GQ L E N O S T R E P R I G I O N I
GQ O C C H I E L L O
LA CUCINA, IL SESSO E LO SPORT
RACCONTATI DA UOMINI CHE
PASSANO LA GIORNATA IN UNA
CELLA DI OTTO METRI QUADRATI.
PARLANO I DETENUTI DI SAN VITTORE.
— FOTO MAURO D’AGATI — A CURA DI ALBERTO VACCARO
TESTI DI: SAMI BERISHA, GIUSEPPE CANTATORE, ALBERTO CAZZOLI, FRANCESCO GHELARDINI,
LUCA MAGRO, LEONARDO MARCUCCI, DANIELE ALBORGHETTI, MAXIMILIANO PALMERI
ODISSEA FOTOGRAFICA NELL’UNIVERSO CARCERE
di Adriano Sofri
Non vi sorprenda: fra la galera e la
fotografia c’è un rapporto inaspettatamente ricco. Fin dall’iniziazione.
Entrate in galera, vi prendono le impronte e vi fanno la fotografia. Tre
scatti: frontale, profilo sinistro, profilo destro. (Verranno poi le spoliazioni, le flessioni a corpo nudo, le espropriazioni di ogni proprietà materiale
e morale, la consegna di una coperta
e alcune stoviglie di plastica, il viatico
frequente di qualche mala parola eccetera). Le foto segnaletiche ora vengono fatte con una specie di
Polaroid, ciò che rende più sbrigativa
e meno solenne la procedura. Da lì
188 -- GQ.COM
comincia comunque quella metamorfosi della persona in qualcosa
d’altro, sfuggente spaventoso e misterioso, in cui consiste la prigione. Si
deposita all’ingresso il proprio nome
e cognome e si riceve in cambio un
numero, si perde la faccia e se ne
prende una attonita e irresponsabile.
Il trapasso fra avere e perdere la faccia è appunto nella cerimonia della
fotografazione. Tutti sanno come le
foto segnaletiche deformino, comicamente o tragicamente, le fisionomie
fisiche e spirituali della gente. (Se
avete visitato un lager, sapete che
niente è più impressionante del moGQ.COM -- 189
DENTRO
“
“
Giornalini: così
si chiamano le
pubblicazioni
destinate a offrire
pretesti alla
masturbazione
regolamentare
saico di foto dei prigionieri: prese
non per identificarli, ma per derubarli di ogni identità). Quando esponete
la vostra faccia – la vostra faccia, cioè
tutto quello che avete – all’agente fotografatore, dovete decidere: cercare
nonostante tutto una posa, la meno
sfavorevole; assumere un’espressione: di sfida, di disprezzo, di naturalezza, di disinteresse, di coraggio, di avvilimento; cercare di essere voi stessi,
cercare di non essere voi stessi.
Vedete che subito la questione della
fotografia investe il cuore della prigionia. Qualcuno cercherà di non assomigliarsi, per essere riconosciuto
più difficilmente in un eventuale
prossimo reato, qualcuno darà una
faccia falsa e un nome falso. I ragazzi
stranieri, soprattutto, danno nomi
falsi. Fino a venti, trenta nomi diversi: a un certo punto naufragano in
quella dissipazione di nomi e non
sanno più qual era quello vero. Non
solo, ma cominciano a essere condannati e incarcerati al posto di certi
omonimi o di colleghi che hanno usato gli stessi nomi falsi. Pensate che
confusione. Essa ha stranamente a
che fare col proposito solennemente,
generosamente e ridicolmente enunciato dalle Costituzioni e dai carcerieri: far sì che il carcerato si rieduchi,
che cambi vita, che diventi un altro.
I ragazzi stranieri, le ragazze zingare,
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AVANZI DI GALERA
CIBI DI SECONDA
SCELTA, POSATE IN
PLASTICA, UTENSILI
AUTOCOSTRUITI:
IN CARCERE
SI CUCINA COSÌ.
TEMPO LIBEROS
LA SESSUALITÀ
NEGATA: SOGNI ED
ESPEDIENTI PER
SOPPORTARE IL
DIVIETO PIÙ DURO
E FRUSTRANTE.
INNOCENTI EVASIONI
QUANDO UNA
VELOCE PARTITA
A CALCETTO
È TUTTO QUELLO
CHE RESTA PER
SCORDARE 20 ORE
AL GIORNO
IN UNA CELLA.
GQ.COM -- 191
GQ L E N O S T R E P R I G I O N I
I parenti dei detenuti aspettano, in un’area interna del carcere di Poggioreale (Napoli), l’ingresso alla sala colloqui.
non fanno che diventare un altro,
un’altra, dieci, venti altri. Una macchina ingente si adopera per smascherarli e farli tornare sempre se
stessi. Quali se stessi? Bisognerebbe
avere sempre un’istantanea di prima
e una di dopo. Una fatta a Tunisi
un’ora prima dell’imbarco e una a
Lampedusa un’ora dopo l’ingresso in
un centro di raccolta. Una fatta a
Pisa, a piede libero e braccio levato,
con la mano che sostiene la Torre e
un gran sorriso – serviva da mandare
a Tunisi, alla undicesima sorella, quella che se ne meraviglierà di più – e
192 -- GQ.COM
una fatta un’ora dopo, alla matricola
della galera, che Dio non voglia che
sia mai vista da sua madre e dalle undici sorelle. Rifarsi una vita, diventare un altro. Per questo, appunto, erano venuti da Tunisi, dalla Sierra
Leone, da Durazzo. È strano il mondo. In galera che vita ti rifai? In branda, tutto il giorno, alzarsi a turno per
fare due passi – due di numero – infilarsi a turno nell’angolo del cesso
con il mucchio dei giornalini, come si
chiamano le pubblicazioni destinate
a offrire pretesti alla masturbazione
regolamentare, come se di pretesti ci
“
ti prendono le impronte, ti fanno la foto.
