L'isola
disabitata
ell'ambito del nutrito calendario
di
manifesta-
zioni proposte dal Conseruatorio di Musica
Benedetto Marcello d,i Venezia, nell'anno acca-
demico 1998/99, comprendenti diuerse attiuità, dai saggi di classe
ai concerti d,ei docenti, dai sagi finali dei miglio4 allieui ai
seminari con relatori esterni, dalle attiuità di collaborazione con
uari Enti culturali a quelle con gli studenti di altri Conseruato4 e
[Jniuersità, spicca
la rappresentazione
d,e "L'isola disabrtam',
azione teatrale in due parti d,i Pietro Metastasio con musica di
Franz Joseph Haydn.
Sono tre le recite in programma: due ad ingresso su inuito presso
la Sala Concerti di Palazzo Pisani,
Musica Benedetto Marcello
sede d,el Conseruatorio
di Venezia,
e una
presso
il
di
Teatro
Toniolo di Mestre, con ingresso libero.
Si tratta di un'operazione molto importafie per
il
Conseruatorio,
che uede la panecipazione d,egli allieui delle Scuole di canto e di
strumento, rispettiuamente perle
anche di altri
le
pafii uocali e per l'orchestra, ma
alliui per ruoli significatiui
che solo con una simi-
produzione I'allieuo può sperimentare, come il maestro sostitu-
to e l'aiuto regista. L'idea di un rapportl sempre più stretto tra
scuola e mondo del lauoro, fond,amentale per una moderna
for-
mazione superiore degli studenti nella nostra società, sta alla
base d,i questa impegnatiua operazione, che si colloca ad un liuello
preprofessionale intermedio tra produzione didattica e produ-
zione artisilca dei normali circuiti dello spettacolo. Proprio per
questa ragione tra i protagonistifigurano anche giouani cantanti professionisti, legati
al Conseruato4o per esserne stati recente-
mente allieui, che hanno lauorato, durante la preparazione dell'opera, gomito a gomito con i nost4 studenti, suolgendo una preziosa funzione di stimolo.
Va citato infine, ma non da ultimo, l'impegno del corpo docente
del Conseraatorio che ha collaborato attrauerso l'insegnamento,
attrauerso la copertura dei ruoli della direzione, della concerta-
zione, della regia dell'opera e attrauerso tutti gli aspetti promo-
zionali suolti "dietro
le quinte" che permettono
di regalare
al
pub-
blico questo euento artistico.
A liuello istituzionale lo spettacolo rientra nella programmazione
di
respiro internazionale uoluta dal Comitato Nazionale per le
Celebrazioni del 3o Centena4o della nascita di Pietro Metastasio,
istituito con D.P.C.M.
musicali
e
il6
aprile 1996, che coinuolge diuersi Enti
due Conseruatori: Roma e Venezia. Alla manifestazio-
ne è stato dato l'alto patronato del Presidente della Repubblica e
un contributo del Ministero per i beni
e le attiuità culturali.
Indispensabile è stata la partecipazione del Comune
Asesorato alla Cultura, che ha tra l'altro
Teatro Toniolo
di
messo
Mestre, fauorendo cosi
Conseruatorio, istituzione attualmmte in fase
di
Venezia,
a diEosizione
la presenza
il
del
di rilancio e poten-
ziamento, corne promotore culturale rrcl tenitorio umezi,ano, Un
ringraziamento anche al Banco Ambrosiano Vmeto, al Teatro
Fenice e all'Uniuersità Ca' Foscari per
i contributi
Ia
relatiui all'alle-
stimento e al libretto di sala.
Il Direttore
Giouanni Umberto Battel
L'isola disabrtam
Azione teatrale in due Parti di
PIETRO METASTASIO
Musica di
FMNZJOSEPH HA\DN
Personaggi
Interpreti
Costanza moglie di Cemando
Lucia Paicevich
Stefanie
Silvia di
Enico
(3-15/)
Silvia Dalla Benetta
tei sorella minore
consofie di Costdnzd
@)
*
Franco Zanette (13-15D
Arkadiusz Pstrong
Gernando
(13D*
Martina Trevìsan (141)
compagno di Gernando
tat
Bra:ln(1.41) tù
Luca Favaron
(1.41) k)
(13-l5lr*
Enrico Masiero
(141, b)
Due selvaggi
Juan Sebastian Vargas
Claudio Donaggio
Due marinai
Filippo Cagnato
Francesco Guadalaxsara
Maestro concertatore e
Direttore
Maurizio Dini Ciacci
Docente del corso di Bercitazioni Orchatrali
Maestro al
cembalo
Regia
Alessandro Pianu (d)
Agnese Safiori
Docente del cotso di Afie Scenica
regista
Maestri collaboratori
Aiuto
Stefanie Braun (e)
Roberta Paroletti
Serena
Felici
*
(1)
Marco Comin sugeritorc
Realizzazione delle
scene
Allievi della Scuola diArte Scenica
Costumi
Abbigliamento Laura Crovato -Yerrezia
costumi
Elementi di illuminazione e artezzeie
Allievi della Scuola di Arte Scenica
Adattamento dei
Fondazione Teatro La Fenice
Corso di Esercitazioni Orchestrali
Maurizio Dini Ciacci
Scuole di Canto
(a)
stella silva
(b) Pamela Hebert
(c)
Michela Remor
Scuola di Clavicembalo
(d) Maria
Corso di Arte Scenica
(e) Agnese
Scuole di Pianoforte Principale
(D
Responsabile relazioni esterne
Monica Bertagnin
Coordinatore attività inteme
Antonella Perini
Responsabile grafico
Roberto Palma
*
Vittoria Guidi
Saftori
Giorgio Agazzi
Ex allievi diplomati del Conservatorio di Venezia
ORCHESTRA DEt CONSERVATORIO
Violini
Contrabbassi
Prof. Marco Albano
Marco Tesei
Francesca Bonomo (ùolino di Ealla)
Stefano Bruni
MarcoZappia
Pietro Costantini
Flauto
Cecilia Crisafulli
Micaela Caser
Vittorio Demarin
Prof. Paolo De Rossi
Fagotto
Angelica Faccani
Maia Grazia Esposito
Cado Giordani
MarlinaMazzon
Comi
Prof . Stefano Zanchetla
Marco Cola
Prof. Marco Venturi
Viole
Francesca Canova
Oboi
Monica Fracassetti
Michele Antonello
Marie Luise Lehnert
Flavio Parisi
Marco Nason
Timpani
Violoncelli
Claudio Donaggio
Prof. Paolo Crespan
Silvia Di Salvatore
Cembalo
Lorenza Loro
Alessandro Pianu
Eleonora Ruggenini
Gottab. esumo)
(collab. estemo)
"L'isola disabitata,
17 53-177 9,
owero Metastasio rivisitato da Haydn
Gian Giacomo Stiffoni
La maggior mia consolazione non è quella d'aver finito, ma d'essermi riuscita (proporzione
delle mie forze) la meno imperfena di tutle Ie opere mie Voi vedrete risrefto in un atto solo
tutti i moti, tutti gl'incontri e tutte le passioni che riempirebbero abbondantemente Ia misura
dì un lungo dramma. V'è cudosità di soggetlo, novirà di cantteri, si piange senza entrar nel
teatro, si ride senza dar nei buffone: insomma (se I'amor proprio non mi accieca affafto) il
componimento è tale che considerato lo stato atruale della mia testa è superiore quello ch'io
potevo pemettermi da me slesso, e sivede chiaramente che la benefica deità del Manzanarc
rmi
ha negato gf influssi suoi
[
]
(1)
Con queste parole Pietro Metastasio, residente dal 1729 a Vienna in qualità di poeta Cesario,
descrisse all'amico Farinelli la sua ultima fatica librettistica,
I'isola disabttata, in una lettera datata
febbraio 1753. Il famoso castrato, al secolo Carlo Broschi, da alcuni anni responsabile di tuni gli
spettacoli operistici presso la corte di Spagna, si era rivolto all'amico poeta per ayerc alpiù presto
19
un soggetto operistico che potesse servire a concludere degnamente la giornata di festeggiamenti
dedicata a celebrare l'onomastico del monarca spagnolo, Fernando M. Per l'occasione, Metastasio
si preoccupò anche di trovare un compositore disposto a scrivere in poco tempo una partitura sulle
parole da lui già composte. Dopo un tentativo fallito con Nicola Porpora, la scelta cadde su un musicista da pochi anni residente nella capitale austriaca, il quarantatreenne Giovanni Bonno, il quale
finì di scrivere la musica
-
a detta dello stesso Metastasio
-la
maltina del 7 aprile, il medesimo gior-
no in cui libretto e partitura partirono, con un coniere, per la corte Madrid
a),
Probabilmente con alcuni rimaneggiamenti apportati in loco all'ultimo momento o), l"'Azione
leaffale"
-
così come viene definita L'isola disabitala nel frontespizio del libretto a stampa
messa in scena
il 30 di maggio.
