2 ridendo >jala[Y >af]eYlg_jY^a[Y \a Ia[c HYjlaf]dda quattro passi nel delirio (parte I) il fondo del barile Iniziamo da questo numero un viaggio sui titoli più deliranti della storia del cinema italiano. A titoli così incredibili sono spesso associati film incredibili che mai avrebbero dovuto essere girati e che invece qualche produttore insano di mente ha deciso di infliggere al pubblico italiano che secondo lui non poteva farne a meno. Nota bene: i film esistono realmente e non sono frutto della nostra fantasia… quelli li trovate nel “PROSSIMAMENTE” più sotto. Buon viaggio. di Teo Guadalupi un’estate di privazioni Quella ormai alle porte sarà l’estate della crisi. La gente potrà permettersi solo due settimane di vacanza senza neppure la possibilità di andare al ristorante tutte le sere e con il rischio di dover rinunciare al terzo lettino in spiaggia. Ditemi voi se non vi viene in mente niente di più tragico. I centri commerciali, per combattere la crisi, incentivano con offerte imperdibili a comprare a prezzi assolutamente competitivi televisori lcd che appena sei mesi fa costavano il 5 per cento in più (vale a dire circa 25 euro, mica noccioline). E del resto come fa al giorno d’oggi una famiglia a vivere senza televisore lcd? Un conto è essere in crisi, un altro è essere pirla. Nella mia immensa ignoranza, mista a una discreta dose di pigrizia, io sono uno che in bacheca ha più film visti che non libri letti. Per quanto mi riguarda “La bibbia” è più un film di John Houston del 1966, che non il principio di ben due religioni monoteiste mondiali. Allo stesso modo “Furore” è un film di John Ford prima che un libro di John Steinbeck che, a conferma della mia ignoranza, non sono neanche sicuro che si scriva così. “Furore” parla della depressione americana degli anni trenta, di come le cose andassero veramente a rotoli e di come non ci fosse più fiducia per il futuro. Non ricordo quanti anni avessi quando l’ho visto, non più di dieci comunque. Non ricordo neppure benissimo la trama del film. Ricordo solamente il senso di angoscia che mi aveva lasciato. E se confronto quel senso d’angoscia con il netto senso di presa per il culo che provo oggi, non posso fare a meno di pensare che, cari signori, la crisi è tutta un’altra cosa! La redazione [email protected] Antonio Galuzzi Antonio Voceri Davide Prandini Enrico Alberini Massimo Minotti HANNO COLLABORATO Natalino Balasso - Fabrizio Bolivar - Riccardo Campa - Eugenio Finardi - Corrado Giamboni Teo Guadalupi - Mago Galonio - Alberto Grandi - Ilaria Jahier Lorenzo Mari - Nicola Martinelli Andrea Mirò - Flavio Oreglio - I Papu (Andrea Appi e Ramiro Besa) - Alberto Patrucco - Mario Tenedini Stampato in 2.000 copie da Fda Eurostampa di Borgosatollo (BS). Distribuito in omaggio discorso alla generazione perduta Dov’eri giovane, oggi festante, mentre eravamo impegnati a mantenere ben saldamente occupato il primo posto sulla scena della vita, posto che ti spettava, che avremmo dovuto lasciarti a disposizione, come sempre era capitato nei secoli scorsi, quando una generazione si susseguiva all’altra alla guida dell’umanità? Dov’eri negli anni ’60, quando cattolici praticanti, comunisti militanti, tutti quanti gaudenti e libertini, costruivamo strade, autostrade, ponti, ville, villette, condomini, quartieri dormitorio, città fantasma, cattedrali nel deserto, fabbriche modello, stazioni passanti? Dov’eri negli ’70 quando, nelle comuni d’assistenza psichedelica, sfidavamo l’assedio patetico dei matusa, preparando così l’assalto finale al meraviglioso bottino della truffa edonistica degli anni ’80? Dov’eri negli anni ’80, quando sperperavamo con l’inganno il patrimonio naturale, artistico e sociale accumulato con parsimonia e dedizione dai nostri padri? Dov’eri negli anni ’90, quando smantellavamo i principi costituzionali della nostra fragile repubblica per immolarci in anima e corpo al populismo senza regole? Dov’eri nel terzo millennio quando, in nome della libertà dei singoli, assoggettavamo ai nostri comodi la giustizia dei popoli, facendone brandelli e polpette, per sfamare con la menzogna il destino affamato di verità? Dov’eri cinque, quattro, tre, due, un anno fa, quando aprivamo le porte alla tecnologia del progresso senza futuro, per costruire il baratro di una crisi da cui non uscirai mai più indenne? Dove sei generazione perduta, senza padri, né figli, senza passato morale e futuro solidale, affidata al tubo catodico della memoria, agganciata alle rete virtuale degli affetti, che ti affanni a cercare senza trovare il filo del discorso, il bandolo della matassa, la stella della notte, il pelo nell’uovo? Dove ti nascondi generazione degenerata, gonfia di pregiudizi, scevra di prospettive, senza guida e senza seguito? Dove credi di andare SENZA DI NOI, che conosciamo il genere umano, le sue infime debolezze, i suoi spregevoli desideri, i suoi inappagabili bisogni, i suoi meschini appetiti? Chi ti credi di essere o peggio di diventare, SENZA DI NOI, protervi depositari dell’immota e immobile saggezza, che permea la presunzione con cui vogliamo, perché dobbiamo, insegnarti come stare al tuo posto, nella storia e nel mondo e condurti in un futuro senza ritorno? GIOVANE… IL TEMPO SI E’ COMPIUTO: E’ GIUNTA L’ORA DELLA TUA CONVERSIONE! L’Uomo Nuovo Decontaminato CRASH! CHE BOTTE… STRIPPO, STRAPPO, STROPPIO (1973) di Bitto Alberini con Robert Malcolm, Antonio Cantafora, Sal Borghese Questo è il quinto film di una serie abbastanza folle sulle avventure di tre fantastici supermen che mescolavano fantascienza ad arti marziali (Bruce Lee all’epoca andava molto di moda). Il risultato? Beh, immaginatelo. Interessante la canzone della sigla di Nico Fidenco : “Sono Ping Pong il furore di Hong Kong, io non mando mai all’ospedale, solo al forno crematorio o qualche volta all’obitorio (?) Ti faccio nel ventre un traforo, ti asporto budella e piloro…” COME FU CHE MASUCCIO SALERNITANO, FUGGENDO CON LE BRACHE IN MANO, RIUSCI’ A CONSERVARSELO SANO (1973) di Silvio Amadio con Giorgio Faretto, Piero Lulli, Gianni Musy Il titolo è decisamente un capolavoro e fa parte della lunga serie di film “decamerotici” degli anni ’70 che cercavano di copiare lo stile del Decameron di Pasolini con risultati che ovviamente non erano proprio all’altezza. Quattro episodi tratti dal “Novelliere” di Tommaso Guardati. Gli argomenti sono sempre quelli: falsi monaci, mogli poco vestite e mariti cornuti. Amadio bissò il genere con un altro capolavoro: “E si salvò solo l’Aretino Pietro, con una mano davanti e l’altra dietro”. DIO C’E’ (IL FILM ANCHE) (1998) di Alfredo Arciero con Riccardo Rossi, Chiara Noschese, Daniele Formica, Vanna Marchi Commedia a sfondo mistico che uscì in sordina solo a Roma (mi ricordo perfettamente il manifesto di questo film al Lido di Venezia). E’ la storia di un ragazzo idealista che si scontra con la suocera opprimente (Vanna Marchi…) e con una serie di altri improbabili personaggi, ma che poi finirà per farsi prete. Mah… Il titolo è davvero spettacolare. DA SCARAMOUCHE: OR SE VUOI L’ASSOLUZIONE BACIAR DEVI ‘STO CORDONE (1973) di Gianfranco Baldanello con Stelvio Rosi e Mario Brega Di questo film si sa molto poco, in pratica mescola Scaramouche con i decamerotici di quel periodo. Il risultato è decisamente… (visto l’argomento) “fallimentare”, ma il titolo è straordinario. Chi l’ha visto? LA VEDOVA DEL TRULLO (1979) di Franco Bottari con Rosa Fumetto, Renzo Montagnani, Carlo Giuffrè, Mario Carotenuto Qui siamo dalle parti della commedia scollacciata, dove Rosa Fumetto è la vedova di Renzo Montagnani e abita nell’ultimo trullo rimasto libero in un paesino pugliese. Fa l’infermiera a casa di Carlo Giuffrè e svezza il figlioletto, ma quando arriva il sosia del marito morto non riesce a resistere. La trama è folle, il titolo anche… ELENA Sì, MA… DI TROIA (1973) di Alfonso Brescia con Don Backy, Christa Linder, Howard Ross Titolo davvero molto elegante. Il film racconta di due vagabondi che viaggiano dalla reggia di Menelao all’assedio di Troia incontrando i grandi eroi di Omero. Le critiche dell’epoca parlano di “superiore insensatezza e rozzezza fuori dal comune”. Chi volesse fare il bis consigliamo sulla stessa scia “Ettore lo fusto” di Enzo G. Castellari, una volgarissima versione dell’Iliade con un cast all’epoca stellare. prossimamente i film copia-incolla ROMEO E GIULIETTA DEGLI SPIRITI IL PADRE DELLA SPOSA CADAVERE L’IMPERO DEI SENSI COLPISCE ANCORA IL BACIO DELLA PANTERA ROSA VA’ DOVE TI PORTA IL CUORE SELVAGGIO LA DOPPIA VITA DI VERONIKA VOSS La satira è un post-it Di primo acchito verrebbe da pensare che la satira serva a poco. Vedendo però l’ostracismo televisivo di alcuni mattatori della scena italiana, si comprende come la satira qualche piccolo fastidio al potere lo procuri. Di certo, la satira dovrebbe avere almeno una funzione: ricordare, riportare alla memoria, riattualizzare ciò che non andrebbe disperso. La cronaca, si sa, macina eventi a ripetizione e il pubblico li digerisce in modo sempre più veloce. Ciò che è di attualità oggi, è già pleistocene domani. Ecco allora la funzione post-it della satira. Fare da promemoria. In questa non semplice operazione, come appare evidente, qualche rischio non manca: • Prendersi una denuncia. • Prendersi troppo sul serio. Un comico che si prende sul serio è tragico. • Abbracciare posizioni politiche, trascurando i meccanismi comici. Se la satira perde il suo contenuto umoristico, diventa comizio, fervorino, pistolotto moraleggiante, ed è un modo scorretto di prendere in ostaggio il pubblico. Ciò non significa che non si debba manifestare un punto di vista. Anzi, piazzare stoccate anche smaccatamente di parte è lecito e opportuno. Ma se c’è ben piantato e funzionante il meccanismo comico, anche chi non condivide è chiamato a stare al gioco e il punto di vista diventa palese. Al contrario, se manca il meccanismo comico, il pubblico è chiamato a condividere. C’è una bella differenza. • Essere parcondiciosi (dare un colpetto di qua e uno di là, col bilancino) o paraculi (prendersela con i piccoli e lasciare stare i potenti). Prerogative, queste, insite in trasmissioni tipo: Striscia la Notizia, il Bagaglino, etc… • Una sciagura totale è fare satira politicamente corretta. La satira deve essere urticante, fastidiosa, corrosiva e, soprattutto, a costante rischio censura. In estrema sintesi: Vauro sì; Striscia la notizia no. La cosa grave è che a tenere lezioni di satira in alcuni atenei chiamano Ricci e non Vauro. Questa lunga premessa potrebbe (il condizionale è dovuto al fatto che non ci prendiamo troppo sul serio) offrirci una chiave di lettura sul lavoro dei pochi comici satirici rimasti in televisione e, soprattutto, introdurci a dovere il pezzo di Alberto Patrucco pubblicato in questa pagina. Un invito alla lettura che rivolgiamo anche chi, di tutto ciò, non ha condiviso e non condivide nulla. Antonio Voceri Zero Zero Setter, la spia che digeriva di Alberto Patrucco Dopo la commedia all’italiana degli anni sessanta, sono arrivati i misteri all’amatriciana anni 2000. Nel cast: Nicolò Pollari, Renato Farina detto Betulla, Mario Fruit Joy Scaramella, Paolo Guzzanti, Pio Pompa… Tutti, in tempi e modi differenti, hanno avanzato autorevoli candidature al Bagaglino, tanto da farci preoccupare seriamente sullo stato di salute della nostra intelligence. Un tempo, quel poco che sapevamo degli agenti segreti era avvincente: “Sono Bond. James Bond!”. L’immagine che da ragazzi avevamo della spia era romanzesca: “Vorrei un Martini. Mescolato, non agitato”. James Bond parcheggiava in derapage nel foyer dell’hotel e lanciava la muta da sub in guardaroba, con incorporata la mancia per la coniglietta di turno. Si presentava al Casinò in smoking impeccabile, mani curate, pettinatura scolpita e si sedeva al tavolo del Black Jack pronto a sputtanarsi 20 milioni di dollari, qualche lingotto d’oro e la dentiera della carampana che aveva di fronte. Vinceva, perdeva, non gliene importava niente. Lui, era James Bond. Un malvivente, anche girato di spalle, sentiva: “Sono Bond!”