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Maggio
Maggio è il mese dei fiori.
Le siepi, i prati, i giardini, le serre sono piene di fiori di tutte le forme, di tutti i colori. Ma sopra
tutti i fiori regna la rosa. Essa è la vera regina, non soltanto pel colore e per la forma, ma anche pel
soave profumo. Il sole si fa più caldo, e si sente l'avvicinarsi dell'estate.
Oramai tutti gli alberi dispiegano la loro verde chioma; nei viali cittadini danno l'ombra al
viandante; nelle campagne, durante i riposi, la offrono ai con-tadini e alle loro bestie.
Il cielo è senza nubi, di un bell'azzurro limpido durante il giorno, bruno ma luminoso di stelle
scintillanti la notte. L'aria è profumata. Che ronzii e che affaccendarsi di api di fiore in fiore, per
raccoglierne il nettare! Intorno alle arnie è un volo continuo di api laboriose; ma vi sono anche dei
calabroni e delle vespe, che vorrebbero mangiare a ufo il miele fabbricato dalle api: oziosi parassiti,
vogliono nutrirsi del lavoro altrui. Guai però se osano entrare Dell'alveare: le api li invischiano, e li
murano con la cera in una colletta, dove li lasciano morire di fame.
Nei buchi delle case, sotto i cornicioni o le tegole! tra i rami degli alti alberi, i nidi mandano
pigoìi festosi. Passeri e rondini volano di qua e di là affaccendati, per portare il cibo ai loro piccoli,
che li aspettano coi beccucci spalancati. E con quanto amore la madre li imbecca!
Eppure ci sono dei tristanzuoli che si danno crudele gusto di rapire i nidi; e non sentono pietà
del dolore disperato degli uccelli, che non trovano i loro nati; né del veder morire i nidiaci di
tristezza e di malo nutrimento.
Lasciate stare i nidi; non distruggete gli uccelletti; essi sono gli amici dell'agricoltore, perché si
cibano di bruchi, di vermiciattoli e di altri insetti nocivi alle piante.
Nei campi ora il grano è alto, le spighe cominciano a indurire; le fave, i piselli sono pieni di baccelli; negli orti i carciofi, le lattughe, le insalate, gli altri ortaggi sono in pieno rigoglio; sugli alberi
le nespole paiono bottoni d'oro, le ciliege, che piacciono tanto ai fanciulli, rosseggiano ; e le
fragole, nascoste fra le foglioline, mandano la loro fragranza.
Sono i primi frutti che rallegrano le botteghe nei mercati, e che ti danno un saporito e sano
companatico.
Proverbi di Maggio
Quannu Maju è urtulanu, assai pagghia e. pocu grani.
Acqua di Maju, assuppa viddani e signuri quantu nni 'ncontra.
Acqua di Maju e ventu di Dicembri, pani pi tuttu l'annu.
Acqua di Maju e d'aprili, furmentu a tri carrini.
A S. Filippu Neri (26 maggio) tèniti li levi,
(cioè: tieni pronte le tonnare).
Il cielo stellato
Nessuno spettacolo raggiunge la bellezza e la grandiosità del cielo stellato.
Alza gli occhi, in una notte di maggio, quando ancora la luna non è sorta: quante stelle
scintillano, quali più, quali meno, alcune più grandi, altre quasi invisibili! Tu non puoi numerarle:
sono milioni; e oltre a queste, ce ne sono altri milioni, che a occhio nudo non si vedono, tanto son
lontane.
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Gli astri, che tu vedi simili a fiammelle, sono lontanissimi. Or appunto la loro enorme distanza
da noi li fa apparire piccolissimi; ma la maggior parte sono molto grandi, e alcuni dieci, venti,
cento, mille volte più del sole!
Alcune stelle sono disposte in modo da formare gruppi con un certo disegno: sono le
costellazioni. I marinai, i contadini ne conoscono due che chiamano la Puddara e il Triali, che
servono loro di orologio : a settentrione è la stella polare, che un tempo serviva per orientarsi nei
viaggi.
