52° anno dalla fondazione
54° anno dalla fondazione
52° anno dalla fondazione
Stagione di concerti
9
Venerdi 6 febbraio 2015, ore 20.45
AUDITORIUM TORELLI, SONDRIO
Alfonso
Alberti
Anna
D’Errico
due pianoforti
BRAHMS, CASTIGLIONI
BACH, LIGETI, KURTÁG
ROTARY CLUB SONDRIO
54° anno dalla fondazione
2014-2015
PROGRAMMA
La stagione di concerti 2014-2015 è realizzata
con il sostegno di:
JOHANNES BRAHMS (1833-1897)
Variazioni su un tema di Haydn per due pianoforti, op. 56b
MINISTRO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI
Direzione generale per lo spettacolo dal vivo
Tema. Andante
Variazione I. Poco piu animato
Variazione II. Piu vivace
Variazione III. Con moto
Variazione IV. Andante con moto
Variazione V. Poco presto
Variazione VI. Vivace
Variazione VII. Grazioso
Variazione VIII. Presto non troppo
Finale. Andante
REGIONE LOMBARDIA
Direzione Generale Culture, Identità e Autonomie
della Lombardia
PROVINCIA DI SONDRIO
Settore Istruzione e Cultura
COMUNITÀ MONTANA ALTA VALTELLINA
DI BORMIO
COMUNE DI SONDRIO
COMUNE DI SONDALO
NICCOLò CASTIGLIONI (1932-1996)
COMUNE DI BORMIO
He, per pianoforte solo1
Omaggio a Edvard Grieg per due pianoforti
B.I.M. Bacino Imbrifero Montano dell’Adda
Fondazione Pro Valtellina
***
Fondazione Credito Valtellinese
JOHANN SEBASTIAN BACH (1685-1750)
Gott, durch Deine Güte, per pianoforte a 4 mani (trascr. György Kurtág)
Ich ruf ’ zu Dir, Herr Jesu Christ, per pianoforte solo2 (trascr. Ferruccio Busoni)
O Lamm Gottes, unschuldig, per pianoforte a 4 mani (trascr. György Kurtág)
Jesus bleibet meine Freude, per pianoforte solo1 (trascr. Harold Bauer)
Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit, per pf a 4 mani (trascr. György Kurtág)
GYÖRGY LIGETI (1903)
Dal 1° Quaderno degli Studi per pianoforte solo2
Fanfares - Automne à Varsovie
Tre pezzi, per due pianoforti:
- Monument [Monumento]
- Selbstportrait mit Reich und Riley (und Chopin ist auch dabei)
[Autoritratto con Reich e Riley (e c’è anche Chopin)]
- Bewegung [Movimento]
Pianoforte: Alfonso Alberti1, Anna D’Errico2
Venti dita
Cner di duo Anna D’Errico) impaginato il presente programma
uriosamente, il fatto di avere in prima persona (insieme alla part-
non rende meno necessaria, a chi scrive, un’ulteriore riflessione su
di esso prima di stenderne il testo di sala. E il risultato è strabiliante:
si scopre che nel succedersi dei quattro autori (Brahms, Castiglioni,
Bach, Ligeti) vi è un percorso particolarissimo che non era stato
pianificato a tavolino (a tavolino erano state studiate la piacevolezza,
la varietà e anche una certa logica – ma non così stringente – dei
contrasti), un percorso che riguarda il rapporto con l’Altro musicale.
È in quattro tappe e, se seguito nella sua progressione logica, scombina parzialmente l’ordine del programma. I cinque brani di Johann
Sebastian Bach (1685–1750) non sono per pianoforte, ma per il
pianoforte vengono trascritti da Ferruccio Busoni, Harold Bauer
e György Kurtág. La questione della trascrizione è, nella musica
classica, abbastanza impegnativa e per nulla scontata. Non esiste il
concetto, comune in altri repertori (come quello della musica leggera) dell’arrangiamento, per cui qualunque brano è teoricamente
arrangiabile per qualunque organico (voce e pianoforte, voce e
orchestra sinfonica, voce e jazz band...): il brano viene pensato dal
compositore, generalmente, con una destinazione specifica, e quella
è, e resta. Il trascrivere quel brano (che è altro – un’altra epoca, un
altro stile – rispetto a chi trascrive) diventa perciò una scelta che
deve essere motivata, e che in genere acquista valore d’arte solo se è
operata da un musicista della stessa statura dello stesso compositore
(oppure dal compositore stesso, beninteso, che talvolta trascrive le
sue stesse opere).