. E, già, si preparava con le mani in alto. Purtroppo, la cronaca è spietata e non si cura delle nostre suggestioni cinematografiche. Cosicché, dopo una raffica di scandali da avanspettacolo, ci è rimasto: “Sono Pompa. Pio Pompa. Ce l’ha mica un the alla pesca? Temperatura ambiente”. Ma per favore! Pompa non è accettabile, non rispetta i parametri di Maastricht. Come si fa a immaginare Pio Pompa in tuta da sub mentre esce dall’acqua con sotto lo smoking? Pompa è più credibile in piagiamone di flanella che esce dal cesso con in mano la Settimana Enigmistica. Eppure, anche Pompa, ha avuto il suo momento di gloria, in coppia con un personaggio fenomenale: Renato Farina. La loro storia è ormai leggenda. Farina, oltre a fare il giornalista full time, faceva l’informatore part time per il SISMI e organizzava campagne di stampa per sostenere Tizio e danneggiare Caio. Stando alle ricostruzioni pubblicate sui quotidiani, aveva sceneggiato l’affaire Telekom Serbia, attribuito a Caio Romano Prodi i voli illegali della CIA e via romanzando. Sembra pazzesco, ma quello che scriveva Farina non era farina del suo sacco. Non era nemmeno Farina 00, bensì 007. Il nome in codice di Farina era Betulla. E, pare prendesse ordini proprio da Pio Pompa. Ma la cosa più sorprendente di tutta questa storia, già di per sé surreale, è che Pio Pompa non era un nome in codice. Si chiamava Pio Pompa sul serio. Bisogna però riconoscere che da grande romanziere qual era, la difesa di Renato Farina è stata impeccabile: “È vero, ho pubblicato cose false che mi spedivano i servizi segreti deviati, però non ho mai pensato fosse grave. I miei lettori, di solito, guardano solo le figure”. Nel 2008, dato che era in possesso dei requisiti adatti, Farina è stato imbucato nelle liste del Popolo delle Libertà ed è stato eletto deputato nella XVI legislatu- ra. Probabilmente serviva una Betulla a un ramo del Parlamento. Non paghi, i giornali ci hanno raccontato che alcuni Zero Zero Setter russi erano capaci di vendere informazioni segretissime per cento euro. Nemmeno un’onesta professionista in tangenziale chiederebbe così poco per un servizietto segreto. Tuttavia, va detto, fantasiosi. Le informazioni potevano averle o non averle, poco importava. Le fabbricavano su misura. Serviva un Prodi agente del KGB? Pronti. Il tempo di preparare i documenti e, in un battibaleno, saltava fuori Romanov Prodienko con una bisnonna di Minsk. Occorreva Fassino astronauta, Bersani lottatore di sumo, Bindi miss Italia? Tempo tre giorni e i documenti erano pronti. Davvero sorprendenti questi spinoni. Abbiamo cominciato ad apprezzarli nel 2003 con la storia dei finti dossier sulle armi di distruzione di massa, quando al presidente degli Stati Uniti serviva un pretesto per radere al suolo l’Iraq. Sulle prime Bush vuole glielo impacchetta in un bel quaderno a righe con i buchi e i ganci. Niente, a Bush quel dossier non piace. Sulla copertina vuole i delfini, non il tramonto caraibico. Allora Saddam, nel dossier, gli mette le figure, i delfini e le note a piè di pagina; impacchetta tutto in una bella busta e glielo invia. Niente da fare, Bush non cede, vuole le prove: “Troppi vuoti in quel dossier. È intollerabile l’interlinea due!”. Sul dossier, ormai, c’è un vero e proprio giallo. Saddam si difende: “Probabilmente è cappuccino”. Ma George Bush non è convinto. Nel dubbio, inventa il concetto di Guerra Preventiva e attacca l’Iraq. ‘Fanculo le prove. Però, all’etichetta ci tiene. Manca l’invito e il buono consumazione con sopra il timbro. Anche fasullo, ma serve un documento che confermi la presenza di armi di distruzione di massa. E dove è possibile trovare un dossier farlocco per giustificare una guerra? Ovvio, in Italia. Papi l’aveva detto che per diventare amico di Bush avrebbe fatto carte false. Detto, fatto. Il falso dossier sull’uranio nigerino venduto all’Iraq arriva da Roma, dai servizi Mario Scaramella, lo 007 italiano scartato anche dalle Giovani Marmotte prove concrete, ci tiene all’etichetta. Saddam gli risponde: “Ti servono prove? Nessun problema, accomodati”. E fa entrare l’ispettore Blix, il commissario Rex, Max e Tux e tutta la banda dei pirla. Ma l’Uomo più Potente del Mondo non è convinto. Allora Saddam gli spedisce un dossier completo di 83 pagine. Ma George non ci crede. Allora gliene manda uno più corposo, 1.000 pagine. Ma Mister Neurone dice che non c’è nulla di interessante, nemmeno fosse il libro natalizio di Bruno Vespa. Allora Saddam segreti italici. Gli americani sono caduti nella classica patacca italiana. Non è escluso che, durante la prossima visita nella capitale, qualche buontempone riesca a vendere all’ormai ex-presidente degli Stati Uniti la Fontana di Trevi. Ma non è finita. Tra le tante prodezze dei servizi segreti, rimane impressa quella della coppia Scaramella–Guzzanti, in grado di annichilire Stanlio e Olio nell’episodio della Legione Straniera. Mario Scaramella, nome in codice Sperlari, è stato oggettivamente un Brinda con Papi! grande. Nasce con la fissa della spia. Già alle scuole medie è informatore della direttrice e sventa un colossale traffico di figurine Panini tra la terza G e la seconda A. Da ometto tenta di vendere informazioni al SISMI, ma lo stesso SISMI le reputa irrilevanti. Va a riferire che la suocera di uno del MOSSAD fa la cresta sulla spesa con i punti della fidelity card del marito. Insomma, per anni Scaramella è inaffidabile. Fino a quando non arriva Paolo Guzzanti e la commissione Mitrokhin. Et voilà, Scaramella diventa l’uomo adatto, la spia perfetta. Guzzanti ha bisogno di uno Scaramella e, in qualità di pacco, se lo scarta. L’immagine che le intercettazioni ci forniscono, è di Paolo Guzzanti sudato che urla: “Mi servono le prove che incastrino Prodi come agente del KGB”. E Scaramella che risponde: “Non le ho. Al massimo ti posso dare un Prodi chierichetto pentito”. “Che me ne faccio di Prodi chierichetto? Dammi almeno un Prodi coltivato dal Cremlino”. “Non c’è l’ho. Abbiamo soltanto lo scontrino di un colbacco acquistato nel dicembre del 72”. “È poco: voglio un Prodi coltivato dal Cremlino. A concimarlo ci pensiamo noi”. Scaramella, homen nomen, si incarta. Paolo Guzzanti vuole le prove e lo spinge da Litvinenko. Scaramella e l’ex agente del KGB vanno in un suhi bar di Londra e ingurgitano una tonnellata di polonio. Litvinenko stira le gambe, Scaramella, date le sue origini calabresi, digerisce anche il plutonio. Tira un rutto baritonale e se ne torna a casa con dentro più polonio di un carpentiere di Varsavia. È più radioattivo di un reattore nucleare russo in disarmo, eppure non fa una piega: “Più che il polonio ho faticato a digerire il merluzzo”. Dichiarerà in seguito. Cosa sono diventati, oggi, i nostri servizi segreti? Di certo, oltre che deviati, sono un bel po’ rintronati. Una volta, ai tempi della guerra fredda, i servizi segreti di qualsiasi Paese – Italia compresa – avevano un loro prestigio, un loro status, caratteristiche ben definite. Prima cosa, erano segreti. Tanto che brigavano, forcavano, manovravano, senza che nessuno si accorgesse di nulla. Un colpetto di stato di qua, un broglietto elettorale di là; un golpino di su, un’insurrezioncina armata di giù; un aeroplanino abbattuto, una bombetta in una banca, una sommossa, un rapimento… I servizi segreti, anni fa, erano efficienti. In più, non li beccava nessuno. Invisibili. Oggi cos’è rimasto di questi superagenti? Crolla il muro di Berlino, tana! Non hanno più un buco di nascondiglio, erano tutti mimetizzati lì dietro. Alla minima operazione li sgamano che è una bellezza. Cosa ci vuole, oggigiorno, a rapire un Imam? Niente, eppure: sgamati. Oggi per scoprire cosa combinano i servizi segreti basta andare in edicola e comperare il giornale. Sono proprio dei Pollari. Per di più con l’aviaria, totalmente rintronati. Infatti, sulle rivelazioni del SISMI hanno tolto il segreto di stato per metterci sopra il marchio DOP. Bufale del genere ce le invidiano in tutto il mondo, quasi quanto la bottarga di muggine. 3 scherzando di Antonio Galuzzi Si alzò il sipario sullo spettacolo della campagna elettorale, e i politici si produssero nel balletto delle cifre. *** L’assicuratore venne licenziato: non riuscì ad assicurarsi il posto di lavoro. *** «Torniamo al succo», disse il relatore astemio. *** Il caffè ristretto al caffè lungo: «Aò, tu vo fa l’americano!» *** L’oculista accusato di aver caricato il prezzo delle lenti si difese: «E’ tutta una montatura!» *** L’olio si adagiò mollemente nel contenitore, esausto. *** La pianta grassa non rientrava nell’offerta, perciò si mise in dieta. *** Per risolvere le disparità, chiamavano sempre lui: era un uomo di spessore. *** I globuli bianchi furono tacciati di razzismo perché volevano preservare l’integrità biologica dell’organismo. *** Al foglietto stampato piaceva andare a trovare gli amici: era un biglietto da visita. *** Il malinconico profugo ungherese non si sentiva troppo bene: aveva il mal di gulash. *** Il virus innamorato disse alla sua influenza: «Dai, dammi un bacillo!» *** Il formaggio non si riconosceva nel cristianesimo. Era un grana pagano. *** L’alunno diligente, per recarsi a scuola, percorreva la strada maestra. *** Alla discoteca, il buttafuori non faceva passare i fogli. Era un fermacarte. *** «Badiamo al sodo», disse alla paziente il chirurgo plastico. *** «Ma come sei elegante!», disse il barbone all’amico. «Mah, niente, il primo straccio che ho trovato…» *** Perdeva i capelli, ma trovava sempre qualcuno che glieli restituiva. Aveva il riporto. *** La stampante alla fotocopiatrice un po’ dimessa: «Forza, devi darti un toner!» *** Come ogni giorno a quell’ora, i ragazzi provavano a rimorchiare: era l’ora di punta. *** Non si vedeva nulla: le finestre guardavano tutte nel vicolo cieco. *** Ultim’ora: il bonzo che si era dato fuoco si è spento. *** La carta velina voleva fidanzarsi con la figurina del calciatore. *** La fetta di prosciutto aveva freddo: prima di uscire, si mise addosso un panino imbottito. 4 speciale sposi U n avvocato Ghedini novantottenne ma ancora lucido svela finalmente i retroscena della tormentata vicenda che ormai molti anni fa sconvolse la vita famigliare di Silvio Berlusconi, di sua moglie Veronica Lario e dell’intero Paese. Correva l’anno 2009 quando una ben orchestrata campagna denigratoria delle gazzette della sinistra, con in testa Libero e Il Giornale, indusse Veronica a chiedere il divorzio dal coniuge accusandolo di essere un puttaniere. Naturalmente, sostiene Ghedini, non c’era nulla di vero: “immaginatevi - racconta l’avvocato inginocchiandosi davanti all’immagine di Silvio - se il Presidente, con tutto quel che aveva da fare, potesse trovare il tempo per certe cose. Al massimo si permetteva qualche battuta di spirito, sul tipo di quelle che sfoggiava durante gli incontri con altri capi di governo all’estero: spassosissimi siparietti ai quali nessuno poteva resistere. Resistevano solo gli italiani - Ghedini ridacchia - che infatti continuavano a votarlo. Colto di sorpresa dalla richiesta della consorte, per prima cosa le pose la fiducia, prendendosi immediatamente un vaffanculo, al quale non era abituato, che lo mandò in bestia. Ma poi, sapete come sono i grandi statisti, esaminò serenamente la situazione. Il divorzio lo avrebbe reso libero e, oltre a essere a pieno titolo riconosciuto non solo ufficialmente, ma anche nei fatti, come padrone del Partito della Libertà, e gli avrebbe potuto spalancare quella carriera ecclesiastica, vietata gli uomini sposati, che sognava da tempo. Avrebbe potuto raggiungere il soglio. In fondo sarebbe bastato un cambio di vocale, come nei giochini della Scene da un matrimonio Settimana enigmistica: da papi a papa. Lunga e faticosa - ricorda ancora Ghedini - fu invece la separazione dei beni. Alla Veronica andarono la Sicilia, la Basilicata e l’Abruzzo, dato che dopo le promesse mancate lui non si poteva