Per il ciclo
“Alla scoperta del volto della misericordia”
È possibile oggi nascere un’altra volta?
interviene
Joshua Stancil
coordina
Giorgio Vittadini
sala Sant’Antonio, Via Sant’Antonio 5 Milano
Giovedì 10 dicembre 2015, ore 18:30
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www.centroculturaledimilano.it
Testi - CMC
“È possibile oggi nascere un’altra volta?”
GIORGIO VITTADINI: Benvenuti a questo incontro che il Centro Culturale, nell’anno della
misericordia, nell’anno del Giubileo che è cominciato due giorni fa, dedica a questo tema; questo ciclo
prende il nome di Alla scoperta del volto della Misericordia e l’incontro di oggi si intitola È possibile
oggi nascere un’altra volta?. Il nostro ospite stasera è Joshua Stancil, ex detenuto nel North Carolina.
Per introdurlo, racconto la mia vicenda personale con Joshua: tredici anni fa, mi è arrivata una lettera
da un carcere del North Carolina, firmata Joshua. Lui raccontava che aveva letto un brano di don
Giussani da una rivista che si chiama Magnificat, che gira in duecentomila copie in tutte le parrocchie
americane, in tutti i luoghi di Chiesa, perché un padre domenicano nostro amico, che si chiama padre
Cameron, che ha conosciuto il Movimento, la edita lì negli Stati Uniti; padre Cameron aveva
cominciato a scrivere su questa rivista, che contiene la liturgia e poi brani di autori cristiani di tutti i
tempi, anche brani di don Giussani. Joshua era rimasto colpito e alla fine c’era l’indicazione del
Movimento, anzi ce lo spiegherà lui come ha recuperato la sede di CL degli Stati Uniti e ha scritto lì. Lì
l’hanno girato a me perché io seguo le comunità degli Stati Uniti. Mi è arrivata questa lettera in cui lui
chiedeva di andare avanti nell’esperienza che veniva descritta in questo brano di don Giussani. Gli ho
risposto e poi ho chiamato i nostri amici di Washington, dicendo che c’era questa persona che voleva
conoscere il Movimento. Da lì incomincia una storia impressionante, perché per tredici anni, ogni
mese, gente sempre diversa di Washington – tra cui alcuni dei presenti – è andata a trovare Joshua,
facendo 600 o 700 km, e lui è stato fedele a questa storia, per tutti gli anni in cui è rimasto in carcere.
Quindi l’incontro di oggi nasce da questi avvenimenti apparentemente fortuiti, da questi nessi casuali:
un carcere del North Carolina; un prete che conosce Giussani, lo scrive in un libro e questo libro arriva
a Joshua; arriva la lettera, ritorna…
Ma la cosa più impressionante secondo me è la fedeltà, perché, come mi è capitato parlando con lui,
quando l’ho visto per la prima volta un mese fa a Washington – l’ho conosciuto tredici anni fa ma non
l’ho mai incontrato – lui mi diceva: «Sai, la prima volta che erano arrivati questi qui, io pensavo che
fosse il solito gruppo cattolico che faceva proselitismo; la cosa che mi colpisce di questa storia è la
fedeltà, perché tredici anni di fedeltà reciproca sono molto di più che l’improvviso accendersi di
qualcosa. Tredici anni così sono il segno che in questa storia c’è qualcosa di divino nell’umano».
JOSHUA STANCIL: Non so cosa dire, dopo questa introduzione. Tra tutti gli incontri che devo fare
mentre sono in Italia, questo è quello che sicuramente mi commuoverà di più, quello su cui mi sento
più emozionato e cercherò di non piangere, mentre vi racconto quello che vi dovrò raccontare. Ci sono
persone qui stasera che ho incontrato diversi anni fa, in prigione, e persone con le quali ho intrattenuto
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un dialogo e non ho mai conosciuto di persona. Infatti Carlo [il traduttore] lo conosco da anni perché è
un carissimo amico di un’altra carissima amica in America, ma l’ho incontrato per la prima volta
stasera, non sapevo che lui era Carlo.
Quando Letizia mi ha chiesto di fare questa serie di incontri un paio di mesi fa, io sono diventato subito
nervoso perché ho pensato: «Oddio, devo ispirare, devo dir qualcosa che faccia colpo e io non sono un
tipo che fa queste cose normalmente». Non sono un teologo, non sono un filosofo, sono solo una
persona che è stata in prigione; ma ho capito che tutto quello che devo fare e quello che sono qui a fare
è solamente questo: dirvi la mia esperienza. E questo è quello che mi è successo.
