Istituto MEME s.rl. Modena associato a Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles La storia del carcere: nascita ed evoluzione. Scuola di Specializzazione: Scienze criminologiche Relatore: Dr.ssa Roberta Frison Contesto di Project Work: Carcere di massima sicurezza Tesista specializzando: Dr.ssa Tagliafierro Mariantonietta Anno di corso: Primo Modena 25-06-2006 Anno accademico 2005-2006 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 Indice dei contenuti: PREMESSA 3 1 STORIA ED EVOLUZIONE DEL CARCERE: DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA. 5 1.1 Conclusioni 25 2 TEORIE DELLA PENA 27 2.1 Illuminismo 29 2.2 Positivismo 34 2.3 Piccola disgressione nel XX° secolo 37 3 LA RIEDUCAZIONE 40 4 CONSIDERAZIONE FINALI 45 BIBBLIOGRAFIA 46 2 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 Premessa La limitazione della libertà personale, che si verifica all’interno del carcere, non viene percepita come pena effettiva che possa avere anche funzione inibitoria, ma solo l’inizio di un viaggio che deve concludersi con una pena il più possibile “crudele”, in proporzione al reato commesso. Il luogo comune non valuta la TOTALE PRIVAZIONE della libertà individuale e la chiusura all’interno di una città dentro alla città, che non permette nessuna relazione con l’esterno se non regolata dalle autorità competenti, come già una pena effettiva; ma l’istituto penitenziario viene considerato un “albergo” dove i suoi ospiti oziano e si dedicano ad attività superflue, “pagato dai contribuenti”. Alla luce di questo, l’opinione pubblica invoca soluzioni risolutive come la pena di morte e i lavori forzati, soluzioni che hanno le loro radici nella storia del carcere e nel valore e nel significato che viene attribuito alla pena. Lo scopo di questo elaborato è scoprire le matrici storiche che si celano dietro ai vari pensieri, emozioni, disagi che il carcere e i suoi ospiti generano nei componenti “onesti” e liberi della società. Togliere quel velo di mistero che avvolge questo luogo dentro alla città, ma in ogni caso escluso da essa, dove vengono nascosti i soggetti che, attraverso i loro comportamenti, mettono in pericolo le regole della convivenza civile, implica porsi alcune domande: che evoluzione ha avuto il carcere e il concetto di punizione nel corso dei secoli? Da dove nasce l’idea moderna del carcere? La rieducazione è effettivamente realizzabile? I successivi capitoli della tesi cercheranno di delineare un quadro chiarificatore: 1° capitolo: verrà fatta una ricostruzione storica del carcere; delle istituzioni che lo hanno influenzato; dell’evoluzione del concetto di punizione (corporale, pecuniaria) al concetto di pena. 2°capitolo: verrà eseguita un’analisi delle varie teorie che nel corso dei secoli hanno determinato le diverse gestioni e le diverse finalità del carcere e che, 3 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 contemporaneamente, hanno modificato i concetti di pene corporali e pecuniarie per arrivare all’idea moderna di carcere come luogo di rieducazione e reinserimento sociale, attraverso la pena come strumento rieducativo. 3°capitolo: si delineerà un quadro della rieducazione in carcere, partendo dall’etimologia della parola per arrivare agli strumenti utilizzati per realizzarla. 4° capitolo: le considerazioni di quest’ultimo capitolo verranno delineate per determinare i presupposti teorici del tirocinio del prossimo anno. 4 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 1 Storia ed evoluzione del carcere: dal Medioevo all’età moderna. La storia del carcere è tortuosa ed intricata, soprattutto per la complessità e la varietà delle istituzioni che, nel corso dei secoli, si sono arroccate il diritto di svolgere questa funzione. La molteplicità di queste esperienze aveva sia modalità che finalità molte diverse tra loro, ma arrivarono a convivere ed ad influenzarsi. Fin dall’antichità il commettere un reato portava a dover subire una punizione/ammenda, che avveniva attraverso la sofferenza del corpo (pene corporali), ed il carcere “ fu luogo in cui poteva venire irrogata una pena corporale”.1. Lo Stato per molto tempo non ha avuto, tra i suoi poteri, quello di erogare punizioni, perché questo era un diritto di chi subiva l’offesa: la vendetta che ogni soggetto poteva esercitare nei confronti di chi aveva procurato il danno. Il carcere, di conseguenza, era solo quella di custodire il colpevole per evitarne la fuga. Nel Medioevo è questo il carcere attuato, ovvero luogo di custodia “per assicurarsi che certi individui inaffidabili fossero presenti al processo o all’emissione del verdetto.”2, mentre le pene si alternavano tra quelle pecuniarie e quelle corporali. Partendo dall’idea di giustizia penale medioevale come vendetta personale, la privazione della libertà personale “protratta per un periodo determinato di tempo e non accompagnata da alcuna sofferenza ulteriore…, ”3non veniva considerata una pena effettiva e proporzionata. I vari cambiamenti sociali apportati dall’incremento demografico modificarono anche i tipi di reati e, di conseguenza, anche le pene prescritte cambiarono: aumentarono quelle corporali dove “..il corpo suppliziato, squartato, amputato, simbolicamente marchiato sul viso o sulla spalla, esposto vivo o morto, 1 SABATINI GUGLIELMO, Teoria SABATINI GUGLIELMO, "Teoria delle prove nel diritto giudiziario penale", op. cit., pag. 256. 2 WEISSER MICHAEL, "Criminalità e repressione nell'Europa moderna.", op. cit. pag. 145. 3 MELOSSI DARIO e PAVARINI MASSIMO, "Carcere e fabbrica: alle origini del sistema penitenziario (XVI- XIX secolo) ", op. cit., pag. 21. 5 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 dato in spettacolo …4” diviene il simbolo dell’autorità e del suo potere per i ceti più poveri che non si potevano permettere di risarcire il reato commesso; mentre le pene pecuniarie, soprattutto per i ceti abbienti, avevano l’unico scopo di arricchire giudici e funzionari di giustizia. Gli ulteriori cambiamenti sociali portarono nel XVI sec alla nascita di diverse forme di sanzione, tutte aventi la stessa caratteristica: lo sfruttamento della forza lavoro che i detenuti “offrivano” senza nessun pagamento di salario, ma come espiazione dei reati commessi. Queste si concretizzavano nella servitù sulle patrie galere (in Francia la pena minima era di 10 anni), nella deportazione nelle colonie; nei lavori forzati, questi ultimi attraverso la reclusione coatta all’interno delle case di correzione, che influenzeranno in modo deciso la nascita del carcere moderno come luogo di rieducazione. La loro funzione iniziale era quella di “ospitare” vagabondi e mendicanti, in modo di "… riformare gli internati attraverso il lavoro obbligatorio e la disciplina. Inoltre essa doveva scoraggiare altri dal vagabondaggio e dall’ozio e, particolare non irrilevante, assicurare, attraverso il lavoro, il proprio mantenimento.”5. I continui mutamenti in campo economico e sul mercato lavorativo portarono a trasformare le case di correzione in luoghi dove poter reclutare forza lavoro gratuita, di conseguenza se prima gli internati erano vagabondi, mendicanti e piccoli delinquenti, ora anche chi aveva commesso delitti, perciò condannati alla pena capitale, veniva internato all’interno di queste istituzioni e vedeva commutare la pena capitale in lunghe pene detentive. La buona reputazione che le case di correzione si conquistarono in questi anni le portarono ad accogliere tra le proprie mura poveri, bisognosi, vedove ed orfani quando questi non riuscivano a mantenersi da soli; e anche “… figli buoni a nulla e i parenti prodighi6”. Esiste una netta distinzione tra case di correzione e il carcere vero e proprio, anche se in entrambe le condizioni di vita non erano comunque facili: nelle case 4 5 6 FOUCAULT MICHEL, "Sorvegliare e punire. Nascita della prigione", op. cit. pag. 10. MELOSSI DARIO e PAVARINI MASSIMO, "Carcere e fabbrica: alle origini del sistema penitenziario (XVI - XIX secolo) ", op. cit., pag. 34. Il lavoro era in gran parte nel ramo tessile, come l'epoca richiedeva. RUSCHE GEORG e OTTO KIRCHHEIMER, "Pena e struttura sociale", op. cit., pag. 97. 6 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 di correzione venivano praticate pene corporali, “i carcerieri erano autorizzati a frustare i detenuti in caso di insubordinazione … mentre vagabondi logori e spossati che le guardie vi conducevano erano spesso lasciati morire, abbandonati senza cibo sui tavolacci freddi delle celle7”. Mentre in carcere difficilmente venivano praticate pene corporali per punire i reati commessi, ma le condizioni di vita descritte erano terrificanti: • talmente malsani che i periodi di internato non dovevano sperare i tre anni; • sovraffollamento con le conseguenti carenze igienico- sanitarie; • il potere era nelle mani del carceriere e dei secondini, dove tutto aveva un prezzo e tutto era comprabile: dai beni di primo consumo (cibo, vestiario, ecc.) alla possibilità di ricevere visite; • le celle venivano affittate, addirittura i più abbienti potevano riservarsi “l’ala del padrone”, cioè appartamenti riservati. Come conseguenza di questa corruzione interna poteva accadere che detenuti assolti non potessero abbandonare il carcere, ma addirittura fossero messi ai ceppi perché non in grado di pagare le spese di liberazione o i debiti contratti con il carceriere. La trasformazione del concetto del carcere come luogo di detenzione preventiva a pena effettiva non nasce solo dall’influenza reciproca di queste due istituzioni coesistenti, ma anche dalle trasformazioni politiche che si stavano verificando: la comunità medioevale lascia il posto allo Stato Nazionale, che ha bisogno di trasformare la giustizia da evento privato ad evento pubblico, perciò di sua competenza; dall’altro lato anche l’avvento del protestantesimo, con la sua nuova idea del lavoro come glorificazione di Dio, portò cambiamenti nell’ambito delle pene. Dobbiamo però valutare che in questo periodo di passaggio le pene corporali diventano lo strumento più adatto per determinare il potere dello stato e del sovrano: “ in questo contesto politico, l’esecuzione della pena è una delle 7 IGNATIEFF MICHAEL, "Le origini del penitenziario. Sistema carcerario e rivoluzione industriale inglese, 1750-1850.", op. cit., pag. 36. 