più far vedere laggiù nemmeno in fotografia, metà delle ville in Sardegna (tre e mezza per la precisione). Tutto Bonaiuti, un terzo di Confalonieri e l’intero Bondi. Che però Silvio avrebbe potuto vedere nei week-end. Emilio Fede fu oggetto di una lunga trattativa: Veronica non lo voleva nemmeno sentir tossire, ma il cavaliere voleva affibbiarglielo perché era stufo di sentirsi il sedere sempre bagnato. Fu dato a Piersilvio in comodato. Appena sciolto il matrimonio, Berlusconi fece approvare una legge che permetteva alle quattro più alte cariche dello stato di praticare la poligamia. Sposò quindi tutte le sue ministre, 12 veline, 5 stagiste della Rai e, in un momento di distrazione, anche Gasparri, Bruno Vespa e Feltri. Che non seppero opporsi. Per festeggiare regalò ad Apicella la Filarmonica di Vienna che da quel momento in poi costrinse tutti i suoi componenti a suonare solo il mandolino. Adottò la giovane Noemi e nominò suo padre autista di Cicchitto. Visto che Benedetto XVI e molti vescovi non erano proprio entusiasti del suo comportamento, comprò lo Stato del Vaticano, li licenziò e nominò reggente Belpietro, col nome di Simpatico I. Si dedicò poi alla soluzione della crisi economica annunciando che per rilanciare l’economia serviva una scossa. Dall’Abruzzo, dove l’avevano già avuta, partirono in diecimila armati di bastoni, fermati a stento dalle ronde padane accorse a difendere l’imperatore. Accolse nel governo Forza Nuova, affermando che questo avrebbe portato una ventata di democrazia. Abolì primo maggio e venticinque aprile: li tolse proprio dal calendario e li sostituì con due giorni dedicati all’adorazione del premier, cosa che entusiasmò non meno del 75% degli italiani. Comprò l’Avvenire e lo affidò all’avvocato Previdi che esordì con un titolo a nove colonne: “Sì alla vita, no alla magistratura”. Cambiò nome al suo partito mantenendone però la sigla, che da quel momento in poi significò “Pi Due Legalizzata”. Rifiutò la carica di presidente della Repubblica e nominò Licio Gelli al posto di Napolitano. Trasformò il Parlamento triplicando il numero dei deputati, ma tolse loro il diritto di voto. Presidente della Camera divenne Noemi Letizia e presidente del Senato suo padre, del quale era amico fin dalle elementari. Quando la Corte Costituzionale obiettò che lo stesso personaggio non poteva fare contemporaneamente l’autista di Cicchitto e il presidente del Senato, fece approvare una legge che aboliva la Corte Costituzionale e già che c’era l’intera Costituzione. Al suo posto venne introdotta quella nuova, scritta in dialetto da Borghezio e da Salvini. L’arzillo Ghedini sorride soddisfatto, e a chi gli chiede che fine abbia fatto il Paese, risponde: «Andò a puttane. Se non è coerenza questa…!» Sparafucile Silvio si prepara a depenalizzare l’uxoricidio In esclusiva il giudizio neutralissimo di un luminare del diritto di famiglia, il Prof. Riccardo Campa dell’Università di Arcore L ’idea del Presidente Berlusconi di risolvere il problema del divorzio con Veronica promulgando una riforma del diritto di famiglia è ineccepibile sul piano giuridico. Dopo avere depenalizzato l’abuso d’ufficio, un partito consacrato alla difesa delle libertà del popolo italiano non può che depenalizzare anche l’uxoricidio. Tra l’altro, la soluzione del divorzio giudiziale sarebbe tecnicamente impraticabile, a causa della presenza pervasiva di toghe rosse nella magistratura italiana, che non garantisce un giudizio sereno e super partes. I maligni diranno: l’ennesima legge ad personam! E invece no. La decisione ha solide basi scientifiche. Innanzitutto, che piaccia o meno, è statisticamente provato che il divorzio in Italia si conclude comunque con l’omicidio della moglie. Era così prima dell’introduzione della legge sul divorzio ed è così oggi. Prima esisteva nel codice penale una norma, l’articolo 587, che garantiva la quasi impunità alla persona che avesse ucciso il coniuge in flagranza di tradimento. Era la cosiddetta attenuante del “delitto d’onore”. Se le vecchie buone tradizioni fossero state mantenute, ora non si porrebbe nemmeno il problema. La questione poteva essere risolta già al tempo della tresca di Veronica con Cacciari. Quindi la colpa è – come sempre – dei comunisti! Sull’onda del Sessantotto, è stata eliminata la sacrosanta norma del delitto d’onore e legalizzato il divorzio. Ma anche la sinistra, se non è faziosa oltremisura, dovrà prendere atto che questo non è servito a nulla. Continua la mattanza delle mogli. Con l’aggravante che il povero uxoricida finisce in carcere. Per immedesimarci nelle vere vittime della situazione, gli uxoricidi, dobbiamo mettere momentaneamente da parte le nostre remore morali. La scienza lo impone! Il lettore deve immaginare di essere un giovane ragazzo italiano coccolato per una trentina d’anni da una amorevolissima Mamma con la M maiuscola. Il soggetto si è diplomato a diciannove anni, ha fatto il militare (soffrendo terribilmente la mancanza degli spaghetti di mamma), quindi, all’età di vent’anni, ha trovato un lavoro vicino a casa. Per dieci anni ha comunque continuato a vivere a casa dei genitori. D’altronde, chi glielo faceva fare di uscire di casa? Aveva vitto e alloggio gratis, il babbo gli sbrigava le faccende burocratiche, si teneva tutto lo stipendio per sé e lo spendeva in automobili, discoteche, birra e puttane. Un giorno il nostro ragazzone incontra una bella bambolona che, stimolandogli oltre misura la produzione di testosterone, gli fa perdere il lume della ragione: i due si fidanzano. Il ragazzone continua a vivere a casa con mamma e papà per tutta la durata del fidanzamento, ossia per altri dieci anni. Soltanto che la bambolona lo convince che è stupido sperperare i soldi come faceva prima: per sposarsi serve una casa e qualche soldo in banca. Il nostro comincia a privarsi di tutti i piaceri della vita e ad accumulare denaro su un conto bancario. Non esce più con gli amici, vende la Spider otto cilindri, e ogni giorno si reca al lavoro a bordo di una modesta Panda di seconda mano, per risparmiare sul consumo di carburante. Nel frattempo, la bambolona gli elargisce prestazioni sessuali con il contagocce, inventandosi improbabili mal di testa e cicli mestruali irregolari. La perfida ha perfettamente capito che questa è la strategia migliore per tenerlo in pugno. Dopo dieci anni, il fesso, con incredibili sacrifici ha accumulato il denaro necessario per acquistare la casa. La bambolona lo convince che è giunto il momento di fare il grande passo. Lui è ormai sulla soglia dei quarant’anni, lei ne ha qualcuno in meno, ma teme di cominciare a perdere i pezzi. Con artifici e raggiri lo porta davanti all’altare e si sposano. Dopo nove mesi di matrimonio (il tempo necessario per partorire un pupo), la bambolona si rende conto che è stato un errore sposare quell’ingenuo ragazzone. È troppo fesso e alle donne gli uomini fessi non piacciono. Chiede il divorzio. E, già che ci siamo, chiede anche la casa, che ancora gronda del sangue e del sudore della vittima, metà del conto bancario, l’affidamento del pupo, e metà dello stipendio del ragazzone per il resto della sua vita. Il giudice applica la legge e concede alla bambolona quanto richiesto. Il nostro è costretto a tornare dalla Mamma, ma non può più fare la vita di prima perché deve mantenere la bambolona vita natural durante. Non può più avere un’altra moglie e altri figli perché non saprebbe come mantenerli o dove farli vivere. Non può più nemmeno permettersi una puttana e deve ripiegare su giornali pornografici di seconda mano e olio di gomito (aggiungo questi particolari commoventi per favorire l’immedesimazione). Nel frattempo, la bambolona accoglie in casa il suo nuovo uomo (è scientificamente provato che le donne non lasciano mai un uomo se non hanno pronto un sostituto). Il sostituto è Mario (un nome di fantasia), ovvero il ragazzo della compagnia che non si è mai fidanzato e per dieci anni ha continuato a fare il farfallone e a prendere per il culo il nostro ragazzone quando riempiva il salvadanaio e passava i sabato sera in casa a guardare i varietà alla TV. Gli diceva: «sei un fesso». E aveva ragione. Ora, Mario, senza nemmeno avere venduto la Spider otto cilindri comprata di seconda mano dal fesso, si prende la bambolona (tra l’altro poco usata) e la casa nuova di zecca. A questo punto iniziano le paranoie. Il ragazzone inizia a sospettare che per dieci anni Mario si sia spupazzato la bambolona ogni volta che lei si diceva indisposta causa mestruazioni. È mai possibile che una donna abbia le mestruazioni ogni cinque giorni? La Mamma gira il coltello nella piaga e conferma le sue inquietudini: «sì, sei proprio un fesso». Il papà non dice nulla, d’altronde nella trappola c’è cascato anche lui. Cosa fareste voi a questo punto? Con la vita distrutta, senza prospettive per il futuro, preso per i fondelli e deriso da tutti? Tra l’altro, essendo fesso, il soggetto in genere reagisce d’istinto e, invece di eliminare l’ex consorte simulando un incidente domestico, opta per un cruento e spettacolare omicidio-suicidio. Comprato un Kalashnikov da un rigattiere serbo, entra nella casa in cui abitava e apre il fuoco uccidendo la moglie, il pargoletto innocente e, se capita a tiro, anche Mario. Quindi, lavata l’onta nel sangue e riacquistato l’onore, volge finalmente l’arma a sé per farla finita. Ma poiché i colpi sono finiti e non ha il coraggio di tagliarsi le vene e morire lentamente, viene arrestato e passa il resto della sua vita in carcere, dividendo la cella con un energumeno omosessuale e sieropositivo che lo violenta due volte al giorno. Capite dunque che l’iniziativa legislativa di Berlusconi volta a ripristinare l’articolo 587 è un atto umanitario, che consente tra l’altro di salvare la vita al pargoletto innocente. Inoltre, è naturale che un moderno partito conservatore (di cui il nostro paese ha tanto bisogno!) abbia come missione il ripristino degli usi e costumi della tradizione. Mi permetto allora di consigliare al Presidente anche il mezzo ottimale per dirimere la questione: la lupara. P ubblichiamo qui con piacere, e nella speranza che possa essere d’aiuto nella ricerca alla famiglia, agli amici e a tutti quanti l’avessero conosciuto e votato, il testo integrale della recente puntata di “Chi l’ha visto?”, dedicata dalla zelante presentatrice Federica Sciarelli alla scomparsa, che dopo piú di due mesi sembra ormai – ahinoi... – irrimediabile, di Walter F. Veltroni. (Diamo le generalità complete nel caso che vengano ritrovati i suoi documenti, in assenza – Dio non voglia... – del corpo: parliamo di Walter Ted Bob John Fitzgerald Hussein DeNiro Veltroni). Niente faceva presagire il colpo di testa, quando Walter è uscito di casa, precisamente dal suo loft con vista sul Circo Massimo, la sera del 17 febbraio 2009, e non vi ha fatto piú ritorno. Pare che non abbia detto la battuta classica: “Aspettatemi, vado a comprare le sigarette”; sembra, invece, secondo alcuni suoi collaboratori, che abbia biascicato qualcosa del tipo: “Aspettatemi, vado a riprendermi la Sardegna.” In quel frangente Walter non era, evidentemente, nel pieno possesso delle sue facoltà mentali; eppure, dal tono della voce, sembrava adirato, ma anche sereno; incazzato, ma anche rassegnato; furioso, ma anche intimidito... Niente di strano, quindi, o di nuovo, per gli amici, che sul momento hanno imputato quest’alternanza al temperamento equilibrato, ma anche schizofrenico, del loro leader dimissionario. Il fatto è che gli amici, di Walter, non avevano, probabilmente, capito nulla: stando a loro, lo scomparso era una persona pacifica, non aveva conti in sospeso con nessuno, nessuna rivalità... Beh, nessuna rivalità... (Qui secondo noi la Sciarelli si è lasciata andare a un indebito commento politico, seguendo probabilmente uno dei nuovi P iù che il lifting, il ritocco, il massaggio linfodrenante o qualsiasi altra impostura estetica, poté Feisbuc… (facebook, all’anagrafe) altrimenti detto