54 — carta canta libri Tre recensioni A di Giuseppina La Face Bianconi carta canta / libri umentano le monografie dedicate a singole com- posizioni. Accanto alle collane degli editori Carocci e L’Epos, il giovane editore bolognese Albisani ha avviato una serie di «Chiavi d’ascolto» diretta da un musicista colto e raffinato, il pianista Stefano Malferrari. I tascabili – 120 pagine, stampa nitida e ariosa – si articolano in tre capitoli: sguardo sul compositore, nel momento biografico in cui si situa la composizione prescelta; la storia dell’opera, dal concepimento alla stesura, dalla «prima» alla fortuna esecutiva e critica; la guida all’ascolto, con pochi esempi musicali e molti rinvii alle battute della partitura nonché al timing di un cd. In appendice, discografia, bibliografia, glossario. Destinatario: l’amatore magari digiuno di nozioni tecniche e però desideroso di seguire passo per passo lo svolgimento del discorso musicale; l’esposizione è dunque volutamente sobria, scevra da specialismi e approfondimenti laboriosi. Il delicato compito è affidato a giovani musicologi ricchi d’entusiasmo più che d’esperienza: ma le «chiavi» fin qui forgiate da Germana Schiassi, Anna Scalfaro, Tarcisio Balbo e Giancarlo Aquilini per le Variazioni Goldberg di Bach, il Concerto per clarinetto di Mozart, la Pastorale di Beethoven e il Quintetto per archi di Schubert dimostrano che la sfida si può affrontare con successo. Se fino a metà Ottocento la stesura d’un libretto si basava su forme collaudate, su un sapere artigianale condiviso da librettista e compositore, con la fin de siècle l’impresa si fece più ardua. Famosi i tormentati casi di Manon Lescaut e La bohème. Puccini ha in mente effetti musicali difficili da descrivere a parole, ma i suoi librettisti brancolano nel buio; per quanto mestiere e pazienza posseggano Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, il lavoro in équipe (che coinvolge anche l’editore Giulio Ricordi) si rivela impervio. Virgilio Bernardoni, ordinario nell’Università di Bergamo, pubblica ora i copiosi abbozzi inediti del libretto della Bohème conservati tra le carte lasciate dai due librettisti. Così ricostruisce giorno per giorno la genesi dell’opera. Il quadro è movimentatissimo: «Quando Bohème apparve, nel cassetto ce ne rimaneva di farne altre dieci», disse Giacosa anni dopo. Nel ridurre per le scene il divagante romanzo di Henry Murger, fonte dell’opera pucciniana, i due librettisti dapprima lo diluirono in cento episodi diversi, indi lo prosciugarono drasticamente. Critica degli scartafacci, si dirà: sì, ma sbirciare le mosse dei tre autori mentre tastano il terreno di un’invenzione teatrale così radicalmente nuova conduce anche il profano a cogliere la struttura interna d’un perfetto capolavoro. La ricostru- zione di Bernardoni, frutto prelibato dell’anno pucciniano appena trascorso, inaugura al meglio – insieme con gli Atti del convegno del 2004 su «Madama Butterfly: l’orientalismo di fine secolo, l’approccio pucciniano, la ricezione» – la nuova serie del Centro Studi Giacomo Puccini, per i tipi di Leo S. Olschki. Un altro centenario, quello del Metastasio, continua a fruttificare. Esce l’edizione di una partitura importante, La Betulia liberata di Pasquale Anfossi, composta per l’Oratorio della Vallicella nel 1781. Gli studiosi collocano Anfossi tra i precursori e i modelli di Mozart: e invero le arie di Giuditta e degli altri personaggi biblici richiamano lo stile frizzante del ragazzo di Salisburgo. Ma insieme con la musica di Anfossi, così tenera e gioconda, il volume offre uno spaccato storico-culturale insospettato. Nell’introduzione l’italianista Mario Valente argomenta che il dramma metastasiano (Vienna 1734), più che un semplice intrattenimento devoto, fu un vessillo