono l’Altro, Johannes Brahms partenza per un ciclo di variazioni. A giudicare dal titolo delle Variazioni su un tema di Haydn op. 56b (1873, composte in questa versione per due pianoforti e in una seconda versione per orchestra), l’Altro dovrebbe essere Haydn, ma in realtà non lo è. Quel Divertimento in si bemolle maggiore per complesso di fiati (due oboi, due corni, tre fagotti, un serpentone) che nel 1870 il musicologo Carl Ferdinand Pohl mostra a Brahms su un manoscritto datato 1784, oggi si dubita fortemente sia del compositore austriaco. Più probabile che l’abbia scritto Ignaz Pleyel, a suo tempo allievo di Haydn, per la banda militare degli Esterhàzy; d’altronde, il tema in questione non sarebbe in ultima analisi nemmeno di Pleyel, ma pare essere una citazione da un più antico canto processionale austriaco, il cosiddetto Chorale in honorem St. Antonii. Con l’Altro, nel caso di queste Variazioni, si crea un dialogo carico di tensione: il punto di partenza è, appunto, un semplice punto di partenza, da cui poi Brahms si allontana calandosi per intero nel proprio stile. Particolare fascino ha il passaggio dal tema alla prima variazione: momento in cui, da un suono che porta in sé ancora tracce di tardo Settecento, emerge il calore e la ricchezza del suono brahmsiano. La contraddizione non è sanata: il corale di s. Antonio esce da se stesso per vivere molteplici avventure: abbandoni espressivi, danze vivaci, squarci cantabili, esplosioni improvvise di suono. Eppure, dopo tanto errare, il percorso scelto da Brahms prevede un ritorno a casa: dopo otto variazioni si approda al finale, sezione più ampia delle precedenti, costruita su un basso ostinato sopra il quale poco per volta si ricostituisce la fisionomia del tema principale. Nell’ultima, mirabile pagina, il corale torna per davvero, così com’era, ma allo stesso tempo diverso da prima: le stesse note, ma rivestite da un suono che ora è incondizionatamente brahmsiano, possente e definitivo. Il viaggio cambia le cose, e la maniera di vederle. Le Variazioni su un tema di Haydn di Brahms sono un capolavoro dell’arte di perdere e poi ritrovare, e il momento del finale ritorno del tema è fra le pagine indimenticabili del repertorio musicale. N el secondo dei Tre pezzi per due pianoforti (1976) di György Ligeti (1923–2006), intitolato Selbstportrait mit Reich und Riley (und Chopin ist auch dabei) [Autoritratto con Reich e Riley (e c’è anche Chopin)], si verifica un rapporto con l’Altro ancora diverso. L’altro non viene trascritto, non diventa un tema per un ciclo di variazioni, ma viene soltanto evocato, il fantasma della Storia con cui bisogna fare i conti e che se ne sta sempre lì a guardare. Il brano si basa sulla tecnica, inventata da un interprete a contatto con Ligeti, dei «tasti bloccati». La mano destra per gran parte del pezzo suona senza posa, un’unica sequenza di note molto veloci e senza interruzione – ma ciò che arriva all’ascoltatore è del tutto diverso: interruzioni frequentissime, tanti, tanti silenzi. Il motivo: l’altra mano, la sinistra, «blocca» (premendoli preventivamente senza emettere suono) molti dei tasti suonati dalla destra, la quale perciò ha un bel battere sui tasti (già abbassati), ma in molti casi non accade nulla. Da questa singolare “tenzone” fra le due mani nascono ritmi insoliti, ripetuti a lungo ma in costante trasformazione. Ecco il perché di quei (Steve) Reich e (Terry) Riley citati nel titolo: i due compositori minimalisti americani proprio questo facevano dagli anni Sessanta in poi, ripetere a lungo pattern in lenta trasformazione. Il percorso di Ligeti nell’Autoritratto però a un certo punto si infittisce, arriva a snodi di una certa drammaticità e infine fa capolino il terzo autore citato nel titolo, che in mezzo a tanto Novecento è veramente Altro. È Chopin, lo Chopin del finale della seconda Sonata (quel movimento breve e rapido, tutto sospeso fra piano e pianissimo, che svolge la sua funzione di chiusura in maniera del tutto anticonvenzionale), di cui qui non ascoltiamo le note, evidentemente, ma di cui comunque riconosciamo l’essenziale: le due mani che procedono parallele a distanza