Claude Cazalé Bérard
Gina Lagorio: la memoria delle donne
Testo & Senso
n. 13, 2012
www.testoesenso.it
1
La memoria, si sa, è la prima musa di chi scrive,
memoria diretta o indiretta, autobiografica o eco
collettiva, memoria di lunga cultura o memoria
d’immediata innocenza sensibile.
Gina Lagorio, Mi ricordo
1. Una donna nel mondo
Furio Colombo, sceglie un titolo significativo per la sua Prefazione al recente volume,
Parlavamo del futuro, che propone, a cura di Simonetta Lagorio, una scelta degli interventi più
importanti di Gina Lagorio nella stampa italiana (1965-2005) 1. Quel titolo - «Lei era la società
civile » - non è soltanto un omaggio al rigoroso impegno della scrittrice per il bene di tutti, è
anche un sunto programmatico della sua intensa attività in quanto intellettuale e testimone
della vita e della cultura italiana nel mondo:
Era uno sguardo limpido sulla vita. Da quello sguardo ricavava indizi e notizie che trasformava
in romanzi. Ma niente dei suoi libri era veramente romanzato, nel senso di abbandono alla
immaginazione. Le interessava la vita, e - nella vita – l’accertamento, un suo modo di verificare
solido e sicuro, come se ogni persona di cui ti occupi fosse un mondo e ogni vita un thriller, un
nodo da cui estrarre poche cose chiare, sapendo che non tutto, anzi ben poco si spiega. Ma
non c’era in lei traccia di rassegnazione o malinconia della rinuncia. La vita va affrontata,
vissuta e narrata spietatamente2.
Insiste Colombo a giustificazione del titolo volutamente polemico:
Gina Lagorio era la società civile. Era l’estranea e l’intrusa della politica italiana, la cui
memoria personale cominciava nel ricordo, testimoniato anche personalmente e nei suoi
legami più cari, con la Resistenza, e giungeva all’indignazione per i giorni che stiamo vivendo,
per i personaggi che li popolano, per le leggi che offuscano l’orizzonte di un Paese civile, per
l’incattivimento e l’invito all’egoismo, al tornaconto e alla scorciatoia, che è diventato “il
modello” di una maniera di vivere prima ancora che di una maniera di governare. [...] Gina
Lagorio ha sempre ricordato il messaggio di libertà che ha appreso, giovanissima, da coloro
che per la libertà e per la Costituzione italiana hanno lottato. [...] Si è sempre sentita parte viva
e protagonista della storia e della vita italiana. È come se fosse stato rivolto a lei il messaggio di
Martin Luther King: non dovete perdere mai la capacità di indignarvi. Lei non l’ha perduta,
non si è defilata, non si è chiusa nel rifugio della buona scrittura. Quella buona, vigorosa
scrittura è diventata – anche negli ultimi tempi di salute precaria e difficile – il suo strumento
di partecipazione alla vita della comunità, attraverso la testimonianza e la protesta. Non ha
mai rinunciato e non ha mai taciuto, Gina Lagorio 3.
1
GINA LAGORIO, Parlavamo del futuro, a cura di Simonetta Lagorio, Milano, Melampo 2011. Nel volume sono
raccolti articoli che coprono quarant’anni di collaborazioni a riviste e quotidiani – «Resistenza», «Il Ponte», «Il
Mondo», «Il Resto del Carlino», «La Nazione», «Corriere della Sera», «La Voce», «L’Unità», «Società Civile»,
«Mondo Nuovo» – ma anche interviste rilasciate a giornali e radio, interventi a incontri e convegni, pagine del
diario inedito di due anni (1987 e 1988) della sua esperienza parlamentare, nella X Legislatura, nel gruppo degli
Indipendenti di sinistra.
2
Ivi, p.9.
3
Ivi. p.10.
2
Come si vedrà, la scrittrice, con «il suo sguardo vigile e curioso» ha seguito il proprio
tempo, ha conservato nella memoria attenta alle più piccole cose, nella sua memoria di donna,
tutte le vicende del suo tormentato paese, fin dalla prima gioventù indelebilmente marcata
dalla tragedia del secondo conflitto mondiale.
Gina Lagorio (il suo nome di nascita era Luigina Bernocco), nasce a Bra (Cuneo) il 6
gennaio del 1922, da genitori entrambi piemontesi. Il padre era cresciuto a Cherasco, la “città
dalle mura stellate”, protagonista dei suoi romanzi ambientati in quell’amata regione delle
Langhe, dove da bambina passava le vacanze, presso la cascina di nonni paterni, radicati in
quelle terre già nel Seicento e depositari di una tradizione contadina che rimarrà fortemente
incisa nella memoria della bambina.