“ Entri,
Ed è lì, in quella cerimonia, che cominci a diventare un altro
fosse bisogno. In certe galere, poche,
si fa del teatro: i ragazzi stranieri, anche i più scontrosi e intimiditi, ne
vanno pazzi. Che cos’è il teatro se
non una macchina per avere una seconda vita, per essere un’altra persona? Prendete Mohammed alias
Moncef alias Salah alias Moez alias
Rashid alias Fathi alias Hasan alias
eccetera: ecco che gli si offre la possibilità di essere un’altra persona.
Riccardo III, per esempio, o il Moro
di Venezia, o Eteocle (il teatro in carcere va spesso sul classico); oppure
un uomo col fiore in bocca, o una
GQ L E N O S T R E P R I G I O N I
“
“
Delle fotografie che mi è capitato di vedere fanno
impressione soprattutto i tentativi di sorridere
IL POPOLO
CHIUSO
56.068
sono le persone detenute nelle carceri
italiane. Di queste:
La pulizia della cella (questa è nel Pagliarelli di Palermo) può essere il prezzo di una sconfitta a carte.
53.479
sono uomini (95%)
compagna di Lisistrata, o Jenny dei
pirati. Lo farà spesso in modo brillante, lasciando a bocca aperta educatori
psicologhe agenti custodi e compagni
di cella, che lo conoscevano timido,
scontroso, in soggezione e demoralizzato. Solo che quella nuova vita dura
poco: il tempo delle prove, poi della
recita, magari di una replica con
qualche spettatore del mondo di fuori, e basta. Via gli abiti di scena, via
l’altra persona. Mohammed alias eccetera (ma anche Mario, o Gezim, o
Donald, o Mirko) può solo tenersene
in ricordo una fotografia o due: se le
Autorità abbiano autorizzato l’in-
gresso di un fotografo. In queste circostanze può succedere. Per esempio, alla fine di un torneo di calcetto.
Allora, se la sorveglianza è larga e il
fotografo gentile, si può cercare di
farsi fotografare di straforo da soli, in
un punto in cui lo sfondo non sia
troppo identificato. (È difficile trovarlo, in galera lo sfondo è dappertutto muro e ferro. Anche la porta
del calcetto è dipinta con la calce sul
cemento). Così si avrà una fotografia
da mandare a Tunisi o a Durazzo, anche se finora non si è avuto il coraggio di avvisare a casa della galera. A
casa si chiedevano in realtà come
segue a pagina 214
194 -- GQ.COM
20.036
sono in attesa di giudizio (36%)
17.819
sono stranieri (32%): marocchini i più
numerosi (3.941), seguiti da albanesi (2.750)
e tunisini (1.934)
15.558
sono tossicodipendenti (28%)
10.805
hanno fra 30 e 34 anni e formano il gruppo
d’età più numeroso (19,3%)
8.043
sono in Lombardia (14%), che ha il primato
per numero di carcerati, seguita da
Campania (6.825) e Lazio (5.700).
Fonte: Ministero della Giustizia.
Dati aggiornati al 31 dicembre 2004.
GQ L E N O S T R E P R I G I O N I
AVANZI DI GALERA
MALGRADO LE
LIMITAZIONI
IMPOSTE DAL
CARCERE, MANGIARE
E CUCINARE SONO
FRA LE ATTIVITÀ
PIÙ CAPACI DI FAR
RESPIRARE UN’ARIA
DI LIBERTÀ.
I detenuti mangiano di solito nelle loro celle, dove preparano i piatti caldi dei loro pasti in una zona del bagno adibita a cucina, su un tavolino 50x70 cm.
196 -- GQ.COM
Alberto: «La carenza di spazi e strumenti
incentiva l’ingegno, che induce per esempio a
utilizzare i coperchi delle scatole di conserva come
coltelli o le lame dei rasoi come microtomi per
ridurre l’aglio a fettine sottili affinché si sciolgano.
È possibile adottare una dieta sana ed equilibrata
grazie alla proibizione di alcolici e attraverso un
mix di ciò che passa il convento, mediamente
accettabile, e opportuni acquisti alimentari. La
discriminante è il denaro: chi non ne possiede è
decisamente svantaggiato. Non essendo inoltre
necessario risuolare le scarpe, trasformo le
bistecche del carcere, opportunamente ridotte a
bocconcini, in ottime pizzaiole».
Daniele: «Della cucina mi manca tutto: gli
ingredienti, gli utensili, lo spazio di lavoro e il
classico ripiano dei fornelli di varie misure: l’unica
cosa che evidentemente non manca è il tempo. In
tutte le celle che ho cambiato sono stato sempre io
a cucinare con regolarità, la prima ragione è che
sono bravo, la seconda è che sono esigente anche
nella mia semplicità. Amo soprattutto i primi, ma
non posso raccontarvi come preparo il ragù di
carne perché sono geloso delle mie ricette».
Leonardo: «L’amministrazione penitenziaria
provvede all’alimentazione del detenuto: se in un
carcere vivono 1.500 persone, il personale addetto
alla cucina interna preparerà cibo per 1.500
detenuti. Evitiamo commenti sulla qualità
gastronomica della sbobba, che perlomeno
soddisfa il fabbisogno biologico. Alla mattina passa
un carrello con latte e caffè, intorno a mezzogiorno
GQ.COM -- 197
GQ L E N O S T R E P R I G I O N I
“
Della cucina ci
mancano tutti gli
attrezzi: l’unica
cosa che abbonda
qui è il tempo...
