©
di musica contemporanea
2013
Il simbolo di Microstagione è l’International Klein Blue, un particolarissimo punto di blu concepito e realizzato dall’artista Ives Klein negli anni ‘50: un simbolo di libertà. È la libertà che anima ogni progetto nuovo;
il senso di libertà che spinge a scrivere, ad ascoltare, a proseguire il discorso musicale e culturale.
Il Klein Blue, detto ciò, non è semplicemente un pigmento o una tinta; infatti il colore di Microstagione ne
è soltanto una citazione ideale. Il blu di Klein è una precisa tecnica di preparazione e di stesura, e per
questo non può essere riprodotto, va osservato dal vivo; l’intensità è data anche dalla forte unicità di ogni
singola campitura, e la sua vista dona all’occhio e alla mente sensazioni forti e impreviste. È l’assoluta
irripetibilità dell’esecuzione, il teatro in cui trova spazio il più delicato pezzo di musica, che non vivrebbe
di una registrazione. Rappresenta la complicata melodia di timbri che è un concerto, nella sua totalità. È
l’enorme laboratorio che c’è dietro una manifestazione culturale e la sinergia di molti elementi, personaggi
e capacità che culminano nella performance.
Così, parlando di colori (e di arte visiva) per una rassegna di musica contemporanea (arte sonora) parlando di libertà e di intensità - tutto è già detto. Rimane soltanto da citare il pubblico; l’orecchio che
rappresenta il fulcro di una rassegna musicale, ma non secondo la logica dello spettacolo, secondo quella
dell’arte: espressione di contenuti e lavoro collettivo. Se il compositore trova la serratura, e l’interprete gira
la chiave, è il pubblico che apre la porta.
Francesco Venturi
___________________________________________________________________________
Il programma della serata
La forte collaborazione tra autore ed interprete che ha contraddistinto la preparazione dei brani di questa
sera ha portato alla scelta di presentarli al pubblico con le parole di entrambi.
Verrete quindi guidati attraverso il programma dai compositori o dagli interpreti che si sono espressi liberamente attorno alla loro musica: da brevi passi poetici, suggestivi, ad altri di tipo tecnico o semplicemente
descrittivi, fino a quelli di coloro che hanno deciso di raccontarvi la genesi dell’opera.
Tutti le informazioni su compositori e interpreti sul sito www.microstagione.eu
12 giugno 2013, Milano, Auditorium degli Amici del Loggione
Maurizio Azzan, Amma (2010) per 2 chitarre
Giorgio Colombo Taccani, A Perfect Beat Of (2011) per 2 chitarre
Gabriele Cosmi, Panaghia (2013) per Trio
Bruno Mantovani, L’incandescence de la bruine (2013) per sax e pianoforte
Mauro Di Vincenzo, Divertimento (2012), per Quartetto
Giulia Lorusso, Hommage to the dawn (2013) per voce e percussioni
Franco Donatoni, Omar II (1985) per vibrafono
Irlando Danieli, Richiami notturni dal castello Utopia (1989) per 2 flauti
Laura Zanoli, Hypogheios (2012) per Quintetto
Dialogo tra compositori e ascoltatori mediato da Alfonso Alberti
Maurizio Azzan, Amma
Duo Amborsi-Monarda
Andrea Monarda e Michele Ambrosi, chitarra
Scritto nel 2010 per Andrea Monarda e Michele Ambrosi ed eseguito per la prima volta nel settembre dello
stesso anno nell’ambito del Festival Internazionale MITO Settembre Musica, Amma deriva il proprio titolo
dal greco antico άμμα, termine che indica cio che serve per legare, come una corda o una catena, il nodo che
esse generano e, per estensione, la forte stretta fra due pugili in lotta fra loro. In quest’ottica di inscindibile
unione, il rapporto fra le due chitarre non sara di tipo dialettico, basato cioe sulla predominanza alternata
dell’una sull’altra, bensi sintetico, allo scopo di ottenere dalla somma dei due strumenti un suono unitario e
fortemente coeso.