Quella fascia biancastra, che attraversa la volta celeste, è formata di corpi luminosi che non si
possono dire stelle. Essa si chiama la Via lattea.
Quella stella rossa, che pare fiammeggi, è Marte; quell'altra più splendente è Venere o Lucifero,
che è la prima ad apparire, l'ultima a tramontare; altre si chiamano Mercurio, Giove, Saturno,
Urano, Cerere, e via dicendo: ognuna di quelle che si vedono ha il suo nome.
Ecco: la luna sorge di dietro i monti, illumina il cielo, e fa attenuare la luce delle stelle. Essa
mostra ora tutta la sua faccia, ma di giorno in giorno va scemando; si riduce poi simile a una falce,
infine sembra che sparisca. Ma dopo qualche giorno riapparisce come un arco, e va crescendo fino a
riprendere tutta la sua grandezza. Così sempre.
Talvolta i vapori la fanno apparire circondata dì un cerchio nebbioso, che si dice alone. Quando
le nuvole corrono pel cielo, si ornano, alla luce dell'alone, di orli bianchi come l'argento; e offrono
pittoreschi effetti di luce e di ombra.
Nelle belle notti estive, si vedono a un tratto delle stelle, che come razzi percorrono il ciclo,
tracciandovi una scia luminosa, che si spegne subito. Noi le chiamiamo stelle cadenti; ma in vero
non sono stelle, sono corpi accesi, che, quando cadono sulla terra, raffreddati, hanno l'aspetto di
pietre.
Quando sarai più in là negli studi, imparerai donde vengono e come son formati.
Ora tu ammira la immensità del creato, che la volta del cielo stellato rivela agli occhi tuoi ; e
leggivi la onnipotenza e la gloria del Creatore.
Sicilia liberata
I.
Questo mese di maggio è veramente sacro alle glorie dell'Italia. Tu trovi segnate nel calendarietto
storico le date degli avvenimenti più importanti ; ma fra esse ve ne sono alcune che riguardano più da
vicino la nostra Sicilia: e sono quelle che si riferiscono alla rivoluzione del 1860 e alla spedizione dei
Mille,
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IL COLLE DI CALATAFJMI
I Mille sono i volontari, che, condotti da Garibaldi in Sicilia, ci aiutarono a liberarci dal dominio
borbonico, e a unirci alla grande Italia.
Ricorderai che il 4 aprile Francesco Riso insorse, che la rivolta fu vinta, tredici generosi fucilati,
Riso morto.
Ma le squadre degli insorti si ritirarono nelle campagne e sui monti, dove si difendevano dalle
truppe del re Francesco Borbone, e mantenevano viva l'insurrezione. Intanto i patrioti sollecitavano
Garibaldi, che era in Genova, a venire; e lo sollecitavano anche vivamente i nostri esuli, fra cui
Rosalino Pilo, Francesco Crispi, Giuseppe La Masa.
Per rianimare i Siciliani e preparare la buona riuscita all'impresa di Garibaldi, Rosalino Pilo e
Giovanni Corrao si partirono da Genova in una barchetta. Erano soli, ma animosi e caldi di amor
patrio. Una fiera tempesta per poco non li sprofondò nel mare : ma essi, invece di riparare in
qualche spiaggia e rinunziare all'impresa, si ostinarono a viaggiare; e dopo quindici giorni
sbarcarono in Sicilia, dove si messero a capo degli insorti, e li riordinarono in attesa di Garibaldi.
II.
II 5 maggio 1860, Garibaldi salpò da Quarto con due piroscafi, sui quali imbarcò mille e cento
generosi accorsi d'ogni parte d'Italia, fra cui molti esuli siciliani.
In mare c'era la flotta borbonica, che vigilava; ma Garibaldi seppe sfuggirla, e l'11 maggio
sbarcò a Marsala; di là andò a Salemi: dovunque accolto con entusiasmo dalle popolazioni, che lo
sovvenivano di viveri e denari. Da ogni parte gli giungevano squadre di Siciliani animosi, che si
univano coi Mille.