Sede della rappresentazione
- In
fu il palazzo reale di Aranjuez,località.
{ar
poco distante da Madrid dove i monarchi spagnoli solevano passare gran pate della prìmavera e
dell'estate. La bievità della composizione e la sostanziale semplicità della sua struttura drammalica
-
un solo atto con unica ambientazione e quattro personaggi
-,
si confacevano sia all'occasione, sia
al luogo dove essa fu rappresentata. I'isola dhabitataappartiene
di fatto adun genere definito abi-
tualmente come "Serenata vocale": una sorta d'opera di brevi dimensioni, che
Settecento seffiva
- in molte corti europee -
a partire dall'inizio del
a concludere, in qualità d'intrattenimento musicale
serale, le giornate dedicate a celebrare onomastici, compleanni o matrimoni di personalità di spicco delle famiglie reali, il più delle volte monarchi o principi ereditari. Le limitate pretese spettacola-
ri necessarie alla sua messa in scena rendevano questo genere - definito a volte nei frontespizi dei
libretti anche come "Pastorale", "Festa teatrale" o, come nel nostro caso, "Azione leatrale" - particolarmente adatto alle limitate possibilità che alcuni palazzi avevano nell'ospitare complesse rappresentazioni d'opera.
I1 caso
della reggia
di
Aranjuze è emblematico. Durante gli anni in cui Farinelli
lavorò come direttore degli spettacoli di corte, ilpalazzofu infatti sede solo di Serenate e di Cantate.
Solo un anno prima, sempre Meashsio aveva di fatto rimaneggiato per Aranjuez
-
ancora una
vola
per l'onomastico del re
-
un altro suo libretto in
tn
atto Le
cinai, inomirnto per l'occasione
La
festa
cxnese.
I cantanti
scritn-rrati per prima rappresentazione dell'lsola disabitata
Regina Mingotti che cantò la parte
furono oltre alla napolelana
di Cosanza e a Teresa Castellini che vestì i panni Silvia, il castrato
Emanuele Comacchini, interprete del ruolo di Enrico, e iltenore Domenico Panzacchi che invece dette
voce al personaggio di Gemando. Metastasio insisteffe particolarmente perché quest'ultimo personaggio, in quanto figura di marito, fosse affidato, secondo una convenzione dell'epoca, a una voce
tenorile
11
6).
soggetto del libretto, praticamente identico anche nella versione musicata da Haydn di cui par-
leremo tra poco, presenta un'andamento della vicenda alquanto lineare. Nell'antefatto gli sposi
Gemando e Costanza, e la di lei sorella Silvia, approdano in un'isola deserta. Gemando, rapito dai pirati, lascia sola Costanza che si crede, al pari di una novella Arianna,Itadilae abbandonata. Dopo quindici anni di schiavitù Gerando e l'amico Enrico tomano sull'isola per recuperare le due donne. Dopo
alcuni fiaintendimenti la coppia di sposi finirà per riunirsi felicemente, mentre Silvia, ormai donna cresciuta, da bambina che era al momento dell'involontario abbandono, troverà in Enrico il suo futuro
sposo. Tutti
i personaggi, ad esclusione di
Silvia, presentano :una caralteflzzazione abbastanza con-
venzionale. Cosanza,presentata come il modello della donna forte e pronta a disprezzarc il marito,
causa del suo presunto tradimento, alla fine
-
svelati gli equivoci
-
a
si fa portatrice d'un modello di
fedeltà coniugale che è altresì insito nel suo stesso nome. Gemando è il fido Consorte disposto a lascia-
rela propia vita, con un gesto d'intenso lirismo, una volta creduta morta la sposa, mefltre Enrico
si
ritaglia il ruolo del confidente destinato ad avere, alla fine della pièce, e dopo aver facilitato la riunione dei due sposi, il premio per lapropria generosità. Silvia, è il personaggio forse più interessante.
Abbandonata ancora in fasce con la sorella nell'isola sperduta, educata da quest'ultima lonano dai
'vizi' della civiltà, essa presenta dei connotati di ingenuirà e spontaneiÈ che sembrano awicinaia
quell'idea di "buon selvaggio" che fu tanto cara ad alcuni illuministi
-
in particolare Rousseau
-
a
della
seconda metà del Settecento. La semplicità di comportamento, nonché I'acrtlezza e vivacilà con cui la
fanciulla desidera entrare in contatto con
nell'isola
-
lo 'sconosciuto'
-
rappresentato dai due uomini giunti
sono disegnati da Metastasio con estrema finezza dt stile, ma anche con gtande acttezza
psicologica. In tal modo il Poeta Cesario ci permelle di awicinarci con estrema
turbamenti adolescenziali della gìovane, la quale trova
-
n
ilralezz^ anche ai
come ha giustamente affermato Luca Logi,-
"contemporaneamente un mondo estemo a sé e sentimenti nuovi, a sé estemi"; le relazioni con la
Miranda della Tempesta di Shakespeare, personaggio forse presente anche al Meta§atsio al momento
della redazione del libretto, non possono sfuggire ad un attento spettatore.
Dopo la prima del 1753, il libretto di Metastasio fu musicato circa una ffentina di volte con una fortuna che si protrasse almeno fino
all794.Trui diversi musicisti che se ne interessarono spiccano inomi
di Giuseppe Sarti (1760), Domenico Fischieni (1761), NiccolòJommelli (1761 e 1780), Tommaso Traetta
(1768) e Giuseppe Asafi2,(1773). Nel 1779 ancheJoseph Haydn, dovendo scrivere una breve opem per
celebrare l'onomastico del principe Nikolaus Esterhlzy, decise diùtlizzarc il testo metastasiano(0.
Haydn, al servizio del principe sn dal1762 in qualità di Kappelmeister, dzl1168 si faceva carico
anche dell'organizzazione e delladirezione degli spettacoli operistici che si mettevano in scena nel tea-
tro del castello dilsterhtrza,residenza situata nella località ungherese di Sùttòr. Tali spettacoli, ai quali
10
spesso si sommavano recite di commedie di prosa e, a pafiire dal 1173, rappresentazioni d'opere in
tedesco con uso di marionette, assumevano
il
caraltere di una vera e propria stagione continuata che
raggiungeva una media di circa un centinaio di rappresentazioni per anno. Fino alla morte di Esterhàzy
- awenuta nel 1790 - Haydn scrisse 22 opere, la maggior parte di argomento comico, cinque della
quali per il teatro di marionette(7). Casi isolati di opere serie ad Esterhàza furono solo I'ArrnidadelllS3
e, appunto,
I'isola disabitatadellTT9, unica pafiiturz scritta dal compositore su un testo di Meastasio.
Pdma di soffermarsi su alcuni aspetti peculiari dell'Isola d.isabrtam,credo possa essere utile fare
qualche breve accenno sulla storia del manoscritto .La partif.:tra autografa originale è irimediabilrnen-
te perduta; essa venne infatti distrutta durante un incendio dell'archivio degli Esterhàzy (incidenti di
questo tipo si susseguivano con regolarità adEsterhlza), dal quale si salvarono solo le prime quattro
pagine (le battute dalla 1 alla 59 dell'Ouvefiure), custodite ora nella Biblioteca di Stato di Berlino.