Il primo, il terzo e il quinto brano sono trascritti da Kurtág per
pianoforte a quattro mani (e perciò due esecutori), mentre il
secondo e il quarto sono trascritti rispettivamente da Busoni e
Bauer per un solo esecutore (venendo perciò eseguiti uno da Anna
D’Errico e l’altro dallo scrivente). Detto brevemente: Ferruccio
Busoni (1866–1924) è grande maestro della trascrizione, e le sue
motivazioni nel trascrivere sono culturali (acquisire al pianoforte il
grande repertorio del passato, associandolo ai repertori successivi
in programmi storici che mostrino al pubblico l’evoluzione del
linguaggio) e poetiche: la sfida è quella di ricercare su uno strumento diverso quel certo suono e quella certa poesia – non sempre
totalmente coincidenti con quelle di Bach! la contraddizione, entro
certi limiti, fa parte del gioco.
Harold Bauer (1873–1951), nome decisamente meno noto, è invece
fra i pianisti (un’altra è stata, per esempio, Myra Hess) che hanno
trasposto sul pianoforte uno dei brani bachiani più noti al grande
pubblico, Jesus bleibet meine Freude: la sua trascrizione, certo meno
significativa come documento culturale, è notevole per il fascino
sonoro che raggiunge.
György Kurtág (1926), infine, è compositore contemporaneo, e
vien quasi da aspettarsi “effetti speciali” di ogni genere, che magari
snaturino la sostanza armonica del brano. In realtà le sue trascrizioni per pianoforte a quattro mani (destinate, per uso sia casalingo
sia concertistico, a sé e alla moglie) sono molto fedeli al testo. Gli
“effetti speciali”, che sono principalmente due, non sono così appariscenti (tanto meno snaturanti), e vale la pena di menzionarli
perché è in essi che la trascrizione svela la motivazione che ha per
Kurtág: la trasfigurazione sonora.
Primo: detta molto semplicemente e senza entrare in tecnicismi
acustici, ogni suono in generale è una dosatissima miscela di un
suono fondamentale e di mille altri suoni (molto più discreti, per
lo più impercettibili) che ne costituiscono il timbro. L’organo è
strumento particolarissimo perché attraverso l’espediente dei registri
(leve che vengono tirate dallo stesso organista o dal registrante che
gli sta al fianco) può evidenziare artificialmente, aprendo o chiudendo serie di canne collegate, proprio questi suoni accessori. Ecco
perciò il primo espediente di Kurtág: ricreare i registri dell’organo
sul pianoforte chiedendo a uno dei pianisti di suonare la melodia
principale contemporaneamente con le due mani, ma una delle
due con un pianissimo impercettibile, solo un’ombra dell’altra (e
in uno dei pezzi ciò avviene a mani incrociate, così che l’ombra sia
ancora di più un’ombra).
Il secondo espediente, che ha luogo in Gott, durch Deine Güte,
è vistosissimo per chi guarda i due esecutori. Il suono pianistico
(che, ripetiamolo, è l’oggetto di indagine di Kurtág) dipende da
mille fattori, ma da uno in particolar modo: da “come si mettono
le mani” (cosa su cui insegnanti di ogni generazione perdono la
testa coi loro allievi). E se il compositore fa in modo di forzare
una particolare posizione della mano? Ecco la soluzione di Kurtág:
i due esecutori intrecciano in maniera inverosimile i loro arti,
tanto che chi siede a destra suona anche la parte che si trova più
a sinistra, mentre l’altro suona le due parti centrali incrociando
fra loro anche le proprie mani. Ne esce un suono diverso, forse
persino “sbagliato” dal punto di vista accademico: però inconsueto
e interessante.
