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il amico
nuovo
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enna
libera tutti
Redazione della Casa Circondariale di Villa Fastiggi - Str. di Fontesecco, 88 - 61122 Pesaro (PU) - Anno II - Numero 5 del 24 febbraio 2013
CONTATTI [email protected] - tel 0721/64052 fax 0721/69453
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editoriale
V
Ma gli fate anche vedere la televisione?
ivere in carcere costa. E non solo allo Stato. Certo,
allo Stato costa. In media, negli ultimi dieci anni,
poco più di 138 euro al giorno (oltre 4mila Euro
al mese), considerando tutte le voci di spesa, incluse
quelle per il personale, che incidono per circa l’80%.
Lo Stato infatti è tenuto a provvedere alle spese
per l’esecuzione delle pene, in via generale ed in
riferimento ai singoli detenuti.
Per tali spese è previsto un regime che potremmo
definire di compartecipazione, in quanto ogni soggetto
condannato definitivamente – ossia ritenuto, nell’ambito
della verità processuale, responsabile in relazione alla
commissione del reato – è tenuto a contribuire, seppur
in minima parte, alle spese che lo Stato sostiene per
la sua detenzione, in particolare per l’alimentazione ed
il corredo.
Questo contributo si chiama quota di mantenimento,
ed ammonta a 1 euro e 80 cent. per ogni giorno di
detenzione.
LA DIVISA DEI “CAMOSCI”
Tutti i condannati sono tenuti a versare tale contributo,
che viene calcolato al termine della detenzione.
L’ordinamento però prevede che coloro che versano
in disagiate condizioni economiche, comprovate
documentalmente, possono - qualora abbiano tenuto in
carcere una buona condotta, attestata dagli operatori
penitenziari - chiedere al Magistrato di Sorveglianza di
essere esentati da tale pagamento, mediante condono.
Al di là di tale forma, peraltro irrisoria, di contributo, è
dunque l’Amministrazione che deve provvedere ad una
serie di esigenze di vita del detenuto, fornendogli ad
esempio biancheria, vestiario, articoli per provvedere
alla propria igiene personale, materiale per la
corrispondenza epistolare.
Così stabilisce la legge. Ma, come noto, esiste un
ordinamento penitenziario formale, scritto nelle leggi e
nei regolamenti, ed un ordinamento penitenziario reale,
vissuto nella quotidianità dei luoghi di detenzione, e
Questa cella
non è
un albergo
S
embra diffuso il pensiero
che noi detenuti siamo un
costo per la collettività
e che gli Istituti di detenzione
siano quasi come alberghi
a 5 stelle dove mangiamo ed
alloggiamo gratis. Signori, le
cose non stanno assolutamente
come certa opinione pubblica
è indotta a pensare… Qui, oltre
ad essere privati della libertà, ad
essere ristretti in celle piccole ed
anguste per 20 ore al giorno (non
in tutti gli istituti, così come nel
nostro, il famoso e pluri discusso
problema del sovraffollamento
carcerario, in quanto abbiamo
una camera con servizi di tre
metri per cinque e siamo in 3
persone), per espiare la nostra
pena verso la comunità, noi italiani,
paghiamo un costo giornaliero
allo Stato. Addirittura chi di noi è
impiegato in cucina, lavanderia ed
altre mansioni interne, riceve un
emolumento irrisorio, dal quale
sono già detratte le spese per il
suo mantenimento personale.
Quanti invece non hanno la
fortuna di interagire col lavoro,
pagheranno tutte le spese che
l’amministrazione penitenziaria
ha sostenuto ed anticipato per
suo conto a fine detenzione. Se
sentite dal telegiornale oppure
leggete dal giornale che un
detenuto si è laureato o diplomato
in carcere, lo ha fatto pagando
di tasca propria le relative tasse
scolastiche. Consequenziale che
anche qui in prigione noi detenuti
paghiamo quotidianamente il
nostro “soggiorno”, compreso di
vitto ed alloggio, spese mediche,
eventuali trasferte, prodotti
per la manutenzione dei locali
che occupiamo. Oltre a quanto
illustrato, abbiamo ulteriori spese
di “sopravvitto”: prodotti per l’igiene
personale, generi alimentari
particolari e quanto altro non
sia considerato strettamente
indispensabile dal Regolamento
penitenziario. Chi volesse venire
a farsi una vacanza in qualsiasi
prigione, si ricordi di portare la
carta di credito!!!
Tony
di Claudia Clementi *
i due ordinamenti non sempre sono completamente
sovrapponibili.
Se è vero che viene assicurata la biancheria, con
cambio periodico (sempre che le vecchie lavatrici
funzionino!), al vestiario ed agli articoli per l’igiene
si provvede in genere solo grazie al buon cuore dei
volontari o di provvidenziali donatori o sponsor, non
essendo previsti stanziamenti di spesa per provvedere
a tali esigenze. Da un certo punto di vista, ciò non
è del tutto negativo. Difatti, per quanto riguarda il
vestiario, dovrebbe essere fornito un abito a tinta unita
di foggia decorosa.
