Disponibile anche: - Libro: 15,50 euro - e-book su CD JukeBook in libreria: 9,99 euro (PDF) Il CD contiene in omaggio l’audiolibro “La prigione” (horror) I CD JukeBook possono anche essere noleggiati in libreria per 90 centesimi http://www.jukebook.it CONTENUTI SPECIALI DI QUESTO E-BOOK: Lo “Spizz” La maledizione dei Lawrence Davide Donato Noir Trovi la prima parte del romanzo (circa il 20% dell’intero volume) in fondo all’ebook principale. Una villa nel verde della campagna inglese, abbandonata da anni. Due giovani in cerca di pace e tranquillità. Un libro che racconta una storia, non ancora giunta alla sua fine. Un gioco orribile a cui non è possibile sottrarsi, tra enigmi e un'inquietante maledizione che aspetta silente tra le pagine consunte di un vecchio manoscritto. STEFANO VIGNATI La Piccola Equilibrista www.0111edizioni.com www.0111edizioni.com www.ilclubdeilettori.com La Piccola Equilibrista Copyright © 2011 Zerounoundici Edizioni Stefano Vignati ISBN: 978-88-6578-087-9 In copertina: Immagine Shutterstock.com A Te, che mi hai spinto a crederci davvero e A Chi mi ha fatto amare lo Scrivere e il Leggere 1 «La Piccola Equilibrista, eh?» «Esatto.» Nathaniel corrucciò la fronte, grattandosi il pizzetto ispido. Era proprio l’attrazione che gli mancava per rendere perfetto il Circo. Nella sudicia saletta della sua roulotte, il giovane imprenditore sedeva su una poltroncina rossa con due braccioli in finto oro finemente intarsiati. L’aveva acquistata per pochi spiccioli solo un mese prima da un ladro che se ne voleva liberare al più presto. Certo quell’oggetto stonava con il resto dell’arredamento. La tappezzeria era rigonfia in alcuni punti a causa delle infiltrazioni d’acqua, e la muffa cominciava a intaccare le tendine trasandate. Nathaniel odiava dover spendere soldi per la propria roulotte, dato che trascorreva la maggior parte del tempo nel camper di testa. La lampada gettava una luce fioca sui due presenti. «Descrivimela» disse Nathaniel allungando il sorriso spigoloso, e appoggiando il mento puntuto sulle mani incrociate. Si volse un attimo verso lo specchio, costellato di scheggiature e macchie di cerone. Le prime rughe di espressione si stavano disegnando sul suo viso di trentasettenne, frastagliando in crepe ondulate la fronte spaziosa. Gli occhi, di un verde profondo con screziature dorate, si posarono per un istante su quei capelli corvini che cominciavano a mostrare un’incipiente brizzolatura. Tornò a guardare Toretto. Entrambi avevano scelto di chiamarsi con nomi di fantasia per il Circo, per renderlo più affascinante agli occhi dei clienti, e avevano finito con l’utilizzare quei soprannomi ogni volta che si parlasse di lavoro. Il grasso aiutante, fradicio di birra, si sedette di fronte al capo, spigolando gli ossicini rimasti impigliati dalla cena nella lunga barba. «Si chiama Alessia. Ha quindici anni, forse sedici. Le mie fonti sono piuttosto vaghe» estrasse un unto taccuino malamente scarabocchiato, poi continuò «è alta circa un metro e sessanta, capelli castani, grandi occhi azzurri, molto carina. Un bambino ha detto che il suo sorriso assomiglia a una “falce di luna”.» Scoppiò in una fragorosa risata che per poco non lo fece cadere dalla sedia. Nathaniel ignorò l’esplosione d’ilarità del collega. Sentiva l’odore pungente della birra che esalava dalla bocca di Toretto, e conosceva bene quali fossero le dosi di alcool che quell’uomo era capace di ingerire. Nonostante l’ubriachezza, però, l’omaccione rimaneva uno dei suoi più fidati dipendenti, quindi lasciò che l’accesso di risa terminasse prima di intervenire. «Sembrerebbe un soggetto interessante, e pare confermare ciò che mi avevi anticipato. È davvero così brava in quello che fa, Toretto?» «È impressionante, boss» ripose quello annuendo «io l’ho vista e quasi non ci credevo. Saltellava sui lampioni e sui tetti senza mai fermarsi, e correva velocissima. Una cosa pazzesca!» Gli occhi del ricco padrone del circo si illuminarono. «Sappiamo come trovarla? Che zone frequenta, in quali orari, se esce sola o in compagnia?» «Fammi controllare» Toretto impiegò qualche secondo a elaborare la risposta «bazzica perlopiù la periferia, qualche volta va in centro per le sagre, o qualche festa del paese. Soprattutto la sera, a volte il pomeriggio. E per quel che ne so, esce sola. Al massimo qualche bambino la segue lungo la strada. Ah, giusto, senti questa! Dicono che non cammini per terra come tutti, ma che se ne vada in giro passeggiando sui fili del telefono.» Nathaniel spalancò gli occhi, già subodorando l’affare. «Capirai certo che un esborso di soldi come quello a cui sarei tenuto per questo impiego merita una ragazzina veramente capace» Nathaniel scandiva per bene le parole, in modo che anche Toretto potesse capirlo fino in fondo «non mi bastano fonti vaghe. Voglio certezze.» L’altro sogghignò rumorosamente, facendo ampi cenni con la testa. «Te la do io la certezza, boss. Sai che ho fiuto per queste cose, e non ho mai sbagliato.» Questo non si poteva negare; quando si trattava di scovare talenti a buon prezzo, Toretto era un maestro. Nathaniel lo sapeva, e si fidava ciecamente di quel suo sesto senso. «Pensi che potresti bastare tu per catturarla, magari se ti facessi accompagnare da un paio di ragazzi?» «No» rispose l’omaccione barbuto senza indugi «serve gente specializzata per questa bimba. Serve uno che riesca a tenerle dietro nella corsa, e che non si faccia problemi se dovesse farle del male.» «Farle del male?» ripeté Nathaniel inarcando un sopracciglio «mi serve un’equilibrista, Toretto, non un rottame.» L’altro annuì serioso, massaggiandosi la spalla sinistra. «E allora a maggior ragione ti serve uno bravo.» Nathaniel si stravaccò sulla sedia e volse la testa verso il soffitto crepato. Per un attimo rimase in quella posa a fissare il vuoto, tanto che Toretto cominciò a chiedersi se si fosse addormentato. Poi, d’improvviso, scattò in avanti, poggiò i gomiti sulle cosce e sorrise compiaciuto. «Ho le persone che fanno per noi Toretto.» «Persone?» «Già. Sono due sicari, ma per un lauto compenso accetteranno anche un lavoro come questo. Tu e io andremo con loro, per assicurarci che la bambina rimanga illesa. Siamo d’accordo?» Toretto assentì, quindi sfregò tra loro il pollice e l’indice. «Non ancora. Un’ultima domanda» aggiunse Nathaniel, che ignorò lo sbuffare insolente del suo dipendente «è una ribelle o una tenerona? Insomma, come la vede la gente del luogo?» Era estremamente interessato alla risposta, forse anche più che alle precedenti. Il primo elemento che rende star un’atleta circense è l’immagine. Sulla sbiadita tavolozza della sua mente, Nathaniel stava già disegnando