S(1833–1897) lo prende (trascrivendolo, certo) come punto di
e Busoni, Bauer e Kurtág trascrivono l’Altro, Johannes Brahms
partenza per un ciclo di variazioni. A giudicare dal titolo delle Variazioni su un tema di Haydn op. 56b (1873, composte in questa
versione per due pianoforti e in una seconda versione per orchestra),
l’Altro dovrebbe essere Haydn, ma in realtà non lo è. Quel Divertimento in si bemolle maggiore per complesso di fiati (due oboi,
due corni, tre fagotti, un serpentone) che nel 1870 il musicologo
Carl Ferdinand Pohl mostra a Brahms su un manoscritto datato
1784, oggi si dubita fortemente sia del compositore austriaco. Più
probabile che l’abbia scritto Ignaz Pleyel, a suo tempo allievo di
Haydn, per la banda militare degli Esterhàzy; d’altronde, il tema in
questione non sarebbe in ultima analisi nemmeno di Pleyel, ma pare
essere una citazione da un più antico canto processionale austriaco,
il cosiddetto Chorale in honorem St. Antonii.
Con l’Altro, nel caso di queste Variazioni, si crea un dialogo carico
di tensione: il punto di partenza è, appunto, un semplice punto di
partenza, da cui poi Brahms si allontana calandosi per intero nel
proprio stile. Particolare fascino ha il passaggio dal tema alla prima
variazione: momento in cui, da un suono che porta in sé ancora
tracce di tardo Settecento, emerge il calore e la ricchezza del suono
brahmsiano. La contraddizione non è sanata: il corale di s. Antonio
esce da se stesso per vivere molteplici avventure: abbandoni espressivi, danze vivaci, squarci cantabili, esplosioni improvvise di suono.
Eppure, dopo tanto errare, il percorso scelto da Brahms prevede
un ritorno a casa: dopo otto variazioni si approda al finale, sezione
più ampia delle precedenti, costruita su un basso ostinato sopra il
quale poco per volta si ricostituisce la fisionomia del tema principale. Nell’ultima, mirabile pagina, il corale torna per davvero, così
com’era, ma allo stesso tempo diverso da prima: le stesse note, ma
rivestite da un suono che ora è incondizionatamente brahmsiano,
possente e definitivo.
Il viaggio cambia le cose, e la maniera di vederle. Le Variazioni su un
tema di Haydn di Brahms sono un capolavoro dell’arte di perdere e
poi ritrovare, e il momento del finale ritorno del tema è fra le pagine
indimenticabili del repertorio musicale.
N
el secondo dei Tre pezzi per due pianoforti (1976) di György
Ligeti (1923–2006), intitolato Selbstportrait mit Reich und Riley
(und Chopin ist auch dabei) [Autoritratto con Reich e Riley (e c’è
anche Chopin)], si verifica un rapporto con l’Altro ancora diverso.