“
GERGO
& GOLA
ACCENDERE
IL FRIGORIFERO
Quello del caffè è uno dei riti più importanti: insieme alle sigarette è il bene più ambito in carcere.
e alle cinque pomeridiane vengono
distribuiti, rispettivamente, pranzo e
cena. Parte dei detenuti ritira dai carrelli
solo i cibi freddi, come formaggi e
insalate: ogni cella è attrezzata con
fornelli a gas da campeggio, permessi
dal regolamento e acquistabili all’interno,
che consentono di cucinare gli alimenti
che si possono comprare due volte alla
settimana tramite la spesa interna
(sopravvitto). La cucina in cella non è
altro che un tavolino di 50x70 centimetri,
con sopra i fornelli (piano cottura) e
alcuni cestini in plastica per contenere
vari prodotti; il tutto in uno spazio di
circa 4,5 metri quadrati, condivisi con il
bagno. In genere il cuoco della cella è
sempre lo stesso: io ho sempre cucinato
volentieri per tutti e non ho mai vietato a
nessuno di provare a sperimentare l’arte
della cucina; rendere partecipi i
compagni di cella durante la
preparazione di un piatto è un momento
piacevole della giornata. Di certo l’igiene
è basilare, chiunque metta le mani in
cucina deve avere il senso significativo
della pulizia. Il lavaggio del pentolame
avveniva tramite sconfitta a una partita a
carte oppure, a rotazione, si effettuava la
pulizia (cella compresa). Con l’arte del fai
da te si provvede alla composizione degli
attrezzi mancanti. Per esempio con la
scatoletta vuota dello sgombro e un
chiodo si può ottenere una grattugia del
Lasciare scorrere l’acqua in un
recipiente che ne conserva il
deflusso, per mantenere al fresco i
cibi sigillati e le bevande (si
ottengono 10-11 gradi).
BLU
Le cartucce di ricambio (120 ml)
per i fornellini da campeggio,
consentiti ai detenuti per cucinare.
FORNO
Manufatto costruito con una
cassetta di legno sopra alla quale
vengono incollati alcuni strati di
pezza. Il tutto viene rivestito con
fogli di alluminio e sulla base
vengono praticati due fori per
inserire i fuochi dei fornelli.
SOPRAVVITTO
Generi alimentari e altro che
possono essere acquistati dai
detenuti servendosi del libretto di
conto corrente.
Dal libro I pugni nel muro
(www.terre.it/libri/articoli/184.html)
GQ.COM -- 199
GQ L E N O S T R E P R I G I O N I
“
di spazi e strumenti aguzza l’ingegno. Ma nulla
“ Lavalemancanza
quanto il cibo cucinato “fuori” dai tuoi familiari
PASTA
FRITTA
DI DIEGO LUDOVICO
Soprattutto nelle famiglie numerose,
in cui si dice: «Dove mangiano
cinque possono mangiare anche
sei», capita che avanzi della pasta
cotta, ma qui in carcere, se ti viene
voglia, non fai altro che cucinare la
pasta e deliziarti della sua fragranza
fritta.
INGREDIENTI:
pasta (meglio spaghetti), burro, uova,
formaggio grattugiato.
PREPARAZIONE
sbatti le uova e aggiungi il
formaggio. Cuoci la pasta e
condiscila con burro e formaggio
grattugiato. Amalgama la pasta con
le uova sbattute. Imburra una teglia
antiaderente, oppure ungila con poco
olio extravergine. Disponi la pasta
nella teglia e mettila sul fuoco.
Quando la pasta è dorata da una
parte, prendi un coperchio e
capovolgi la teglia. Poi fai scivolare
la parte non ancora dorata nella
teglia di nuovo imburrata od oleata,
e quando anche questa parte è
dorata, la pasta è pronta: gustala
tiepida o fredda.
Dal cd Avanzi di galera, che a Natale
uscirà anche in volume
(www.ildue.it/CosaFaccia mo/CD/
Avanzi.asp)
200 -- GQ.COM
formaggio migliore di quella in plastica
acquistabile all’interno. I prodotti
acquistabili in carcere sono gli stessi che
si possono trovare in un classico discount
alimentare, fatta eccezione per la qualità
del pentolame vario. Vino e birra sono
vietati e il pesce è disponibile soltanto
surgelato. Durante i colloqui con i
familiari, attraverso il pacco, i più
fortunati possono assaporare l’amato
sapore della cucina di casa, ritrovando
quel desiderio che più di ogni altra cosa
manca: le mani della propria moglie o
compagna, in genere somma cuoca
italiana, che con tanto amore si è alzata
la mattina presto per cucinare e portare i
sapori di casa. Dopo un pranzo o una
cena come questa, anche il classico rito
con caffè e sigaretta acquista una
valenza diversa: il banchetto si prolunga
tra i ricordi risvegliati dai sapori della
libertà».
Luca: «Il caffè è una sorta di rito, sempre
accompagnato da una sigaretta. Ci sono
tanti modi per farlo: con la cremina stile
bar, al limone, con la schiuma fatta
shakerando il latte caldo. Insomma,
cerchiamo almeno in questo di non avere
restrizioni».
Maximiliano: «Più che altro si aspetta il
colloquio per gustare il cibo cucinato dai
familiari, ma non abbandoniamo la buona
vecchia abitudine italiana di un piatto di
pastasciutta».
Un espediente per portare acqua dallo sciacquone al lavandino: siamo all’Ucciardone di Palermo.
GQ L E N O S T R E P R I G I O N I
TEMPO
LIBEROS
PER QUASI TUTTI
I DETENUTI L’ASTINENZA
SESSUALE È LA
PUNIZIONE PEGGIORE:
PER SOPPORTARLA
NON RESTA CHE L’ARTE
DI ARRANGIARSI.
Daniele: «A volte bastano piccoli e ingenui contatti
con qualche donna (qui ne abbiamo a disposizione
parecchie), un abbraccio un attimo più lungo del
solito, bacetti sulle guance, una stretta, uno
struscio involontario: talvolta basta questo per
farmi immaginare le cose più sconce. Riesco a
svestire i loro culi, denudare i loro seni, immagino
le loro mani ossute o paffutelle sul mio sesso,
provo a immaginare con che frequenza si
muoverebbero, le immagino mentre facciamo
sesso: se mi stringono la vita con le gambe o
inarcano la schiena, se parlano mentre si fanno
scopare o se mugolano soltanto, se si mordono le
labbra, se tengono gli occhi chiusi o aperti
facendoli roteare o buttandoli in su, immagino la
loro bocca quando non mangiano o parlano o
cantano, le faccio fischiare per vedere come si
ovalizza la bocca, consiglio loro di mettersi del
burro di cacao che rende le labbra morbide e
lucide come quando sono bagnate».