7 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 tante cerimonie utili ai sudditi e al sovrano per misurare concretamente la distanza che li separa, e per mostrare la forza dell’autorità. L’esecuzione pubblica diviene uno spettacolo teatrale, in cui il potere assoluto del sovrano è mostrato pubblicante sul corpo del condannato”.8 Lo scoppio della Rivoluzione Industriale porta al decadimento delle case di correzione, ma il seme era gettato: da queste istituzioni nasce il rifiuto della pena di morte e delle pene corporale. Grazie al contributo offerto dalla filosofia illuministica la pena esplicata attraverso il lavoro diviene la “moneta” con la quale pagare i propri debiti con la giustizia, “il calcolo, la misura di pena in termini valore-lavoro per unità di tempo, diviene possibile solo quando la pena è stata riempita di questo significato, quando si lavora o quando si addestra al lavoro.”9 . I concetti di libertà e tempo arrivano ad essere connessi tra loro: la libertà assume un valore economico in connessione alla misurazione del tempo, che ora può essere misurato, regolato, scandito all’interno delle istituzioni detentive. I riformatori considerano il carcere e le pene come l’unica forma di prevenzioni perché i delitti non si ripetano, da qui l’idea dell’individualità della pena in base al crimine e a chi lo commette. Il metodo usato è quello delle rappresentazioni “ rappresentazione degli interessi, dei vantaggi, degli svantaggi, del piacere e del dispiacere.”10 La quotidianità della pena, attraverso una vera e propria manipolazione dell’individuo è la metodologia utilizzata: “… alla fine ciò che si cerca di costruire con questa tecnica di correzione … è il soggetto obbediente, l’individuo assoggettato a certe abitudini, regole, ordini, autorità che si esercita continuamente intorno a lui e su di lui e ch’egli deve lasciar funzionare automaticamente in lui.”11 8 GARLAND DAVID, "Pena e società moderna", op. cit. pag. 309. 9 MELOSSI DARIO e PAVARINI MASSIMO, "Carcere e fabbrica: alle origini del sistema penitenziario (XVI - XIX secolo) ", op. cit., pag. 87. 10 BURACCHI TOMMASO, "Origini ed evoluzione del carcere moderno", op. cit., pag. 150. 11 FOUCAULT MICHEL, "Sorvegliare e punire. Nascita della prigione", op. cit., pag. 141. 8 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 Il corpo assoggettato alle esigenze del potere, attraverso il suo addestramento, garantisce un maggior controllo sui reclusi. Grande esponente di questo di modello punitivo è stato John Howard che grazie agli apporti dati dalle sue teorie, ricavate dalle visite fatte a gran parte delle istituzioni carcerarie inglesi, favorì l’idealizzazione del Penitentiary Act nel 1779: si voleva costruire una rete di case per il lavoro forzato dove la vita dei carcerati fosse scandita ad ore fisse (la sveglia, lettura della Bibbia, la preghiera, i pasti, il lavoro, ecc.), ai detenuti dovevano essere garantiti il vitto e la divisa carceraria. Il carcere assume un intenso valore religioso, infatti, per Howard era “… l’arena dove egli avrebbe potuto lottare contro il male, dimostrando il proprio valore a Dio.”12 Si avvale, nel suo tentativo di riforma, anche delle scoperte fatte in campo medico, arrivando a paragonare il crimine ad un virus capace di contagio; il carcere diviene il luogo dove porre in quarantena i “malati”: l’isolamento ha duplice valenza, infatti, da un lato serve ad evitare coalizioni tra detenuti, e dall’altro viene utilizzato per evitare una “contaminazione” tra criminali in “erba” e quelli incalliti. La criminalità assume valori sociali: non è più costituita da istinti insiti nell’uomo, ma è la conseguenza di una socializzazione sbagliata e che perciò può essere corretta. L’istituzione pensata da Howard, il Penitentiary Act, non venne mai realizzato in pieno, ma le idee che in esso erano contenute vennero utilizzate per migliorare le condizioni dei detenuti: si proibirono le estorsioni e i carcerieri divennero personale stipendiato; si stabilirono rifornimenti di abiti e di cibo; si abolì l’uso delle catene e per le fustigazioni divenne necessario il permesso del magistrato; la disinfestazione degli ambienti e dei detenuti divennero azioni abituali. Questo insieme di norme igieniche e di regole comportamentali non servivano solo a garantire condizioni di vita migliori, ma anche e soprattutto per ribadire l’autorità dello stato, che regola e sancisce ogni momento e azione 12 IGNATIEFF MICHAEL, "Le origini del penitenziario. Sistema carcerario e rivoluzione industriale inglese”, 1750-1850.", op. cit., pag. 61. 9 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 dell’istituzione. Anche le visite dall’esterno vennero regolate e ridotte, per cercare di allontanare i criminali dal contesto sociale che li aveva resi tali. Il cambiamento più eclatante fu la mancanza di pubblicità delle pene: non si svolsero più in piazza, ora il tutto avviene tra le mura del carcere, senza il “controllo” del popolo. Tutto è gestito dallo Stato, che poteva permettersi di regolare le pene a proprio piacimento, senza dover rispondere all’umore della piazza. Sulla scia delle teorie di Howard troviamo il Panocticon di Bentham, ideatore di una prigione moderna e funzionale, che rispondesse anche alle esigenze economiche dei profitti dati dai prodotti realizzati all’interno del carcere. Il principio base per la costruzione di quest’istituzione è l’isolamento completo e continuo, perciò la struttura sarebbe stata la seguente: “ alla periferia una costruzione ad anello; al centro una torre tagliata da larghe finestre che si aprono verso la facciata interna dell’anello; la costruzione periferica è divisa in celle… Basta allora mettere un sorvegliante nella torre centrale, ed ogni cella rinchiude un pazzo, un ammalato, un condannato, un operaio o uno scolaro … il dispositivo panoptico unità predispone spaziali che permettono di vedere senza interruzione … la visibilità è trappola”13. Figura 1 Panopticon in pianta 13 FOUCAULT MICHEL, "Sorvegliare e punire. Nascita della prigione", op. cit., pag. 218. 10 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 Figura 2 Foto Panopticon La mancanza di comunicazione, la non visibilità tra i reclusi e, soprattutto, la non visibilità di chi gestisce il potere, permettono il mantenimento dell’ordine e il controllo totale sulle azioni e sui comportamenti degli occupanti le celle. La creazione del Panopticon cambia la funzione del carcere: non è più luogo di detenzione preventiva o dove eseguire le pene corporali, ma la privazione della libertà (vista come offerta del proprio lavoro) viene ora considerata già una pena, infatti il detenuto è costretto a lavorare per l’imprenditore privato che gestiva il Panopticon, senza possibilità di scelta. I detenuti lavoravano per circa 16 ore al giorno all’interno delle loro celle, sempre sotto stretta sorveglianza. La gestione, secondo Bentham, doveva essere sempre di privati appaltatori, l’interferenza statale avrebbe minato la qualità dell’istituto; erano però previste forme di controllo sull’operato dei gestori: “…egli ammise l’accesso del pubblico alla torre centrale d’ispezione, in modo che chiunque potesse controllare, in qualsiasi momento, l’appaltatore e il suo personale…. Per garantire che non avrebbe fatto lavorare i detenuti sino allo stremo delle forze, si offrì di pagare allo Stato la somma di cinque sterline per 11 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 ogni decesso avvenuto in carcere, oltre il tasso medio di mortalità annua a Londra.14”. La struttura del Panopticon è ideale per la custodia e il controllo, ma non per il lavoro produttivo anche se Bentham sostiene la sua applicabilità in qualunque istituzione, sia questa detentiva, scolastica o medica: “ è un tipo di inserimento dei corpi nello spazio, di distribuzione degli individui gli uni in rapporto con gli altri, di organizzazione gerarchica, di disposizione dei centri e dei canali del potere, di definizione dei suoi strumenti e dei suoi metodi di intervento, che si possono mettere in opera in ospedali, fabbriche, scuole, prigioni.15”. Il progetto del Panopticon fu discusso e approvato dal Parlamento inglese nel 1792, ma non fu mai realizzato a seguito di un divieto decretato da Re Giorgio III. Ma le idee che Bentham apportò influenzarono la costruzione delle carceri negli anni successivi, non solo in Inghilterra ma anche nel resto d’Europa. Gli elementi che i carceri e il Panopticon hanno in comune sono molteplici: la sostituzione delle pene corporali con la detenzione; le regole che diventano quotidianità e cambiamento nel comportamento; il lavoro forzato ed, elemento più innovativo di tutti, il crimine non più gestito, punito nella “pubblica piazza”, ma nascosto, separato da mura e sbarre. Il nuovo concetto di rieducazione del criminale, caro ai riformatori e agli illuministi, parte dalla concezione che la pena serva al condannato per prendere coscienza del male compiuto, di conseguenza una detenzione caratterizzata da abusi, pene corporali eccessive sviliscono la legittimità della condanna e si perde il valore educativo e di redenzione insita in essa. I cambiamento compiuti nel concetto di pena dal Medioevo al XVII - XVIII sono fondamentali: “ … la pena non doveva più essere … un atto di collera e di vendetta, ma un calcolo regolato da considerazioni sul bene sociale e sul bene dei trasgressori.16”. Alla luce di queste nuove considerazioni si cercò di eliminare il potere che il personale di sorveglianza deteneva all’interno dei penitenziari. Non considerando 14 TESSITORE GIOVANNI, "L'utopia penitenziale borbonica- Dalle pene corporali a quelle detentive", op. cit., pag. 53. 15 FOUCAULT MICHEL, "Sorvegliare e punire. Nascita della prigione", op. cit., pag. 224. 16 IGNATIEFF MICHAEL, "Le origini del penitenziario. Sistema carcerario e rivoluzione industriale inglese, 1750-1850.", op. cit., pag. 83. 