L’altro non viene trascritto, non diventa un tema per un ciclo
di variazioni, ma viene soltanto evocato, il fantasma della Storia
con cui bisogna fare i conti e che se ne sta sempre lì a guardare. Il
brano si basa sulla tecnica, inventata da un interprete a contatto
con Ligeti, dei «tasti bloccati». La mano destra per gran parte del
pezzo suona senza posa, un’unica sequenza di note molto veloci
e senza interruzione – ma ciò che arriva all’ascoltatore è del tutto
diverso: interruzioni frequentissime, tanti, tanti silenzi. Il motivo:
l’altra mano, la sinistra, «blocca» (premendoli preventivamente
senza emettere suono) molti dei tasti suonati dalla destra, la quale
perciò ha un bel battere sui tasti (già abbassati), ma in molti casi
non accade nulla. Da questa singolare “tenzone” fra le due mani
nascono ritmi insoliti, ripetuti a lungo ma in costante trasformazione. Ecco il perché di quei (Steve) Reich e (Terry) Riley citati
nel titolo: i due compositori minimalisti americani proprio questo
facevano dagli anni Sessanta in poi, ripetere a lungo pattern in lenta trasformazione. Il percorso di Ligeti nell’Autoritratto però a un
certo punto si infittisce, arriva a snodi di una certa drammaticità
e infine fa capolino il terzo autore citato nel titolo, che in mezzo a
tanto Novecento è veramente Altro. È Chopin, lo Chopin del finale
della seconda Sonata (quel movimento breve e rapido, tutto sospeso
fra piano e pianissimo, che svolge la sua funzione di chiusura in
maniera del tutto anticonvenzionale), di cui qui non ascoltiamo le
note, evidentemente, ma di cui comunque riconosciamo l’essenziale:
le due mani che procedono parallele a distanza d’ottava, la stessa
inesorabilità, la stessa dinamica pianissimo screziata da continui
crescendi e diminuendi (così come anche per il finale della Seconda
di Chopin vuole una delle tradizioni interpretative) e tutto sommato
anche la curvatura delle frasi.
Nessuna trascrizione, ma con un abile incantesimo Ligeti evoca un
fantasma. E come ogni fantasma che si rispetti, poco dopo essere
stato evocato, lo spettro scompare. L’«autoritratto» di Ligeti è incastonato in seconda posizione fra un Monument [Monumento],
immagine imponente che si staglia davanti all’ascoltatore quasi in
tre dimensioni, grazie ai gradi di intensità estremamente differenziati
che creano un equivalente della profondità spaziale, e un Bewegung
[Movimento] che snocciola una sequenza ritmica teoricamente rigida e da orologiaio, in realtà resa umanissima dall’entrare e uscire
dal tessuto delle tante voci di un canone.
Preso nel suo complesso, questo trittico di Ligeti è da considerare
uno dei brani più importanti scritti per due pianoforti nella seconda metà del Novecento: sintesi delle possibilità di uno strumento,
proiettate in spazi musicali visionari.
Cstoria. La sua è una delle poetiche musicali più particolari del
on Niccolò Castiglioni (1932–1996) si esce addirittura, dalla
secondo Novecento; un carattere ricorrente è la predilezione per il
registro acuto e sovracuto, evidentissima in molte delle sezioni di
Omaggio a Edvard Grieg (1981) per due pianoforti. Per associazione
di idee, il registro acuto richiama alla mente freddo, ghiaccio, neve:
tutti elementi dell’immaginario poetico di Castiglioni, in cui vale
la pena di sottolineare che il freddo non ha nulla di ostile, essendo
invece salubre e benefico, e portando con sé il fascino del paesaggio invernale e la bellezza di ciò che è puro. Un compositore da
lui venerato fu quell’Edvard Grieg che figura nel titolo del brano
in programma, e nella cui musica si respira così spesso l’atmosfera
algida del Nord. Significativamente, nel catalogo di Castiglioni troviamo, oltre a questo Omaggio a Edvard Grieg, anche una Sinfonia
con rosignolo per soprano e orchestra (1989) il cui primo movimento
si intitola «Grieg Grieg Grieg...», dei Morceaux lyriques per oboe
e orchestra (1982) alla maniera dei Pezzi lirici del compositore
norvegese; e in Arabeschi (1971–1978), inoltre, due citazioni vere
e proprie dalla sua musica.
Altro elemento che va a comporre il quadro della poetica di Castiglioni è quello del gioco e della danza: in Omaggio a Edvard Grieg
ci si imbatte diverse volte in un piccolo valzer, che pare suonato da
un organetto meccanico. E a questi elementi si aggiunge, a tutti
quanti dando un particolare significato, il tono naïf: chiunque entri
nella musica di Castiglioni si ritrova bimbo e con occhi di bimbo
guarda davanti a sé gli oggetti della vita.
