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ridendo
>jala[Y >af]eYlg_jY^a[Y \a Ia[c HYjlaf]dda
quattro passi nel delirio (parte I)
il fondo del barile
Iniziamo da questo numero un viaggio sui titoli più deliranti della storia del
cinema italiano. A titoli così incredibili sono spesso associati film incredibili che
mai avrebbero dovuto essere girati e che invece qualche produttore insano di
mente ha deciso di infliggere al pubblico italiano che secondo lui non poteva
farne a meno. Nota bene: i film esistono realmente e non sono frutto della nostra fantasia… quelli li trovate nel “PROSSIMAMENTE” più sotto. Buon viaggio.
di Teo Guadalupi
un’estate
di privazioni
Quella ormai alle porte sarà
l’estate della crisi. La gente potrà
permettersi solo due settimane di
vacanza senza neppure la possibilità di andare al ristorante tutte
le sere e con il rischio di dover
rinunciare al terzo lettino in spiaggia. Ditemi voi se non vi viene in
mente niente di più tragico.
I centri commerciali, per combattere la crisi, incentivano con
offerte imperdibili a comprare a
prezzi assolutamente competitivi
televisori lcd che appena sei mesi
fa costavano il 5 per cento in più
(vale a dire circa 25 euro, mica
noccioline). E del resto come fa
al giorno d’oggi una famiglia a
vivere senza televisore lcd? Un
conto è essere in crisi, un altro è
essere pirla.
Nella mia immensa ignoranza,
mista a una discreta dose di pigrizia, io sono uno che in bacheca ha
più film visti che non libri letti. Per
quanto mi riguarda “La bibbia” è
più un film di John Houston del
1966, che non il principio di ben
due religioni monoteiste mondiali.
Allo stesso modo “Furore” è un
film di John Ford prima che un
libro di John Steinbeck che, a
conferma della mia ignoranza,
non sono neanche sicuro che si
scriva così. “Furore” parla della
depressione americana degli anni
trenta, di come le cose andassero
veramente a rotoli e di come non
ci fosse più fiducia per il futuro.
Non ricordo quanti anni avessi
quando l’ho visto, non più di dieci
comunque. Non ricordo neppure
benissimo la trama del film.
Ricordo solamente il senso di
angoscia che mi aveva lasciato. E
se confronto quel senso d’angoscia
con il netto senso di presa per il
culo che provo oggi, non posso fare
a meno di pensare che, cari signori,
la crisi è tutta un’altra cosa!
La redazione
[email protected]
Antonio Galuzzi
Antonio Voceri
Davide Prandini
Enrico Alberini
Massimo Minotti
HANNO COLLABORATO
Natalino Balasso - Fabrizio Bolivar
- Riccardo Campa - Eugenio
Finardi - Corrado Giamboni Teo Guadalupi - Mago Galonio
- Alberto Grandi - Ilaria Jahier Lorenzo Mari - Nicola Martinelli
Andrea Mirò - Flavio Oreglio
- I Papu (Andrea Appi e Ramiro
Besa) - Alberto Patrucco - Mario
Tenedini
Stampato in 2.000 copie da Fda
Eurostampa di Borgosatollo (BS).
Distribuito in omaggio
discorso
alla generazione
perduta
Dov’eri giovane, oggi festante, mentre eravamo impegnati a mantenere
ben saldamente occupato il primo posto sulla scena della vita, posto che ti
spettava, che avremmo dovuto lasciarti a disposizione, come sempre era
capitato nei secoli scorsi, quando una generazione si susseguiva all’altra
alla guida dell’umanità?
Dov’eri negli anni ’60, quando cattolici praticanti, comunisti militanti, tutti
quanti gaudenti e libertini, costruivamo strade, autostrade, ponti, ville, villette,
condomini, quartieri dormitorio, città fantasma, cattedrali nel deserto, fabbriche modello, stazioni passanti?
Dov’eri negli ’70 quando, nelle
comuni d’assistenza psichedelica, sfidavamo l’assedio patetico
dei matusa, preparando così
l’assalto finale al meraviglioso
bottino della truffa edonistica
degli anni ’80?
Dov’eri negli anni ’80, quando
sperperavamo con l’inganno
il patrimonio naturale, artistico
e sociale accumulato con parsimonia e dedizione dai nostri
padri?
Dov’eri negli anni ’90, quando
smantellavamo i principi costituzionali della nostra fragile
repubblica per immolarci in anima e corpo al populismo senza
regole?
Dov’eri nel terzo millennio
quando, in nome della libertà dei
singoli, assoggettavamo ai nostri comodi la giustizia dei popoli,
facendone brandelli e polpette,
per sfamare con la menzogna il
destino affamato di verità?
Dov’eri cinque, quattro, tre,
due, un anno fa, quando aprivamo le porte alla tecnologia
del progresso senza futuro, per
costruire il baratro di una crisi da
cui non uscirai mai più indenne?
Dove sei generazione perduta, senza padri, né figli, senza
passato morale e futuro solidale,
affidata al tubo catodico della
memoria, agganciata alle rete
virtuale degli affetti, che ti affanni
a cercare senza trovare il filo
del discorso, il bandolo della
matassa, la stella della notte, il
pelo nell’uovo?
Dove ti nascondi generazione
degenerata, gonfia di pregiudizi,
scevra di prospettive, senza
guida e senza seguito?
Dove credi di andare SENZA
DI NOI, che conosciamo il genere umano, le sue infime debolezze, i suoi
spregevoli desideri, i suoi inappagabili bisogni, i suoi meschini appetiti?
Chi ti credi di essere o peggio di diventare, SENZA DI NOI, protervi depositari dell’immota e immobile saggezza, che permea la presunzione con
cui vogliamo, perché dobbiamo, insegnarti come stare al tuo posto, nella
storia e nel mondo e condurti in un futuro senza ritorno?
GIOVANE… IL TEMPO SI E’ COMPIUTO: E’ GIUNTA L’ORA DELLA
TUA CONVERSIONE!
L’Uomo Nuovo Decontaminato
CRASH! CHE BOTTE… STRIPPO, STRAPPO, STROPPIO (1973)
di Bitto Alberini con Robert Malcolm, Antonio Cantafora, Sal Borghese
Questo è il quinto film di una serie abbastanza folle sulle avventure di tre
fantastici supermen che mescolavano fantascienza ad arti marziali (Bruce Lee
all’epoca andava molto di moda). Il risultato? Beh, immaginatelo. Interessante la canzone della sigla di Nico Fidenco : “Sono Ping Pong il furore di Hong
Kong, io non mando mai all’ospedale, solo al forno crematorio o qualche volta
all’obitorio (?) Ti faccio nel ventre un traforo, ti asporto budella e piloro…”
COME FU CHE MASUCCIO SALERNITANO, FUGGENDO CON LE BRACHE
IN MANO, RIUSCI’ A CONSERVARSELO SANO (1973)
di Silvio Amadio con Giorgio Faretto, Piero Lulli, Gianni Musy
Il titolo è decisamente un capolavoro e fa parte della lunga serie di film “decamerotici” degli anni ’70 che cercavano di copiare lo stile del Decameron di
Pasolini con risultati che ovviamente non erano proprio all’altezza. Quattro
episodi tratti dal “Novelliere” di Tommaso Guardati. Gli argomenti sono sempre
quelli: falsi monaci, mogli poco vestite e mariti cornuti. Amadio bissò il genere
con un altro capolavoro: “E si salvò solo l’Aretino Pietro, con una mano davanti
e l’altra dietro”.
DIO C’E’ (IL FILM ANCHE) (1998)
di Alfredo Arciero con Riccardo Rossi, Chiara Noschese, Daniele Formica,
Vanna Marchi
Commedia a sfondo mistico che uscì in
sordina solo a Roma (mi ricordo perfettamente il manifesto di questo film al Lido di
Venezia). E’ la storia di un ragazzo idealista
che si scontra con la suocera opprimente
(Vanna Marchi…) e con una serie di altri
improbabili personaggi, ma che poi finirà
per farsi prete. Mah… Il titolo è davvero
spettacolare.
DA SCARAMOUCHE: OR SE VUOI L’ASSOLUZIONE BACIAR DEVI ‘STO
CORDONE (1973)
di Gianfranco Baldanello con Stelvio Rosi e Mario Brega
Di questo film si sa molto poco, in pratica mescola Scaramouche con i decamerotici di quel periodo. Il risultato è decisamente… (visto l’argomento)
“fallimentare”, ma il titolo è straordinario. Chi l’ha visto?
LA VEDOVA DEL TRULLO (1979)
di Franco Bottari con Rosa Fumetto, Renzo Montagnani, Carlo Giuffrè, Mario
Carotenuto
Qui siamo dalle parti della commedia scollacciata, dove Rosa Fumetto è la
vedova di Renzo Montagnani e abita nell’ultimo trullo rimasto libero in un
paesino pugliese. Fa l’infermiera a casa di Carlo Giuffrè e svezza il figlioletto,
ma quando arriva il sosia del marito morto non riesce a resistere. La trama è
folle, il titolo anche…
ELENA Sì, MA… DI TROIA (1973)
di Alfonso Brescia con Don Backy, Christa Linder, Howard Ross
Titolo davvero molto elegante. Il film racconta di due vagabondi che viaggiano dalla reggia di Menelao all’assedio di Troia incontrando i grandi eroi di
Omero. Le critiche dell’epoca parlano di “superiore insensatezza e rozzezza
fuori dal comune”. Chi volesse fare il bis consigliamo sulla stessa scia “Ettore
lo fusto” di Enzo G. Castellari, una volgarissima versione dell’Iliade con un cast
all’epoca stellare.
prossimamente
i film copia-incolla
ROMEO E GIULIETTA DEGLI SPIRITI
IL PADRE DELLA SPOSA CADAVERE
L’IMPERO DEI SENSI COLPISCE ANCORA
IL BACIO DELLA PANTERA ROSA
VA’ DOVE TI PORTA IL CUORE SELVAGGIO
LA DOPPIA VITA DI VERONIKA VOSS
La satira è un post-it
Di primo acchito verrebbe da pensare che la satira
serva a poco. Vedendo però l’ostracismo televisivo di
alcuni mattatori della scena italiana, si comprende come
la satira qualche piccolo fastidio al potere lo procuri.
Di certo, la satira dovrebbe avere almeno una funzione:
ricordare, riportare alla memoria, riattualizzare ciò che
non andrebbe disperso. La cronaca, si sa, macina eventi
a ripetizione e il pubblico li digerisce in modo sempre
più veloce. Ciò che è di attualità oggi, è già pleistocene
domani. Ecco allora la funzione post-it della satira.
Fare da promemoria.
In questa non semplice operazione, come appare
evidente, qualche rischio non manca:
• Prendersi una denuncia.
• Prendersi troppo sul serio. Un comico che si prende
sul serio è tragico.
• Abbracciare posizioni politiche, trascurando i
meccanismi comici. Se la satira perde il suo contenuto umoristico, diventa comizio, fervorino, pistolotto
moraleggiante, ed è un modo scorretto di prendere in
ostaggio il pubblico. Ciò non significa che non si debba
manifestare un punto di vista. Anzi, piazzare stoccate
anche smaccatamente di parte è lecito e opportuno.
Ma se c’è ben piantato e funzionante il meccanismo
comico, anche chi non condivide è chiamato a stare al
gioco e il punto di vista diventa palese.
Al contrario, se manca il meccanismo comico, il
pubblico è chiamato a condividere. C’è una bella
differenza.
• Essere parcondiciosi (dare un colpetto di qua e
uno di là, col bilancino) o paraculi (prendersela con i
piccoli e lasciare stare i potenti). Prerogative, queste,
insite in trasmissioni tipo: Striscia la Notizia, il Bagaglino, etc…
• Una sciagura totale è fare satira politicamente
corretta. La satira deve essere urticante, fastidiosa,
corrosiva e, soprattutto, a costante rischio censura. In
estrema sintesi: Vauro sì; Striscia la notizia no. La cosa
grave è che a tenere lezioni di satira in alcuni atenei
chiamano Ricci e non Vauro.
Questa lunga premessa potrebbe (il condizionale è
dovuto al fatto che non ci prendiamo troppo sul serio)
offrirci una chiave di lettura sul lavoro dei pochi comici
satirici rimasti in televisione e, soprattutto, introdurci a
dovere il pezzo di Alberto Patrucco pubblicato in questa
pagina. Un invito alla lettura che rivolgiamo anche chi,
di tutto ciò, non ha condiviso e non condivide nulla.
Antonio Voceri
Zero Zero Setter, la spia che digeriva
di Alberto Patrucco
Dopo la commedia all’italiana degli
anni sessanta, sono arrivati i misteri
all’amatriciana anni 2000. Nel cast:
Nicolò Pollari, Renato Farina detto Betulla, Mario Fruit Joy Scaramella, Paolo
Guzzanti, Pio Pompa… Tutti, in tempi
e modi differenti, hanno avanzato autorevoli candidature al Bagaglino, tanto
da farci preoccupare seriamente sullo
stato di salute della nostra intelligence.
Un tempo, quel poco che sapevamo
degli agenti segreti era avvincente:
“Sono Bond. James Bond!”. L’immagine
che da ragazzi avevamo della spia era
romanzesca: “Vorrei un Martini. Mescolato, non agitato”. James Bond parcheggiava in derapage nel foyer dell’hotel e
lanciava la muta da sub in guardaroba,
con incorporata la mancia per la coniglietta di turno. Si presentava al Casinò
in smoking impeccabile, mani curate,
pettinatura scolpita e si sedeva al tavolo
del Black Jack pronto a sputtanarsi 20
milioni di dollari, qualche lingotto d’oro
e la dentiera della carampana che aveva
di fronte. Vinceva, perdeva, non gliene
importava niente. Lui, era James Bond.