d’ottava, la stessa inesorabilità, la stessa dinamica pianissimo screziata da continui crescendi e diminuendi (così come anche per il finale della Seconda di Chopin vuole una delle tradizioni interpretative) e tutto sommato anche la curvatura delle frasi. Nessuna trascrizione, ma con un abile incantesimo Ligeti evoca un fantasma. E come ogni fantasma che si rispetti, poco dopo essere stato evocato, lo spettro scompare. L’«autoritratto» di Ligeti è incastonato in seconda posizione fra un Monument [Monumento], immagine imponente che si staglia davanti all’ascoltatore quasi in tre dimensioni, grazie ai gradi di intensità estremamente differenziati che creano un equivalente della profondità spaziale, e un Bewegung [Movimento] che snocciola una sequenza ritmica teoricamente rigida e da orologiaio, in realtà resa umanissima dall’entrare e uscire dal tessuto delle tante voci di un canone. Preso nel suo complesso, questo trittico di Ligeti è da considerare uno dei brani più importanti scritti per due pianoforti nella seconda metà del Novecento: sintesi delle possibilità di uno strumento, proiettate in spazi musicali visionari. Cstoria. La sua è una delle poetiche musicali più particolari del on Niccolò Castiglioni (1932–1996) si esce addirittura, dalla secondo Novecento; un carattere ricorrente è la predilezione per il registro acuto e sovracuto, evidentissima in molte delle sezioni di Omaggio a Edvard Grieg (1981) per due pianoforti. Per associazione di idee, il registro acuto richiama alla mente freddo, ghiaccio, neve: tutti elementi dell’immaginario poetico di Castiglioni, in cui vale la pena di sottolineare che il freddo non ha nulla di ostile, essendo invece salubre e benefico, e portando con sé il fascino del paesaggio invernale e la bellezza di ciò che è puro. Un compositore da lui venerato fu quell’Edvard Grieg che figura nel titolo del brano in programma, e nella cui musica si respira così spesso l’atmosfera algida del Nord. Significativamente, nel catalogo di Castiglioni troviamo, oltre a questo Omaggio a Edvard Grieg, anche una Sinfonia con rosignolo per soprano e orchestra (1989) il cui primo movimento si intitola «Grieg Grieg Grieg...», dei Morceaux lyriques per oboe e orchestra (1982) alla maniera dei Pezzi lirici del compositore norvegese; e in Arabeschi (1971–1978), inoltre, due citazioni vere e proprie dalla sua musica. Altro elemento che va a comporre il quadro della poetica di Castiglioni è quello del gioco e della danza: in Omaggio a Edvard Grieg ci si imbatte diverse volte in un piccolo valzer, che pare suonato da un organetto meccanico. E a questi elementi si aggiunge, a tutti quanti dando un particolare significato, il tono naïf: chiunque entri nella musica di Castiglioni si ritrova bimbo e con occhi di bimbo guarda davanti a sé gli oggetti della vita. Chi è, o cosa è l’Altro, in Omaggio a Edvard Grieg? Non lo diremo veramente, perché si suppone che questo testo venga letto prima di ascoltare il concerto. Si rischierebbe quello che in termini cinematografici o narrativi viene detto spoiler: quando a tradimento si svela il finale di un film o di un romanzo (magari un giallo!), senza avvisare il lettore qualche riga prima che, qualora egli non abbia visto/letto il film/libro, è meglio che non continui la lettura o almeno salti il paragrafo successivo. E il finale del brano di Castiglioni è davvero congegnato come quello di un abile romanzo giallo, dove lo svelamento del “colpevole” desta assoluta meraviglia perché nessuno se lo sarebbe aspettato. Si dirà solo che, poco prima della fine, le diverse stanze dello stralunato rondò (c’è un vero ritornello che si ripete ciclicamente) di Castiglioni scompaiono, e ha inizio un episodio per il quale l’autore chiede ai due pianisti di creare dei silenzi molto lunghi, dando così «un senso di NOIA». È la soglia dell’ultima stanza, dentro alla quale nessuno sa cosa sarà dato trovare; i silenzi che la precedono sono così lunghi che quasi l’ascoltatore dimentica quella lunga parte del brano che già è stata suonata, e si concentra solo sulla rivelazione imminente. L’ascolto in concerto svelerà ciò che vi è nell’ultima