Francesco: «Il desiderio sessuale non ti
abbandona mai, o meglio, ogni volta un’immagine,
un ricordo, un servizio in tv con sederi all’aria e
seni al vento ti scatenano la voglia di un sano
sesso… anche senza amore. Spesso la
masturbazione scatta proprio dopo un bel culo
202 -- GQ.COM
La pornografia è
estremamente diffusa in
carcere, dove alcuni
detenuti diventano il
punto di riferimento di
tutti gli altri per lo
“spaccio” delle riviste.
GQ.COM -- 203
GQ L E N O S T R E P R I G I O N I
GERGO
& SESSO
Una persona che presenta gravi sintomi
causati da deficit sessuale.
CORSARA
Una compagna lesbica. Il termine deriva
dal fatto che il corsaro era una figura
prettamente maschile.
FAMIGLIA CRISTIANA
Modo ironico per chiamare le riviste
pornografiche, molto popolari e oggetto
di intensi scambi. Il valore di una rivista
è proporzionale al numero e alla
particolarità delle pose erotiche
pubblicate.
GARGA
Persona che si guadagna da vivere
sfruttando il lavoro di una prostituta.
Sono malvisti, nell’ambiente malavitoso,
perché ritenuti persone senza capacità,
né coraggio, vigliacchi e approfittatori.
Fino a pochi anni fa venivano tenuti in
isolamento per evitare che venissero
aggrediti dagli altri detenuti.
SEGHERIA
Il cesso della cella, detto anche segheria,
perché è il luogo dove si può stare in
solitudine e masturbarsi in santa pace.
205 -- GQ.COM
Guardare la tv è l’attività primaria dei detenuti, che in genere passano in cella oltre 20 ore al giorno.
“
Il desiderio non ti abbandona mai.
Basta un attimo, un’immagine in tv...
visto in tv. Non c’è luogo appartato che
non sia il bagno della tua cella per
l’autoerotismo, e quando lo fai sei in
completa solitudine, a parte il buco dello
spioncino che hai sul muro per
consentire agli agenti di controllarti, ma
che in quei pochi minuti tappi con uno
straccio. I gadget usati sono le riviste
pornografiche: alcuni detenuti sono dei
veri accaparratori di questi giornali e
diventano i fornitori di belle valchirie
patinate per una seduta sulla turca in
compagnia di facili fanciulle. Niente
sesso di gruppo: ogni tanto dal femminile
gira voce che i rapporti lesbici siano più
facili e anche tollerati, ma tra uomini, si
sa, dichiararsi è più difficile. Salvo poi
trovare mentre vai dall’avvocato
qualcuno che saluta non tanto
velatamente un transessuale,
“
ASSATANATO
adeguatamente scortato, e vedere gli
sguardi curiosi di molti e le battute di
altri che dicono: «Un giretto me lo farei
volentieri». Non sono mai andato con un
transessuale, ma non nascondo che qua
dentro a volte il pensiero cade su
fantasie trasgressive. La clausura forzata
vi assicuro che in ambito sessuale fa
scattare i desideri più repressi, che il più
delle volte tali rimangono. Non lo so se il
carcere può cambiare gli orientamenti
sessuali di una persona, certo è che nella
testa frullano strane idee, e visto che una
donna da toccare non l’avrai mai, tra
queste mura, alcuni si adattano, ma sono
eccezioni che confermano la regola: una
vita senza sesso e senza amore è una
vita a metà».
Giuseppe: «In Italia non è possibile
avere rapporti sessuali in carcere. La
GQ.COM -- 205
GQ L E N O S T R E P R I G I O N I
“
“
La mancanza di rapporti intimi è un aspetto della detenzione
che spesso causa la rottura di un matrimonio
Costituzione prevede che il carcere abbia
funzioni di rieducazione e reinserimento
nella società civile. Durante una
carcerazione piuttosto lunga, però, capita
sovente che le coppie si dividano anche a
causa della mancanza di rapporti intimi.
Una persona tenuta rinchiusa per anni o
decenni perde spesso anche i suoi punti
di riferimento e viene restituita alla
società senza lavoro e senza famiglia: le
conseguenze sono facili da immaginare.
Questo non significa, necessariamente,
che sesso in carcere equivalga a meno
reati: anche perché in un’ipotetica
classifica bisogni/desideri di un detenuto
non credo che il sesso sia ai primi posti.
Quello che in carcere pesa in modo
particolare è l’impossibilità di fare».
Luca: «Purtroppo, a solo sei mesi dalla
mia detenzione, la mia compagna ha
deciso di rifarsi una vita, aumentando i
già tanti grattacapi che avevo e che ho,
privandomi di una carezza certa, di un
abbraccio sincero, di un semplice bacio
che evocava libertà. Ogni giorno mi
mancava e mi manca tutto di lei, perché
gli anni trascorsi insieme sono stati ben
tredici con l’arrivo anche di una
bellissima creatura, nostra figlia che
adesso ha tre anni e mezzo. Il sesso è
un lato della detenzione che nella
maggior parte delle volte porta alla
rottura di un matrimonio o di un
fidanzamento, con conseguenze pesanti
per il detenuto, che ama e vuole essere
amato ma non può».
Letto singolo, armadio, comodino e tanto spazio sul muro: una cella di lusso (a Rebibbia, Roma).
