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CONTENUTI SPECIALI DI QUESTO
E-BOOK:
Lo “Spizz”
La maledizione dei
Lawrence
Davide Donato
Noir
Trovi la prima parte del
romanzo (circa il 20%
dell’intero volume) in fondo
all’ebook principale.
Una villa nel verde della campagna inglese,
abbandonata da anni.
Due giovani in cerca di pace e tranquillità.
Un libro che racconta una storia, non
ancora giunta alla sua fine.
Un gioco orribile a cui non è possibile sottrarsi, tra enigmi e un'inquietante maledizione che aspetta silente tra le pagine consunte di un vecchio manoscritto.
STEFANO
VIGNATI
La Piccola
Equilibrista
www.0111edizioni.com
www.0111edizioni.com
www.ilclubdeilettori.com
La Piccola Equilibrista
Copyright © 2011
Zerounoundici Edizioni
Stefano Vignati
ISBN: 978-88-6578-087-9
In copertina:
Immagine Shutterstock.com
A Te,
che mi hai spinto a crederci
davvero
e
A Chi
mi ha fatto amare lo Scrivere
e il Leggere
1
«La Piccola Equilibrista, eh?»
«Esatto.»
Nathaniel
corrucciò
la
fronte,
grattandosi il pizzetto ispido. Era
proprio l’attrazione che gli mancava per
rendere perfetto il Circo.
Nella sudicia saletta della sua roulotte,
il giovane imprenditore sedeva su una
poltroncina rossa con due braccioli in
finto oro finemente intarsiati. L’aveva
acquistata per pochi spiccioli solo un
mese prima da un ladro che se ne
voleva liberare al più presto.
Certo quell’oggetto stonava con il resto
dell’arredamento. La tappezzeria era
rigonfia in alcuni punti a causa delle
infiltrazioni d’acqua, e la muffa
cominciava a intaccare le tendine
trasandate. Nathaniel odiava dover
spendere soldi per la propria roulotte,
dato che trascorreva la maggior parte
del tempo nel camper di testa. La
lampada gettava una luce fioca sui due
presenti.
«Descrivimela»
disse
Nathaniel
allungando il sorriso spigoloso, e
appoggiando il mento puntuto sulle
mani incrociate.
Si volse un attimo verso lo specchio,
costellato di scheggiature e macchie di
cerone. Le prime rughe di espressione si
stavano disegnando sul suo viso di
trentasettenne, frastagliando in crepe
ondulate la fronte spaziosa. Gli occhi, di
un verde profondo con screziature
dorate, si posarono per un istante su
quei capelli corvini che cominciavano a
mostrare un’incipiente brizzolatura.
Tornò a guardare Toretto. Entrambi
avevano scelto di chiamarsi con nomi di
fantasia per il Circo, per renderlo più
affascinante agli occhi dei clienti, e
avevano finito con l’utilizzare quei
soprannomi ogni volta che si parlasse di
lavoro.
Il grasso aiutante, fradicio di birra, si
sedette di fronte al capo, spigolando gli
ossicini rimasti impigliati dalla cena
nella lunga barba.
«Si chiama Alessia. Ha quindici anni,
forse sedici. Le mie fonti sono piuttosto
vaghe» estrasse un unto taccuino
malamente scarabocchiato, poi continuò
«è alta circa un metro e sessanta, capelli
castani, grandi occhi azzurri, molto
carina. Un bambino ha detto che il suo
sorriso assomiglia a una “falce di
luna”.»
Scoppiò in una fragorosa risata che per
poco non lo fece cadere dalla sedia.
Nathaniel ignorò l’esplosione d’ilarità
del collega. Sentiva l’odore pungente
della birra che esalava dalla bocca di
Toretto, e conosceva bene quali fossero
le dosi di alcool che quell’uomo era
capace
di
ingerire.
Nonostante
l’ubriachezza,
però,
l’omaccione
rimaneva uno dei suoi più fidati
dipendenti, quindi lasciò che l’accesso
di risa terminasse prima di intervenire.
«Sembrerebbe un soggetto interessante,
e pare confermare ciò che mi avevi
anticipato. È davvero così brava in
quello che fa, Toretto?»
«È impressionante, boss» ripose quello
annuendo «io l’ho vista e quasi non ci
credevo. Saltellava sui lampioni e sui
tetti senza mai fermarsi, e correva
velocissima. Una cosa pazzesca!»
Gli occhi del ricco padrone del circo si
illuminarono.
«Sappiamo come trovarla? Che zone
frequenta, in quali orari, se esce sola o
in compagnia?»
«Fammi controllare» Toretto impiegò
qualche secondo a elaborare la risposta
«bazzica perlopiù la periferia, qualche
volta va in centro per le sagre, o qualche
festa del paese. Soprattutto la sera, a
volte il pomeriggio. E per quel che ne
so, esce sola. Al massimo qualche
bambino la segue lungo la strada. Ah,
giusto, senti questa! Dicono che non
cammini per terra come tutti, ma che se
ne vada in giro passeggiando sui fili del
telefono.»
Nathaniel spalancò gli occhi, già
subodorando l’affare.
«Capirai certo che un esborso di soldi
come quello a cui sarei tenuto per
questo impiego merita una ragazzina
veramente capace» Nathaniel scandiva
per bene le parole, in modo che anche
Toretto potesse capirlo fino in fondo
«non mi bastano fonti vaghe. Voglio
certezze.»
L’altro sogghignò rumorosamente,
facendo ampi cenni con la testa.
«Te la do io la certezza, boss. Sai che
ho fiuto per queste cose, e non ho mai
sbagliato.»
Questo non si poteva negare; quando si
trattava di scovare talenti a buon prezzo,
Toretto era un maestro. Nathaniel lo
sapeva, e si fidava ciecamente di quel
suo sesto senso.
«Pensi che potresti bastare tu per
catturarla, magari se ti facessi
accompagnare da un paio di ragazzi?»
«No» rispose l’omaccione barbuto
senza indugi «serve gente specializzata
per questa bimba. Serve uno che riesca
a tenerle dietro nella corsa, e che non si
faccia problemi se dovesse farle del
male.»
«Farle del male?» ripeté Nathaniel
inarcando un sopracciglio «mi serve
un’equilibrista, Toretto, non un
rottame.»
L’altro annuì serioso, massaggiandosi la
spalla sinistra.
«E allora a maggior ragione ti serve uno
bravo.»
Nathaniel si stravaccò sulla sedia e
volse la testa verso il soffitto crepato.
Per un attimo rimase in quella posa a
fissare il vuoto, tanto che Toretto
cominciò a chiedersi se si fosse
addormentato. Poi, d’improvviso, scattò
in avanti, poggiò i gomiti sulle cosce e
sorrise compiaciuto.
«Ho le persone che fanno per noi
Toretto.»
«Persone?»
«Già. Sono due sicari, ma per un lauto
compenso accetteranno anche un lavoro
come questo. Tu e io andremo con loro,
per assicurarci che la bambina rimanga
illesa. Siamo d’accordo?»
Toretto assentì, quindi sfregò tra loro il
pollice e l’indice.
«Non ancora. Un’ultima domanda»
aggiunse Nathaniel, che ignorò lo
sbuffare insolente del suo dipendente «è
una ribelle o una tenerona? Insomma,
come la vede la gente del luogo?»
Era estremamente interessato alla
risposta, forse anche più che alle
precedenti. Il primo elemento che rende
star un’atleta circense è l’immagine.
Sulla sbiadita tavolozza della sua
mente, Nathaniel stava già disegnando
il manifesto che avrebbe accolto Alessia
al Circo dei Bambini. Si tese verso
Toretto, in ascolto.
Questi sfogliò controvoglia il bloc notes
sgualcito, poi rispose.