il manifesto che avrebbe accolto Alessia al Circo dei Bambini. Si tese verso Toretto, in ascolto. Questi sfogliò controvoglia il bloc notes sgualcito, poi rispose. «Eh, qui sta il problema boss. I bambini dicono che è una forza, gli adulti invece sono sicuri che questa ragazzina sia una leggenda del posto, che in realtà non esista. Adesso però ho sete, capo. Hai qualche spicciolo?» «Come non esista?» lo interruppe Nathaniel «sto per investire parecchi soldi in questa storia, e non voglio bruciarli, hai capito?» «Certo, boss. Il fatto è che nel paese gira voce che Alessia sia solo un’invenzione dei bambini, una specie di “amico immaginario”. Ma io ti assicuro che esiste; l’ho pure vista, mi è passata tanto vicina che quasi potevo prenderla. È che non le piace farsi vedere dai grandi, me lo hanno detto pure i bambini. Fidati capo, è un affare!» Nathaniel non rispose. Si sarebbe fidato di Toretto anche questa volta, come già aveva fatto in passato. Dopotutto le statistiche erano dalla sua. Gli sganciò giusto un paio di banconote perché le scialacquasse in qualche birreria. Sì, un soggetto davvero interessante. Una ragazzina del genere farà accorrere al Circo centinaia di persone! Alzò la pesante cornetta del telefono, poi compose lentamente un numero a dieci cifre. «Prepara l’auto, partiamo domani. Sì, sì. Io, Toretto, Vincent e Cordelia. Esatto, proprio loro due. Chiamami Vincent e passamelo su questo telefono; per Cordelia lascio fare a te, c’è da discutere col suo agente e io non ne ho assolutamente voglia. È un comune di montagna, ehm… Fasterna. D’accordo allora, appena sai per la ragazza aggiornami.» Riappese, quindi si abbandonò nella sua comoda poltrona. Chiuse gli occhi, e fantasticò sugli incassi dei mesi a venire. Alessia, la Piccola Equilibrista… Drinn… drinn… «Ma chi cazzo?» Un braccio esile sbucò dalle lenzuola e si allungò assonnato verso il comodino. Lì, per quanto ricordava la sua mente annebbiata, avrebbe trovato il cordless. La mano sferzò inutilmente l’aria un paio di volte in cerca della cornetta, ma riuscì a trovarla solo al terzo tentativo. «Spero abbiate un buon motivo per rompere i coglioni a quest’ora della notte» biascicò al telefono, mentre con gli occhi semiaperti scrutava la penombra in cerca della sveglia. 5:03 Emise un verso a metà tra un grugnito e uno sbuffo. «Sei la donna della mia vita, piccola» gracchiò il telefono. «Marco, figlio di buona donna, questa la paghi doppia» rispose ridacchiando Cordelia «io domani devo lavorare, mica come te che ti scialli tutto il giorno sul divanetto a bere bourbon.» «Bourbon, bimba? Nell’ultimo periodo posso a malapena permettermi il vino del discount!» La ragazza abbozzò un risolino con la bocca ancora impastata dal sonno, come se chili di mastice le bloccassero la mascella. «Sono sicuro che saprai scusarmi una volta che ti avrò detto perché ti ho chiamata» riprese l’altro «mettiti comoda bambolina, e apri le orecchie.» Cordelia si spinse pigramente contro lo schienale del letto. I lunghi capelli corvini le caddero a cascata a lato delle tempie e giù fino ai fianchi. Qualche ricciolo ribelle disegnò strani arabeschi intorno ai suoi occhi di un acceso color verde smeraldo, e Cordelia li allontanò con un poderoso sbuffo. Le lunghe gambe ceree, muscolose e agili, si accavallarono sotto le coperte per mantenere un minimo tepore. «Ho un lavoro per te, sai? Te lo manda Nathaniel.» Il corpo della ventiquattrenne fu scosso da un tremito violento, quando il nome di quell’uomo le si insinuò tra i ricordi. Aveva già avuto a che fare con lui; era stato un lavoro semplice e pulito, ma la storia che ci stava dietro era ripugnante. Non erano echi a cui dovesse dare ascolto a quell’ora della notte, o gli incubi l’avrebbero tormentata ancora una volta. Quell’uomo, quel Nathaniel, era stato molto protettivo nei confronti dei bambini del suo Circo, tanto da assoldare un sicario per risolvere quel problema. E per il resto, non v’era nulla di particolarmente losco o criminale nella sua attività. Dalle labbra di Cordelia non sfuggì una sillaba, tanto che la lunga pausa indusse Marco a continuare. «Dovrai rapire una ragazzina, una quindicenne, e consegnargliela. Illesa. Lavoro semplice e ben pagato. Partenza tra un’ora e mezza circa.» L’orgoglio da quattro spicci di Cordelia si attivò d’improvviso. «Rapire? Ma con chi cazzo crede di avere a che fare, Nathaniel, eh? Io sono un sicario! Quindi se vuole il cadavere di questa ragazzina, perfetto, altrimenti si cerchi qualcun’altra!» Dall’altro capo del telefono giunse un lieve sogghigno. «Tu gli porteresti il cadavere di una ragazzina? Suvvia, piccola, sappiamo entrambi che non ammazzeresti una bambina nemmeno per un assegno a dieci zeri!» «Hai capito cosa intendevo» tagliò corto l’altra «non posso mettermi a fare commissioni da oratorio se non voglio perdere credibilità.» Cordelia stava già riattaccando il telefono, quando Marco aggiunse: «Mille euro subito. Mille a lavoro ultimato. Sai quanto fa, bimba? Due-mila! Duemila euro per rapire un’orfana! Cazzo, se rifiuti sarò io a fartela pagare!» Cordelia vide le cifre disegnarsi nella mente. Era un numero seducente, in tutte le sue curve. Odiava dover sottostare alla legge del denaro, ma in quel caso non aveva altra scelta. Il lavoro che faceva durante la giornata come cameriera in pizzeria non bastava a garantirle vitto e alloggio. Si morse il labbro inferiore fino a farselo sanguinare. «Va bene. Cioè, ho bisogno di quei soldi.» «Brava Cor, hai fatto la scelta giusta» le rispose Marco in tono serio, per incoraggiarla. «Fra un’ora e mezza hai detto?» «Esatto. Il ritrovo è fissato nello spiazzo sterrato di fronte al cimitero di Sacconago.» «Ok, ho capito.» Cordelia prese la sveglia tra le mani e armeggiò con le logore manopole. Avrebbe potuto riposare ancora una mezz’oretta prima di doversi alzare dal rifugio caldo delle coperte. «Però» aggiunse Cordelia all’improvviso, quando Marco stava già per riagganciare «be’… digli che ti ci è voluto molto tempo per convincermi. Molto, mi raccomando.» Una nuova risatina le giunse dall’altra parte dell’apparecchio, quindi il suono di un bacio scoccato. Click, conversazione terminata. La ragazza si sdraiò di nuovo nel letto. Il sonno la colse, facendola piombare in un quieto dormiveglia. 