Chi è, o cosa è l’Altro, in Omaggio a Edvard Grieg? Non lo diremo
veramente, perché si suppone che questo testo venga letto prima di
ascoltare il concerto. Si rischierebbe quello che in termini cinematografici o narrativi viene detto spoiler: quando a tradimento si svela il
finale di un film o di un romanzo (magari un giallo!), senza avvisare
il lettore qualche riga prima che, qualora egli non abbia visto/letto
il film/libro, è meglio che non continui la lettura o almeno salti il
paragrafo successivo. E il finale del brano di Castiglioni è davvero
congegnato come quello di un abile romanzo giallo, dove lo svelamento del “colpevole” desta assoluta meraviglia perché nessuno se
lo sarebbe aspettato.
Si dirà solo che, poco prima della fine, le diverse stanze dello stralunato rondò (c’è un vero ritornello che si ripete ciclicamente) di
Castiglioni scompaiono, e ha inizio un episodio per il quale l’autore
chiede ai due pianisti di creare dei silenzi molto lunghi, dando così
«un senso di NOIA». È la soglia dell’ultima stanza, dentro alla quale
nessuno sa cosa sarà dato trovare; i silenzi che la precedono sono
così lunghi che quasi l’ascoltatore dimentica quella lunga parte del
brano che già è stata suonata, e si concentra solo sulla rivelazione
imminente.
L’ascolto in concerto svelerà ciò che vi è nell’ultima stanza: spiazzante, totalmente Altro. Nel prossimo testo di sala per questa stagione
torneremo su questo finale castiglioniano con una breve postilla,
quando ormai il “colpevole” sarà noto agli ascoltatori.
Nfatti precedere da interventi abbastanza ampi per pianoforte solo:
el presente programma, due dei brani per due pianoforti vengono
He di Castiglioni (brano sbalorditivo del 1990, anche qui nessuno
spoiler, ma anticipiamo che l’ascolto da un certo punto in poi è
del tutto scioccante), eseguito dallo scrivente, e due studi di Ligeti
(Fanfares e Automne à Varsovie, del 1985), affidati ad Anna D’Errico.
Questa caratteristica, la sintesi dell’esperienza solistica con quella di
duo, sembra a noi particolarmente importante: intrecciare sistematicamente le due vesti nei programmi da concerto rende esplicito
il ruolo fondante che il repertorio per pianoforte solo ha in una
ricerca musicale che voglia felicemente allargarsi al lavoro di coppia.
Lavoro, quest’ultimo, che peraltro porta in sé in generale paradosso
della musica da camera, elevato all’ennesima potenza da un organico
fra i più ardui e insidiosi (e l’incerta soluzione del paradosso può
occupare per i musicisti interessati una vita intera): venti dita, due
menti, due anime – e si sogna e desidera che in qualche modo le
dita siano solo dieci, la mente una, e anche di anima ce ne sia una
soltanto.
Alfonso Alberti
Alfonso Alberti svolge un’intensa attività di pianista in Europa
e negli Stati Uniti. Nato nel 1976, ha studiato con Piero Rattalino e Riccardo Risaliti e ha seguito corsi di perfezionamento
tenuti da Massimiliano Damerini, Rosalyn Tureck, Franco
Scala, Oleg Marshev.
Ha esordito nella Sala Verdi del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano a diciassette anni eseguendo il Quarto concerto
di Rachmaninov con l’Orchestra della RAI. Ha suonato, tra
gli altri, al Konzerthaus di Vienna, al Teatro Dal
Verme di Milano,
al Passionsspielhaus di Erl, al
LACMA di Los
Angeles, ai giardini della Guggenheim Collection a Venezia e
Villa Pisani Bonetti a Bagnolo
di Lonigo, capolavoro giovanile
di Andrea Palladio e patrimonio
dell’UNESCO.
Ha tenuto concerti insieme a
noti musicisti,
fra i quali il flautista Pierre Yves
Artaud, il percussionista Maurizio Ben Omar e il trombonista Barrie Webb;
collabora stabilmente con l’Ensemble Prometeo e in maniera
occasionale con altre formazioni.