stanza: spiazzante, totalmente Altro. Nel prossimo testo di sala per questa stagione torneremo su questo finale castiglioniano con una breve postilla, quando ormai il “colpevole” sarà noto agli ascoltatori. Nfatti precedere da interventi abbastanza ampi per pianoforte solo: el presente programma, due dei brani per due pianoforti vengono He di Castiglioni (brano sbalorditivo del 1990, anche qui nessuno spoiler, ma anticipiamo che l’ascolto da un certo punto in poi è del tutto scioccante), eseguito dallo scrivente, e due studi di Ligeti (Fanfares e Automne à Varsovie, del 1985), affidati ad Anna D’Errico. Questa caratteristica, la sintesi dell’esperienza solistica con quella di duo, sembra a noi particolarmente importante: intrecciare sistematicamente le due vesti nei programmi da concerto rende esplicito il ruolo fondante che il repertorio per pianoforte solo ha in una ricerca musicale che voglia felicemente allargarsi al lavoro di coppia. Lavoro, quest’ultimo, che peraltro porta in sé in generale paradosso della musica da camera, elevato all’ennesima potenza da un organico fra i più ardui e insidiosi (e l’incerta soluzione del paradosso può occupare per i musicisti interessati una vita intera): venti dita, due menti, due anime – e si sogna e desidera che in qualche modo le dita siano solo dieci, la mente una, e anche di anima ce ne sia una soltanto. Alfonso Alberti Alfonso Alberti svolge un’intensa attività di pianista in Europa e negli Stati Uniti. Nato nel 1976, ha studiato con Piero Rattalino e Riccardo Risaliti e ha seguito corsi di perfezionamento tenuti da Massimiliano Damerini, Rosalyn Tureck, Franco Scala, Oleg Marshev. Ha esordito nella Sala Verdi del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano a diciassette anni eseguendo il Quarto concerto di Rachmaninov con l’Orchestra della RAI. Ha suonato, tra gli altri, al Konzerthaus di Vienna, al Teatro Dal Verme di Milano, al Passionsspielhaus di Erl, al LACMA di Los Angeles, ai giardini della Guggenheim Collection a Venezia e Villa Pisani Bonetti a Bagnolo di Lonigo, capolavoro giovanile di Andrea Palladio e patrimonio dell’UNESCO. Ha tenuto concerti insieme a noti musicisti, fra i quali il flautista Pierre Yves Artaud, il percussionista Maurizio Ben Omar e il trombonista Barrie Webb; collabora stabilmente con l’Ensemble Prometeo e in maniera occasionale con altre formazioni. Ha realizzato numerosi CD solistici e cameristici, tra i quali il disco per pianoforte solo Cangianti, dedicato all’opera integrale per pianoforte di Niccolò Castiglioni e pubblicato dall’etichetta “Col legno”. Sempre per “Col legno”, Dispositions furtives, con musiche per pianoforte solo di Gérard Pesson, mentre presto sarà pubblicato un cd Stradivarius con il Concerto per pianoforte e orchestra di Goffredo Petrassi (Orchestra della RAI di Torino, direttore Arturo Tamayo). Degno di nota è l’impegno di Alfonso Alberti per la divulgazione e la promozione della musica del secolo appena trascorso, con un repertorio che spazia dalle avanguardie storiche fino ai compositori più giovani. Sono state da lui tenute a battesimo composizioni per pianoforte solo di J. Baboni Schilingi, P. Castaldi, O. Coluccino, G. Gaslini, S. Gervasoni, G. Giuliano, D. Lombardi, A. Melchiorre, F. Nieder, G. Pesson, R. HP Platz, F. Razzi, G. Shohat, G. Sinopoli, A. Solbiati, Y. Sugiyama, M. Traversa e diversi altri compositori, anche della generazione più giovane. Alfonso Alberti affianca all’attività di pianista quella di musicologo: ha pubblicato Niccolò Casti-glioni, 1950-1966 (LIM, 2007), Vladimir Horowitz (L’Epos, 2008) e Le sonate di Claude Debussy (LIM, 2008). A lui, nel 2010, il canale televisivo Sky Classica ha dedicato un documentario per la serie “Notevoli”. Dallo scorso anno, gli Amici della Musica di Sondalo hanno affidato al maestro Alfonso Alberti la stesura delle note ai programmi di sala della stagione. Anna D’Errico ha intrapreso lo studio del pianoforte all’età di cinque anni. Si è diplomata con lode nel 2001 al Conservatorio “B. Marcello” di Venezia, con Giorgio Lovato. Nella stessa sede ha conseguito con lode la specializzazione di II livello in