Fortunatamente, di tali abiti ne è rimasto oramai
solo qualche esemplare di valore storico: erano le
famose tute felpate marròn – motivo per cui i detenuti
venivano chiamati “camosci” – che rendevano tutti
impietosamente simili visivamente, ma di certo non
uguali nei diritti.
(segue a pagina 2)
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12 24 febbraio 2013
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libera tutti
segue da pagina 1
editoriale
LE CARENZE DEL SISTEMA
A Pesaro, per ovviare alle carenze del sistema e
nell’ottica del cercare soluzioni applicative della
norma, si è anche intervenuti in maniera “creativa”.
L’Ordinamento penitenziario prevede infatti che coloro
che scontano la loro pena in regime di affidamento
in prova si adoperino in favore della vittima e
riflettano sulle possibili azioni di riparazione delle
conseguenze del reato. In virtù di ciò, è stato stipulato
un protocollo d’intesa, con l’avallo della Magistratura
di Sorveglianza, tra la Casa Circondariale, l’Ufficio per
l’Esecuzione Penale Esterna di Ancona e l’associazione
di volontariato Osservatorio permanente sulle carceri in
base al quale – qualora non sia possibile provvedere
al risarcimento diretto della vittima o effettuare attività
a favore della collettività – l’affidato può versare delle
somme che potranno essere utilizzate per acquistare
beni di prima necessità e per l’igiene personale
da destinare ai detenuti che versano in disagiate
condizioni economiche.
L’Amministrazione
penitenziaria
provvede
anche
all’alimentazione, assicurando pasti adeguati, preparati
in base a tabelle vittuarie stilate da esperti nutrizionisti,
valide per tutto il territorio nazionale. Garantisce altresì
un vitto particolare a coloro che necessitano di ciò in
relazione ad eventuali problematiche di tipo sanitario,
dietro indicazione del medico.
UN LIBRETTO DI CONTO CORRENTE PER I DETENUTI
Ma…. vivere in carcere costa anche al detenuto, perché
l’amministrazione si limita a fornire, per così dire, vitto
e alloggio, seppur a pensione completa. Le esigenze
di vita quotidiana non sono sospese in relazione al
periodo di detenzione, e sappiamo bene che non si
vive di solo pane, anche in una condizione in cui i
bisogni possono essere ridotti al minimo.
Se si vogliono mangiare cose diverse da quelle che
“passa il convento”, se si vuole fare uno spuntino o
prendersi un caffè a metà mattina, se si è fumatori,
se si vuole leggere il giornale, se si vuole ascoltare
la propria musica, tingersi i capelli o limarsi le unghie,
se, nonostante tutto, non si vuol rinunciare ad essere
persone, evitando di abbrutirsi, occorre provvedere in
proprio.
Rispetto a coloro che, detenuti, possiedono del denaro,
o lo percepiscono come retribuzione a seguito di
attività lavorativa svolta in carcere, o lo ricevono dai
propri familiari, la Direzione penitenziaria si pone alla
stregua di un Istituto bancario, aprendo per ciascuno
un libretto di conto corrente, sul quale vengono
depositate le somme di denaro di proprietà, che non
possono superare un certo limite (l’eccedenza, se non
sussistono obblighi di corresponsione delle spese legali
o di pagamento di multe o ammende, deve essere
inviata ai familiari, o depositata su un conto corrente
esterno, bancario o postale, intestato al detenuto), e
che vengono restituite al termine della detenzione.
Di tale denaro, previa richiesta, il detenuto può disporre
per effettuare acquisti all’interno del carcere, o per
inviare soldi ai familiari, o per provvedere a pagamenti
(parcelle di avvocati, fitti di immobili, pagamento di
utenze, etc.). Se tale denaro deriva da retribuzione
lavorativa (mercede), un quinto di esso deve essere
destinato al cosiddetto fondo vincolato, di cui il
detenuto non può disporre se non previa autorizzazione
in deroga, una sorta di fondo di garanzia in vista delle
future dimissioni e del ritorno alla libertà.
Gli acquisti all’interno sono resi possibili in virtù della
presenza di una ditta esterna, individuata a seguito
di procedura pubblica, che si occupa di acquistare e
rivendere ai detenuti i prodotti a prezzi che vengono
concordati con la Direzione, e che non possono essere
superiori a quelli rilevati nei supermercati della zona in
cui è situato l’istituto penitenziario. L’ammontare medio
di questi conti correnti in un istituto come quello di
Pesaro? In genere, pochi euro. Per molti, non vengono
nemmeno aperti. Ma, dunque, gli fate vedere anche la
televisione? Sì, signora mia. Ma solo quella. E nemmeno
on demand.
* Direttrice della Casa Circondariale
di Villa Fastiggi – Pesaro
Al lavoro al posto dei cinesi
A
l di là delle attuali problematiche presenti in
carcere come il sovraffollamento e la tossicodipendenza c’è un fattore che può
fare risollevare tutti: il lavoro.