Allora egli si proclamò Dittatore in nome di Vittorio Emanuele II re d'Italia, cioè prese in suo
potere il governo per parte del re; e, ordinato il suo piccolo esercito, mosse alla volta di Palermo.
Ma un corpo di truppe borboniche, schierato sopra alture presso Calatafimi, voleva attraversargli la
strada. Fu necessario affrontarle. Che combattimento! Che prodigi di valore non compirono i
Garibaldini e le squadre! Sotto una pioggia di piombo, dovettero conquistare il terreno a palmo a
palmo; e la vittoria fu nostra: i Borbonici volsero in fuga disordinata.
Il combattimento di Calatafimi avvenne il 15 maggio, data, questa, tra le più memorande.
III.
Sbarazzato il cammino, Garibaldi mosse per Palermo. Non si può descrivere l'entusiasmo che
suscitava lungo la marcia. Tutti i paesi insorgevano, acclamavano la sua Dittatura, e davano aiuti.
Il 20 maggio egli si accampò sulle alture che dominano Palermo: vi furono scontri con le
numerose truppe borboniche; e in uno di questi, quel giorno, morì Rosalino Pilo, colpito al capo. La
morte di questo nobile ed eroico patriota suscitò il compianto di tutti.
Intanto Garibaldi, ingannando con una astuzia i generali borbonici, finse di ritirarsi nell'interno
dell'isola; e mentre quei generali credevano di inseguirlo, il Dittatore, girando pei monti, giungeva
sull'altura di Gibilrossa, dove il La Masa aveva già raccolto più di quattro mila Siciliani armati,
quasi tutti giovani, o, come si dice in dialetto: picciotti. La loro vista destò l'ammirazione di
Garibaldi.
Presi gli accordi coi capi e con gli ufficiali, egli deliberò di assalire di sorpresa Palermo, la mattina
del 27 maggio.
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La notte del 26, per dirupi e scoscendimenti, i prodi soldati della libertà scendono dal colle di
Gibilrossa, si ordinano nel piano, marciano. È l'alba. Ma alle porte di Palermo i Borbonici, che
MONUMENTO DI GIBILROSSA
stavano in guardia, destati dalle grida dei picciotti, li accolgono a fucilate e cannonate.
I Mille non si sgomentano; gridando: Viva l'Italia, e sventolando il tricolore, si slanciano con
impeto, abbattono la resistenza nemica, ed entrano in Palermo.
E allora, campana a stormo! La città si sveglia; i cittadini
accorrono : Viva Garibaldi! Oh, quel che accadde allora! I
cittadini alzano barricate; si uniscono coi Garibaldini e coi
picciotti; si combatte in tutti i punti della città: e intanto dal
Castello, dalle navi, i Borbonici fanno piovere bombe su bombe
sopra le case, sopra i conventi, distruggono, incendiano, uccidono
donne e fanciulli. Dura tre giorni quest'inferno; ma Garibaldi ha
occhio a tutto: Garibaldini, squadre, cittadini compiono prodigi,
senza curarsi delle bombe. Finalmente il nemico, sebbene più
numeroso, circondato da ogni parte, scoraggiato, stremato, è
costretto a venire a patti. E il 6 giugno abbandona Palermo!La
rivoluzione si diffonde per tutta la Sicilia: non Ve città, non
villaggio che non insorga ; dovunque il tricolore sventola, segno di
libertà. Al Borbone non restano che Milazzo, Messina ed Augusta.
E Garibaldi pensa a cacciarnelo. Riordina l'esercito, accresciuto di
battaglioni di Siciliani e di altre migliaia di volontari venuti dal continente: il 20 luglio, dopo un
fierissimo combattimento, s'impadronisce di Milazzo, poi di Messina. La Sicilia è liberata; e
Garibaldi si prepara a passare lo Stretto, per liberare il Napoletano.
Vedi quanto sangue fu sparso per la Patria! E quanti doveri t'impone il sacrificio compiuto dai
generosi, che per essa diedero la vita!...
I giovanetti a Milazzo e al Volturno
Sai tu di chi era composto uno dei battaglioni che a Milazzo si batterono come vecchi soldati?