Un malvivente, anche girato di spalle,
sentiva: “Sono Bond!”. E, già, si preparava
con le mani in alto.
Purtroppo, la cronaca è spietata e
non si cura delle nostre suggestioni
cinematografiche. Cosicché, dopo una
raffica di scandali da avanspettacolo, ci
è rimasto: “Sono Pompa. Pio Pompa. Ce
l’ha mica un the alla pesca? Temperatura
ambiente”. Ma per favore! Pompa non è
accettabile, non rispetta i parametri di
Maastricht. Come si fa a immaginare
Pio Pompa in tuta da sub mentre esce
dall’acqua con sotto lo smoking? Pompa
è più credibile in piagiamone di flanella
che esce dal cesso con in mano la Settimana Enigmistica.
Eppure, anche Pompa, ha avuto il suo
momento di gloria, in coppia con un
personaggio fenomenale: Renato Farina.
La loro storia è ormai leggenda. Farina,
oltre a fare il giornalista full time, faceva
l’informatore part time per il SISMI e
organizzava campagne di stampa per
sostenere Tizio e danneggiare Caio.
Stando alle ricostruzioni pubblicate sui
quotidiani, aveva sceneggiato l’affaire
Telekom Serbia, attribuito a Caio Romano Prodi i voli illegali della CIA e
via romanzando.
Sembra pazzesco, ma quello che scriveva Farina non era farina del suo sacco.
Non era nemmeno Farina 00, bensì 007.
Il nome in codice di Farina era Betulla.
E, pare prendesse ordini proprio da Pio
Pompa. Ma la cosa più sorprendente di
tutta questa storia, già di per sé surreale,
è che Pio Pompa non era un nome in
codice. Si chiamava Pio Pompa sul serio.
Bisogna però riconoscere che da
grande romanziere qual era, la difesa
di Renato Farina è stata impeccabile:
“È vero, ho pubblicato cose false che
mi spedivano i servizi segreti deviati,
però non ho mai pensato fosse grave.
I miei lettori, di solito, guardano solo
le figure”.
Nel 2008, dato che era in possesso dei
requisiti adatti, Farina è stato imbucato
nelle liste del Popolo delle Libertà ed è
stato eletto deputato nella XVI legislatu-
ra. Probabilmente serviva una Betulla a
un ramo del Parlamento.
Non paghi, i giornali ci hanno raccontato che alcuni Zero Zero Setter russi
erano capaci di vendere informazioni
segretissime per cento euro. Nemmeno
un’onesta professionista in tangenziale
chiederebbe così poco per un servizietto
segreto. Tuttavia, va detto, fantasiosi.
Le informazioni potevano averle o non
averle, poco importava. Le fabbricavano
su misura. Serviva un Prodi agente del
KGB? Pronti. Il tempo di preparare i
documenti e, in un battibaleno, saltava
fuori Romanov Prodienko con una
bisnonna di Minsk. Occorreva Fassino
astronauta, Bersani lottatore di sumo,
Bindi miss Italia? Tempo tre giorni e i
documenti erano pronti.
Davvero sorprendenti questi
spinoni. Abbiamo cominciato
ad apprezzarli nel 2003 con
la storia dei finti dossier
sulle armi di distruzione di
massa, quando al presidente
degli Stati Uniti serviva un
pretesto per radere al
suolo l’Iraq.
Sulle prime Bush
vuole
glielo impacchetta in un bel quaderno a
righe con i buchi e i ganci. Niente, a Bush
quel dossier non piace. Sulla copertina
vuole i delfini, non il tramonto caraibico.
Allora Saddam, nel dossier, gli mette le
figure, i delfini e le note a piè di pagina;
impacchetta tutto in una bella busta e
glielo invia. Niente da fare, Bush non
cede, vuole le prove: “Troppi vuoti in
quel dossier. È intollerabile l’interlinea
due!”. Sul dossier, ormai, c’è un vero e
proprio giallo. Saddam si difende: “Probabilmente è cappuccino”. Ma George
Bush non è convinto. Nel dubbio, inventa
il concetto di Guerra Preventiva e attacca
l’Iraq. ‘Fanculo le prove.
Però, all’etichetta ci tiene. Manca
l’invito e il buono consumazione con
sopra il timbro. Anche fasullo, ma serve un documento che confermi la
presenza di armi di distruzione
di massa. E dove è possibile
trovare un dossier farlocco per
giustificare una guerra? Ovvio,
in Italia. Papi l’aveva detto che
per diventare amico di Bush
avrebbe fatto carte false. Detto,
fatto. Il falso dossier sull’uranio nigerino venduto
all’Iraq arriva da
Roma, dai servizi
Mario Scaramella, lo 007 italiano scartato anche dalle Giovani Marmotte
prove concrete, ci tiene all’etichetta.
Saddam gli risponde: “Ti servono prove?
Nessun problema, accomodati”. E fa
entrare l’ispettore Blix, il commissario
Rex, Max e Tux e tutta la banda dei pirla.
Ma l’Uomo più Potente del Mondo non
è convinto. Allora Saddam gli spedisce
un dossier completo di 83 pagine. Ma
George non ci crede. Allora gliene manda uno più corposo, 1.000 pagine. Ma
Mister Neurone dice che non c’è nulla
di interessante, nemmeno fosse il libro
natalizio di Bruno Vespa. Allora Saddam
segreti italici. Gli americani sono caduti
nella classica patacca italiana. Non è
escluso che, durante la prossima visita
nella capitale, qualche buontempone
riesca a vendere all’ormai ex-presidente
degli Stati Uniti la Fontana di Trevi.
Ma non è finita. Tra le tante prodezze
dei servizi segreti, rimane impressa quella della coppia Scaramella–Guzzanti,
in grado di annichilire Stanlio e Olio
nell’episodio della Legione Straniera.
Mario Scaramella, nome in codice
Sperlari, è stato oggettivamente un
Brinda con Papi!
grande. Nasce con la fissa della spia.
Già alle scuole medie è informatore
della direttrice e sventa un colossale
traffico di figurine Panini tra la terza
G e la seconda A. Da ometto tenta di
vendere informazioni al SISMI, ma lo
stesso SISMI le reputa irrilevanti. Va a
riferire che la suocera di uno del MOSSAD fa la cresta sulla spesa con i punti
della fidelity card del marito. Insomma,
per anni Scaramella è inaffidabile. Fino
a quando non arriva Paolo Guzzanti
e la commissione Mitrokhin. Et voilà,
Scaramella diventa l’uomo adatto, la
spia perfetta. Guzzanti ha bisogno di
uno Scaramella e, in qualità di pacco,
se lo scarta.
L’immagine che le intercettazioni ci
forniscono, è di Paolo Guzzanti sudato
che urla: “Mi servono le prove che incastrino Prodi come agente del KGB”.
E Scaramella che risponde: “Non le
ho. Al massimo ti posso dare un Prodi
chierichetto pentito”. “Che me ne faccio
di Prodi chierichetto? Dammi almeno
un Prodi coltivato dal Cremlino”. “Non
c’è l’ho. Abbiamo soltanto lo scontrino
di un colbacco acquistato nel dicembre
del 72”. “È poco: voglio un Prodi coltivato
dal Cremlino. A concimarlo ci pensiamo
noi”.
Scaramella, homen nomen, si incarta.
Paolo Guzzanti vuole le prove e lo spinge
da Litvinenko. Scaramella e l’ex agente
del KGB vanno in un suhi bar di Londra
e ingurgitano una tonnellata di polonio.
Litvinenko stira le gambe, Scaramella,
date le sue origini calabresi, digerisce
anche il plutonio. Tira un rutto baritonale e se ne torna a casa con dentro più
polonio di un carpentiere di Varsavia. È
più radioattivo di un reattore nucleare
russo in disarmo, eppure non fa una
piega: “Più che il polonio ho faticato
a digerire il merluzzo”. Dichiarerà in
seguito.
Cosa sono diventati, oggi, i nostri
servizi segreti? Di certo, oltre che deviati,
sono un bel po’ rintronati. Una volta,
ai tempi della guerra fredda, i servizi
segreti di qualsiasi Paese – Italia compresa – avevano un loro prestigio, un loro
status, caratteristiche ben definite. Prima
cosa, erano segreti. Tanto che brigavano,
forcavano, manovravano, senza che nessuno si accorgesse di nulla. Un colpetto
di stato di qua, un broglietto elettorale di
là; un golpino di su, un’insurrezioncina
armata di giù; un aeroplanino abbattuto,
una bombetta in una banca, una sommossa, un rapimento… I servizi segreti,
anni fa, erano efficienti. In più, non li
beccava nessuno. Invisibili.
Oggi cos’è rimasto di questi superagenti? Crolla il muro di Berlino, tana!
Non hanno più un buco di nascondiglio,
erano tutti mimetizzati lì dietro. Alla
minima operazione li sgamano che è
una bellezza. Cosa ci vuole, oggigiorno,
a rapire un Imam? Niente, eppure: sgamati. Oggi per scoprire cosa combinano
i servizi segreti basta andare in edicola e
comperare il giornale. Sono proprio dei
Pollari. Per di più con l’aviaria, totalmente rintronati. Infatti, sulle rivelazioni del
SISMI hanno tolto il segreto di stato per
metterci sopra il marchio DOP. Bufale
del genere ce le invidiano in tutto il
mondo, quasi quanto la bottarga di
muggine.
3
scherzando
di Antonio Galuzzi
Si alzò il sipario sullo spettacolo della
campagna elettorale, e i politici si
produssero nel balletto delle cifre.
***
L’assicuratore venne licenziato:
non riuscì ad assicurarsi il posto di
lavoro.
***
«Torniamo al succo», disse il relatore
astemio.
***
Il caffè ristretto al caffè lungo: «Aò,
tu vo fa l’americano!»
***
L’oculista accusato di aver caricato il
prezzo delle lenti si difese: «E’ tutta
una montatura!»
***
L’olio si adagiò mollemente nel contenitore, esausto.
***
La pianta grassa non rientrava
nell’offerta, perciò si mise in dieta.
***
Per risolvere le disparità, chiamavano sempre lui: era un uomo di
spessore.
***
I globuli bianchi furono tacciati di
razzismo perché volevano preservare
l’integrità biologica dell’organismo.
***
Al foglietto stampato piaceva andare
a trovare gli amici: era un biglietto
da visita.
***
Il malinconico profugo ungherese
non si sentiva troppo bene: aveva il
mal di gulash.
***
Il virus innamorato disse alla sua
influenza: «Dai, dammi un bacillo!»
***
Il formaggio non si riconosceva nel
cristianesimo. Era un grana pagano.
***
L’alunno diligente, per recarsi a
scuola, percorreva la strada maestra.
***
Alla discoteca, il buttafuori non faceva passare i fogli. Era un fermacarte.
***
«Badiamo al sodo», disse alla paziente il chirurgo plastico.
***
«Ma come sei elegante!», disse il
barbone all’amico. «Mah, niente, il
primo straccio che ho trovato…»
***
Perdeva i capelli, ma trovava sempre
qualcuno che glieli restituiva. Aveva
il riporto.
***
La stampante alla fotocopiatrice un
po’ dimessa: «Forza, devi darti un
toner!»
***
Come ogni giorno a quell’ora, i ragazzi provavano a rimorchiare: era
l’ora di punta.
***
Non si vedeva nulla: le finestre guardavano tutte nel vicolo cieco.
***
Ultim’ora: il bonzo che si era dato
fuoco si è spento.
***
La carta velina voleva fidanzarsi con
la figurina del calciatore.
***
La fetta di prosciutto aveva freddo:
prima di uscire, si mise addosso un
panino imbottito.
4
speciale sposi
U
n avvocato Ghedini novantottenne ma ancora lucido svela
finalmente i retroscena della
tormentata vicenda che ormai molti
anni fa sconvolse la vita famigliare di
Silvio Berlusconi, di sua moglie Veronica Lario e dell’intero Paese.
Correva l’anno 2009 quando una
ben orchestrata campagna denigratoria delle gazzette della sinistra, con in
testa Libero e Il Giornale, indusse Veronica a chiedere il divorzio dal coniuge
accusandolo di essere un puttaniere.
Naturalmente, sostiene Ghedini,
non c’era nulla di vero: “immaginatevi
- racconta l’avvocato inginocchiandosi
davanti all’immagine di Silvio - se il
Presidente, con tutto quel che aveva
da fare, potesse trovare il tempo per
certe cose. Al massimo si permetteva
qualche battuta di spirito, sul tipo di
quelle che sfoggiava durante gli incontri con altri capi di governo all’estero:
spassosissimi siparietti ai quali nessuno poteva resistere. Resistevano solo
gli italiani - Ghedini ridacchia - che
infatti continuavano a votarlo.
Colto di sorpresa dalla richiesta
della consorte, per prima cosa le pose
la fiducia, prendendosi immediatamente un vaffanculo, al quale non era
abituato, che lo mandò in bestia. Ma
poi, sapete come sono i grandi statisti,
esaminò serenamente la situazione. Il
divorzio lo avrebbe reso libero e, oltre
a essere a pieno titolo riconosciuto non
solo ufficialmente, ma anche nei fatti,
come padrone del Partito della Libertà, e gli avrebbe potuto spalancare
quella carriera ecclesiastica, vietata gli
uomini sposati, che sognava da tempo.