Il brano si articola in quattro sezioni di carattere contrastante fra loro collegate. Nell’Adagio sospeso iniziale,
dopo lo stridente pizzicato cui fa da eco la costante presenza di un irregolare sifflé di fondo, prende avvio
un lento processo di accumulo sonoro, via via sempre piu incalzante, fino al fff finale, punto in cui cerca di
farsi strada, pur perdendosi subito, il sifflé delle prime battute. Ad esso fa seguito lo Statico, in cui il discorso
precedente viene frammentato e riletto per reminiscenza mentre si fanno strada in modo sempre piu deciso
violente raffiche di pizzicati Bartok. A questa sezione si contrappone per la sua aggressivita l’Energico successivo, sorta di turbolento e inarrestabile vortice sonoro in cui, fin dall’inizio, cerca di farsi strada una vibrante
risonanza in dissolvenza. Tale elemento costituisce il materiale su cui si basa il Lirico finale, caratterizzato dal
lento cangiare dei campi armonici fino al crescendo conclusivo, bruscamente interrotto da una violenta raffica
sonora che riporta il brano al gesto di avvio. (Maurizio Azzan)
Spesso i brani per duo di chitarre sono il risultato dell’arrangiamento di brani pianistici e le parti affidate a chitarra I e II lasciano trapelare la loro natura tastieristica. Esiste certo un repertorio originariamente concepito
per due chitarre ma, nella maggior parte dei casi, è agevolmente eseguibile da un solo interprete. Amma
invece è il risultato delle potenzialità compositive che l’autore ha saputo presagire in quest’organico. Le due
chitarre si intrecciano interagendo continuamente, sia dal punto di vista prettamente tecnico che energetico.
Da notare la costante ricerca di Azzan delle timbriche della chitarra che dona al brano originalità e freschezza.
(Andrea Monarda)
_______________________________________________________________________________
Giorgio Colombo Taccani, A Perfect Beat Of
prima esecuzione assoluta
Duo Amborsi-Monarda
L’interesse per la chitarra - della quale ho sempre subito il fascino nonostante il repertorio spesso troppo
circoscritto - mi ha portato ad accettare la proposta di scrivere un nuovo brano che affrontasse lo strumento
da un nuovo punto di osservazione, ovvero il suo raddoppio.
Nessun rapporto dialettico o conflittuale viene creato fra le due chitarre; viene invece ricreato una sorta di
iperstrumento, in modo da poter ottenere una grande ricchezza armonica e gestuale nell’ambito della quale
confluiscono le singole individualità. Un solo metronomo è presente dall’inizio alla fine del pezzo ed impone
un andamento costantemente deciso alle figure che si susseguono in una sorta di vortice inarrestabile.
Ampie zone materiche, prive di altezze stabili e riconoscibili, si aprono fra violente successioni accordali o tra
fibrillazioni di arpeggi rapidissimi. L’approdo è alla pagina finale in tapping, dove le percussioni di mano destra
e sinistra, entrate improvvisamente in scena, vengono altrettanto improvvisamente interrotte dal silenzio
conclusivo. (Giorgio Colombo Taccani)
Una forte carica aggressiva, travolgente, così poco umana pervade tutto il pezzo. Sembra avere un vincolo
profondo con l’incedere incessante del tempo, quasi che da qui tragga la sua origine; uno stesso palpito costante non lascia mai la possibilità di prendere fiato. Mai l’effetto strumentale ha lo spazio per essere contemplato per se stesso ma sempre concorre alla spinta continua che caratterizza “A perfect beat of”.