206 -- GQ.COM
BACI
RUBATI
«Ho scoperto a mie spese che il
sesso si può chiuderlo fuori dalla
porta, non pensarci o cercare di
pensarci esclusivamente nella
più completa solitudine, ma
l’amore no, l’amore è un
sentimento che ha una forza
dirompente anche in persone
prudenti come me». È una delle
testimonianze raccolte in Baci
rubati, cento pagine sull’amore
firmate da detenuti nelle carceri
di San Vittore e di Opera (Milano).
Il volume è scaricabile
gratuitamente dal sito de Il Due
(www.ildue.it), primo net
magazine di un carcere italiano
(San Vittore a Milano), creato nel
1999 per iniziativa del suo
direttore, la giornalista di
Famiglia Cristiana Emilia Patruno
([email protected]). Baci rubati
sono anche cioccolatini (evidente
il riferimento al celebre prodotto
Perugina), ciascuno confezionato
con la frase di un detenuto. Un
regalo originale, il cui ricavato
andrà alle attività di
comunicazione de Il Due: chiedi a
Emilia come procurartelo.
GQ C A R C E R E
GQ L E N O S T R E P R I G I O N I
INNOCENTI EVASIONI
IN CARCERE SPORT
SIGNIFICA QUASI
SOLO CALCIO: PIÙ
O MENO COME FUORI.
PER CHI NON LO AMA
LE ALTERNATIVE
SONO SCARSE.
Il campetto di calcio — sia pure in
cemento — per la partitella quotidiana
è forse l’unica struttura sportiva che non
manca mai nelle carceri d’Italia.
208 -- GQ.COM
Alberto: «L’attività sportiva è molto praticata,
soprattutto jogging, tennis e calcio, oltre che
seguita attraverso il mezzo principe di cui
disponiamo: la televisione, che costituisce in senso
più generale il cordone ombelicale che ci connette
al mondo esterno. Abbiamo una palestra
mediamente attrezzata, ma è un caso unico in
tutto il carcere, poiché quelle degli altri reparti
altro non sono che loculi fatiscenti con
un’attrezzatura tutt’altro che recente e funzionale».
Francesco: «Il calcio su cemento è praticato da
sempre, ma quando cadi ti fai veramente male,
fratture comprese. Io stesso ho smesso di giocare
in carcere da quando in quel di Cremona mi sono
fratturato ulna, radio e tibia. Non è stato un
incidente volontario: sono caduto male in contrasto
e… crack. Il carcere non incoraggia molto lo sport
e infatti le attività sono autogestite, diciamo anche
con parità di trattamento, nel senso che chi vuole
giocare riesce a farlo e la violenza non è mai
voluta. A volte gli interventi sono duri, ma per via
della poca preparazione fisica che ti scoordina».
Leonardo: «Lo sport più praticato in carcere è il
calcio: alcuni, durante le due ore giornaliere d’aria,
si ritrovano in un’area cementata di circa 150
metri quadrati, dove organizzano delle partite. A
rotazione, i vari gruppi entrano ed escono per
giocare in una sorta di calcio multietnico: si
formano le squadrette di slavi, albanesi,
marocchini, sudamericani, italiani e così via. Sui
muri sono disegnate le porte e il pallone finisce
GQ.COM -- 209
GQ L E N O S T R E P R I G I O N I
spesso al di là di questi: mentre si
aspetta il recupero della palla il pubblico
passeggia. Gli infortuni sono all’ordine
del giorno, non per la scorrettezza di
gioco ma in quanto il campo è in
cemento. Esiste, comunque, anche un
campetto in erba, dove assapori il
massimo della libertà».
Luca: «Lo sport in carcere è molto
apprezzato e per alcuni diventa quasi una
ragione di vita: per muoversi, per giocare,
per stare bene con il proprio corpo e per
buttare giù qualche chilo di troppo. Lo
sport più praticato è il calcio e da quasi
due anni anche la pallavolo. Durante la
ristrutturazione del terzo raggio, un ente
esterno ha donato a questo reparto il
campetto di calcio a cinque e una
diciamo buona attrezzatura per la
palestra. Forse il quinto raggio,
attualmente in fase di ristrutturazione,
avrà la stessa fortuna. A parte queste due
sezioni, gli altri raggi per giocare hanno a
disposizione fatiscenti aree in cemento
con le porte disegnate sui muri, idem per
la pallavolo, per non parlare delle
palestre, che più che altro sono un
ammasso di ferri vecchi – e stiamo
parlando d’attrezzature come minimo
degli anni 80-90 – che forse una volta
avevano un significato. Come fuori da
queste mura si formano i gruppetti per le
partite di calcio, qui – anche se c’è molta
meno discriminazione – si tende a fare lo
stesso, quindi le solite squadre con le
solite facce, i marocchini con i
marocchini e così via. Non nascondo che
esistano violenza e scorrettezza, ma
bisogna calcolare che si convive con una
civiltà violenta e repressa. Abbiamo avuto
la fortuna di essere stati inseriti nei
tornei del Csi (che non è la serie di
telefilm in onda su Italia Uno, ma il
Centro Sportivo Italiano), praticamente il
campionato esterno di calcetto e
Le nostre prigioni non brillano per attrezzature sportive: questa palestra improvvisata è in una cella vuota nel carcere di Pisa.
“
Per muoversi,
per stare meglio,
per buttare giù
qualche chilo
di troppo...
“
211 -- GQ.COM
GQ.COM -- 211
GQ LO EC CNHOI SE TL RL OE P R I G I O N I
EDUTAINMENT
UN GIOCO, UN FUMETTO E DUE FILM
PER COMPRENDERE MEGLIO LA
REALTÀ DEL CARCERE.
CRIMINAL MOUSE
La galera aguzza l’ingegno anche nelle attività sportive: questa è una cella del Pagliarelli di Palermo.
pallavolo, che vengono a misurarsi con le
nostre squadre di punta. Questo è
l’evento sportivo più atteso, poi
logicamente c’è il campionato di calcio, il
moto mondiale, la boxe e così via».