Discipline Musicali nell’ottobre 2005. Si è perfezionata con Pietro Rattalino, Joaquin Achucarro, Rudolf Buchbinder, Walter Krafft, Vincenzo Balzani, François–Joël Thiollier, Giuliana Gulli e Nino Gardi. Dal 2002 al 2004 fa parte del Gruppo di Studio del Fondo Respighi diretto da Eugenio Bagnoli alla Fondazione Cini di Venezia. Premiata in vari concorsi internazionali, ha tenuto recitals in prestigiosi teatri e sale, in Italia e all’estero, tra cui la Wiener Saal del Mozarteum di Salisburgo, la Weber Music Hall dell’University of Minnesota Duluth, la Farley’s House of Pianos di Madison, WI, il Palazzo delle Prigioni e il Teatro Goldoni a Venezia, la Sala dei Concerti del Conservatorio di Torino, la Sala Carnelutti e la Sala degli Arazzi alla Fondazione Cini, Venezia, il Teatro Verdi a Padova. Ha fatto parte dell’ensemble strumentale ne Il piccolo spazzacamino di Britten, messo in scena nel 2000 al Teatro Goldoni di Venezia, sotto la direzione di Maurizio Dini Ciacci. Nel 2001 ha eseguito al “B. Marcello” con l’orchestra del Teatro “La Fenice” di Venezia il Concerto in Re minore BWV 1052 di J. S. Bach, diretta da Charles Olivieri-Munroe. Nel 2003 ha partecipato al Palazzo delle Prigioni al ciclo di concerti dedicato all’integrale delle Sonate per pianoforte di Beethoven. Il 2004 l’ha vista in tournée come solista negli Stati Uniti. Con il “Simultaneo Ensemble Venezia” ha partecipato a un programma dedicato ai compositori veneziani del ‘900, da Maderna e Malipiero alle ultime generazioni, eseguito al Mozarteum di Salisburgo e al “B. Marcello” di Venezia, che ha visto anche la prima esecuzione italiana di Ballo Sghembo di C. Ambrosini. Ha suonato con l’”Ensemble Ad Hoc” nel dramma Olocausto del silenzio, su testo di L. Ruffato e musica di G. Pauletta, andato in scena in prima assoluta in occasione della Giornata della Memoria nel gennaio 2005 al Teatro Verdi di Padova, sotto la direzione di G. Pauletta e la regia di F. Crispo. Ha al suo attivo un’incisione dedicata a Schubert, autore che ha portato spesso in tournée con recitals monografici, e del quale sta intraprendendo l’integrale delle Sonate per pianoforte. Affianca all’ attività di solista quella di camerista in varie formazioni (violino e pianoforte, violoncello e pianoforte, voce e pianoforte con repertorio liederistico). Nel 2003 fonda con Adriano Castaldini un duo pianistico. Dal 2004 è Presidente dell’Associazione Culturale “Musici Mojanesi”. INGRESSI SOCI: ingresso con abbonamento NON SOCI: biglietto posto unico € 15 (ridotto Studenti e Giovani fino a 26 anni) € 6 INFORMAZIONI e VENDITA ABBONAMENTI e BIGLIETTI, presso: MORBEGNO - Biblioteca “E. Vanoni” via Cortivacci, 4 (tel. 0342 610323) SONDRIO - “La Pianola” - via Battisti, 66 (tel. 0342 219515) TIRANO - “Cartolibreria MARCOM” P.zza Basilica, 41 (tel. 0342 052386) SONDALO - Segreteria “Amici della Musica” via Verdi 2 (tel. 0342 801816 - cell. 348 3256939) [email protected] - www.amicidellamusica.org BORMIO - Ufficio Turistico via Roma, 131/b (tel. 0342 903300) SERVIZIO BUS NAVETTA (gratuito per i soci) MORBEGNO (S.Antonio) Talamona (Nuovo Pignone) Ardenno (bivio) S.Pietro B. (bivio) Castione (bivio) SONDRIO (Auditorium) 20,00 20,05 20,10 20.15 20,20 20,30 SEMOGO 18,50 Isolaccia 18,55 Piandelvino/Fiordalpe 18,58 Premadio 19,03 BORMIO (Perego) 19,10 Santa Lucia (Ponte) 19,15 Cepina (Ponte) 19,18 Grailè 19,25 SONDALO (Scuole Element.) 1 9,30 Grosio 19,37 Grosotto 19.40 Mazzo/Tovo/Lovero 19.45 Sernio (Valchiosa) 19,55 TIRANO (p.za Marinoni) 20,00 Madonna (rotonda) 20,05 Villa di Tirano (Stazione) 20,08 Tresenda (Stazione) 20.12 S. Giacomo (Stazione) 20.16 Chiuro/Ponte (FS) 20,20 Montagna Piano (Trippi) 20,23 SONDRIO (Stazione) 20,28 SONDRIO (Auditorium) 20,30 AMICI DELLA MUSICA - SONDALO Periodico di cultura musicale e spettacolo Direttore Responsabile: IRENE TUCCI Editore: AMICI DELLA MUSICA, Sondalo Autorizzazione Tribunale di Sondrio nr. 214 Registro Stampa del 2.10.1990 Stampa: Lito Polaris - Sondrio PROVINCIA DI SONDRIO COMUNE DI SONDRIO COMUNE DI SONDALO N. 2 - 2015 N. 10 - 2014 Poste NR.1 ItalianeAL S.p.A. 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