12 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 più positiva la gestione dei privati tutto doveva passare nelle mani dello Stato, in considerazione dei mutamenti nell’esecuzione delle pene che, da pubbliche e catartiche per il popolo, divennero professionali e burocratizzate. Il personale divenne perciò controllabile e sorvegliato come i detenuti di cui si doveva occupare. Ma all’orizzonte importanti cambiamenti politici e sociali andarono a trasformare ulteriormente le funzioni delle carceri: l’influenza dei quaccheri fu determinante per un’ulteriore riforma carceraria a seguito dell’ennesima crisi sociale che l’Europa venne a vivere. Ogniqualvolta si viene a determinare una profonda crisi sociale, legata al mercato del lavoro e, conseguentemente alla qualità della vita, la criminalità aumenta. L’incremento criminale richiede, da parte dell’opinione pubblica (ceti nobili e borghesi soprattutto) un ritorno al passato nella gestione delle punizioni, delle pene e del carcere che si traduce in istituzioni lasciate allo sbando, con condizioni di vita, per chi vi è rinchiuso, impossibili: • nessuna dieta regolare; • mancanza di abiti; • perdita del concetto di isolamento come forma di rieducazione a causa del sovraffollamento; • detenuti messi in catene e vessati dalle guardie; • nessuna distinzione tra i reclusi, perciò detenuti in attesa di giudizio entravano in contatto con condannati a morte; • assenza di disciplina che regolasse gli istituti. Il quadro sopra presentato mostra come la criminalità si stia trasformando nell’emblema della lotta di classe. I quaccheri impegnati, nella filantropia come atto politico finalizzato a dirigere a buon fine i bisogni dello Stato17, mettono in primo piano il problema della delinquenza minorile. Quest’ultima intesa come manifestazione del crollo dei valori famigliari e della disgregazione della famiglia, che stava avvenendo a seguito dell’industrializzazione dei ceti più 17 Inteso come formato “da chi governa e da chi è governato”. 13 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 poveri e con la creazione del proletariato: “quando qualcuno diviene rapinatore per necessità, ciò accade perché non ha potuto sopportare di essere un mendicante o perché ha deciso di sfidare la morte piuttosto che divenire uno scheletro a causa della fame.18”. L’incremento della criminalità portò i giudici a non credere più nelle riforme, ma ad utilizzare il terrore della sofferenza del corpo come deterrente al crimine. Le riforme tanto propagandate dai filantropi non trovarono consensi all’interno della società. Le migliorie che si sarebbero dovute apportare, per garantire ai detenuti un tenore di vita accettabile, entravano in contrasto con le condizioni delle fasce più povere. Se si fossero applicate le riforme volute dai quaccheri il carcere avrebbe perso il suo valore inibitorio, anzi sarebbe stato preferito, visto che garantiva “vitto e alloggio”, rispetto alla vita fuori di esso. Si applicarono restrizioni molto forti: • nessun libro all’interno del penitenziario, perché visto come forma di divertimento e di distrazione; • le visite furono ridotte a pochi minuti e sorvegliate dalle guardie; • obbligo di esercizi di camminata eseguiti in assoluto silenzio; • dieta ridotta al minimo; • introduzione della ruota, utilizzata senza limiti e molto apprezzata dai giudici; • aumento delle punizioni atte a stroncare la subcultura carceraria: “… ferri, pane, acqua, celle sotterranee e frusta punivano qualsiasi tentativo di parlare o protestare.19”. Nel tentativo di garantire una certa stabilità sociale i giudici incrementarono il numero di condanne verso i reati minori, con l’obiettivo di stroncare sul nascere 18 IGNATIEFF MICHAEL, "Le origini del penitenziario. Sistema carcerario e rivoluzione industriale inglese, 1750-1850.", op. cit., pag. 176. 19 IGNATIEFF MICHAEL, "Le origini del penitenziario. Sistema carcerario e rivoluzione industriale inglese, 1750-1850.", op. cit., pag. 198. 14 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 la piccola criminalità. In questa direzione nacquero nuovi corpi di polizia specializzati nella cattura dei piccoli criminali20. L’organizzazione era molto burocraticizzata e avevano regole ferree, permettendo una sorveglianza costante di tutta la popolazione e i garantendo sicurezza e giustizia anche alle classi più povere: “Tuttavia, anche i più poveri beneficiavano di una più rigida applicazione della legge, nella misura in cui erano essi stessi vittime della criminalità.21”. I nuovi corpi di polizia portarono alla professionalizzazione di buona parte degli apparati di controllo delle carceri, imponendo così una più ferrea disciplina derivata dall’esperienza militare che il personale di custodia portava con se. Questi nuovi cambiamenti portarono stravolgimenti anche all’interno delle carceri: la gestione divenne simile a quella degli apparati militari, regole inflessibili; punizioni per ogni minima infrazione; minuziosa scansione tempo. Questa nuova gestione carceraria fu contrastata non solo dai detenuti, che vedevano ristrette le già poche libertà di cui godevano, ma anche dalle guardie che traevano profitti dagli illeciti che si verificavano all’interno dei penitenziari. Le varie riforme che in questo periodo si tentò di applicare alla gestione delle carceri, presero spunto dall’esperienze americane di Philadelphia e di Ausburn: ecco una breve descrizione. • Il modello di Philadelphia si basa sull’isolamento cellulare assoluto, sul silenzio, sulla meditazione e sulla preghiera; il tutto per permettere al detenuto di entrare in contatto con la sua parte più intima, prendere coscienza del reato commesso ed espiarne la colpa. Ogni contatto tra detenuti è impedito in modo assoluto, fuori dalle celle i carcerati usciranno solo bendati o incappucciati. La solitudine imposta ha la funzione di permettere un’autoregolazione della pena, infatti se all’inizio questa sarà insopportabile poiché il detenuto 20 21 Ubriachi, vagabondi, prostitute, ecc. IGNATIEFF MICHAEL, "Le origini del penitenziario. Sistema carcerario e rivoluzione industriale inglese, 1750-1850.", op. cit., pag. 206. 15 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 dovrà riflettere quotidianamente sul reato commesso, nel momento in cui giungerà il pentimento la solitudine diverrà molto più sopportabile. Questo modello carcerario basato sull’isolamento e il silenzio assoluti ebbero effetti devastanti sulla psiche dei detenuti: alti tassi di depressioni, suicidi, allucinazioni, danni cerebrali e fisici, a causa dello spazio ridotto in cui erano costretti; i reclusi “cadono nella malinconia e nel pianto, fenomeni questi che a torto vengono presi come manifestazione di pentimento, mentre sono segno di disperazione e spesso si risolvono in vere e proprie alienazioni mentali.22”. I difensori del modello di Philadelphia sostennero che gli aspetti negativi poteva essere superati grazie ad alcuni interventi mirati: le deficienze fisiche, causate dal poco esercizio e dal poco spazio, vennero risolte permettendo ai detenuti di svolgere esercizi all’aria aperta per una al massimo due volte alla settimana, in appositi recinti. Mentre i problemi psichiatrici, derivati dall’isolamento e dal silenzio, poteva essere risolti o curati, attraverso colloqui di mezz’ora al giorno che ogni detenuto avrebbe potuto sostenere con medici, maestri, custodi, ecc,; questi ultimi venivano anche incoraggiati a svolgere questo colloqui perché, essendo persone di fede irreprensibile, potevano influenzare positivamente i detenuti. • Il modello del carcere di Ausburn ha come punto di partenza sempre la segregazione cellulare e il silenzio, ma alternati a momenti di lavoro comune. Questa divisione corrispondeva a precisi momenti della giornata: il giorno era dedito al lavoro, che si svolgeva in assoluto silenzio; mentre durante la notte vi era l’isolamento all’interno delle celle. Il regime definito “ day - association” e “nigth-separation” rispondeva a ben precise esigenze dell’istituzione che, se da un lato con l’isolamento e il silenzio cercava di eliminare qualsiasi 22 CANOSA ROMANO e COLONNELLO ISABELLA, "Storia del carcere in Italia dalla fine del cinquecento all'unita'", op. cit., pag. 151. 16 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 contatto/contaminazione tra detenuti, dall’altro con il lavoro si cercava di introdurre l’aspetto produttivo dell’istituto. La gestione era prettamente militare dando così hai detenuti una ferrea omogeneità di comportamento, di estetica e di materiali: “… nella cella, una branda, un secchio, pochi utensili di latta uguali per tutti sono i soli oggetti forniti dall’amministrazione; i prigionieri devono poi indossare un’uniforme e i capelli devono essere rasati23”. Vengono stabilite regole anche nelle posture del corpo “gli internati non possono infatti camminare, bensì devono sempre procedere in ordine chiuso o in fila per uno …24”. Non era escluse le pene corporali come determinazione della disciplina e la frusta risultò la migliore, perché non minava la salute del detenuto e, soprattutto sottometteva immediatamente il soggetto senza che questi interrompesse la sua attività lavorativa. Gli aspetti negativi del modello auburniano risiedono nella difficoltà di sorvegliare i detenuti durante il lavoro in comune e, la quasi totale, impossibilità di far mantenere il silenzio. L’esecuzione penale svolta all’interno di questo modello di carcere superava il fine rieducativi che andava professando per abbracciare, come scala di valutazione della buona condotta, la capacità lavorativa del soggetto recluso. Il lavoro all’interno del carcere di Ausburn assunse così le caratteristiche del mercato economico, non avendo più la funzione pedagogica che avrebbe dovuto caratterizzarlo. I modelli americani sopra descritti furono analizzati dai riformatori europei, che cercarono quale fosse il migliore da applicare nella realtà della vecchia Europa. Uno degli elementi del modello di Philadelphia che non venne ben visto dall’opinione pubblica europea, era legato al reinserimento sociale dei detenuti 23 MELOSSI DARIO e PAVARINI MASSIMO, "Carcere e fabbrica: alle origini del sistema penitenziario (XVI- XIX secolo) ", op. cit., pag. 218. 