teologico-politico: lo si poté sbandierare su uno scacchiere che nel giro di pochi decenni vide la guerra di successione austriaca, la controversia tra ge- suiti e giansenisti, il prevalere della linea filoimperiale sul soglio pontificio, lo scioglimento dell’ordine dei Gesuiti e il predominio ideologico dei Filippini. Giuditta, la liberatrice del popolo di Giuda, è la simbolica garante dell’unità della Chiesa sotto il segno della Fede e della Carità. ◼ Germana Schiassi, Johann Sebastian Bach. Le Variazioni Goldberg, Albisani Editore, Bologna 2007, 119 pp.; Anna Scalfaro, Wolfgang Amadeus Mozart. Il concerto per clarinetto e orchestra, id., 2007, 127 pp.; Tarcisio Balbo, Ludwig van Beethoven. La Sesta Sinfonia, id., 2007, 116 pp.; Giancarlo Aquilini, Franz Schubert. Il quintetto per archi, id., 2009, 118 pp. («Chiavi d’ascolto», 1-4), ISBN 978-88-95803-00-5, 01-2, 02-9 e 03-6, 13,50 euro cadauno. Virgilio Bernardoni, Verso Bohème. Gli abbozzi del libretto negli archivi di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, Leo S. Olschki, Firenze 2008 («Centro Studi Giacomo Puccini – Testi e Documenti», 1), x-274 pp., ISBN 978-88-222-5839-7, 32,00 euro. Pietro Metastasio – Pasquale Anfossi, Betulia liberata, azione sacra (1781), edizione critica a cura di Giovanni Pelliccia, prefazione di Friedrich Lippmann, introduzione di Mario Valente, MOS Edizioni, Roma 2008 («Metastasiana», s.n.), cii-233 pp., ISBN 978-88-903175-0-7, 50,00 euro. libri carta canta — 55 Osservazioni sul «Viaggio musicale» di Andrea Zanzotto essere considerati dei veri poeti?» Zanzotto si pone questa domanda e giunge al cuore del suo libro, al mitico problema del rapporto tra musica vera e propria e musica interna alla parola. Per il poeta solamente i Chansonnièrs francesi potevano considerarsi poeti. In Italia i cantautori, per quanto bravi, non sono mai riusciti a usare stili che non fossero compatibili con la commercialità, senza tener condi Cecilia Dolcetti to del vero lavoro che deve fare un poeta alle prese non solo con le rime, ma anche con le vocali e le consonanti na vera chicca editoriale , questa di Marsilio, appropriate. che esce in occasione dell’ottantasettesimo comI versi di Zanzotto, oltre al valore insieme poetico pleanno di Andrea Zanzotto e porta in dote un e musicale, hanno in serbo qualcosa di più: il potere di comunicazione. Le sue poesie, appacontributo inedito del poeta sul rapporto tra poesia e musica. In tutte le operentemente semplici, mandano mesre di Zanzotto la musica occupa un posaggi forti su argomenti che all’epoca, sto importante perché viene impiegata inevitabilmente avrebbero subito una da filo conduttore dei suoi versi. La mucensura. Queste poesie musicali primisicalità è dovuta alla cadenza dialettale e tive, ma audaci, nascondevano un doptutta l’opera è un susseguirsi di ninnapio senso e avevano lo scopo di comuninanne, cantilene dell’infanzia, musiche care pensieri politici in contrasto con un sacre imparate al periodo del collegio momento storico allora minacciato da religioso. Ci sono anche canzonette del un duplice incubo: «si usciva dalla guerTrio Lescano, fino a Schubert, Bach, i ra per andare alla guerra». Rap, i Beatles. «La musica può dir tutto e può dirlo Andrea Zanzotto ripercorre, sotto forinfinitamente, ma può anche lasciare ma di conversazioni con Paolo Cattelan, uno spazio vuoto in cui si introducono tappe significative della sua vita accomle parole…» Con questa frase posta, non pagnate da ricordi legati alla musica. Per a caso per ultima, sul retro della copertiil poeta, musica è innanzitutto canto na del suo libro, Zanzotto credo voglia popolare, poi viene l’opera, «espressiodare un significato profondo al silenzio. ne aristocratiP u r a ma nca della musido moltissica», da