Nel 1996, sono stato arrestato, mandato in prigione e condannato a ventidue anni, con la possibilità di
avere la condanna ridotta a diciotto anni. Molto spesso, quando un uomo va in prigione, succede una di
queste due cose: o diventa un fondamentalista religioso, o abbandona la sua religione tutto di un colpo.
Io non ho fatto nessuna delle due cose: mi trovavo in una situazione di rifiuto, rispetto alla condizione
in cui ero, e pensavo che la legge sarebbe cambiata, che qualcosa sarebbe cambiato, non volevo
accettare la cosa; ma ero molto ingenuo, perché la legge non sarebbe mai cambiata. Dopo sei anni che
ero in prigione, la cruda realtà mi ha colpito e ho realizzato che sarei dovuto restare in prigione per altri
diciotto anni e questo mi ha completamente annichilito, distrutto; per rendere la situazione ancora
peggiore, ero stato trasferito in una prigione veramente violenta. Sono del North Carolina, uno Stato del
Sud degli Stati Uniti e ogni certo numero di anni ti muovono da una prigione all’altra, perché hanno
paura che uno stabilisca relazioni, rapporti con i detenuti: io ero stato per caso assegnato in questo
inferno di prigione, che era semplicemente una cosa terribile. Personalmente, non ho avuto mai nessun
tipo di problema in quella prigione, ma solo guardandomi intorno e guardando al caos che c’era, era
veramente una cosa deprimente. L’unica cosa che mi teneva su e che mi faceva continuare era appunto
leggere questi piccoli brani di don Giussani che trovavo nel Magnificat, il libricino che ha citato prima
Giorgio.
Nel giugno del 2002, onestamente, ho cominciato ad avere pensieri di suicidio: ci sono certe prigioni in
cui tu hai un certo tipo di privacy, in cui non è nemmeno troppo difficile riuscire a commettere un
suicidio; questa non era però una prigione di questo tipo, perché tutto era all’aperto, e non c’era
nessuna parte dove uno poteva praticamente commettere un suicidio. Questo ha reso la mia crisi
esistenziale ancora più drammatica, perché volevo decisamente morire ma non avevo l’opportunità di
farlo. In realtà non è vero, perché in fondo in fondo nessuno vuole veramente morire; ognuno vuole
solo che i problemi che ha di fronte se ne vadano.
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Poche settimane prima, avevo ricevuto per posta un libretto di preparazione per la consacrazione
mariana secondo Massimiliano Kolbe; mentre stavo scartabellando tra le mie cose, ho trovato questo
libricino e ho pensato: «Va beh, c’è la festa dell’Assunta tra poco, faccio quello che c’è scritto in
questo libretto per la consacrazione mariana». Il giorno dell’Assunta del 15 agosto 2002 ho fatto
quest’atto di consacrazione a Maria, dove non ho sentito assolutamente niente: non era un atto in cui ho
provato qualcosa, era un puro gesto di disperazione. Come ha detto Giorgio, avevo ricevuto
precedentemente per posta questo libricino, il Magnificat, con la liturgia, dove avevo iniziato a leggere
e a sentire di don Giussani. Volevo conoscere di più su don Giussani, perché tutto quello che c’era
scritto sul Magnificat era che era un prete di Milano, che aveva fondato Comunione e Liberazione: non
mi interessava assolutamente di per sé un movimento, non sono il tipo di persona che vuole partecipare
ad un club o ad un movimento. Pensavo di essere molto duro e di non avere bisogno di nessuno: volevo
solo comprare un libro. Due settimane dopo che avevo fatto questo atto di consacrazione, ho ricevuto
tre indirizzi mail di persone del Movimento in America. Ero contentissimo! Il problema è che in
America i detenuti non hanno accesso a internet, quindi ho pensato di fare questo: ho preso uno dei
nomi, ho scritto una piccola lettera, l’ho mandata a mia mamma e così lei poteva mandare la mail a
questa persona. Io voglio tantissimo bene alla mia mamma, però chiederle di fare una cosa del genere
era veramente tirare un po’ a caso, non sapevo se l’avrebbe mai fatto: dice di sì quando le chiedo una
cosa e lo dice veramente, mentre lo dice, però poi si dimentica. Ho preso un nome, Rick Kushner, dalla
lista, ed ho detto: «Va beh, è un nome ebreo, scelgo questo». L’ho mandata a mia mamma e poi mi
sono anche dimenticato di averlo fatto, ma mia mamma ha mandato questa lettera, e l’ha fatto il 7
ottobre, giorno di S. Maria del Rosario, anche se lei non poteva saperlo, perché non è cattolica. Rick
ricevette questa e-mail e contattò Elisabetta, perché lavorava all’epoca all’ufficio di Cl a Washington.