Quando Gina compie due anni la famiglia si trasferisce a Savona, che diventa il luogo
della sua formazione scolastica e universitaria (Istituto Magistrale). Durante la seconda guerra
mondiale viene mandata a Cherasco, presso una zia, mentre i genitori rimangono a Savona: lì
studia e lavora alla sua tesi di laurea su La poesia sepolcrale inglese e i suoi influssi in Italia. Iscritta
alla facoltà di Magistero di Torino, si laurea con lode a soli 21 anni. Ma, fin dal 1940, avendo
vinto un concorso per studenti bandito dal “Giornale di Genova”, Gina inizia a collaborare al
quotidiano con articoli di cronaca, recensioni cinematografiche e interviste. Negli stessi anni
incontra il futuro marito Emilio Lagorio, responsabile del PCI nel CLN di Savona. Al suo
fianco partecipa alla Resistenza, facendo da staffetta o accompagnandolo nelle missioni (ma
senza mai ritirare i certificati di guerra partigiana che alla fine del conflitto avrebbero potuto
garantirle qualche privilegio) come si può leggere in Approssimato per difetto4 , e soprattutto nella
sobria e ma appassionata rievocazione della lotta resistenziale nel suo Raccontiamoci come è
andata. Memoria di Emilio Lagorio e della Resistenza a Savona 5. Il titolo stesso di quel memoriale la
dice lunga sul modello di riferimento: è una citazione di Beppe Fenoglio («Resistiamo e
raccontiamoci com’è andata», ne Il partigiano Johnny), autore molto amato e ammirato da Gina
che gli dedica un bel saggio6. Può sorprendere la data tarda di quella testimonianza sul
periodo resistenziale (il penultimo libro scritto da Gina), trattenuta forse per pudore e rispetto
nei confronti di un passato molto personale. Invece il motivo che le fa rompere quel lungo
silenzio, per la sua carica forte e dolorosa è particolarmente significativo: si trattava di
rispondere a chi voleva cancellare in Italia la celebrazione della festa della Liberazione, il 25
aprile:
Nel 2000 fu avanzata in Italia per la prima volta l’ipotesi di non celebrare il 25 aprile o di
abbinare la data a un’altra, legata alla tragedia delle foibe titine, per una cerimonia unica
monotematica: la lotta ai totalitarismi. Le lacrime sono salate per tutti, le tragedie della storia
lasciano scie lunghe per più generazioni e grande è quindi il desiderio di pacificazione, ma una
cosa va innanzi tutto detta: non è cancellando che si pacifica, ma ricordando, illuminando la
memoria delle cose con l’analisi delle cause che le hanno prodotte, cause storiche come
4
GINA LAGORIO, Approssimato per difetto, Bologna, Cappelli 1971; Milano, Garzanti 1976, 1981 (con nota
critica di Geno Pampaloni), 1998; Milano, Oscar Mondadori 1988 (a cura Elio Gioanola); Milano, Mondadori/
De Agostini 1995; Milano, Elefanti Garzanti 1998; Milano, Garzanti Novecento 2009.
5
GINA LAGORIO, Raccontiamoci come è andata. Memoria di Emilio Lagorio e della Resistenza a Savona,
Milano, Viennepierre 2003.
6
GINA LAGORIO, Fenoglio, La Nuova Italia 1970, 1975; Venezia, Tascabili Marsilio 1998.
3
politiche o ideologiche, con la pacatezza del giudizio che viene negli anni da un esame
accurato, dalla serietà della documentazione, dal confronto delle testimonianze 7.
Riflettendo su quell’impresa, nell’intervento ad un convegno del 2004, la scrittrice insiste su
quel dovere di memoria che le sembra irrinunciabile, ma anche più largamente sulla questione
esistenziale cruciale e dolorosa del destino individuale dell’uomo e su quello dell’umanità che
abita profondamente tutta la sua opera:
E mentre io stessa mi emozionavo all’onda montante dei miei ricordi che dolorosi o paurosi
erano comunque legati allo scorrere della gioventù, parallelamente correva nella mia testa il
dilemma sulla memoria che è per me come per molti la croce dei nostri giorni. Come sarà il
domani dei nostri figli e nipoti se nessuno dirà loro la verità dell’humus da cui siamo stati
nutriti? Basta il DNA per fare l’uomo?