«Eh, qui sta il problema boss. I bambini
dicono che è una forza, gli adulti invece
sono sicuri che questa ragazzina sia una
leggenda del posto, che in realtà non
esista. Adesso però ho sete, capo. Hai
qualche spicciolo?»
«Come non esista?» lo interruppe
Nathaniel «sto per investire parecchi
soldi in questa storia, e non voglio
bruciarli, hai capito?»
«Certo, boss. Il fatto è che nel paese
gira voce che Alessia sia solo
un’invenzione dei bambini, una specie
di “amico immaginario”. Ma io ti
assicuro che esiste; l’ho pure vista, mi è
passata tanto vicina che quasi potevo
prenderla. È che non le piace farsi
vedere dai grandi, me lo hanno detto
pure i bambini. Fidati capo, è un
affare!»
Nathaniel non rispose. Si sarebbe fidato
di Toretto anche questa volta, come già
aveva fatto in passato. Dopotutto le
statistiche erano dalla sua. Gli sganciò
giusto un paio di banconote perché le
scialacquasse in qualche birreria.
Sì, un soggetto davvero interessante.
Una ragazzina del genere farà
accorrere al Circo centinaia di
persone!
Alzò la pesante cornetta del telefono,
poi compose lentamente un numero a
dieci cifre.
«Prepara l’auto, partiamo domani. Sì, sì.
Io, Toretto, Vincent e Cordelia. Esatto,
proprio loro due. Chiamami Vincent e
passamelo su questo telefono; per
Cordelia lascio fare a te, c’è da
discutere col suo agente e io non ne ho
assolutamente voglia. È un comune di
montagna, ehm… Fasterna. D’accordo
allora, appena sai per la ragazza
aggiornami.»
Riappese, quindi si abbandonò nella sua
comoda poltrona. Chiuse gli occhi, e
fantasticò sugli incassi dei mesi a
venire.
Alessia, la Piccola Equilibrista…
Drinn… drinn…
«Ma chi cazzo?»
Un braccio esile sbucò dalle lenzuola e
si allungò assonnato verso il comodino.
Lì, per quanto ricordava la sua mente
annebbiata, avrebbe trovato il cordless.
La mano sferzò inutilmente l’aria un
paio di volte in cerca della cornetta, ma
riuscì a trovarla solo al terzo tentativo.
«Spero abbiate un buon motivo per
rompere i coglioni a quest’ora della
notte» biascicò al telefono, mentre con
gli occhi semiaperti scrutava la
penombra in cerca della sveglia.
5:03
Emise un verso a metà tra un grugnito e
uno sbuffo.
«Sei la donna della mia vita, piccola»
gracchiò il telefono.
«Marco, figlio di buona donna, questa
la paghi doppia» rispose ridacchiando
Cordelia «io domani devo lavorare,
mica come te che ti scialli tutto il giorno
sul divanetto a bere bourbon.»
«Bourbon, bimba? Nell’ultimo periodo
posso a malapena permettermi il vino
del discount!»
La ragazza abbozzò un risolino con la
bocca ancora impastata dal sonno, come
se chili di mastice le bloccassero la
mascella.
«Sono sicuro che saprai scusarmi una
volta che ti avrò detto perché ti ho
chiamata» riprese l’altro «mettiti
comoda bambolina, e apri le orecchie.»
Cordelia si spinse pigramente contro lo
schienale del letto. I lunghi capelli
corvini le caddero a cascata a lato delle
tempie e giù fino ai fianchi. Qualche
ricciolo ribelle disegnò strani arabeschi
intorno ai suoi occhi di un acceso color
verde smeraldo, e Cordelia li allontanò
con un poderoso sbuffo. Le lunghe
gambe ceree, muscolose e agili, si
accavallarono sotto le coperte per
mantenere un minimo tepore.
«Ho un lavoro per te, sai? Te lo manda
Nathaniel.»
Il corpo della ventiquattrenne fu scosso
da un tremito violento, quando il nome
di quell’uomo le si insinuò tra i ricordi.
Aveva già avuto a che fare con lui; era
stato un lavoro semplice e pulito, ma la
storia che ci stava dietro era ripugnante.
Non erano echi a cui dovesse dare
ascolto a quell’ora della notte, o gli
incubi l’avrebbero tormentata ancora
una volta. Quell’uomo, quel Nathaniel,
era stato molto protettivo nei confronti
dei bambini del suo Circo, tanto da
assoldare un sicario per risolvere quel
problema. E per il resto, non v’era nulla
di particolarmente losco o criminale
nella sua attività.
Dalle labbra di Cordelia non sfuggì una
sillaba, tanto che la lunga pausa indusse
Marco a continuare.
«Dovrai rapire una ragazzina, una
quindicenne, e consegnargliela. Illesa.
Lavoro semplice e ben pagato. Partenza
tra un’ora e mezza circa.»
L’orgoglio da quattro spicci di Cordelia
si attivò d’improvviso.
«Rapire? Ma con chi cazzo crede di
avere a che fare, Nathaniel, eh? Io sono
un sicario! Quindi se vuole il cadavere
di questa ragazzina, perfetto, altrimenti
si cerchi qualcun’altra!»
Dall’altro capo del telefono giunse un
lieve sogghigno.
«Tu gli porteresti il cadavere di una
ragazzina? Suvvia, piccola, sappiamo
entrambi che non ammazzeresti una
bambina nemmeno per un assegno a
dieci zeri!»
«Hai capito cosa intendevo» tagliò corto
l’altra «non posso mettermi a fare
commissioni da oratorio se non voglio
perdere credibilità.»
Cordelia stava già riattaccando il
telefono, quando Marco aggiunse:
«Mille euro subito. Mille a lavoro
ultimato. Sai quanto fa, bimba? Due-mila! Duemila euro per rapire un’orfana!
Cazzo, se rifiuti sarò io a fartela
pagare!»
Cordelia vide le cifre disegnarsi nella
mente. Era un numero seducente, in
tutte le sue curve. Odiava dover
sottostare alla legge del denaro, ma in
quel caso non aveva altra scelta. Il
lavoro che faceva durante la giornata
come cameriera in pizzeria non bastava
a garantirle vitto e alloggio.
Si morse il labbro inferiore fino a
farselo sanguinare.
«Va bene. Cioè, ho bisogno di quei
soldi.»
«Brava Cor, hai fatto la scelta giusta» le
rispose Marco in tono serio, per
incoraggiarla.
«Fra un’ora e mezza hai detto?»
«Esatto. Il ritrovo è fissato nello spiazzo
sterrato di fronte al cimitero di
Sacconago.»
«Ok, ho capito.»
Cordelia prese la sveglia tra le mani e
armeggiò con le logore manopole.
Avrebbe potuto riposare ancora una
mezz’oretta prima di doversi alzare dal
rifugio caldo delle coperte.
«Però»
aggiunse
Cordelia
all’improvviso, quando Marco stava già
per riagganciare «be’… digli che ti ci è
voluto molto tempo per convincermi.
Molto, mi raccomando.»
Una nuova risatina le giunse dall’altra
parte dell’apparecchio, quindi il suono
di un bacio scoccato.
Click, conversazione terminata.
La ragazza si sdraiò di nuovo nel letto.
Il sonno la colse, facendola piombare in
un quieto dormiveglia.
2
La mattina che accolse i quattro
malviventi era fredda e nebbiosa.
L’orologio di Nathaniel segnava le sei e
mezzo, e gli sbadigli di Toretto
confermavano l’esatta posizione delle
lancette sul quadrante. Il ritrovo era
stato fissato in uno spiazzo deserto, un
rettangolo di terra ghiacciata nella
periferia di Busto Arsizio. Anche
l’erbaccia
preferiva
evitarne
la
desolazione; nient’altro che sabbia e
sassi ricoprivano il suolo, turgido per la
temperatura glaciale di quell’inizio
d’inverno. I pochi alberi scheletrici si
stagliavano contro il cielo livido del
mattino, quando anche il sole stava
ancora sonnecchiando. Il boss si era
preoccupato di ridurre al minimo il
rischio di incontrare qualcuno, anche se
il malcapitato passante non avrebbe mai
pensato a una spedizione criminale.