Avrebbe potuto raggiungere il soglio.
In fondo sarebbe bastato un cambio
di vocale, come nei giochini della
Scene da un matrimonio
Settimana enigmistica: da papi a papa.
Lunga e faticosa - ricorda ancora
Ghedini - fu invece la separazione
dei beni. Alla Veronica andarono la
Sicilia, la Basilicata e l’Abruzzo, dato
che dopo le promesse mancate lui
non si poteva più far vedere laggiù
nemmeno in fotografia, metà delle
ville in Sardegna (tre e mezza per la
precisione). Tutto Bonaiuti, un terzo
di Confalonieri e l’intero Bondi. Che
però Silvio avrebbe potuto vedere nei
week-end. Emilio Fede fu oggetto di
una lunga trattativa: Veronica non
lo voleva nemmeno sentir tossire,
ma il cavaliere voleva affibbiarglielo
perché era stufo di sentirsi il sedere
sempre bagnato. Fu dato a Piersilvio
in comodato.
Appena sciolto il matrimonio,
Berlusconi fece approvare una legge
che permetteva alle quattro più alte
cariche dello stato di praticare la poligamia. Sposò quindi tutte le sue ministre, 12 veline, 5 stagiste della Rai e,
in un momento di distrazione, anche
Gasparri, Bruno Vespa e Feltri. Che
non seppero opporsi. Per festeggiare
regalò ad Apicella la Filarmonica di
Vienna che da quel momento in poi
costrinse tutti i suoi componenti a
suonare solo il mandolino. Adottò la
giovane Noemi e nominò suo padre
autista di Cicchitto.
Visto che Benedetto XVI e molti
vescovi non erano proprio entusiasti
del suo comportamento, comprò lo
Stato del Vaticano, li licenziò e nominò reggente Belpietro, col nome di
Simpatico I.
Si dedicò poi alla soluzione della
crisi economica annunciando che per
rilanciare l’economia serviva una scossa. Dall’Abruzzo, dove l’avevano già
avuta, partirono in diecimila armati
di bastoni, fermati a stento dalle ronde
padane accorse a difendere l’imperatore. Accolse nel governo Forza Nuova,
affermando che questo avrebbe portato una ventata di democrazia. Abolì
primo maggio e venticinque aprile: li
tolse proprio dal calendario e li sostituì
con due giorni dedicati all’adorazione
del premier, cosa che entusiasmò non
meno del 75% degli italiani.
Comprò l’Avvenire e lo affidò all’avvocato Previdi che esordì con un titolo
a nove colonne: “Sì alla vita, no alla
magistratura”. Cambiò nome al suo
partito mantenendone però la sigla,
che da quel momento in poi significò
“Pi Due Legalizzata”. Rifiutò la carica
di presidente della Repubblica e nominò Licio Gelli al posto di Napolitano.
Trasformò il Parlamento triplicando il
numero dei deputati, ma tolse loro il
diritto di voto. Presidente della Camera divenne Noemi Letizia e presidente
del Senato suo padre, del quale era
amico fin dalle elementari.
Quando la Corte Costituzionale
obiettò che lo stesso personaggio non
poteva fare contemporaneamente
l’autista di Cicchitto e il presidente
del Senato, fece approvare una legge
che aboliva la Corte Costituzionale
e già che c’era l’intera Costituzione.
Al suo posto venne introdotta quella
nuova, scritta in dialetto da Borghezio
e da Salvini.
L’arzillo Ghedini sorride soddisfatto,
e a chi gli chiede che fine abbia fatto il
Paese, risponde: «Andò a puttane. Se
non è coerenza questa…!»
Sparafucile
Silvio si prepara a depenalizzare l’uxoricidio
In esclusiva il giudizio neutralissimo di un luminare del diritto di famiglia, il Prof. Riccardo Campa dell’Università di Arcore
L
’idea del Presidente Berlusconi di
risolvere il problema del divorzio con
Veronica promulgando una riforma
del diritto di famiglia è ineccepibile sul piano
giuridico. Dopo avere depenalizzato l’abuso
d’ufficio, un partito consacrato alla difesa
delle libertà del popolo italiano non può che
depenalizzare anche l’uxoricidio. Tra l’altro, la
soluzione del divorzio giudiziale sarebbe tecnicamente impraticabile, a causa della presenza
pervasiva di toghe rosse nella magistratura
italiana, che non garantisce un giudizio sereno
e super partes. I maligni diranno: l’ennesima
legge ad personam! E invece no. La decisione
ha solide basi scientifiche.
Innanzitutto, che piaccia o meno, è statisticamente provato che il divorzio in Italia
si conclude comunque con l’omicidio della
moglie. Era così prima dell’introduzione della
legge sul divorzio ed è così oggi. Prima esisteva
nel codice penale una norma, l’articolo 587,
che garantiva la quasi impunità alla persona
che avesse ucciso il coniuge in flagranza di
tradimento. Era la cosiddetta attenuante del
“delitto d’onore”. Se le vecchie buone tradizioni fossero state mantenute, ora non si
porrebbe nemmeno il problema. La questione
poteva essere risolta già al tempo della tresca
di Veronica con Cacciari.
Quindi la colpa è – come sempre – dei comunisti! Sull’onda del Sessantotto, è stata eliminata la sacrosanta norma del delitto d’onore e
legalizzato il divorzio. Ma anche la sinistra, se
non è faziosa oltremisura, dovrà prendere atto
che questo non è servito a nulla. Continua la
mattanza delle mogli. Con l’aggravante che il
povero uxoricida finisce in carcere. Per immedesimarci nelle vere vittime della situazione,
gli uxoricidi, dobbiamo mettere momentaneamente da parte le nostre remore morali. La
scienza lo impone!
Il lettore deve immaginare di essere un giovane ragazzo italiano coccolato per una trentina
d’anni da una amorevolissima Mamma con
la M maiuscola. Il soggetto si è diplomato a
diciannove anni, ha fatto il militare (soffrendo terribilmente la mancanza degli spaghetti
di mamma), quindi, all’età di vent’anni, ha
trovato un lavoro vicino a casa. Per dieci anni
ha comunque continuato a vivere a casa dei
genitori. D’altronde, chi glielo faceva fare di
uscire di casa? Aveva vitto e alloggio gratis, il
babbo gli sbrigava le faccende burocratiche, si
teneva tutto lo stipendio per sé e lo spendeva in
automobili, discoteche, birra e puttane.
Un giorno il nostro ragazzone incontra una
bella bambolona che, stimolandogli oltre misura la produzione di testosterone, gli fa perdere
il lume della ragione: i due si fidanzano.
Il ragazzone continua a vivere a casa con
mamma e papà per tutta la durata del fidanzamento, ossia per altri dieci anni. Soltanto
che la bambolona lo convince che è stupido
sperperare i soldi come faceva prima: per
sposarsi serve una casa e qualche soldo in
banca. Il nostro comincia a privarsi di tutti i
piaceri della vita e ad accumulare denaro su
un conto bancario. Non esce più con gli amici,
vende la Spider otto cilindri, e ogni giorno si
reca al lavoro a bordo di una modesta Panda
di seconda mano, per risparmiare sul consumo
di carburante. Nel frattempo, la bambolona gli
elargisce prestazioni sessuali con il contagocce,
inventandosi improbabili mal di testa e cicli
mestruali irregolari. La perfida ha perfettamente capito che questa è la strategia migliore per
tenerlo in pugno.
Dopo dieci anni, il fesso, con incredibili sacrifici ha accumulato il denaro necessario per
acquistare la casa. La bambolona lo convince
che è giunto il momento di fare il grande passo.
Lui è ormai sulla soglia dei quarant’anni, lei ne
ha qualcuno in meno, ma teme di cominciare
a perdere i pezzi. Con artifici e raggiri lo porta
davanti all’altare e si sposano.
Dopo nove mesi di matrimonio (il tempo
necessario per partorire un pupo), la bambolona
si rende conto che è stato un errore sposare
quell’ingenuo ragazzone. È troppo fesso e alle
donne gli uomini fessi non piacciono. Chiede
il divorzio. E, già che ci siamo, chiede anche
la casa, che ancora gronda del sangue e del
sudore della vittima, metà del conto bancario,
l’affidamento del pupo, e metà dello stipendio
del ragazzone per il resto della sua vita.
Il giudice applica la legge e concede alla
bambolona quanto richiesto. Il nostro è costretto a tornare dalla Mamma, ma non può più
fare la vita di prima perché deve mantenere la
bambolona vita natural durante. Non può più
avere un’altra moglie e altri figli perché non
saprebbe come mantenerli o dove farli vivere.
Non può più nemmeno permettersi una puttana e deve ripiegare su giornali pornografici
di seconda mano e olio di gomito (aggiungo
questi particolari commoventi per favorire
l’immedesimazione).
Nel frattempo, la bambolona accoglie in casa
il suo nuovo uomo (è scientificamente provato
che le donne non lasciano mai un uomo se non
hanno pronto un sostituto). Il sostituto è Mario
(un nome di fantasia), ovvero il ragazzo della
compagnia che non si è mai fidanzato e per
dieci anni ha continuato a fare il farfallone e a
prendere per il culo il nostro ragazzone quando
riempiva il salvadanaio e passava i sabato sera
in casa a guardare i varietà alla TV. Gli diceva:
«sei un fesso». E aveva ragione. Ora, Mario,
senza nemmeno avere venduto la Spider otto
cilindri comprata di seconda mano dal fesso,
si prende la bambolona (tra l’altro poco usata)
e la casa nuova di zecca.
A questo punto iniziano le paranoie. Il
ragazzone inizia a sospettare che per dieci
anni Mario si sia spupazzato la bambolona
ogni volta che lei si diceva indisposta causa
mestruazioni. È mai possibile che una donna
abbia le mestruazioni ogni cinque giorni? La
Mamma gira il coltello nella piaga e conferma
le sue inquietudini: «sì, sei proprio un fesso». Il
papà non dice nulla, d’altronde nella trappola
c’è cascato anche lui.
Cosa fareste voi a questo punto? Con la vita
distrutta, senza prospettive per il futuro, preso
per i fondelli e deriso da tutti? Tra l’altro, essendo fesso, il soggetto in genere reagisce d’istinto
e, invece di eliminare l’ex consorte simulando
un incidente domestico, opta per un cruento e
spettacolare omicidio-suicidio. Comprato un
Kalashnikov da un rigattiere serbo, entra nella
casa in cui abitava e apre il fuoco uccidendo
la moglie, il pargoletto innocente e, se capita
a tiro, anche Mario. Quindi, lavata l’onta nel
sangue e riacquistato l’onore, volge finalmente
l’arma a sé per farla finita. Ma poiché i colpi
sono finiti e non ha il coraggio di tagliarsi le
vene e morire lentamente, viene arrestato e passa il resto della sua vita in carcere, dividendo
la cella con un energumeno omosessuale e sieropositivo che lo violenta due volte al giorno.
Capite dunque che l’iniziativa legislativa di
Berlusconi volta a ripristinare l’articolo 587 è
un atto umanitario, che consente tra l’altro di
salvare la vita al pargoletto innocente. Inoltre,
è naturale che un moderno partito conservatore
(di cui il nostro paese ha tanto bisogno!) abbia
come missione il ripristino degli usi e costumi
della tradizione. Mi permetto allora di consigliare al Presidente anche il mezzo ottimale per
dirimere la questione: la lupara.
P
ubblichiamo qui con
piacere, e nella speranza che possa essere d’aiuto nella ricerca alla
famiglia, agli amici e a tutti
quanti l’avessero conosciuto e votato, il testo integrale della recente puntata di
“Chi l’ha visto?”, dedicata
dalla zelante presentatrice Federica Sciarelli alla
scomparsa, che dopo piú di
due mesi sembra ormai –
ahinoi... – irrimediabile, di
Walter F. Veltroni.
(Diamo le generalità complete nel caso che vengano
ritrovati i suoi documenti, in
assenza – Dio non voglia... –
del corpo: parliamo di Walter Ted Bob John Fitzgerald
Hussein DeNiro Veltroni).
Niente faceva presagire il colpo
di testa, quando Walter è uscito
di casa, precisamente dal suo
loft con vista sul Circo Massimo,
la sera del 17 febbraio 2009, e
non vi ha fatto piú ritorno.
Pare che non abbia detto la
battuta classica: “Aspettatemi,
vado a comprare le sigarette”;
sembra, invece, secondo alcuni suoi collaboratori, che abbia
biascicato qualcosa del tipo:
“Aspettatemi, vado a riprendermi la Sardegna.”
In quel frangente Walter non
era, evidentemente, nel pieno
possesso delle sue facoltà mentali; eppure, dal tono della voce,
sembrava adirato, ma anche
sereno; incazzato, ma anche
rassegnato; furioso, ma anche
intimidito... Niente di strano,
quindi, o di nuovo, per gli amici,
che sul momento hanno imputato quest’alternanza al temperamento equilibrato, ma anche
schizofrenico, del loro leader
dimissionario. Il fatto è che gli
amici, di Walter, non avevano,
probabilmente, capito nulla:
stando a loro, lo scomparso era
una persona pacifica, non aveva conti in sospeso con nessuno,
nessuna rivalità...
Beh, nessuna rivalità...