Sarebbe la migliore soluzione
per educare le persone inoltre si darebbe la possibilità di
mantenersi con più dignità visto che il vitto e alloggio di
noi detenuti è a carico del-
lo Stato. Come detenuto purtroppo mi sento inutile perchè
non faccio nulla dalla mattina
alla sera. Eppure penso e dico: ma io non ho due mani e due piedi? E il minimo di
studio per lavorare e di poter pagare i miei sbagli e integrarmi nella società? Quando ero fuori sentivo mio padre spesso dire quando vedeva in tv qualcuno in carcere
Cucina
galeotta
Lasagne
bianche
per un crimine: devono marcire in galera, devono crepare lì.
Ora ha cambiato idea sapendo che persone che sono fuori e lavorano pagano
le tasse anche per noi detenuti. Lo Stato tira fuori i soldi da gente onesta che fatica
ad arrivare a fine mese. Ma
davvero le scarpe, maglie e
elettrodomestici etc. etc. de-
vono arrivare solo dalla Cina fatte con pochi soldi? O
la frutta e verdura dall’estero? Se ad un detenuto gli si
dà un lavoro in modo da pagarsi almeno la metà del suo
debito con lo Stato, prima di
uscire dal carcere, potremmo
diventare noi i cinesi dando forza lavoro a basso costo. Abbiamo forza lavoro ma
non un comando che ci gui-
Di solito la domenica, nelle famiglie tradizionali italiane, ci si
riunisce a pranzo e la mamma o la nonna preparano qualcosa di particolare. Io oggi vi consiglio di preparare una bella “Lasagna”, ma non sarà quella tradizionale bolognese: la
faremo al pesto, con pinoli e uvetta sultanina. Cominceremo
col preparare la sfoglia; se “la cuoca” è di quelle moderne,
che difficilmente riesce ad impastarla, prenderemo quella già
pronta che possiamo trovare in un qualsiasi supermercato. Di
solito la vendono già in tranci rettangolari. Prenderemo una
teglia abbastanza grande, di quelle rettangolari, e la ungeremo
con un po’ d’olio d’oliva. Prepareremo i tranci di pasta sfoglia, semplicemente bagnandoli in acqua tiepida; vi consiglio
di bagnarne pochi alla volta. Prenderemo poi una confezione
di pesto alla genovese da 1 kg e la verseremo in un contenitore capiente, dove aggiungeremo due cucchiai d’olio d’oliva
extra vergine e mescoleremo con cura. Fatta questa operazione, sempre nello stesso contenitore metteremo dei pinoli e
l’uvetta sultanina: aggiungetene a piacere, ricordando sempre
che questi piatti non sono per chi è a dieta, quindi abbastanza. Mescoleremo il tutto e ci prepareremo a portata di mano
del parmigiano reggiano grattugiato. Inizieremo a stendere il
primo strato di pasta sfoglia nella tiella (tegame), quando
avremo coperto per intero la superficie del tegame, con un
cucchiaio ci spalmeremo sopra il nostro preparato di pestopinoli e uvetta. Completata questa operazione, aggiungeremo
da. Spero che con il tempo
il governo faccia qualcosa per
quanto riguarda il carcere visto che fino ad oggi se ne
è parlato tanto ma non si è
fatto niente di concreto. Sessantasette mila detenuti a carico dello Stato è una realtà insopportabile per qualsiasi nazione.
George Vanea
una bella nevicata di parmigiano per coprire tutta la superficie.
Ripeteremo la stessa operazione a seconda di quanti strati
vorremo fare, dipende sempre da quanti saremo a tavola, comunque un minimo di quattro strati. Accenderemo poi il forno ad una temperatura di 180 gradi e lasceremo cuocere per
circa mezz’ora, naturalmente controllando ogni tanto il livello
di cottura, anche perché ricorderemo la prima regola e cioè
che in cucina ci vuole sempre tanta pazienza e tanto amore.
Quando la superficie inizierà ad essere bella colorata e apparentemente croccante, potremo togliere dal forno e aspetteremo un attimo prima di dividerla in porzioni. Quindi serviremo
nei piatti e di sicuro festeggeremo una buona domenica gustando questa delicatezza. Buon appetito (se rimane, fredda è
ancora più buona!).
Ingredienti:
un kg di pasta sfoglia
un kg di pesto alla genovese
350g di pinoli
300g di uvetta sultanina
400g di parmigiano reggiano grattugiato
(dipende da quanto ve ne piace)
due cucchiai d’olio extravergine d’oliva
Spartaco
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Web a doppio taglio
ealtà virtuale, tecnologia,
informazione, oggi possono essere considerate armi a doppio taglio, poiché non teniamo conto della vulnerabilità di chi ne fruisce. Diminuisce sempre più
l’età di quanti possono utilizzare social network e quanto altro. Dalla cronaca ci pervengono sempre più spesso
notizie di suicidi riconducibili al cattivo utilizzo di questi social: postare sui propri
profili foto osée, oppure proprie idee difficilmente condivisibili dal branco, che rendono la persona facilmente denigrabile dal bullismo. In particolare per noi genitori detenuti è impossibile controllare
l’uso che i nostri figli fanno
del web, in quanto non possiamo interagire con gli specifici programmi che inibiscono la navigazione ai ragazzini.