Ha realizzato numerosi CD solistici e cameristici, tra i quali
il disco per pianoforte solo Cangianti, dedicato all’opera
integrale per pianoforte di Niccolò Castiglioni e pubblicato
dall’etichetta “Col legno”. Sempre per “Col legno”, Dispositions furtives, con musiche per pianoforte solo di Gérard
Pesson, mentre presto sarà pubblicato un cd Stradivarius con
il Concerto per pianoforte e orchestra di Goffredo Petrassi
(Orchestra della RAI di Torino, direttore Arturo Tamayo).
Degno di nota è l’impegno di Alfonso Alberti per la divulgazione e la promozione della musica del secolo appena trascorso, con un repertorio che spazia dalle avanguardie storiche
fino ai compositori più giovani. Sono state da lui tenute a
battesimo composizioni per pianoforte solo di J. Baboni Schilingi, P. Castaldi, O. Coluccino, G. Gaslini, S. Gervasoni, G.
Giuliano, D. Lombardi, A. Melchiorre, F. Nieder, G. Pesson,
R. HP Platz, F. Razzi, G. Shohat, G. Sinopoli, A. Solbiati, Y.
Sugiyama, M. Traversa e diversi altri compositori, anche della
generazione più giovane.
Alfonso Alberti affianca all’attività di pianista quella di musicologo: ha pubblicato Niccolò Casti-glioni, 1950-1966
(LIM, 2007), Vladimir Horowitz (L’Epos, 2008) e Le sonate
di Claude Debussy (LIM, 2008). A lui, nel 2010, il canale
televisivo Sky Classica ha dedicato un documentario per la
serie “Notevoli”.
Dallo scorso anno, gli Amici della Musica di Sondalo hanno
affidato al maestro Alfonso Alberti la stesura delle note ai
programmi di sala della stagione.
Anna D’Errico ha intrapreso lo studio del pianoforte all’età di
cinque anni. Si è diplomata con lode nel 2001 al Conservatorio “B. Marcello” di Venezia, con Giorgio Lovato. Nella stessa
sede ha conseguito con lode la specializzazione di II livello in
Discipline Musicali nell’ottobre 2005. Si è perfezionata con
Pietro Rattalino, Joaquin Achucarro, Rudolf Buchbinder, Walter Krafft, Vincenzo Balzani, François–Joël Thiollier, Giuliana
Gulli e Nino Gardi. Dal 2002 al 2004 fa parte del Gruppo di
Studio del Fondo
Respighi diretto
da Eugenio Bagnoli alla Fondazione
Cini di Venezia.
Premiata in vari
concorsi internazionali, ha tenuto recitals in
prestigiosi teatri
e sale, in Italia e
all’estero, tra cui
la Wiener Saal
del Mozarteum
di Salisburgo,
la Weber Music
Hall dell’University of Minnesota Duluth, la
Farley’s House of
Pianos di Madison, WI, il Palazzo delle Prigioni e
il Teatro Goldoni a Venezia, la Sala dei Concerti del Conservatorio di Torino, la Sala Carnelutti e la Sala degli Arazzi alla
Fondazione Cini, Venezia, il Teatro Verdi a Padova.
Ha fatto parte dell’ensemble strumentale ne Il piccolo spazzacamino di Britten, messo in scena nel 2000 al Teatro Goldoni