2 La mattina che accolse i quattro malviventi era fredda e nebbiosa. L’orologio di Nathaniel segnava le sei e mezzo, e gli sbadigli di Toretto confermavano l’esatta posizione delle lancette sul quadrante. Il ritrovo era stato fissato in uno spiazzo deserto, un rettangolo di terra ghiacciata nella periferia di Busto Arsizio. Anche l’erbaccia preferiva evitarne la desolazione; nient’altro che sabbia e sassi ricoprivano il suolo, turgido per la temperatura glaciale di quell’inizio d’inverno. I pochi alberi scheletrici si stagliavano contro il cielo livido del mattino, quando anche il sole stava ancora sonnecchiando. Il boss si era preoccupato di ridurre al minimo il rischio di incontrare qualcuno, anche se il malcapitato passante non avrebbe mai pensato a una spedizione criminale. Toretto lo chiamava perfettino, ma lui preferiva definirsi perfezionista. Nathaniel, appoggiato con la schiena alla portiera nera dell’automobile, adocchiava impazientemente l’orologio. Lui e Toretto erano arrivati oramai da mezz’ora al punto di ritrovo, dove avevano trovato Cordelia già in attesa. Anche lei era seccata per il ritardo del quarto membro del gruppo, di cui ancora non conosceva l’identità. La gamba destra, avvolta in un aderente jeans blu notte, martellava il terreno senza sosta. «Marco mi ha rivelato che è stato difficile convincerti ad accettare questo lavoro» disse Nathaniel al sicario, per rompere il silenzio «il tuo sterile orgoglio, vero?» Cordelia volse lo sguardo dall’altra parte. Un corvo approfittò del sopraggiunto silenzio per emettere una sonora gracchiata, e poi volare via in un rumoroso sbatter d’ali. Il proprietario del Circo ne sorrise, divertito. Cordelia era conosciuta per la sua grandissima agilità e lestezza, doti che le avevano permesso di ritagliarsi uno spazio nel mercato dell’omicidio su commissione. Probabilmente sarebbe stata più adatta per altri incarichi, ma la sua fierezza la portava ad accettare solamente richieste di omicidio. Perlomeno quando non era in bolletta. «Piuttosto» cambiò discorso la ragazza «vuoi dirmi chi è questo quarto uomo? Sono stanca di aspettare.» «Ragazza impaziente. Eccolo che arriva.» Cordelia si girò, seguendo con lo sguardo la linea immaginaria che partiva dal dito di Nathaniel e terminava su un robusto uomo in giacca nera che si avvicinava nella loro direzione, tenendo nella mano destra un’ingombrante valigia. «Lui è Vincent, un tuo collega.» La giovane lo fissò stranita. «E perché mai dovresti pagare due onorari? Se ci sono già io, che bisogno hai di lui?» Nathaniel la guardò amorevolmente, come farebbe un padre di fronte alla figlia che non riesce a risolvere un problema di matematica. «Due specialisti sono meglio di uno. Voglio solo avere la certezza di non fallire.» «Per il rapimento di una teen-ager?» ridacchiò Cordelia. «Sei una novizia ancora, lo sai. Con Vincent farai molta esperienza, fidati.» «Non penso mi serva un baby-sitter, ma sei tu il capo» rispose lei con secchezza. Sentiva la diffidenza di Nathaniel nei suoi confronti, ma non poteva certo opporsi a una decisione del suo datore di lavoro. Duemila, duemila, duemila, si ripeté per rabbonire l’orgoglio. Vincent nel frattempo si era accostato a Nathaniel, salutandolo cordialmente. Era statuario, alto almeno un metro e novanta. La giacca che indossava costringeva a malapena le sue spalle larghe, e le maniche delineavano nettamente i muscoli delle braccia. Il viso squadrato era abbronzato, chiuso tra folti capelli castani e un mento tozzo. I suoi occhi neri si posarono su Cordelia, e ne analizzarono i lineamenti delicati. Incrociò le braccia, quindi le rivolse la parola. «Tu devi essere Cordelia, allora. Nathaniel mi ha parlato molto bene di te, soprattutto delle tue doti atletiche» piccola pausa, studiata, e un leggero sorriso «e a vederti, le sue lodi sembrano meritatissime. Sono sicuro che collaboreremo al meglio.» Nonostante un attimo di titubanza, Cordelia sorrise a sua volta. «L’importante è che non mi intralci» scherzò la ragazza. «Vince, stai attento a quella là» intervenne Toretto con baldanzosa simpatia «l’ultima volta che le ho schiaffato una pacca sul culo mi sono trovato un coltello puntato alla gola.» La killer lo trafisse con lo sguardo, ma l’omaccione scoppiò a ridere e si diresse verso la macchina in attesa. Spalancò il bagagliaio e vi caricò anche la valigia di Vincent, incastrandola tra le altre come un campione di Tetris. «D’accordo, d’accordo» intervenne Nathaniel «ora che avete fatto conoscenza saliamo in macchina. Ho alcune indicazioni da darvi, e non abbiamo tempo da perdere.» Toretto mise in moto l’auto, mentre Nathaniel prendeva posto sul sedile del passeggero. Vincent aprì la portiera a Cordelia. Non c’era dubbio che la ragazza lo avesse colpito, quel corpicino non sfuggiva certo al suo occhio interessato. Anche se rimaneva una killer di serie B; Nathaniel non aveva citato solo i suoi pregi. Aveva invece calcato il suo principale difetto. Al momento della chiamata di Nathaniel, Vincent si trovava al solito pub, impegnato a sorseggiare una birra schiumante. Il killer si trovava nella saletta principale di quel locale piccolo e fumoso, seduto al lungo bancone scheggiato. «Ehi, Vince!» lo chiamò il barista «ti vogliono al telefono.» Il sicario gli rivolse uno sguardo asettico, quindi annuì lentamente e si diresse verso di lui. «Vincent?» Silenzio. Il killer soleva non rispondere finché il suo interlocutore non si fosse presentato. «Ehi Vince, sono Melissa Reggiani, la segretaria di Nathaniel, quello del Circo. Dai rispondi, non fare il cazzone!» «Parla.» «Ti passo il boss, io dovevo solo sbattermi perché tu rispondessi.» Un leggero fruscio, quindi una voce tonante proruppe dal microfono. «Vincent? Sono Nathaniel. Saltiamo a piè pari i convenevoli, già ci conosciamo. Ho un lavoro per te: ho trovato un soggetto interessante per il mio Circo.» Vincent infilò una mano nella giacca e ne estrasse un piccolo libricino nero e una penna. Sfogliò velocemente le pagine fino a trovarne una vuota, quindi invitò il boss a cominciare. «È una ragazzina, un’orfana. Dobbiamo rapirla. Semplice e lineare. Il tuo compito sarà collaborare al rapimento e, soprattutto, eliminare qualunque ostacolo si frapponga tra noi e l’obiettivo. Qualunque. Ho chiamato te perché sono certo che non ti farai scrupoli nemmeno di fronte ai bambini.» Vincent continuava a scribacchiare senza sosta. Nathaniel sentiva il suono tagliente della sua stilografica che vergava la carta. «Bambini, hai detto?» intervenne il killer senza interrompere la scrittura «verrà a costarti di più se succedesse, e tu lo sai.» «Ovvio, Vincent, ovvio. Discuteremo poi dei dettagli economici. Piuttosto, oltre a noi due e Toretto ci sarà un’altra persona, una tua collega. Nell’ambiente si fa chiamare Cordelia, non so se la conosci.» Vincent sollevò il mento d’istinto, in segno di diniego. Annotò il nome della ragazza e lo cerchiò due volte. Dall’altra stanzetta del locale un gruppo di esaltati cantava cori da stadio. «E per quale motivo dovrebbe servirti un altro sicario? Uno non basta per rapire un’orfana?» «Non è per questo. Sai, Cordelia ha doti fisiche eccezionali. Ha una destrezza e una rapidità senza eguali. È flessuosa come una contorsionista, roba che neppure ti immagini; avesse dieci anni di meno, probabilmente si esibirebbe nel mio Circo» a Nathaniel sfuggì una risata che contenne a fatica «è su di lei che conto per catturare la piccola funambola. Ma ha anche un difetto: è troppo emotiva, manca di un po’ di sano cinismo. Non uccide nessuno se non per motivi che condivida. Figurarsi uccidere dei bambini!» «Sbaglio o mi stai chiedendo di tenere un occhio anche su di lei?» chiese Vincent, disegnando una freccia sul suo libricino. «È per questo che mi rivolgo spesso a te, Vince: perché capisci al volo» rise di gusto Nathaniel «ora ti saluto. Ci vediamo domani, Melissa ti aggiornerà su luogo e ora del ritrovo.» Un tramestio sommesso, la cornetta che passa di mano. «D’accordo. Allora Vince, pronto a scrivere?» 