Feisbukke che non è una nuova pratica sessuale giapponese di gruppo, ma il social network per eccellenza su Internet. FB, il favoloso mondo di “facciamoci i ‘zzi degli altri”, ha il merito innegabile di ricordare, a ognuno di noi, tutti i compleanni di chi, più o meno, crede di essere nostro amico in rete e, ancor più, quello di aver alzato in una scala da 1 a 10 (almeno da 3 a 8), il grado di bellezza degli abitanti del Pianeta Terra, trasfigurandoli tutti in una marea di fighi e passere da sballo. Per esempio: l’altro giorno ho cercato il veramente orrido ex di un’amica che avevo visto dal vivo e scopro sul suo “profilo”, quanto invece sia quasi carino tanto che mi è quasi venuto il dubbio di essermi sbagliata. FB sostituisce la realtà con una nuova evidenza. Provare per credere. Ogni foto inserita come icona personale è straselezionata se non aggiustata ad hoc. Cercando qualcuno, se si guarda la sua lista di amici, conosce solo palestrati o mannequines da paura oppure leoni, tigri, attori del cinema, cartoni animati. Sì perché chi non si piace in nessuna foto può “iconizzarsi” a piacere con qualsiasi cattivi maestri della sinistra, il mago Silvan... Trascriviamo solo per dovere di cronaca). Da allora, nessuna notizia di Walter, salvo qualche raro avvistamento, in Italia e – quel che piú preoccupa – nel mondo. Alle volte è stato segnalato anche come utente in stato “dormiente” sulla chat di Facebook, ma, Walter non ce ne voglia, per ora ci limiteremo alle indicazioni provenienti dal Paese reale – dicono che questa sia una cosa di sinistra, come lo era il caro scomparso, quindi noi, nella speranza di ritrovarlo, ci atte- niamo a questo. Il 18 febbraio, in particolare, Walter è stato visto vagare senza meta, gli occhi persi nel vuoto, vicino alla villa romana di Willer Bordon. Un passante, riconosciutolo, gli ha chiesto che cosa facesse lì, al freddo, alle prime luci dell’alba; pare che Walter gli abbia risposto, lucido, ma anche assonnato: “Voglio sapere come si fa a scomparire dalla vita pubblica senza che nessuno noti la differenza”. Una settimana dopo Walter è stato riconosciuto da alcune persone mentre mendicava, all’entrata di un congresso dell’UDC, fuori Frosinone. Non essendo ancora ufficiale la notizia della sua scomparsa, gli amici di Walter dell’UDC avevano soprasseduto alla cosa – avendo, del resto, visto Walter un sacco di volte in quello stesso atteggiamento. Ma l’incuria, a volte benevola, degli amici può essere molto pericolosa, e probabilmente ha fatto i suoi danni, nel caso di Walter. Da fine febbraio le sue notizie si sono fatte piú scarse, e contraddittorie. Il New York Times, per esempio, ha riportato varie volte la presenza di Walter alle esclusive feste del Partito Democratico americano, in compagnia degli Obama, dei Kennedy, dei Clinton, dei Clooney. Indizio che pare confermato da un’attenta analisi dei video domenicali di Obama su Youtube, nei quali il neopresidente americano dice sempre meno “Yes we can” e fruga con sempre piú insistenza sotto il ta- Il pianeta di FB ‘Facce Bellissime’ di Ilaria Jahier immagine. Si ritrovano vecchi amici perduti negli anni (e ci sarà stato pure un motivo se si erano persi!) di cui non ce n’è mai fregato nulla in passato, figuriamoci adesso. Hanno la faccia di quando andavano al liceo. Ci guar- diamo allo specchio e ci domandiamo: ma sono l’unico invecchiato? Allora per consolarci scegliamo la foto di quando eravamo nella culla oppure l’unica dove eravamo magri, magari abbronzati, vagamente felici. Qualcuno fa il misterioso o il pensatore con l’inquadratura di un occhio, un naso o un piede, qualcuno si fa inquadrare in lontananza in fondo ad una spiaggia, qualcun altro insieme a vecchi amici, quasi tutti defunti, per confondere le idee... In un mondo così corrot- 5 a tempo perso volo, probabilmente – dicono gli analisti dell’FBI, attualmente a spasso per mancanza di video di Bin Laden – per toccarsi le palle. Una segnalazione, in questo senso, molto importante verrebbe a questo punto dall’Africa subsahariana, dove la presenza di Walter, in questo lasso di tempo, sarebbe confermata da milioni di persone che hanno fatto, all’unisono, lo stesso gesto reso celebre dai video di Barack. Per il momento, comunque, dove si trova ora Walter, se per sua volontà o costretto da altri, resta un mistero. Nella speranza che possa muovere almeno verso una dichiarazione tranquillizzante, gli facciamo pervenire questo documento toccante elaborato dal principale esponente dello schieramento che – un tempo – gli è stato avversario, e che ora governa il paese: “Caro Walter, torna tra noi. Con Dario non é la stessa cosa, pensa che lui invece di girare l’Italia in pullman la gira in treno – e poi non vuole neanche che si parli di ritardo della sinistra... Con te, dico la verità, era tutt’un altra cosa: devo dire che un po’ mi manchi, ci manchi. E se torni ti faccio conoscere Martina Stella. Serenamente, pacatamente, tuo Silvio”. Lorenzo Mari to ci si dovrebbe aspettare almeno qualche icona mostruosa, disdicevole o vomitevole… Nulla! Certo qua e là si nascondono, tra le pieghe delle amicizie, satanassi sadici, taggatori pirata, che svelano il trucco, inserendo foto malefiche e del tutto falsate, che ti ritraggono dopo uno sballo, durante una festa, tra abbracci e baci rubati, con le dita nel naso, i brufoli, gli occhi rotanti, principio inquietante di rughe e cellulite. Niente paura, Feisbukke ha pensato a tutti e ci protegge dall’alto del suo strapotere infomediatico… permettendo alle vittime di dis-taggarsi, eliminando la propria identità dalle foto incriminate (solo però se sei iscritto, altrimenti ti tirano in mezzo, non lo sai e non ti puoi togliere). Per non parlare del fatto che pubblicando foto sul sito, cediamo al medesimo (chi sarà mai il capo di FB?) ogni diritto d’uso pubblico di quel materiale. Insomma siamo fottuti! Per quanto non siamo famosi come veline, né vincitori di “Amici” o “X Factor”, quello che tramanderemo alla storia saranno le nostre belle facce, i nomi di amici (!) estinti o di vecchie morose e di qualche negozio di scarpe, ormai fallito, che non avendo i soldi per pagarsi la pubblicità, scelse di diventare un personaggio, a gratis, di FB. 6 modernariato - Appi, ha visto Girottin? - No, capo… è un po’ che non si fa vedere… - Ma dovrebbe essere in ufficio da un pezzo! - Beh, in effetti è un po’ prestino… - Come prestino? - Eh… lui prima delle quattro… - Le quattro? Ma… e il suo lavoro chi lo sbriga? - Cosa vuole, come sempre, se poi tutto è a posto, vuol dire che qualcuno si è sacrificato… - Appi, lei mi commuove. Allora passo più tardi. - Molto tardi? - Verrò alle cinque, se al signor Girottin sta bene, è chiaro… - Temo che alle cinque sia già tardino… - Come tardino? Alle quattro è prestino e alle cinque tardino? - Sa com’è, quando si hanno altri interessi è chiaro che il tempo non basta mai… - Ma Girottin arriva alle quattro e va via alle cinque? - No, no, alle volte va via anche prima… - Non ci posso credere… Ah, ma domani mi sente! - Mmm, domani non credo… - Non viene? - No, è che domani c’è il mercato… - E lui gira per le bancarelle invece di venire in ufficio? - Per carità, capo, non fraintenda: lui non gira per le bancarelle, lui HA una bancarella… - Fa i mercati? - Per arrotondare… - Con quello che lo strapago io, deve arrotondare? - Beh, sa, i vizi costano… - Ma se Girottin non fuma neanche! - Si possono aspirare anche cose che non fumano… - Noooooooooo! Appi, vuol dire che Girottin… - Non credo, capo, mi sembra una persona a posto… - Ah, meno male… - Anche se… - Anche se? - Ma, niente… qualche volta… - Qualche volta cosa? - Niente, qualche volta si comporta in modo un po’… - Un po’…? - Un po’ troppo… Si chiude in bagno con tutte quelle borsette… - Borsette? - Si, poi le butta nel cassonetto qua fuori… - Appi, mi sta dicendo che Girottin scippa le vecchiette? - No, non credo… Almeno, non solo le vecchiette… - Ah, non solo le vecchiette! - E’ che a lui piacciono più giovani… - Le donne? - Molto giovani… - Ragazzine? - Molto… - Appi, santiddio, questa storia è folle… - E non solo la storia… - Cos’altro? - Glielo dico solo perché me lo sta chiedendo… Pare che Girottin abbia posato gli occhi anche su sua figlia… - Dio dell’universo! Mia figlia nasce fra due mesi e mezzo! - Molto giovani… - Devo parlare a Girottin, immediatamente! - Temo si sia messo in ferie… - Come in ferie? Sono io che decido le ferie! Il mobbing al tempo dei Papu - Eh… lui ha questo problemino con l’autorità… - E comunque le ferie le ha già finite. - E anche i permessi, se è per quello… - Anche i permessi? - Beh, sa, tutte quelle visite specialistiche… - Come visite, è malato? - No, no… Almeno, non ancora… - Ma sta male? - N-non esattamente, no… Però prima o poi uno dovrebbe aspettarselo… Tanto va la gatta al lardo… - Ma come, Girottin va al lardo? - Beh, capo, diciamo che quando Girottin vede il lardo non si tira indietro… - E che tipo di lardo? - D’importazione, capo, diciamo che Girottin ci piace l’esotico. E bisogna stare attenti coi piatti piccanti… - Ma tu pensa! Quindi se per caso è in malattia dovrà portarmi il certificato! - Sì, vabbé, sai che fatica!… Ha un amico medico che gli deve dei favori… - E… Girottin ne approfitta? - Mmf, quando serve… Sa, l’ultima batosta è stata dura… - Batosta? - La moglie… se n’è andata… - Uh, poverino… - Beh, poverino neanche tanto: tutte le sere alzava le mani… - Cosa vuol dire, anch’io tutte le sere alzo le mani con mia moglie: appena entro in casa mi arrendo! - No, capo, botte… botte da orbi… - E lei se n’è andata? - Assolutamente: il funerale è stato un paio di mesi fa… - Appi, cosa mi sta dicendo? - Girottin… la batosta… gli interrogatori… il carcere… - Girottin è stato in carcere? - Il tempo di essere giudicato incapace di intendere e volere… - Non può essere vero… - Però era vero l’esaurimento… - Girottin esaurito? Non mi è sembrato… - Sì, ma quand’era impasticcato non si vedeva… - Come impasticcato?, saranno state delle cure… - Vabbé, giusto un aiutino per tirare giorno e notte… - E perché la notte? - Ah, non lo sa? Ha dei giri suoi… - Come dei giri? - Ma sì, accompagna delle persone nei locali, bevono qualcosa, si divertono… - Fa l’accompagnatore? Girottin? Ma che donne andrebbero con Girottin? - Donne e uomini, Girottin non butta via niente… - Ma tutte le sere fa il gigolò nei locali? - No, vabbé, qualche volta va anche da solo, balla, si tira via la camicia… - Fa anche lo stripper? - Eh, cosa vuole, capo, dopo un po’ vien caldo a dimenarsi… - Ma non ce lo vedo Girottin a dimenarsi… - Se è per quello non ce lo vedevo nemmeno vestito da donna… - Noooooooo, Girottin si traveste? Brinda coi Papu! - Diciamo che a volte veste unisex, segue le tendenze… - Ma se qui è tutto grigio, giacca cravatta camicia azzurra… - Penso soffra di sdoppiamento della personalità… - Dottor Girottin e mister Ahiahiahi! - Soffre anche di manie di persecuzione, se è per quello… - Ma va? - Pensa che sparliamo di lui appena non c’è… - Da non credere… - Appunto… Io, se a volte mi permetto di dire una parola, credo di agire per il suo bene… - Ci mancherebbe, Appi… - Se davvero volessi sparlare, ne avrei da dire su Girottin! - Ah, perché ce ne sarebbero ancora di cose da dire? - Scherza, capo? L’ha mai visto staccarsi dal computer? - No: un lavoratore indefesso e instancabile. - Certamente: instancabile… Non capisco cos’abbia mai da raccontare per tutte quelle ore… - Raccontare? A chi? - Ah, non lo sa? Chatta in rete… - Chatta? Girottin? In orario d’ufficio? - Beh, certo, a casa non ha l’adsl… e gli tocca pagare lui… - Ma… non mi capacito… - E poi, a mettere in ordine tutte quelle foto… - Beh, lo paghiamo per questo: l’archivio iconografico… - Ah… no, non quelle foto… parlavo dei bambini… - Girottin ha dei bambini? - No, no. Non so di chi siano i bambini… a lui arrivano delle foto via mail… - Ma sta scherzando? - Penso che vengano da posti dove fa molto caldo… - Per via? - Son sempre tutti nudi… - Appi, ce l’ha il numero di cellulare di Girottin? - Certamente, ha dovuto cambiare numero per quel casino che gli ha combinato Luciano… - Luciano chi? - Big Luciano… Lucianone… sa, la faccenda degli arbitri… - Girottin? - Massì, e poi, il numero nuovo gliel’ha bruciato l’altro furbone, il principe… - Cosa c’entra Girottin col principe? - Era lui che gli trovava un po’ di carne da macello per i festini… - Ma Appi: questo Girottin è proprio incredibile! Questo Girottin è micidiale! E io avevo uno così in azienda e non mi sono mai capacitato di niente! Appi, lei mi ha aperto gli occhi, io debbo ringraziarla perché senza di lei sarei rimasto all’oscuro chissà per quanto tempo ancora… - No, capo, lei è troppo buono… - Mi dia, mi dia il cellulare di Girottin che ho qualche cosa da dirgli! - Però, capo, non sia aggressivo quando lo licenzia… - Licenziarlo? E perché? Ma io lo faccio capo del personale uno così, io lo metto a guardia della mia azienda… Ma questo qui è un pescecane… Io lo mando in America a fare il culo ai texani!