Fortunatamente si conserua invece una copia della partitura redatta nel 1781 da un copista anonimo,
la quale presenta inoltre alcune correzioni fatte dallo stesso Haydn. Questa copia, oggi conservata
nella Library of Congress di Vashingon, è quella che fu inviata dal compositore - sempre nel 1781
-
alla corle di Spagna come omaggio per il principe delle Asturie, il futuro Carlo IV; un singolare ritorno, quindi, dell'opera di Metastasio là dove era stata eseguita la prima volta
(8),
In visa di una pubbli-
cazione isolata del pezzo per i'editrice Breitkopf & Hartel, nel 1802 Haydn scrisse anche una versione
ndotta del Quartetto finale dove però cambiò in parte 1a strumentazione aggiungendo due clarinetti.
Nella none del 15 novembrc del 1779 un incendio, causato da due stufe lasciate distrattamente
accese, divampò nel castello diEsterhlza lasciando fortunatamente integrala struttLlra principale, ma
distruggendone però completamente il teatro. Nikolaus Esterhtrzy fece subito ricostruire la sala, tuttavia, per circa due anni, le rappresenazioni operistiche dovettero essere realizzate in condizioni di for-
tuna. Forse propno per questo motivo in occasione dell'onomastico de1 principe, che cadeva il
6 dicembre, si decise di mettere in scena L'isola dhabitata.
sentazione del breve libretto metastasiano, nonché
1l
Il limitato organico necessario alla rappre-
luogo circoscrifio dove è ambientata la vicenda,
si prestavano bene alla situazione d'emergenza. L'organico strumentale comprendeva
archi,2flatrti,2
oboi, un fagotto e comi. La distribuzione vocale dei ruoli differì da quella utilizzata da Bonno in occasione della prima spagnola
affidata a una voce
delll53
solo per quanto iguardava la parte di Enrico, che ad Esterhlza fu
di baritono. I
Costanza, Andrea Totti che vestì
cantanti furono Barbara Ripamonti, che interpretò il ruolo di
i panni del marito Gernando, Benedetto Bianchi fu Enrico, mentre
Luigia Palzelli s'incaricò di dare voce alla giovane Silvia. Quest'ultima cantante, un mezzosoprano di
mediocri capacità vocali, cantò spesse volte nelle opere scritte e dirette da Haydn ad Eslerhlzaediverne anche l'amante del compositore, vittima
-
come è noto
-
di un legame coniugale tormentato.
Nello stendere la partitura Haydn rispenò quasi completamente il testo di Metastasio. Gli unici
cambiamenti furono: 1) la divrsione dell'opera in due parti, là dove nel libretto del 7153
vi
era
il
pas-
saggio tra scena sesta e la scena settima (numerazione a dire il vero mantenuta, nonostante la divisio-
ne, anche nella partitura haydniana), 2) la scelta di un testo diverso per due arie, rispettivamente di
Enrico e Silvia, 3) la trasformazione del coro finale in un articolato Quartetto. Il testo originale dell'ana di Enrico, "Benché di senso privo", presente nella scena 5 del libreuo originale, fu sostinrito da quel-
- de|7737,
- sostituì invece il
lo dell'aria "Chi nel cammin d'onore", tralta da un vecchio libretto- sempre di Metastasio
Il
tempio dell'Eternità, La diyersa aria di Silvia
-
"Come
il vapor s'accende" ([, 4)
11
"NoR so dir se pena sia" presente nella scena 10 dell'originale, origrnando, sia nel testo, sia nella musica, un episodio che presenta degli elementi dileggerczza diversi dalla sostanzlale serietà dell'intera
composizione. Haydn in tal modo portò a pafii^le compimento quell'esigenza d'equilibrio
comico, cui faceva riferimento
1o stesso Metastasio nella
ra
serio e
lettera citatt all'inizio di questo breve contri-
buto. Non casualmente il testo dell'aria di Silvia fuutrlizzato
-
in una forma più allungata
-
anche dal
compositore Pasquale Anfossi nella sua opera comica Il curioso indiscreto, rappresentata nel teatro di
Esterhàza
nel 1783.
Avendo probabilmente ancora nella memoria i suoni e il procedere drammatico-musicale
in orchesffa
-
-
tutto
dell'O(eo ed Euridice di Glùck, da lui diretlo tra gennaio e febbraio del7766,Haydn
decise di scrivere tutti
i recitativi in forma strumentale, rinunciando in tal modo al classico recitativo
secco con clavicembalo e violoncello, abinralmente ulilizzato nell'opera seria itahana dell'epoca.
Il
partitulu (6 arre,:un'arietra
e
recitativo accompagnato che ne uscì e che collega i diversi numeri
de[1a
un Quafietto), presenta dei connotati del nrtto originali sia per ampiezza- non poche volte supera tra
un'aia el'allrale 100 batnrte di ltnghezza -, che per afiicolazione. II compositore tenta infatti di superare le formule
di accompagnamento e declamazione più consuete orientandosi verso un
tessuto
Il risultato è una sorta di continuum darammatico-musicale sempre
presente, dove gli interventi strumentali, a volte fortemente descrittivi, altlano a illuminare vai via il
musicale più vario e cangiante.
testo valorizzandone
il contenuto sernantico
e
la pregnanza drammaturgica. Questo aspetto awalora
l'affermazione di Robbins Landon, uno dei più grandi studiosi di Haydn, che afferma essere I'isola
disabitata come una delle opere più originali e anticonvenzionali dell'intera produzione lirica del
compositore austriaco(e). Un'originalità di cui lo stesso Haydn doveva rendersi conto, se in una lettera del27 maggio 1781 all'editore Artaria così scriveva, lamentandosi del suo isolamento adBsterhlza:
l::yÉf,lTff ffi #:.(,J:?ffi
Con
v'rcina
",f"T'3"ì:Til#"r!:!;:n';',#;i':::#:
I'isola disabitata Haydn si awicinò di fatto a un'idea di drammaturgia innovativa, molto
a quella propugnata, solo pochi anni prima, dalla "Riforma" di GIùck e del librettista
Calzabigi: cioè di un melodramma dove la musica potesse avere una determinante funzione regola-
trice dei conflitti drammatici (recitativi) e dei momenti di contemplazione (arie), in una iogica di
reciproca generazione, continuata e mai interotta. È quindi sorprendente come Haydn iesca a rcalizzare, anche
se
non fino in fondo, un tale ideale,tilizzando, senza sostanziali modifiche, un
libret
to quale quello di Metastasio legato ad un modello di teatro che limitava l'impiego della musica
-
come afferma Gallaruti- "alla espressione contemplativa di affettl universali in arie sposabili da un'oPera a1l'altra"
ttor.
La continuità drammatico-musicale ricercata da Haydn è particolarmente evidente nel blocco
scene che hanno inizio col recitativo e aria di Silvia
-
Ia già cilata, "Come il vapor s'accende"
scena decirna della seconda parle. L'aria è seguita, senza soluzione
-
di
nella
di continuità, da quella di
Costanza, "Ah, che invan per me pletoso" in Si bemolle maggiore. Il motivo iniziale di questa viene
ripetuto poco dopo
12
-
però in Do maggiore
-
nell'arielta, accompagnata da archi e violino a solo, di
Gernando "Giacché
il pietoso amico", quando questi entra in
scena cercando la sposa perduta.