Era composto di giovinetti, i più grandi dei quali avevano diciassette anni. Erano nella maggior
parte giovinetti dì strada, abbandonati a sé : furono raccolti; udirono parlare dì patria e di libertà ; se
ne infiammarono; si sottoposero alla disciplina, e andarono a combattere. E Garibaldi li ammirò.
Quando, passato lo Stretto, egli doveva affrontare tutto l'esercito borbonico in grande e decisiva
battaglia sotto Capua, volle che si formassero due battaglioni dei giovinetti che egli aveva fatto
raccogliere ed educare in un istituto. Ed essi partirono lieti e fieri: e le loro madri li
accompagnarono fino al molo, dove essi dovevano imbarcarsi. E queste sante ed eroiche madri li
baciarono, li benedissero, senza tremare, senza piangere. Piansero solo quando tornarono nelle loro
case.
Quei giovinetti al Volturno si batterono da eroi: molti non tornarono più, e forse se ne ignora
anche il nome: ma le relazioni dei generali additano alla ammirazione il valore dei giovani siciliani:
e tu ricordatene, e ricordati delle loro madri.
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Non insuperbire
Un certo Battista aveva impiegato i suoi risparmi in alcune speculazioncelle, che gli fruttarono
tanto, da fargli mutare condizione. Da muratore pagato a giornata, cominciò a far l'imprenditore di
lavori e, accorto com'era, raddoppiò i guadagni, poté accollarsi lavori di maggior conto, e arricchì.
Allora comprò un bel palazzetto; mise su una bella casa, ebbe servitù comprò una automobile, e
diventò il signor Battista. Ma il signor Battista era ignorante, e capì che in quel nuovo stato
bisognava dirozzarsi e fornirsi di cognizioni; e cominciò a comprar libri, e la sera li leggeva
avidamente.
Dopo qualche anno prese moglie; e ne ebbe un figlio; e quando questi fu in età d'imparare, lo
mise in un collegio. Ma Gìgino — si chiamava così — era superbietto. Le ricchezze del babbo gli
facevan credere chi sa che cosa: ne parlava sempre; sicché i compagni lo chiamavano il principino;
ed egli se ne teneva.
Quando nelle vacanze tornava a casa, si dava delle arie con la servitù, che spiacquero al signor
Battista: il quale un bel giorno rimproverò il ragazzo : — Che cos'è codesta superbia? che credi di
essere? un principe davvero? Ma se anche tu fossi nato principe, che cosa avresti più degli altri
ragazzi? Sei di carne e d'ossa come il più povero della terra; e l'avere un po' di denaro,
perché l'ho guadagnato io col lavoro, non ti fa diverso dagli altri. Pensa che io ero povero, e che
quando ero della tua età, portavo il bugliolo della calce su le spalle, e feci il muratore. E non
me ne vergogno, anzi questo è il mio vanto. Sai tu chi io ammiro fra i personaggi antichi?
Un re che si chiamava Agatocle. Or ti farò leggere chi era.
E il signor Battista, preso da uno scaffale un libretto, lo aprì, e, indicando una pagina,
disse: — Leggi; e leggi forte, che voglio sentire anch'io. E Gigino lesse:
Agatocle
" Agatocle nacque in una città che si chiamava Terme Selinuntine, e oggi si chiama Sciacca.
Suo padre era un vasaio, povero in canna; e anche lui imparò l'arte, e faceva bei vasi, nei quali
incideva il suo nome.
" Or dopo qualche tempo la famiglia andò ad abitare in Siracusa; e il giovinetto, che era di
bell'aspetto e coraggioso, fu preso sotto la protezione di un ricco uomo, che morendo lo lasciò erede
di tutte le sue ricchezze. Diventato capitano di una schiera, Agatocle condusse a buon fine alcune
guerre in prò' di Siracusa; e infine con l'astuzia e con la forza, ne divenne signore, e sconfisse i
Cartaginesi."Or bene, Agatocle re di Siracusa, quando era a mensa, sebbene questa fosse riccamente
ornata di vasi d'oro, beveva in una di quelle coppe di creta che egli aveva fabbricato, per
ricordarsi sempre della sua umile origine „.