lui immo la musica, personificata il poeta detedalla figura di sta il frastuoToti dal Monno, l’esagerate, la celeberzione, e invorima cantanca un po’ di te lirica alla «vuoto», ovquale era parvero di «silent icolarmenzio»: «Nessute devoto e na musica» dicon la quace, quasi a vole condivideler ricordare i va il luogo di film di Robert nascita: PieBresson, da ve di Soligo, lui tanto apnel trevigiaprezzato, che no. La cantifu un granlena dialettade interprete le ci regala un del valore del effetto ritmisilenzio. co inaspettaNessuna to. I suoi vermusica perché Andrea Zanzotto si si susseguoanche il silenno con una zio ha un suooscillazione no, è la voce sonora che non necessita di altri strudella nostra coscienza, dei nostri penmenti musicali. Queste poesie aprono sieri, della nostra anima, ma «questa Andrea Zanzotto, Viaggio musicale. la porta a un nuovo modo di fare mumusica» spesso è difficile da ascoltare. ◼ Conversazioni a cura di Paolo Catellan, sica: comporre versi utilizzando un Marsilio, Venezia 2008, linguaggio popolare, ma poetico, docon dvd allegato, euro 16.00. ve le vocali e le consonanti sono impiegate a regola d’arte. L’effetto sonoro che ne deriva è veramente nuovo e sorprendente. «Ma i cantautori possono carta canta / libri U 56 — carta canta «La città» di Marcello Pirro Storia di un’esperienza editoriale unica P carta canta / libri ittore, poeta, scultore, mosaicista, Marcello Pirro – scomparso il 29 novembre a 68 anni – riunisce in sé molte diverse anime, che sono però sempre tasselli di un’arte speciale, la sua, che parte da Apricena del Gargano e attraversa Venezia e Pavia, che negli anni diventano delle seconde (ed elettive) patrie. Ma Pirro è stato – oltre che dinamico e affermato artista – anche personaggio chiave della vita intellettuale veneziana, come dimostra il bel volume edito da Cicero – una casa editrice da seguire, che per esempio nel 2007 ha pubblicato il monumentale Vita e cultura gay a cura di Robert Adrich – e intitolato La città, prendendo il nome proprio dalla rivista fondata e diretta da Pirro tra il 1964 e il 1967. In formato tascabile e con una scrittura molto agevole, l’autore Stefano Cecchetto ripercorre la storia della rivista, sotto molti aspetti unica, mettendo in evidenza gli intrecci mai banali che stabilisce tra poesia e pittura, spesso andando controcorrente e aprendosi ai nuovi linguaggi. Nello scorrere delle pagine quello che sorprende maggiormente è come un artista ventiquattrenne come Pirro potesse annoverare tra le fila del suo periodico firme del calibro di Lucio FontaMarcello Pirro na, Emilio Vedova, Virgilio Guidi tra i pittori, o di Vittorio Sereni e Roberto Roversi tra gli scrittori, per ricordare soltanto alcuni tra i tantissimi nomi. E attraverso «La città» si riesce a comprendere un po’ più in profondità il fermento culturale di quei fervidi anni sessanta, che la rivista interpreta con un taglio assolutamente personale. Di quell’esperienza parla anche Giovanni Raboni – che all’epoca aveva fatto parte dell’autorevole «squadra» – in una nota datata 1991 che chiude idealmente questo libro piccolo e prezioso: «Vado a sfogliare i numeri di “La città”, [...] e stento a credere alle date. Non perché, per usare una frase fatta, il ‘64 “mi sembri ieri” (al contrario, mi sembra lontanissimo, e trovo sorprendente di essere, dopo tanto tempo, ancora vivo): ma perché non ricordavo, e mi colpisce, che Pirro fosse riuscito, già allora, a raccogliere intorno alla rivista tanti nomi giusti. [...] Fuori da ogni nostalgia, credo che “La città”, nonostante la sua vita brevissima e quasi clandestina, sia un momento importante della vicenda culturale che, nella prima metà degli anni sessanta, si snoda in misura notevole proprio attraverso le riviste. [...] Di peculiare, di