In questo processo inesorabile le chitarre sono violate in tutte le loro potenzialità espressive lungo tutta
l’estensione delle corde e lo stesso esecutore ne è coinvolto, chiamato a uno sforzo non solo mentale ma
anche fisico, tanto da essere portato alla fine a imprimere il suono percuotendo le corde con entrambe le
mani direttamente contro il legno della tastiera. (Duo Ambrosi-Monarda)
_______________________________________________________________________________
Gabriele Cosmi, Panaghìa
prima esecuzione assoluta
Trio Gaudì
Demian Baraldi, violino
Francesca Montini, violoncello
Roberta Punzi, pianoforte
Il lavoro che presento è il primo movimento di cinque movimenti per trio classico. Il centro di interesse di
questa composizione è il concetto di purezza della scrittura: il titolo stesso, Panaghìa, deriva dal greco e significa “tutta santa, tutta pura”. Pur non avendo scritto un lavoro influenzato da forme o fattori religiosi, ho
sempre provato grande fascinazione per la musica sacra rinascimentale. Il mio desiderio è quello di evocare
quella intimità, quel senso di profondo mistero che avvolgono questa musica. Da strappi violenti emergono dei
“respiri” di antichità che galleggiano nello spazio lasciando intravedere sfumate fisionomie. Materiali minimi,
che in questo galleggiamento, evolvono contraendosi ed espandendosi, come alla ricerca di uno stato di equilibrio. (Gabriele Cosmi)
La musica, che sia classica o contemporanea, d’avanguardia o meno, porta per sua stessa natura a molteplici
possibilità di incontro, ma spesso anche di scontro. Questo perché è terreno fertile di segni e idee da interpretare. Panaghia ci ha incuriositi e al primo approccio disorientati. Il lavoro è stato interessante proprio
perché ci ha fatto crescere sul campo della mediazione, costringendoci più volte a confrontarci con idee diametralmente diverse. E’ stato grazie all’incontro con il compositore, Gabriele Cosmi, che abbiamo poi trovato
la giusta sintesi di tutte le nostre divergenze. (Trio Gaudì)
_______________________________________________________________________________
Bruno Mantovani, L’incandescence de la bruine
Duo Vagues
Andrea Mocci, sax
Megumi Nakanonomori, pianoforte
Il titolo di questo brano, unendo due termini a priori antitetici - una parola che evoca il fuoco, la densità, il virtuosismo e un’altra che si riferisce ad un elemento liquido, statico - funge da metafora letteraria del motore
musicale dell’opera. Il mio tentativo è stato quello di trovare elementi musicali comuni ai due strumenti tali da
rimettere in discussione le tradizionali gerarchie imposte dall’organico (strumento solista accompagnato dal
pianoforte) e che potessero portare al conflitto (nozione a cui sono molto legato nel mio lavoro, sia in ambito
teatrale che melodico, sia di “musica pura”). Sono quindi partito dall’idea di un trillo, ovvero un suono tenuto
e stabile che attraverso dei trattamenti simili a quelli che si operano in studi elettroacustici (time-stretching,
pitch-shifting, intarsio sonoro...) dà vita a delle brevi cellule, vive, dalla morfologia estremamente caratterizzata
(l’idea musicale è quindi la sintesi di tutti i parametri, non la loro somma). Grazie al continuum sonoro assicurato da questa trama praticamente ininterrotta (affidata sia al pianoforte, come potremmo aspettarci, ma
anche al sassofono) si delineano delle formule che, nonostante sgorghino dal medesimo materiale primigenio,
si rapportano in contrasto allo stesso. Le brume si fanno quindi incandescenti, e ce lo mostra la cadenza del
piano nella sezione centrale del pezzo. Di volta in volta i due strumenti, nel loro ruolo di accompagnamento,
solista o fusi insieme, servono una drammaturgia che si appoggia sulla reminescenza di idee facilmente identificabili all’ascolto (polarità armoniche, meccanismi caratteristici).