— Hai capito? — disse il signor Battista al figlio, quando ebbe finito di leggere.
E per guarirlo della superbia, il brav'uomo si fece da un pittore ritrarre vestito da muratore,
con lo sparviere in una mano e la cazzuola nell'altra; e questo ritratto fece appendere nella
camera di Gigino.
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Elettricità
Drin! drin!
Il campanello suona da solo, senza bisogno di tirare un cordone, o di scuoterlo. E bastato
premere un bottone, perché esso, per lontano che sia, vibri, per tutto il tempo che noi teniamo il
dito sul bottone.
Che cosa lo fa sonare?
Un fattorino mi porta un telegramma: l'apro, leggo: è di un mio amico, il quale, poco fa, si
presentò all’ufficio telegrafico di Roma, per comunicarmi l'esito di una faccenda. E in pochi minuti
io, che me ne sto tante centinaia di chilometri lontano, ne sono informato.
Come è potuto accadere?
Ho bisogno di dire subito qualche cosa a un mio fratello che si trova, mettiamo, a Napoli: vado
all’ufficio del telefono, e prego l'impiegato di mettermi in comunicazione con Napoli: lì, avvisano
mio fratello, che si reca in quell'ufficio telefonico; entra come me nella cabina: ognuno di noi
impugna un apposito apparecchio, e parliamo comodamente, io da qui, lui da Napoli, come fossimo
nella stessa stanza, a quattr'occhi.
Chi produce questo miracolo?
È buio.
A un tratto, senza bisogno di accenditori, le lampade della città si accendono. Io entro in casa :
mi basta girare un piccolissimo manubrio posto sopra una specie di piattello, perché senza aiuto di
cerini una bella luce si diffonda dalla lampada.
Chi l'ha acceso?
Entro in una fabbrica. Un gran rumore di ruote che girano, di martelli che picchiano, di seghe
che stridono; di torni, di macchine complicate, che eseguono con precisione il lavoro, mosse da
quelle ruote: queste son fatte girare da lunghe corregge; e queste corregge sono consegnate in ruote
più piccole, alle quali dà il moto una piccola macchina, un motore. Un uomo solo mette in
movimento tutte queste macchine, o le arresta di botto, alzando o abbassando una specie di
manovella.
Donde al motore viene tanta forza da muovere tutte quelle macchine, alcune delle quali sono
grandi e pesanti?
Ecco una grande vettura, che va sopra rotaie: non la tira nessun cavallo, e neppure una
locomotiva. C'è sopra un'asta o un arco con una rotella che striscia lungo un filo disteso in alto. Se
la rotella si staccasse, la vettura non potrebbe muoversi. Essa dunque mette in comunicazione il filo
con la macchina che è nella vettura, e che imprime il moto alle ruote.
È dunque dal filo che viene la forza? E chi gliela da?
Tutti questi prodigi, che ora ci son divenuti familiari, sono prodotti da una forza unica, da una
energia che si trova nell'aria, nella terra, dovunque; quella stessa energia che produce il fulmine:
dalla elettricità, insomma. Questa energia potentissima, che, se libera, durante un uragano abbatte e
incendia alberi robustissimi, uccide uomini, rovina case; quando poi è costretta in apposite
macchine, governata dall'uomo, si tramuta lungo i fili elettrici, e diventa suono, scrittura,
parola, luce, forza motrice...
Ammira quanti tesori cela la natura: ma ammira di più il genio dell'uomo che li sa scoprire,
li sa dominare, e sa servirsene a benefizio di tutti.
I grandi ai quali dobbiamo l'immenso benefizio di avere scoperto come si possa domare e
sviluppare l'elettricità sono tre : uno, americano : Franklin, che inventò un ordigno per
imprigionare i fulmini e impedirne i danni ; due, italiani : Galvani e Volta. Le scoperte di questi
due sommi sono state il fondamento di tutte le macchine elettriche inventate dopo.