3 «Pronti e ricettivi?» L’auto si mise in moto, uscendo lentamente dallo spiazzo sterrato e infilando a gran velocità la strada asfaltata. Secondo il navigatore satellitare che Toretto aveva appiccicato al parabrezza, li aspettavano almeno due ore e mezza di viaggio, quindi avevano tutto il tempo per organizzare al meglio il da farsi. La voce registrata della speaker lo indirizzò verso il cavalcavia per l’autostrada. Nathaniel appoggiò la schiena al sedile e chiuse gli occhi, come per leggere sulla superficie interna delle proprie palpebre il programma delle successive giornate. Abbassò il finestrino e si accese un sigaro, portandolo poi meccanicamente alla bocca. «Non abbiamo indicazioni dettagliate; vaga descrizione fisica, dati incerti sugli spostamenti, nessuna notizia precisa su dove risieda. Di conseguenza, l’obiettivo di questa prima giornata sarà raccogliere informazioni. Ci divideremo per coprire ciascuno una zona del paese, e ci ritroveremo poi in nottata in una delle stanze che ho prenotato per radunare le idee.» «Hai preso in affitto un appartamento?» chiese Vincent al boss, pronto a bacchettare un suo eventuale errore. «No, ho riservato per noi quattro stanze in un alberghetto di Fasterna. Si chiama L’Ostello del Montanaro. Non ci sono stelle o costellazioni nella sua valutazione, è quanto di più spartano si possa immaginare. Però non chiede documenti, purché si paghi tutto in anticipo.» Nathaniel si concesse una pausa per aspirare una boccata, e per lasciare spazio a eventuali domande. Nessuno fiatò, eccezion fatta per un colorito insulto di Toretto a un SUV blu che lo aveva sorpassato. «D’accordo» riprese Nathaniel «se l’esito di queste ricerche fosse positivo, ci metteremo sulle tracce di Alessia già domani. In caso contrario, caso che io spero vivamente non si presenti, vedremo di basarci su ciò che avremo raccolto.» Vincent annotò qualcosa sul suo libretto, mentre Cordelia lo osservava con un misto di curiosità e ammirazione. Lei era un sicario che viveva d’istinto, non d’ingegno, non aveva mai pensato a una programmazione del genere! «Vorrei sentire questa vaga descrizione fisica» intervenne di nuovo il killer «almeno la riconoscerò se mi passasse davanti.» Nathaniel bussò alla spalla destra di Toretto, richiamando la sua attenzione. «Tocca a te, Tor.» «Sì, ehm… era molto buio, però mi è passata vicina quindi un po’ te la so descrivere.» «Sentiamo.» «Ha gli occhi azzurri che brillano come quelli dei gatti, li ho visti anche se intorno era buio pesto. I capelli ce li ha corti fino alle spalle, ed è alta più o meno un metro e sessanta. Cioè, io ero seduto, quindi non sono proprio sicuro.» «Ha parlato, ha detto qualcosa?» si informò Vincent, che intanto aveva trascritto i tratti elencati da Toretto sul suo notes. «Non mi pare. Ah no, stava ridendo.» «Ridendo?» gli fece eco il killer. «Già. Credo che stesse giocando coi bambini.» L’auto imboccò il cavalcavia per l’autostrada e si imbottigliò nel traffico del primo mattino. Cordelia registrò distrattamente le auto che le scorrevano di fianco. Oltre ai pendolari assonnati, c’era qualche famigliola che partiva per il week-end. Una bimba, col viso premuto contro il finestrino, la salutò allegramente con la mano paffuta. La giovane killer le sorrise a sua volta con tenerezza, agitando la mano in segno di saluto. «…delia?» «S-Sì?» rispose automaticamente la ragazza, sentendo solo la parte finale del suo nome. «Nulla, mi sembravi distratta» disse Nathaniel «quindi, una volta che l’avremo trovata sarà compito tuo catturarla. Spero tu sia allenata, perché Alessia ha le ali ai piedi. Durante l’inseguimento» proseguì, voltandosi verso Vincent «dovrai tenere lontano chiunque possa disturbare Cordelia. Io e Toretto nel frattempo prepareremo l’auto per ripartire in fretta e furia.» Nathaniel espirò l’ennesima boccata di fumo, poi aprì il portaoggetti dell’auto e ne estrasse quattro aggeggi. «Un telefono cellulare a ciascuno, in modo da poterci contattare in caso di bisogno. Ci sono registrati i nostri numeri, e il credito è più che sufficiente da durarvi per qualche giorno. Nessuna chiamata personale con questi, mi sembra ovvio.» «Non ci avrai mica messo dentro uno di quei cosi per rintracciare la gente, eh capo?» chiese Toretto con un ghigno, poi il suo volto si contrasse in un’espressione corrucciata «anche perché ho sentito che quei cosi fan venire il cancro al cervello.» Era una sorta di battuta, era evidente a tutti, ma Vincent fissò comunque Nathaniel in attesa di una risposta. «No, non c’è nulla. Sono semplici telefoni cellulari.» Il sigaro, ormai esaurito, seguì una lunga traiettoria parabolica che lo portò dalle dita di Nathaniel al duro asfalto autostradale, lanciandosi alle spalle un arcobaleno di scintille colorate. Cordelia appoggiò la spalla sinistra al lato interno dell’auto e chiuse gli occhi. Voleva sonnecchiare per recuperare il sonno perso. «Adesso godetevi il viaggio.» «Cordelia? Sei sveglia?» Sì, adesso lo sono… «Cordelia?» Le palpebre erano troppo pesanti perché potesse aprirle. Dal rumore costante del motore ricordò di trovarsi sull’auto di Nathaniel, diretta a Fasterna. Con quel dolore alla schiena, poi, sicuramente non era sdraiata nel suo letto. Con voce pastosa, la lingua ancora troppo intorpidita per formulare parole chiare, Cordelia biascicò un “Sì, dimmi” prima di cercare una posizione più comoda in cui dormire. «Dobbiamo lavorare insieme, no? Credo sarebbe ottimo se ci conoscessimo meglio.» Era Vincent a parlare. Quella mattina lo aveva trovato attraente, ma ora gli avrebbe volentieri affondato un coltello in gola pur di zittirlo. La ragazza si stiracchiò allungando le braccia, e sentì tendersi piacevolmente