(Bruno Mantovani, trad. dal francese di Giulia Accornero)
_______________________________________________________________________________
Mauro Di Vincenzo, Divertimento
Mattia Fiore, sassofono
Francesco Moretti, fisarmonica
Michael Barletta, chitarra
Elena Imparato, violino
Divertimento nasce all’inizio dell’estate 2012 sotto richiesta di Francesco Moretti, a cui è dedicato. L’originalità
dell’organico mi ha incoraggiato a scrivere un brano che fosse in primo luogo piacevole e stimolante per gli
esecutori, lasciando loro ampi spazi nei quali poter esercitare quel lavoro interpretativo che viene talvolta
precluso dall’eccessiva complessità della musica contemporanea. Il titolo infatti, oltre ad alludere alla libertà
formale dell’opera, indica all’ascoltatore lo spirito con cui è stato svolto il lavoro compositivo e la direzione
verso cui volge il carattere generale, determinato non tanto dall’atmosfera, a tratti cupa, di alcune sezioni,
quanto dall’arbitrarietà con cui esse vengono interrotte da momenti più ironici e scanzonati. (Mauro Di Vincenzo)
L’amicizia e la fiducia artistica sono stati ingredienti fondamentali nella nascita di un brano dall’organico alquanto inverosimile. La riflessione sulle varie combinazioni timbriche è stata lunga: la fisarmonica può funzionare con tutti gli altri strumenti anche se con la chitarra è necessaria una buona mano perché non la si faccia
scomparire sotto la vibrazione di quindici chilogrammi di ance e mantice. Violino e chitarra? Celebri i brani
di Paganini ma certo improbabili se accompagnati da saxofono e fisarmonica. Mauro aveva la stoffa giusta per
arrischiarsi in una simile proposta, nata dalla fantasia di unire in un solo gruppo diversi solisti con cui all’epoca
collaboravo. Le sue capacità tecniche, la passione e lo stile raffinato che lo contraddistingue mi facevano
presagire che il lavoro non si sarebbe risolto in un semplice esperimento, bensì in un’opera compiuta, oggi
edita. (Francesco Moretti)
_______________________________________________________________________________
Giulia Lorusso, Hommage to the dawn
prima esecuzione assoluta
Akiko Kozato, mezzosoprano
Lorenzo Colombo, percussioni
“Hommage to the dawn” nasce da una serie di esigenze espressive che mi hanno spinta in territori da me del
tutto inesplorati in precedenza: da un lato il fascino esercitato dalla dimensione di fisicità connessa alle percussioni e all’ uso della voce, in cui l’uso del corpo, il gesto fisico, il movimento sono tutt’uno con l’intenzione
musicale, e anzi la determinano; dall’altro l’interesse per il suono inteso in un senso più ampio, non necessariamente semanticamente connotato e riconducibile ad uno strumento musicale.
La parte vocale implica una grande partecipazione da parte della cantante, alla quale in molti punti viene
richiesto quasi di recitare o di plasmare e deformare il gesto vocale, conferendogli diverse connotazioni
psicologiche. Al percussionista, invece, viene chiesto di interagire con la superficie metallica di una sottile
lastra di acciaio inox e con la pelle della gran cassa. Esse rispondono alle diverse sollecitazioni in maniera sì
controllabile, ma con un margine di imprevedibilità e di sorpresa che offre la possibilità di instaurare un vero
e proprio dialogo fra il percussionista e i suoi strumenti.
Il ruolo degli interpreti perciò va ben oltre la decifrazione e l’esecuzione di ciò che la partitura prescrive: è
stato fondamentale lavorare a stretto contatto con loro nelle ultime fasi di composizione e di rifinitura della
partitura; ed il loro apporto in termini musicali, il loro grado di convinzione e di partecipazione sono stati
determinanti per la realizzazione di questo brano. (Giulia Lorusso)
Il suono della lastra e della grancassa, la voce umana, che continuano ad intrecciarsi, imitarsi e influenzarsi tra
loro... A volte i suoni sono malinconici, a volte quasi violenti. Senza confini tra le parole e i suoni.
...buon ascolto. (Akiko Kozato)
Which is heavier?
Which is louder?
my shadow
my bloodied palms
or the sound of the sea?
closer, further
closer, further
a heart that thrums out life in couplets
Which is truer?
We three halves are distant like unwound clocks, and copper cliffs and constellations.