Toretto lo chiamava perfettino, ma lui
preferiva definirsi perfezionista.
Nathaniel, appoggiato con la schiena
alla portiera nera dell’automobile,
adocchiava impazientemente l’orologio.
Lui e Toretto erano arrivati oramai da
mezz’ora al punto di ritrovo, dove
avevano trovato Cordelia già in attesa.
Anche lei era seccata per il ritardo del
quarto membro del gruppo, di cui
ancora non conosceva l’identità. La
gamba destra, avvolta in un aderente
jeans blu notte, martellava il terreno
senza sosta.
«Marco mi ha rivelato che è stato
difficile convincerti ad accettare questo
lavoro» disse Nathaniel al sicario, per
rompere il silenzio «il tuo sterile
orgoglio, vero?»
Cordelia volse lo sguardo dall’altra
parte. Un corvo approfittò del
sopraggiunto silenzio per emettere una
sonora gracchiata, e poi volare via in un
rumoroso sbatter d’ali. Il proprietario
del Circo ne sorrise, divertito. Cordelia
era conosciuta per la sua grandissima
agilità e lestezza, doti che le avevano
permesso di ritagliarsi uno spazio nel
mercato dell’omicidio su commissione.
Probabilmente sarebbe stata più adatta
per altri incarichi, ma la sua fierezza la
portava ad accettare solamente richieste
di omicidio. Perlomeno quando non era
in bolletta.
«Piuttosto» cambiò discorso la ragazza
«vuoi dirmi chi è questo quarto uomo?
Sono stanca di aspettare.»
«Ragazza impaziente. Eccolo che
arriva.»
Cordelia si girò, seguendo con lo
sguardo la linea immaginaria che
partiva dal dito di Nathaniel e terminava
su un robusto uomo in giacca nera che
si avvicinava nella loro direzione,
tenendo
nella
mano
destra
un’ingombrante valigia.
«Lui è Vincent, un tuo collega.»
La giovane lo fissò stranita.
«E perché mai dovresti pagare due
onorari? Se ci sono già io, che bisogno
hai di lui?»
Nathaniel la guardò amorevolmente,
come farebbe un padre di fronte alla
figlia che non riesce a risolvere un
problema di matematica.
«Due specialisti sono meglio di uno.
Voglio solo avere la certezza di non
fallire.»
«Per il rapimento di una teen-ager?»
ridacchiò Cordelia.
«Sei una novizia ancora, lo sai. Con
Vincent farai molta esperienza, fidati.»
«Non penso mi serva un baby-sitter, ma
sei tu il capo» rispose lei con secchezza.
Sentiva la diffidenza di Nathaniel nei
suoi confronti, ma non poteva certo
opporsi a una decisione del suo datore
di lavoro. Duemila, duemila, duemila, si
ripeté per rabbonire l’orgoglio.
Vincent nel frattempo si era accostato a
Nathaniel, salutandolo cordialmente.
Era statuario, alto almeno un metro e
novanta. La giacca che indossava
costringeva a malapena le sue spalle
larghe, e le maniche delineavano
nettamente i muscoli delle braccia. Il
viso squadrato era abbronzato, chiuso
tra folti capelli castani e un mento
tozzo. I suoi occhi neri si posarono su
Cordelia, e ne analizzarono i lineamenti
delicati. Incrociò le braccia, quindi le
rivolse la parola.
«Tu devi essere Cordelia, allora.
Nathaniel mi ha parlato molto bene di
te, soprattutto delle tue doti atletiche»
piccola pausa, studiata, e un leggero
sorriso «e a vederti, le sue lodi
sembrano meritatissime. Sono sicuro
che collaboreremo al meglio.»
Nonostante un attimo di titubanza,
Cordelia sorrise a sua volta.
«L’importante è che non mi intralci»
scherzò la ragazza.
«Vince, stai attento a quella là»
intervenne Toretto con baldanzosa
simpatia «l’ultima volta che le ho
schiaffato una pacca sul culo mi sono
trovato un coltello puntato alla gola.»
La killer lo trafisse con lo sguardo, ma
l’omaccione scoppiò a ridere e si
diresse verso la macchina in attesa.
Spalancò il bagagliaio e vi caricò anche
la valigia di Vincent, incastrandola tra
le altre come un campione di Tetris.
«D’accordo, d’accordo» intervenne
Nathaniel «ora che avete fatto
conoscenza saliamo in macchina. Ho
alcune indicazioni da darvi, e non
abbiamo tempo da perdere.»
Toretto mise in moto l’auto, mentre
Nathaniel prendeva posto sul sedile del
passeggero.
Vincent aprì la portiera a Cordelia. Non
c’era dubbio che la ragazza lo avesse
colpito, quel corpicino non sfuggiva
certo al suo occhio interessato. Anche
se rimaneva una killer di serie B;
Nathaniel non aveva citato solo i suoi
pregi.
Aveva invece calcato il suo principale
difetto.
Al momento della chiamata di
Nathaniel, Vincent si trovava al solito
pub, impegnato a sorseggiare una birra
schiumante. Il killer si trovava nella
saletta principale di quel locale piccolo
e fumoso, seduto al lungo bancone
scheggiato.
«Ehi, Vince!» lo chiamò il barista «ti
vogliono al telefono.»
Il sicario gli rivolse uno sguardo
asettico, quindi annuì lentamente e si
diresse verso di lui.
«Vincent?»
Silenzio. Il killer soleva non rispondere
finché il suo interlocutore non si fosse
presentato.
«Ehi Vince, sono Melissa Reggiani, la
segretaria di Nathaniel, quello del
Circo. Dai rispondi, non fare il
cazzone!»
«Parla.»
«Ti passo il boss, io dovevo solo
sbattermi perché tu rispondessi.»
Un leggero fruscio, quindi una voce
tonante proruppe dal microfono.
«Vincent? Sono Nathaniel. Saltiamo a
piè pari i convenevoli, già ci
conosciamo. Ho un lavoro per te: ho
trovato un soggetto interessante per il
mio Circo.»
Vincent infilò una mano nella giacca e
ne estrasse un piccolo libricino nero e
una penna. Sfogliò velocemente le
pagine fino a trovarne una vuota, quindi
invitò il boss a cominciare.
«È una ragazzina, un’orfana. Dobbiamo
rapirla. Semplice e lineare. Il tuo
compito sarà collaborare al rapimento e,
soprattutto,
eliminare
qualunque
ostacolo si frapponga tra noi e
l’obiettivo. Qualunque. Ho chiamato te
perché sono certo che non ti farai
scrupoli nemmeno di fronte ai
bambini.»
Vincent continuava a scribacchiare
senza sosta. Nathaniel sentiva il suono
tagliente della sua stilografica che
vergava la carta.
«Bambini, hai detto?» intervenne il
killer senza interrompere la scrittura
«verrà a costarti di più se succedesse, e
tu lo sai.»
«Ovvio, Vincent, ovvio. Discuteremo
poi dei dettagli economici. Piuttosto,
oltre a noi due e Toretto ci sarà un’altra
persona, una tua collega. Nell’ambiente
si fa chiamare Cordelia, non so se la
conosci.»
Vincent sollevò il mento d’istinto, in
segno di diniego. Annotò il nome della
ragazza e lo cerchiò due volte.
Dall’altra stanzetta del locale un gruppo
di esaltati cantava cori da stadio.
«E per quale motivo dovrebbe servirti
un altro sicario? Uno non basta per
rapire un’orfana?»