Quello che fecero Elisabetta e Rick fu di mettere insieme un pacco con libri del Movimento, e anche
dei CD; il problema è che i CD non sono ammessi in prigione. La prigione, quando arrivò il pacco, lo
rimandò indietro e io da un certo punto di vista non sapevo niente, né che era stata spedita l’e-mail, né
che era stato spedito il pacco: ero ignaro di tutto.
Poi un giorno arrivò una lettera da Giorgio Vittadini, dall’Italia. Non avevo idea di chi fosse o perché
mi stesse scrivendo, però sono stato educato a essere molto gentile, soprattutto venendo dall’America
del Sud, e mi sono sentito in dovere di rispondere, anche se non avevo idea di cosa dire. Guardando le
notizie in televisione avevo notato che l’Etna stava eruttando, quindi ho pensato che questo era un
argomento su cui ci potevamo trovare e gli ho scritto: «Fai attenzione, perché l’Etna sta eruttando».
Sono americano, non ho idea della geografia.
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Dopo poche settimane, mi spostano ancora im una prigione diversa: è il novembre 2002. Lì ricevo una
lettera, mandata da Elisabetta, che chiede se lei e altri amici possono venire a trovarmi in prigione.
Siccome io sono forte e non ho bisogno di nessuno, il mio primo istinto è stato quello di dire no; però
sono anche del Sud dell’America, e dovevo essere gentile, quindi ho detto che andava bene.
Elisabetta e Tobias Hoffmann, un tedesco, vennero a trovarmi nel dicembre del 2002, il 29 dicembre.
Mi ricorderò sempre quel giorno: non sapevo nemmeno cosa aspettarmi – ora racconto una cosa, e la
pagherò per questo – ma mi ricordo che Elisabetta venne, mi abbraccio e mi salutò con due baci. Di
solito, in prigione questo assolutamente non si fa. Fu un incontro, una visita bellissima ed era come se
li conoscessi da sempre, come se li conoscessi da tantissimo tempo; come aveva accennato prima
Giorgio, non appena se ne andarono io pensai che era stata una bella visita ma che era finita e non li
avrei visti mai più. Non potevo sbagliarmi più di così, tant’è che il mese successivo altre persone
vennero a trovarmi. Tenete presente che sono distanti tre Stati, per cui guidavano per una distanza
molto lunga per venire a trovarmi.
Alla fine, ho incontrato Rick, la persona a cui mia mamma aveva spedito la prima e-mail originale. La
cosa incredibile successe un po’ di tempo dopo, quando Rick ed Elisabetta vennero a trovarmi, e Rick,
siccome aveva una figlia che si sarebbe battezzata di lì a poco, mi chiese di fare il padrino. Io li guardo
e dico: «Avete presente che sono in prigione? Siete sicuri che volete farlo? Non è il modo in cui uno
normalmente vuole avere influenza sul proprio figlio. La gente penserà che siete pazzi». Siccome
questa era una cosa talmente grande per me, il mio primo istinto era quello di dire no. È stato uno dei
momenti più profondamente commoventi della mia vita, e ho detto sì. Don Giussani, credo in Perché la
Chiesa?, compara i vari metodi per verificare la fede cristiana: c’è il metodo protestante, il metodo
razionalista e quello ortodosso-cattolico. Quello protestante è definito come “il metodo
dell’illuminazione interiore”. Il problema con questo metodo è che tu non puoi mai sapere con certezza
di essere stato perdonato: tu leggi la Bibbia, puoi leggere che sei perdonato ma come fai a saperlo
davvero? Invece quando sei in prigione con una sentenza da diciotto a ventidue anni, e di fronte a te c’è
una coppia sposata che ti chiede di fare il padrino della loro figlia, lì lo sai che sei perdonato. Questo
non mi stancherò mai di dirlo: guardando indietro e pensando a quel primo incontro, se mi avessero
detto che in tredici anni io sarei stato qui a parlarvi oggi, mi sarebbe scappato da ridere.