Il
legame tematico che Ia musica crea tra i due coniugi anticipa, di fatto, il loro effettivo rincontro che
awerà di lì a poco. L'utilizzo del "solo" strumentale
seguente, allorquando Enrìco
-
crea a sua volta un altro legame con la scena
accompagnato in questo caso da un violoncello
- commenta
l'av-
venuta riunione degli amanti. L'uso di strumenti solistici associati ad un determinato personaggio
è
l'elemento, si potrebbe dire, strutturale che collega le scene sopra descritte anche con il quartetto
con cui si chiude l'opera, costruito nello stile di una sinfonia concertante. Il brano è infatti apefio da
un ritornello del violino solista che introduce il canto di Costanza, "Son contenta appieno"; allo stesso modo anche gli interventi degli altri personaggi sono preceduti da un solo strumentale, rispetti-
vamente di violoncello per Gernando, di flauto per Silvia e di fagotto per Enrico. Il quartetto di una
lunghezza che supera le 350 battute viene poi chiuso da due altre sezioni: un "Andante" in Fa maggiore dove le coppie si scambiano dichiarazioni di affetto e che funge da momento di pausa prima
del "Presto" finale, scritto in un solare Do maggiore. Haydn, per mezzo di riferimenti tematici incrociati riesce quindi da un lato a facilitare l'espressione delle emozioni, dall'altro a evidenziare Ia continuità del procedere drammatico. L'amalgama che egli ottiene tra aria e recitativo, ricorda in alcuni
punti quella a cui giungerà alcuni anni dopo Mozart, soprattutto nelle sue opere viennesi, e preannuncia contemporaneamente ciò che sarà I'opera italiana e tedesca di primo Ottocento.
La struttura lormale con cui vengono musicate le singole arie, è infine un altro elemento che
contribuisce ad agevolare il senso di continuità scenico-musicale. Il compositore, infatti, pur doven-
doutilizzare un testo impostato su due quartine di settenari, preferisce non servirsi della classica
- il più delle volte in forma pentapartita AA'BA A'- con cui ancora all'epoca
struttura col Da capo
venivano composte abitualmente le arie nell'opera seria. Al contrario egli opta per una forma binaria più semplice e lineare, dove ognuna delle due parti del testo viene musicata in uguale proporzione, nella forma ABA'B'. Così facendo Haydn ottiene una maggiore sconevolezza della drammaturgia agevolando allo stesso tempo la comp ttezza formale dell'intera opera.
Un ultimo accenno va infine fatto sull'Ouverture, probabilmente.una delle più riuscite tra quelle
scritte da Haydn durante la sua permanenza adEsterhtrza. Contrariamente alle altre scritte nello stesso periodo, e solitamente strutturate in due parti
-,
-
un'introduzione lenta seguita da un tempo veloce
quella dell'Isola disabrtata presenta una forma quadriparlita. Un'introduzione drammatica, che
sembra prefigurarelatagicasituazione delle due donne abbandonate nell'isola, si apre su un "Vivace
assai" in Solminore dove Haydn sembra voler ritornare al più severo stile Strum und
teizzava le sue composizioni dei primi anni Settanta. Un "Allegretto" in
quella di un Minuetto con relativo Trio
-
314
-
Drangche caral-
la cui struttura ricorda
crea una breve parentesi in stile galante in Sol maggiore che
nella sezione finale si inflette verso il Sol minore, per poi lasciare lo spazio ad una ripresa brevissima
e folgorante del "Vivace assai" iniziale. La compìttezza di questo brano spinse Haydn a curame una
pubblicazione per separato alcuni anni dopo la prima rappresentazione dell'opera.
La concezione drammaturgica musicalmente innovativa riscontrabile nella partitura, unita all'e-
quilibrio con cui Haydn organizza gli intereventi dei solisti e degli assoli strumentali, in una concezione che a volte si awicina allatrrcparenza riscontrabile nei quartetti dell'opera 33, risalenti agli
stessi anni, fanno, come si è visto, dell'lsola dtsabrtaW un esempio singolare di adattamento di un
testo metastasiano, A dimostrazione di come, anche nell'epoca della "Riforma", fosse ancora possi-
13
bile servirsi della struttr.rra drammaturgica plasmata dal Poeta Cesario
che potremmo definire più cameristica
-
sebbene nella sua versione
-, quale veicolo efficacie per portare avanti un discorso inno-
vativo nei confronti dell'opera seria di secondo Settecento.
Note
(1)P.
(2)
METASTASIO, Tuile le opere, a cura di
p
Iui,
B
Brunelli, Milano, Mondadori, 1953,
vol III
(Episrolario), p. 800.
B7o
o)Tale supposizione si ricava leggendo questo passo batto ancora una volta da
una letfera di Metastasio scritta sempre a
Farinelli alcuni mesi dopo Ja prima esecuzione:
] Ho detto al Bonno che la sua musica è riusciLa senza entrar nelle altre
cfcostanze, le quali forse [o avrebbero mofiificato, Se mai egli sentirà qualcosa dell'accaduto, allora gli spiegherò il fatto: e
"[
glrfaròconcepirechelanecessiDenonladisistimaèstatacagionedellevariazioni
accorsel...l',lui,p
848
(4)
"t'tsou. DISABITATA Azione per musica del Sig ab Piero Metastasio romano, Poeta Cesario; reppresentata in Aranjuez
l'anno 1753 Festeggiandosi i[ giorno del Glorioso nome di sua Maestà Cattolica: Don Perdinando M per comando di S,M.C
la Regina D, Maria Barbara". Copie del libretlo furono stampare quasl contemporaneamente in diverse cità italiane come per
esempio Milano, Roma, Venezia e Napoli, cfr C SARIORI, I libretti italiani a stampa dalle origini al 18(N Catalogo analitico con 16 indici, T voll., Cuneo, Bertola & Locarelli, 1990-93, vol III, sub voce I r.sola disabrtata. Il manoscritto della partirura di Giuseppe Bonno è conservato nella Biblioteca Nazionale di Vienna (ms 18291).
tjrcfr
(6)ll
P. METASTASIO, Tutte le opere
cit, vol Ilt,
p
810.
/
frontespizio del libretto della prima conservato nella Bib]ioteca del Musikfreunde dtYtenna(7992) si legge: "L'ISOLA
DISABITATA/azioneleatrale/induepafii/permusica/delcelebresignor/Abbate/PietroMetastasio/PoetaCesano/
da rappressentarsi (sìc) / in occasione del gloriosissimo nome di S A il Principe / Nicolò Esterhazi/ di Galantha /l'anno
1779,
/
Oedenburgo, nelle sramperie di Giusseppe (sic) Siess".
(7)Di
aìcune di queste opere si è perduta [a irimediabilmente la partitura, è possibile risalire quindi alla loro esecuzione solo
attmversocronologieodocumentì d'epoca Peruncatalogocompletodelleopercdiuaydncft
J.Ha1ùn:Thematisch-biblio-
graphisches l{/erk ueryeichnis, a cura di
(8)ll
A
van Hoboken, 3 voll ,Mtlnz, B, Schot's Sòhne, 1971
/
/
/
frontespizio di tale manoscritlo reca ta seguente dedica: "L'isola / disabitatz Aztone teatrale / in due Pati dedicata
sua A. R, il serenissimo Principe d'Asrurias Sereniss.'"" Principe Vostra Altezza Reale, che in mezzo alle sue ùtili e rispetrabili occupazioni, se metlere a profiLto i momente (sic) destinari al necessailo nposo, coltivando le Scienze amene, suol adoa
/
perare Ia Musica, come una di quelle piÙ proprie per Ia recreazione, e talvolta si degna di onorare le mie deboli produzioni,
sentendole ed eseguendole ancora Questa pafiicolare mia felicità, che ignoravo fin d'ora, e la nororia benlgnità dell'Altezza
Vostra Reale mi dà coraggio per dedicare alla Medesima la Musica dell'lsola disabitata da me composta, e che con la più
profondissima sommissione pongo a suoi reali piedi
Sereniss'" Principe
Della Real'Alrezza Vostra
3il'J:';#"r"TJ;',,'*"
Cfr H
ROBBINS IONDON, Haydn Chronicle and. lVork, London, Thames and Hudson, 5 voll , 1978, vol. tl (Haydn at
L\zterhdza1766-1790),pp.478e534'37 Notizierelariveallaviraealì'operadiHaydnsipossonotrovareinitalianonelvolume di H, ROBBINS TONDON-D. ',LNJONES, Hayl.n,Miano, Rusconi, 1988.