24 Ibidem, pag. 219. 17 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 che avevano scontato la pena. I primi problemi legati a questa metodologia si riscontrarono nei comportamenti che i detenuti avevano al di fuori delle carceri, infatti l’isolamento ed il silenzio a cui erano stati sottoposti durante il periodo di detenzione avevano causati seri danni psichici a questi soggetti, “… molti soffrivano di crisi isteriche e di pianto. Altri trovarono assordante il rumore delle strade e chiedevano cotone da mettere nelle orecchie; altri ancora spaventavano i familiari con un torpore e un’indifferenza che passavano solo dopo alcune settimane.25”. Il quadro delineato mostra come la gestione delle carcere e le teorie a cui fanno riferimento nel corso degli anni si dividono in due rami principali: 1. Carcere come luogo di rieducazione, attraverso varie forme punitive che andavano dai lavori forzati all’isolamento e al silenzio assoluti. Tutti in ogni caso avevano un unico scopo, cioè quello di far prendere coscienza al reo del reato commesso, vivere appieno il senso di colpa che questa presa di coscienza porta con sé e di vivere così la sua condanna con pentimento. Solo con l’influenza dell’esperienza americana si arrivò a pensare ad un possibile reinserimento nella società. 2. Carcere come luogo di reclusione, di pena, di dolore. I detenuti dovevano seguire regole rigide, lavorare sino al massimo della sopportazione e subire punizioni per ogni minima infrazione. All’interno di queste istituzioni non veniva garantito nemmeno il mimino per la sopravvivenza, tutto era improntato sul terrore. Lo scoppio della rivoluzione industriale e la nascita di un nuovo ceto sociale, il proletariato, influenzarono il crimine e, di conseguenza, la gestione 25 IGNATIEFF MICHAEL, "Le origini del penitenziario. Sistema carcerario e rivoluzione industriale inglese, 1750-1850.", op. cit., pag. 221. 18 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 delle carcere. La distinzione che si viene ora a delineare riguarda se chi commette il crimine è un lavoratore o no; stabilito questo si distinguono due tipologie di reato: • Crimini politici commessi da chi lavorava, si concretizzavano attraverso manifestazioni che spesso venivano sedate da corpi di polizia nati allo scopo. • Crimini personali commessi da chi non lavorava nel tentativo di ottenere un minimo per la propria sopravvivenza. La caratteristica di queste due modalità di commettere crimini è il tentativo di sovvertire l’ordine sociale, di rifiutare l’autorità dello stato. Il tentativo di contrastare l’avanzata di queste tipologie di reato fu l’istituzione di dipartimenti di polizia preposti al mantenimento dell’ordine pubblico. La nascita di questi nuovi corpi influenzò anche la sorveglianza/punizione dei detenuti: l’applicazione dei codici, mutuati dal diritto, garantivano lo status quo sociale che era costituito dalle classe borghesi, ben distinte dal proletariato e sotto proletariato26. Da questo momento in poi si cercò di rendere i penitenziari simili e redditizi come le nascenti fabbriche, “più correttamente possiamo affermare che le prime realtà storicamente realizzate di carcere si sono strutturate…sul modello della manifattura, sul modello della fabbrica.27”. La trasformazione del soggetto del detenuto si basa sulle nuove tipologie di lavoro che l’industrializzazione offre, viene cioè tramutato in un operaio/proletario, “… il carcere può essere interpretato come una macchina capace di trasformare, dopo un’attenta osservazione del fenomeno deviante, il criminale violento, agitato, irriflessivo in un detenuto disciplinato, in un soggetto meccanico, attraverso l’apprendimento forzato delle discipline della fabbrica.28”. La situazione delle carceri alla metà dell’ottocento versava in condizioni disastrose, l’unico scopo era quello di limitare le evasioni, per cui tutti gli altri 26 Per sotto proletariato si intendono i lavoratori occasionali, che vivevano alla giornata. 27 MELOSSI DARIO e PAVARINI MASSIMO, "Carcere e fabbrica: alle origini del sistema penitenziario (XVI- XIX secolo) ", op. cit., pag. 201. 28 Ibidem, pag. 91. 19 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 aspetti venivano tralasciati, dando origine a luoghi insalubri, in cui la disciplina era ottenuta attraverso punizioni indescrivibili; misure igieniche quasi inesistenti; lavoro non organizzato e lasciato in gestione alle guardie del carcere; promiscuità tra uomini e donne; contatti tra i vari tipi di criminali e dove, spesso, spesso le pene inflitte venivano deliberatamente modificate dai regolamenti interni dei penitenziari a causa delle leggi quasi inesistenti. Il quadro globale si manifestò in modo così disastroso che pensatori e filosofi dell’epoca iniziarono a chiedere riforme consistenti sulla gestione degli istituti di pena. La domanda fondamentale che questi nuovi riformatori andarono a sviluppare fu relativa a quali principi e metodi si dovessero utilizzare per il trattamento dei detenuti. L’analisi iniziale che venne fatta fu relativa allo stato sociale di provenienza dei detenuti, tutti dagli strati più bassi; la conseguenza di pensiero fu che andavano intimiditi proprio quegli strati sociali che consideravano migliore la segregazione in carcere che la vita fuori da esso. Conseguenza fu considerare la privazione della libertà non più un deterrente soddisfacente, ma il detenuto si sarebbe dovuto sottomettere completamente all’autorità. La vita all’interno delle carceri doveva essere caratterizzata dalla tranquillità, gestita da regole, e dedita al lavoro, “non è tanto ai fini dell’ordinato svolgersi della vita carceraria che si richiede l’obbedienze, ma per il bene del condannato stesso, che deve apprendere a sottomettersi volontariamente al destino delle classi inferiori.29”. L’opinione corrente in questo periodo vuole che i detenuti vengano riforniti del minimo vitale, infatti “il limite superiore del tenore di vita dei detenuti era così determinato da quello inferiore della popolazione libera.30”. Il lavoro svolto all’interno delle carceri diviene un paradosso: i criminali sono soggetti che non lavorano (se avessero lavorato non avrebbero trovato il tempo per commetter il reato), all’interno del carcere trovano/imparano un lavoro che gli permetta un eventuale reinserimento nella società, ma … dentro alle carceri il lavoro è diventato una punizione, uno strumento di tortura. Si inventano 29 RUSCHE GEORG e OTTO KIRCHHEIMER, "Pena e struttura sociale", op. cit., pag. 184. 30 Ibidem, pag. 185, ma le misere condizioni della classe operaia riducevano il tenore di vita nelle carceri molto al di sotto del minimo vitale ufficialmente riconosciuto. 20 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 macchine per lavori inutili, come le tread-wheel “… erano semplici strumenti che potevano essere sistemati all’interno di una cella e il cui significato reale … era il tormento, la tortura.”31 Figura 3 Una tread wheel a Pentonville Nella seconda metà dell’Ottocento, dopo altalenanti modalità di gestione dei penitenziari attraverso l’utilizzo delle più svariate forme di punizione, si arriva alla consacrazione del carcere moderno con l’abolizione definitiva di tutte le forme di sanzioni che non fossero l’isolamento. Il modello a cui si fa riferimento è quello americano di Philadelphia, grazie alla sua caratteristica di terrorismo applicato attraverso l’isolamento e il silenzio perenni. Unico “svago” concesso era il lavoro, che però si andava così trasformando in “… vera e propria tortura fisica - cinque, dieci, venti anni di condanna.32”. Il sistema philadelphiano ottenne un discreto successo in Europa, in quanto riusciva a conciliare al suo interno le due esigenze fondamentali per la società del 31 MELOSSI DARIO e PAVARINI MASSIMO, "Carcere e fabbrica: alle origini del sistema penitenziario (XVI- XIX secolo) ", op. cit., pag. 76. 32 Ibidem op. cit., pag. 93. 21 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 Vecchio Mondo, infatti “corrisponde perfettamente all’esigenza di carcere punitivo e deterrente, senza uso di lavoro “utile” …33”. Si va lentamente delineando quella che è la reale funzione del carcere nell’età moderna: rendere il soggetto colpevole completamente dipendente e assoggettato allo Stato, “una volta ridotto il carcerato a soggetto astratto, una volta annullata la sua diversità, una volta messo di fronte ai beni materiali che non più soddisfare autonomamente … l’unica possibile alternativa alla propria distruzione, alla propria follia è la forma morale della soggezione.34”. In questa nuova visione il carcere prende in carico il soggetto recluso nella sua globalità attraverso: • L’addestramento fisico; • L’attitudine al lavoro; • La condotta giornaliera. • La condotta morale. L’educazione/disciplina impartita all’interno del carcere ha come scopo la conoscenza del criminale ai suoi livelli più intimi, per arrivare a capire la possibile connessione esistente tra il carattere dei soggetti e il loro comportamento criminoso. I riformatori vivevano una profonda contraddizione interna, se infatti da un lato negavano determinatamente il ritorno alle pene corporali, dall’altro rimaneva fermi sull’idea di un carcere “duro”, che intimidisse e inibisse i comportamenti criminali. L’isolamento veniva ancora considerato lo strumento migliore per il mantenimento della disciplina, per la gestione delle carceri, e per l’espiazione del detenuto, anche se in realtà questo aspetto dell’isolamento fallì creando solo sofferenza, malattia, e in molti casi l’emarginazione totale a livello sociale. 33 MELOSSI DARIO e PAVARINI MASSIMO, "Carcere e fabbrica: alle origini del sistema penitenziario (XVI- XIX secolo)", op. cit., pag. 76. 34 Ibidem op. cit., pag. 209. 