(Qui secondo noi la Sciarelli
si è lasciata andare a un indebito commento politico, seguendo probabilmente uno dei nuovi
P
iù che il lifting, il
ritocco, il massaggio
linfodrenante o qualsiasi altra impostura estetica, poté Feisbuc… (facebook, all’anagrafe) altrimenti
detto Feisbukke che non è
una nuova pratica sessuale
giapponese di gruppo, ma il
social network per eccellenza su Internet.
FB, il favoloso mondo di
“facciamoci i ‘zzi degli altri”,
ha il merito innegabile di
ricordare, a ognuno di noi,
tutti i compleanni di chi,
più o meno, crede di essere
nostro amico in rete e, ancor
più, quello di aver alzato in
una scala da 1 a 10 (almeno
da 3 a 8), il grado di bellezza
degli abitanti del Pianeta
Terra, trasfigurandoli tutti
in una marea di fighi e passere da sballo.
Per esempio: l’altro giorno
ho cercato il veramente orrido ex di un’amica che avevo
visto dal vivo e scopro sul
suo “profilo”, quanto invece
sia quasi carino tanto che
mi è quasi venuto il dubbio
di essermi sbagliata. FB
sostituisce la realtà con una
nuova evidenza. Provare per
credere.
Ogni foto inserita come
icona personale è straselezionata se non aggiustata
ad hoc. Cercando qualcuno,
se si guarda la sua lista di
amici, conosce solo palestrati o mannequines da paura
oppure leoni, tigri, attori del
cinema, cartoni animati. Sì
perché chi non si piace in
nessuna foto può “iconizzarsi” a piacere con qualsiasi
cattivi maestri della sinistra,
il mago Silvan... Trascriviamo
solo per dovere di cronaca).
Da allora, nessuna notizia di
Walter, salvo qualche raro avvistamento, in Italia e – quel che
piú preoccupa – nel mondo. Alle
volte è stato segnalato anche
come utente in stato “dormiente” sulla chat di Facebook, ma,
Walter non ce ne voglia, per ora
ci limiteremo alle indicazioni
provenienti dal Paese reale –
dicono che questa sia una cosa
di sinistra, come lo era il caro
scomparso, quindi noi, nella
speranza di ritrovarlo, ci atte-

niamo a questo.
Il 18 febbraio, in particolare,
Walter è stato visto vagare senza
meta, gli occhi persi nel vuoto,
vicino alla villa romana di Willer Bordon. Un passante, riconosciutolo, gli ha chiesto che cosa
facesse lì, al freddo, alle prime
luci dell’alba; pare che Walter
gli abbia risposto, lucido, ma
anche assonnato: “Voglio sapere come si fa a scomparire dalla
vita pubblica senza che nessuno
noti la differenza”.
Una settimana dopo Walter è
stato riconosciuto da alcune persone mentre mendicava, all’entrata di un congresso dell’UDC,
fuori Frosinone. Non essendo ancora ufficiale la notizia della sua
scomparsa, gli amici di Walter
dell’UDC avevano soprasseduto alla cosa – avendo, del resto,
visto Walter un sacco di volte in
quello stesso atteggiamento.
Ma l’incuria, a volte benevola, degli amici può essere molto
pericolosa, e probabilmente ha
fatto i suoi danni, nel caso di
Walter. Da fine febbraio le sue
notizie si sono fatte piú scarse, e
contraddittorie.
Il New York Times, per esempio, ha riportato varie volte la
presenza di Walter alle esclusive feste del Partito Democratico
americano, in compagnia degli
Obama, dei Kennedy, dei Clinton, dei Clooney. Indizio che pare
confermato da un’attenta analisi
dei video domenicali di Obama
su Youtube, nei quali il neopresidente americano dice sempre
meno “Yes we can” e fruga con
sempre piú insistenza sotto il ta-
Il pianeta di FB
‘Facce Bellissime’
di Ilaria Jahier
immagine.
Si ritrovano vecchi amici
perduti negli anni (e ci sarà
stato pure un motivo se
si erano persi!) di cui non
ce n’è mai fregato nulla in
passato, figuriamoci adesso.
Hanno la faccia di quando
andavano al liceo. Ci guar-
diamo allo specchio e ci domandiamo: ma sono l’unico
invecchiato? Allora per consolarci scegliamo la foto di
quando eravamo nella culla
oppure l’unica dove eravamo
magri, magari abbronzati,
vagamente felici.
Qualcuno fa il misterioso o
il pensatore con l’inquadratura di un occhio, un naso
o un piede, qualcuno si fa
inquadrare in lontananza in
fondo ad una spiaggia, qualcun altro insieme a vecchi
amici, quasi tutti defunti,
per confondere le idee...
In un mondo così corrot-
5
a tempo perso
volo, probabilmente – dicono gli
analisti dell’FBI, attualmente a
spasso per mancanza di video di
Bin Laden – per toccarsi le palle.
Una segnalazione, in questo
senso, molto importante verrebbe a questo punto dall’Africa
subsahariana, dove la presenza di Walter, in questo lasso di
tempo, sarebbe confermata da
milioni di persone che hanno
fatto, all’unisono, lo stesso gesto
reso celebre dai video di Barack.
Per il momento, comunque,
dove si trova ora Walter, se per
sua volontà o costretto da altri,
resta un mistero. Nella speranza
che possa muovere almeno verso una dichiarazione tranquillizzante, gli facciamo pervenire
questo documento toccante elaborato dal principale esponente
dello schieramento che – un tempo – gli è stato avversario, e che
ora governa il paese:
“Caro Walter, torna tra noi.
Con Dario non é la stessa cosa,
pensa che lui invece di girare
l’Italia in pullman la gira in
treno – e poi non vuole neanche
che si parli di ritardo della sinistra... Con te, dico la verità, era
tutt’un altra cosa: devo dire che
un po’ mi manchi, ci manchi. E
se torni ti faccio conoscere Martina Stella. Serenamente, pacatamente, tuo Silvio”.
Lorenzo Mari
to ci si dovrebbe aspettare
almeno qualche icona mostruosa, disdicevole o vomitevole… Nulla!
Certo qua e là si nascondono, tra le pieghe delle
amicizie, satanassi sadici,
taggatori pirata, che svelano il trucco, inserendo foto
malefiche e del tutto falsate,
che ti ritraggono dopo uno
sballo, durante una festa,
tra abbracci e baci rubati,
con le dita nel naso, i brufoli,
gli occhi rotanti, principio
inquietante di rughe e cellulite.
Niente paura, Feisbukke ha pensato a tutti e ci
protegge dall’alto del suo
strapotere infomediatico…
permettendo alle vittime di
dis-taggarsi, eliminando la
propria identità dalle foto
incriminate (solo però se sei
iscritto, altrimenti ti tirano
in mezzo, non lo sai e non ti
puoi togliere).
Per non parlare del fatto
che pubblicando foto sul
sito, cediamo al medesimo
(chi sarà mai il capo di FB?)
ogni diritto d’uso pubblico di
quel materiale.
Insomma siamo fottuti!
Per quanto non siamo famosi come veline, né vincitori di “Amici” o “X Factor”,
quello che tramanderemo
alla storia saranno le nostre belle facce, i nomi di
amici (!) estinti o di vecchie
morose e di qualche negozio
di scarpe, ormai fallito, che
non avendo i soldi per pagarsi la pubblicità, scelse di
diventare un personaggio, a
gratis, di FB.
6
modernariato
- Appi, ha visto Girottin?
- No, capo… è un po’ che non si
fa vedere…
- Ma dovrebbe essere in ufficio
da un pezzo!
- Beh, in effetti è un po’ prestino…
- Come prestino?
- Eh… lui prima delle quattro…
- Le quattro? Ma… e il suo lavoro
chi lo sbriga?
- Cosa vuole, come sempre, se
poi tutto è a posto, vuol dire che
qualcuno si è sacrificato…
- Appi, lei mi commuove. Allora
passo più tardi.
- Molto tardi?
- Verrò alle cinque, se al signor
Girottin sta bene, è chiaro…
- Temo che alle cinque sia già
tardino…
- Come tardino? Alle quattro è
prestino e alle cinque tardino?
- Sa com’è, quando si hanno altri
interessi è chiaro che il tempo non
basta mai…
- Ma Girottin arriva alle quattro e
va via alle cinque?
- No, no, alle volte va via anche
prima…
- Non ci posso credere… Ah, ma
domani mi sente!
- Mmm, domani non credo…
- Non viene?
- No, è che domani c’è il mercato…
- E lui gira per le bancarelle invece di venire in ufficio?
- Per carità, capo, non fraintenda:
lui non gira per le bancarelle, lui HA
una bancarella…
- Fa i mercati?
- Per arrotondare…
- Con quello che lo strapago io,
deve arrotondare?
- Beh, sa, i vizi costano…
- Ma se Girottin non fuma neanche!
- Si possono aspirare anche cose
che non fumano…
- Noooooooooo! Appi, vuol dire
che Girottin…
- Non credo, capo, mi sembra
una persona a posto…
- Ah, meno male…
- Anche se…
- Anche se?
- Ma, niente… qualche volta…
- Qualche volta cosa?
- Niente, qualche volta si comporta in modo un po’…
- Un po’…?
- Un po’ troppo… Si chiude in
bagno con tutte quelle borsette…
- Borsette?
- Si, poi le butta nel cassonetto
qua fuori…
- Appi, mi sta dicendo che Girottin
scippa le vecchiette?
- No, non credo… Almeno, non
solo le vecchiette…
- Ah, non solo le vecchiette!
- E’ che a lui piacciono più giovani…
- Le donne?
- Molto giovani…
- Ragazzine?
- Molto…
- Appi, santiddio, questa storia
è folle…
- E non solo la storia…
- Cos’altro?
- Glielo dico solo perché me lo
sta chiedendo… Pare che Girottin
abbia posato gli occhi anche su
sua figlia…
- Dio dell’universo! Mia figlia nasce fra due mesi e mezzo!
- Molto giovani…
- Devo parlare a Girottin, immediatamente!
- Temo si sia messo in ferie…
- Come in ferie? Sono io che
decido le ferie!
Il mobbing al tempo dei Papu
- Eh… lui ha questo problemino
con l’autorità…
- E comunque le ferie le ha già
finite.
- E anche i permessi, se è per
quello…
- Anche i permessi?
- Beh, sa, tutte quelle visite specialistiche…
- Come visite, è malato?
- No, no… Almeno, non ancora…
- Ma sta male?
- N-non esattamente, no… Però
prima o poi uno dovrebbe aspettarselo… Tanto va la gatta al lardo…
- Ma come, Girottin va al lardo?
- Beh, capo, diciamo che quando
Girottin vede il lardo non si tira
indietro…
- E che tipo di lardo?
- D’importazione, capo, diciamo
che Girottin ci piace l’esotico. E
bisogna stare attenti coi piatti
piccanti…
- Ma tu pensa! Quindi se per
caso è in malattia dovrà portarmi
il certificato!
- Sì, vabbé, sai che fatica!… Ha
un amico medico che gli deve dei
favori…
- E… Girottin ne approfitta?
- Mmf, quando serve… Sa, l’ultima batosta è stata dura…
- Batosta?
- La moglie… se n’è andata…
- Uh, poverino…
- Beh, poverino neanche tanto:
tutte le sere alzava le mani…
- Cosa vuol dire, anch’io tutte le
sere alzo le mani con mia moglie:
appena entro in casa mi arrendo!
- No, capo, botte… botte da
orbi…
- E lei se n’è andata?
- Assolutamente: il funerale è
stato un paio di mesi fa…
- Appi, cosa mi sta dicendo?
- Girottin… la batosta… gli interrogatori… il carcere…
- Girottin è stato in carcere?
- Il tempo di essere giudicato
incapace di intendere e volere…
- Non può essere vero…
- Però era vero l’esaurimento…
- Girottin esaurito? Non mi è
sembrato…
- Sì, ma quand’era impasticcato
non si vedeva…
- Come impasticcato?, saranno
state delle cure…
- Vabbé, giusto un aiutino per
tirare giorno e notte…
- E perché la notte?
- Ah, non lo sa? Ha dei giri suoi…
- Come dei giri?
- Ma sì, accompagna delle persone nei locali, bevono qualcosa,
si divertono…
- Fa l’accompagnatore? Girottin?
Ma che donne andrebbero con
Girottin?
- Donne e uomini, Girottin non
butta via niente…
- Ma tutte le sere fa il gigolò nei
locali?
- No, vabbé, qualche volta va
anche da solo, balla, si tira via la
camicia…
- Fa anche lo stripper?
- Eh, cosa vuole, capo, dopo un
po’ vien caldo a dimenarsi…
- Ma non ce lo vedo Girottin a
dimenarsi…
- Se è per quello non ce lo vedevo nemmeno vestito da donna…
- Noooooooo, Girottin si traveste?
Brinda coi Papu!
- Diciamo che a volte veste unisex, segue le tendenze…
- Ma se qui è tutto grigio, giacca
cravatta camicia azzurra…
- Penso soffra di sdoppiamento
della personalità…
- Dottor Girottin e mister Ahiahiahi!
- Soffre anche di manie di persecuzione, se è per quello…
- Ma va?
- Pensa che sparliamo di lui appena non c’è…
- Da non credere…
- Appunto… Io, se a volte mi permetto di dire una parola, credo di
agire per il suo bene…
- Ci mancherebbe, Appi…
- Se davvero volessi sparlare, ne
avrei da dire su Girottin!
- Ah, perché ce ne sarebbero
ancora di cose da dire?
- Scherza, capo? L’ha mai visto
staccarsi dal computer?