i muscoli della schiena. Si passò una mano sulle palpebre, riparando con un po’ di oscurità gli occhi ancora assonnati. «Cosa vuoi sapere, Vincent? Quanti anni ho? Quanta gente ho ammazzato? Se sono irascibile appena sveglia?» Si era alzata alle cinque e mezza quel mattino, e adesso avrebbe davvero gradito un bel sonno ristoratore. «Non voglio interrogarti, solo parlare» ridacchiò Vincent. Solo ora si accorse che il suo collega stava bisbigliando. Con la vista ancora annebbiata dalle ampie espirazioni di Morfeo, Cordelia socchiuse le palpebre per osservare l’interno dell’auto. Nathaniel stava dormendo, la testa appoggiata sulla spalla sinistra. Il suo collo avrebbe protestato al momento del risveglio. Toretto invece era ancora alla guida, ma aveva nelle orecchie un paio di cuffie. Stava canticchiando qualcosa in una lingua tutta sua, uno strano miscuglio di inglese e milanese. Il paesaggio al di fuori dell’auto era radicalmente cambiato. Non si trovavano più in autostrada, bensì su una stradina tutta curve in leggera salita. Il sole, ora visibile in tutto il suo splendore, sembrava tingere di luce il cielo del mattino. Larghi campi arati si altalenavano a isole erbose e piccole macchie alberate, in un panorama così diverso da quello artificiale della città che sulle prime ne rimase spiazzata. L’orologio che portava al polso indicava le dieci e dieci. Non doveva mancare molto all’arrivo. «Forza, spara!» disse Cordelia, quando gran parte dei suoi sensi si rifocalizzarono sul mondo reale. «Ok, una domanda personale. Stato civile?» «Perché ti interessa?» rispose la ragazza di rimando. «Perché se tu morissi dovrei pur avvisare qualcuno, no?» disse l’altro, mantenendo il sorriso sulle labbra. «Senza secondi fini, quindi. D’accordo» una risatina le scoppiò inaspettata a fior di labbra «be’, se morissi dovrai avvisare i miei, sempre che gli interessi se ancora respiro o meno.» «Rapporto difficile?» «Non ti conosco abbastanza per parlartene» rispose Cordelia con calma, troncando il discorso «tu, invece? Non credo tu abbia moglie o figli.» «No, sono un lupo solitario io. Certo, non disdegno un po’ di compagnia ogni tanto.» Era un occhiolino, quello? Ti sei fatto un’idea sbagliata della sottoscritta. «Da quanti anni fai questo lavoro?» sentì dire a Vincent. La domanda emerse annaspando dal mare dei suoi pensieri, flebile e lontana. «Tre anni circa, da quando ne avevo ventuno. Avevo bisogno di lavorare. I miei…» Cordelia voltò il viso verso il finestrino e digrignò i denti. Stava per sfuggirle di bocca. Ne aveva già parlato con molte persone, ma non aveva intenzione di parlarne con uno sconosciuto, soprattutto se doveva lavorarci insieme. Il suo tono di voce era amaro e Vincent non volle insistere. Fu Cordelia a riprendere il dialogo, cambiando argomento. «Sai perché Nathaniel ha deciso di assumere ben due sicari? Il vero motivo. Per un semplice rapimento gliene sarebbe bastato uno.» Ora fu Vincent a rimanere sorpreso. Sbatté le palpebre due volte, quindi rispose. «N-Non me l’ha detto» balbettò. Poi serrò d’istinto la mascella, quasi a punirsi; la risposta non era suonata granché sicura. «Vuoi forse dirmi che un professionista come te non glielo ha chiesto?» insisté Cordelia. A Vincent bastò questo lasso di tempo per riassestarsi e preparare una risposta convincente. «Sì, cioè, non a lui direttamente. L’ho chiesto alla sua collaboratrice, a Melissa. Ha scelto noi due perché ci completiamo. Tu hai l’agilità, io ho la forza: è perfetto!» Cordelia si volse a guardarlo. «Quindi» continuò Vincent «la collaborazione potrebbe essere la nostra arma vincente. Sei disposta ad accettarla?» Vincent le tese la mano destra. Cordelia lo fissò negli occhi, profondi eppur vacui. Nel castano sporco delle sue iridi danzava la sua immagine riflessa. Non era sicura, ma gli prese la mano e ricambiò la stretta. Un acuto assolo di chitarra esplose all’improvviso nell’abitacolo e invase l’automobile, assordando i due killer che fino ad allora si erano sintonizzati sul reciproco sommesso sussurrio. Toretto si era tolto le cuffie e aveva staccato il jack dalla porta Usb. Cordelia sollevò lo sguardo e lo fissò sul parabrezza. Un cartello chiazzato di terra sovrastava l’auto proprio di fronte a loro. Sulla superficie biancastra campeggiava la scritta “Fasterna”. «Chissà dove cazzo sta l’Ostello» proruppe Toretto con voce tonante. Doveva ancora abituarsi al mondo ovattato al di fuori delle cuffie. Nathaniel sollevò la schiena, guardandosi intorno confuso. Erano arrivati. 4 Fasterna appariva proprio come i quattro membri del gruppo se l’erano aspettata. Le viuzze strette tipiche dei paeselli di montagna si inerpicavano vertiginosamente fino alla parte centrale della città, che si sviluppava invece piuttosto in piano. Le casette in mattoni, strette le une alle altre come pendolari in metropolitana, avevano finestre molto piccole per disperdere meno calore possibile; in inverno la temperatura scendeva diversi gradi sotto lo zero, e anche se dicembre non era ancora inoltrato, Cordelia pensò che quella sera avrebbe dovuto indossare una giacca pesante. In effetti la visione d’insieme di Fasterna imbiancata dalla neve doveva essere l’immagine perfetta per una cartolina. Avvicinandosi al centro città, l’asfalto cedeva il passo a larghe piastrelle biancastre che dovevano aver conosciuto diverse generazioni. Un’imponente chiesa giganteggiava sul lato destro della piazza nella sua spartana costruzione in pietra. Nel largo sagrato di fronte all’entrata un gruppo di bambini giocava a calcio. Toretto trovò parcheggio in uno spiazzo erboso, di fianco a un pick-up blu notte. Proprio davanti a questo parcheggio improvvisato si trovava l’Ostello del Montanaro. «Torno subito.» Nathaniel scese dall’auto e si diresse verso l’Ostello, da cui tornò pochi minuti dopo. «Prendete.» Il boss aveva in mano tre piccole chiavi metalliche, bordate nella parte arrotondata da un gommino verde consunto. «Cordelia, stanza sette. Vincent, stanza sei. Toretto, stanza cinque. Io sarò nella tre.» Fece una pausa perché tutti intascassero le chiavi, poi riprese. «Adesso ci divideremo. Ciascuno andrà a pranzare per conto proprio, poi avrà pomeriggio e sera per girare la città. Voglio informazioni, di qualsiasi tipo. E magari anche avvistamenti. O ancora meglio, portatemi subito Alessia.» Era serio, nessuna risata. Difficilmente lo avrebbero visto ridere ora che la missione per la cattura di Alessia aveva preso ufficialmente il via. «Ci ritroveremo alle 2:30 nella mia stanza. Stanza numero tre, ricordate. Confido che riusciate a scoprire qualcosa fin da oggi.» «Ci sentiamo col cellulare se ci sono problemi?» chiese Toretto