«Non è per questo. Sai, Cordelia ha doti
fisiche eccezionali. Ha una destrezza e
una rapidità senza eguali. È flessuosa
come una contorsionista, roba che
neppure ti immagini; avesse dieci anni
di meno, probabilmente si esibirebbe
nel mio Circo» a Nathaniel sfuggì una
risata che contenne a fatica «è su di lei
che conto per catturare la piccola
funambola. Ma ha anche un difetto: è
troppo emotiva, manca di un po’ di sano
cinismo. Non uccide nessuno se non per
motivi che condivida. Figurarsi uccidere
dei bambini!»
«Sbaglio o mi stai chiedendo di tenere
un occhio anche su di lei?» chiese
Vincent, disegnando una freccia sul suo
libricino.
«È per questo che mi rivolgo spesso a
te, Vince: perché capisci al volo» rise di
gusto Nathaniel «ora ti saluto. Ci
vediamo domani, Melissa ti aggiornerà
su luogo e ora del ritrovo.»
Un tramestio sommesso, la cornetta che
passa di mano.
«D’accordo. Allora Vince, pronto a
scrivere?»
3
«Pronti e ricettivi?»
L’auto si mise in moto, uscendo
lentamente dallo spiazzo sterrato e
infilando a gran velocità la strada
asfaltata. Secondo il navigatore
satellitare che Toretto aveva appiccicato
al parabrezza, li aspettavano almeno
due ore e mezza di viaggio, quindi
avevano tutto il tempo per organizzare
al meglio il da farsi. La voce registrata
della speaker lo indirizzò verso il
cavalcavia per l’autostrada.
Nathaniel appoggiò la schiena al sedile
e chiuse gli occhi, come per leggere
sulla superficie interna delle proprie
palpebre il programma delle successive
giornate. Abbassò il finestrino e si
accese un sigaro, portandolo poi
meccanicamente alla bocca.
«Non abbiamo indicazioni dettagliate;
vaga descrizione fisica, dati incerti sugli
spostamenti, nessuna notizia precisa su
dove
risieda.
Di
conseguenza,
l’obiettivo di questa prima giornata sarà
raccogliere informazioni. Ci divideremo
per coprire ciascuno una zona del paese,
e ci ritroveremo poi in nottata in una
delle stanze che ho prenotato per
radunare le idee.»
«Hai preso in affitto un appartamento?»
chiese Vincent al boss, pronto a
bacchettare un suo eventuale errore.
«No, ho riservato per noi quattro stanze
in un alberghetto di Fasterna. Si chiama
L’Ostello del Montanaro. Non ci sono
stelle o costellazioni nella sua
valutazione, è quanto di più spartano si
possa immaginare. Però non chiede
documenti, purché si paghi tutto in
anticipo.»
Nathaniel si concesse una pausa per
aspirare una boccata, e per lasciare
spazio a eventuali domande. Nessuno
fiatò, eccezion fatta per un colorito
insulto di Toretto a un SUV blu che lo
aveva sorpassato.
«D’accordo» riprese Nathaniel «se
l’esito di queste ricerche fosse positivo,
ci metteremo sulle tracce di Alessia già
domani. In caso contrario, caso che io
spero vivamente non si presenti,
vedremo di basarci su ciò che avremo
raccolto.»
Vincent annotò qualcosa sul suo
libretto, mentre Cordelia lo osservava
con un misto di curiosità e
ammirazione. Lei era un sicario che
viveva d’istinto, non d’ingegno, non
aveva
mai
pensato
a
una
programmazione del genere!
«Vorrei sentire questa vaga descrizione
fisica» intervenne di nuovo il killer
«almeno la riconoscerò se mi passasse
davanti.»
Nathaniel bussò alla spalla destra di
Toretto, richiamando la sua attenzione.
«Tocca a te, Tor.»
«Sì, ehm… era molto buio, però mi è
passata vicina quindi un po’ te la so
descrivere.»
«Sentiamo.»
«Ha gli occhi azzurri che brillano come
quelli dei gatti, li ho visti anche se
intorno era buio pesto. I capelli ce li ha
corti fino alle spalle, ed è alta più o
meno un metro e sessanta. Cioè, io ero
seduto, quindi non sono proprio sicuro.»
«Ha parlato, ha detto qualcosa?» si
informò Vincent, che intanto aveva
trascritto i tratti elencati da Toretto sul
suo notes.
«Non mi pare. Ah no, stava ridendo.»
«Ridendo?» gli fece eco il killer.
«Già. Credo che stesse giocando coi
bambini.»
L’auto imboccò il cavalcavia per
l’autostrada e si imbottigliò nel traffico
del primo mattino. Cordelia registrò
distrattamente le auto che le scorrevano
di fianco. Oltre ai pendolari assonnati,
c’era qualche famigliola che partiva per
il week-end. Una bimba, col viso
premuto contro il finestrino, la salutò
allegramente con la mano paffuta. La
giovane killer le sorrise a sua volta con
tenerezza, agitando la mano in segno di
saluto.
«…delia?»
«S-Sì?» rispose automaticamente la
ragazza, sentendo solo la parte finale
del suo nome.
«Nulla, mi sembravi distratta» disse
Nathaniel «quindi, una volta che
l’avremo trovata sarà compito tuo
catturarla. Spero tu sia allenata, perché
Alessia ha le ali ai piedi. Durante
l’inseguimento» proseguì, voltandosi
verso Vincent «dovrai tenere lontano
chiunque possa disturbare Cordelia. Io e
Toretto nel frattempo prepareremo
l’auto per ripartire in fretta e furia.»
Nathaniel espirò l’ennesima boccata di
fumo, poi aprì il portaoggetti dell’auto e
ne estrasse quattro aggeggi.
«Un telefono cellulare a ciascuno, in
modo da poterci contattare in caso di
bisogno. Ci sono registrati i nostri
numeri, e il credito è più che sufficiente
da durarvi per qualche giorno. Nessuna
chiamata personale con questi, mi
sembra ovvio.»
«Non ci avrai mica messo dentro uno di
quei cosi per rintracciare la gente, eh
capo?» chiese Toretto con un ghigno,
poi il suo volto si contrasse in
un’espressione corrucciata «anche
perché ho sentito che quei cosi fan
venire il cancro al cervello.»
Era una sorta di battuta, era evidente a
tutti, ma Vincent fissò comunque
Nathaniel in attesa di una risposta.
«No, non c’è nulla. Sono semplici
telefoni cellulari.»
Il sigaro, ormai esaurito, seguì una
lunga traiettoria parabolica che lo portò
dalle dita di Nathaniel al duro asfalto
autostradale, lanciandosi alle spalle un
arcobaleno di scintille colorate.
Cordelia appoggiò la spalla sinistra al
lato interno dell’auto e chiuse gli occhi.
Voleva sonnecchiare per recuperare il
sonno perso.
«Adesso godetevi il viaggio.»
«Cordelia? Sei sveglia?»
Sì, adesso lo sono…
«Cordelia?»
Le palpebre erano troppo pesanti perché
potesse aprirle. Dal rumore costante del
motore ricordò di trovarsi sull’auto di
Nathaniel, diretta a Fasterna. Con quel
dolore alla schiena, poi, sicuramente
non era sdraiata nel suo letto. Con voce
pastosa, la lingua ancora troppo
intorpidita per formulare parole chiare,
Cordelia biascicò un “Sì, dimmi” prima
di cercare una posizione più comoda in
cui dormire.
«Dobbiamo lavorare insieme, no?
Credo
sarebbe
ottimo
se
ci
conoscessimo meglio.»
Era Vincent a parlare. Quella mattina lo
aveva trovato attraente, ma ora gli
avrebbe volentieri affondato un coltello
in gola pur di zittirlo.