22 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 Il fallimento del sistema cellulare ha portato i riformatori a ritornare all’idea di un carcere “preventivo” attraverso il lavoro e, per la prima volta, si iniziò a parlare di sconti di pena “… sulla possibilità loro offerta di passare in carcere un tempo inferiore a quello previsto nella sentenza di condanna, qualora si fossero ben comportati.35”; e si iniziano a rilasciare i detenuti in libertà vigilata, “le prime persone ad ottenere la libertà vigilata furono rilasciate nel 1853 fra il timore generale.36”. I detenuti rilasciati avevano l’obbligo di mantenere una condotta irreprensibile a livello lavorativo e di frequentazione, cioè evitare legami con ex-detenuti e, dovevano presentarsi alla polizia ad intervalli regolari. Ma i problemi si presentarono immediatamente, in quanto l’opinione pubblica e i corpi di polizia misero in atto comportamenti molto duri: “i detenuti in libertà vigilata si videro esclusi da quasi tutte le occupazioni e dovettero subire le vessazioni della polizia e gli insulti della stampa.37”. Le riforme non furono accolte favorevolmente né dalla collettività né dai detenuti, ma si resero necessarie a seguito dell’abolizione della pena di morte e della deportazione, che vennero trasformate in lunghe pene detentive. I detenuti risposero a questi cambiamenti con sommosse e disordini all’interno degli istituti penitenziari, portando così alla luce una verità scomoda: l’autorità tanto declamata sia dai direttori che dalla società in realtà non era assoluta come volevano credere. I provvedimenti presi in conseguenza a questi tumulti furono severissimi: all’interno delle carceri furono attuate restrizione delle diete e limitazione nel concedere la libertà vigilata; per chi già usufruiva della libertà maggior intransigenza sui controlli (revoca immediata per chi non si presentava). Venne istituito un corpo di polizia preposto alla sorveglianza dei detenuti, con anche l’incarico di aggiornare le schede segnaletiche utilizzate nei tribunali; “… alla fine degli anni Settanta venne introdotto l’uso di fotografare gli ex detenuti, e durante 35 CANOSA ROMANO e COLONNELLO ISABELLA, "Storia del carcere in Italia dalla fine del cinquecento all'unita'", op. cit., pag. 182-183. 36 IGNATIEFF MICHAEL, "Le origini del penitenziario. Sistema carcerario e rivoluzione industriale inglese, 1750-1850.", op. cit., pag. 223. 37 Ibidem, pag. 223. 23 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 gli anni Novanta si cominciarono a prendere le impronte digitali allo scopo di facilitare l’identificazione e la sorveglianza di “criminali abituali”38”. Queste nuove e più sofisticate forme di controllo, nate per sorvegliare gli ex detenuti, dimostrano come in realtà il carcere abbia perso, nell’opinione di tutti, la sua valenza rieducativa, “ il movimento avviato da Howard instillò nella mente degli scettici borghesi … l’idea che le prigioni avrebbero dovuto rieducare; ma i riformatori non dovettero mai convincere …che i penitenziari assolvessero a quella funzione …39”; mantenendo la sua caratteristica detentiva e di allontanamento dei “malati” dalla società sana. Caduta anche questa illusione il carcere diviene definitivamente luogo di terrore e di pena, dove il lavoro non è più una forma di riscatto ma diviene vero e proprio tormento. I detenuti vengono lasciati in silenzio e solitudine solo per creare un clima di paura e di conseguente sottomissione. Le basi del carcere moderno erano state gettate con l’abolizione della pene di morte e la riduzione delle pene corporali. Le pene capitali erano rimaste per gli omicidi, ma anche in questo caso i cambiamenti erano stati sostanziali: non più esecuzioni pubbliche, con rituali lunghissimi e atroci, ma esecuzioni veloci all’interno delle mura carcerarie o, quando questo non era possibile, eseguite all’alba in zone periferiche della città: “nelle carceri, come nelle strade, la cerimonia dell’esecuzione divenne assai breve. Il cadavere del condannato fu sottratto quanto più possibile alla curiosità pubblica.40”. Analizzando la situazione delle carceri tra la metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si può notare come il sistema carcerario avesse deluso quasi totalmente le promesse fatte, ma nello stesso tempo continuava a raccogliere consensi in quanto presentati come l’unica soluzione possibile al crimine, quest’ultimo cartina di tornasole di una crisi molto più profonda della società. 38 Ibidem, pag. 226. 39 IGNATIEFF MICHAEL, "Le origini del penitenziario. Sistema carcerario e rivoluzione industriale inglese, 1750-1850.", op. cit., pag. 231. 40 PANICO GUIDO, "Il carnefice e la piazza: crudeltà di stato e violenza popolare a Napoli in età moderna", op. cit., pag. 150. 24 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 Le carceri divennero il simbolo dell’ordine sociale tanto sospirato e la pena diviene il mezzo per rendere possibile questa stabilità sociale, il cui scopo è difendere la società da chi commette azioni criminose. Inizia l’uso sistematico dei codici, redatti come strumenti difensivi dei valori sociali, con una duplice funzione: da un lato forniscono le motivazioni razionali alle pene inflitte e dall’altro delineano i tentativi di rieducazione attraverso l’adozione di comportamenti consoni alla disciplina imposta in carcere. La pena è sempre la reazione ad un agire criminoso, non un tentativo di opporsi a quello che è avvenuto, ma è sempre rivolto a ciò che l’atto lascia dietro di se, alle conseguenze di negazione dell’autorità che si effettua sempre nel momento in cui si commette un reato. In realtà la pena non è rivolta al condannato, ma alla società che tramite la condanna acquisisce i limiti tra ciò che è lecito fare e il potere/volere dello Stato. La pena esprime i sentimenti che nascono dalla collettività e, nello stesso tempo, non è in grado di prevenire i comportamenti criminali, in quanto non ha nessuna funzione inibitoria sui comportamenti. Si fa strada così l’idea che non è la crudeltà e la durezza delle pene che inibiscono i comportamenti delittuosi, ma la paura di subire una pena. Nascono nuove forme di detenzione, in sostituzione di quelle corporali: • il carcere duro, dove attraverso l’isolamento si cerca di ottenere il massimo della disciplina; • l’ergastolo, dove con la segregazione a vita sì “elimina” il “malato” dalla società sana. Non lo si uccide fisicamente, ma socialmente. 1.1 Conclusioni L’evoluzione del carcere e delle pene nel corso dei secoli, a partire dal XIV sino al XX sec, è ricca di mutamenti e dinamismo che si possono riassumere in cinque forme: 25 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 1) pena di morte 2) torture e supplizi; 3) pene pecuniarie o confisca dei beni; 4) bando; 5) detenzione. L’apporto che le scienze letterarie ed umane, che si sono andate sviluppando nel corso degli anni, è determinante. I cambiamenti politici, geografici (1492 la scoperta dell’America), tecnici e medici hanno determinato trasformazioni negli stili e nel tenore della vita e, conseguentemente variazioni nelle modalità di difesa (le leggi) che la società applicava per difendersi da chi l’attaccava. Nel prossimo capitolo verranno delineate le principali teorie che hanno portato alla nascita di varie tipologie detentive (case di correzione, Panapticon, ecc.) ed alle molteplici varietà di pene che si sono susseguite. 26 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 2 Teorie della pena Tra gli argomenti più dibattuti dall’uomo sin dalla sua comparsa sulla terra figurano senz’altro le dissertazioni su temi quali il bene ed il male, e le conseguenti gratificazioni o punizioni. Filosofia, teologia, diritto, scienze penali e numerose altre discipline che al centro della loro dialettica hanno l’uomo con le sue innumerevoli sfaccettature, hanno contribuito a rendere il panorama sul “perché” delle pene ancora più vasto e complesso. Le risposte al quesito sono state infinite, ma tutte oscillano tra due posizioni contrapposte che, nel corso dei secoli, si sono alternate nella gestione delle carceri: ¾ TEORIE ASSOLUTE. Secondo le Scienze Assolute la pena è la dimostrazione del reato commesso, quindi devono essere direttamente proporzionali e si devono basare su due criteri: 1) Morale dove la pena è considerata un’esigenza etica della coscienza dell’uomo. Fine ultimo della pena è la realizzazione dell’idea assoluta di giustizia.41 2) Giuridica dove la pena ha come funzione quella di ristabilire l’equilibrio sociale che il reato commesso aveva compromesso. La sanzione riafferma anche l’autorità dello Stato e annulla il panico che il reo, con il suo comportamento, ha scatenato all’interno della società.42 41 Maggior esponente fu il filosofo Emanuel Kant. 42 Esponente di questo criterio fu il filosofo Hegel. 27 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 ¾ TEORIE RELATIVE Scopo della pena è evitare che il reato sia commesso ancora. Le teorie relative si raggruppano all’interno delle dottrine utilitaristiche che, a loro volta, si suddividono in tre teorie principali: 1) Prevenzione generale, nata in seno alla filosofia illuministica, considera la pena come lo strumento per evitare che i soggetti possano commettere atti illeciti. 2) Prevenzione speciale quando la pena dovrebbe, se non proprio eliminare, comunque ridurre le possibilità che il reo ricommetta il reato, per un conseguente reinserimento sociale. 3) Emenda il cui scopo è il pentimento del criminale attraverso il suo ravvedimento spirituale. La pena, in questo caso, purifica l’anima. Tralasciando il periodo Medioevale, dove tutto era intriso di religione e di colpa, e dove la giustizia era solo vendetta personale, si prenderanno in considerazioni le idee che nascono verso la metà del XVII sec. per cercare una soluzione alla domanda “perché la pena?”