… Anzi, io ve lo metto ad alitarvi sulla gobba così la piantate di non fare un cazzo in ufficio e di star li a sparlarvi addosso! Tanto, sono io che pago, vero? Appi, torni al lavoro che è già mezzora che sta chiacchierando. Da domani, Girottin mi relazionerà su lei ogni tre ore. A presto! Una volta tutte queste cose non si sentivano... Io sono del 1968. Mi vanto di avere fatto il 68 più di tanti altri perché l’occupazione che ho fatto io (nove mesi nella pancia di mia madre) l’abbiamo fatta in pochi. Sono stato bambino negli anni ’70. A Milano per giunta. Ve li ricordate gli anni ’70 a Milano? C’era l’eroina, c’era la mala milanese, c’erano le Brigate Rosse. C’è stata la strage di piazza Fontana. C’erano davvero gli spacciatori nei giardinetti, c’erano i maniaci e c’erano gli stupratori con la differenza che le donne negli anni ’70 non li andavano a denunciare, subivano e si vergognavano. C’era molta meno polizia e molta meno gente in giro. Eppure noi bambini giocavamo in strada, andavamo a scuola da soli e alle feste di compleanno non accompagnati. Io, a 10 anni, in quinta elementare, andavo a San Siro con un mio compagno di classe e ci andavamo a sedere in mezzo agli ultrà. Certo, ho imparato un sacco di parolacce, ma almeno lì le imparavo in rima o con una melodia di accompagnamento. E oggi? Cosa è cambiato? Che le rapine a mano armata invece che il Bel Renè (Vallanzasca per i non nostalgici) le fa Florin Racu? È solo questo che fa sì che viviamo in tempi terribili? Sai cosa è cambiato? È cambiato il nostro livello di fobia, di paura. È cambiato il fatto che adesso le notizie al telegiornale non le legge un giornalista, ma un attore (mediocre) che nel darti la notizia la carica di angoscia, con tanto di tappetino musicale degno del peggior Dario Argento. È cambiato che nel disperato tentativo di spettacolarizzare la notizia si creano dei mostri anche dove non ci sono. E il risultato è che si ha paura, paura di tutto quello che non conosciamo. Paura di un capanello di amici che si ritrovano perché hanno nostalgia del loro paese di origine esattamente come faremmo noi se fossimo all’estero. E sentiamo il bisogno di ronde che ci rendano più sicuri, quando in realtà basterebbe una sola ronda che andasse a smagnetizzare tutti i nastri musicali delle redazioni televisive e a dire ai signori giornalisti: “tu dammi la notizia, che poi decido io se metterci l’angoscia o no”. Teo Guadalupi 7 satyricon Irresponsabilità Suo figlio stava guardando la tv. Marco, hai fatto i compiti? gli chiese la madre. No, disse lui. Non dirmi che stai guardando i cartoni animati da 4 ore? Sì, rispose. Sei un irresponsabile! gridò. Quindi gli tolse il telecomando di mano e lo spedì di sopra. Prima di spegnere cambiò canale. Sentì la dichiarazione del papa sui preservativi e una barzelletta sui gay raccontata dal premier al G20. Lei pensò a suo figlio, gli aveva appena dato dell’irresponsabile, e aveva 8 anni. Cocktail micidiale Mentre cenava, tutto d’un tratto si era messo a vomitare. La moglie, spaventatissima, chiamò l’ambulanza. Nel giro di qualche minuto arrivò. Signora, si calmi, le disse il medico. Suo marito si riprenderà presto, ma per favore spenga la tv. Lei la spense. Stavate guardando il telegiornale, vero? Sì, su Rai1, ammise la signora. Purtroppo quando trasmettono le dichiarazioni di Cicchitto, Gasparri, Bondi e Calderoli, succede spesso, le spiegò il medico. È un cocktail micidiale. Il lato positivo Luca, imbecille, cambia canale, gli disse suo fratello Ivo. Luca scoppiò in lacrime. La loro madre sbucò dalla cucina. Cosa c’è? Mi ha detto imbecille, singhiozzò Luca. No mamma, ha capito male, gli ho solo detto grazie mille, fece Ivo. Ma la madre aveva sentito bene. Quella sera ne parlò col marito. Ivo è prepotente e bugiardo, gli disse. Si smentisce tutte le volte! Lui abbassò il giornale. Accusa anche la sinistra? chiese il marito. No, quello no. È già qualcosa, le disse. La redazione ha approntato un nuovo, prezioso e prestigioso servizio di consulenza astrologica telematica, grazie al quale soci, amici e simpatizzanti de “Il Notturno”, in particolare quelli che credono di risolvere i propri problemi confidandosi con gli amici (ottenendo da loro, nella migliore delle ipotesi, risposte evasive e nella peggiore, denunce per molestie), potranno porre quesiti esistenziali, scrivendo a [email protected] la casella postale elettronica del celebre Mago Galonio, che risponderà periodicamente sulle colonne stampate de “Il Notturno di Mantova”, per risolvere nodi d’amore, beghe professionali e d’altre dimensioni. 8 musicomedians Essere o non essere, secondo Balasso Si leggono spesso cose sbagliate sul suo conto, ma Natalino Balasso non ha perso la speranza che i giornali possano, oltre a vendere gadget, anche informare. Spesso di lui si dice che è un cabarettista (e non è vero) che fa satira (e non è vero) che è un comico televisivo (e non è vero) che appartiene al mondo dello spettacolo (e non è vero) che è un comico di Zelig (e non è vero). Perchè non scrivere semplicemente: Natalino Balasso, comico? Lo abbiamo incontrato, e ci ha chiarito le idee circa ciò che fa e che è e che, soprattutto, non fa e non è. Flavio Oreglio All’appello mancano anche i presenti Collana Grandi AsSaggi, Pagine 224, Prezzo euro 16 Il terzo capitolo della serie “Siamo una massa di ignoranti. Parliamone” Prefazione di Giulio Giorello Nel paese dei tarocchi, dove l’etica è un optional, le banche sono popolate di guardie che fanno l’occhiolino ai ladri, dove il tubo catodico si è sostituito alle cellule cerebrali, Flavio Oreglio continua a tentare di svegliare le coscienze addormentate con il sorriso. Fulminante e sarcastico, irriverente, sempre serio, mai serioso, Oreglio non scherza per nulla, quando scherza. Ci fa pensare e ridere, nella migliore tradizione del Teatro canzone di cui è uno dei massimi esponenti. La politica, l’economia, la religione: Oreglio dissipa le nubi dell’ignoranza con il paradosso. Il libro rappresenta il terzo capitolo della serie “Siamo una massa di ignoranti. Parliamone”. Nel precedente era stati individuati tre livelli di ignoranza (scolastica, sociopolitica, filosofica) ed era stato dato spazio al primo e al terzo, rimandando a questo volume l’approfondita trattazione del secondo livello (ignoranza socio-politica). Flavio Oreglio, una vita tra musica e scrittura, dal 1985 al 1998 pubblica tre album e un libro, Ridendo e sferzando. Entra a far parte del cast di Zelig proponendo le “poesie catartiche”, preludio dello spettacolo di teatro canzone Il momento è catartico, in tour per tre anni nei teatri di tutta Italia (2002-2005). Ha pubblicato per Mondadori tre libri: Il momento è catartico (2002), Bis – Nuovi momenti catartici (2003), e Katartico 3 – Atto finale (2004), arrivando in vetta alle classifiche e vendendo oltre 2 milioni di copie. Con Bompiani ha pubblicato nel 2006 Siamo una massa di ignoranti. Parliamone (libro e libro + cd) e Non è stato facile cadere così in basso (2007). Perché dici di non appartenere al mondo dello spettacolo? Forse appartengo al mondo dell’arte, della comicità, del teatro, non lo so, ma di certo non a questa cosa che si chiama “mondo dello spettacolo”, che significa più che altro cene organizzate da papponi per spingere dei puttanieri a far lavorare delle prostitute. Chiunque voglia può incontrarmi al supermercato a fare la spesa, falcio l’erba del prato e vado all’Ikea con mia moglie. Passo le mie notti a scrivere e a leggere quando non sono in teatro. Sulle barche del “mondo dello spettacolo” non ci voglio salire. Questa è quasi satira sociale… Ma tu non fai satira, ci sembra di ricordare… La satira è un genere di comicità molto antico. C’è gente molto brava a fare satira e questo genere non attiene solo alla parte attoriale del comico, ma coinvolge in pieno anche la parte autorale. Un comico che fa satira è principalmente un autore di satira. Si tratta di un campo specifico per il quale sono necessarie un’ottima preparazione in tema politico, sociale e per il quale bisogna essere assai informati. Per fare satira non basta sfottere qualche personaggio politico, si tratta di una funzione della critica, che agisce a livelli più profondi. Non mi sono mai sentito portato per la satira, perché non mi sentirei migliore delle persone che andrei a criticare. La satira è cambiata negli anni, ma di sicuro non è mai stata o è stata molto di rado un’arma del popolo contro i potenti, di solito gli importanti autori di satira sono a loro volta piuttosto potenti, per lo meno economicamente. Diciamo che di solito la satira è un’arma contro alcuni potenti, ma di rado è un’arma contro il potere. Non ho mai sentito di un governo rovesciato dalla satira, è più facile che accada il contrario, anche se qualcuno pensa che gli autori satirici siano pericolosi. mai non sei nemmeno un “comico televisivo”, tu che in tv ci fai ogni tanto capolino? L’espressione “comico televisivo” è di per sé un’aberrazione linguistica. Ammesso che esista il comico televisivo, dovrebbe essere definito come tale solo chi svolge la sua attività di comico esclusivamente in televisione. Ho calcolato i minuti nei quali sono apparso in televisione nei diciott’anni della mia attività di comico e di attore: In tutta la mia vita sono apparso in televisione per il tempo corrispondente alla durata di una settimana del programma di Marzullo. Una settimana di televisione in vent’anni di carriera non basta davvero a definirmi “televisivo”. Ci sono politici che appaiono molto più a lungo di me, perché di essi non si scrive che sono politici televisivi? E il papa? di lui non si dice mai che è un papa televisivo. Ecco perché io, che appaio in tv molto meno di questa gente, non posso essere definito un comico televisivo. andare in televisione e continuerò a lavorare dopo. Non parliamo proprio di Zelig, che mi ha visto impegnato in 2 dei miei 18 anni di carriera, così come per 2 anni ho lavorato con la Gialappa’s band. Il mio lavoro è fare il comico, per lo più in teatro, quello che mi spinge è la curiosità di nuove sperimentazioni e non ci sarà trasmissione, televisione o gruppo nel quale mi vedrò definitivamente identificato. Qualcuno obietta che bisogna essere riconoscenti nei confronti della televisione perché ti rende famoso, beh, io credo che anche la televisione debba essere riconoscente a me. Io, per quanto mi riguarda, sono più riconoscente nei confronti di chi mi insegna qualcosa che nei confronti di chi mi dà visibilità guadagnandoci mooolto più di me. Se vuoi guadagnare bene, basta fare pubblicità… Forse ho un modo particolare di intendere il mio mestiere. Penso che un artista che utilizza le sue capacità artistiche per promozionare dei prodotti, debba almeno conoscere e apprezzare a fondo quei prodotti. Altrimenti mi sembra che tutto serva a plagiare le persone, che sentiranno più simpatico il prodotto se gli è simpatico l’artista che lo promoziona. Qualcuno obietterà