- No: un lavoratore indefesso e
instancabile.
- Certamente: instancabile… Non
capisco cos’abbia mai da raccontare per tutte quelle ore…
- Raccontare? A chi?
- Ah, non lo sa? Chatta in rete…
- Chatta? Girottin? In orario d’ufficio?
- Beh, certo, a casa non ha l’adsl… e gli tocca pagare lui…
- Ma… non mi capacito…
- E poi, a mettere in ordine tutte
quelle foto…
- Beh, lo paghiamo per questo:
l’archivio iconografico…
- Ah… no, non quelle foto… parlavo dei bambini…
- Girottin ha dei bambini?
- No, no. Non so di chi siano i
bambini… a lui arrivano delle foto
via mail…
- Ma sta scherzando?
- Penso che vengano da posti
dove fa molto caldo…
- Per via?
- Son sempre tutti nudi…
- Appi, ce l’ha il numero di cellulare di Girottin?
- Certamente, ha dovuto cambiare numero per quel casino che gli
ha combinato Luciano…
- Luciano chi?
- Big Luciano… Lucianone… sa,
la faccenda degli arbitri…
- Girottin?
- Massì, e poi, il numero nuovo
gliel’ha bruciato l’altro furbone, il
principe…
- Cosa c’entra Girottin col principe?
- Era lui che gli trovava un po’ di
carne da macello per i festini…
- Ma Appi: questo Girottin è proprio incredibile! Questo Girottin è
micidiale! E io avevo uno così in
azienda e non mi sono mai capacitato di niente! Appi, lei mi ha aperto
gli occhi, io debbo ringraziarla
perché senza di lei sarei rimasto
all’oscuro chissà per quanto tempo
ancora…
- No, capo, lei è troppo buono…
- Mi dia, mi dia il cellulare di Girottin che ho qualche cosa da dirgli!
- Però, capo, non sia aggressivo
quando lo licenzia…
- Licenziarlo? E perché? Ma io
lo faccio capo del personale uno
così, io lo metto a guardia della mia
azienda… Ma questo qui è un pescecane… Io lo mando in America
a fare il culo ai texani!… Anzi, io
ve lo metto ad alitarvi sulla gobba
così la piantate di non fare un cazzo in ufficio e di star li a sparlarvi
addosso! Tanto, sono io che pago,
vero? Appi, torni al lavoro che è già
mezzora che sta chiacchierando.
Da domani, Girottin mi relazionerà
su lei ogni tre ore. A presto!
Una volta tutte queste cose non si sentivano...
Io sono del 1968. Mi vanto di avere fatto il 68 più
di tanti altri perché l’occupazione che ho fatto io (nove
mesi nella pancia di mia madre) l’abbiamo fatta in
pochi. Sono stato bambino negli anni ’70. A Milano
per giunta. Ve li ricordate gli anni ’70 a Milano? C’era
l’eroina, c’era la mala milanese, c’erano le Brigate
Rosse. C’è stata la strage di piazza Fontana. C’erano
davvero gli spacciatori nei giardinetti, c’erano i maniaci e c’erano gli stupratori con la differenza che le
donne negli anni ’70 non li andavano a denunciare,
subivano e si vergognavano.
C’era molta meno polizia e molta meno gente in
giro. Eppure noi bambini giocavamo in strada, andavamo a scuola da soli e alle feste di compleanno
non accompagnati. Io, a 10 anni, in quinta elementare,
andavo a San Siro con un mio compagno di classe e
ci andavamo a sedere in mezzo agli ultrà. Certo, ho
imparato un sacco di parolacce, ma almeno lì le imparavo in rima o con una melodia di accompagnamento.
E oggi? Cosa è cambiato? Che le rapine a mano
armata invece che il Bel Renè (Vallanzasca per i non
nostalgici) le fa Florin Racu? È solo questo che fa sì
che viviamo in tempi terribili?
Sai cosa è cambiato? È cambiato il nostro livello
di fobia, di paura. È cambiato il fatto che adesso le
notizie al telegiornale non le legge un giornalista, ma
un attore (mediocre) che nel darti la notizia la carica
di angoscia, con tanto di tappetino musicale degno
del peggior Dario Argento.
È cambiato che nel disperato tentativo di spettacolarizzare la notizia si creano dei mostri anche dove non
ci sono. E il risultato è che si ha paura, paura di tutto
quello che non conosciamo. Paura di un capanello di
amici che si ritrovano perché hanno nostalgia del loro
paese di origine esattamente come faremmo noi se
fossimo all’estero. E sentiamo il bisogno di ronde che
ci rendano più sicuri, quando in realtà basterebbe una
sola ronda che andasse a smagnetizzare tutti i nastri
musicali delle redazioni televisive e a dire ai signori
giornalisti: “tu dammi la notizia, che poi decido io se
metterci l’angoscia o no”.
Teo Guadalupi
7
satyricon
Irresponsabilità
Suo figlio stava guardando la tv.
Marco, hai fatto i compiti? gli
chiese la madre. No, disse lui. Non
dirmi che stai guardando i cartoni
animati da 4 ore? Sì, rispose. Sei
un irresponsabile! gridò. Quindi gli
tolse il telecomando di mano e lo
spedì di sopra. Prima di spegnere
cambiò canale. Sentì la dichiarazione del papa sui preservativi e
una barzelletta sui gay raccontata
dal premier al G20. Lei pensò a suo
figlio, gli aveva appena dato dell’irresponsabile, e aveva 8 anni.
Cocktail micidiale
Mentre cenava, tutto d’un tratto si
era messo a vomitare. La moglie,
spaventatissima, chiamò l’ambulanza. Nel giro di qualche minuto
arrivò. Signora, si calmi, le disse il
medico. Suo marito si riprenderà
presto, ma per favore spenga la tv.
Lei la spense. Stavate guardando il
telegiornale, vero? Sì, su Rai1, ammise la signora. Purtroppo quando
trasmettono le dichiarazioni di Cicchitto, Gasparri, Bondi e Calderoli,
succede spesso, le spiegò il medico.
È un cocktail micidiale.
Il lato positivo
Luca, imbecille, cambia canale, gli
disse suo fratello Ivo. Luca scoppiò
in lacrime. La loro madre sbucò
dalla cucina. Cosa c’è? Mi ha detto imbecille, singhiozzò Luca. No
mamma, ha capito male, gli ho
solo detto grazie mille, fece Ivo. Ma
la madre aveva sentito bene. Quella sera ne parlò col marito. Ivo è
prepotente e bugiardo, gli disse. Si
smentisce tutte le volte! Lui abbassò il giornale. Accusa anche la sinistra? chiese il marito. No, quello no.
È già qualcosa, le disse.
La redazione ha approntato un
nuovo, prezioso e prestigioso
servizio di consulenza astrologica telematica, grazie al quale
soci, amici e simpatizzanti de “Il
Notturno”, in particolare quelli
che credono di risolvere i propri
problemi confidandosi con gli
amici (ottenendo da loro, nella
migliore delle ipotesi, risposte
evasive e nella peggiore, denunce
per molestie), potranno porre
quesiti esistenziali, scrivendo a
[email protected]
la casella postale elettronica
del celebre Mago Galonio, che
risponderà periodicamente sulle
colonne stampate de “Il Notturno di Mantova”, per risolvere
nodi d’amore, beghe professionali e d’altre dimensioni.
8
musicomedians
Essere o non essere, secondo Balasso
Si leggono spesso cose sbagliate sul suo conto, ma Natalino Balasso non ha perso
la speranza che i giornali possano, oltre a vendere gadget, anche informare. Spesso
di lui si dice che è un cabarettista (e non è vero) che fa satira (e non è vero) che è un
comico televisivo (e non è vero) che appartiene al mondo dello spettacolo (e non
è vero) che è un comico di Zelig (e non è vero). Perchè non scrivere semplicemente:
Natalino Balasso, comico?
Lo abbiamo incontrato, e ci ha chiarito le idee circa ciò che fa e che è e che,
soprattutto, non fa e non è.
Flavio Oreglio
All’appello mancano
anche i presenti
Collana Grandi AsSaggi,
Pagine 224, Prezzo euro 16
Il terzo capitolo della serie
“Siamo una massa di ignoranti. Parliamone”
Prefazione di Giulio Giorello
Nel paese dei tarocchi, dove
l’etica è un optional, le banche
sono popolate di guardie che
fanno l’occhiolino ai ladri, dove
il tubo catodico si è sostituito
alle cellule cerebrali, Flavio
Oreglio continua a tentare di
svegliare le coscienze addormentate con il sorriso. Fulminante e sarcastico, irriverente,
sempre serio, mai serioso,
Oreglio non scherza per nulla,
quando scherza. Ci fa pensare e ridere, nella migliore
tradizione del Teatro canzone
di cui è uno dei massimi esponenti. La politica, l’economia,
la religione: Oreglio dissipa
le nubi dell’ignoranza con il
paradosso. Il libro rappresenta il terzo capitolo della serie
“Siamo una massa di ignoranti.
Parliamone”. Nel precedente
era stati individuati tre livelli di
ignoranza (scolastica, sociopolitica, filosofica) ed era stato
dato spazio al primo e al terzo,
rimandando a questo volume
l’approfondita trattazione del
secondo livello (ignoranza
socio-politica).
Flavio Oreglio, una vita tra
musica e scrittura, dal 1985
al 1998 pubblica tre album
e un libro, Ridendo e sferzando. Entra a far parte del
cast di Zelig proponendo le
“poesie catartiche”, preludio
dello spettacolo di teatro canzone Il momento è catartico,
in tour per tre anni nei teatri
di tutta Italia (2002-2005). Ha
pubblicato per Mondadori tre
libri: Il momento è catartico
(2002), Bis – Nuovi momenti
catartici (2003), e Katartico 3
– Atto finale (2004), arrivando
in vetta alle classifiche e vendendo oltre 2 milioni di copie.
Con Bompiani ha pubblicato
nel 2006 Siamo una massa di
ignoranti. Parliamone (libro e
libro + cd) e Non è stato facile
cadere così in basso (2007).
Perché dici di non appartenere al
mondo dello spettacolo?
Forse appartengo al mondo dell’arte,
della comicità, del teatro, non lo so, ma
di certo non a questa cosa che si chiama
“mondo dello spettacolo”, che significa
più che altro cene organizzate da papponi per spingere dei puttanieri a far
lavorare delle prostitute. Chiunque voglia
può incontrarmi al supermercato a fare
la spesa, falcio l’erba del prato e vado
all’Ikea con mia moglie. Passo le mie notti
a scrivere e a leggere quando non sono
in teatro. Sulle barche del “mondo dello
spettacolo” non ci voglio salire.
Questa è quasi satira sociale… Ma
tu non fai satira, ci sembra di ricordare…
La satira è un genere di comicità molto
antico. C’è gente molto brava a fare satira
e questo genere non attiene solo alla parte attoriale del comico, ma coinvolge in
pieno anche la parte autorale. Un comico
che fa satira è principalmente un autore
di satira. Si tratta di un campo specifico
per il quale sono necessarie un’ottima
preparazione in tema politico, sociale e
per il quale bisogna essere assai informati. Per fare satira non basta sfottere
qualche personaggio politico, si tratta
di una funzione della critica, che agisce
a livelli più profondi. Non mi sono mai
sentito portato per la satira, perché non
mi sentirei migliore delle persone che
andrei a criticare. La satira è cambiata
negli anni, ma di sicuro non è mai stata o
è stata molto di rado un’arma del popolo
contro i potenti, di solito gli importanti
autori di satira sono a loro volta piuttosto
potenti, per lo meno economicamente.
Diciamo che di solito la satira è un’arma
contro alcuni potenti, ma di rado è un’arma contro il potere. Non ho mai sentito
di un governo rovesciato dalla satira, è
più facile che accada il contrario, anche
se qualcuno pensa che gli autori satirici
siano pericolosi.
mai non sei nemmeno un “comico
televisivo”, tu che in tv ci fai ogni tanto
capolino?
L’espressione “comico televisivo” è
di per sé un’aberrazione linguistica.
Ammesso che esista il comico televisivo, dovrebbe essere definito come tale
solo chi svolge la sua attività di comico
esclusivamente in televisione. Ho calcolato i minuti nei quali sono apparso
in televisione nei diciott’anni della mia
attività di comico e di attore: In tutta la
mia vita sono apparso in televisione per il
tempo corrispondente alla durata di una
settimana del programma di Marzullo.
Una settimana di televisione in vent’anni
di carriera non basta davvero a definirmi
“televisivo”. Ci sono politici che appaiono
molto più a lungo di me, perché di essi
non si scrive che sono politici televisivi?
E il papa? di lui non si dice mai che è
un papa televisivo. Ecco perché io, che
appaio in tv molto meno di questa gente, non posso essere definito un comico
televisivo.
andare in televisione e continuerò a
lavorare dopo. Non parliamo proprio di
Zelig, che mi ha visto impegnato in 2
dei miei 18 anni di carriera, così come
per 2 anni ho lavorato con la Gialappa’s
band. Il mio lavoro è fare il comico, per
lo più in teatro, quello che mi spinge è la
curiosità di nuove sperimentazioni e non
ci sarà trasmissione, televisione o gruppo
nel quale mi vedrò definitivamente identificato. Qualcuno obietta che bisogna
essere riconoscenti nei confronti della
televisione perché ti rende famoso, beh,
io credo che anche la televisione debba
essere riconoscente a me. Io, per quanto
mi riguarda, sono più riconoscente nei
confronti di chi mi insegna qualcosa
che nei confronti di chi mi dà visibilità
guadagnandoci mooolto più di me.