{»
1i4r*
(10)P
14
GALIARATI,,l,fmsicaemaschera,illibrenoitalianodelSeftecento,Torino,EdT,lgS4,p
83
SOGGETTO
Antefaffo. Mentre viaggiavano diretti in India, il giovane Gernando, la sua sposa Costanza e la
sorella di quest'ultima, Silvia, ancora bambina, sono stati costretti da una tempesta a sbarcare su una
isola deserla. Mentre Costanza e Silvia si riposavano dentro una grotta, Gemando e i suoi compagni
sono stati rapiti dai pirati. Da quel giorno, sono trascorsi tredici anni, Costanza, rimasta da allora sull'isola con Silvia, è convinta di essere stata abbandonata.
Atto prirno. Un angolo dell'isola disabitata in iva al mare. Coslanza decisa a morire, termina di
incidere sulla roccia un'iscrizione che narra il suo infelice destino. Entra Silvia, gioiosa ed allegra: il
suo cerbiatto, che era scappato, ha appena fatto ritorno. Ma perché Costanza è sempre in lacrime?
Non sono forse, loro due, le sovrane di un'isola dove la vlta è dolce? Lei, Silvia, non ha mai vissuto
in altro luogo - le risponde Cosranza - e dunque non può misurare la perdita di quanto non ha mai
conosciuto. Eppure - replica a sua volta Silvia - le lontane contrade di cui parli sono popolate da
uomini che sono, secondo le tue parole, creature crudeli, che pure tu sembri rimpiangere: cosa
posso fare per consolarti? Si scorge una nave all'oizzorfie. Ne discendono Gemando e il suo amico
Enrlco. Da sola, Silvia si duole di non esser riuscita a consolare la sorella, poi scorge i due uomini e
si nasconde. Gernando assicura ad Enrico di avere riconosciuto l'isola dalla quale era §tato a suo
tempo rapito. GIi rimangono ben poche speranze di ritrovare Costanza, ma potrà almeno condividere con lei la tomba. Enrico afferma che, dal momento che a Ìui deve la liberlà, Gemando potrà
contare sulla sua devozione eterna. Da sola, Silvia si domanda perplessa chi sia quello che ha visto:
una creatura che non poteva essere un uomo, dal momento che sul suo viso non si rifletteva alcun
segno di crudeltà; ma neppure una donna, visto che non ne pofiava la veste. Del cuore di Silvia si
impadronisce un sentimento sconosciuto.
Affo secondo. Solo, Gemando si dispera di aver cercato invano, senza trovare la più piccola traccia di Costanza. Scoperta l'iscrizione sulla roccia, sta per svenire. Entra Enrico e Gernando gli comu-
nica che Costanza è mofta. Però, fa osservare Enrico, I'iscrizione non è stata completata, marlcano
le due ultime parole. La ragione, risponde Gernando, è che lei non ha aluto laforza di scriverle.
Non ci rimane altro da fare allora, dichiara Enrico, che abbandonare quest'isola. Ma Gernando non
ne ha f intenzione: vada Enrico a confortare il suo vecchio padre, mentre lui finirà i suoi giomi in
questo luogo. Enrico decide di non tener conto del desiderio dell'amico e ordina a due marinai di
affenare Gernando e traspofiarlo sulla nave. Entra Silvia, alla ricerca di Costanza. Toccato dalla sua
bellezza, Enrico si sforza di calmame lo spavento e le chiede dove si trovava Costanza al momento
della morte. Ma Coslanza non è morta affatto, risponde Silvia, è viva! Enrico tuol correre a darela
nolizia a Gemando. Ma, replica Silvia, quell'uomo crudele ed ingrato si trova dunque insieme a lui?
Silvia ed Enrico a malincuore si separano, ma lui 1e promette di non lasciarla. Rimasta sola Silvia si
sforza dicomprendere i sentimenti che le agitano
il cuore, mentre Costanza, sempre più disperata,
non trova pace. Gernando, credendo che Enrico sia partito, ritorna a baciare f iscrizione sulla roccia; finalmente egli scorge Costanza e voffebbe abbracciarla, ma lei lo investe con i suoi rimprove15
ri, e poi cade svenuta davanti al masso. Gernando si allontana a cercare dell'acqua; entra Enrico
e
danina Costanza. Ella assale Lrglralmente anche lui, che però riesce a spiegade la situazione. Entra
Silvia e clice che Gernando è stato portato via dr forza: Enrico confessa che è stato lui a dar l'ordine.
Costanza si precipita da Gernando e cade fia le sue braccia mentre Silvia si getta in quelle di Enrico,
Gioia generale.
del riratb di Jacopo ,{rrigoni (ca 1150-52) National Callel,, \'jctoria, ,\ustralia
D, sr'rrsrzr \4etastasio, Teresa Castellini. Farinelli e lo stesso AnnÌgoni
Prr ticolarc
ARGOMENTO
Navigava
il giovane Gernando colla sua giovanetta sposa Costanza e con la piccola Silvia ancoil suo genitore, a cui era commesso
ra infante, di lei sorella, per raggiungere nell'lndie Occidentali
il governo di una parte di quelle; quando da una lunga
e pericolosa tempesta
fh costretto a discen-
dere in un'isola disabitata per dar agio allabambina ed alla sposa di ristorarsi in teffa dalle agitazioni
del mare, Mentre queste placidamente riposavano in una nascosta grotta, che loro offerse comodo
ed opportuno ricetto, l'infelice Gernando con alcuni de' suoi seguaci fu sorpreso, rapito e fatto
schiavo da una numerosa schiera di pirati barbari, che ivi sventuratamente capitarono. I suoi compagni, che l'idero dalla nave confusamente il tumulto, e crederono rapite con Gernando la bambina e la sposa, si diedero ad inseguire i predatori; ma, perduta in poco tempo la traccia, ripresero il
loro inteffotto cammino. Desta la sventurata Costanza, dopo aver cercato lungamente in vano lo
sposo e la nave che l'avea colà condotta, si credé, come Arianna, tradita ed abbandonata dal suo
Gemando. Quando i primi impeti del suo disperato dolore cominciarono a dar luogo al naturale
amor della vita, si rivolse ella, come saggia, a cercar le vie di conservarsi in quell'abbandonata
segregazione de'viventi; ed ivi dell'erbe e delle frutte, onde abbondava il
tereno, si andò lunghissimo tempo sostenendo con la piccola Silvia, ed inspirando l'odio e l'onore da lei concepito contro
tutti gli uomini all'innocente che non li conosceva. Dopo tredici anni di schiavitù, riuscì a Gernando
di liberarsi. La pnma sua cura fu di tornare a quell'isola, dove aveva involontariamente abbandonata Cosranza, benché senz'alcuna speranza di ritrovarla in vita,
L'inaspettato incontro de' teneri sposi è l'azione che si rappresenta.
INTERLOCUTORI
COSTANZA moglie di Gemando.
SITVIA
/l
lei sorella minore.
ENRICO compagno
rli Gernando.
GERNANDO consorte di Costanza.
PARTE PRIMA
Scena
prima
Pafte amenissima di picciola e disabitata isoletta a vista del mare, omata distintamente dalla natura
di strane piante, di capricciose grotte e di fioriti cespugli. Gran sasso molto innanzi
sul quale si legge impressa un'iscrizione non finita in caratteri europei.
Cctstanza, uestita a capriccio di pelli, difronde e
clifiori, con
elsa
e
da1
destro lato,
parte di spada logora alla mano,
in atto di terminare l'impefetta iscrizione
COSTANZA
Qual contrasto non vince
L'indefesso sudor! Duro è quel sasso,
L'istromento è mal atto,
t7
Inesperta la mano; e pur dell'opra
Eccomi al fin vicina. Ah sol concedi
Ch'io la vegga compita,
E da sì acerba vita
Poi mi libera, o Ciel. Se mai la sorte
Ne' dì fururi alcun trasporta a questo
Incognito teneno,
Dirà quel marmo almeno
I1
mio caso funesto e memorando.
(lege I'iscNzione)
"Dai traditor Gernando
Costanza abbandonala,
i giorni suoi
In questo terminò lido straniero.