che la pubblicità offre molti soldi, ma se è per questo, anche la mafia offre molto. C’è un’altra cosa che non ti appartiene: il fatto di essere “targato”… Non c’è espressione più sbagliata di quando i giornalisti di me scrivono “Un comico targato Zelig” o “un comico targato Mediaset”. Io non sono affatto targato, lavoravo dieci anni prima di Niente satira, niente tv, niente pubblicità, niente mafia… Se non ricordiamo male, non sei nemmeno un cabarettista. Il cabaret è un luogo fisico e precisamente un locale. Il cabaret in Italia è inteso come un genere di facile comicità, per lo più basato su di una successione di battute, non necessariamente legate da un filo logico, che deriva dall’avanspettacolo. Il cabaret è un genere che non mi appartiene. Spesso si fa confusione tra Comicità e Cabaret. Il cabaret è una piccola sfumatura della comicità e attiene principalmente al luogo in cui si svolge lo spettacolo. Il cabaret fondamentalmente è un varietà che si svolge in un locale nel quale si mangia e si beve. Ritengo che si tratti di una bassa forma d’arte, oggi in Italia, in quanto il pubblico non è in quel luogo per vedere uno spettacolo, ma per mangiare e bere e lo spettacolo si risolve in una serie di barzellette o di battute. La realizzazione di programmi ripresi in un locale per cabaret ha dato luogo a quell’orrendo ibrido che viene definito “cabaret televisivo”. Di un comico molti giornalisti, sbagliando, scrivono “cabarettista”, senza andare a controllare se effettivamente quello che il comico fa, sia di genere cabarettistico. Tant’è che solo in Italia avviene l’identificazione tra comicità e cabaret, mentre nel resto del mondo, i locali di cabaret, sono posti in cui ci sono per lo più spogliarelli, con qualche comico di contorno. E’ chiaro che possono esistere forme “nobili” di cabaret, ma la definizione è sempre relativa al luogo in cui si svolge lo spettacolo, ad esempio, a mio avviso Lenny Bruce negli anni ‘70 in America, non faceva cabaret, faceva satira nei locali di cabaret. Dire che tutti i comici fanno cabaret, sarebbe come dire che tutti i musicisti suonano il liscio (con tutto il rispetto per il liscio, genere apprezzabile ma non universale). Da queste tue ultime parole ci sembra di capire che non fai nemmeno il suonatore di liscio… Appunto. Faccio il comico. Non è già abbastanza? A cura di Antonio Galuzzi Non fai satira, ok, anche perché la satira in televisione si vede poco. Come MUSICOMEDIANS: affinità emotive MUSICOMEDIANS è un progetto artistico teso alla riscoperta del metodo e dello spirito del cabaret delle origini, luogo (perché il cabaret è un “luogo” e non un genere di spettacolo) dove la musica e la parola, la canzone e il monologo, la satira e la poesia, convivevano sullo stesso palco secondo dinamiche espressive molto precise e definite anche se non formalizzate. MUSICOMEDIANS rivisita quindi in chiave attuale lo spirito degli albori del cabaret quando la prassi sui piccoli palcoscenici era il racconto in forma di monologo satirico e di canzone d’autore: un legame tra i due generi che ha contraddistinto un’epoca. Il tentativo è quello di ritrovare la dimensione “narrante” che ha sempre caratterizzato da una parte il “cantautore” e dall’altra lo “stand up comedian”. Il punto di partenza è e rimane, storicamente e culturalmente, Milano. È in questa città che si è formata infatti la tendenza di riferimento negli anni 50, 60 e primi 70; ossia quella corrente di pensiero artistico che da un lato ruotava attorno all’esperienza del Derby club (con Enrico Intra, Enzo Jannacci, I Gufi, Nanni Svampa, Lino Patruno, Roberto Brivio, Gianni Magni, Walter Valdi, fino a Cochi e Renato) ma che da subito ha allargato i suoi confini con le esperienze di Dario Fo e Giorgio Gaber (quest’ultimo arrivato con Sandro Luporini fino a codificare un genere da lui definito “teatro – canzone”) Il progetto MUSICOMEDIANS sonda e propone sia il connubio tra i linguaggi (il monologo e la canzone d’autore) che le loro contaminazioni (teatro canzone, canzone umoristica e cabaret concerto) per riproporre al pubblico uno stile di show che ha ancora molto da dire. La tipologia di show che ci interessa e che costituisce l’argomento centrale di MUSICOMEDIANS composito di un’unica figura artistica. In fondo non fanno altro che mettere in risalto la magia e la straordinaria potenza evocativa della “parola”. Il musicista Luca Bonaffini e Flavio Oreglio, organizzatori della manifestazione di Volta Mantovana è rappresentata da quella dimensione “narrante” che caratterizza da un lato il “cantautore” e dall’altro il “comedian”. Il cantautore e il comedian hanno una matrice comune. Entrambi partono dal medesimo presupposto (analisi e critica sulle cose del mondo) e si diversificano solamente nel linguaggio che adottano per esprimere il proprio punto di vista; generalmente posato, riflessivo, poetico il primo; satirico, caustico, umoristico, il secondo (anche se la linea di demarcazione tra gli interpreti non è mai così netta). Il monologo e la canzone sono forme di narrazione che si sposano benissimo, sia che siano espresse da persone differenti sia che rappresentino il linguaggio Cosa significa o cosa vuole significare il termine “Musicomedians”? Ci troviamo di fronte a un neologismo facilmente intuibile e interpretabile; questa “parola nuova” è costruita combinando due termini: MUSICA + COMEDIANS, fatto che origina un vocabolo che ha per noi un doppio significato; • da un lato sta a indicare quella categoria di artisti che riuniscono nella loro figura le caratteristiche del MUSICISTA e del COMEDIAN. I musicomedians sono quindi i comedians che fanno musica o i musicisti – entertainers; • dall’altro suggerisce il connubio tra chi canta e chi parla, tra canzone e teatro comico e satirico, consacrando così l’affinità emotiva tra cantautori e comedians. Riuniti in un unico momento di spettacolo cantautori e comedians (o, come amiamo definirli noi, musici e giullari) danno vita a una performance variegata e vivace in equilibrio tra comicità e poesia, satira e impegno civile, prosa e canzone d’autore. Ma non c’è solo il palco. MUSICOMEDIANS vuole anche essere un ambito ideale di confronto e oltre a essere un momento di spettacolo insolito che si scrolla di dosso la ruggine di vecchi pregiudizi e il peso di barriere artistiche obsolete, intende aprirsi come “dimensione d’ascolto”, cioè come uno spazio in grado di ospitare la discussione sui temi che gli fanno da sfondo e che vanno dal recupero storico – culturale fino all’attualità e alla sperimentazione e proiezione future. Flavio Oreglio Eugenio Finardi, artista “contaminato” Eugenio, la maggior parte delle persone pensa a te come a un cantautore, ma in realtà la tua ricerca artistica spazia a 360 gradi e ama le contaminazioni: quali progetti stai portando avanti ora, e cosa farai a Musicomedians di Volta Mantovana? A Musicomedians farò Finardi, ovvero un’ospitata dove faccio ascoltare qualche canzone tra le mie più conosciute. Probabilmente, se c’è la situazione giusta, potrei citare un brano dal mio lavoro su Vladimir Vysotsky di musica classica contemporanea, che ha vinto la Targa Tenco qualche giorno fa. Ho la fortuna di essere uno dei pochissimi musicisti provenienti dal mio ambito, che è riuscito ad allargare gli orizzonti ad altri ambiti, dal blues alla musica classica contemporanea, al teatro con “Suono”… E devo dire che è una cosa che mi rende molto felice perché se no, se si è costretti a essere a vita ciò che si era a 24 anni può diventare anche patetico, no? Certo! Ho letto una tua dichiarazione dove ti auguri che da un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo nasca un nuovo umanesimo: cosa intendi con questo concetto? Sì, è il monologo conclusivo del mio lavoro teatrale che parla appunto di questo futuro… Io credo che bisogna passare da una società che misura tutto con il metro del denaro a una che misura la ricchezza in termini di cultura e di felicità, che vuol dire anche facilità; cioè una società dove tutti avessero una Rolls-Royce, ma nessuno avesse un parcheggio… sarebbe un inferno! Al contrario, una società in cui tutti avesse un’utilitaria normalissima però potessero trovare parcheggio ovunque andassero, sarebbe una società molto più felice, serena e secondo me più ricca. Attualmente la discografia si sta muovendo molto attraverso i reality italiana aveva una ricchezza e una varietà incredibile, se si pensa. C’era il Canzoniere del Lazio, Napoli Centrale, i cantautori, gli Area, la Pfm, il Banco… di tutto… c’era Goran Kuzminac, c’era Roberto Ciotti che faceva blues, Treves… C’erano tantissime musiche diverse e la gente era molto aperta a sentire cose diverse e cose nuove. Purtroppo poi l’orizzonte si è ristretto a questa musica in generale neomelodica, o pseudo rock… di marketing: io la chiamo nutella sonora, nel senso che non è spiacevole, però è pur sempre un prodotto industriale. show musicali. Pensi che con questa tendenza ci sia ancora spazio per la ricerca e per la canzone d’autore? Per me è un genere nuovo quello… Io la chiamo la tivù dell’umiliazione o la tivù delle forche caudine… Ormai queste trasmissioni creano una tale familiarità per cui il cantante è quasi uno di famiglia no?, lo si è visto piangere, urlare, arrabbiarsi… E’ un… guarda, secondo me è quasi pornografico, è un po’ osceno questo esporre così le persone… però, comunque, sta creando un genere nuovo… che io non apprezzo molto in verità, io non li guardo, per cui non lo so… Ho visto Fossati, per esempio, a X Factor - su Youtube l’ho visto - e mi sembrava il David di Michelangelo in mezzo ai nanetti, quelli che si vedono nei giardini, hai presente? Mi faceva uno strano effetto, da tutte e due le parti, secondo me non dava né a uno né all’altro, era semplicemente incongruente… Credo che le case discografiche, sempre più legate al marketing, creeranno insieme a questi reality delle specie di motel di matrice sonora che sforneranno una musica che poi sentiremo nelle radio che fanno parte dello stesso circuito… ma è un mondo in cui io per fortuna sono abbastanza vecchio per poterne rimanere fuori. “Il Notturno” si occupa, tra le altre cose, di satira: qual è il tuo punto di vista sulla satira oggi in Italia? Ho davanti agli occhi una battuta di Ellekappa, stupenda, di Altan, meraviglioso. Dipende da chi la fa, la satira. Come tutto, del resto. Ce n’è di straordinaria e ce n’è di banale. Per dire, Forattini non lo considero satira… Recentemente Luca Carboni ha pubblicato un album contenente le cover a lui più care e l’ha intitolato Musiche Ribelli: che effetto ti fanno questa sorta di riconoscimenti al tuo lavoro? Beh, è stato molto bello; ho anche cantato “Musica ribelle” con Carboni allo Smeraldo di Milano, un momento che ricordo con piacere, si può vedere anche quello, su Youtube. Come dire, è stato un periodo in cui la musica Un’ultima cosa, legata un po’ a questo: a distanza di tanti anni ti senti sempre come Will Coyote che cade ma non molla mai? Ah, quello sì! Io sono condannato a essere un outsider! Ce lo auguriamo, che tu lo sia sempre con la tua musica! E una cosa che ci terrei sottolineare è questa splendida iniziativa che abbiamo fatto per l’Abruzzo, la canzone “Domani”. Vorrei “usare” anche voi per diffondere l’appello di compare questo disco, il libro e le cose collegate perché è stata veramente un’operazione pulita, e uno dei giorni più belli della mia vita… E anche uno straordinario momento di collaborazione tra artisti… E grande calore, perché non c’erano tanti discografici… solo gli artisti, tutti insieme, con grande gioia, grande passione, grande commozione: una cosa vera. L’obiettivo è quello di raccogliere almeno 10 milioni di euro per ricostruire il Conservatorio dell’Aquila. Trovo che sia molto bello che si sia riusciti a fare un’operazione di questo tipo in Italia e bisognerà fare di tutto perché sia un grande successo. A cura di Massimo Minotti Spicca il volo la Fenice di Andrea Mirò Andrea, è appena