soltanto suo, “La città” aveva la proposta di relazioni più strette, e assolutamente “naturali”, tra poesia e pittura». (l.m.) ◼ Stefano Cecchetto, La città. Breve storia di una rivista di lettere e arti a Venezia (1964-1967), con una nota di Giovanni Raboni, Cicero, Venezia 2008, euro 10.00 libri Le musiche «ultraterrestri» di Mario Gamba I « n questo libro si parla di musichemondane.Musiche nelle quali traspare il piacere (e il progetto) di stare ben dentro un mondo fortemente connesso. Agitato da sussulti involutivi e nuove localizzazioni dei poteri. Ma fortemente connesso. Il processo di globalizzazione, che chissà perché si è immaginato lineare, è in crisi ma non è interrotto. Molte differenze sono propulsive. E la connessione riguarda in primo luogo coloro che si oppongono radicalmente agli assetti del capitalismo mondiale. Nelle musiche di cui si parla in questo libro traspare anche il piacere(eilprogetto)dicercaredidecifrarlo,ilmondod’oggi.Perchéno? Le arti non sono forse conoscitive? E interpretative? L’“astratta” arte dei suoni lo è quanto le altre. Ma le musiche in questione sono attirateirresistibilmentedalleistanzedirovesciamentodell’attuale ordine planetario. Musiche mondane. Che sentono limitato e costrittivo il mondo così com’è. Lo attraversano coniugate al presente. (...) Musiche che affermano una non soggezione ai modelli dello standard culturale. Se ne parla in un libro, questo, che nasce da una domanda: esistono esperienze musicali del Novecento e del Duemila che corrispondono ai fermenti culturali assai compositi, spesso contraddittori, del nuovo movimento reticolare rivoluzionario? Quello nato a Seattle alla fine del 1999, chiamato prima no global, poi new-global, infineglobalepunto ebasta. Quello chiamato anche, e tuttora legittimamente, “movimento dei movimenti”. Risposta affermativa. Quel movimento, oggi discontinuo, intermittente, assai maturo, progettuale, si caratterizza nelle sue parti più vive per il desiderio di azzardi e trasformazioni». Questeparoleformanol’iniziodiunvolumeestremamentesuggestivo e originale, Gli ultraterrestri. Musiche della rivoluzione globale di Mario Gamba. E meglio di qualsiasi parafrasi servono a spiegare l’argomento intorno al quale ruota tutto il libro. Ma bisogna fare attenzione:autorieoperepreseinesamenonhannonullaachevedere con la produzione «collaterale» di cui questo nebuloso e planetario movimento – come tutti quelli che l’hanno preceduto – si ammanta e nutre. Al contrario sono esperienze artistiche idealmente riconducibilialleistanzeglobaletuttedotate–comesottolinealostesso Gamba – «di assoluta autonomia linguistica». Ed ecco dunque comparirepersonaggitraloromoltodifferentiedallepoetichepersonalissime e inconfondibili come Butch Morris, con cui si apre la fascinosacarrellata,cheprosegueconun’imperdibilesezionededicataallaparabolaartisticadiSunRaperpoipassarealpercorsodell’italiano Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza. Momenti centrali sono poi quelli dedicati al sax tenore di Assif Tsahar eallamagmaticaprogressionedilavoridellaComunediNewYork che vede tra i suoi leader William Parker, Matthew Shipp e David S. Ware. E avviandosi alla conclusione il lettore può incontrare anche un capitolo riservato a un altro italiano di rango come Fausto Romitelli, prematuramente scomparso nel 2004. (l.m.) ◼ Mario Gamba, Gli ultraterrestri. Musiche della rivoluzione globale, Edizioni Cronopio, Napoli 2008, euro 18.50. carta canta — 57 libri – dischi La musica negli «Nuances» «ospedali» del ‘700 per flauto e arpa « Pier Giuseppe Gillio, L’attività musicale negli ospedali di Venezia nel Settecento, Leo S. Olschki Editore, con cd-rom allegato, Firenze 2006, euro 59.00 C elebrata e vincente sin dall’antichità, l’accoppiata formata da flauto