Oggi come oggi, anche in un
semplice telefonino (che nel-
la realtà è un vero e proprio
computer), è possibile installare applicazioni di ogni genere e sorta. Una volta inserita una foto dentro un social network è impossibile rimuoverla a causa dell’enorme condivisione. Ci riferiamo
a quegli adolescenti che per
gioco si fotografano nudi allo
specchio e che poi inseriscono gli scatti in questo grande
sistema che, purtroppo, neanche la polizia postale può
controllare. Per non parlare di
tutti quei siti porno facilmente
accessibili anche e soprattutto ai minorenni, la cui formazione psicologica è ancora in
fase di sviluppo. Non si riesce
ad avere un grado di controllo sufficiente neanche sui siti
di gioco d’azzardo, che creano una elevata dipendenza.
Esistono vari programmi per
le navigazioni cosiddette ‘protette’, ma sono facilmente disinstallabili o craccabili dagli
utilizzatori soprattutto adolescenti, che con il passaparola riescono a neutralizzarli.
L’ideale potrebbe essere sin
dall’inizio navigare insieme ai
nostri figli, cercando di educarli ad un corretto utilizzo, a
partire dal trovare materiale
istruttivo per le ricerche scolastiche o dalla consultazione delle varie enciclopedie disponibili in rete, sottolineando
anche la grande pericolosità di questi mezzi se utilizzati in modo scorretto e la loro
enorme possibilità d’assuefazione. La nostra generazione
veniva educata al “non accettare la caramella dallo sconosciuto”; ma noi come possiamo educare i nostri figli oggi alla realtà virtuale, evitando che chattino con dei possibili pedofili o con soggetti
poco raccomandabili? Questo
è solo l’aspetto negativo della
tecnologia, che invece potrebbe essere usata con mode-
razione e con utilissimi scopi.
In realtà le varie offerte del
web ci danno la possibilità
di accedere a comunicazioni
e informazioni che provengono da ogni parte del mondo e che, utilizzate nel modo giusto, possono migliorarci in diversi aspetti, facilitando, volendo, la vita di tutti i
giorni. Resta inteso che l’educazione che abbiamo dato ai
nostri figli li aiuterà (speriamo) nell’orientarsi e nel capire soprattutto la grande differenza che contraddistingue il
bene ed il male, non solo per
quel che riguarda il web, ma
la vita di tutti i giorni.
La redazione
IL CAMPUS UNIVERSITARIO DELLA CALIFORNIA INSEGNA A COLTIVARE DROGHE
I
Prima si studiava usando la carta, adesso le cartine
n California e in Colorado, dopo
la vittoria nel referendum antiproibizionista che ha legalizzato
l’uso della canapa indiana, è cambiato il concetto di campus universitario.
Da oggi in poi centinaia di ragazzi si occuperanno di spinelli; una
volta poteva essere paragonata a
Woodstock, oggi è un gruppo di studio.
Potremmo dire che anche da noi
in Italia le università sono anni che
stanno andando in fumo, ma senza lo stesso divertimento dei pari
americani. L’università di Denver,
addirittura, offre un kit per avviare
una piantagione, con tanto di semi
e normativa vigente: sei piantine al
massimo. Chi l’avrebbe mai detto
I primi pensieri
M
è
quindi potrebbero nascere nuove
facoltà, come “Consigliere Regionale
con specializzazione in sparizione
di soldi pubblici tramutati in rimborsi politici, ma effettivamente
spesi in feste, viaggi, macchine,
case eccetera”, oppure un master
con prove pratiche in festini con
maschere da porco e/o burlesque
(o Bunga Bunga). L’Università di
Milano sta seriamente pensando
di aprire un seminario su Attività
pelviche serali durante cene eleganti, in pratica una Laurea in
Escort, una delle figure più rilevanti della nostra attuale Repubblica.
Riscontrerebbero successo, se-
LA VIGNETTA :
i accingo a scrivere i miei primi pensieri per il giornale del carcere di
Pesaro. Sono detenuto da tre mesi e, tra alti e bassi morali, psicologici e
fisici, cerco di far passare nel miglior modo possibile la giornata vista da
dietro le sbarre. Giorno dopo giorno realizzo sempre più che con troppa facilità
si commettono reati e questo non porta da nessuna parte, se non dentro un
carcere, mentre invece affrontare le regole della società nel quotidiano aiuta
a ripartire e ad essere uomini migliori. Solo ora mi rendo conto di quanto il
carcere ti metta sotto pressione, sopratutto se sei abituato a vivere in modo
indipendente ormai da venti anni. La mia vita ora si prospetta nuovamente in
salita; il mio reinserimento passerà attraverso tre, quattro anni in cui dovrò
riacquistare prima di tutto il coraggio, l’autostima, ma soprattutto la libertà
che solo per mio volere mi è venuta a mancare. Ma veramente in cuor mio
mi chiedo perché un ragazzo come me, a cui non è mancato mai niente,
affetto famigliare, una decente disponibilità economica, soddisfazioni in campo
lavorativo, si debba ancora una volta trovare in questa situazione scomoda.