uscito il tuo nuovo cd La Fenice. si tratta del tuo sesto album: quali aspetti della tua ricerca artistica hai voluto maggiormente focalizzare in questo lavoro? E’ per me un passo avanti ulteriore, nel senso che questo è un disco al 95% scritto, interpretato, arrangiato, suonato da me. Era una cosa che avevo già fatto: nei miei dischi c’è sempre questo tipo di realizzazione. Però questa volta ha un’altra forma, contiene elementi di comunicazione molto diretti, pur mantenendo la mia linea compositiva - che in realtà non è poi così semplice - soprattutto attraverso l’essenzialità delle strutture e degli arrangiamenti. Sono state usate poche cose in sovrapposizione ma dei suoni molto ricercati: il lavoro si è fatto il più possibile profondo in studio. E poi, il fatto che la stragrande maggioranza dei pezzi siano nati in studio insieme, che è - secondo me - uno stato di grazia molto particolare, fa parte di un momento estremamente alto e di maturità di un artista, per cui vado molto fiera di questo disco, non solo perché è l’ultimo passo fatto nella mia carriera. Il tuo nuovo singolo “Prima che sia Domani” si fa a mio avviso apprezzare per una veste rock allo stesso tempo corposa e gentile, delicata: hai spiegato un po’ come nascono le musiche e gli arrangiamenti. Il singolo rispecchia la veste musicale del resto dell’album o sono presenti altri stili, altre contaminazioni. In generale, io sono piuttosto eclettica. Questo è un disco però di contenuti che hanno una direzione definita. Ci sono alcuni momenti più suonati - c’è una canzone che si chiama “L’avversario” che è ripresa addirittura in diretta, dove si sente l’attacco del batterista che dà il tre e il quattro! - e quindi che si scostano, perché è anche una necessità all’interno delle dinamiche di un lavoro, per il resto è un disco che ha un suono molto preciso e tutto molto omogeneo. Nel tuo nuovo cd sono contenute 2 cover: vorrei che ci spiegassi come mai le hai scelte… E’ una scelta bizzarra! Una è “The Riddle” di Nik Kershaw, una canzone degli anni ’80. Io sono cresciuta in quegli anni e mi spiace che ogni volta vengano bistrattati: sicuramente sono stati gli anni anche del frivolo, ma hanno lasciato comunque un segno, tant’è che è in atto un revival con alcune rivisitazioni. Indubbiamente alcune canzoni dell’epoca sono state rivestite di troppi fronzoli, però togliendo tutti questi appesantimenti, saltano fuori noccioli molto interessanti. Questa in particolare è una canzone molto bel- la, strutturata in un modo melodico e armonico quasi a livello matematico perché ha una sua circolarità. Il mio omaggio agli anni ’80. L’altro omaggio è a un pezzo della storia della musica mondiale, “Hymne à l’amour”, l’inno all’amore di Edith Piaf, quella che lei stessa sentiva più cara perché parlava della sua vita - non per niente è firmata anche da lei -. E’ sempre un po’ difficile dover affrontare monumenti di questo livello. Secondo me il modo migliore è quello più semplice: io ho cercato di farlo con una chitarra elettrica e basta. Tu sei un’autrice che ha seguito sempre un percorso molto personale, che ha guardato anche poco alle mode del momento. Nel momento che viviamo, dove spadroneggiano questi reality show musicali, c’è ancora spazio per la canzone d’autore? Secondo me sì, prima di tutto per- ché i reality a volte sfornano anche persone che hanno dei numeri. Nella massa, c’è sempre qualcuno che può venire fuori, ed è giusto che ci siano queste trasmissioni, fa parte del nostro tempo, è un po’ come chi credeva che la rete, Internet, potesse essere evitata: invece bisogna farci i conti, e anzi, cercare di tirare fuori il meglio da tutto ciò. C’è spazio per tutti, anche in questi tempi di crisi - per non parlare poi della crisi discografica, che è nata ben prima della crisi economica mondiale - per assurdo ora ci sono più canali: il percorso per gli artisti è più difficile, più lungo, i passi sono più piccoli, ci sono più limiti, ma oggi ci sono più possibilità di arrivare alla gente. E’ un lavoro che è cambiato, ma per tutti, anche per i grossi nomi: siamo proprio all’interno di una trasformazione! Ti vedremo presto in tour? Dopo Volta Mantovana, ci sono parecchie date in giro per l’Italia quest’estate per presentare il disco nuovo e per tornare al “live”, il posto migliore dove un artista deve stare, ovvero su un palco davanti al suo pubblico. C’è un evento che mi sta particolarmente a cuore: il 21 giugno a S. Siro, Laura Pausini ha chiamato a raccolta tutte le artiste donne, un evento più unico che raro e credo irripetibile, si chiama “Amiche per l’Abruzzo”, quindi una raccolta fondi per progetti mirati. Consiglio a tutti di partecipare perché sarà una cosa unica, con i nomi più grandi della musica italiana, un happening al femminile, da pomeriggio a sera tarda. A cura di Massimo Minotti 9 musicomedians satiratira dove e con chi va la satira focus gruop con workshop finale a cura della redazione de “Il Notturno” “Protési verso la comicità o pròtesi per la comicità?” (Herbert Hassmann) Premessa Uno di luoghi comuni che più ha fatto breccia nell’opinione pubblica, è definire chi ha dedicato la sua vita artistica, culturale e infine spirituale alla satira, come essere solitario, privo di valori morali e intendimenti educativi, slegato dai processi storici che determinano l’evoluzione della società, avulso dal contesto politico in cui vive, senza padri depositari di un passato di tradizioni solide, ma soprattutto senza figli cui trasmetterlo per un futuro meno solido ma più solidale, carente socio-affettivamente, con una scarsa autostima e consapevolezza del sé come unico, pur nella diversità… in altre parole uno sfigato! Contribuisce certamente a questa immagine deleteria una cattiva stampa nei suoi confronti, essendo periodicamente il “satiro”, come sinteticamente si definisce oggi chi si occupa di satira, al centro di scandali, facile bersaglio quindi di giornalisti senza scrupoli alla ricerca di pruriginosi gossip, ai quali purtroppo il nostro fatica a sottrarsi, in cambio di un’effimera quanto perniciosa popolarità. Lo scopo di questo incontro pubblico con i sopravvissuti alle teledipendenze degli ultimi vent’anni, per il recupero della loro motricità cerebrale, è allora quello di dipingere un quadro meno fosco sebbene più complesso dove collocare i “satiri”. La redazione del Notturno ha seguito gli sviluppi delle vecchie e nuove e tendenze della satira, fornendo in più occasioni, ai principali attori di questo processo di cambiamento, un supporto critico e cinico, ma costruttivo. La crisi d’idee e soprattutto di prospettive in cui sembra oggi versare la critica ai poteri non forti, ma non solo, del Paese, ha indotto la redazione, conscia dei propri limiti, ma responsabile del potere di mediazione che oggi riveste fra chi produce e chi consuma la satira, a fare il punto della situazione, si spera definitivo, in quanto prodromico ad una svolta di pensiero e d’azione sul territorio. Oggetto Partecipano al seminario, organizzato come caffè letterario nei giardini di Palazzo Gonzaga a Volta Mantovana sabato 16 maggio alle ore 17.30, i maggiori esperti del settore, nell’ordine: • dott. Enrico Ettore Alberini, filosofo esoteoretico, consigliere spirituale di molti protagonisti della commedia e scena musicale italiana, che affronterà il tema del dove e del come, e delle nuove pulsioni morali che spingono un comico ad abbandonare il turpiloquio e a occuparsi di satira ; • prof. Alberto Grandi, etno-sociologo, docente universitario e curioso viaggiatore, che analizzerà di come la satira si declini nelle diverse culture del mondo, con particolare riguardo a quelle che fanno riferimento al ceppo ugro-finnico e celtico; • m° Davide Prandini, creative marketing manager, responsabile dell’immagine mediatica di uomini e donne di spettacolo, che focalizzerà il proprio intervento sull’importanza degli accessori d’abbigliamento (guanti, scarpe, cinture, borsette, fermacapelli, ecc.) nella definizione del look dell’attore satirico; • dietro le quinte, il vignettista Francesco Stefani sottolineerà l’andamento della discussione con pregnanti interventi grafici di pregevole fattura e puntuta sagacia. 10 decadenze Dal nostro inviato negli Stati Uniti M di Flavio Oreglio e Antonio Galuzzi Quando una donna vi chiede più tenerezza di sicuro non si riferisce al diventare paciocconi… Io, per la mia fidanzata, sono senza difetti, a parte il fatto di essere un uomo, s’intende… Per combattere l’inquinamento atmosferico dei gas di scarico basterebbe, per legge, impedire alle donne di parcheggiare. Uomo, sii vigile, attento, circospetto: quando una donna tira le somme, di solito ha buona mira! Uomo, ricorda che sei povere e che polvere ritornerai! E allora perché le donne ci rompono i coglioni perché non spolveriamo mai? Per capire una donna, non chiedere consiglio a un’altra donna: è come se per risolvere un’equazione algebrica chiedessi consiglio alle incognite! Le idee rendono gli uomini liberi. E alle donne, ci pensa Amnesty International? una macchina un albero Mi pare che oggi come oggi, tutti abbiamo bisogno di più alberi e di più verde. Giusto? Fin qui tutti d’accordo. Bene. Ora, se ciascun automobilista, oltre alla sua macchina, possedesse un suo albero, non sarebbe mica male. Sarebbe bello che in ogni città ci fossero, diciamo tot macchine = tot alberi. Centomila automobili, centomila alberi. Un milione di automobili, un milione di alberi. Si potrebbe fare per legge – ah, se solo mi votassero! - tipo ad esempio mettere sul libretto di circolazione, oltre agli obblighi relativi all’automobile - immatricolazione, assicurazione, manutenzione, bollo, tassa accendisigari, tassa autoradio, tassa arbre magic - anche una parte relativa al proprio albero: genere di albero, luogo dove è piantato, potatura, innaffiamento, tutto quanto insomma. Gli alberi si potrebbero piantare in parchi (bisognerebbe farne di nuovi) o anche in tutte le vie delle città, che diventerebbero così viali alberati. In base alla cilindrata dell’automobile varierebbe l’albero. Il proprietario di una macchina impegnativa o da sborone, ovviamente dovrebbe avere un albero proporzionato a lui; anche perché ad esempio una Panda ecofuel inquina un decimo, credo, del SUV che ha il mio vicino De Puta Madre. In questo modo, riassumendo, si potrebbero piantare un po’ tutti i tipi di alberi. E sarebbe meglio, secondo me. Lo devo proprio proporre. Jambo i ricordo quella volta a Philadelphia, quando mi capitò la più grande disavventura nella storia dell’aviazione civile del Nord America. L’aereo mi doveva portare a Chicago, da cui avrei preso un altro aereo per Milwaukee. Ma l’aereo non parte. Comincia a piovere… di più… una vera e propria tempesta e in quelle condizioni, il capitano annuncia che non si può decollare. Smette di piovere e il comandante c’informa che la lunga fase di rullaggio ha svuotato i serbatoi. Si torna al terminal per fare il pieno. Ma cazzo, hai fatto solo un deca all’automatico? A Chicago la coincidenza è stretta. Mi agito. Tutti gli altri passeggeri invece sono tranquilli, anzi ridono e mangiano come se fossero a una festa. Lo steward distribuisce bibite ghiacciate, snack e dolcetti con una generosità degna del cenone di capodanno. Dopo un paio d’ore di quel party improvvisato, finalmente, si può partire. L’aereo si allinea dietro molti altri apparecchi per iniziare la procedura di decollo. C’è una fila che nemmeno alla barriera di Pero se n’è mai vista una simile. Un’altra attesa lunghissima, condita da un altro festino a base di Coca e schifezze varie per i miei compagni di viaggio Un’altra vorticosa girata di maroni per me, che ormai ho perso la coincidenza. Pronti e via. Macché, arriva una nuova tempesta e ancora fermi al terminal. Il comandante ci fa sapere che se non riusciamo a partire entro un’ora dobbiamo aspettarne altre tre. Stavolta si parte davvero, stiamo rullando… ma una cretina si sente male, ben gli sta, con tutte le merdate che