di Venezia, sotto la direzione di Maurizio Dini Ciacci. Nel
2001 ha eseguito al “B. Marcello” con l’orchestra del Teatro
“La Fenice” di Venezia il Concerto in Re minore BWV 1052 di
J. S. Bach, diretta da Charles Olivieri-Munroe.
Nel 2003 ha partecipato al Palazzo delle Prigioni al ciclo di
concerti dedicato all’integrale delle Sonate per pianoforte di
Beethoven. Il 2004 l’ha vista in tournée come solista negli Stati
Uniti. Con il “Simultaneo Ensemble Venezia” ha partecipato
a un programma dedicato ai compositori veneziani del ‘900,
da Maderna e Malipiero alle ultime generazioni, eseguito al
Mozarteum di Salisburgo e al “B. Marcello” di Venezia, che
ha visto anche la prima esecuzione italiana di
Ballo Sghembo di C. Ambrosini. Ha suonato con l’”Ensemble
Ad Hoc” nel dramma Olocausto del silenzio, su testo di L. Ruffato e musica di G. Pauletta, andato in scena in prima assoluta
in occasione della Giornata della Memoria nel gennaio 2005
al Teatro Verdi di Padova, sotto la direzione di G. Pauletta e
la regia di F. Crispo.
Ha al suo attivo un’incisione dedicata a Schubert, autore che
ha portato spesso in tournée con recitals monografici, e del
quale sta intraprendendo l’integrale delle Sonate per pianoforte.
Affianca all’ attività di solista quella di camerista in varie formazioni (violino e pianoforte, violoncello e pianoforte, voce
e pianoforte con repertorio liederistico). Nel 2003 fonda con
Adriano Castaldini un duo pianistico. Dal 2004 è Presidente
dell’Associazione Culturale “Musici Mojanesi”.
INGRESSI
SOCI: ingresso con abbonamento
NON SOCI: biglietto posto unico € 15
(ridotto Studenti e Giovani fino a 26 anni) € 6
INFORMAZIONI e VENDITA ABBONAMENTI e BIGLIETTI, presso:
MORBEGNO - Biblioteca “E. Vanoni”
via Cortivacci, 4 (tel. 0342 610323)
SONDRIO - “La Pianola” - via Battisti, 66
(tel. 0342 219515)
TIRANO - “Cartolibreria MARCOM”
P.zza Basilica, 41 (tel. 0342 052386)
SONDALO - Segreteria “Amici della Musica”
via Verdi 2 (tel. 0342 801816 - cell. 348 3256939)
[email protected] - www.amicidellamusica.org
BORMIO - Ufficio Turistico
via Roma, 131/b (tel. 0342 903300)
SERVIZIO BUS NAVETTA (gratuito per i soci)
MORBEGNO (S.Antonio) Talamona (Nuovo Pignone) Ardenno (bivio) S.Pietro B. (bivio) Castione (bivio) SONDRIO (Auditorium) 20,00
20,05
20,10
20.15
20,20
20,30
SEMOGO 18,50
Isolaccia 18,55
Piandelvino/Fiordalpe 18,58
Premadio 19,03
BORMIO (Perego) 19,10
Santa Lucia (Ponte) 19,15
Cepina (Ponte) 19,18
Grailè 19,25
SONDALO (Scuole Element.) 1 9,30
Grosio 19,37
Grosotto 19.40
Mazzo/Tovo/Lovero 19.45
Sernio (Valchiosa) 19,55
TIRANO (p.za Marinoni) 20,00
Madonna (rotonda) 20,05
Villa di Tirano (Stazione) 20,08
Tresenda (Stazione) 20.12
S. Giacomo (Stazione) 20.16
Chiuro/Ponte (FS) 20,20
Montagna Piano (Trippi) 20,23
SONDRIO (Stazione) 20,28
SONDRIO (Auditorium) 20,30
AMICI DELLA MUSICA - SONDALO
Periodico di cultura musicale e spettacolo
Direttore Responsabile: IRENE TUCCI
Editore:
AMICI DELLA MUSICA, Sondalo
Autorizzazione Tribunale di Sondrio nr. 214
Registro Stampa del 2.10.1990
Stampa: Lito Polaris - Sondrio
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COMUNE DI SONDALO
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N. 10 - 2014
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ItalianeAL
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PERIODICO
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Abbonamento Postale
(conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
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MUSICA-SONDALO”
NR. 5/2014
D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art. 1, comma 1, DCB Sondrio
art. 1, comma 1, DCB Sondrio
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