Sarò banale, forse riduttivo, ma la verità va ricercata nel non volersi mai
accontentare e ancor più mi vengono in mente le sagge parole che mia madre
mi ripeteva spesso fino a qualche anno fa, quando pensava fossi cambiato:
“Ricordati di chi sta peggio di te e accontentati di quello che hai”.
Luca
da tanto tempo che sento parlare i nostri politici d’amnistia e di progetti alternativi al carcere
che potrebbero permettere, appunto, di aiutare a
risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri
Italiane, ma, come tante cose importanti in Italia, purtroppo, poi tutto finisce nel dimenticatoio. Considerando il brutto periodo e la grande crisi economica che
sta attraversando il nostro Paese, si potrebbero anche
fare due conti a proposito dei costi di mantenimento
di tutte le carceri. Considerando che un solo detenuto
costa allo stato ben 250 euro al giorno (dati riportati
da un quotidiano regionale) per rimanere nelle nostre
carceri, si potrebbe fare qualcosa per tagliare questi
costi esagerati. Ci sarebbero da prendere in considerazione determinati fattori importanti e cioè si potrebbe
iniziare col verificare chi può realmente aderire ai “famosi” benefici alternativi alla detenzione in carcere, ovvero tutta quella massa di persone che sta arrivando a
fine pena senza avere mai ottenuto un benché minimo
beneficio e che presto si ritroverà fuori dal muro senza sapere cosa fare perché le autorità che avrebbero
dovuto aiutarlo non esistono e quindi “forse” tornerà a
delinquere. Ecco, per tutti questi problemi si potrebbe
fare qualcosa di utile. Continuare a parlare di “proble-
che fare il contadino sarebbe stato... stupefacente? Così, dopo aver
seguito regolari lezioni sugli effetti curativi dell’erba, sulle tecniche
di coltivazione, sui fertilizzanti più
adatti e sulle prospettive economiche di mercato, si otterrà una laurea breve in... spaccio di marijuana. In Italia l’uso di droghe leggere
è proibito, ma vista la crisi che tira
e la mancanza di lavoro, potrebbe
affascinare l’idea di studiare le attività illegali, ponendo finalmente
le basi, con l’entusiasmo di chi l’ha
sempre sostenuto, della new economy. A leggere i giornali, materiale
didattico non dovrebbe mancare. E
condo me, anche delle facoltà per
Dirigente lottizzato per aziende e
banche, e facoltà di Architettura
Abusiva, e qui la creatività non
mancherebbe. Comunque, tornando alla questione iniziale, è una notizia che dovrebbe tranquillizzare
voi genitori perché, se doveste trovare qualche piccolo quantitativo
di fumo nei jeans dei vostri figli, siatene orgogliosi: significa che il ragazzo è molto studioso! Ormai è cambiato tutto, anche il significato di
studente “provetto”. Prima si studiava sulla carta, adesso con le cartine.
Alessandro
“Ora d’aria”
... in carcere vige la cattiva abitudine di gettare dalle finestre gli avanzi del pranzo
Ma chi vuole l’amnistia?
ma carceri” senza sapere di che cosa si stia parlando è semplicemente inutile. Se, invece di parlare e non
agire, facessero una piccola verifica solo nella nostra
regione, forse si renderebbero conto che si potrebbero
limitare i costi semplicemente dando delle possibilità
alternative al carcere ai molti che ne possono usufruire.
Ci sono situazioni di alcuni detenuti che fanno davvero la vergogna del sistema giuridico, abbandonati a se
stessi nelle celle, quando in realtà rientrano nei tempi
per aderire a quei programmi alternativi che il nostro
codice prevede. Sono i soliti problemi che fanno parte
di una burocrazia ormai antica rispetto al resto d’Europa e che, purtroppo, restano insoluti. Credo ci voglia davvero una bella verifica da parte delle istituzioni
competenti per cercare di risolvere, anche solo se in
parte, questo problema, in quanto non ci si può continuare a lamentare per i costi di mantenimento delle
carceri, se poi non si fa nulla per contenerli. Attuando
questa verifica di adesione alle pene alternative, sono
sicuro che un buon 30% dei detenuti solo nella no-
stra regione possa comunque contribuire a non essere
di peso (come costi) alle casse statali, proprio perché
potrebbe fare qualcosa di alternativo al carcere, come
ad esempio lavorare per mantenersi, piuttosto che restare a vegetare in una cella. Basterebbe volerlo e credo che si possa fare. Certo, l’attenta valutazione spetta sempre al Tribunale di Sorveglianza, che con l’aiuto
delle direzioni degli istituti e degli staff di trattamento
decideranno per i più meritevoli e meno pericolosi da
inserire in questi programmi alternativi. Insomma, se
veramente si volesse risolvere in via definitiva la situazione carceri e diminuire i suoi costi, di cose da fare
ce ne sarebbero, basta volerlo e magari potremmo anche fare a meno di essere multati dall’Europa per tutti
quegli aspetti che ci fanno apparire come un paese da
terzo mondo per tutte le mancanze al rispetto dei diritti umani. Quindi non parliamone più di amnistia, anche
perché così facendo alimentiamo solamente la paura
dell’opinione pubblica e il pericolo di farci giudicare
tutti allo stesso modo. Questo non dovrebbe far parte
di un paese civile come il nostro. Piuttosto lavoriamo
insieme per risolvere questo grande problema che ormai ci rende ridicoli agli occhi del mondo.