Dopo pochi anni da questi eventi, Marco, il marito di Letizia, mi aveva chiesto di prendere parte ad una
video-intervista che sarebbe poi stata trasmessa durante il Meeting di Rimini. Anche questo è stata una
cosa che mi ha molto commosso. Ho detto sì per un unico motivo, perché ho pensato che comunque il
carcere non me lo avrebbe mai permesso, però dissero di sì. Ho preso parte a questa intervista, finita in
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un documentario, che è stato poi fatto vedere al Meeting di Rimini, e ho detto: «Inizia e finisce con
questo». Ma quell’intervista è stato solo l’inizio: ci fu ad esempio una ragazza che, avendo visto a
Rimini la mia intervista, poi mi ha scritto e mi ha contattato in prigione. E anzi, l’anno successivo
venne in America e, passando un po’ di mesi là, mi è venuta a trovare due volte in prigione. Come fai a
spiegare una cosa del genere? E Anna è qui stasera, e anche tanti altri amici che poi ho incontrato sono
qui stasera, e questa è una cosa che mi stupisce tantissimo. E l’amore e il perdono che ricevevo dalle
persone che venivano a trovarmi non poteva restare solo una cosa per me, infatti ha cominciato a
trasmettersi ai miei compagni in prigione: alcuni dei detenuti mi hanno chiesto se potevo cominciare
una classe di catechismo alla domenica mattina in carcere. Ho iniziato a farlo, l’ho fatto per due anni,
poi sono uscito di prigione, ma quella classe di catechismo continua ogni domenica. A insegnare c’è un
mio amico detenuto che è ancora in prigione. Questo mi fa venire in mente quello che ha scritto
Romano Guardini: «La giustizia dà struttura alle cose, ma la misericordia crea». Dovendo rispondere
alla domanda «Può uno nascere di nuovo?», io dico sì, ma dico anche che uno deve rimanere aperto,
infatti c’è stato un momento in particolare in cui avrei potuto benissimo rispondere di no.
La prima volta che nasciamo non abbiamo nessun controllo sul processo, siamo nel ventre di nostra
madre e nasciamo ma, per la dignità che Dio ci concede, possiamo comunque dire di no al fatto di
nascere di nuovo. Uno dei motivi per cui la gente dice di no è perché pensa che sia impossibile
cambiare. Giusto l’altra sera, un’insegnante mi raccontava che dicendo alla sua classe di questo
incontro aveva visto la classe molto scettica, perché evidentemente pensavano che una persona non
potesse cambiare; voleva sapere che cosa avevo io da dire a questa obiezione della sua classe. Io le ho
risposto che capisco benissimo lo scetticismo dei suoi alunni, perché tutta la nostra cultura occidentale
è basata su questo scetticismo. Penso che il vero problema sia che la maggior parte delle persone non
capisce il vero significato della parola “cambiamento”. Non so come sia potuto succedere e dove sia
successo lungo la strada, ma si è installata l’idea che uno per essere cristiano debba essere perfetto, se
sei cristiano tu sei perfetto. Non c’è dubbio che di fronte a questa uguaglianza uno senta un attimo di
trepidazione, ma comunque basterebbe leggere il Nuovo Testamento, dove è chiaro che non si trovano
persone perfette. Infatti una delle prime cose che ho letto di don Giussani, e che mi sollevò moltissimo,
era da Perché la Chiesa, dove, parlando della prima Chiesa, quella degli inizi, diceva che non era un
posto per gente perfetta. Ero caduto in un moralismo che mi aveva convinto che per far sì che Gesù mi
amasse io dovevo esserne degno e che avrei raggiunto questa dignità seguendo delle regole, ma non
seguivo Lui, seguivo solo delle regole e avevo completamente tralasciato il fatto che Lui mi amava
anche mentre ero imperfetto.