Maximiliano e Luca: «Le più gravi
carenze del carcere sono in primis le
attrezzature, anche a causa della
struttura del penitenziario. Per il
momento non c’è rimedio, basti pensare
che per avere un tirante di una macchina
per i pesi abbiamo dovuto aspettare sei
mesi, stressando di continuo la direzione.
Lo sport, organizzato da un gruppo di
detenuti che ha formato una polisportiva
interna, e non dalla direzione, serve a
sfogare la rabbia della detenzione.
Senz’altro nello sport praticato in carcere
di violenza e scorrettezza ce n’è».
Sami: «Qui la violenza e la scorrettezza
212 -- GQ.COM
sono ridotte ai minimi termini: si cerca
sempre di essere leali. Nella formazione
delle squadre per una partita di calcetto
si tenta di mettere insieme una squadra
vincente, senza esclusioni per razza,
colore o religione: solo le qualità sportive
vengono considerate. I ruoli vengono
assegnati senza imposizione, rispettando
quello che più è congeniale al giocatore.
In quanto a strutture, in carcere c’è
cronica carenza di spazi, specialmente in
quelli più vecchi, anche se l’istituzione
incoraggia lo sport. A San Vittore ci sono
palestre piccole ma bene attrezzate; per
il calcetto c’è solo un campo con il
sintetico al terzo reparto, mentre negli
altri raggi si gioca ancora sul cemento e
nello stesso luogo dove altri sfruttano
l’ora d’aria passeggiando, il che a volte
costituisce motivo di discussioni».
Originale variazione sul tema del gioco
dell’oca, dall’arresto alla scarcerazione.
Le informazioni sul gioco di società,
made in San Vittore al 100% e venduto a
19,90 euro, sono su Il Due (www.ildue.it).
IN PRIGIONE
Un romanzo a fumetti firmato dal genio
dei manga Kazuichi Hanawa, in cui
l’autore narra i suoi tre anni di
reclusione per possesso illegale di armi
(In prigione, Coconino Press, Bologna,
2004).
QUINTOSOLE
Un film sul Freeopera Brera, la squadra
di calcio dei detenuti di Milano Opera,
vincitrice del campionato 2003/2004 di
terza categoria della Figc. Il
documentario di Marcellino de Baggis è
scaricabile gratuitamente da
www.quintosole.com.
SULLA MIA PELLE
L’esperienza della semilibertà di un
detenuto è il tema del film di Valerio
Jalongo, uscito in sala nel giugno scorso
e prossimamente su vhs e dvd
(www.ladyfilm.it).
GQ L E N O S T R E P R I G I O N I
“
“
Si deposita all’ingresso il proprio
nome e cognome e si riceve in
cambio un numero, si perde la
faccia e se ne prende una attonita
Un detenuto musulmano prega all’ingresso della sua cella di San Vittore, a Milano. Gli stranieri rinchiusi nelle carceri italiane sono il 32%.
Adriano Sofri
segue da pagina 194
mai non mandaste neanche una fotografia dopo tre anni o quattro in
Italia, sebbene nelle lettere raccontiate che state molto bene, che avete
un buon lavoro, che abitate in una
bella città (questo è vero: a Pisa, per
esempio, c’è una torre di marmo tutta storta, i giapponesi vengono e si
fanno la fotografia mentre la tirano
su con un braccio) e che fra un po’
farete venire i fratelli minori. Adesso
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finalmente la ricevono, una fotografia: come sei cambiato, sembri un uomo adesso, e che strano taglio di capelli, e che bella divisa da calciatore, a
strisce bianche e nere, come Del
Piero.
In certe prigioni si può farsi la fotografia, su richiesta, un giorno all’anno, o al mese, o perfino alla settimana. Ma i prigionieri ci vanno quando
è necessario, per qualche documento.
Costano circa 4 euro a scatto, o 7,5
nel formato grande. Il fotografo viene da fuori, in genere non è affatto un
fotografo, è uno che arrotonda così,
spesso è svogliato, qualche volta
sembra spaventato. Lo sfondo è un
muro bianco in uno stanzino, più o
meno come le foto segnaletiche dell’entrata. C’era un fotografo inesperto che faceva venire l’ombra nera
della testa sul muro bianco: immaginatevi una faccia sbigottita, con gli
occhi sbarrati e una grossa aureola
nera attorno alla testa. Roba da taglia. Ce n’era un altro (c’è un turnover rapido, fra i fotografi penitenziari) che non sapeva inquadrare con le
proporzioni: uno veniva o con mezzo
busto normale e le gambe accorciate,
GQ L E N O S T R E P R I G I O N I
o con le gambe lunghe e una testina
tolteca. Un altro era famoso perché
voleva fare tre pose: di fronte, profilo
sinistro e profilo destro. La gente
pensava che scherzasse. Un detenuto
che aveva poca voglia di scherzare gli
fece un occhio nero.
Un po’ per i soldi, un po’ per questi
infortuni, i detenuti che si fanno la foto dietro domandina e a pagamento
sono pochi. Di quelle che mi è capitato di vedere fanno impressione soprattutto i tentativi di sorridere.
Dimenticavo di citare un’altra complicazione della fotografia carceraria:
i denti. Dopo un po’ i detenuti non
hanno i denti. Anche i giovani, perché basta qualche anno senza cure e i
denti se ne vanno. A parte il fatto che
i tossici i denti li hanno già guastati
per via della roba, e i ragazzi tossici
sono un buon terzo degli inquilini di
questo luogo d’aspetto.
C’è anche l’altra faccia: cioè i detenuti che a un certo punto, per qualche
circostanza fortunosa, riescono a farsi
i denti nuovi e non vedono l’ora di
farsi la fotografia, prima che gli caschino, e se la fanno, spalancati con
tutti quei denti che si mangiano il re-
sto della faccia. Non pensate che i detenuti siano vanitosi, non più di voi,
comunque. Oltretutto in galera non
ci sono specchi: c’è bensì uno specchietto di non so quale materiale, che
più che a specchiarsi serve a non tagliarsi le vene, ed è piuttosto opaco di
suo, e spesso deformante in modo più
o meno lusinghiero, sicché quando
uno esce dopo qualche anno, alla prima vetrina scopre di essere diventato
davvero un’altra persona. Secondo il
dettato costituzionale.