tra gli sbadigli. «Esatto. Se vedete la ragazzina, cercate di acchiapparla solo se tenta la fuga» scandì lentamente Nathaniel. I tre fecero cenno di aver capito. Uno alla volta scesero dall’auto. Nathaniel si incamminò verso il centro, mentre Toretto si diresse verso l’Ostello con un sacchetto nella mano, pronto a un sonno ristoratore. Cordelia si guardò intorno, poi fece per incamminarsi verso un gruppo di indicazioni stradali. Una mano le si appoggiò delicatamente sulla spalla. «Ti andrebbe di pranzare insieme?» le chiese Vincent «offro io, ovvio.» «Ma Nathaniel ha detto…» «Pranzare da soli? E che senso avrebbe? Certo non intendo lavorare durante l’ora di pranzo! E poi, se ci presentassimo come una coppia desteremmo meno sospetti.» Cordelia non era sicura. Si morse il labbro, volse lo sguardo altrove per prendere tempo. Infine rispose. «D’accordo. Male non può farci.» Cordelia e Vincent scelsero una pizzeria. «Un tavolo per due, grazie» disse Vincent al cameriere, che tolse dall’orecchio sinistro la cuffia del suo lettore mp3. L’interpellato, un gigante in t-shirt rossa e jeans blu, si volse guardandolo divertito; aprì la mano destra e disegnò un ideale semicerchio, indicando i tavoli: tutti, eccetto due, erano vuoti. «Può sedersi dove vuole, come vede» gli rispose il cameriere con malcelata ironia «passo a prendere l’ordinazione tra un po’.» Vincent e Cordelia si diressero a un tavolino appartato, proprio sotto una larga finestra. All’altro tavolo occupato stava un ragazzino che non sembrava molto contento del suo appuntamento tête-à-tête con una pizza quattro stagioni. Avrebbe sicuramente preferito ben altra compagnia. Ogni tanto sollevava svogliatamente una fetta e ne sbocconcellava qualche morso, mentre sfogliava un fumetto. Vincent aprì il sottile menu a due pagine della pizzeria. «Sentiamo, cosa prendi?» «Prosciutto e funghi, ovvio!» rispose Cordelia, spalancando scherzosamente gli occhi «siamo o no in montagna?» «Facciamo due allora» acconsentì Vincent «e due birre medie?» «Preferisco una Coca.» Vincent annuì, quindi chiamò il cameriere e riferì l’ordinazione. «Ti ho vista scocciata stamattina per il mio ritardo» esordì Vincent «non sarai mica fissata con la puntualità?» «È una delle cose più importanti» gli rispose «avrai una buona scusa per oggi, vero?» «Certo» ridacchiò lui di rimando «il treno era in ritardo. Non so tu, ma io non abito a due passi da Busto. Mi è toccato andare in stazione alle cinque per arrivare al luogo dell’appuntamento a un orario decente.» «E da dove verresti, se non sono indiscreta?» «Attualmente da Milano, ma è solo una residenza provvisoria, come al solito. Tu di dove sei invece?» «Periferia, provincia, come vuoi chiamarla. Ti direi anche il nome del mio paesello, ma sicuramente non lo conosci.» «Mettimi alla prova.» «Olgiate Olona. Ti dice qualcosa?» «Nah, vuoto assoluto. A sapere che ci abitava una ragazza come te, magari avrei pensato di farci un salto.» «Sono qui per lavorare, non per sposarmi» tagliò corto la ragazza. «Nessuno ha parlato di matrimonio, mi sembra» la pungolò l’altro «non sono qui per mettere fedi, te lo assicuro.» Il cameriere arrivò con le bibite e posò i bicchieri di fronte a loro, silenzioso e menefreghista. Era rimasta scottata dallo squallore di quella battuta, sufficiente a definire la persona che le stava davanti. Si nascose dietro a un lungo sorso di Coca, impegnata a far sgattaiolare lo sguardo lontano dagli occhi di Vincent. Quando arrivarono le pizze, sul tavolo regnava il mutismo. A Cordelia era passata d’improvviso la fame. A quanto pareva, avrebbe dovuto aggiungere una crocetta sulla sua agenda mentale anche di fianco al nome di Vincent. Oramai, con tutte quelle crocette a danzarle nella mente, più che un elenco di nomi quello sembrava un cimitero. «Buonissima» disse Vincent, con una fetta di pizza che gli penzolava dalla mano. «Già.» Trascorsero una buona ventina di minuti al tavolo, Vincent trangugiando la sua pizza, Cordelia piluccandola pian piano. Eccezion fatta per qualche sterile scambio di battute, il silenzio avvolse i due come una pesante coperta. La loquacità si era dissolta dalle labbra sottili della ragazza, e per quanti tentativi Vincent facesse per indurla parlare, Cordelia liquidava la risposta in uno scarno monosillabo. Lo capiva dal suo atteggiamento, dal suo modo di stare seduto a tavola proteso verso di lei, dalle smorfie del viso, dagli sguardi: quell’uomo trasudava desiderio, e lei conosceva bene quel genere di persone. Vediamo di finire questo lavoro, poi tronchiamo ogni legame. Non sono una puttana e lo capirai. Le tornò in mente il viso torvo della madre in quelle tante sere, tra i quattordici e i diciotto anni di Cordelia, in cui si avvicinava minacciosa al letto della figlia. Sua mamma era una donna di un metro e settanta, con un fisico invidiabile per i suoi quarant’anni. I corti capelli, tinti di biondo, incorniciavano un viso reso liscio da una miriade di interventi chirurgici, dove spiccavano un naso esteticamente perfetto e due labbra strabordanti botulino. Il seno prorompente e i fianchi stretti la rendevano certo attraente, nella sua artificialità. Ma poteva permetterselo. Il padre del marito, nonno di Cordelia, era morto a soli sessantotto anni di cancro alla prostata, e aveva lasciato al figlio un’eredità quantificata in parecchi milioni. Dopotutto, l’unico motivo per cui sua madre aveva sposato quell’ometto debole e paffuto era la sua ricchezza. Al tempo del matrimonio, sua madre era una donna meravigliosa, nata in una famiglia povera. Aveva servito come cameriera, come sguattera in un pub, aveva fatto da baby-sitter rubacchiando in alcune case, e raggiunta la maggiore età aveva lavorato come spogliarellista in alcuni night club della zona. Qualche volta si era anche prostituita. A vent’anni aveva conosciuto il suo futuro marito in un supermercato in cui faceva la cassiera part-time; aveva notato senza difficoltà il rigonfiamento del suo portafogli, e aveva mosso il suo primo attacco. Lo aveva sedotto in poche settimane, e spinto al matrimonio in pochi mesi. La donna aveva insistito per trasferirsi lontano dalla loro città per fuggire da quella nomea di puttana che la perseguitava, in cerca di una rispettabilità che agognava fin da ragazzina. E ora, mentre il marito gestiva il patrimonio e l’azienda tessile ricevuta dal papà, la moglie scialacquava i suoi soldi in palestre, yoga e chirurghi estetici. Sua madre riteneva fondamentale l’apparire; voleva avere quella reputazione di donna raffinata e per bene che non era mai riuscita ad avere per colpa dei suoi genitori. Ma Cordelia incrinava la loro reputazione, come sua mamma le ricordava