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Qual è quindi la differenza adesso in me? Non è che prima ero una persona tremenda, ho incontrato il
Movimento e adesso sono perfetto, ma che adesso ho la chiara coscienza di essere amato. La prima
cosa che ho notato uscendo di prigione e che era diversa da venti anni prima, quando sono entrato, è
che tutti sembravano più arrabbiati, più insofferenti rispetto a come me li ricordavo e questo passo
deriva dal fatto che la nostra società, secolarizzandosi, ha perso di vista il fatto che siamo amati, e
quando uno perde di vista il fatto di essere amato può mettersi in angoli oscuri. Giusto per darvi un
esempio, ho sentito molto commenti negativi, in America, sull’apertura del Giubileo dell’Anno Santo:
criticano il Papa perché parla troppo della misericordia e poco del pentimento; penso che questa sia una
critica sbagliata, perché Papa Francesco ha parlato anche di pentimento, se andate a leggere. Userò solo
l’esempio del Vangelo di Giovanni della donna adultera, dove Gesù non usa mai il termine «adulterio»,
non chiama mai la donna «adultera», anche perché l’adulterio non era solo un peccato morale, ma un
atto contro la legge, un atto criminale. La folla la fa cadere ai piedi di Gesù, non ha chiesto pentimento,
ma Gesù glielo ha dato e chi potrebbe negare che sia cambiata da quel momento? Se la misericordia
fosse basata su un certo grado di pentimento, vorrebbe dire che è qualcosa che uno si merita, cosa
contraria al concetto stesso di misericordia. La misericordia viene sempre prima di tutto perché Cristo
ama prima di tutto. Questo forse può risultare un concetto un po’ difficile: io vorrei essere una persona
migliore, ma confido in una cosa che Giovanni Paolo II ha scritto parlando di castità, e che credo si
applichi anche ad altre sfere, dicendo che la castità è l’opera di una vita. In realtà tutto richiede il tempo
di una vita: la castità richiede il tempo di una vita, l’amicizia richiede il tempo di una vita, la fedeltà
richiede il tempo di una vita. È una grande misericordia che ci è data per tenerci in comunione gli uni
con gli altri, e questa per me è la differenza tra essere protestante o essere cattolico. Ora non vi
racconterò tutta la storia di come sono diventato cattolico, io sono stato il primo della mia famiglia a
diventare cattolico, nessuno dei mei amici era cattolico, la mia fidanzata non era cattolica. Nei primi
anni dopo che mi sono convertito al cattolicesimo, vivevo una forma molto protestante di cattolicesimo
perché sostanzialmente ero da solo: quello che mi mancava era la Chiesa. È stato solo attraverso delle
circostanze spiacevoli che ho ottenuto tutto questo.
Vi dico in breve un episodio di come Gesù ha interagito con me e poi vi lascio andare. Mentre ero in
prigione e aspettavo la mia sentenza, il mio avvocato è venuto a trovarmi e mi ha detto: «Guarda che il
giudice non è uno particolarmente interessato al tuo caso per cui, invece di venti anni, c’è la possibilità
che ti dia una pena minore, dai tre ai cinque anni». Quindi pensavo già di poter ottenere questa
sentenza, una pena dai tre ai cinque anni, che però non ho ottenuto, tanto che ne ho avuto una dai
diciotto ai ventidue. Io pregavo per ricevere questa condanna più corta, ma se la avessi ricevuta non
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avrei incontrato il Movimento, non avrei incontrato voi, e non sarei qui stasera. Quindi non ho ottenuto
allora quello che volevo, ma Gesù mi ha dato quello di cui veramente avevo bisogno. Se devo
rispondere alla domanda «È possibile nascere ancora?», devo rispondere, gridare sì.
DOMANDA 1: Mi pare che ieri il Papa abbia detto che la misericordia è un bisogno e lo ha ripetuto più
volte di fronte a questo mondo che sappiamo come va. Volevo chiedere: come capisci tu questa frase e
perché di fronte a questa parola, che pure è un bisogno, l’uomo è estremamente refrattario?
J. STANCIL: Parlando di misericordia mi viene in mente una citazione di Chesterton che dice che il
peccato originale è l’unico dogma che può essere provato esclusivamente leggendo il giornale del
mattino. Facciamo un mucchio di sbagli. Sul fatto del perché noi resistiamo alla misericordia mi
vengono in mente due cose. La prima è che bisogna accettare di essere fallaci, cioè che sbagliamo: ciò
ferisce il nostro io e questo è uno dei motivi per cui viene istituito il sacramento della confessione, che
ferisce, da un certo punto di vista, il nostro io. L’uomo è sempre stato resistente al fatto di essere
fallace, di essere limitato, solo che adesso abbiamo mandato un uomo sulla luna, abbiamo tutte le
tecnologie possibili e quindi siamo ancora più reticenti all’idea che non è possibile per l’uomo
controllare tutto. E mi viene in mente una citazione di Benedetto XVI che dice: «L’uomo è salvato
dalla pazienza di Dio ma è distrutto dall’impazienza dell’uomo». Cristo ci vuole pazienti verso di noi e
verso gli altri.