Abbiamo parlato delle foto di dentro. Poi ci sono quelle di fuori. Intan-
Le foto del figlio sulla porta interna dell’armadio in una cella dell’Istituto penale minorile di Nisida, in provincia di Napoli.
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Le foto care le tengono in una busta, o sempre in tasca:
per il resto le tasche dei prigionieri sono vuote di tutto
GQ L E N O S T R E P R I G I O N I
Situazione tipica: sei (o sette) detenuti vivono in celle di pochi metri quadri il 90% della giornata.
to, quelle vere. Le foto dei familiari e
delle persone care. Mi pare che il regolamento assegni addirittura un
pezzetto di muro – fra lo stipetto e il
blindo, più o meno qualche centimetro quadrato – alle fotografie di famiglia, che siano peraltro facilmente
staccabili nella perquisa. I detenuti
preferiscono metterci altro, sui muri,
come i camionisti di lunga tratta nelle loro cabine: padri Pii, Ferilli,
Ferrari rosse, e Del Piero. Così non ci
rimangono tanto male quando le
strappano via alla perquisa. Le foto
SUICIDI
& AFFINI
care le tengono in una busta, o sempre in tasca: per il resto, sapete, le tasche dei prigionieri sono vuote di tutto. Per legge. I primi tre o quattro anni, quando uno si spoglia per buttarsi
a dormire e piega le braghe, gli viene
ancora il gesto di rivoltare le tasche
perché non cada niente fuori: ma le
tasche sono vuote. Dopo quei primi
anni ci si abitua e non si bada più alle
tasche. A parte certi casi più estroversi, quando un compagno di detenzione vi chiama in disparte (non è facile la discrezione dentro) e vi mo-
pensate che i detenuti siano vanitosi:
“Non
non più di voi, comunque.
218 -- GQ.COM
“
Oltretutto in galera non ci sono specchi
Ogni sei giorni, in Italia, un
detenuto si toglie la vita: un tasso
diciotto volte superiore a quello
dei suicidi commessi fuori dal
carcere. Lo dice una ricerca di
Luigi Manconi e Andrea Boraschi,
sul prossimo numero della Rivista
italiana di sociologia (n. 4/2005).
Il dato che emerge dallo studio,
30 suicidi nei primi sei mesi del
2005, è peggiore di quello del
Dipartimento
dell’amministrazione
penitenziaria, che ne denuncia
25. Ad ammazzarsi, inalando il
gas dei fornelli da campeggio
usati in cella per cucinare, sono
di solito i “nuovi giunti” e i più
giovani: il 20% dei suicidi avviene
nei primi sette giorni di prigione,
il 50% nei primi sei mesi.
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“
Perché mi manda proprio una foto a cavallo? Non sarà che
le manca una gamba? Forse è mutilata, e non lo dice...
FOTO A
SCACCHI
Detenuti è il libro di fotografie di
Mauro D’Agati da cui sono state
tratte le immagini di questo
servizio e la testimonianza di
Adriano Sofri. Per
l’autorizzazione a pubblicare il
loro lavoro GQ ringrazia gli autori
e l’editore di Detenuti, Cal.co
(www.calcoeditore.com). Un
grazie affettuoso anche a Emilia
Patruno, collega di Famiglia
Cristiana, insostituibile nella
raccolta delle testimonianze dei
detenuti di San Vittore, una realtà
che studia e contribuisce a
rendere più umana da quindici
anni. GQ ringrazia anche il
Dipartimento
dell’amministrazione
penitenziaria e la direzione di
San Vittore per l’autorizzazione a
incontrare i detenuti.
220 -- GQ.COM
stra le foto di sua madre e suo padre
e sua moglie e i suoi bambini, allora
vuol dire che siete suo amico. Per voi
è un onore, e sono davvero madri e
mogli e bambini bellissimi.
C’è anche un certo giro di foto anatomiche intime e sconosciute insieme.
Mi dicono che esiste una stampa specializzata: la prima ve la mandano in
cambio del solo rimborso in francobolli, le successive a un certo prezzo,
ragionevole. Sono le stesse pose dei
giornalini, solo che avendo formato e
carta fotografica e magari qualche
frase scritta a mano, “personalizzano” molto l’affare. In genere sono
primi piani di parti del corpo, con un
certo disinteresse per le facce, quando non siano coinvolte operativamente. C’è a volte uno scambio di
queste foto, a volte invece, per strano
che sembri, c’è una specie di gelosia.
Riferisco tutto ciò senza riserve, perché quel che c’è di raccapricciante
non va a carico dei prigionieri, ma di
chi li vuole costretti a simili supplenze di vita, esigendo per di più che nessuno ne parli. Ci fu non so quale sentenza secondo cui la cella è luogo
pubblico, sicché qualche agente troppo fesso e frustrato e occhiuto (ce ne
sono, naturalmente: non tanti) dopo
Le scale sono spesso il luogo più favorevole alle aggressioni. Qui siamo nel carcere di Pozzuoli (Na).
GQ L E N O S T R E P R I G I O N I
Nel 2004 sono finite in prigione 82.275 persone: il 39% erano stranieri. Le donne rappresentano meno del 5% della popolazione carceraria.
ricevere corrispondenza all’indirizzo
civico, strada e numero, senza l’impegnativo dettaglio del nome di carcere. E a questo punto, può succedere –
succede non così di rado - che l’apocrifia si spinga fino a correggere anche la propria identità fotografica.