Se vuoi guadagnare bene, basta fare
pubblicità…
Forse ho un modo particolare di intendere il mio mestiere. Penso che un artista
che utilizza le sue capacità artistiche
per promozionare dei prodotti, debba
almeno conoscere e apprezzare a fondo
quei prodotti. Altrimenti mi sembra che
tutto serva a plagiare le persone, che
sentiranno più simpatico il prodotto se gli
è simpatico l’artista che lo promoziona.
Qualcuno obietterà che la pubblicità offre
molti soldi, ma se è per questo, anche la
mafia offre molto.
C’è un’altra cosa che non
ti appartiene: il fatto di
essere “targato”…
Non c’è espressione più sbagliata di
quando i giornalisti di me scrivono “Un comico
targato Zelig” o
“un comico targato Mediaset”.
Io non sono
affatto targato,
lavoravo dieci
anni prima di
Niente satira, niente tv, niente
pubblicità, niente mafia… Se non
ricordiamo male, non sei nemmeno
un cabarettista.
Il cabaret è un luogo fisico e precisamente un locale. Il cabaret in Italia è inteso come un genere di facile comicità,
per lo più basato su di una successione
di battute, non necessariamente legate
da un filo logico, che deriva dall’avanspettacolo. Il cabaret è un genere che
non mi appartiene. Spesso si fa confusione tra Comicità e Cabaret. Il cabaret
è una piccola sfumatura della comicità
e attiene principalmente al luogo in
cui si svolge lo spettacolo. Il cabaret
fondamentalmente è un varietà che si
svolge in un locale nel quale si mangia
e si beve. Ritengo che si tratti di una
bassa forma d’arte, oggi in Italia, in
quanto il pubblico non è in quel luogo
per vedere uno spettacolo, ma per mangiare e bere e lo spettacolo si risolve in
una serie di barzellette o di battute. La
realizzazione di programmi ripresi in
un locale per cabaret ha dato luogo a
quell’orrendo ibrido che viene definito
“cabaret televisivo”. Di un comico molti
giornalisti, sbagliando, scrivono “cabarettista”, senza andare a controllare se
effettivamente quello che il comico fa,
sia di genere cabarettistico. Tant’è che
solo in Italia avviene l’identificazione
tra comicità e cabaret, mentre nel resto
del mondo, i locali di cabaret, sono
posti in cui ci sono per lo più spogliarelli, con qualche comico di contorno.
E’ chiaro che possono esistere forme
“nobili” di cabaret, ma la definizione è
sempre relativa al luogo in cui si svolge
lo spettacolo, ad esempio, a mio avviso
Lenny Bruce negli anni ‘70 in America,
non faceva cabaret, faceva satira nei
locali di cabaret. Dire che tutti i comici
fanno cabaret, sarebbe come dire che
tutti i musicisti suonano il liscio (con
tutto il rispetto per il liscio, genere
apprezzabile ma non universale).
Da queste tue ultime parole ci sembra di capire che non fai nemmeno il
suonatore di liscio…
Appunto. Faccio il comico. Non è già
abbastanza?
A cura di Antonio Galuzzi
Non fai satira, ok, anche perché la
satira in televisione si vede poco. Come
MUSICOMEDIANS: affinità emotive
MUSICOMEDIANS è un progetto artistico teso alla
riscoperta del metodo e dello spirito del cabaret delle
origini, luogo (perché il cabaret è un “luogo” e non
un genere di spettacolo) dove la musica e la parola, la
canzone e il monologo, la satira e la poesia, convivevano sullo stesso palco secondo dinamiche espressive
molto precise e definite anche se non formalizzate.
MUSICOMEDIANS rivisita quindi in chiave attuale
lo spirito degli albori del cabaret quando la prassi sui
piccoli palcoscenici era il racconto in forma di monologo satirico e di canzone d’autore: un legame tra i due
generi che ha contraddistinto un’epoca. Il tentativo è
quello di ritrovare la dimensione “narrante” che ha
sempre caratterizzato da una parte il “cantautore” e
dall’altra lo “stand up comedian”.
Il punto di partenza è e rimane, storicamente e culturalmente, Milano.
È in questa città che si è formata infatti la tendenza
di riferimento negli anni 50, 60 e primi 70; ossia quella
corrente di pensiero artistico che da un lato ruotava
attorno all’esperienza del Derby club (con Enrico Intra,
Enzo Jannacci, I Gufi, Nanni Svampa, Lino Patruno,
Roberto Brivio, Gianni Magni, Walter Valdi, fino a
Cochi e Renato) ma che da subito ha allargato i suoi
confini con le esperienze di Dario Fo e Giorgio Gaber
(quest’ultimo arrivato con Sandro Luporini fino a
codificare un genere da lui definito “teatro – canzone”)
Il progetto MUSICOMEDIANS sonda e propone sia
il connubio tra i linguaggi (il monologo e la canzone
d’autore) che le loro contaminazioni (teatro canzone,
canzone umoristica e cabaret concerto) per riproporre
al pubblico uno stile di show che ha ancora molto da
dire.
La tipologia di show che ci interessa e che costituisce l’argomento centrale di MUSICOMEDIANS
composito di un’unica figura artistica.
In fondo non fanno altro che mettere in risalto la magia e la straordinaria potenza evocativa della “parola”.
Il musicista Luca Bonaffini e Flavio Oreglio, organizzatori della manifestazione di Volta Mantovana
è rappresentata da quella dimensione “narrante” che
caratterizza da un lato il “cantautore” e dall’altro il
“comedian”.
Il cantautore e il comedian hanno una matrice comune. Entrambi partono dal medesimo presupposto
(analisi e critica sulle cose del mondo) e si diversificano
solamente nel linguaggio che adottano per esprimere
il proprio punto di vista; generalmente posato, riflessivo, poetico il primo; satirico, caustico, umoristico,
il secondo (anche se la linea di demarcazione tra gli
interpreti non è mai così netta).
Il monologo e la canzone sono forme di narrazione
che si sposano benissimo, sia che siano espresse da
persone differenti sia che rappresentino il linguaggio
Cosa significa o cosa vuole significare il termine
“Musicomedians”?
Ci troviamo di fronte a un neologismo facilmente
intuibile e interpretabile; questa “parola nuova” è
costruita combinando due termini: MUSICA + COMEDIANS, fatto che origina un vocabolo che ha per
noi un doppio significato;
• da un lato sta a indicare quella categoria di artisti
che riuniscono nella loro figura le caratteristiche del
MUSICISTA e del COMEDIAN. I musicomedians
sono quindi i comedians che fanno musica o i musicisti – entertainers;
• dall’altro suggerisce il connubio tra chi canta e chi
parla, tra canzone e teatro comico e satirico, consacrando così l’affinità emotiva tra cantautori e comedians.
Riuniti in un unico momento di spettacolo cantautori
e comedians (o, come amiamo definirli noi, musici
e giullari) danno vita a una performance variegata
e vivace in equilibrio tra comicità e poesia, satira e
impegno civile, prosa e canzone d’autore.
Ma non c’è solo il palco. MUSICOMEDIANS vuole
anche essere un ambito ideale di confronto e oltre a
essere un momento di spettacolo insolito che si scrolla
di dosso la ruggine di vecchi pregiudizi e il peso di
barriere artistiche obsolete, intende aprirsi come “dimensione d’ascolto”, cioè come uno spazio in grado
di ospitare la discussione sui temi che gli fanno da
sfondo e che vanno dal recupero storico – culturale fino
all’attualità e alla sperimentazione e proiezione future.
Flavio Oreglio
Eugenio Finardi, artista “contaminato”
Eugenio, la maggior parte delle
persone pensa a te come a un cantautore, ma in realtà la tua ricerca
artistica spazia a 360 gradi e ama le
contaminazioni: quali progetti stai
portando avanti ora, e cosa farai a
Musicomedians di Volta Mantovana?
A Musicomedians farò Finardi, ovvero
un’ospitata dove faccio ascoltare qualche canzone tra le mie più conosciute.
Probabilmente, se c’è la situazione
giusta, potrei citare un brano dal mio
lavoro su Vladimir Vysotsky di musica
classica contemporanea, che ha vinto
la Targa Tenco qualche giorno fa.
Ho la fortuna di essere uno dei pochissimi musicisti provenienti dal mio
ambito, che è riuscito ad allargare gli
orizzonti ad altri ambiti, dal blues alla
musica classica contemporanea, al teatro con “Suono”… E devo dire che è una
cosa che mi rende molto felice perché
se no, se si è costretti a essere a vita
ciò che si era a 24 anni può diventare
anche patetico, no?
Certo! Ho letto una tua dichiarazione
dove ti auguri che da un periodo di
crisi come quello che stiamo vivendo
nasca un nuovo umanesimo: cosa
intendi con questo concetto?
Sì, è il monologo conclusivo del mio
lavoro teatrale che parla appunto di
questo futuro… Io credo che bisogna
passare da una società che misura
tutto con il metro del denaro a una che
misura la ricchezza in termini di cultura
e di felicità, che vuol dire anche facilità;
cioè una società dove tutti avessero
una Rolls-Royce, ma nessuno avesse
un parcheggio… sarebbe un inferno!
Al contrario, una società in cui tutti
avesse un’utilitaria normalissima però
potessero trovare parcheggio ovunque
andassero, sarebbe una società molto
più felice, serena e secondo me più
ricca.
Attualmente la discografia si sta
muovendo molto attraverso i reality
italiana aveva una ricchezza e una
varietà incredibile, se si pensa. C’era il
Canzoniere del Lazio, Napoli Centrale,
i cantautori, gli Area, la Pfm, il Banco… di tutto… c’era Goran Kuzminac,
c’era Roberto Ciotti che faceva blues,
Treves… C’erano tantissime musiche
diverse e la gente era molto aperta
a sentire cose diverse e cose nuove.
Purtroppo poi l’orizzonte si è ristretto
a questa musica in generale neomelodica, o pseudo rock… di marketing: io
la chiamo nutella sonora, nel senso che
non è spiacevole, però è pur sempre un
prodotto industriale.
show musicali. Pensi che con questa
tendenza ci sia ancora spazio per la
ricerca e per la canzone d’autore?
Per me è un genere nuovo quello…
Io la chiamo la tivù dell’umiliazione o
la tivù delle forche caudine… Ormai
queste trasmissioni creano una tale familiarità per cui il cantante è quasi uno
di famiglia no?, lo si è visto piangere,
urlare, arrabbiarsi… E’ un… guarda,
secondo me è quasi pornografico,
è un po’ osceno questo esporre così
le persone… però, comunque, sta
creando un genere nuovo… che io
non apprezzo molto in verità, io non
li guardo, per cui non lo so… Ho visto
Fossati, per esempio, a X Factor - su
Youtube l’ho visto - e mi sembrava il
David di Michelangelo in mezzo ai nanetti, quelli che si vedono nei giardini,
hai presente? Mi faceva uno strano
effetto, da tutte e due le parti, secondo
me non dava né a uno né all’altro, era
semplicemente incongruente… Credo
che le case discografiche, sempre più
legate al marketing, creeranno insieme
a questi reality delle specie di motel di
matrice sonora che sforneranno una
musica che poi sentiremo nelle radio
che fanno parte dello stesso circuito…
ma è un mondo in cui io per fortuna
sono abbastanza vecchio per poterne
rimanere fuori.
“Il Notturno” si occupa, tra le altre
cose, di satira: qual è il tuo punto di
vista sulla satira oggi in Italia?
Ho davanti agli occhi una battuta di
Ellekappa, stupenda, di Altan, meraviglioso. Dipende da chi la fa, la satira.
Come tutto, del resto. Ce n’è di straordinaria e ce n’è di banale. Per dire,
Forattini non lo considero satira…
Recentemente Luca Carboni ha
pubblicato un album contenente le
cover a lui più care e l’ha intitolato
Musiche Ribelli: che effetto ti fanno
questa sorta di riconoscimenti al
tuo lavoro?
Beh, è stato molto bello; ho anche
cantato “Musica ribelle” con Carboni
allo Smeraldo di Milano, un momento
che ricordo con piacere, si può vedere
anche quello, su Youtube. Come dire,
è stato un periodo in cui la musica
Un’ultima cosa, legata un po’ a questo: a distanza di tanti anni ti senti
sempre come Will Coyote che cade
ma non molla mai?
Ah, quello sì! Io sono condannato a
essere un outsider!
Ce lo auguriamo, che tu lo sia sempre
con la tua musica!
E una cosa che ci terrei sottolineare
è questa splendida iniziativa che abbiamo fatto per l’Abruzzo, la canzone
“Domani”. Vorrei “usare” anche voi per
diffondere l’appello di compare questo
disco, il libro e le cose collegate perché è stata veramente un’operazione
pulita, e uno dei giorni più belli della
mia vita…
E anche uno straordinario momento
di collaborazione tra artisti…
E grande calore, perché non c’erano
tanti discografici… solo gli artisti, tutti
insieme, con grande gioia, grande passione, grande commozione: una cosa
vera. L’obiettivo è quello di raccogliere
almeno 10 milioni di euro per ricostruire il Conservatorio dell’Aquila. Trovo
che sia molto bello che si sia riusciti
a fare un’operazione di questo tipo in
Italia e bisognerà fare di tutto perché
sia un grande successo.