And dawn that spreads like a migraine on the sea
and
and
Franco Donatoni, Omar: due pezzi per vibrafono
Lorenzo Colombo, vibrafono
“Sarebbe davvero fastidioso, oltre che vano, attribuire ad una composizione, formalmente contenuta entro i
limiti ristretti, ambizioni che non possono andare al di là della specificità strumentale. Attraverso di essa trovano spazio comportamenti che, passando attraverso il vibrafono, guardano alla possibile somiglianza con le
movenze interpretative dell’esecutore che li ha quasi suggeriti” (Franco Donatoni, 1985)
Mi piace pensare al secondo pezzo di Donatoni come ad un’unica opera costituita da 9 quadri. Ogni tela
è diversa per forma, carattere e presenta materiale sonoro che mette in luce caratteristiche peculiari del
vibrafono. Credo che la vera sfida del pezzo sia proprio quella di dipingere ogni tela pensando ad essa come
“tutto e parte”. (Lorenzo Colombo)
_______________________________________________________________________________
Irlando Danieli, Richiami notturni dal castello di Utopia (Nocturnal calls from Utopia castle)1989 [I]
prima esecuzione assoluta
Alessia Marcotrigiano e Paola Terenzio, flauto
Questo brano per me è come un sogno. Richiami e sussurri che aleggiano nell’aria come sprazzi di luce per
poi spegnersi e ritrovarsi nel buio. Rincorro un suono che mi è famigliare ma che non riesco a trovare. Un
suono sottile che inseguo e afferro fino a renderlo unico con il mio. Vibrazioni scollegate giocano con l’eco
del ricordo per poi lasciarsi andare in giochi armoniosi e solitari. Il soffio è parte intensa e vibrante del sogno
che ascolto sul finire come unica memoria di un luogo ormai dimenticato ma ancora vivo e vibrante.
(Paola Terenzio)
_______________________________________________________________________________
Laura Zanoli, Hypógheios
prima esecuzione assoluta
Giorgio Consolati, flauto
Daniela Fiorentino, clarinetto e cl.basso
Megumi Nakanomori, pianoforte
Elena Imparato, violino
Riccardo Marelli, violoncello
dir. Giovanni Pavesi
Potrei facilmente spiegare com’è nato questo brano, quale avvenimento ha suscitato in me una tale emozione
da condurmi a scrivere. Potrei altresì esporre le tecniche che sono state utilizzate e quali sono state le scelte
formali e strutturali che hanno sorretto il processo creativo.
Tuttavia non lo farò. Non con la presunzione di chi pensa che l’opera parli da sé, né tantomeno con l’idea che
questa giovane composizione debba rimanere avvolta nel mistero di chissà quale ermetica alchimia.
Non lo farò in quanto desidero che ogni persona ascolti liberamente, a cuore aperto, lasciandosi condurre
dalla magia dei suoni. Come in una grotta sotterranea – hypógheios - dove, nel silenzio fatto di roccia e fango,
il flebile suono di una goccia d’acqua che cade apre a infiniti mondi di musica e poesia. (Laura Zanoli)
Se complessa appare la personalità del compositore, cui spetta la difficile mansione di tradurre la propria
idea di suono in figure e gesti musicali, accuratamente organizzati e disposti secondo una logica ed un gusto
del tutto personali, non meno complicato è, tuttavia, il compito dell’esecutore che, accostandosi ad una partitura inedita, viene investito di una grande responsabilità. All’interprete, infatti, è affidata la delicata funzione
di scomporre il testo musicale in tasselli sempre più piccoli, in modo tale da poterne cogliere anche il più
minimo dettaglio, per poi ricomporlo ed offrirlo all’ascoltatore, rispettando il più fedelmente possibile le intenzioni dell’autore.
Alla luce di ciò, dunque, uno degli aspetti più stimolanti per l’esecutore che si accosta alla musica contemporanea risiede, senza dubbio alcuno, nell’avere il privilegio di poter interagire direttamente col compositore.