e arpa – anche se non può gareggiare in notorietà con il celebre binomio violinopianoforte – è estremamente proficua e sviluppa nel corso dei secoli un corposo repertorio, trovando nel melodramma sette-ottocentesco una collocazione per molti aspetti ideale. Ce ne offrono un saggio la flautista Morena Mestieri e l’arpista Nicoletta Sanzin, che in Nuances selezionano un florilegio di brani di quel periodo, spaziando dal Secondo Rondoletto sopra un’aria di Rossini di Robert Nicolas Charles Bochsa alla Sicilienne op. 78 di Gabriel Fauré, dal Nocturne di François-Joseph Naderman e Jean-Louis Tulou alla Canzone Indù da «Sadko» di Nikolaj Rimskij-Korsakov. Nel pregevole disco prodotto dal duo femminile non mancano però nomi di più universale popolarità, come Wolfgang Amadeus Mozart, di cui è proposta l’Aria di Cherubino dalle Nozze di Figaro, e Giuseppe Verdi, presente con «Caro Nome» dal Rigoletto. La restituzione impeccabile di queste composizioni non trascura però di chiamare in causa e stimolare la partecipazione emotiva dell’ascoltatore, che viene condotto per mano nell’incanto di queste due voci strumentali che si rincorrono e si aspettano senza sosta. E in questo onirico e suadente percorso a tappe particolare suggestione acquista l’ultimo brano, «Barcarola» da Les Contes d’Hoffmann di Jacques Offenbach, ideale epilogo e felice, struggente conclusione di questo viaggio di nuances, sfumature sonore. Le interpreti del resto hanno un curriculum di tutto rispetto, sia sul fronte esecutivo che su quello didattico. Morena Mestieri, conseguito il diploma, si è perfezionata all’Accademia Chigiana con Aurèle Nicolet. Ha al suo attivo il primo posto in molti concorsi italiani, tra cui si citano almeno lo «Stresa» e lo «Schubert», e predilige le formazioni cameristiche, specialmente il duo – con l’arpa e con il pianoforte – o il trio, in cui al piano e al flauto si aggiunge l’oboe. Ha collaborato come solista con l’Orchestra Estense, il Gruppo Strumentale Veneto «G. F. Malipiero» e dal ‘96 con Rondò Veneziano. Nicoletta Sanzin dopo aver studiato a Udine si è specializzata negli Stati Uniti e ha studiato con Elena Zaniboni all’Accademia romana di Santa Cecilia. Dopo essersi aggiudicata numerosi riconoscimenti nazionali ed essere stata Prima Arpa alla Slovenska Fiharmonija di Lubiana dal 1995 al 2001, si esibisce nei principali festival di musica sviluppando anche un’ampia attività discografica. Dopo aver insegnato ai Conservatori di Udine, Matera e Trieste, attualmente è titolare della cattedra di arpa presso la Scuola di Musica «Santa Cecilia» di Portogruaro. (l.m.) ◼ Morena Mestieri, Nicoletta Sanzin Nuances, 2007 carta canta / libri – dischi G iungevo per la prima volta a Venezia, senza vestire i panni del turista, nel 1982. Direttamente da Torino, città dei miei studi e depositaria tanto fortuita quanto orgogliosa di opulenti fondi vivaldiani. [...] Era stato Paolo Isotta [...] a indirizzarmi allo studio di una piccola frazione di quel materiale: i mottetti solistici. [...] La necessità di meglio comprendere il contesto di quella produzione, che allora si credeva interamente destinata alla Pietà, mi spronava all’indagine delle fonti superstiti, che ritrovavo copiose e accessibili. [...] Le mie ricognizioni veneziane proseguirono in seguito e [...] licenziando successive pubblicazioni, l’idea di un libro prendeva intanto corpo, e nel 1991 ne avviavo la gestazione. Era stato proprio il contatto diretto con le fonti [...] a rendermi manifesto l’impressionante iato tra le conoscenze di dominio comune e la mole del materiale documentario inedito. Di qui il proposito ambizioso di scrivere una storia musicale degli ospedali veneziani nel Settecento. Per lungo tempo quella storia aveva conservato tinte di leggenda. La