Spartaco
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L
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Ma non dite che siamo mantenuti dallo Stato
o diceva Oscar Wilde: “non far niente
è il lavoro più duro di tutti”. Chi meglio di noi può rendersi conto del valore oggettivo di queste parole. L’uomo è
fatto di tempo, un prodotto con la data di scadenza, uno strumento finanziario,
un “derivato” della nostra epoca creato dal
mondo moderno e dominato dall’etica del
movimento. Chi non si muove è perduto,
chi sta fermo è un sovversivo, un nemico
del Pil, concedetemi la metafora- un rifiuto della società.
Le nostre istituzioni hanno ben compreso
questo paradigma, incapaci di gestire qualsiasi progetto di natura economica e/o sociale hanno creato con precisione millimetrica una discarica autorizzata di criminali,
stipati l’uno sull’altro intenti a girarsi i pollici in attesa che passi il carrello della cena.
Tra i tanti destinati all’ozio forzato, di tanto
in tanto qualcuno viene chiamato a svolgere per trenta giorni la mansione ordinaria
di scopino in sezione o addetto alla pulitura del cortile interno. Senza fare alcuna
mansione in merito ai cosiddetti “lavori-miraggio” che sono alla stregua di un posto
a tempo indeterminato nella scuola pubblica o nell’editoria. Mi riferisco a lavori come
cuoco, falegname, lavandaio, bibliotecario,
addetto mof (organico interno per le riparazioni). A dispetto di quello che si potrebbe pensare o che facilmente viene voglia
di dire, il lavoro in carcere non è un privilegio, quando lo si paragona alle preoccupanti conseguenze dell’attuale congiuntura economica e al crescente spopolamento
dell’occupazione nazionale. Il primo commento che si sente è: “qua si muore di fame e a quelli lì (i detenuti) li si fa lavorare
con tante premure”.
Forse è bene sapere che la retribuzione
del lavoro in carcere è da terzo mondo,
le ore contabilizzate il più delle volte sono una al giorno, a volte due-tre o anche
quattro nella migliore delle ipotesi, questo
significa che, busta paga alla mano, la retribuzione per la mansione di scopino è di
euro 161,12.
Ma quello che forse le persone non sanno è che sia dato il caso che tu svolga
un lavoro a tempo indeterminato o mensile
o sei in attesa che venga il tuo turno, lo
stato apre un credito nei tuoi confronti. Al
detenuto qualunque sia la sua condizione
lavorativa o non svolga alcuna mansione,
gli viene addebitata una tassa che si aggira attorno ai 50 euro mensili, denominata
“trattenute per quote mantenimento”.
Il problema è che penalizzando la cosa dal
punto di vista neutrale, non si capisce bene a che titolo e con quale criterio vengono richiesti questi 50 euro al mese. Tutti sanno che ogni detenuto costa allo stato giornalmente circa 200 euro, potrebbe sembrare l’ennesimo paradosso ma è
la realtà. Cosa si fa con questi 50 euro
a quale titolo vengono addebitati ai detenuti? Perchè viene chiamato mantenimento quando poi mantenimento non è? Il mito da sfatare è quello che vuole il criminale come individuo mantenuto dallo stato. Oltre alle numerose pene accessorie alle quali siamo sottoposti giornalmente l’ex
cittadino che ha la sventura di fare i conti
con una realtà come questa deve mettere
sul groppone le migliaia di euro di spese
per avvocati, risarcimenti, spese processuali che solamente prolungando la vita sola-
Fabrizio Corona: “il re”… ma dde che??