La ragazza si stiracchiò allungando le
braccia, e sentì tendersi piacevolmente i
muscoli della schiena. Si passò una
mano sulle palpebre, riparando con un
po’ di oscurità gli occhi ancora
assonnati.
«Cosa vuoi sapere, Vincent? Quanti
anni ho? Quanta gente ho ammazzato?
Se sono irascibile appena sveglia?»
Si era alzata alle cinque e mezza quel
mattino, e adesso avrebbe davvero
gradito un bel sonno ristoratore.
«Non voglio interrogarti, solo parlare»
ridacchiò Vincent.
Solo ora si accorse che il suo collega
stava bisbigliando. Con la vista ancora
annebbiata dalle ampie espirazioni di
Morfeo, Cordelia socchiuse le palpebre
per osservare l’interno dell’auto.
Nathaniel stava dormendo, la testa
appoggiata sulla spalla sinistra. Il suo
collo avrebbe protestato al momento del
risveglio. Toretto invece era ancora alla
guida, ma aveva nelle orecchie un paio
di cuffie. Stava canticchiando qualcosa
in una lingua tutta sua, uno strano
miscuglio di inglese e milanese.
Il paesaggio al di fuori dell’auto era
radicalmente
cambiato.
Non
si
trovavano più in autostrada, bensì su
una stradina tutta curve in leggera salita.
Il sole, ora visibile in tutto il suo
splendore, sembrava tingere di luce il
cielo del mattino. Larghi campi arati si
altalenavano a isole erbose e piccole
macchie alberate, in un panorama così
diverso da quello artificiale della città
che sulle prime ne rimase spiazzata.
L’orologio che portava al polso
indicava le dieci e dieci. Non doveva
mancare molto all’arrivo.
«Forza, spara!» disse Cordelia, quando
gran parte dei suoi sensi si
rifocalizzarono sul mondo reale.
«Ok, una domanda personale. Stato
civile?»
«Perché ti interessa?» rispose la ragazza
di rimando.
«Perché se tu morissi dovrei pur
avvisare qualcuno, no?» disse l’altro,
mantenendo il sorriso sulle labbra.
«Senza secondi fini, quindi. D’accordo»
una risatina le scoppiò inaspettata a fior
di labbra «be’, se morissi dovrai
avvisare i miei, sempre che gli interessi
se ancora respiro o meno.»
«Rapporto difficile?»
«Non ti conosco abbastanza per
parlartene» rispose Cordelia con calma,
troncando il discorso «tu, invece? Non
credo tu abbia moglie o figli.»
«No, sono un lupo solitario io. Certo,
non disdegno un po’ di compagnia ogni
tanto.»
Era un occhiolino, quello? Ti sei fatto
un’idea sbagliata della sottoscritta.
«Da quanti anni fai questo lavoro?»
sentì dire a Vincent. La domanda
emerse annaspando dal mare dei suoi
pensieri, flebile e lontana.
«Tre anni circa, da quando ne avevo
ventuno. Avevo bisogno di lavorare. I
miei…»
Cordelia voltò il viso verso il finestrino
e digrignò i denti. Stava per sfuggirle di
bocca. Ne aveva già parlato con molte
persone, ma non aveva intenzione di
parlarne
con
uno
sconosciuto,
soprattutto se doveva lavorarci insieme.
Il suo tono di voce era amaro e Vincent
non volle insistere. Fu Cordelia a
riprendere il dialogo, cambiando
argomento.
«Sai perché Nathaniel ha deciso di
assumere ben due sicari? Il vero motivo.
Per un semplice rapimento gliene
sarebbe bastato uno.»
Ora fu Vincent a rimanere sorpreso.
Sbatté le palpebre due volte, quindi
rispose.
«N-Non me l’ha detto» balbettò. Poi
serrò d’istinto la mascella, quasi a
punirsi; la risposta non era suonata
granché sicura.
«Vuoi forse dirmi che un professionista
come te non glielo ha chiesto?» insisté
Cordelia.
A Vincent bastò questo lasso di tempo
per riassestarsi e preparare una risposta
convincente.
«Sì, cioè, non a lui direttamente. L’ho
chiesto alla sua collaboratrice, a
Melissa. Ha scelto noi due perché ci
completiamo. Tu hai l’agilità, io ho la
forza: è perfetto!»
Cordelia si volse a guardarlo.
«Quindi»
continuò
Vincent
«la
collaborazione potrebbe essere la nostra
arma vincente. Sei disposta ad
accettarla?»
Vincent le tese la mano destra. Cordelia
lo fissò negli occhi, profondi eppur
vacui. Nel castano sporco delle sue iridi
danzava la sua immagine riflessa. Non
era sicura, ma gli prese la mano e
ricambiò la stretta.
Un acuto assolo di chitarra esplose
all’improvviso nell’abitacolo e invase
l’automobile, assordando i due killer
che fino ad allora si erano sintonizzati
sul reciproco sommesso sussurrio.
Toretto si era tolto le cuffie e aveva
staccato il jack dalla porta Usb.
Cordelia sollevò lo sguardo e lo fissò
sul parabrezza. Un cartello chiazzato di
terra sovrastava l’auto proprio di fronte
a loro. Sulla superficie biancastra
campeggiava la scritta “Fasterna”.
«Chissà dove cazzo sta l’Ostello»
proruppe Toretto con voce tonante.
Doveva ancora abituarsi al mondo
ovattato al di fuori delle cuffie.
Nathaniel
sollevò
la
schiena,
guardandosi intorno confuso.
Erano arrivati.
4
Fasterna appariva proprio come i
quattro membri del gruppo se l’erano
aspettata. Le viuzze strette tipiche dei
paeselli di montagna si inerpicavano
vertiginosamente fino alla parte centrale
della città, che si sviluppava invece
piuttosto in piano. Le casette in mattoni,
strette le une alle altre come pendolari
in metropolitana, avevano finestre
molto piccole per disperdere meno
calore possibile; in inverno la
temperatura scendeva diversi gradi sotto
lo zero, e anche se dicembre non era
ancora inoltrato, Cordelia pensò che
quella sera avrebbe dovuto indossare
una giacca pesante. In effetti la visione
d’insieme di Fasterna imbiancata dalla
neve doveva essere l’immagine perfetta
per una cartolina.
Avvicinandosi al centro città, l’asfalto
cedeva il passo a larghe piastrelle
biancastre
che
dovevano
aver
conosciuto
diverse
generazioni.
Un’imponente chiesa giganteggiava sul
lato destro della piazza nella sua
spartana costruzione in pietra. Nel largo
sagrato di fronte all’entrata un gruppo
di bambini giocava a calcio.
Toretto trovò parcheggio in uno spiazzo
erboso, di fianco a un pick-up blu notte.
Proprio davanti a questo parcheggio
improvvisato si trovava l’Ostello del
Montanaro.
«Torno subito.»
Nathaniel scese dall’auto e si diresse
verso l’Ostello, da cui tornò pochi
minuti dopo.
«Prendete.»
Il boss aveva in mano tre piccole chiavi
metalliche,
bordate
nella
parte
arrotondata da un gommino verde
consunto.
«Cordelia, stanza sette. Vincent, stanza
sei. Toretto, stanza cinque. Io sarò nella
tre.»
Fece una pausa perché tutti intascassero
le chiavi, poi riprese.
«Adesso ci divideremo. Ciascuno andrà
a pranzare per conto proprio, poi avrà
pomeriggio e sera per girare la città.
Voglio informazioni, di qualsiasi tipo. E
magari anche avvistamenti. O ancora
meglio, portatemi subito Alessia.»
Era serio, nessuna risata. Difficilmente
lo avrebbero visto ridere ora che la
missione per la cattura di Alessia aveva
preso ufficialmente il via.
«Ci ritroveremo alle 2:30 nella mia
stanza. Stanza numero tre, ricordate.