. Nei paragrafi successivi si cercherà di delineare un quadro più specifico delle teorie riguardanti il concetto di pena, prendendo spunto dalle due principali correnti filosofiche che si sono contrapposte in Europa: l’Illuminismo e il Positivismo. Da queste due posizioni nacquero due scuole di pensiero poi contrappostesi nel corso del XVIII e XIX sec: • La scuola classica che basandosi sulle teorie illuministe, dove l’uomo dotato di libero arbitrio, può scegliere tra il bene e il male. Avendo libertà di scelta il reato diviene atto volontario e 28 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 consapevole, di conseguenza la pena è la retribuzione al reato commesso.43 • La scuola positiva che, partendo dai presupposti del Positivismo, secondo il quale il comportamento umano è il risultato di tratti biologici, psicologici, sociali, nega il libero arbitrio e sostiene che la funzione della pena non è punire ma prevenire. Il criterio di assegnazione non è la gravità del reato, ma la pericolosità del criminale. La contrapposizione tra queste due scuole si è, in parte, risolta solo nel 1936 con la stesura del Codice penale Rocco che, grazie al tecnicismo giurino applicato dal suo autore Arturo Rocco, fonde al suo interno il Classicismo ed il Positivismo. Viene applicato il sistema sanzionario del “doppio binario”, cioè la pena inflitta ha sia funzione retributiva del reato, che di prevenzione del comportamento criminale attraverso la rieducazione del soggetto. 2.1 Illuminismo Il pensiero illuminista fu determinante nei cambiamenti che si verificarono in ambito penale tra la seconda metà del XVIII°e la prima metà del XIX° secolo: la critica è totale nei confronti dell’Ancien Regime, soprattutto nei confronti delle ingiustizie, “… la libertà di ciascuno deve essere, perciò, libertà di tutti: uguaglianza, fraternità, legalità rampollano da un’unica fonte … il monarca non è più visto come padrone, ma come servitore del popolo …44”. La nuova visione dell’uomo e della società, riscontrabili soprattutto nell’idee di Hobbes e Locke, i quali teorizzarono un “patto sociale” tra gli uomini 43 Codice Zanardelli del 1889 è stato ispirato da questa impostazione teorica. 29 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 che avrebbe consentito il passaggio dallo stato di natura allo stato sociale, poneva l’uomo ad avere accettato le leggi che regolano la società di cui fa parte e, nello stesso tempo, di aver accolto anche le punizioni previste per le violazioni di queste leggi. Il criminale diviene così un paradosso, “… egli ha rotto il patto dunque è nemico dell’intera società, e tuttavia partecipa alla punizione che subisce …45”. I nuovi concetti di giustizia, di uguaglianza che gli illuministi andavano propagandando, influenzarono tutta Europa, portando alla stesura della pietra miliare delle riforme in ambito penale che si verificarono in questi anni. Nel 1764 Cesare Beccaria, in forma anonima, manda alle stampe un piccolo libretto intitolato “Dei delitti e delle pene”. Per la prima volta, all’interno della sua opera, Beccaria delinea le caratteristiche essenziali del carcere moderno, visto come luogo di recupero. La pena assume valore di dissuasione a commettere il reato, non più solo una punizione. Le torture vengono bandite come brutali ed inutili, “non addestra il corpo, non lo assoggetta, né può costringerlo, una volta passata la prova, ad un regime duraturo di sottomissione fisica ed economica alle mansioni produttive imposte.46”; così come la pena di morte viene considerata anacronistica e crudele, senza una validità né preventiva né inibitoria. Il pensiero di Beccaria è profondamente innovativo anche nella nuova concezione dell’accusato e del relativo approccio alle indagini. Infatti la colpevolezza dell’accusato è da dimostrare, finché questo non accade il soggetto è innocente. Nel momento in cui la responsabilità è accertata la pena migliore è l’incarcerazione, anche per l’uniformità sociale che questa garantisce: “era anche un metodo sicuro per uniformare la pena tra coloro che avevano i mezzi per 44 GALLO ERMANO e RUGGIERO VINCENZO, "Il carcere in Europa-trattamento e risocializzazione, recupero e annientamento, modelli pedagogici e architettonici nella ‘galera europea’”, op. cit., pag. 69. 45 FOUCAULT MICHEL,“Sorvegliare e punire. Nascita della prigione.”, op. cit. pag. 111. 46 GALLO ERMANO e RUGGIERO VINCENZO, "Il carcere in Europa- trattamento e risocializzazione, recupero e annientamento, modelli pedagogici e architettonici nella ‘galera europea’”, op. cit., pag. 74. 30 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 pagare un’ammenda e coloro che non li avevano, dato che i primi sarebbero stati soggetti alle stesse condizioni dei secondi.47”. L’assegnazione della pena doveva essere immediata ed intransigente e doveva essere scontata completamente, “non doveva esserci possibilità di appello o di sospensione.48”. Il miglior deterrente non era la crudeltà della pena inflitta, ma la certezza che la pena venisse erogata nel momento in cui si commetteva un reato; in questo modo Beccaria cercava di superare gli intrighi e le scappatoie che la legislazione metteva in atto proprio per evitare di scontare le condanne. Le considerazioni morali, sociali e personali sul detenuto non avevano nessuna importanza nello stabilire la pena da assegnare o il grado di colpevolezza del soggetto; il criterio più equo è la responsabilità del colpevole, solo così sarà rispettata l’idea di giustizia uguale per tutti davanti alla legge. In merito alla prevenzione Beccaria pone la sua più totale fiducia su un sistema legale e procedurale equo e razionale, sulla base di questo nega l’utilità dei corpi di polizia non considerandoli al servizio del popolo, ma del potere punitivo dello Stato che, secondo i riformatori, deve essere limitato. Gli scritti di Cesare Beccaria influenzarono i riformatori illuministi, soprattutto nell’ambito delle riforme delle principali istituzioni giuridiche. L’ambito in cui riscossero maggior successo fu la modificazione del diritto penale, intorno al problema riguardante i limiti del diritto dello Stato di punire. La domanda che si posero esaminava le ragioni per le quali lo Stato avesse il diritto di punire i suoi componenti e i limiti entro i quali lo Stato poteva agire. “Primo carattere fondamentale della rivoluzione Illuministica in ambito giuridico-penale fu quello della cosiddetta secolarizzazione del diritto, fenomeno sintetizzabile nell’assunzione di una posizione di distacco del diritto dalla religione, attraverso una distinzione netta dei concetti di peccato e di delitto, da un lato, e di castigo e di espiazione e di pena, dall’altro.49”. 47 Ibidem, pag. 120. 48 Ibidem, pag. 120. 49 TESSITORE GIOVANNI, “L’utopia penitenziaria borbonica- Dalle pene corporali a quelle detentive.”, op. cit. pag. 55. 31 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 L’innovazione del concetto di reato è fondamentale, infatti sono da considerarsi tali solo quei comportamenti, o gesti, atti a danneggiare la società e chi la abita, perciò “i delitti sarebbero stati … cioè puniti non a causa della loro intrinseca moralità … ma perché fatti pericolosi per la convivenza civile …50”. Da questo momento tutte le azioni, comportamenti legati alla sfera privata come suicidio, eresia, omosessualità, non furono più considerati reati punibili dallo Stato, “… la secolarizzazione condusse ad una maggiore tutela delle convinzioni interiori dell’uomo, alla tolleranza civile e religiosa, all’ampliamento della sfera della libertà della persona.51”. Il reato genera caos e disordine sociale e la pena corrispettiva deve inibire il reiterarsi di questo disordine, perciò la sua durezza deve essere tale quel “tanto che basta” per impedire che il crimine venga commesso ulteriormente. Secondo i riformatori illuministi il reato viene compiuto perché conviene, procura vantaggi, di conseguenza la pena deve negare questa posizione e lo fa punendo chi trasgredisce, dimostrando l”l’inconveniente” del commettere reati. Ulteriore elemento riguarda a “chi” è rivolta la pena, e si scopre che non è il reo, ma la società la vera destinataria della pena. Il pensiero Illuminista fu il precursore della Scuola Classica che si basò su concetti come proporzionalità della pena; limiti del potere punitivo Statale; principio di legalità. Il pensiero classicista ha influenzato l’idea di carcere moderno in modo pregnante, ma vanno presi in considerazione anche i limiti che hanno comunque influenzato la procedura penale di quegli anni: • Il diritto penale, non prendendo in considerazione la personalità del condannato, lo confina in un piano astratto di un ipotetico diritto naturale/razionalistico, lontano però dalla realtà sociale ed individuale dove è immerso. Il libero arbitrio, tanto sostenuto dai 50 Ibidem, pag. 56. 51 TOMMASO BURACCHI, “Origini ed evoluzione del carcere moderno.”, op. cit. pag. 139. 32 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 riformatori, ha portato a non riconosce i condizionamenti ambientali e personali che ogni soggetto si trova a subire, non permettendo così di attuare un tipo di pensa individualizzata. Si deresponsabilizza la società in entrambi gli ambiti a lei competenti: le cause sociali dell’agire criminologico, la ricerca degli strumenti atti alla prevenzione. • La difesa sociale viene garantita solo attraverso la sanzione della pena, che ha anche funzione preventiva sia generale che speciale. Nessun tentativo è fatto per neutralizzare il comportamento delittuoso attraverso la risocializzazione a misura della personalità del condannato. • La pena non è mai considerata come recupero sociale, perché il diritto penale illuminista e classico non considera mai gli eventuali comportamenti futuri, ma solo quelli passati perché il comportamento è determinato da un atto di volontà libero, sul quale è impossibile compiere un giudizio di possibile ripetitività. La scuola classica sembra realizzare in pieno tutti i suoi postulati in merito al diritto penale, ma le critiche mosse portano ad una evoluzione sia del pensiero illuminista che della sua scuola. Nasce così la Scuola Positiva “è il caso della scuola positiva, tutta tesa ad individuare e discutere sia la figura del delinquente che i fattori antropologici, sociali e naturali della devianza criminale.52”. 52 GALLO ERMANNO e RUGGIERO VINCENZO, "Il carcere in Europa - trattamento e risocializzazione, recupero e annientamento, modelli pedagogici e architettonici nella 'galera europea'", op. cit., pag. 86. 