Interrogandolo, stimolandolo con “affettuosa invadenza” ad offrirgli risposte o, talvolta, suggerendogli egli
stesso soluzioni alternative, nasce tra l’autore e l’interprete un rapporto dialettico il cui risultato non può che
portare ad un reciproco arricchimento. L’interprete, infatti, apprende così uno fra gli aspetti più complessi e
delicati della propria professione, ossia quello di saper “interrogare” il testo musicale, sia esso di un autore
vivente sia esso, come più spesso accade, di un grande autore del passato. Il compositore, a sua volta, trae
dal confronto con l’esecutore una fonte di preziosi stimoli, in grado di aprirgli nuovi e più ampi orizzonti, affinando così la propria tecnica espressiva ed espandendo altresì il proprio linguaggio musicale. (Giovanni Pavesi)
_______________________________________________________________________________
Dicono di noi:
Eric Maestri (/nu/thing) | L’evento è importante perché mostra che c’è ancora il desiderio di fare
musica e di crearla. Il fatto che siano dei giovanissimi a farlo fa ben sperare e quindi segnaliamo con
piacere questa esperienza sperando che tantissime possano nascere nei tanti conservatori italiani.
Elisa Poli (D di Repubblica) | Contemporanea e giovane (...) Microstagione vuole portare la
musica contemporanea di alto livello alla portata di più persone, anche giovani, con eventi e dibattiti
a ingresso gratuito. Suo simbolo è l’International Klein Blue, il blu concepito e realizzato dall’artista
Ives Klein negli anni ‘50: un richiamo alla libertà, ma anche a precisione, attenzione, esperienza dal
vivo.
Laura Pronestì (Zero) | “Microstagione” è un termine che, analizzato nella sua struttura puramente lessicale, può essere interpretato almeno in due modi: “micro-”, infatti, è un prefisso che
indica le “cose piccole”, invisibili all’occhio umano se non con un’adeguata attrezzatura, ma anche le
“piccole cose”, quelle di poco conto, forse di scarso interesse. Dopo questa riflessione, l’obiettivo
della rassegna che porta questo nome potrebbe sembrare abbastanza chiaro, ossia offrire visibilità
ad alcuni compositori emergenti della scena milanese e italiana e metterli in contatto con un pubblico non necessariamente addetto ai lavori. (...) Dalle “piccole cose” nascono sempre grandi cose.
Inlibertà | Un insolito evento è pronto a scuotere Milano: si tratta del terzo concerto della rassegna di microstagione di musica contemporanea, che ha visto nella sua scorsa edizione più di cento
persone in sala. Un vero e proprio record per la musica contemporanea.
Simone Sbarbati (Frizzifrizzi) | L’intento di portare la musica contemporanea oltre i ristretti
confini del pubblico di appassionati, allargandola a chi solitamente snobba, equivoca o semplicemente non ha la minima idea di cosa si tratti, è lodevole quanto complicato. (...) A caricarsi sulle
spalle tale ingrato ma affascinante compito è un’associazione - l’A.S.P.M.C. - che, caso più unico che
raro, ha capito che l’elemento fondamentale per uscire dallo steccato autoreferenziale in cui sono
rinchiusi addetti ai lavori ed habitué è utilizzare canali esterni a quel mondo ed andare incontro ai
babbani con eventi gratuiti, promossi anche grazie a siti “pop” come il nostro.
Microstagione è un’iniziativa a cura dell’Associazione per lo Studio e la Promozione della Musica Contemporanea
ma in qualche modo potremmo anche affermare il contrario: ovvero che l’Associazione è stata un’iniziativa
nata dall’idea di Microstagione. Nel 2012 nella testa fra le nuvole di Francesco Venturi ha cominciato a prendere forma il progetto di una rassegna di musica contemporanea che poco dopo si concretizzò in un piccolo
evento presso la Biblioteca di Dergano-Bovisa, un luogo modesto ma con la fortuna, per tutte le persone del
quartiere, di essere il contenitore di un prestigioso pianoforte gran coda.
Quella sera ero tra il pubblico. Da allora mi sono unita al progetto insieme a Francesco con la proposta
di dargli una mano per svilupparlo (una mano che alla fine è diventata un braccio e un’ipoteca sull’anima).