Uno è un detenuto di Trapani o di
Erbasan, un po’ appesantito, non più
giovanissimo, e appunto con quella
voragine al posto dei denti: c’è invece
un detenuto polacco, giovane, in gran
forma fisica, con una quantità di denti candidi. Per qualche pacchetto di
sigarette, o addirittura per amicizia, è
disposto a cedervi qualche sua foto
da scambiare con le vostre corrispondenti, che sapranno apprezzare quella lusinghiera bella presenza. Non è
grave: l’ha fatto Cyrano di Bergerac,
a modo suo. Per giunta la cosa prevede una reciprocità: perché chi può
garantire per la foto che vi manda la
vostra corrispondente? Si costruiscono così a volte storie lunghe e straordinariamente intense, interi pacchi di
foto, sincerità e bugia insieme, come
due che si corrano incontro su un
ponte di cui sia crollato il pilastro d’inizio e il pilastro della fine.
segue a pagina 474
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LE FOTO SONO DELL’AGENZIA BLOB
“
Del resto, il detenuto polacco
era biondo e pieno di denti, e Ahmed
pelato, quarantunenne e senza
i denti davanti...
“
aver spiato dallo spioncino stila un
rapporto-denuncia per atti osceni in
luogo pubblico. Che cosa c’entra questo con una prefazione a un album di
foto del carcere? Niente, niente.
Veniamo all’ultimo capitolo, il più
tortuoso e appassionante. I detenuti
sono fra i radi superstiti del tempo
magnanimo in cui si scrivevano e si
ricevevano lettere. Oltre alle lettere
famigliari, i detenuti e le detenute
scrivono alle sconosciute e agli sconosciuti. Dopo il teatro, e forse prima, è il modo più prezioso per avere
un’altra vita: per presentarsi come si
vorrebbe essere (che non è sempre
impostura: può essere vera nobiltà
d’animo) e trovare l’anima gemella.
Del tentativo di essere un altro fa
spesso parte, in questo caso, la debolezza di nascondere il proprio stato di
detenuti. Dopotutto la crescente benevolenza delle leggi fa sì che si possa
CODE
D’un tratto finirà, senza conseguenze. Non occorrerà neanche restituirle, le fotografie. Passioni come queste possono raggiungere intimità ed esasperazioni inimmaginabili: furie e gelosie assassine, perfino.Anche quando conservano una moderazione sono tuttavia insidiate dal sospetto.Visto che mento con lei, temo che la mia corrispondente, la fedifraga, menta con me.Vi racconterò per sommi capi la
storia di Ahmed e della sua Zinaida. Ahmed, che era un algerino un po’ toccato dal cielo e benvoluto dai maghrebini e dagli italiani,
mandò un piccolo annuncio a una rivista popolare araba pubblicata a Parigi. Zinaida rispose, tenendosi sulle sue. Ahmed le scrisse,
spiegò di essere direttore di albergo, e una serie di notizie lusinghiere. Le chiese una foto. Lei mandò una foto tessera, più o meno, sebbene in formato ingrandito. Lui la studiò a lungo e la mostrò anche ai più fidati. Lei aveva un bel viso, bei capelli folti sotto un fazzoletto leggero, un’età presumibilmente non lontana dai venticinque anni che dichiarava per iscritto: una trentina, diciamo. Ci felicitammo
con Ahmed, che già pensava all’eventualità di un matrimonio ed era piuttosto illuminato. Presto si rabbuiò. Che cosa c’è,Ahmed? Non
capiva perché una foto tessera: poteva essere un riserbo virtuoso, ma un uomo vuole pur vedere una donna tutta intera. Va bene,
Ahmed: te ne manderà delle altre, di foto, tu rispondi intanto. Rispose, tenendosi sulle generali, mandando una fotografia del bell’uomo polacco e chiedendo una foto intera. La ricevette: altro che. Lei era a cavallo, coi capelli scoperti e sciolti, singolarmente somiglianti alla criniera del cavallo – stessa pettinatura, disse Ahmed - aveva il solito bel viso e un seno generoso. Il cavallo era fermo al bordo di
un fiumiciattolo, poco più che un rigagnolo in verità, con un paesaggio di sabbia sul fondo. L’entusiasmo di Ahmed fu alto e condiviso
dai consulenti maghrebini e italiani: bella donna, Ahmed, forse un po’ matura, un po’ ricca di fianchi, ma bella e con un sorriso cordiale. Deve avere un buon carattere. La foto fu molto ispezionata. Ahmed diventò di nuovo cupo. Che cosa c’è, Ahmed? Prima borbottò
qualche lamentela insignificante: lei è un po’ troppo grassa, e il cavallo è un po’ magro. Poi tirò fuori il rospo: il cavallo è di tre quarti, e
anche lei, e si vede solo la gamba sinistra. Perché mandare proprio una fotografia a cavallo? Non sarà che non ha la gamba destra? È
mutilata e non lo dice: per questo scrive e cerca un uomo per lettera. Ahmed era triste e offeso già come un onest’uomo cui si stia facendo un bidone. I consiglieri ridevano di lui e dell’assurdità del suo sospetto, ma questo aggravava la cosa. Altri, per gentilezza, lo
prendevano sul serio e scrutavano con lui il greto del rigagnolo e la sabbia, nella speranza di rintracciare eventualmente le orme dei
passi di lei (i polpastrelli, li chiamava Ahmed) prima che montasse a cavallo per la foto: ma non se ne vedevano, né di lei né del cavallo, e il sospetto cresceva. Come scriverle, del resto, e chiedere un’altra fotografia senza cavallo e con le due gambe in bella vista? Mi dispiace che la storia finisca qui, perché Ahmed uscì, e non so come sia andata. Del resto il detenuto polacco era biondo e pieno di denti,
e Ahmed pelato, quarantunenne, e senza i denti davanti: e siccome era un tipo molto discreto, parlava tenendosi una mano davanti alla bocca, come una ragazza giapponese. Del resto la storia non ci interessa e ci siamo già abbastanza intrufolati nei fatti degli altri. Noi
dovevamo soltanto parlare del rapporto fra il carattere rieducativo della pena e l’arte della fotografia.
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