rimozione della memoria, così consueta a temperie di stravolgimenti epocali, risaliva addirittura all’età immediatamente successiva alla scomparsa delle istituzioni. Già le evocazioni di Francesco Caffi, che pur era stato testimone diretto delle ultime esecuzioni musicali, assumevano infatti contorni sfumati e fantastici. [...] In seguito il fervore e il metodo della ricerca positivista recarono contributi esemplari alla storia teatrale veneziana [...] ma sfiorarono appena quella dei luoghi pii. Così, a differenza dei quattro ospedali napoletani, vergati prima da Francesco Florimo e più tardi da Salvatore Di Giacomo, quelli di Venezia conservavano notorietà al più per le menzioni di protagonisti celebri del Grand Tour: de Brosses, Rousseau, Burney, Goethe in primis». Da queste premesse nasce il colossale volume di Pier Giuseppe Gillio, L’attività musicale negli ospedali di Venezia nel Settecento, pubblicato per i tipi di Leo S. Olschki Editore in collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini e l’Istituto Italiano «Antonio Vivaldi». Il libro – cui si accompagna un cd-rom estremamente ricco, dove si possono incontrare interessanti materiali iconografici – si divide in due macroparti. La prima, intitolata «Ordinamenti istituzionali degli ospedali e organizzazione dell’attività musicale», getta uno sguardo al tempo stesso capillare e generale sulla situazione delle istituzioni assistenziali – partendo dalla nuova concezione dell’assistenzialismo caritativo propria del periodo controriformistico – e passa via via a parlare dei cori e delle «figlie di coro», dando anche un’esaustiva – nonostante l’autore, schermendosi, la definisca «schematica» – panoramica dell’offerta musicale, che spazia dalle composizioni liturgiche e paraliturgiche a mottetti, oratori, dialoghi e cantate. La seconda parte è più specificamente volta a definire storia e caratteristiche individuali dei quattro ospedali – Derelitti, Incurabili, Mendicanti e Pietà – costruendo un profilo diacronico dalle origini al declino, e oltrepassando sia in entrata che in uscita i confini del XVIII secolo. Un contributo irrinunciabile per studiosi e appassionati. (l.m.) ◼ 58 — carta canta dischi «The Inside Songs La saudade of Curtis Mayfield» sperimentale di William Parker di Toninho Horta E di Giovanni Greto carta canta / dischi cco uno dei titoli di punta della collana «Tracce», cura- È un vero peccato che Toninho Horta compaia in sordina in Italia, perché ci troviamo di fronte a uno tra i più interessanti musicisti che dal Brasile spiccano il volo nel mondo. Così è stato anche all’inizio dello scorso anno (2008) quando, in poche date, quasi alla chetichella, Toninho Horta de Melo, chitarrista e compositore mineiro, termine che in Brasile identifica i nativi dello stato del Minas Gerais, ha presentato il suo ultimo disco, registrato dal vivo il 23 e 24 settembre 2004 al teatro Sesiminas di Belo Horizonte, tratto dallo spettacolo Ton de Minas, nel quale l’autore volle eseguire dal vivo tutte le sue composizioni più rappresentative a coprire quarant’anni di carriera. Esteticamente il doppio cd è contenuto nella consueta confezione in plastica rigida, ma inserito in un contenitore di cartone che ha all’interno un libretto di quaranta pagine, ricco di foto in bian- ta da Pino Saulo e prodotta da Radio Tre, unica voce in Italia a trasmettere dell’ottimo jazz dal vivo, molte volte addirittura in diretta. Il disco contiene pari pari l’esito di un concerto romano nel quale William Parker, classe 1952, nato nel Bronx, una delle personalità più carismatiche del jazz attuale, ha presentato uno dei suoi innumerevoli progetti: l’omaggio a Curtis Mayfield, uno tra gli esponenti di punta della Black Music più popolare, autore e interprete di Rhythm’n