33 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 2.2 Positivismo In posizione antitetica rispetto alla scuola classica troviamo la scuola positivista, la cui matrice di pensiero fu la nuova corrente filosofica nata in Francia nella prima metà dell'Ottocento. I positivisti considerano la scienza come “Il linguaggio” per antonomasia da utilizzare per la cultura, infatti la filosofia perde il proprio primato per lasciare spazio alle scienze particolari (antropologia, psichiatria, criminologia, ecc.). Oggetto privilegiato di studio è l'uomo nella sua complessità fisica, psicologica, sociale. Tutto viene ricercato, spiegato e capito attraverso la scienza, che arriva ad assurgere il ruolo di nuovo credo sociale, relegando la religione alla stregua di fantasie popolari. Il positivismo viene introdotto in Inghilterra da John Stuart Mill, il quale sostenne che tutte le conoscenze debbano avere la loro origine dall’esperienza; dall’altro lato riceve un impulso straordinario dalle teorie evoluzionistiche di Darwin e Spencer, grazie ai quali assurge a ruolo di scienza anche la biologia; mentre l'assolutismo politico di Comte sosteneva che solo le scienze positive avrebbero assicurato la stabilità del nuovo ordine sociale che si andava costruendo. Questo nuovo interesse per l’uomo nella sua globalità ha apportato cambiamenti considerevoli in ambito sociale e questo ha, ovviamente, coinvolto anche il mondo carcerario e i suoi abitanti. Partendo dai postulati sopra descritti in campo penale, la giustizia dovrà posare le sue basi su una nuovo concetto di libertà: ogni uomo gode di libertà che sarà limitata “solo” dalle libertà altrui. Da questo assunto fondamentale si può dedurre che i positivisti consideravano importante difendere la società e i suoi interessi dal comportamento criminale. L’atto criminale verrà interpretato come un’anomalia del corpo sociale, la cui difesa verrà espletata tramite l’applicazione della pena; che verrà designata in base alle caratteristiche del criminale, alla sua pericolosità e alla sua riadattabilità al contesto sociale. 34 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 Le tesi sostenute portano ad una nuova formulazione della sanzione penale: non trovano più giustificazione le pene atte a lenire o degradare il reo, le misure da attuare devono avere come risultato la difesa di tutta la società attraverso la prevenzione degli atti criminali. Questa prevenzione viene messa in atto, dove è possibile, attraverso il reinserimento nella vita sociale. Viene formulata una nuova idea del delitto visto come una manifestazione necessaria di determinate cause (bisogni, istinti, ecc.) presenti nella società, negando così la posizione illuminista della libera volontà di compiere un reato, investendo così la società di responsabilità nei confronti dei comportamenti criminali che in essa si verificano. In questo nuovo quadro teorico il diritto penale diviene scienza sociale, “per questi riformatori, quindi, la scienza del delitto fu essenzialmente scienza della società53”. La nuova politica sociale così attuata porterà a rifiutare pene detentive di breve durata, perché considerate inutili nell’ottica del trattamento rieducativo. I soggetti considerati idonei alla rieducazione dovevano essere trattati con cura e attenzione, per evitare che cadessero in comportamenti criminali recidivi. Nella valutazione complessiva dei soggetti si cercava sempre di attuare la rieducazione in tempi più o meno lunghi, nei casi in cui questa non fosse stata applicabile il reo sarebbe stato allontanato dalla società per un tempo indeterminato (spesso a vita), mettendo così “in salvo” la società da comportamenti criminali reiterati. Lo studio dei criminali e dei crimini attraverso il metodo positivista portò a prendere in considerazione, come causa dei comportamenti criminali, l’eredità fisiologica del soggetto. Massimo esponente di questa branchia della criminologia fu Cesare Lombroso. Le sue osservazioni sui criminali, attraverso lo studio dei tatuaggi, lo portano a credere di aver scoperto un tipo anormale di uomo “il delinquente nato, che definì in base ad elementi prevalentemente somatici e fisiologici ...54”. 53 RUSCHE GEORG e OTTO KIRCHEIMER, “Pena e struttura sociale”, op. cit. pag. 237. 54 BORGHESE SOFO, “La filosofia della pena”, op. cit. 289. 35 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 Alla base delle sue ricerche pone l’antropologia criminale (una delle nuove scienze), che come criterio di valutazione utilizza la corrispondenza esistente tra il fisico e la morale del soggetto: più un soggetto ha anomalie fisiche, più queste corrispondono ad anomalie morali, perciò a comportamenti criminali. Viene definita una categoria umana, quella di criminali, al cui interno i soggetti sono suddivisi in classi per precise, ad ogni classe dovrebbero corrispondere una misura di sorveglianza, una punizione o rieducazione idonee. Lombroso afferma, nella sua teoria, che il delitto è inevitabile (come la vita e la morte), di conseguenza il punire è la difesa inevitabile della società, senza alcuna connotazione morale. Il trasporto dell’antropologia criminale all’interno delle aule comporta il supporto di altre figure specialistiche come gli psichiatri, i criminologi, il cui compito è quello di scandagliare minuziosamente ogni aspetto del reo. Lo studio del crimine diviene scienza con la nascita della sociologia criminale, che delineando le caratteristiche di ciò che è anomalo all’interno della società, definisce anche tutto ciò che è normale. Gli assunti teorici del positivismo non sono privi di critiche sulla loro efficacia: • deresponsabilizzazione dell’individuo; • crimine legato al soggetto che lo compie, questo comporta una rimessa in discussione delle garanzie di legalità e certezza giuridica, in quanto sì da più potere discrezionale al giudice; • sostituendo alla colpevolezza il concetto di pericolosità sociale, dovrebbero essere sottoposti a misure di sicurezza anche quei soggetti che ancora non hanno commesso nessun reato, ma che risultano socialmente pericolosi in base ai criteri dell’antropologia criminale. La scuola positivista non considera l’individuo nel suo valore umano e diviene socialmente pericoloso e non più responsabile degli atti che compie. Il sistema da punitivo diviene curativo, i comportamenti anomali (pazzi, malati, delinquenti, 36 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 ecc) divengono malattie che le nuove scienze specialistiche positiviste possono e devono curare. 2.3 Piccola disgressione nel XX° secolo Alla fine del XIX° secolo le pene capitali erano state abolite in quasi tutti gli stati europei e le pene corporali sostituite con la detenzione. Lo spaccato italiano dei primi anni del XX° secolo mostrano un’involuzione determinata dall’avvento del regime fascista, dove il criminale venne definito “peccatore criminalizzato” e dove venne reintrodotta la pena di morte. L’unico aspetto positivo di questo periodo è l’entrata in vigore del Codice Rocco nel 1930, dove il legislatore cercò di superare il dualismo della scuola classica e della scuola positivista. Sulla scia nel 1931 viene approvato il “Nuovo regolamento per gli Istituti di prevenzione e pena” dove la punizione ha in se le tre caratteristiche principali che si sono alternate nel corso dei secoli: • emendativa; • affittiva; • intimidatoria. Bisognerà aspettare il 1975, con la Riforma penitenziaria e il 1976 con il successivo Regolamento di esecuzione, perché l’Italia si adatti alle convenzioni europee. Elemento d’innovazione è la posizione negativa della pena detentiva inframuraria come unica soluzione attuabile, si inizia a parlare di flessibilità della pena dando così la possibilità di variare e graduare la pena nel corso dell’esecuzione. La funzione del carcere,nel corso della pena, diviene un momento di passaggio nel tentativo di risocializzare il soggetto e non più luogo di “arrivo definitivo”. Vengono inseriti, all’interno del trattamento penitenziario, elementi rieducativi come il lavoro, l’istruzione, le attività culturali/ricreative/sportive. 37 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 L’emanazione dell’Ordinamento Penitenziario, si rivela inadatta alla rieducazione, in quanto l’allarme sociale causato dal terrorismo, portando lo Stato a porvi rimedio attraverso una forte azione repressiva. Nascono in questo periodo le cosiddette carceri di “massima sicurezza”, sottoposte ad una disciplina di speciale rigore e a severe forme di controllo. Solo all’inizio degli anni Ottanta, grazie alla progressiva sconfitta del terrorismo, si assiste ad un recupero dell’ideologia rieducativi. Ulteriori disposizioni furono: • La Legge Gozzini del 1986 amplia ed estende le misure alternative alla pena carceraria, L’obiettivo principale della riforma di legge è favorire il processo di reinserimento nella società del soggetto, allargando la possibilità di accesso alle misure alternative alla detenzione. • Legge Simeoli-Saraceni del 1998 ha introdotto modifiche procedurali volte ad assicurare l’accesso alle misure alternative a tutti i condannati astrattamente meritevoli. • Nuovo Regolamento penitenziario del 200027, che apporta importanti innovazioni al regime detentivo e maggiori garanzie per i ristretti. Particolari modifiche sono state introdotte in tema di lavoro allo scopo di dare un nuovo impulso alle attività dei detenuti ed ovviare alla grave insufficienza di risorse lavorative. Si sono volute incrementare le possibilità occupazionali dei carcerati, affidando le lavorazioni penitenziarie ad imprese esterne ed in particolare a cooperative sociali, che stabiliscono rapporti lavorativi diretti con i detenuti lavoratori. Al fine di facilitare l’ingresso in carcere di imprese e cooperative si sono stipulate convenzioni che regolano i rapporti tra questi soggetti economici e la direzione dell’istituto, che ha la possibilità di affidare in comodato gratuito locali utilizzabili ed anche le eventuali attrezzature. • Legge Smuraglia aveva lo scopo di facilitare il reinserimento del detenuto estendendo il sistema di sgravi contributivi e fiscali, già previsto per le cooperative sociali, alle aziende pubbliche o private 38 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 che organizzino attività produttive o di servizi all’interno delle carceri, impiegando manodopera detenuta e ricomprende nella definizione di persona “svantaggiata” le persone detenute o internate negli istituti penitenziari. • Il Testo Unico delle leggi sugli stupefacenti modifica profondamente l’inquadramento legislativo delle tossico e alcool-dipendenze, che da allora viene inserito all’interno del circuito giudiziario-dententivo. La Legge stabilisce comunque che queste categorie di detenuti vengano ospitati in “istituti idonei per lo svolgimento dei programmi terapeutici”30, in sezioni con reparti carcerari attrezzati oppure in Case specificatamente attrezzate31. Poiché l’eliminazione dello stato di dipendenza fisica e psichica dalle sostanze psicotrope risulta di importanza primaria rispetto a qualsiasi intervento rieducativo, la nuova normativa prevede la sospensione della pena32 e l’affidamento particolare33 per soggetti tossico e alcol dipendenti con condanna definitiva inferiore ai quattro anni che abbiano in corso o intendano sottoporsi a programma di recupero. Il diritto penale applicato in Italia dal 1930, con il Codice Rocco, considera il carcere e la pena momenti di passaggio della rieducazione sociale del reo. Nel prossimo paragrafo si cercherà di capire cosa si intende per educazione ed i converso rieducazione. 