Amico passeggiero,
Se
una tigre non sei
O vendica o compiangi...
i casi miei".
Questo sol manca. A terminar s'attenda
Dunque l'opra che avanza. (toma al lauoro)
Scena seconda
Siluiafrefiolow ed allegra, e detta,
SITVIA
Ah germana! Ah Costanza!
COSTANZA
Che awenne, o Silvia? Onde la gioia?
SITVIA
Io sono
Fuor di me di piacer.
COSTANZA
Perché?
SILVIA
Lami:a
Amabile cervetta,
In van per anti dì pianta e cercara,
Da se stessa è tomata.
COSTANZA
E ciò ti rende
Lieta così?
SILVIA,
Poco
ti
pare? È quella
La mia cura,
18
il sai pur, la mia compagna,
La dolce amicamia. M'ama, m'intende,
Mi dorme in sen, mi chiede i baci, è sempre
Dal mio fianco indivisa in ogni loco:
La perdei; la
ritrovo; e ti par poco?
COSTANZA
Che felice innocenza! (toma a lauoro)
SIL\14
E ho da vederti
Sempre in pianti,
o germata?
COSTANZA
E come
il ciglio
Mai rasciugar potrei?
Già sette volte e sei
L'anno si rinnovò da che lasciata
In sì barbara guisa,
Da'viventi divisa,
Di tutto priva e senza speme, oh Dio!
Di mai tomar su la patema arena,
Vivo morendo: e tu mi luoi serena?
SITVIA
Ma per esser felici
Che manca a noi? Qui sian sovrane. È questa
Isoletta ridente il nostro regno;
Sono
i sudditi nostri
Le mansuete fiere. A noi produce
La tena, il mar. Dalla stagione ardente
Ci difendon le piante, i cavi sassi
Dalla fredda stagion; né forza o legge
Qui col nostro desio mai non contrasta.
Or di', che basterà, se ciò non basta?
COSTANZA
Ah ru del ben. che ignori,
La mancanza non senti. Atta del labbro
A far uso non eri. o del pensiero,
Quando qui si approdò; né d'altro oggetto
Che di ciò che hai presente
Serbi le tracce in mente. Io, ch'era allora
Quale or tu sei, paragonar ben posso
(Oh memoria molesta!)
Con quel ben che perdei quel che mi resta.
SILVIA
Spesso esaltar t'intesi
Le rlcchezze, il saper, l'arti, i costumi,
19
[e delizie europee;
ma con tua pace
più tranquillità mi piace.
Questa assai
COSTANZA
Silvla, v'è gran distanza
Dall'udire al veder.
STIMA
Ma pur le belle
Contrade che tu vanti
D'uomini son feconde; e questi sono
La specie
de'viventi
Nemica a noi. Tu mille volte e mille
Non mi dicesti...
COSTANZA
Ah si, tel dissi, e mai
Non tel dissi abbastanza. Empii, crudeli,
Perfidi, ingannatori,
D'ogni fiera peggiori,
Che sia pietà non sannoi
Non conoscon, non hanno
Né amor, né fé, né umanità nel seno. (piange)
SILVIA
E ben, da 1or
qui siam sicure almeno.
Ma... tu piangi di nuovo! Ah no, se m'ami,
Non t'affliger così. Che far poss'io,
Cara, per consolarti? (la prende per mano)
Brami la mia cervefia? Asciuga il pianto,
E
in tuo poter rimanga,
COSTANZA
Ah troppo, o Silvia mia, giusto è ch'io pianga.
(abbracciandola)
Se
non piange un'infelice
Da'viventi separuta
Dallo sposo abbandonata,
Dimmi, oh Dio, chi piangerà?
Chi può dir ch'io pianga a tofio,
Se né men sperar mi lice
Questo misero confofto
D'ottener I' akru pietà? (pane)
(alla replica dell'Aria si
uede
passar di lontano a uele gonfie Ltna nat)e, dalla quale scendono sul
palischermo Gemando ed Enrico in abito indiano che sbarcan poi sul lido).
20
Scena
teua
Siluia sola.
Che ostinato dolor! Quel pianger sempre
Mi fa sdegno e pietà. Prego, consiglio,
Sgrido, accarezzo, ed ogni sforzo è vano.
Ma I'enigma più strano è che, qualora
Consolada desio,
Il suo pianto s'accresce, e piango anch'io.
Seguiamo almeno i passi suoi...
(nel uoler partire s'aavede della naue)
Ma...quale
Sorge co1à sul mar mole improwisa?
Uno scoglio non è. Cangìar di loco
Un sasso non potrebbe. E un sì gran mostro
Come va sì leggier! L'acqua divisa
Fa dietro bancheggiar! Quasi nel corso
Nlo sguardo s'invola:
Pofta l'a1i sul dorso,
e
nuota, e vola!
A Costanza si vada:
Ella saprà se un conosciuto è questo
Abitator dell'elemento infido;
E almen... (nel
partir
uede
non ueduta Gemando ed En4co)
Misera me! Gente è sul lido.
Che fo? Chì mi soccone? Ah... di spavento
Così... son io ripiena...
Che a fuggir... che a celarmi... ho
(si nasconde
fra'
fona appena.
cespugli)
Scena quarta
Gernando, Enrico in abito indiano dal palischermo, e Siluia in dispane
ENRICO
Ma sarà pol, Gernando,
Questo il tenen che cerchi?
GERNANDO
Ah sì; nell'alma
Dipinto mi restò per mano d'Amore,
E co'palpiti suoi l'afferma ìl core.
SILVIA
(Potessi almen veder quei volti).
È
molto
Facile enar.
GERNANDO
No, caro Enrico; è desso:
Riconosco ogni sasso. Ecco lo speco
Dove in placido oblio con Silvia in braccio
Lasciai l'ultima volta
il mio ben, l'anima mia,
più non la vidi. Ecco ove fui
La mia sposa,
E mai
Da'pÌaIi
assalito:
Qua mi trovai ferito,
Là mi cadde 1'acciarc. Ah caro amico,
Ogn'indugio è delitto;
Andiam. Tu da quel lato,
Da questo io cercherò. L'isola è angusta;
Smanirci non possiam. Poca sperunza
Ho di trovar Costanza;
Ma l'istesso terreno
Ch'è tomba a lei, sarà mia tomba almeno. (parte)
Scena quinta
Enrico, e Siluia in disparte.
SItvIA
(Nulla intender poss'io).
ENRICO
Tenero in vero
È
il caso di Gemando. Appena è sposo,
Dée con la sua diletta
Fidarsi al mar.Fru gf inquieti
Languir
1a
flutti
vede; a ristorarla in questa
Spiaggia discende; ella riposa, ed egli
Da barbari rapito,
Trulto a contrade ignote,
In servitù vive tant'anni, e senza
Notizia più del sospirato oggetto.
SITVIA
(Pur si rivolse al fin. Che dolce aspetto!)
ENRICO
Parla a ciascun l'umanità per 1ui,
t'obbligo a me. La libertà gli deggio.
22
Primo dono del Ciel. Spietato ogni altro
Sarebbe; ingrato io sono
Se
manco a lui. D'abomimento è degna
Ogni anima spietata;
Ma l'onor
de'viventi
è un'alma ingrata.
Chi nel cammin d'onore
Stanca sudando il piede,
Per riportar mercede
D'un nobile sudor.
Non palpita non langue,
Per lui spargendo
il sangue,
E cento rischi e cento
Va lieto ad incontrar.
Scena sesta
Siluia sola.
Che fu mai quel ch'io vidi!
Un uom non è: gli si vedrebbe in volto
La ferocia dell'alma. Empii, crudeli
Gli uomini sono, e di ragione avranno
Impresso nel sembiante il cor tiranno.
Una donna né pure: awolto in gonna
Non è come noi siam. Qualunque ei sia,
È un amabile oggetto. Alla germana
A dimandame andrò... Ma il piè ricusa
D'allontanarsi. Oh stelle!
Chi mi fa sospirar? Perché sì spesso
Mi batte il cor? Sarà timor. No; lieta
Non sarei, se temessi. È un altro affetto
Quel non so che, che mi ricerca il petto.