Materiale di partenza è stato l’entusiasmo generato da visioni ferme ma con l’arduo compito – ancora work
in progress – di riuscire a renderle chiare e comunicabili, nonché portarle, senza snaturarle, ad una concreta
realizzazione. Il lavoro di preparazione per quella che questa sera può apparire come una qualunque rassegna,
è stato molto lento, e non tanto per la mole di scartoffie burocratiche a cui gli spettacoli dal vivo devono sottostare, quanto piuttosto per cercare di rispettare i tempi che portare avanti un’iniziativa dal basso richiede.
Per “dal basso” ora non mi riferisco solo alla mancanza di fondi, quanto piuttosto alla dimensione umana in
cui ci muovevamo, l’unico humus in cui ogni iniziativa culturale (colturale) può radicarsi. Il primo lavoro – mai
portato a termine – con Francesco è stato quello di riuscire ad accordarci nell’infinita estraneità che ci separa
e di cui tentiamo ogni giorno di far virtù. Il secondo è stato e sarà quello di riuscire a fare lo stesso con tutte
le persone che più o meno attivamente parteciperanno al progetto.
Le visioni sono per loro natura ferme ma allo stesso tempo vaghe, non possiamo dimenticarle eppure
mostrano confini sono poco chiari, colori sfumati in una dimensione quasi onirica: tentare di realizzarle è
significato riuscire pian piano a definire ed esplicitare (con tutti i rischi e le cadute annesse) ma soltanto in
questo modo renderci conto che la nostra non era semplicemente una micro-stagione musicale. Era prima
di tutto un laboratorio, un luogo e uno spazio ideale dove chi scrive la musica, chi la interpreta e chi ne tenta
il pensiero e la parola potessero incontrarsi. Questo “luogo” mancava. Il Conservatorio di Milano permette
di incontrarci fisicamente tutti ogni giorno ma parole e scambi veri sono spessi rimandati per questioni che
vanno dai “crediti formativi” da ottenere a fine anno, a rivalità e competizioni – a quanto pare ataviche – che
non portano altro se non alla distruzione di quel poco che ci è rimasto. Costruttività è una delle prime parole
che abbiamo cercato di re-insegnarci in questo progetto (che rimane, per la sua natura umana, limitato, insufficiente e criticabile, ma non per questo senza la possibilità di maturare e crescere giorno dopo giorno). Libertà
è stata la seconda: parola di cui personalmente non so ancora nulla se non che sia stata spesso abusata, ne
abbiamo rimandato l’esplicitazione e ci siamo affidati alla ricchezza di senso di un colore (il Klein Blue). Quel
colore ci ha guidati in principi, forse, un po’ più alla nostra portata, come quello del rispetto per la pluralità
dei linguaggi, musicali e non. Altra parola che, per il mio ingrato ruolo di organizzatrice, sto ancora cercando
di comprendere è economia; alla greca: le leggi che regolano la casa. La casa, il luogo di incontro tra esseri
umani che si riconoscono come tali, aveva bisogno di un compositore che scrivesse, di un interprete che
suonasse,di una persona che ascoltasse, di un’altra che dicesse, di chi cucinasse, di chi portasse memoria con
una foto o con un testo, aveva bisogno di un poeta, di un disegnatore, di un saggio che consigliasse, di qualcuno
che tessesse i vestiti, di qualcuno che raccontasse a tanti altri, di qualcuno che facesse le sedie e i pianoforti,
i violini e i clarinetti, di qualcuno che progettasse una dimora che ospitasse, di chi…, e poi di qualcuno che…
Giulia Accornero
Microstagione e l’Associazione per lo Studio e la Promozione della Musica Contemporanea ringraziano tutti
coloro che hanno dato il loro contributo alla realizzazione di questa serata, e in particolare:
Mauro Bonifacio, per i preziosi consigli e l’incoraggiamento.
Gino Vezzini, Claudio Matthias Bertolini, Mario Mattioli, Reisa Boksi, il Conservatorio “G.Verdi” di Milano,
Irene Romagnoli,Vittoria Mieli.
Scarica

Scarica le note di sala