A cura di Massimo Minotti
Spicca il volo la Fenice di Andrea Mirò
Andrea, è appena uscito il tuo
nuovo cd La Fenice. si tratta del
tuo sesto album: quali aspetti della
tua ricerca artistica hai voluto maggiormente focalizzare in questo
lavoro?
E’ per me un passo avanti ulteriore,
nel senso che questo è un disco al
95% scritto, interpretato, arrangiato,
suonato da me. Era una cosa che avevo già fatto: nei miei dischi c’è sempre
questo tipo di realizzazione. Però
questa volta ha un’altra forma, contiene elementi di comunicazione molto
diretti, pur mantenendo la mia linea
compositiva - che in realtà non è poi
così semplice - soprattutto attraverso
l’essenzialità delle strutture e degli arrangiamenti. Sono state usate poche
cose in sovrapposizione ma dei suoni
molto ricercati: il lavoro si è fatto il più
possibile profondo in studio. E poi, il
fatto che la stragrande maggioranza
dei pezzi siano nati in studio insieme,
che è - secondo me - uno stato di
grazia molto particolare, fa parte di
un momento estremamente alto e
di maturità di un artista, per cui vado
molto fiera di questo disco, non solo
perché è l’ultimo passo fatto nella
mia carriera.
Il tuo nuovo singolo “Prima che sia
Domani” si fa a mio avviso apprezzare per una veste rock allo stesso
tempo corposa e gentile, delicata:
hai spiegato un po’ come nascono
le musiche e gli arrangiamenti. Il
singolo rispecchia la veste musicale del resto dell’album o sono
presenti altri stili, altre contaminazioni.
In generale, io sono piuttosto eclettica. Questo è un disco però di contenuti che hanno una direzione
definita. Ci sono alcuni momenti
più suonati - c’è una canzone che si
chiama “L’avversario” che è ripresa
addirittura in diretta, dove si sente
l’attacco del batterista che dà il tre e
il quattro! - e quindi che si scostano,
perché è anche una necessità all’interno delle dinamiche di un lavoro,
per il resto è un disco che ha un
suono molto preciso e tutto molto
omogeneo.
Nel tuo nuovo cd sono contenute 2
cover: vorrei che ci spiegassi come
mai le hai scelte…
E’ una scelta bizzarra! Una è “The Riddle” di Nik Kershaw, una canzone degli
anni ’80. Io sono cresciuta in quegli
anni e mi spiace che ogni volta vengano bistrattati: sicuramente sono stati
gli anni anche del frivolo, ma hanno
lasciato comunque un segno, tant’è
che è in atto un revival con alcune
rivisitazioni. Indubbiamente alcune
canzoni dell’epoca sono state rivestite
di troppi fronzoli, però togliendo tutti
questi appesantimenti, saltano fuori
noccioli molto interessanti. Questa in
particolare è una canzone molto bel-
la, strutturata in un modo melodico e
armonico quasi a livello matematico
perché ha una sua circolarità. Il mio
omaggio agli anni ’80.
L’altro omaggio è a un pezzo della storia della musica mondiale, “Hymne à
l’amour”, l’inno all’amore di Edith Piaf,
quella che lei stessa sentiva più cara
perché parlava della sua vita - non per
niente è firmata anche da lei -. E’ sempre un po’ difficile dover affrontare
monumenti di questo livello. Secondo me il modo migliore è quello più
semplice: io ho cercato di farlo con
una chitarra elettrica e basta.
Tu sei un’autrice che ha seguito
sempre un percorso molto personale, che ha guardato anche
poco alle mode del momento. Nel
momento che viviamo, dove spadroneggiano questi reality show
musicali, c’è ancora spazio per la
canzone d’autore?
Secondo me sì, prima di tutto per-
ché i reality a volte sfornano anche
persone che hanno dei numeri. Nella
massa, c’è sempre qualcuno che può
venire fuori, ed è giusto che ci siano
queste trasmissioni, fa parte del nostro tempo, è un po’ come chi credeva
che la rete, Internet, potesse essere
evitata: invece bisogna farci i conti,
e anzi, cercare di tirare fuori il meglio
da tutto ciò. C’è spazio per tutti, anche
in questi tempi di crisi - per non parlare poi della crisi discografica, che è
nata ben prima della crisi economica
mondiale - per assurdo ora ci sono
più canali: il percorso per gli artisti
è più difficile, più lungo, i passi sono
più piccoli, ci sono più limiti, ma oggi
ci sono più possibilità di arrivare alla
gente. E’ un lavoro che è cambiato,
ma per tutti, anche per i grossi nomi:
siamo proprio all’interno di una trasformazione!
Ti vedremo presto in tour?
Dopo Volta Mantovana, ci sono
parecchie date in giro per l’Italia
quest’estate per presentare il disco
nuovo e per tornare al “live”, il posto
migliore dove un artista deve stare,
ovvero su un palco davanti al suo
pubblico.
C’è un evento che mi sta particolarmente a cuore: il 21 giugno a S. Siro,
Laura Pausini ha chiamato a raccolta
tutte le artiste donne, un evento più
unico che raro e credo irripetibile, si
chiama “Amiche per l’Abruzzo”, quindi
una raccolta fondi per progetti mirati.
Consiglio a tutti di partecipare perché
sarà una cosa unica, con i nomi più
grandi della musica italiana, un happening al femminile, da pomeriggio
a sera tarda.
A cura di Massimo Minotti
9
musicomedians
satiratira
dove e con chi va la satira
focus gruop con workshop finale a
cura della redazione de “Il Notturno”
“Protési verso la comicità
o pròtesi per la comicità?”
(Herbert Hassmann)
Premessa
Uno di luoghi comuni che più ha fatto
breccia nell’opinione pubblica, è definire chi ha dedicato la sua vita artistica,
culturale e infine spirituale alla satira,
come essere solitario, privo di valori morali e intendimenti educativi, slegato dai
processi storici che determinano l’evoluzione della società, avulso dal contesto
politico in cui vive, senza padri depositari di un passato di tradizioni solide, ma
soprattutto senza figli cui trasmetterlo
per un futuro meno solido ma più solidale, carente socio-affettivamente, con
una scarsa autostima e consapevolezza
del sé come unico, pur nella diversità…
in altre parole uno sfigato!
Contribuisce certamente a questa immagine deleteria una cattiva stampa nei
suoi confronti, essendo periodicamente
il “satiro”, come sinteticamente si
definisce oggi chi si occupa di satira,
al centro di scandali, facile bersaglio
quindi di giornalisti senza scrupoli alla
ricerca di pruriginosi gossip, ai quali
purtroppo il nostro fatica a sottrarsi, in
cambio di un’effimera quanto perniciosa
popolarità.
Lo scopo di questo incontro pubblico
con i sopravvissuti alle teledipendenze
degli ultimi vent’anni, per il recupero
della loro motricità cerebrale, è allora
quello di dipingere un quadro meno
fosco sebbene più complesso dove collocare i “satiri”.
La redazione del Notturno ha seguito
gli sviluppi delle vecchie e nuove e
tendenze della satira, fornendo in più
occasioni, ai principali attori di questo
processo di cambiamento, un supporto
critico e cinico, ma costruttivo.
La crisi d’idee e soprattutto di prospettive in cui sembra oggi versare la critica
ai poteri non forti, ma non solo, del
Paese, ha indotto la redazione, conscia
dei propri limiti, ma responsabile del
potere di mediazione che oggi riveste
fra chi produce e chi consuma la satira,
a fare il punto della situazione, si spera
definitivo, in quanto prodromico ad
una svolta di pensiero e d’azione sul
territorio.
Oggetto
Partecipano al seminario, organizzato
come caffè letterario nei giardini di
Palazzo Gonzaga a Volta Mantovana
sabato 16 maggio alle ore 17.30, i
maggiori esperti del settore, nell’ordine:
• dott. Enrico Ettore Alberini, filosofo
esoteoretico, consigliere spirituale di
molti protagonisti della commedia e
scena musicale italiana, che affronterà
il tema del dove e del come, e delle
nuove pulsioni morali che spingono un
comico ad abbandonare il turpiloquio e
a occuparsi di satira ;
• prof. Alberto Grandi, etno-sociologo,
docente universitario e curioso viaggiatore, che analizzerà di come la satira si
declini nelle diverse culture del mondo,
con particolare riguardo a quelle che
fanno riferimento al ceppo ugro-finnico
e celtico;
• m° Davide Prandini, creative marketing manager, responsabile dell’immagine mediatica di uomini e donne di
spettacolo, che focalizzerà il proprio intervento sull’importanza degli accessori
d’abbigliamento (guanti, scarpe, cinture,
borsette, fermacapelli, ecc.) nella definizione del look dell’attore satirico;
• dietro le quinte, il vignettista Francesco
Stefani sottolineerà l’andamento della
discussione con pregnanti interventi
grafici di pregevole fattura e puntuta
sagacia.
10
decadenze
Dal nostro inviato
negli Stati Uniti
M
di Flavio Oreglio e Antonio Galuzzi
Quando una donna vi chiede più
tenerezza di sicuro non si riferisce al
diventare paciocconi…
Io, per la mia fidanzata, sono senza difetti, a parte il fatto di essere un uomo,
s’intende…
Per combattere l’inquinamento atmosferico dei gas di scarico basterebbe,
per legge, impedire alle donne di
parcheggiare.
Uomo, sii vigile, attento, circospetto:
quando una donna tira le somme, di
solito ha buona mira!
Uomo, ricorda che sei povere e che
polvere ritornerai! E allora perché le
donne ci rompono i coglioni perché
non spolveriamo mai?
Per capire una donna, non chiedere
consiglio a un’altra donna: è come se
per risolvere un’equazione algebrica
chiedessi consiglio alle incognite!
Le idee rendono gli uomini liberi. E alle
donne, ci pensa Amnesty International?
una macchina
un albero
Mi pare che oggi come oggi, tutti abbiamo
bisogno di più alberi e di più verde. Giusto?
Fin qui tutti d’accordo. Bene. Ora, se ciascun
automobilista, oltre alla sua macchina, possedesse un suo albero, non sarebbe mica
male. Sarebbe bello che in ogni città ci
fossero, diciamo tot macchine = tot alberi.
Centomila automobili, centomila alberi. Un
milione di automobili, un milione di alberi.
Si potrebbe fare per legge – ah, se solo
mi votassero! - tipo ad esempio mettere sul
libretto di circolazione, oltre agli obblighi
relativi all’automobile - immatricolazione,
assicurazione, manutenzione, bollo, tassa
accendisigari, tassa autoradio, tassa arbre
magic - anche una parte relativa al proprio
albero: genere di albero, luogo dove è
piantato, potatura, innaffiamento, tutto
quanto insomma.
Gli alberi si potrebbero piantare in parchi
(bisognerebbe farne di nuovi) o anche in
tutte le vie delle città, che diventerebbero
così viali alberati.
In base alla cilindrata dell’automobile
varierebbe l’albero. Il proprietario di una
macchina impegnativa o da sborone, ovviamente dovrebbe avere un albero proporzionato a lui; anche perché ad esempio una
Panda ecofuel inquina un decimo, credo, del
SUV che ha il mio vicino De Puta Madre.
In questo modo, riassumendo, si potrebbero piantare un po’ tutti i tipi di alberi.
E sarebbe meglio, secondo me. Lo devo
proprio proporre.
Jambo
i ricordo quella volta a
Philadelphia, quando
mi capitò la più grande disavventura nella storia
dell’aviazione civile del Nord
America.
L’aereo mi doveva portare a
Chicago, da cui avrei preso un
altro aereo per Milwaukee.
Ma l’aereo non parte. Comincia a piovere… di più…
una vera e propria tempesta
e in quelle condizioni, il capitano annuncia che non si può
decollare.
Smette di piovere e il comandante c’informa che la lunga
fase di rullaggio ha svuotato i
serbatoi. Si torna al terminal
per fare il pieno. Ma cazzo,
hai fatto solo un deca all’automatico?
A Chicago la coincidenza è
stretta. Mi agito. Tutti gli altri
passeggeri invece sono tranquilli, anzi ridono e mangiano
come se fossero a una festa.
Lo steward distribuisce bibite
ghiacciate, snack e dolcetti con
una generosità degna del cenone di capodanno. Dopo un paio
d’ore di quel party improvvisato, finalmente, si può partire.
L’aereo si allinea dietro molti
altri apparecchi per iniziare la
procedura di decollo. C’è una
fila che nemmeno alla barriera
di Pero se n’è mai vista una simile. Un’altra attesa lunghissima, condita da un altro festino
a base di Coca e schifezze varie
per i miei compagni di viaggio
Un’altra vorticosa girata di
maroni per me, che ormai ho
perso la coincidenza.
Pronti e via. Macché, arriva
una nuova tempesta e ancora
fermi al terminal.
Il comandante ci fa sapere
che se non riusciamo a partire
entro un’ora dobbiamo aspettarne altre tre. Stavolta si parte davvero, stiamo rullando…
ma una cretina si sente male,
ben gli sta, con tutte le merdate che ha bevuto e mangiato…
Per colpa di questa bulimica
l’aereo è costretto a tornare
indietro. Salgono i sanitari che
portano via quella stronza in
barella. Spero che sia una cosa
gravissima.
