Il praticante praticante s. m. e f. e agg. [part. pres. di praticare]. – 1. s. m. e f. Chi fa pratica, chi compie un periodo di pratica per apprendere e poter quindi esercitare una professione (periodo che per alcune di queste, per es. l'avvocatura e il giornalismo, è requisito necessario per essere ammessi a sostenere le prove di abilitazione all'esercizio della professione): è entrato come p. in uno studio legale; per ora è p. nella redazione di un quotidiano del nord; p. notaio (v. NOTAIO); p. procuratore (v. PROCURATORE). Da: treccani, dizionario della lingua italiana LEGGE 7 marzo 1985, n. 75 pubblicata nella G.U. n. 64 del 15.3.85 Norme sullo svolgimento di iscrizione e svolgimento del praticantato nonché sulla tenuta dei relativi registri. Direttive emanate in data 8 Luglio 1997 dal Consiglio Nazionale Geometri a norma dell'art. 2 Legge 7.3.1985 n. 75. Al fine di garantire un proficuo svolgimento del praticantato ed un effettivo apprendimento ciascun professionista non potrà accogliere contemporaneamente nel proprio studio più di tre praticanti. Il professionista ha il dovere di impartire al praticante le nozioni tecniche e deontologiche che stanno a fondamento della professione. …… La proficuità della pratica deve essere valutata non tanto in base al numero dei giorni e delle ore di frequenza nello studio del professionista, quanto piuttosto in relazione alle capacità di apprendimento dimostrate ed alle conoscenze professionali acquisite nel corso dello svolgimento della pratica stessa. Gli iscritti nel Registro debbono tenere apposito libretto rilasciato, numerato e precedentemente vistato dal Presidente del Consiglio del Collegio, o da un suo delegato, nel quale debbono annotare: a) gli atti più rilevanti alla cui predisposizione e redazione abbiano partecipato, con l’indicazione del loro oggetto; b) le questioni professionali di maggiore interesse alla cui trattazione abbiano assistito e collaborato. Le annotazioni di cui sopra devono essere eseguite senza indicazioni nominative dei soggetti e dei clienti, per i quali sono state svolte le attività di cui al comma precedente e comunque nel rispetto del principio di riservatezza. Il libretto del tirocinio deve essere esibito, a cura del praticante alla segreteria del Consiglio del Collegio, al termine di ogni semestre, con l’annotazione del professionista presso il cui studio il tirocinio è stato effettuato attestante la veridicità delle indicazioni ivi contenute. Il Consiglio del Collegio ha facoltà di accertare la veridicità delle annotazioni contenute nel libretto. Alla scadenza di ciascun semestre, il praticante è tenuto a presentare al Presidente del Collegio una relazione a firma del professionista presso il quale svolge o ha svolto il praticantato, nella quale il professionista dichiari, sotto la sua responsabilità professionale, la frequenza effettiva e continuativa dello studio da parte del praticante, esprimendo un giudizio sulla maturità dello stesso dimostrata sia sotto il profilo tecnico che deontologico. Il praticante Il “PRATICANTE” Da alcuni anni, dopo ogni esame di abilitazione professionale, ad ogni consiglio durante il quale vengono esaminati i libretti personali dei praticanti e sui quali sono riportate le esperienze formative, mi interrogo sul significato che può avere oggi un esame di abilitazione professionale, sul significato che può rivestire un periodo di due anni spesi ad apprendere una professione oggi alle porte di profondi mutamenti e modificazioni. L’apprendistato sta al praticantato come il mestiere sta alla professione. Due anni di tempo dedicati a cosa? Apprendere l’utilizzo della modulistica per la presentazione di una pratica edilizia? acquisire dimestichezza con software che tra pochi anni saranno già obsoleti conoscere materiali da costruzione che oggi chiunque può reperire digitando una semplice “request key”su internet? ( ho clienti che conoscono più materiali di finitura di quanti io abbia mai visto). No, non credo che “praticantato”sia questo, o meglio non solo questo, il praticantato è un momento nella vita in cui si deve apprendere ciò che la scuola non può (se non in minima parte) trasmettere: lo spirito della professione, il “soul” di un modo di essere, di affrontare i temi che verranno proposti al professionista nell’arco della sua carriera. La riservatezza, l’onestà, l’attenzione per “l’interesse” del cliente, la capacità di scegliere tra diverse soluzioni tecniche quella che meglio si adatta alla soluzione di un problema, queste e non solo queste sono le “nozioni” che devono essere trasmesse da un professionista al suo praticante, queste sono le nozioni che un praticante deve “esigere” dal suo Tutor. Sono temi importanti, difficili, non facilmente codificabili, non esistono “manuali” per queste materie di studio, esiste solo il personale percorso di ogni singolo professionista, è questo percorso ciò che deve essere mostrato al praticante, poi il praticante, una volta intrapreso la sua via, darà la sua personale interpretazione, la sua risposta, risposta che potrà essere diversa nella forma ma del tutto simile nella sostanza, sostanza peraltro ben espressa dal codice di deontologia professionale. A 43 anni e se ripenso a quando ne avevo 20 mi rendo conto di quanto possa essere difficile a quella età afferrare l’importanza di certi aspetti della professione, della differenza tra un mestiere ed una professione. Per un laureato è sicuramente più semplice, affronta temi quali l’etica e la professionalità in età più avanzata, dopo un percorso didattico nel quale oltre alla nozione viene (o dovrebbe) insegnato un metodo. Ma la realtà è questa, il geometra è “costretto” dalla legge ad assumersi oneri e responsabilità forse troppo presto, ciò, giusto o sbagliato che sia, obbliga ad una maturazione più precoce. Alle soglie della nuova riforma delle professioni siamo di fronte ad un bivio, o siamo in grado di praticare una selezione dura ma che ponga la nostra categoria nelle condizioni di sostenere il confronto con altre professioni, o volenti o Il praticante nolenti il nostro diventerà sempre più un mestiere e sempre meno una professione, ciò non per togliere valore al “mestiere”, ma a sottolineare una trasformazione possibile. Un professionista che prenda in carico un praticante riservandogli un ruolo di facchino dello studio compie lo stesso “delitto” del professionista che, per un generico sentimento di comprensione paterna, tolleri comportamenti superficiali e giovanili, nel suo praticante. Il padre deve perdonare la marachella del giovine figlio, il Tutor deve sanzionare e disincentivare ogni comportamento non professionale del giovine aspirante professionista, deve essere chiaro che la scuola media superiore è per legge scuola dell’obbligo, l’iscrizione ad un ordine professionale no, si può essere un ottimo geometra senza per forza essere un professionista. Duro? Forse si, ma mi piacerebbe molto conoscere il pensiero di tutti, soprattutto dei più giovani. Il consiglio del collegio dei geometri sta valutando l’opportunità di redigere un protocollo che definisca le modalità di svolgimento del praticantato, una sorta di manuale contenete regole, diritti e doveri del tutor e del praticante. Tale “regolamento” non potendo avere valore di legge, in quanto la materia è già normata dalle vigenti normative, potrebbe rappresentare una forte “indicazione” etica e deontologica per tutti coloro che intendono “assumere” la funzione di tutor o di esercitare il praticantato. Giuseppe Boiardi