Fra un dolce delirio
Son lieta e sospiro:
Quel volto mi piace,
Ma pace non ho.
Di belle speranze
Ho pieno il pensiero;
E
pur quel ch'io spero
Conoscer nonso. (Darte)
23
PAR]T SECONDA
Scena
prima
Gemando solo affannato, indi Enrico
GERNANDO
Ah presaga fu l'alma
Di sue sventure. In van m'affretto; in vano
Cerco, chiamo, m'affanno: un'orma, un segno
Dell'idol mio non trovo. Ov'è l'amico?
Forse ei più forh-rnato... Enrico.,. Enrico?
Cerchisl... Oh Dio, non posso: oh Dio, m'opprime
La slanchezza e il dolorl Là su quel sasso
Si respiri e si attenda...
(nell'Epressarsi Gernando uede l'isc4zione)
Il mio nome?
Come! Note europee? Stellel
Chi ve l'impresse e qlando?
(lege)
'Dal traditor Gemando
Costanza abbandonala, i giomi suoi
In questo terminò lido straniero.,.'
Io manco. (s'appogia al sasso)
ENRICO
Ah mi conforta!
SaiCostanza dove sia?
Gnrul,{Nno (appoggiato
al
sasso)
Coslanza è morta.
ENRICO
Come!
GERNANDO
Leggi. (ac c ennando
I' iscrizione)
ENRICO
Infelicel
(lege piano
le
prime parole, e poi esclama)
'l giorni suoi
In questo terminò lido straniero.
Amico passeggiero,
Se una tigre
non sei
O vendica o compiangi...'Appien compita
L'opra non è.
CERNANDO
Non le bastò la vita.
(cade piangendo sul sasso)
24
Oh tragedia funesta! Ah piangi, amico;
Le lagrime son giuste. Io t'accompagno,
T'acccompagnano i sassi. Unico in tanto
Dolor, ma gran conforto, è che rimorsi
Almen non hai. Facesti
Quanto da un uom richiede
E l'amore e la fede,
E la ragione e l'onestà. Non piacque
Al Ciel di secondarti. Or non ti resta
Che piegar, come pio, la fronte umile
Ai decreti supremi: e, come saggio.
Abbandonar questa crudel contrada.
GERNÀNDO
Abbandonarla! E dove
luoi ch'io
vada?
Ove speri ch'io possa
Più riposo trovar! Questo è il soggiorno
Che il Ciel mi destinò.
ENRICO
Ma che pretendi?
GERNANDO
Respirar, fin ch'io viva,
Sempre quell'aure istesse
Che
il mìo ben respirò; di questi oggetti
Nutrire il mio tormento.
Tomare ogni momento
Questo sasso abaciar; viver penando;
Compire il mio destino
Col suo nome fra' labbi, a lei vicino.
ENRICO
Ah Gernando, ah che dici!
Elapaffia? e gli amici?
il vecchio genitor?...
E
GERNANDO
L'ucciderei,
Se
in questo stato io mi mostrassi a lui.
Va; per me tu l'assisti:
Mi fido a te. Se del mio caso ei chiede,
Radolcisci nanando il caso mio.
ENRICO
E tu speri ch'io possa...
GERNANDO
.{mico, addio.
25
Non turbar quand'io mi lagno
Caro amico,
il mio cordoglio:
Io non voglio altro comPagno
Che il mio barbaro doior.
Qual conforto in questa arena
Un amico a me sa1ra?
Ah la mia nella sua Pena
Renderebbesi maggiotl (Parte)
Scena seconda
En4co solo.
Non s'initi fra' primi
Impeti il suo dolor. Merita il caso
Questo riguardo; s'ei persiste, a forza
Quindi svellerlo è d'uopo. Olà. Dovrebbe
Colà sul palischermo alcune de'nostri
Trovarsi pure. 01à (escono due marinari)
Conviene, amici,
Rapir Gemando. Ei, di dolore insano,
Non
luol con noi partir. V'è noto il sito
Dove colà fra' sassi
Scone limpido un rio? Selvoso è
E all'insidie opportuno.
il loco,
Ivi nascosti,
Ch'egli passi aspettate,
E alla nave traete. Udlste? Andate.
(partono i marinari)
Scena
tena
la destra
Enfico innanzi dalla sinistra, Siluia indietro dal medesimo lato, auanzandosi uerso
senza uederlo.
SILVIA
Dov'è Costanza? In non la trovo. A lei
Tutto narrar vorrei.
ENRICO
(la smte e si riuolge)
Che miro! Ascolta,
Bella ninfa.
26
Ah di nuovo
Tu sei qui! (in atto difuggire)
ENRICO
Perché fuggi? Odi un momento.
SIL}'IA
Che vuoi da me? (dalla scena)
ENRICO
Solo ammirarti, e solo
Teco parlar.
SITVIA
Prometti
Di parlarmi da lungi. (dalla scena)
ENRICO
Io lo prometto.
(Che sembiante gertill) (scostandosi)
SITVIA
(auuicinandosi)
(Che dolce aspettol)
ENRICO
Ma di tanto spavento
Qual cagione in me trovi? Al fin non sono
Un aspide, una fiera. Un uomo al fine
Render non ti dovria così smarrita.
SILvIA
Un uom sei dunque? (turbandosi)
ENRICO
Un uom.
SITVIA
(fugge spauentata)
Soccorso!
Aia!
ENRICO
Ferma, (la raggiunge e la trattiene)
S[\'I,4,
Pietà, mercé. Nulla io ti feci:
Non essermi crudel. (inginocchiandosi)
ENRICO
(la solleua)
Deh sorgi, o cara:
Cara, ti rassicura. A-tr mi trafigge
Quell'ingiusto timore.
)1
SIL\TIA
(Ch'io mi fidi di lui mi dice il core).
ENRICO
Di', se cortese sei come sei bella:
La povera Costanza
Dove, quando,restò di vita priva?
SILVIA
Costanza? Lode al Ciel, Costanza è viva.
ENRICO
Vival Ah Silvia gentil, ché al sito, agli anni
Ceto Silvia tu sei, cori a Costanza.
A Gemando io frattanto,..
SIIVIA
Ah dunque è teco
Quel crudel, quell'ingrato?
ENRICO
Chiamalo sventurato,
Ma non crudele. Ah non tardar: sarebbe
Tirannia differir le gioie estreme
Di due sposi sì fidi,
SItvIA
Andiamo insieme.
ENRICO
No; se insieme ne andiam, bisogna all'opra
Tempo maggior. Va. Qui con lei ritorna;
Con lui qui tomerò. (in atto di partire)
SITVIA
Senti: e
il tuo nome?
ENRICO
Enrico. (come sopra)
SII\,'IA
Odimi. Ah troppo
kon
ffino)
Non trattenefii.
ENRICO
Onde la fuetla, o carul
SIIVI,A.
Non so. Mesta io mi trovo
Subito che mi lasci; e in un momento
Poi rallegrar mi sento allor che torni.
ENRICO
Ed io teco vivrei tutti
28
imiei giorni. (parte)
Scena quarta
Siluia sola.
Che mai m'awennel Ei parte,
E
mi resta presente? Ei parte, ed io
Pur sempre col pensier lo vo seguendo?
Perché tanto affannarmi? Ion non m'intendo
Come il vapor s'accende
In aria poco a poco
Così l'ardente foco
S'accresce nel mio cor.
Ohimé che fuoco
oribile
Che fiera smania è queste,
Tiranno amor t'anesta
Non tanta crudeltà.
Scena quinta
Costanza sola
Ah che in van per me pietoso
il tempo e affretta il passo:
il sasso;
Non invecchia il mio martìr.
Fugge
Cede agli anni il tronco,
Non è vita una tal sorte;
Ma sì lunga è questa morte,
Ch'io son stanca di morir,
(finita la seconda parte dell'Aria, s'abbandona a
sedere sopra
un tronco alla sinistra, e ripete
sedendo la prima parte).