DOMANDA 2: Io ti volevo ringraziare di essere venuto a trovarci e sono contentissima di averti
conosciuto. Ti ho scritto una lettera quando i miei amici mi avevano detto che eri in prigione e volevo
sapere se potevi spiegare meglio il fatto che la misericordia crea. Un po’ l’ho intuito dal racconto della
tua storia, ma chiedevo se potevi aiutarmi un pochino.
J. STANCIL: Crea un nuovo essere, un nuovo uomo, un nuovo cuore. Vi faccio un esempio che
riguarda il mio amico James che è tutt’ora in prigione: alcuni amici del Movimento hanno iniziato e
continuano ad andare a visitare James. Arrivano da New York ed è un viaggio molto lontano: sono
cinque Stati dal North Carolina. Giacomo, uno di questi amici che va a trovare James, durante un
pranzo insieme mi aveva detto che era preoccupato di aver commesso un errore l‘ultima volta in cui si
erano parlati con James. Io gli ho chiesto: «Cosa credi di aver sbagliato?» e lui mi ha detto: «Beh,
eravamo lì con mia moglie e gli abbiamo raccontato di una bellissima vacanza che abbiamo fatto in
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tutti i dettagli. Poi però mi sono sentito di aver fatto qualcosa di sbagliato perché vado a raccontare le
vacanze che ho fatto a James che è in prigione e non può andare da nessuna parte». Ho detto: «No, non
c’è nulla di cui tu non puoi parlare, perché ogni giorno in prigione rinforza l’idea che tu sei meno
umano». Non appena si entra in prigione nel North Carolina, viene assegnato un numero e quel numero
si tiene in tutti i possibili passaggi, anche se si cambia prigione. Il mio numero era 0594801. Non me lo
scorderò mai e James non si scorderà mai del suo numero, perché quando sei in prigione tutto quello
che sei è un numero. Le guardie, quando un detenuto deve passare da un edificio all’altro, si parlano
perché devono avvertire dello spostamento, e non usano mai un nome. C’è solo un codice con cui
comunicano che c’è un detenuto che sta passando e il numero è 1072. Quindi quando c’è un detenuto
che sta passando da una parte all’altra, la guardia non che dice che c’è James o Joshua che deve
arrivare, ma dice che ha due 1072 in arrivo. Non sei completamente umano, sei un numero. Dopo ogni
visita che uno riceve in prigione devi essere perquisito completamente e passare sotto il metal detector
perché non si fidano, non sei affidabile. Sono stato in prigione diciotto anni e fino all’ultima visita ho
dovuto sempre passare alla perquisizione e al controllo perché comunque nemmeno dopo diciotto anni
senza nessuna infrazione sei uno di cui ci si può fidare. Quindi ho detto a Giacomo che a James tutti
giorni viene rafforzata l’idea che non è totalmente, completamente umano. Ma tu hai appena guidato
dieci ore per passare un’ora e mezza con lui, quindi non c’è niente di sbagliato che puoi dire nel
dialogo con lui, perché gli hai già detto tutto andando lì. Potresti stare lì un’ora e mezza in silenzio e gli
avresti già allargato il cuore, gli avresti già ricordato della sua umanità, per questo non c’è niente di
sbagliato che potresti dirgli.
Un altro esempio brevissimo: il mio amico Brian era un senza tetto, un barbone, prima di finire in
prigione e non gli interessava di uscire; non aveva nessuno da cui tornare e sarebbe stato contento di
rimanere in prigione. Dopo aver ricevuto una visita da due nostre amiche dei Memores Domini però,
appena le vide uscire dalla porta mi disse che quella era la prima volta in tredici anni di prigione in cui
aveva sentito il desiderio di uscire, perché aveva capito che là fuori c’era qualcosa di buono, dove
andare, dove tornare. Questo vuol dire che la misericordia di Dio crea un cuore nuovo e un uomo
nuovo.
G. VITTADINI: Da quello che abbiamo sentito non è che noi abbiamo dato qualcosa a Joshua, ma
insieme abbiamo scoperto, in questi anni e stasera, che la misericordia è un fatto. La misericordia è un
fatto che noi abbiamo incontrato, che lui ha incontrato, e che invece di muovere le pedine umane a
caso, come sembra in questo mondo di arrabbiati, muove le persone perché vadano verso il bene, verso
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il destino: anche quando, come dice Manzoni, sembra che ci sia qualcosa che è negativo, è sempre per
un bene più grande, un bene che è verificabile nell’esperienza. E questo, come abbiamo visto stasera,
cambia il mondo.
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