39 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 3 La rieducazione Il viaggio nella storia del carcere e nelle teorie che lo hanno influenzato, definiscono un quadro della realtà penitenziaria e del diritto penale molto complesso. La realtà penitenziaria del XXI° secolo è il risultato dell’evoluzione carceraria verificatasi tra il XIII° e il XIX° secolo: carcere come pena effettiva, ma anche la rieducazione del soggetto è allo stesso piano. Ma cosa s’intende per rieducazione? L’etimologia del termine “Educazione può essere fatto risalire ai due verbi latini educare (da ex-ducere trarre fuori, condurre fuori) ed educare, rafforzativo di educere che sembra avere attinenza con il verbo più antico edere, il cui significato è nutrire. Da queste due diverse interpretazione nascono due concezioni educative: • Il puerocentrismo secondo il quale l’educazione non è altro che il processo attraverso il quale vengono liberate le potenzialità interne del soggetto, in modo naturale. È un’educazione indiretta in quanto l’educatore non interviene, ma il suo compito è solo quello di allestire un ambiente il più possibile stimolante. • Il magistrocentrismo ha come fulcro il maestro il cui comportamento educativo è depositario del sapere all’interno del soggetto. Queste posizioni statiche non prendono in considerazione un aspetto basilare dell’educazione: tra i due attori del processo si instaura una relazione interpersonale di scambio reciproco, dove entrambi subiscono un cambiamento che diviene simbolo dell’educazione. Educare significa cambiare, mutare, e il cambiamento non può attuarsi senza educazione. 40 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 Cercando di dare una definizione il più possibile completa del concetto di educazione, bisogna analizzare le principali posizioni pedagogiche in proposito. Duccio Demetrio Parte dal concetto di educazione come cambiamento e il processo viene suddiviso in sei parti: 1. Temporalità: l’educazione/cambiamento avviene solo in determinate situazioni e per un tempo determinato. 2. Novità: sono gli eventi sconosciuti che determinano il cambiamento. 3. Spazialità: i luoghi in cui il processo educativo si verifica sono ben definiti, ma spesso non corrispondono a quelli che la società ritiene più idonei. 4. Direzionalità: il cambiamento avviene sempre per raggiungere uno scopo prefissato. 5. Reversibilità: il cambiamento è trasformazione in qualcosa d’altro rispetto allo stato precedente. 6. Emozionalità: i cambiamenti riguardano anche gli aspetti emotivi ed emozionali del soggetto. Piero Bertolini Il processo educativo è una realtà dinamica sempre in realizzazione e perché questo si attui si devono verificare cinque strutture: 1. Sistematicità: l’educazione è un evento sistemico determinato da molteplici variabili. 2. Relazione reciproca: il processo educativo deve avere sempre come base la reciprocità fra le parti. 41 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 3. Possibilità : l’evento educativo deve essere possibile nell’ottica che ogni esperienza umana può essere possibile. 4. Irreversibilità: ogni evento è inserito in un continuum temporale, che non può essere cambiato. Non si può tornare indietro, si può solo attuare un altro cambiamento sempre sulla retta del tempo. 5. Socialità:l’uomo è un essere sociale, il cui habitat è la società, all’interno della quale si verifica ogni sua esperienza. Giuseppe Milan La sua ottica dialogica e comunitaria lo porta a definire otto elementi fondamentali pechè il processo educativo si attui: 1. Intenzionalità: perché il processo si verifichi il soggetto deve prendere atto e essere cosciente di quello che va ad intraprendere. 2. Responsabilità: riguarda l’educatore nel suo impegno nel promuovere le potenzialità di chi in quel momento è in una posizione di svantaggio. 3. Reciprocità: solo la relazione interpersonale permette quell’apertura al dialogo che permetterà l’accettazione dell’altro e del diverso. 4. Possibilità: si riferisce all’imprevedibilità dei momenti educativi, che possono verificarsi in qualsiasi tempo e luogo, e sono legati all’individualità del soggetto. 5. Temporalità: ogni momento può essere momento educativo e generare il cambiamento. Spontaneità, 42 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 improvvisazione, estemporaneità solo elementi importanti del processo educativo. 6. Socialità: ogni cambiamenti individuale determinato dall’evento educativo determina un cambiamento, anche piccolo all’interno della società. 7. Sistematicità: la società può essere considerata una realtà sistemica, e anche il processo educativo deve considerare la molteplicità delle relazioni che ogni soggetto vive all’interno della sua complessa rete relazionale 8. Testimonianza: l’educatore deve essere un “modello di intenzionalità” all’interno de processo educativo sempre aperto al miglioramento. L’analisi delle principali teorie pedagogiche porta, tramite il processo deduttivo alla seguente definizione: “l’educazione intesa come piena realizzazione di se stesso all’interno della società e delle norme sociali che la regola, è sempre un percorso intenzionale, responsabile il cui scopo è la promozione totale dell’uomo”. Alla luce di questa definizione l’educazione diviene percorso permanente, che dura tutta la vita, con lo scopo di un miglioramento continuo. Compito dell’educazione è aiutare l’uomo a riportare se stesso al centro di se, solo così diventerà artefice della propria esistenza.. ma l’educazione sociale non risponde a questi presupposti basilari. La difficoltà maggiore riguarda la responsabilità delle proprie azioni, essere cioè capace di rispondere del perché delle proprie azioni e dei propri pensieri. Partendo da questa mancanza possiamo inserire il concetto di rieducazione,cioè” l’educare di nuovo” all’interno della definizione di educazione data precedentemente completandola con la precisazione che questo processo rieducativo viene posto in atto perché “non completamente raggiunto nel precedente processo”. 43 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 Trasportando quest’ultima definizione in ambito carcerario, il comportamento criminale diviene comportamento deviante rispetto al normale processo educativo che, per definizione, si attua nel rispetto delle norme sociali nelle quali vive. Il processo rieducativo ha però un contesto di riferimento, il carcere, molto problematico dato dalle condizioni di detenzione in cui si ritrova il soggetto, che negano il diritto fondamentale della libertà dell’individuo. Da qui si deduce che lo scopo della rieducazione carceraria è il reinseriemento del soggetto alla vita sociale, attraverso l’accettazione e la comprensione delle norme precedentemente violate. Essendo l’educazione la realizzazione delle potenzialità intrinseche in ogni uomo, la ri-educazione è la “seconda possibilità” che ogni soggetto dovrebbe avere per riuscire a realizzare se stesso. 44 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 4 Considerazione finali Carceri buie e terrificanti che si trasformano, nel corso dei secoli, in luoghi di lavoro coatto e di torture. Pene il cui scopo oscilla dal punire e “vendicarsi” del torto subito, al rieducare il soggetto per reinserirlo nella società. Le domande poste all’inizio hanno ricevuto una risposta parziale: è stato tracciato il percorso storico del penitenziario sin dalla sua nascita e sono state prese in considerazione le principali teorie che hanno determinato stili punitivi e la nascita del diritto penale oggi concepito. Si è data lettura del concetto di educazione e di come questo processo potrebbe essere inserito nel contesto carcerario. Ma è effettivamente realizzabile la rieducazione carceraria? I pregiudizi teorici sono stati definiti e da questi partirà il tirocinio all’interno del penitenziario di Parma: fermo restante la convalida da parte dell’istituto, il progetto partirà dall’ufficio nuovi giunti per arrivare a seguire, nei prossimi due anni, un gruppo di detenuti nel loro percorso inframurario ed eventuali pene alternative alla detenzione. Finalità del progetto sarà determinare la reale possibilità di rieducazione dei detenuti, il loro effettivo reinserimento sociale e gli eventuali casi di recidiva. 45 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARIANTONIETTA TAGLIAFIERRO – CRIMINOLOGIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06 BIBBLIOGRAFIA • ALESSI PALAZZOLO GIORGIA, "Prova legale e pena. La crisi del sistema tra evo medio e moderno" Jovene editore, Napoli, 1979. • ALLEG HENRY, "La tortura - Con uno scritto di Jean-Paul Sartre", Einaudi editore, Milano, 1958. • ANTILOSEI LEONARDO. "Manuale di diritto penale. 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