Confido che riusciate a scoprire
qualcosa fin da oggi.»
«Ci sentiamo col cellulare se ci sono
problemi?» chiese Toretto tra gli
sbadigli.
«Esatto. Se vedete la ragazzina, cercate
di acchiapparla solo se tenta la fuga»
scandì lentamente Nathaniel.
I tre fecero cenno di aver capito. Uno
alla volta scesero dall’auto. Nathaniel si
incamminò verso il centro, mentre
Toretto si diresse verso l’Ostello con un
sacchetto nella mano, pronto a un sonno
ristoratore. Cordelia si guardò intorno,
poi fece per incamminarsi verso un
gruppo di indicazioni stradali. Una
mano le si appoggiò delicatamente sulla
spalla.
«Ti andrebbe di pranzare insieme?» le
chiese Vincent «offro io, ovvio.»
«Ma Nathaniel ha detto…»
«Pranzare da soli? E che senso avrebbe?
Certo non intendo lavorare durante l’ora
di pranzo! E poi, se ci presentassimo
come una coppia desteremmo meno
sospetti.»
Cordelia non era sicura. Si morse il
labbro, volse lo sguardo altrove per
prendere tempo. Infine rispose.
«D’accordo. Male non può farci.»
Cordelia e Vincent scelsero una
pizzeria.
«Un tavolo per due, grazie» disse
Vincent al cameriere, che tolse
dall’orecchio sinistro la cuffia del suo
lettore mp3. L’interpellato, un gigante
in t-shirt rossa e jeans blu, si volse
guardandolo divertito; aprì la mano
destra e disegnò un ideale semicerchio,
indicando i tavoli: tutti, eccetto due,
erano vuoti.
«Può sedersi dove vuole, come vede»
gli rispose il cameriere con malcelata
ironia «passo a prendere l’ordinazione
tra un po’.»
Vincent e Cordelia si diressero a un
tavolino appartato, proprio sotto una
larga finestra. All’altro tavolo occupato
stava un ragazzino che non sembrava
molto contento del suo appuntamento
tête-à-tête con una pizza quattro
stagioni. Avrebbe sicuramente preferito
ben altra compagnia. Ogni tanto
sollevava svogliatamente una fetta e ne
sbocconcellava qualche morso, mentre
sfogliava un fumetto.
Vincent aprì il sottile menu a due
pagine della pizzeria.
«Sentiamo, cosa prendi?»
«Prosciutto e funghi, ovvio!» rispose
Cordelia, spalancando scherzosamente
gli occhi «siamo o no in montagna?»
«Facciamo due allora» acconsentì
Vincent «e due birre medie?»
«Preferisco una Coca.»
Vincent annuì, quindi chiamò il
cameriere e riferì l’ordinazione. «Ti ho
vista scocciata stamattina per il mio
ritardo» esordì Vincent «non sarai mica
fissata con la puntualità?»
«È una delle cose più importanti» gli
rispose «avrai una buona scusa per oggi,
vero?»
«Certo» ridacchiò lui di rimando «il
treno era in ritardo. Non so tu, ma io
non abito a due passi da Busto. Mi è
toccato andare in stazione alle cinque
per arrivare al luogo dell’appuntamento
a un orario decente.»
«E da dove verresti, se non sono
indiscreta?»
«Attualmente da Milano, ma è solo una
residenza provvisoria, come al solito.
Tu di dove sei invece?»
«Periferia, provincia, come vuoi
chiamarla. Ti direi anche il nome del
mio paesello, ma sicuramente non lo
conosci.»
«Mettimi alla prova.»
«Olgiate Olona. Ti dice qualcosa?»
«Nah, vuoto assoluto. A sapere che ci
abitava una ragazza come te, magari
avrei pensato di farci un salto.»
«Sono qui per lavorare, non per
sposarmi» tagliò corto la ragazza.
«Nessuno ha parlato di matrimonio, mi
sembra» la pungolò l’altro «non sono
qui per mettere fedi, te lo assicuro.»
Il cameriere arrivò con le bibite e posò i
bicchieri di fronte a loro, silenzioso e
menefreghista. Era rimasta scottata
dallo squallore di quella battuta,
sufficiente a definire la persona che le
stava davanti. Si nascose dietro a un
lungo sorso di Coca, impegnata a far
sgattaiolare lo sguardo lontano dagli
occhi di Vincent. Quando arrivarono le
pizze, sul tavolo regnava il mutismo.
A Cordelia era passata d’improvviso la
fame. A quanto pareva, avrebbe dovuto
aggiungere una crocetta sulla sua
agenda mentale anche di fianco al nome
di Vincent. Oramai, con tutte quelle
crocette a danzarle nella mente, più che
un elenco di nomi quello sembrava un
cimitero.
«Buonissima» disse Vincent, con una
fetta di pizza che gli penzolava dalla
mano.
«Già.»
Trascorsero una buona ventina di minuti
al tavolo, Vincent trangugiando la sua
pizza, Cordelia piluccandola pian piano.
Eccezion fatta per qualche sterile
scambio di battute, il silenzio avvolse i
due come una pesante coperta. La
loquacità si era dissolta dalle labbra
sottili della ragazza, e per quanti
tentativi Vincent facesse per indurla
parlare, Cordelia liquidava la risposta in
uno scarno monosillabo. Lo capiva dal
suo atteggiamento, dal suo modo di
stare seduto a tavola proteso verso di
lei, dalle smorfie del viso, dagli sguardi:
quell’uomo trasudava desiderio, e lei
conosceva bene quel genere di persone.
Vediamo di finire questo lavoro, poi
tronchiamo ogni legame. Non sono una
puttana e lo capirai.
Le tornò in mente il viso torvo della
madre in quelle tante sere, tra i
quattordici e i diciotto anni di Cordelia,
in cui si avvicinava minacciosa al letto
della figlia.
Sua mamma era una donna di un metro
e settanta, con un fisico invidiabile per i
suoi quarant’anni. I corti capelli, tinti di
biondo, incorniciavano un viso reso
liscio da una miriade di interventi
chirurgici, dove spiccavano un naso
esteticamente perfetto e due labbra
strabordanti
botulino.
Il
seno
prorompente e i fianchi stretti la
rendevano certo attraente, nella sua
artificialità. Ma poteva permetterselo. Il
padre del marito, nonno di Cordelia, era
morto a soli sessantotto anni di cancro
alla prostata, e aveva lasciato al figlio
un’eredità quantificata in parecchi
milioni.
Dopotutto, l’unico motivo per cui sua
madre aveva sposato quell’ometto
debole e paffuto era la sua ricchezza. Al
tempo del matrimonio, sua madre era
una donna meravigliosa, nata in una
famiglia povera. Aveva servito come
cameriera, come sguattera in un pub,
aveva fatto da baby-sitter rubacchiando
in alcune case, e raggiunta la maggiore
età aveva lavorato come spogliarellista
in alcuni night club della zona. Qualche
volta si era anche prostituita. A
vent’anni aveva conosciuto il suo futuro
marito in un supermercato in cui faceva
la cassiera part-time; aveva notato senza
difficoltà il rigonfiamento del suo
portafogli, e aveva mosso il suo primo
attacco. Lo aveva sedotto in poche
settimane, e spinto al matrimonio in
pochi mesi. La donna aveva insistito per
trasferirsi lontano dalla loro città per
fuggire da quella nomea di puttana che
la perseguitava, in cerca di una
rispettabilità che agognava fin da
ragazzina.
E ora, mentre il marito gestiva il
patrimonio e l’azienda tessile ricevuta
dal papà, la moglie scialacquava i suoi
soldi in palestre, yoga e chirurghi
estetici.