ha bevuto e mangiato… Per colpa di questa bulimica l’aereo è costretto a tornare indietro. Salgono i sanitari che portano via quella stronza in barella. Spero che sia una cosa gravissima. A questo punto, sono talmente incazzato, che vado dallo steward per dirgli che anch’io gli altri non fanno altro che ridere, bere e mangiare, il comandante ci informa che si può partire. E’ la volta buona. Mentre siano sulla pista di decollo, lo steward fa un annuncio che non capisco, ma che scatena una vera e propria rivolta dentro l’aereo. L’attempata signora al mio fianco che, fino a un minuto prima, scherzava e cercava di tenermi su il morale, sempre mangiando e bevendo come un’idrovora, comincia a inveire, arrivando a togliersi una scarpa per lanciarla al malcapitato steward. Quando sembra essersi calmata (ma è solo un’impressione), le chiedo cosa sia successo, anche perché la rivolta non sembra placarsi, anzi alcuni ragazzi accerchiano lo steward e lo minacciano fisicamente. Lei, con tutta l’indignazione di cui è capace, mi dice che è finito il ghiaccio e quindi avremmo bevuto liquidi a temperatura ambiente per tutta la durata del volo (due ore). E riprende a urlare, come tutti gli altri passeggeri, a questo punto l’unico calmo sono io. Beh, hanno costretto l’aereo a tornare indietro per caricare il ghiaccio e così abbiamo perso un’altra ora: un americano può accettare tutto, anche gli attentati, ma non di bere roba a voglio scendere e che la compagnia mi deve pagare l’hotel a Philadelphia. “I hate America!” Il mio esordio non è propriamente diplomatico. Lo steward mi guarda con gli occhi vuoti e non dice niente. Probabilmente sta cercando in me tratti somatici mediorientali. “I want to sleep in Philadelphia, but not in this aircraft of shit, I want to sleep in Hotel!” Lo steward continua a guardarmi e poi mi chiede, a tradimento, da dove vengo come mi chiamo e se come ET, voglio chiamare casa, telefonare a mia moglie, alle mie bambine, a mia madre. Dopo avergli risposto di sì, lui mi sfodera il classico sorriso da psicologo da strapazzo qual è. “Aubedo (che sarebbe Alberto secondo lui), call your wife…” e tutti i ricconi della business class mi porgono il loro telefono satellitare. Mi trovo in mano cinque o sei oggetti complicatissimi, ma lo steward mi spiega come usarli e così posso chiamare casa. Mentre compongo il numero, un capitalista panzone, mi chiede che ore siano in Italia, ma io non ne ho idea e così, quando mia moglie mi risponde scopro che sono le quattro di mattina e il panzone è molto soddisfatto della propria capacità di calcolo (stronzo potevi dirmelo prima!). Così, tra pacche sulle spalle, cioccolatini, birra e coca cola, passa ancora un po’ di tempo. Dopo nove ore dentro quel tubo di metallo, nel quale l’unico agitato sono io, perché temperatura superiore gli 0,1°, un pelo sopra la glaciazione. Con il nostro carico di ghiaccio, arriviamo a Chicago, il cui aeroporto è soltanto il più grande del mondo. Io sono senza valigia e senza biglietto, come Tom Hanks in “The Terminal”. Ma la storia della notte a Chicago ve la racconterò un’altra volta. Alberto Grandi Dopo Madre Teresa di Calcutta, ora una fiction su Moana Pozzi. Il responsabile di Rai Fiction dichiara: «Tutte donne generose». Un’offerta irripetibile 11 tempi moderni Sarà capitato anche a voi di rispondere al telefono e rimanere in balia di professionisti della truffa • Pronto? • Sono Andrea, di Tivuzoom. Nei prossimi giorni passerà da lei un nostro incaricato per illustrarle i vantaggi delle parabole Zoom e tutti i canali satellitari visibili con Tivuzoom. • No, guardi, non mi interessa. • Va bene, le lascierà a casa la brochure gratuita che illustra tutti i vantaggi… • No, no, io sono spesso fuori casa… • Non c’è problema, la chiamo io prima e l’avviso di farsi trov… • No, senta, devo partire per l’Australia, e quindi… • Ah, che fortunato. Ok, allora, magari le prenoto l’incontro per domani pomeriggio, mica mi parte domani per l’Australia vero? • No, è che devo preparare le cose e allora domani pomeriggio sono in giro… • Ho capito, ho capito… Facciamo domattina, un po’ sul presto? • No, direi di no, la mattina sul presto vengono sempre i Testimoni di Geova a fare quattro chiacchiere… • Vabbè, allora disdico per domani. • Grazie… • Si figuri. Facciamo stasera? • No, no, stasera c’è il Gran Premio… • Vede? Se avesse Tivuzoom potrebbe interrompere la partita in diretta e riprendere da dove lei ha smesso di guardarla non appena è libero… • Adesso che mi viene in mente, non ho nemmeno la televisione! • Non c’è problema, Tivuzoom funziona anche sul cellulare. Il cellulare ce l’ha, vero? • Sì, ma non prende tanto… • Ma la parabola Zoom funziona anche senza campo! • Però ha la batteria che non sta accesa per molto tempo… • No problem! Le parabole Zoom sono autoalimentate. Basta digitare il Pin… • E’ davvero un peccato non poter approfittare della sua offerta, ma non ho le dita e non riesco a schiacciare i tasti del telefonino, quindi lo uso solo per ricevere le chiamate. • Allora fa al caso suo il Telecomanzoom, il pratico telecomando che può usare con il mento. Avrà un mento, no? • Per ora sì, sebbene temo di perderlo a ogni passo. Sa, la lebbra… • Mi spiace, vorrei venirle incontro… anzi, facciamo così: le vengo incontro io davvero. Lei mi aspetti un attimo che riappendo e faccio una corsa a casa sua così vediamo come risolvere il suo problema. Venti minuti e sono da lei… • Non credo mi troverà, sono malato terminale e non penso che mi rimanga così tanto da vivere… • Se mi permette, vorrei tentare ugualmente. Lo faccio volentieri, signor Girottin. • Girottin? Io non sono Girottin, son Besa! • Besa? Mi faccia controllare… Ba ba ba, Be be be, Bes bes… Besa, eccolo qui. Ramiro Besa! • Sono io! • Ah, ma guarda un po’, vedo qui che lei è stato selezionato per l’omaggio a campione su tutta la popolazione europea per la super parabola Zoom e il mega abbonamento omaggio di Tivuzoom valido per cinquant’anni. Complimentoni! • Dice davvero? • Certamente, ogni 400 milioni di abitanti sorteggiamo un fortunato per dargli in omaggio tutto quello che la nostra ditta • Ma no, dai, facciamo domattina, tanto è lo stesso, il premio non glielo porta via nessuno… Ah, però mi diceva che vengono i Testimoni di Geova… • Gli sparo, a quei rompicoglioni… • Facciamo domani pomeriggio o deve andare in giro a comprarsi delle cose per partire per l’Australia? • Guardi, volevo dirglielo, intanto che parlavamo mi si sono inceneriti i biglietti dell’aereo perché senza volerlo li ho appoggiati dentro la stufa a kerosene… • Peccato, mi dispiace… • Vorrà dire che mi consolerò guardando la tv… • Che non ha… • Sembrerebbe il destino, ma • No, quella gliela diamo noi gratis… • Per l’omino che l’attacca al tetto? • No no, l’omino lo paghiamo noi. Anche se cade dal tetto perché lei abita in un tugurio e ha i buchi sul tetto e lui inciampa e si sfracella al suolo, lei non deve pagare niente, ci pensiamo noi anche con le varie assicurazioni… • E allora per cosa sono i dieci mila euro? • Ma, signor Besa, per il cavo. Cinque piani di cavo. • Ma li fate di platino? • No, sono cavi speciali, resistenti, autoalimentati, non soffrono l’umidità né il calore… • Guardi, ci dovrei pensare… • Va bene, domani pomeriggio passa da lei il nostro rap- produce. • Ma è pazzesco! • Ha ragione sa?, è assolutamente pazzesco… Non era mai successo in tutti questi anni di scegliere un fortunato e non potergli consegnare nulla perché sta morendo… • Vabbé, forse ho esagerato un pochino… è che mi gira un po’ la testa, e quando mi gira la testa vedo tutto più nero… qualche mese, se va bene, dovrei tirarlo ancora… • Son contento per lei, però il contratto specifica che il cliente beneficiario dev’essere in grado di digitare il Pin. • Beh, mi faccio far la protesi, mi infilo dei grissini nei monconi, qualcosa m’invento… • Beh, allora potrei sentire il nostro venditore se stasera… Ah, no, mi scusi, stasera c’è il Gran Premio… • Che si fotta anche la Ferrari, tanto non vince più un cazzo… il mio vicino di casa, al quale l’avevo prestata, me l’ha riportata or ora. • Allora non ci sono problemi! Domani pomeriggio un nostro rappresentante passerà a casa sua per consegnarle il nostro super premio europeo! • Sono fin commosso… Non so come ringraziarvi… • Ah, dimenticavo, per la parabola... Ce l’ha un po’ di spazio sul balcone? • Sto a piano terra… • Ahi ahi ahi… Una tettoia, un tetto vicino, un qualcosa dove installare… • Beh, sul tetto della palazzina! • Perfetto, quanti piani sono? • Cinque. • Mi sa che se la cava con una decina… • Una decina di che? Metri? • No, che ha capito, parlavo di migliaia di euro… • Diecimila euro? Per la parabola? presentante e le fa firmare tutti i moduli… Così poi lei prepara l’assegno… • Proprio domani pomeriggio? • Non le va più bene? • Mah, mi viene in mente che domani ho il funerale di mia nonna, poveretta, ha tirato finché ha potuto… • Mi dispiace, signor Besa. Facciamo domattina, allora che tanto i Testimoni di Geova saranno già scappati via… • Sì, ma… non so… • Ci sono dei problemi? • No, no, è che domattina credo d’avere… aspetti che controllo l’agenda… ecco sì, mi sembrava di ricordare… proprio domattina ho il trapianto di reni in ospedale… mi spiace, ma temo dovremo rimandar… • Lasci stare, facciamo stasera, tanto mica si mette a guardare la Ferrari che domani va in ospedale: non vorrà deprimersi prima del tempo, no? • Sì, stasera dice?… Aspetti… stasera sono fuori, ho il turno in fabbrica… • Allora, non le voglio creare dei problemi. Se lei mi aspetta, metto giù, faccio una volata io, venti minuti e sono lì, d’accordo? • Venti minuti dice? E’ che… sa, venti minuti… purtroppo soffro di narcolessia… io più di venti minuti non riesco mai a star sveglio. Se lei viene fra venti minuti è capace che mi trova che dormo… • Vabbè, signor Besa, ho capito che ha qualche problema sull’immediato. Facciamo per dopodomani. • No, no… dopodomani ho il trasloco… cambio città, cambio Paese, cambio addirittura continente, sa? Anzi, cambio emisfero… Ho comprato un terreno in Australia e allora… • Peccato che le si siano inceneriti i biglietti… son tutte spese in più… • Ma sa che i biglietti erano lì che mi guardavano sul comò? Devo aver acceso la stufa con un pezzo di carta e l’ho scambiato con i biglietti… • Buon per lei, Besa… Allora, facciamo così: adesso lei mi digita il pin che le dico sulla tastiera del telefono così lei accetta la nostra offerta e noi gliela spediamo in Australia. E visto che in Australia avrà anche il posto vicino casa dove mettere la parabola non deve pagare il filo e i diecimila euro li usa per la spedizione di tutto l’ambaradan. • Guardi, adesso come adesso sono impossibilitato a digitare… • E come mai? • Ho le mani impegnate… • E come mai? • Stavo aprendo la finestra perché la stufa fa fumo e sono scivolato dalla finestra, per fortuna mi sono aggrappato al cornicione con le mani, però capisce bene che non poss… • Ma non stava a piano terra? • Sì ma sono salito in soffitta per controllare la canna fumaria e… • Signor Besa, sia sincero: lei non ha nessuna intenzione di aderire alla nostra offerta. • Ma che, scherza? Anzi, se solo potessi… Aspetti, forse ce la facc… ma cos’è quello! • Signor Besa… • Oh, mio Dio, cos’è quello? • Signor Besa? • Oh, mio Dio, non è possibile… No, no, nooooooooooooooooooooooooooooooooo • Signor Besa, sta bene? • Mi scusi ma devo riattaccare, sono appena stato rapito dagli alie… Tu…tu…tu… Da “Mis Mas” di Andrea Appi, Ramiro Besa e Antonio Galuzzi CAFFE’ NOIR Mantova • Tel. 0376.369972 Corso Vittorio Emanuele II, 57 MANTOVA - Tel. 338 798 50 25 Piazza Mantegna Mantova 0376.324286 Corte dei Sogliari, 4 CAFFE’ - OSTERIA CON PIZZA Mantova Tel/Fax Piazza Concordia 18 Mantova Tel. 0376.324064 0376.222817 www.giallozucca.it chiuso lunedì e martedì Piazza San Francesco, 2 Mantova Tel. 0376 1855132 Corso Libertà, 6 Mantova 0376 326016 Piazza Broletto, 8 Mantova 0376.365303 www.ilnotturno.net – [email protected]