sempre con quel viso quel viso contratto che la squadrava dal bordo del letto. Era una sera tranquilla quando successe la prima volta. I ricordi le inondarono la mente. «Sabrina, sei sveglia?» Sabrina… Era quello il suo vero nome. Aveva scelto di farsi chiamare Cordelia quando aveva cominciato a lavorare come sicario. La ragazzina, quattordici anni compiuti il mese prima, si tolse le cuffie del lettore CD dalle orecchie, squadrando intimorita la madre. Nonostante nessuna ruga le solcasse il viso (e come avrebbe potuto?) Sabrina capì subito che quello non era certo un volto disteso. «Sì, mamma. Sto ascoltando un po’ di musica prima di…» «Posso parlarti?» la interruppe la madre, senza attendere risposta «sei uscita con un ragazzo ultimamente?» Le labbra di Sabrina si aprirono, pronte a dire no, ma subito si costrinse a stringere i denti. Lei lo sapeva, era inutile negare. Spense il lettore e ripose il CD nella custodia. Cercava di prendere tempo per capire cosa volesse la mamma. Sì, era uscita con Alex, quello carino della sua classe. Avevano mangiato un gelato insieme, fatto una passeggiata al parco e alla fine avevano parlato un po’ seduti su una panchina del parco. Niente di compromettente. Ok, sotto allora! «Be’, sì, l’altro ieri. Siamo stati in gelateria e poi al parco. È stato molto simpatico e mi ha offerto il gelato.» Accennò un sorriso; sperava che raccontarle quel gesto le avrebbe fatto capire quanto gentile fosse Alex. «Carino» rispose la madre, alzando gli occhi al soffitto «e vi siete divertiti al parco?» è solo una mamma curiosa per il primo appuntamento della figlia, è solo una mamma curiosa per il primo appuntamento della figlia «Sì! Prima abbiamo passeggiato un po’, e poi ci siamo seduti su una panchina a parlare» Cordelia non fece nulla per nascondere l’entusiasmo che le montava nella voce mentre parlava di lui «sai che gioca a calcio? Ha detto che è l’attaccante titolare della sua squadra, e che è bravo!» «Ascolta Sabrina, mi fa piacere che tu esca con questo ragazzo. Però, non posso accettare che tu ti… conceda così facilmente.» Conceda? «Scusa mamma, ma non capisco.» «Oggi sono andata a parlare col tuo professore di italiano, il prof. Castelli. Avevamo un colloquio, ti ricordi?» Cordelia annuì. Il prof aveva chiesto di parlare con alcuni genitori in merito alle ultime votazioni. Già, lei non era un asso in letteratura italiana. «Ecco» proseguì la madre «a un certo punto il prof mi ha chiamata. “Signora Ramenghini” mi dice “le chiedo scusa, ma devo fare una chiamata urgente. Se può attendere altri cinque minuti”. E io “certo” gli ho detto “non si preoccupi”.» Non solo la donna recitava come fosse un film il colloquio avuto con il professore, ma mimava i loro gesti. Era incredibilmente composta quando si trovava “nella società”, ma all’interno delle mura di casa abbandonava senza accorgersene tutti i suoi modi costruiti e il suo comportamento grottescamente affettato: sembrava la caricatura di se stessa! «Quando chiude la porta, una signora mi si avvicina e si presenta come la madre di un certo Alessandro. Era certa dovessi conoscere il nome di suo figlio. Eppure, vuoto assoluto! E sai cosa mi ha detto allora? Che suo figlio era uscito con mia figlia, Sabrina Ramenghini. Immagina che faccia ho fatto!» Perché, riesci ancora a modellare espressioni facciali? «Mi ha parlato di suo figlio, che gioca a calcio, che ha buoni voti, è un bravo ragazzo. E fin qui tutto bene. Poi però mi ha riferito cosa ha detto suo figlio del vostro appuntamento ai suoi amici; che tra l’altro è la stessa cosa che il buon Alessandro ha detto a tutti i suoi compagni di squadra. Su quella panchina, già alla prima uscita» terrificante pausa «vi siete baciati! Con la lingua! La lingua!» Sabrina fece per protestare, ma la mamma era salita ormai sulla pericolosa altalena della rabbia. «E non solo! Dopo il bacio, ti avrebbe anche toccato una tet… un seno! Un seno! Dio, avete quattordici anni, siete al primo appuntamento, e subito vi fate dominare dagli ormoni!» Sabrina era allibita. Che cosa?! Io avrei fatto cosa?! «Questo è incredibile, Sabrina! Pazzesco! Tu fai parte di una famiglia rispettabile, con una reputazione. Come pensi che possiamo farci vedere tra i nostri amici, io e tuo padre, se gira voce che nostra figlia è una facile?» «Ma mamma, non è vero! Non ci siamo baciati e non mi ha mai toccata, mai!» strillò la ragazzina, anche solo per bloccare l’attacco isterico della madre. La voce di Sabrina era già incrinata dal pianto. «La mamma di questo Alessandro mi ha detto che dovrei educare meglio mia figlia, che non posso permetterle di dare così poco conto al proprio corpo e ai propri sentimenti. E come mi guardavano gli altri genitori! Glielo leggevo negli occhi: “Ma con chi è capitato in classe mio figlio?”. Ero così imbarazzata. Chissà cosa pensano ora di te. Di noi!» «Mamma, devi credere a me. È stata tutta un’invenzione di Alex!» «Ah, questo non lo so Sabrina. Ma se è vero che è tutta fantasia, devi far smettere queste voci. Smettere! Hai capito? O la gente comincerà a trattarti come una puttana!» strepitò. La signora scrollò le spalle impettita, quindi uscì dalla stanza sbattendo la porta. Una volta fuori, cercando di nascondere la collera, le urlò “Buonanotte”. Con le lacrime che già le scivolavano lungo le guance rosee, Sabrina rimise le cuffie alle orecchie. Premette il tasto Play, anche se non c’era alcun Cd nel lettore. Chiuse gli occhi, e si addormentò seguendo il ritmo dapprima incalzante, poi sempre più lento, dei singhiozzi che le squassavano il petto. «Dolce?» Cordelia sollevò la testa di scatto, fissando gli occhi persi in quelli di Vincent. «N-no, grazie» biascicò. «Ci porti il conto allora, per favore» disse Vincent al cameriere. «Non deve chiederlo come fosse un favore» gli rispose il ragazzotto «è la parte più bella del mio lavoro.» Scomparve nuovamente nella cucina, per fare ritorno pochi minuti dopo. «Sono ventitré euro.» Vincent pagò in contanti, rifiutando galantemente la banconota da dieci che Cordelia gli aveva allungato. «Non ci provare nemmeno!» le disse, con un sorriso che le parve sincero. Sincero come quello di Alex alla gelateria, quando fece tintinnare le cinquecento lire sul bancone. «Be’, allora potrei anche ripensare al dolce.» Vincent rise e la sua risata contagiò Cordelia, che scacciò per un attimo dalla mente le nebbie del timore. Si diressero al bancone per prendere un caffè prima di cominciare a lavorare, il clima fra loro ora più disteso. «Hai qualche idea su cosa fare quando usciremo di qua?» chiese il killer alla ragazza. «Pensavo di fare un giro in città e parlare un po’ con i bambini. Secondo me è da