Sua
madre
riteneva
fondamentale l’apparire; voleva avere
quella reputazione di donna raffinata e
per bene che non era mai riuscita ad
avere per colpa dei suoi genitori. Ma
Cordelia incrinava la loro reputazione,
come sua mamma le ricordava sempre
con quel viso
quel viso
contratto che la squadrava dal bordo del
letto. Era una sera tranquilla quando
successe la prima volta.
I ricordi le inondarono la mente.
«Sabrina, sei sveglia?»
Sabrina…
Era quello il suo vero nome. Aveva
scelto di farsi chiamare Cordelia quando
aveva cominciato a lavorare come
sicario.
La ragazzina, quattordici anni compiuti
il mese prima, si tolse le cuffie del
lettore CD dalle orecchie, squadrando
intimorita la madre. Nonostante nessuna
ruga le solcasse il viso (e come avrebbe
potuto?) Sabrina capì subito che quello
non era certo un volto disteso.
«Sì, mamma. Sto ascoltando un po’ di
musica prima di…»
«Posso parlarti?» la interruppe la
madre, senza attendere risposta «sei
uscita con un ragazzo ultimamente?»
Le labbra di Sabrina si aprirono, pronte
a dire no, ma subito si costrinse a
stringere i denti. Lei lo sapeva, era
inutile negare. Spense il lettore e ripose
il CD nella custodia. Cercava di
prendere tempo per capire cosa volesse
la mamma. Sì, era uscita con Alex,
quello carino della sua classe. Avevano
mangiato un gelato insieme, fatto una
passeggiata al parco e alla fine avevano
parlato un po’ seduti su una panchina
del parco. Niente di compromettente.
Ok, sotto allora!
«Be’, sì, l’altro ieri. Siamo stati in
gelateria e poi al parco. È stato molto
simpatico e mi ha offerto il gelato.»
Accennò un sorriso; sperava che
raccontarle quel gesto le avrebbe fatto
capire quanto gentile fosse Alex.
«Carino» rispose la madre, alzando gli
occhi al soffitto «e vi siete divertiti al
parco?»
è solo una mamma curiosa per il primo
appuntamento della figlia, è solo una
mamma curiosa per il primo
appuntamento della figlia
«Sì! Prima abbiamo passeggiato un po’,
e poi ci siamo seduti su una panchina a
parlare» Cordelia non fece nulla per
nascondere l’entusiasmo che le montava
nella voce mentre parlava di lui «sai che
gioca a calcio? Ha detto che è
l’attaccante titolare della sua squadra, e
che è bravo!»
«Ascolta Sabrina, mi fa piacere che tu
esca con questo ragazzo. Però, non
posso accettare che tu ti… conceda così
facilmente.»
Conceda?
«Scusa mamma, ma non capisco.»
«Oggi sono andata a parlare col tuo
professore di italiano, il prof. Castelli.
Avevamo un colloquio, ti ricordi?»
Cordelia annuì. Il prof aveva chiesto di
parlare con alcuni genitori in merito alle
ultime votazioni. Già, lei non era un
asso in letteratura italiana.
«Ecco» proseguì la madre «a un certo
punto il prof mi ha chiamata. “Signora
Ramenghini” mi dice “le chiedo scusa,
ma devo fare una chiamata urgente. Se
può attendere altri cinque minuti”. E io
“certo” gli ho detto “non si preoccupi”.»
Non solo la donna recitava come fosse
un film il colloquio avuto con il
professore, ma mimava i loro gesti. Era
incredibilmente composta quando si
trovava “nella società”, ma all’interno
delle mura di casa abbandonava senza
accorgersene tutti i suoi modi costruiti e
il suo comportamento grottescamente
affettato: sembrava la caricatura di se
stessa!
«Quando chiude la porta, una signora
mi si avvicina e si presenta come la
madre di un certo Alessandro. Era certa
dovessi conoscere il nome di suo figlio.
Eppure, vuoto assoluto! E sai cosa mi
ha detto allora? Che suo figlio era uscito
con mia figlia, Sabrina Ramenghini.
Immagina che faccia ho fatto!»
Perché, riesci ancora a modellare
espressioni facciali?
«Mi ha parlato di suo figlio, che gioca a
calcio, che ha buoni voti, è un bravo
ragazzo. E fin qui tutto bene. Poi però
mi ha riferito cosa ha detto suo figlio
del vostro appuntamento ai suoi amici;
che tra l’altro è la stessa cosa che il
buon Alessandro ha detto a tutti i suoi
compagni di squadra. Su quella
panchina, già alla prima uscita»
terrificante pausa «vi siete baciati! Con
la lingua! La lingua!»
Sabrina fece per protestare, ma la
mamma era salita ormai sulla pericolosa
altalena della rabbia.
«E non solo! Dopo il bacio, ti avrebbe
anche toccato una tet… un seno! Un
seno! Dio, avete quattordici anni, siete
al primo appuntamento, e subito vi fate
dominare dagli ormoni!»
Sabrina era allibita.
Che cosa?! Io avrei fatto cosa?!
«Questo
è
incredibile,
Sabrina!
Pazzesco! Tu fai parte di una famiglia
rispettabile, con una reputazione. Come
pensi che possiamo farci vedere tra i
nostri amici, io e tuo padre, se gira voce
che nostra figlia è una facile?»
«Ma mamma, non è vero! Non ci siamo
baciati e non mi ha mai toccata, mai!»
strillò la ragazzina, anche solo per
bloccare l’attacco isterico della madre.
La voce di Sabrina era già incrinata dal
pianto.
«La mamma di questo Alessandro mi ha
detto che dovrei educare meglio mia
figlia, che non posso permetterle di dare
così poco conto al proprio corpo e ai
propri sentimenti. E come mi
guardavano gli altri genitori! Glielo
leggevo negli occhi: “Ma con chi è
capitato in classe mio figlio?”. Ero così
imbarazzata. Chissà cosa pensano ora di
te. Di noi!»
«Mamma, devi credere a me. È stata
tutta un’invenzione di Alex!»
«Ah, questo non lo so Sabrina. Ma se è
vero che è tutta fantasia, devi far
smettere queste voci. Smettere! Hai
capito? O la gente comincerà a trattarti
come una puttana!» strepitò.
La signora scrollò le spalle impettita,
quindi uscì dalla stanza sbattendo la
porta. Una volta fuori, cercando di
nascondere la collera, le urlò
“Buonanotte”.
Con le lacrime che già le scivolavano
lungo le guance rosee, Sabrina rimise le
cuffie alle orecchie. Premette il tasto
Play, anche se non c’era alcun Cd nel
lettore. Chiuse gli occhi, e si
addormentò seguendo il ritmo dapprima
incalzante, poi sempre più lento, dei
singhiozzi che le squassavano il petto.
«Dolce?»
Cordelia sollevò la testa di scatto,
fissando gli occhi persi in quelli di
Vincent.
«N-no, grazie» biascicò.
«Ci porti il conto allora, per favore»
disse Vincent al cameriere.
«Non deve chiederlo come fosse un
favore» gli rispose il ragazzotto «è la
parte più bella del mio lavoro.»
Scomparve nuovamente nella cucina,
per fare ritorno pochi minuti dopo.
«Sono ventitré euro.»
Vincent pagò in contanti, rifiutando
galantemente la banconota da dieci che
Cordelia gli aveva allungato.
«Non ci provare nemmeno!» le disse,
con un sorriso che le parve sincero.
Sincero come quello di Alex alla
gelateria, quando fece tintinnare le
cinquecento lire sul bancone.
«Be’, allora potrei anche ripensare al
dolce.»
Vincent rise e la sua risata contagiò
Cordelia, che scacciò per un attimo
dalla mente le nebbie del timore.
Si diressero al bancone per prendere un
caffè prima di cominciare a lavorare, il
clima fra loro ora più disteso.
«Hai qualche idea su cosa fare quando
usciremo di qua?» chiese il killer alla
ragazza.