Onorali.
7
24 Maggio 1915
Ricorda sempre questa data. È il giorno in cui l'Italia entrò in guerra, per liberare le ultime
sue terre dalla soggezione allo straniero, per compire la sua unità, per assicurare la sua
indipendenza.
Che guerra! per terra, per mare, nell'aria! Quanto sangue versato, e quanto eroismo!... Ma
l'Italia vinse. Vinse pel valore dei suoi figli, per la sua volontà di vincere.
E anche in questa ultima e grande e terribile guerra, i giovani siciliani combatterono come
quelli di Milazzo, come quelli del Volturno. E sul monte Grappa e dovunque fecero prodigi.
Vuoi tu sapere con che cuore essi andavano alla guerra, e i padri ve li mandavano?
Leggi questa letterina : è di un soldato, e fu scritta nel 1917; l'ho letta in un museo di ricordi
patrii.
Caro babbo,
Nel secondo anniversario della nostra gloriosa e santa guerra, fidente nella nostra vittoria e
nel trionfo del nostro Diritto, dalle trincee di …a pochi metri dal nemico, invio gli auguri più
fervidi a te, che serenamente hai dato alla patria i tuoi figli.
Spero di essere fortunato ancora; ma se dovessi cadere, niente lagrime, niente pianti! Sii fiero
di noi, che da te abbiamo imparato ad amare la patria e, se è necessario, a sacrificarci per essa: e
grida con me: Viva la più grande Italia!
tuo C.
Il soldatino che scrisse questa lettera morì pochi giorni dopo. Era giovane, bello e gentile, e tutto
diede per la patria.
Medita: e fa di esser degno di coloro che morirono per darti una patria grande e gloriosa.
Si continua il viaggio
La vaporiera fischia; si ferma a una stazione; il conduttore del treno grida :
— Girgenti!... Girgenti!
Siamo dunque arrivati a Girgenti: una folla dì stranieri scende dalle vetture; di là, all'uscita dalla
stazione, ci sono carrozze, omnibus, automobili per trasportarci nella città.
Dov'è essa?
Eccola in cima di quel colle. Come Siracusa, la città moderna è una piccola parte di quella
antica, la quale si stendeva verso il piano. Allora essa si chiamava Acragante, poi Agrigento. La
fondarono i Greci 582 anni prima della nascita di Gesù, e crebbe tanto, che divenne una delle più
popolose città; e fu la più ricca e la più magnifica. I Saraceni la distrussero.
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GIR0BNTI — TEMPIO DELLA CONCORDIA
La città moderna ha belle chiese, una biblioteca e un museo.
Della città antica sopravanzano rovine di tempii, che i forestieri vengono da ogni parte ad
ammirare, perché sono fra' più belli dell'antichità. Fra essi, il tempio detto della Concordia è il più
conservato.
La campagna intorno sempre verde, il cielo sempre sereno, il mare, che è poco lontano, sempre
azzurro fanno il paesaggio più attraente.
Sul mare sorge Porto Empedocle, che era come il porto di Girgenti, ed è ora una graziosa e
vivace città, con un attivo commercio, specialmente di zolfi.
A Ribera, nella provincia di Girgenti, nacque Francesco Crispi, grande patriota e statista.
Il bue di Falaride
Ai tempi antichi, una volta, Agrigento cadde in potere di un tiranno crudele, che si chiamava
Falaride.
Uno scultore ingegnoso per nome Perillo volle ingraziarselo ; e costruì un toro di bronzo, che
doveva servire come strumento di un orribile supplizio.
Chiudendovi dentro il condannato a morte, e accendendo il fuoco sotto il toro, il bronzo
arroventato avrebbe lentamente bruciato fra gli strazi il poveretto, le grida del quale, uscendo dalla
bocca del toro, avrebbero somigliato ai muggiti.
Perillo, credendo di far cosa grata al tiranno, gli offrì questo toro, e gli spiegò il meccanismo;
ma Falaride, che pur era crudele, si sdegnò, e gli disse :
— Or ora proverai tu stesso, se è vero quel che dici. —
E, fatto chiudere Perillo dentro il toro, ve lo fece morire di quella morte orrenda, che l'inumano
scultore aveva preparato per gli altri.