C
ome detenuti del carcere di Pesaro
e ci ha fatto sorridere seguire in
TV la fuga e il successivo arresto
di Corona, il “RE” del gossip…
La storia di Fabrizio Corona è giunta
così all’epilogo. Per molti anni è stato
immeritatamente sotto i riflettori, emulato per il suo tenore di vita che lo vedeva sempre accompagnato da bellissime
donne, a bordo di fuoriserie e pieno di
soldi che probabilmente arrivavano da
varie truffe. Infrangendo il codice penale Corona è diventato un idolo negativo per tanti adolescenti che, vedendo il
suo “modus operandi”, lo credevano un
grande uomo, uno da prendere come
esempio… oggi lo si vede chiaramente come un ragazzo viziato, immaturo
e debole. Ci sorprende ulteriormente sapere che, nonostante sia stato appena arrestato, nel carcere di Busto
Arsizio venga trattato da privilegiato e qualificato come
detenuto modello. Mentre
un detenuto comune accede
al lavoro non prima di otto mesi realmente sofferti, ci
risulta che il signor Corona
sia già stato inserito nella
pasticceria dell’istituto. Corona dice poi di temere gli altri detenuti per la sua incolumità. Eppure – caro Corona
– non è di noi che devi aver
paura… ma di te stesso. Come forse avrà modo di verificare, sempre se non gli facciano altri
sconti per la sua popolarità, la vita non
è fatta solo di trasgressione e d’immagine, ma anche di sofferenza e sacrificio. Non basta avere un’azienda che dà
lavoro a trenta famiglie per essere un
bravo ragazzo, bisogna rispettare le regole, anche quando non ci piacciono e
ci sembrano inutili.
Responsabilità, una grande parola con
un significato immenso nei confronti
della famiglia, dei figli dei nostri amici e colleghi di lavoro, della società in
generale. Parola che molto spesso viene sottovalutata. Dovremmo invece imparare a capire bene il suo significato.
Le cronache odierne spesso, dimostrano questa carenza di responsabilità da
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libera tutti
mente di qualche centinaia di anni riuscirà
a pagare onestamente. La verità è che la
maggioranza dei detenuti non ha la possibilità nemmeno di comprarsi un pacco di
tabacco tanto meno di saldare i propri debiti con lo Stato e men che meno il proprio mantenimento. Ragione per la quale,
come al solito, i costi dovuti al malfunzionamento di strutture e servizi erogati dallo
Stato alla fine gravano sempre sulle spalle della comunità. Il mio no vuol essere
l’ennesimo tentativo di denunciare le misere condizioni in cui versano le carceri italiane. La mia intenzione è far comprendere ai lettori l’importanza di sfatare i luoghi
comuni, le frasi fatte e gli argomenti triti e ritriti, non motivati e tanto inutili quanto dannosi. Ecco perché ad un collega di
mio fratello che si lagna per i presunti privilegi di noi detenuti, vorrei rispondere utilizzando una massima di Epicuro: «Se gli
dei esaudissero le preghiere degli uomini,
l’umanità verrebbe dissolta a causa di tutti i mali che gli uomini si invocano gli uni
agli altri». Passate parola!
Claudio Meletti
Lo scrivano
parte di persone che dovrebbero dare l’esempio per la loro evidenza nella
società: politici, dirigenti, governanti, ma
anche persone appartenenti al mondo
dello spettacolo, molte volte icone per
i più giovani.
Parliamoci chiaro! Nella vita tutti sbagliamo, alle volte si commettono errori che ti possono costare la galera e
per chi l’ha gia provata, come Corona
e come noi, beh… non è certamente
un’esperienza costruttiva.
Ma la cosa più mostruosa è che la valanga Corona possa diventare un esempio da seguire per milioni di giovani vulnerabili, poiché l’opinione pubblica tende a idolatrare questa persona piuttosto che stigmatizzare il suo stile di vita.
Personalmente possiamo capire che un
uomo davanti alla prigionia non si voglia assumere le proprie responsabilità,
in relazione del fatto che un “reo” si
sente spesso troppo punito dalla legge.
Quanti di noi, con le possibilità economiche di questo ragazzo, avrebbero accettato di essere rinchiusi in una
cella di pochi metri quadrati? Chi non
avrebbe pensato: “ma chi me lo fa fare?” Scappo, mollo tutto, lascio l’Italia
che mi ha giudicato male. Ma ciascuno risponde delle proprie azione, ecco
perché la responsabilità è una colonna portante della vita, per sperare in
un mondo migliore. Quindi, cari ragazzi,
non seguite l’esempio di Corona, perché
è molto meglio essere che apparire.