Blues e combattente per la liberazione dei neri. Ascoltando anche la sua musica, apprendiamo dalle note stilate dal leader per il cd, Parker è cresciuto come persona e come musiWilliam Parker cista e vuole tentare di «far rivivere lo spirito nel quale Mayfield ha scritto le sue canzoni, attraverso le voci di musicisti che non solo lo conoscono ma – quel che è più importante – conoscono se stessi...». Parker dilata il suo collaudato Leena Conquest Toninho Horta quartetto ad ottetto invitando, oltre all’affascinante voco e nero dall’archivio di Toninho, dei testi delle canzoni, di alcucalista e danzatrice Leena Conquest, il ni spartiti e di una sintetica storia personale, narrata dall’autore in veterano pianista, tra i massimi esponenti del free, Dave Burprima persona. Per i due dischi l’artista ha selezionato trentasei titoli – considerando che in ogni show ha eseguito in media trenrell e il poeta, drammaturgo e musicologo Amiri Baraka, autore negli anni sessanta con lo pseudonimo di LeRoi Jones, del litaquattro canzoni – più quattro bonus tracks. I successi ci sono praticamente tutti, tranne, come scrive lui stesso, per motivi di bro Il popolo del Blues, testo fondamentale per riflettere sul mondo e capire le radici del jazz. Il concerto inizia con la breve «The spazio, «Ceu de Brasilia», «Aquelas coisas todas» e «Saguin». Il making of you», un solo della Conqueest, sostenuta dalle spazprimo disco si apre con la terza musica scritta in ordine cronolozole di un batterista incredibile quale è Hamid Drake. Avevagico da Toninho, la prima a essere registrata nel 1964, «Flor que cheira a saudade», con parole della sorella Gilda, dimostrando mo ascoltato questo magico duetto anche al festival jazz di Vigià a sedici anni una predilezione per le melodie malinconiche e cenza 2007 e pur se dal vivo le emozioni si rincorrono fino a esplodere nei momenti topici di climax, l’ottima registrazione una ricerca di armonizzazioni originali, che hanno reso riconoè capace di rievocare quei momenti per chi c’era e di incuriosiscibile la sua scrittura negli anni. La scaletta prosegue realizzanre e magari stimolare gli assenti che difficilmente si lascerando, secondo quanto ci rivela il libretto, l’antico sogno di creare la propria antologia musicale in una forma intima, calda e che si lano scappare l’occasione di ammirare dal vivo una simile forscia ascoltare più e più volte, catturati sia dal modo di suonare, che mazione. Tra gli altri cinque pezzi, tutti di Mayfield ad eccezione di «Inside Song 1» di Parker, il più accattivante e, probabilda quello di cantare, o meglio ancora, di vocalizzare, ossia di usamente più conosciuto, è «People Get Ready», un semplice gire la voce come uno strumento. È un lavoro che potrebbe non ro armonico reitarato su un tempo di Rhythm’n Blues, impreincantare al primo ascolto o a una fruizione superficiale, ma che invece tiene in serbo numerose sorprese, se si ha la pazienza di ziosito da parecchi riff dei fiati e vocalizzato dalla Conqueest, cui si affianca la voce di Baraka che ripete più e più volte che scoprirne le diverse componenti. Ne citiamo alcune: la maniera la gente vuole la rivoluzione ed è pronta a diventare libera. ◼ di accompagnare alla chitarra, le lunghe introduzioni, uno scat e un modo di cantare particolari, l’essere Toninho, un musicista che suona col cuore e che rifugge dal supertecnicismo. (g.g.) ◼ William Parker, The Inside Songs of Curtis Mayfield (Rai Trade) William Parker, contrabbasso; Dave Burrell,piano; Hamid Drake, batteria; Darryl Foster, sax tenore e soprano; Sabir Mateen, sax alto e tenore; Lewis Barnes, tromba; Leena Conquest, voce; Amiri Baraka, testi recitati Toninho Horta, Solo ao vivo (2 cd, Minas Records) Toninho Horta, chitarra acustica ed elettrica e voce