A questo punto, sono talmente incazzato, che vado dallo
steward per dirgli che anch’io
gli altri non fanno altro che
ridere, bere e mangiare, il comandante ci informa che si può
partire. E’ la volta buona. Mentre siano sulla pista di decollo,
lo steward fa un annuncio che
non capisco, ma che scatena
una vera e propria rivolta
dentro l’aereo. L’attempata
signora al mio fianco che, fino a
un minuto prima, scherzava e
cercava di tenermi su il morale,
sempre mangiando e bevendo
come un’idrovora, comincia a
inveire, arrivando a togliersi
una scarpa per lanciarla al
malcapitato steward.
Quando sembra essersi calmata (ma è solo un’impressione), le chiedo cosa sia successo,
anche perché la rivolta non
sembra placarsi, anzi alcuni
ragazzi accerchiano lo steward
e lo minacciano fisicamente.
Lei, con tutta l’indignazione di
cui è capace, mi dice che è finito
il ghiaccio e quindi avremmo
bevuto liquidi a temperatura
ambiente per tutta la durata
del volo (due ore).
E riprende a urlare, come
tutti gli altri passeggeri, a questo punto l’unico calmo sono io.
Beh, hanno costretto l’aereo
a tornare indietro per caricare
il ghiaccio e così abbiamo perso
un’altra ora: un americano può
accettare tutto, anche gli attentati, ma non di bere roba a
voglio scendere e che la compagnia mi deve pagare l’hotel
a Philadelphia.
“I hate America!”
Il mio esordio non è propriamente diplomatico. Lo steward
mi guarda con gli occhi vuoti e
non dice niente. Probabilmente
sta cercando in me tratti somatici mediorientali.
“I want to sleep in Philadelphia, but not in this aircraft of
shit, I want to sleep in Hotel!”
Lo steward continua a guardarmi e poi mi chiede, a tradimento, da dove vengo come mi
chiamo e se come ET, voglio
chiamare casa, telefonare a
mia moglie, alle mie bambine, a mia madre.
Dopo avergli risposto
di sì, lui mi sfodera il
classico sorriso da psicologo da strapazzo qual è.
“Aubedo (che sarebbe
Alberto secondo lui), call your
wife…” e tutti i ricconi della
business class mi porgono il
loro telefono satellitare. Mi trovo in mano cinque o sei oggetti
complicatissimi, ma lo steward
mi spiega come usarli e così
posso chiamare casa.
Mentre compongo il numero,
un capitalista panzone, mi
chiede che ore siano in Italia,
ma io non ne ho idea e così,
quando mia moglie mi risponde
scopro che sono le quattro di
mattina e il panzone è molto
soddisfatto della propria capacità di calcolo (stronzo potevi
dirmelo prima!).
Così, tra pacche sulle spalle,
cioccolatini, birra e coca cola,
passa ancora un po’ di tempo.
Dopo nove ore dentro quel
tubo di metallo, nel quale
l’unico agitato sono io, perché
temperatura superiore gli 0,1°,
un pelo sopra la glaciazione.
Con il nostro carico di ghiaccio, arriviamo a Chicago, il
cui aeroporto è soltanto il più
grande del mondo. Io sono
senza valigia e senza biglietto, come Tom Hanks in “The
Terminal”.
Ma la storia della notte a
Chicago ve la racconterò un’altra volta.
Alberto Grandi

Dopo Madre Teresa di Calcutta,
ora una fiction su
Moana Pozzi. Il
responsabile di Rai
Fiction dichiara: «Tutte
donne generose».
Un’offerta irripetibile
11
tempi moderni
Sarà capitato anche a voi di rispondere al telefono e rimanere in balia di professionisti della truffa
• Pronto?
• Sono Andrea, di Tivuzoom.
Nei prossimi giorni passerà
da lei un nostro incaricato per
illustrarle i vantaggi delle parabole Zoom e tutti i canali satellitari visibili con Tivuzoom.
• No, guardi, non mi interessa.
• Va bene, le lascierà a casa
la brochure gratuita che illustra
tutti i vantaggi…
• No, no, io sono spesso fuori
casa…
• Non c’è problema, la chiamo io prima e l’avviso di farsi
trov…
• No, senta, devo partire per
l’Australia, e quindi…
• Ah, che fortunato. Ok, allora, magari le prenoto l’incontro
per domani pomeriggio, mica
mi parte domani per l’Australia
vero?
• No, è che devo preparare le
cose e allora domani pomeriggio sono in giro…
• Ho capito, ho capito… Facciamo domattina, un po’ sul
presto?
• No, direi di no, la mattina
sul presto vengono sempre
i Testimoni di Geova a fare
quattro chiacchiere…
• Vabbè, allora disdico per
domani.
• Grazie…
• Si figuri. Facciamo stasera?
• No, no, stasera c’è il Gran
Premio…
• Vede? Se avesse Tivuzoom potrebbe interrompere la
partita in diretta e riprendere
da dove lei ha smesso di guardarla non appena è libero…
• Adesso che mi viene in
mente, non ho nemmeno la
televisione!
• Non c’è problema, Tivuzoom funziona anche sul cellulare. Il cellulare ce l’ha, vero?
• Sì, ma non prende tanto…
• Ma la parabola Zoom funziona anche senza campo!
• Però ha la batteria che non
sta accesa per molto tempo…
• No problem! Le parabole
Zoom sono autoalimentate.
Basta digitare il Pin…
• E’ davvero un peccato non
poter approfittare della sua
offerta, ma non ho le dita e non
riesco a schiacciare i tasti del
telefonino, quindi lo uso solo
per ricevere le chiamate.
• Allora fa al caso suo il Telecomanzoom, il pratico telecomando che può usare con
il mento. Avrà un mento, no?
• Per ora sì, sebbene temo
di perderlo a ogni passo. Sa,
la lebbra…
• Mi spiace, vorrei venirle
incontro… anzi, facciamo così:
le vengo incontro io davvero.
Lei mi aspetti un attimo che
riappendo e faccio una corsa
a casa sua così vediamo come
risolvere il suo problema. Venti
minuti e sono da lei…
• Non credo mi troverà, sono
malato terminale e non penso
che mi rimanga così tanto da
vivere…
• Se mi permette, vorrei tentare ugualmente. Lo faccio
volentieri, signor Girottin.
• Girottin? Io non sono Girottin, son Besa!
• Besa? Mi faccia controllare… Ba ba ba, Be be be,
Bes bes… Besa, eccolo qui.
Ramiro Besa!
• Sono io!
• Ah, ma guarda un po’, vedo
qui che lei è stato selezionato
per l’omaggio a campione su
tutta la popolazione europea
per la super parabola Zoom e
il mega abbonamento omaggio di Tivuzoom valido per
cinquant’anni. Complimentoni!
• Dice davvero?
• Certamente, ogni 400 milioni di abitanti sorteggiamo un
fortunato per dargli in omaggio
tutto quello che la nostra ditta
• Ma no, dai, facciamo domattina, tanto è lo stesso, il
premio non glielo porta via
nessuno… Ah, però mi diceva
che vengono i Testimoni di
Geova…
• Gli sparo, a quei rompicoglioni…
• Facciamo domani pomeriggio o deve andare in giro
a comprarsi delle cose per
partire per l’Australia?
• Guardi, volevo dirglielo,
intanto che parlavamo mi
si sono inceneriti i biglietti
dell’aereo perché senza volerlo li ho appoggiati dentro la
stufa a kerosene…
• Peccato, mi dispiace…
• Vorrà dire che mi consolerò
guardando la tv…
• Che non ha…
• Sembrerebbe il destino, ma
• No, quella gliela diamo noi
gratis…
• Per l’omino che l’attacca
al tetto?
• No no, l’omino lo paghiamo
noi. Anche se cade dal tetto
perché lei abita in un tugurio
e ha i buchi sul tetto e lui inciampa e si sfracella al suolo,
lei non deve pagare niente,
ci pensiamo noi anche con le
varie assicurazioni…
• E allora per cosa sono i
dieci mila euro?
• Ma, signor Besa, per il
cavo. Cinque piani di cavo.
• Ma li fate di platino?
• No, sono cavi speciali,
resistenti, autoalimentati, non
soffrono l’umidità né il calore…
• Guardi, ci dovrei pensare…
• Va bene, domani pomeriggio passa da lei il nostro rap-
produce.
• Ma è pazzesco!
• Ha ragione sa?, è assolutamente pazzesco… Non era
mai successo in tutti questi
anni di scegliere un fortunato e
non potergli consegnare nulla
perché sta morendo…
• Vabbé, forse ho esagerato
un pochino… è che mi gira un
po’ la testa, e quando mi gira
la testa vedo tutto più nero…
qualche mese, se va bene,
dovrei tirarlo ancora…
• Son contento per lei, però il
contratto specifica che il cliente beneficiario dev’essere in
grado di digitare il Pin.
• Beh, mi faccio far la protesi,
mi infilo dei grissini nei monconi, qualcosa m’invento…
• Beh, allora potrei sentire il
nostro venditore se stasera…
Ah, no, mi scusi, stasera c’è il
Gran Premio…
• Che si fotta anche la Ferrari, tanto non vince più un
cazzo…
il mio vicino di casa, al quale
l’avevo prestata, me l’ha riportata or ora.
• Allora non ci sono problemi!
Domani pomeriggio un nostro
rappresentante passerà a
casa sua per consegnarle il
nostro super premio europeo!
• Sono fin commosso… Non
so come ringraziarvi…
• Ah, dimenticavo, per la
parabola... Ce l’ha un po’ di
spazio sul balcone?
• Sto a piano terra…
• Ahi ahi ahi… Una tettoia, un
tetto vicino, un qualcosa dove
installare…
• Beh, sul tetto della palazzina!
• Perfetto, quanti piani sono?
• Cinque.
• Mi sa che se la cava con
una decina…
• Una decina di che? Metri?
• No, che ha capito, parlavo
di migliaia di euro…
• Diecimila euro? Per la parabola?
presentante e le fa firmare tutti
i moduli… Così poi lei prepara
l’assegno…
• Proprio domani pomeriggio?
• Non le va più bene?
• Mah, mi viene in mente che
domani ho il funerale di mia
nonna, poveretta, ha tirato
finché ha potuto…
• Mi dispiace, signor Besa.
Facciamo domattina, allora
che tanto i Testimoni di Geova
saranno già scappati via…
• Sì, ma… non so…
• Ci sono dei problemi?
• No, no, è che domattina
credo d’avere… aspetti che
controllo l’agenda… ecco sì,
mi sembrava di ricordare…
proprio domattina ho il trapianto di reni in ospedale…
mi spiace, ma temo dovremo
rimandar…
• Lasci stare, facciamo stasera, tanto mica si mette a
guardare la Ferrari che domani va in ospedale: non vorrà
deprimersi prima del tempo,
no?
• Sì, stasera dice?… Aspetti… stasera sono fuori, ho il
turno in fabbrica…
• Allora, non le voglio creare
dei problemi. Se lei mi aspetta,
metto giù, faccio una volata
io, venti minuti e sono lì, d’accordo?
• Venti minuti dice? E’ che…
sa, venti minuti… purtroppo
soffro di narcolessia… io più
di venti minuti non riesco mai
a star sveglio. Se lei viene fra
venti minuti è capace che mi
trova che dormo…
• Vabbè, signor Besa, ho capito che ha qualche problema
sull’immediato. Facciamo per
dopodomani.
• No, no… dopodomani ho il
trasloco… cambio città, cambio Paese, cambio addirittura
continente, sa? Anzi, cambio
emisfero… Ho comprato un
terreno in Australia e allora…
• Peccato che le si siano
inceneriti i biglietti… son tutte
spese in più…
• Ma sa che i biglietti erano lì
che mi guardavano sul comò?
Devo aver acceso la stufa con
un pezzo di carta e l’ho scambiato con i biglietti…
• Buon per lei, Besa… Allora,
facciamo così: adesso lei mi
digita il pin che le dico sulla
tastiera del telefono così lei
accetta la nostra offerta e noi
gliela spediamo in Australia. E
visto che in Australia avrà anche il posto vicino casa dove
mettere la parabola non deve
pagare il filo e i diecimila euro
li usa per la spedizione di tutto
l’ambaradan.
• Guardi, adesso come adesso sono impossibilitato a digitare…
• E come mai?
• Ho le mani impegnate…
• E come mai?
• Stavo aprendo la finestra
perché la stufa fa fumo e sono
scivolato dalla finestra, per
fortuna mi sono aggrappato al
cornicione con le mani, però
capisce bene che non poss…
• Ma non stava a piano terra?
• Sì ma sono salito in soffitta
per controllare la canna fumaria e…
• Signor Besa, sia sincero: lei
non ha nessuna intenzione di
aderire alla nostra offerta.
• Ma che, scherza? Anzi, se
solo potessi… Aspetti, forse
ce la facc… ma cos’è quello!
• Signor Besa…
• Oh, mio Dio, cos’è quello?
• Signor Besa?
• Oh, mio Dio, non è possibile… No, no, nooooooooooooooooooooooooooooooooo
• Signor Besa, sta bene?
• Mi scusi ma devo riattaccare, sono appena stato rapito
dagli alie… Tu…tu…tu…
Da “Mis Mas”
di Andrea Appi,
Ramiro Besa
e Antonio Galuzzi
CAFFE’
NOIR
Mantova • Tel. 0376.369972
Corso Vittorio Emanuele II, 57
MANTOVA - Tel. 338 798 50 25
Piazza Mantegna
Mantova
0376.324286
Corte dei Sogliari, 4
CAFFE’ - OSTERIA CON PIZZA
Mantova
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Piazza Concordia 18
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Tel. 0376.324064
0376.222817
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chiuso
lunedì e martedì
Piazza
San Francesco, 2
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