Giovanni -Spartaco-Luca-Toni
O
ggi mi sono svegliato con la frenesia
e tanta voglia di descrivere; avrei
molti argomenti da elencare, ma è
difficile scegliere quale evidenziare. Ci provo
con uno dei tanti: si dà il caso che, avendo
la fortuna di essere un volontario interno,
mi è stata data la possibilità di movimento,
cioè di potere entrare in tutte le sezioni per
promuovere la lettura presso tutti coloro
che ne fanno richiesta. Propongo diverse
enciclopedie, romanzi, eccetera. Alcuni
approfittano dell’occasione per chiedermi
svariate informazioni; il tutto lecito, in
quanto non mi permetterei di darne se non
corrette. Insomma, si sono passati la parola
sulla mia esperienza e conoscenza degli
articoli del codice penale. Chi mi chiede di
scrivere un’istanza, chi una lettera, chi una
domandina, chi opta per consigli inerenti i
procedimenti in corso, se conosco un buon
avvocato e chi più ne ha più ne metta. Non ci
crederebbe nessuno, ma tutto ciò mi gratifica:
è per me uno “stimolo” il sentirmi ancora
utile per aiutare chi ne ha bisogno e, visto
che lo sto facendo qua, lo farò anche quando
riacquisterò la mia libertà, buttandomi a
capofitto nel sociale, cercando di migliorarmi
ancora, con la speranza che me lo lascino fare
senza “pregiudizi”. Purtroppo con un certo tipo
di mentalità è difficile passare inosservato,
se non additato (“Chi? Quello...!? E’ stato in
galera, è un delinquente!”). Perciò dico che
grazie a Dio non tutti la pensano allo stesso
modo. E questa è una bella consolazione,
che mi trasmette l’energia per andare
avanti, riscattando il male fatto in passato e
dedicandomi ai più bisognosi d’aiuto.
Leonardo
Lettere in redazione
Per scrivere alla redazione della Casa Circondariale di Pesaro indirizzare una e-mail a [email protected] oppure
scrivere a Redazione di Penna Libera Tutti c/o Casa Circondariale di Pesaro – Str. Fontesecco 88 – 61122 Pesaro (PU)
Grazie a “L’Azione” di Fabriano
E’ con grande piacere che mi accingo ad annunciare, tramite
questo articolo, l’ imminente avvio di una collaborazione
mensile tra L’Azione, settimanale della diocesi di FabrianoMatelica che ha festeggiato, nel 2012, i suoi 100 anni di
pubblicazione, e Penna Libera Tutti, il nuovo organo di stampa
della Casa Circondariale di Villa Fastiggi. Il progetto, ideato
e concordato con Roberto Mazzoli – redattore capo de Il
Nuovo Amico – si sviluppa attorno a una rubrica, ‘Vita dietro
le sbarre’, che L’ Azione sta portando avanti dal giugno 2012 e
che, con cadenza settimanale o quindicinale, focalizza i suoi
argomenti sulla realtà carceraria, da oggi con particolare
riferimento alla Casa Circondariale di Pesaro. ‘Vita dietro le
sbarre’ ha seguito, sin dall’ inizio, una specifica linea tematica e
concettuale legata alla propositività: intende cioè focalizzare
tutti quegli elementi finalizzati a tramutare un’esperienza
dura e difficile, come quella della detenzione, in un’ importante
occasione per riflettere, per apprendere nuove prospettive di
vita, per riappropriarsi dei valori e per dare un nuovo senso
alla propria esistenza. Il nostro filo conduttore persegue
un obiettivo di ‘positività’, quella che aiuta a ricomporre un
cammino interrotto attraverso tutti quegli strumenti che
possono fornire nuove basi per l’ integrazione affrontando
la vita quotidiana nell’ottica di una differente prospettiva. Ci
siamo finora occupati, dunque - dopo un inizio incentrato sulle
interviste a detenuti e a operatori - di tutte le opportunità
che il carcere (tramite i laboratori, le attività, gli eventi, le varie
iniziative destinate al reinserimento sociale e professionale),
prendendo le distanze da una valenza meramente ‘punitiva’,
può offrire con l’obiettivo di valorizzare un nuovo operare
ma, soprattutto, un nuovo ‘guardare’ alla realtà. L’Azione
intende, attraverso il ‘connubio’ con Penna Libera Tutti, donare
spazio e valorizzazione alle tematiche che verranno trattate
mensilmente dalla redazione della Casa Circondariale di Pesaro.
L’obiettivo è quello di creare una sorta di ‘cassa di risonanza’
fabrianese e di far conoscere più approfonditamente un
mondo, come quello del carcere, ancora prevalentemente
sconosciuto ai più, esaminandone determinati aspetti. Non mi
resta, quindi, che esprimere il grande entusiasmo e l’immensa
gratitudine a voi dovuta per la preziosa opportunità di questa
collaborazione, augurando un “buon lavoro a tutti!”
Silvia Ragni
*****
Quando abbiamo iniziato le pubblicazioni (5 mesi fa) ci eravamo dati
l’obiettivo di costruire un ponte per mettere in comunicazione l’interno
del carcere con l’esterno. Ma sulla detenzione esistono talmente tanti e tali
pregiudizi che non avremmo mai immaginato di riuscire nell’impresa in
tempi brevi. Mai poi avremmo immaginato di superare i confini di Pesaro
ed arrivare in altre città come Fabriano. Per questo la proposta giunta
dal settimanale “L’Azione” è per noi uno stimolo davvero importante.
Ora sappiamo che anche all’esterno c’è chi costruisce ponti verso di noi.
Una piccola anticipazione. A breve una scuola di Fano, che ha deciso di
realizzare un progetto sulla detenzione, verrà a far visita alla nostra
redazione. Un altro ponte di cui avremo modo di parlare più avanti..
La Redazione
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