Giacchè da me lontana
L'innocente germarra
Mi lascia in pace, al doloroso impiego
Torni la man. (torna al lauoro)
29
Scena sesta
Gemando e detta.
GERNÀNDO
il pietoso amico
(senza ueder Costanza)
Giacché
Lungi ha rivolto il passo,
Quell'adorato sasso
Si
tomi a ibaciar. Ma... Chi è colei?
Aa uede)
Donde venne? Che
fa?
COSTANZA
Tu sudi, e lorse
Resterà sempre ignoto,
Infelice Costanza, il tuo lavoro.
GERNANDO
Costanza! Ah sposa!
(l'abbraccia: Costanza si riuolge e lo riconosce)
COSTANZA
Ah traditore! Io moro.
(suiene sopra
il
sasso)
GERNANDO
Mio ben!... Non ode. Oh Dio!
Perdé l'uso de'sensi. Ah qualche stilla
Di fresco umor... Dove potrei...
Sì;
scone
Non lungi un rio; poc'anzi lo vidi.. E deggio
L'idol mio così solo
Abbandonar? Ritornerò di volo. (parte in fretta)
Scena seffima
EnNco, e Costanza suenuta.
ENRICO
Ignora il caro amico
Le sue felicità. Da me s'asconde;
Binvenido non so... Ma su quel sasso
Una ninfa riposal (s'appressa e I'oserua)
Silvia non è; dunque è Costanza. Oh come
Ha pien di morte il volto!
30
cosrANZA
(comincia a rinuenire)
Aimè!
ENRICO
Coslanza?
COSTANZA
Lasciami.
(senza guardarlo)
ENRICO
Ah del tuo sposo
Vivi all'amor verace.
COSTANZA
Lasciami, traditor, morire
in pace. (come sopra)
ENRICO
Io traditor! Non mi conosci.
COSTANZA
Oh stelle!
(si riuolge e lo guarda con ammirazione e spauento)
Gernando ov'è? Tu non sei più l'istesso?
Ho sognato poc'anzi, o sogno adesso?
ENRICO
Non sognasti e non sogni. Il tuo Gemando
Vedesti, a quel che ascolto:
Di lui i'amico or vedi.
COSTANZA
E mi ritorna innanzi? Ei che ha ponrto
Lasciarmi in abbandonol
ENRICO
Ah l'infelice
Non ti lasciò, ma fu rapito.
COSTANZA
Quando?
ENRICO
Quando immersa nel sonno
Tu colà riposavi. (accennando la grotta)
COSTANZA
Chi lo rapì?
ENRICO
Di barbari pirati
Un assalto improwiso, Ei si difese,
Ma, nella man ferito,
Perdé l'acciaro;
il numero l'oppresse,
E restò prigionier.
COSTANZA
Ma sino ad ora...
ENRICO
Ma sino ad or non ebbe
Libero che il pensiero; e a te vicino
Col suo pensier fu sempre.
COSTANZA
Oh Dio, qual torto,
Mio Gernando, io ti feci!
ENRICO
Eccolo al fine
Sciolto da'lacci: eccolo a te. Ritorna
Fido e tenero sposo
A renderti il riposo,
A calmare il ruo pianto,
A viver teco ed a morirti accarfio.
COSTANZA
Ah mio Gemando, ah dove
Scena
sei?
(incamminandosi alla sinistra)
ultima
Siluia dalla destra e detti; indi Gernando dal lato medesimo
SII}'IA
Costanza,
Coslarza? Il tuo Gemando
In van cerchi colà. Per te poc'anzi
Quinci al fonte affrettossi, ed assalito
(accennando alla destra)
Ritomar non poté.
COSTANZA
Srelle! Assaliro?
Da chi? Perché?
ENRICO
Perdona;
Il fallo è mio. Perch'ei ti tenne estinta
E qui restar volea, rapirlo a forza
A'nostri imposi.
COSTANZA
Andiamo
A toglierlo d'impaccio. (uuol par.tire)
SITVIA
Aspelta: io tutto
)L
Già lor spiegai.
COSTANZA
Che aspetti ancor? Tant'anni
Non attesi abbasànza? È tempo, è tempo
Che di mia sorte amara
Io trovi il fine.
(riuolgmdosi per partire si troua
fra
le braccia di Gernando)
GERNANDO
In queste braccia, o caru.
COSTANZA
Ed è vero
GERNANDO
E non sogno?
COSTANZA
Gemando è meco?
GERNANDO
Ho la mia sposa accanto?
ENRICO
Quegli amplessi, quel pianto,
Quegli accenni intenoni
Mi fanno intenerir.
SIL\']A
(ua ad Enrico)
Che pensi, Enrico?
Di te Gemando è più gentile. Osserva
Com'ei parla a Coslanza:
E tu nulla mi dici.
ENRICO
Eccomi pronto,
Se
pur caro io ti sono,
A dir ciò che tu
luoi.
SITVIA
(tmera e lieta molto)
Se mi sei caro?
Più della mia cervetta.
ENRICO
E ben
mi porgi
Dunque la man: sarai mia sposa.
SIIVIA
Io sposa?
Oh questo no! Sarei ben folle. In qualche
Isola resterei
A passar solitaria i giorni miei.
)t
COSTANZA
No, Silvia, il mio Gernando
Non mi lasciò: tutto saprai. Non sono
Gli uomini, come io dissi,
Inumani ed infidi.
SILVIA
Quando Enrico conobbi, io me ne awidi
COSTANZA
A torto gli accusai. Dell enor mio
Or mi disdico.
SILVIA.
E mi disdico anch'io.
(porgendo la mano ad Enrico)
COSTANZA
Sono contenta appieno
Appresso al caro bene
Mi scordo le mie pene
Mi scordo il sospirar.
GERNANDO
Che più sperar poss'io
Or che il mio ben trovai,
Accanto a' suoi bei rai
Io resto a giubilar.
SITVIA
Se
del mio core i moti
Caro vedessi oh Dio
Vedresti Idolo mio
Quanto tì sappiaamar.
ENRICO
Prendi d'amore in pegno
Carula man dì sposo
Più fido ed amoroso
Di me non puoi trovar.
costeuze/crmveNoo
Di due cori innamorati
Serba amore i lacci amati.
srn,Vsuruco
Ne soffrir ch'entri lo sdegno
Il tuo regno a disnrrbar.
GERNA}ìDO
Cari affanni.
COSTANZA.
Dolci pene.
34
GERNAN'DO
Ah, Costrnza.
COSTANZA
Caro bene.
ENRICO
Silvia cara.
SII\TA
Oh, qual contento.
ENRICO
Cara sposa.
SITVIA
Oh, bel momento.
TUTII
Oh giomo fortunato
Oh giomo di contento
Andiam le vele al vento
Andiamo a giubilar.
35
36
DIREITORE
COIIJGIO DEI PROFESSORI
Giovanni Umberto Battel
VICEDIRETTORE
ACCOMPAGNATORI
Pietro Verardo
At
PIANOFORTE
Daniela Cenedese'
Stefano Gibellato
CONSIGIIO
Ndo Guizzo
D'AMMINISTRAZIOM
Antonella Perini
Alessandro Manganiello, pruidente
Giovanni Umberto Battel
Anna Colonna Romano
ARÀ,IONIA, CONTRAPPUNTO,
Corado Pasquotti
Sergio Lanza
Michela Sediari,
FUGA E COMPOSIZIONE
Segretario
ARPA
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ARTE SCENICA
Agnese Safiori
BIBTIOTECA
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CANTO
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Elisabetta Tandura
CHITARRA
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Florindo Baldissera
Tommaso De Nardis
CTARINETTO
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37
COMPOSIZIONE
SPERIMENTAIE
Pasquotti
Corado
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CORO
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CONTRABBASSO
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MUSICA DA CAMERA
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CORNO
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CULTT]RA MUSICAIE GENERAIE
Mosca
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MUSICA D'INSIEME
Luca
PER STRUMENTI
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DIDATNCA DELLA MUSICA
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DRAMMATICA
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38
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STORIA DELLA MUSICA
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VIOLONCELTO
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