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Empedocle
Ma l'antica storia di Agrigento non narra soltanto fatti di gente scellerata. Anzi questi sono rari:
abbondano invece gli uomini illustri per valore, magnificenza e dottrina. Più volte i suoi cittadini
vinsero nelle corse e in altri giuochi di destrezza e di forza : ed era proverbiale l'ospitalità che essi
offrivano. Ma il personaggio più illustre, e di cui ancor dura la fama, fu Empedocle, il cui nome
onora Agrigento, come quello di Archimede onora Siracusa.
Empedocle fu uomo di grande sapere e di grande ingegno, filosofo, bel parlatore, valente poeta e
sopratutto cittadino amante della patria, al cui servizio adoperò l'ingegno e la dottrina.
Liberò Agrigento dai miasmi che venivano dal ristagno delle acque; guarì malattie che parevano
incurabili ; rifiutò la signoria offertagli dai cittadini, amando meglio vivere nei suoi studi, schivo di
onori, sobrio e operoso.
Il suo amore per la scienza era tale, che volendo studiare da vicino l'eruzione dell' Etna, vi si
recò; ma non ne ritornò più, inghiottito dal cratere, del quale voleva indagare il mistero.
Il popolo credette che gli Dei lo avessero rapito in cielo per la sua dottrina; e ancora sull'Etna si
indicano i ruderi di un edifizio, chiamato la Torre del filosofo, dove la tradizione vuole che
Empedocle avesse abitato coi discepoli.
Le opere di lui in gran parte andarono perdute : ma quelle che rimangono sono tenute in gran
pregio dai dotti.
Grani di saggezza
II tempo è padre della verità.
Buon tempo e malo tempo non dura tutto il tempo.
Dio ci manda quel che possiamo sopportare.
Non c'è dolore che non passi col tempo.
Non tutto il bene giova, né tutto il male nuoce.
Date storiche
5 - Il 5 maggio 1860 Garibaldi e i Mille partono dallo scoglio di Quarto per la Sicilia.
(1821) Muore a S. Elena, prigioniero, Napoleone I.
11 - (1860) Garibaldi sbarca a Marsala coi Mille, sfuggendo alla crociera delle navi napoletane.
12 - Garibaldi prende in Salerai la dittatura in nome di Vittorio Emanuele II.
15 - (1848) Gli Svizzeri assoldati da Ferdinando II commettono stragi in Napoli, e pongono fine
alla rivoluzione napoletana.
(1860) Combattimento di Calatafimi. I Mille, dopo fiera resistenza, mettono in rotta i Borbonici.
18 - Nel 1860, in questo giorno, le truppe borboniche sono scacciate da Partinico.
19 - (1859) Combattimento di Montebello. Gli Austriaci sono sconfitti dai Piemontesi.
20 - (1795) Francesco Paolo Di Blasi, dotto giureconsulto, è decapitato in Palermo, reo di voler
cacciare il Borbone dalla Sicilia.
(1860) Morte di Rosalino Pilo, combattendo contro le truppe borboniche.
24 - Questo giorno, nel 1915, l'Italia entra in guerra contro l'Austria per la liberazione di Trento e
Trieste.
26 - (1831) il duca di Modena fa impiccare Ciro Menotti e Vincenzo Borelli, martiri della
indipendenza e dell'unità della patria.
27 - (1859) Garibaldi vince a San Fermo (Lombardia) gli Austriaci.
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(1860) Garibaldi entra in Palermo coi Mille e coi picciotti superando la resistenza delle truppe
borboniche.
29 - II 29 maggio 1848 i Toscani si coprono di gloria arrestando gli Austriaci, più numerosi, a
Curtatone e Montanara.
30 - (1848) Battaglia di Goito, vinta dai Piemontesi sugli Austriaci, e resa di Peschiera.
(1859) Battaglia di Palestre vinta dai Franco-Italiani sugli Austriaci
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