loro che avremo le informazioni migliori, vista l’età di Alessia.» «I bambini? Credi parleranno così facilmente a una sconosciuta?» «Malfidente! Io ci so fare coi marmocchi. Non sono un energumeno spaventoso, io!» disse Cordelia, prima di scoppiare a ridere. Vincent si sentì sollevato a quel suono. «Però sono bambini, lavorano tanto di fantasia. Parlando poi di una ragazzina acrobata, immagino cosa possa venir fuori.» Il suo entusiasmo non ne fu smorzato; aveva preventivato questa difficoltà, ed era pronta ad affrontarla. «Gestirò il problema sul momento. Il mio istinto è imbattibile!» Vincent mimò il gesto del levarsi il cappello. Chapeau, sembrò dirle. «E tu, Vince, cosa pensi di fare?» Ecco la domanda che stava aspettando. Il momento della verità, capire se c’era qualche possibilità di avere quel corpo fin da subito tra le sue mani vogliose. «A dire il vero, non ho idee precise» disse, grattandosi il mento «e se venissi con te? In due lavoreremmo meglio.» Cordelia abbassò lo sguardo sul banco. Non aveva alcuna voglia di trascorrere altro tempo con lui, senza contare che avrebbe interferito con il suo lavoro. «Sai» cominciò allora «credo sarebbe meglio che ciascuno lavorasse per sé, oggi. Avremo più possibilità di trovare qualcosa, lontani da distrazioni.» Vincent colse al volo le sue vere ragioni, e scoprì che si incastravano perfettamente con i silenzi e gli sguardi sfuggenti del pranzo. Non che si sarebbe arreso. Quella ragazza aveva un corpo incredibile, ed era certo che dietro a quell’apparente tranquillità stava lo spirito feroce e selvaggio di un’assatanata. Quei lunghi capelli neri, gli ipnotici occhi verdi, le forme procaci ed eleganti. «Allora ci si vede stanotte Vince. Stanza numero tre.» Vincent annuì distratto, poi le sorrise. La osservò allontanarsi languida da lui, seguendo con lo sguardo il moto oscillante dei suoi fianchi. Ti avrò, stanne certa, rimuginò Vincent. Lasciami solo pensare. 5 Subito dopo essere uscito dal ristorante dove aveva pranzato, Nathaniel si era diretto alla cartoleria più vicina per acquistare un taccuino e una penna. Aveva scelto di fingersi un giornalista del Corriere della Sera; una testata famosa il cui nome, così presumeva, avrebbe indotto la gente a parlare senza remore. In realtà, però, ottenere informazioni non si stava rivelando così facile come aveva immaginato. Aveva già fermato un buon numero di persone, ma la maggior parte non aveva voglia di perdere tempo per la carta stampata. Forse con una videocamera, spacciandosi per l’inviato di un telegiornale, avrebbe avuto vita più facile. Girare per il centro non aveva portato alcun risultato, quindi Nathaniel decise di addentrarsi nelle viuzze più interne. Le mura scrostate delle case accompagnavano la sua lenta camminata, mentre il ciottolato della strada non asfaltata scricchiolava sotto le scarpe. Fasterna era piena di gatti che gli zampettavano davanti, ondeggiando la coda flessuosa a ogni passetto. Per fortuna non era scaramantico, o avrebbe dovuto cambiare strada così tante volte da perdersi. Il suo girovagare lo portò di fronte a un bar assai rustico, il “Cats”, come recitava l’insegna di legno. All’interno, intorno a un tavolo dismesso, stavano quattro anziani intenti a giocare a carte. Qualche “oh Gesù” o “Maria Santissima” lo raggiungeva ogni tanto mentre dall’esterno sbirciava gli altri tavoli. Erano tutti vuoti; oltre agli arzilli vecchietti, in quel bar c’era solo il commesso. Decise di entrare, e si avvicinò ai quattro giocatori. «Ehi, giovanotto, ti va una chiamata?» gli chiese il più smilzo di loro da sotto un paio di larghi baffi «è un’ora che aspettiamo il quinto!» Nathaniel annuì all’anziano e si presentò come Lorenzo Canavesi, poi fece cenno con la mano destra per richiamare l’attenzione del barista. «Una birra media.» Si sedette, poi chiese: «Giocate a soldi qua?» L’anziano alla sua destra, che si presentò come Sergio, scosse la testa vigorosamente. «Giochiamo per divertirci qui, non siamo mica una bisca per delinquentelli.» «Giusto, giusto» gli fece eco Valerio, gli occhi fissi sul mazzo di carte che stava mescolando. Lunghi capelli color dell’argento gli incorniciavano il viso duramente squadrato. Dopo aver guardato i compagni negli occhi, distribuì le carte. Nathaniel diede uno sguardo alle sue, nascondendo il sorriso compiaciuto dietro a una collaudata faccia da poker. «Chiamo io, vero?» chiese. Gli altri annuirono. «D’accordo. Fante.» «Gioventù aggressiva. Io passo» scoppiò a ridere Giulio, che gli parve essere il più anziano del gruppo «non credo di averti mai visto a Fasterna, o sbaglio? Vieni da lontano?» Il barista appoggiò il boccale ricolmo di birra di fronte a Nathaniel, che cominciò a sorseggiarlo. «Due ore d’auto circa» rispose «c’è una cosa qui a Fasterna che mi interessa.» I quattro si guardarono l’un l’altro, poi Valerio prese la parola. «Passo anche io. Scommetto che è per la bambina, vero?» «Esatto. Da cosa l’ha capito?» «Dammi del tu, ragazzo, o mi fai sentire più vecchio di quanto non sono» sghignazzò Valerio «comunque è facile capirlo. Non c’è una beata mazza qua a Fasterna che possa interessare un borghesotto, se non una baracconata.» L’occasione era buona. Nathaniel fece per estrarre il taccuino e la penna, ma si bloccò alle parole di Giulio. «Ehi, non sarai mica un giornalista, vero? Quegli imbrattacarte, per mettere insieme qualche parola, prendono più soldi di quanti ne prendo io, che ho fatto La Guerra, con la mia pensione.» Nathaniel sorrise nervoso, quindi scosse leggermente la testa. Nel frattempo anche gli altri due avevano passato. Nathaniel era sicuro che meglio avesse giocato, più gli altri avrebbero parlato. «Fante di fiori» annunciò allora. Le facce degli altri giocatori rimasero impassibili, ma l’un l’altro si adocchiarono con circospezione. La partita proseguì per qualche minuto immersa nel silenzio concentrato dei giocatori. Nathaniel decise di impegnarsi con le mani successive per garantirsi la simpatia dei quattro vecchietti, per poi affondare il discorso nell’argomento che più gli premeva. «Ma allora sono vere le voci che girano su di lei?» cominciò a un certo punto il fantomatico Canavesi «che abbia un’agilità incredibile, tanto da camminare senza problemi sui cavi del telefono?» Si aspettava qualche sonora risata, ma i quattro rimasero serissimi. Sergio si grattò vigorosamente il pizzetto, quindi prese la parola. «Eh sì, Lorenzo. Io l’ho vista un bel po’ di volte, sai? Se sei fortunato, potresti vederla domani» disse, mettendo sul tavolo un quattro di cuori. Fine dell'anteprima Ti è piaciuta? Acquista l'ebook completo oppure guarda la scheda di dettaglio dell'ebook su UltimaBooks.it