«Pensavo di fare un giro in città e
parlare un po’ con i bambini. Secondo
me è da loro che avremo le
informazioni migliori, vista l’età di
Alessia.»
«I bambini? Credi parleranno così
facilmente a una sconosciuta?»
«Malfidente! Io ci so fare coi
marmocchi. Non sono un energumeno
spaventoso, io!» disse Cordelia, prima
di scoppiare a ridere. Vincent si sentì
sollevato a quel suono.
«Però sono bambini, lavorano tanto di
fantasia. Parlando poi di una ragazzina
acrobata, immagino cosa possa venir
fuori.»
Il suo entusiasmo non ne fu smorzato;
aveva preventivato questa difficoltà, ed
era pronta ad affrontarla.
«Gestirò il problema sul momento. Il
mio istinto è imbattibile!»
Vincent mimò il gesto del levarsi il
cappello. Chapeau, sembrò dirle.
«E tu, Vince, cosa pensi di fare?»
Ecco la domanda che stava aspettando.
Il momento della verità, capire se c’era
qualche possibilità di avere quel corpo
fin da subito tra le sue mani vogliose.
«A dire il vero, non ho idee precise»
disse, grattandosi il mento «e se venissi
con te? In due lavoreremmo meglio.»
Cordelia abbassò lo sguardo sul banco.
Non aveva alcuna voglia di trascorrere
altro tempo con lui, senza contare che
avrebbe interferito con il suo lavoro.
«Sai» cominciò allora «credo sarebbe
meglio che ciascuno lavorasse per sé,
oggi. Avremo più possibilità di trovare
qualcosa, lontani da distrazioni.»
Vincent colse al volo le sue vere
ragioni, e scoprì che si incastravano
perfettamente con i silenzi e gli sguardi
sfuggenti del pranzo. Non che si
sarebbe arreso. Quella ragazza aveva un
corpo incredibile, ed era certo che dietro
a quell’apparente tranquillità stava lo
spirito
feroce
e
selvaggio
di
un’assatanata. Quei lunghi capelli neri,
gli ipnotici occhi verdi, le forme procaci
ed eleganti.
«Allora ci si vede stanotte Vince.
Stanza numero tre.»
Vincent annuì distratto, poi le sorrise.
La osservò allontanarsi languida da lui,
seguendo con lo sguardo il moto
oscillante dei suoi fianchi.
Ti avrò, stanne certa, rimuginò Vincent.
Lasciami solo pensare.
5
Subito dopo essere uscito dal ristorante
dove aveva pranzato, Nathaniel si era
diretto alla cartoleria più vicina per
acquistare un taccuino e una penna.
Aveva scelto di fingersi un giornalista
del Corriere della Sera; una testata
famosa il cui nome, così presumeva,
avrebbe indotto la gente a parlare senza
remore.
In realtà, però, ottenere informazioni
non si stava rivelando così facile come
aveva immaginato. Aveva già fermato
un buon numero di persone, ma la
maggior parte non aveva voglia di
perdere tempo per la carta stampata.
Forse
con
una
videocamera,
spacciandosi per l’inviato di un
telegiornale, avrebbe avuto vita più
facile.
Girare per il centro non aveva portato
alcun risultato, quindi Nathaniel decise
di addentrarsi nelle viuzze più interne.
Le mura scrostate delle case
accompagnavano
la
sua
lenta
camminata, mentre il ciottolato della
strada non asfaltata scricchiolava sotto
le scarpe. Fasterna era piena di gatti che
gli zampettavano davanti, ondeggiando
la coda flessuosa a ogni passetto. Per
fortuna non era scaramantico, o avrebbe
dovuto cambiare strada così tante volte
da perdersi.
Il suo girovagare lo portò di fronte a un
bar assai rustico, il “Cats”, come
recitava l’insegna di legno. All’interno,
intorno a un tavolo dismesso, stavano
quattro anziani intenti a giocare a carte.
Qualche “oh Gesù” o “Maria
Santissima” lo raggiungeva ogni tanto
mentre dall’esterno sbirciava gli altri
tavoli. Erano tutti vuoti; oltre agli arzilli
vecchietti, in quel bar c’era solo il
commesso. Decise di entrare, e si
avvicinò ai quattro giocatori.
«Ehi, giovanotto, ti va una chiamata?»
gli chiese il più smilzo di loro da sotto
un paio di larghi baffi «è un’ora che
aspettiamo il quinto!»
Nathaniel annuì all’anziano e si
presentò come Lorenzo Canavesi, poi
fece cenno con la mano destra per
richiamare l’attenzione del barista.
«Una birra media.»
Si sedette, poi chiese:
«Giocate a soldi qua?»
L’anziano alla sua destra, che si
presentò come Sergio, scosse la testa
vigorosamente.
«Giochiamo per divertirci qui, non
siamo
mica
una
bisca
per
delinquentelli.»
«Giusto, giusto» gli fece eco Valerio,
gli occhi fissi sul mazzo di carte che
stava mescolando. Lunghi capelli color
dell’argento gli incorniciavano il viso
duramente squadrato. Dopo aver
guardato i compagni negli occhi,
distribuì le carte. Nathaniel diede uno
sguardo alle sue, nascondendo il sorriso
compiaciuto dietro a una collaudata
faccia da poker.
«Chiamo io, vero?» chiese. Gli altri
annuirono.
«D’accordo. Fante.»
«Gioventù aggressiva. Io passo»
scoppiò a ridere Giulio, che gli parve
essere il più anziano del gruppo «non
credo di averti mai visto a Fasterna, o
sbaglio? Vieni da lontano?»
Il barista appoggiò il boccale ricolmo di
birra di fronte a Nathaniel, che
cominciò a sorseggiarlo.
«Due ore d’auto circa» rispose «c’è una
cosa qui a Fasterna che mi interessa.»
I quattro si guardarono l’un l’altro, poi
Valerio prese la parola.
«Passo anche io. Scommetto che è per
la bambina, vero?»
«Esatto. Da cosa l’ha capito?»
«Dammi del tu, ragazzo, o mi fai sentire
più vecchio di quanto non sono»
sghignazzò Valerio «comunque è facile
capirlo. Non c’è una beata mazza qua a
Fasterna che possa interessare un
borghesotto, se non una baracconata.»
L’occasione era buona. Nathaniel fece
per estrarre il taccuino e la penna, ma si
bloccò alle parole di Giulio.
«Ehi, non sarai mica un giornalista,
vero? Quegli imbrattacarte, per mettere
insieme qualche parola, prendono più
soldi di quanti ne prendo io, che ho fatto
La Guerra, con la mia pensione.»
Nathaniel sorrise nervoso, quindi scosse
leggermente la testa. Nel frattempo
anche gli altri due avevano passato.
Nathaniel era sicuro che meglio avesse
giocato, più gli altri avrebbero parlato.
«Fante di fiori» annunciò allora.
Le facce degli altri giocatori rimasero
impassibili, ma l’un l’altro si
adocchiarono con circospezione.
La partita proseguì per qualche minuto
immersa nel silenzio concentrato dei
giocatori.
Nathaniel
decise
di
impegnarsi con le mani successive per
garantirsi la simpatia dei quattro
vecchietti, per poi affondare il discorso
nell’argomento che più gli premeva.
«Ma allora sono vere le voci che girano
su di lei?» cominciò a un certo punto il
fantomatico Canavesi «che abbia
un’agilità
incredibile,
tanto
da
camminare senza problemi sui cavi del
telefono?»
Si aspettava qualche sonora risata, ma i
quattro rimasero serissimi. Sergio si
grattò vigorosamente il pizzetto, quindi
prese la parola.
«Eh sì, Lorenzo. Io l’ho vista un bel po’
di volte, sai? Se sei fortunato, potresti
vederla domani» disse, mettendo sul
tavolo un quattro di cuori.
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