[...] Il vulcano su cui siamo seduti apre anche un cratere d’ignoranza; di qui potrà scorrere solo
la lava della violenza8.
Molto lucidamente riconosce che la memoria può essere manipolata, banalizzata, traviata:
Malgrado tutto, però non smetterò dal canto mio, di tessere l’elogio della memoria. Per una
specifica essenziale ragione: [...] Ciò che fa l’uomo è la coscienza di sé nel tempo e nello spazio
cui il destino lo ha immesso. E c’è un’altra ragione per credere nella forza catartica della
memoria, non sacralizzata né banalizzata: la virtù della scrittura, la quale soltanto può
trasmettere la verità delle cose in grazia del filtro e del freno dell’arte9.
Queste parole ci fanno capire, molto chiaramente, quanto impegno etico e civile e
vocazione alla scrittura siano legati da un nesso di necessità.
Gina non ha mai avuto alcuna tessera di partito - mentre Emilio Lagorio, che nel 1943
si era iscritto al PCI, ne uscì nel 1956, dopo la rivolta dell’Ungheria. Ma è rimasta sempre
fedele a quell’impegno etico e civile che le ha fatto sentire l’impellente necessità di riaprire,
tanti anni dopo, quel libro di memorie: «È la ragione per cui credo sia mio dovere oggi
raccontare il mio ricordo». La lezione di quei tempi va salvaguardata:
Se idealità e progetti del tempo resistenziale hanno faticato a esprimersi nella Repubblica, il
nostro paese ha compiuto tuttavia passi grandi nelle conquiste civili. La fiaccola che è stata
passata di padre in figlio di generazione in generazione [...] è oggi in pericolo: c’è rischio che la
mollezza dei tempi devoti soprattutto al dio denaro e alla spettacolarizzazione della vita, la
possano spegnere. E l’inevitabile paragone con gli uomini di allora, di statura umana
gigantesca se raffrontata ai visi pallidi di oggi, a destra ma anche a sinistra, rende quel pericolo
più temibile. Rischio di regime? Si, e lo dico con rabbioso dolore. Perché ci si possa ancora
salvare la memoria non va perduta. Bisogna leggere quello che è avvenuto nelle cronache,
nella prosa di romanzi come in quella autobiografica, in narrazione e in poesia10.
7
Raccontiamoci..., op.cit. p. 13. Altre donne partigiane, o comunque partecipi della Resistenza, hanno provato il
bisogno, negli stessi anni (a partire dagli anni ’90, con l’apparire alla ribalta del berlusconismo e del
secessionismo della Lega), di pubblicare la propria testimonianza di lotta per la costruzione di una Italia
democratica e laica.
8
Parlavamo del futuro, op.cit. pp. 58-59.
9
Ivi, p. 59.
10
Raccontiamoci..., op.cit. p. 71.
4
Nel 1943 sposa Emilio Lagorio. Gli anni del dopoguerra sono fondamentali nella
formazione della scrittrice: con il marito impegnato nella riscostruzione civile ed economica
della città, frequenta artisti e intellettuali, tra cui Angelo Barile – che faceva parte con Emilio
del CLN di Savona come rappresentante della DC e Camillo Sbarbaro.
I due poeti sono stati per lei maestri di rigore formale e le hanno aperto le porte di una
compenetrazione delle arti che si alimentava nella frequentazione di artisti come Giacomo
Manzù, Lucio Fontana, Aligi Sassu, Tullio d’Albissola, Giuseppe Capogrossi, con alcuni dei
quali nasce un’amicizia durata nel tempo. In particolare Luigi Broggini, Renata Cuneo,
Agenore Fabbri, e Oscar Saccorotti, al quale dedicherà il suggestivo romanzo Golfo del
Paradiso, una celebrazione della bellezza pittorica di una Liguria segreta, ancora preservata ed
autentica, nonché del genio poetico dell’artista 11.
A partire dal 1956 iniziano le collaborazioni ai periodici “Liguria”, “Il Ponte”, “Maia”,
“Persona”, “Letterature moderne”, “L’Approdo”, “Arte Stampa”, “Resine”, “Ausonia”. Gli
anni Sessanta fino al 1973 (anno in cui si trasferisce a Milano) vedono intensificarsi la sua
attività pubblicistica e critica svolta contemporaneamente all’insegnamento: essi sono segnati
dalla morte precoce di Emilio Lagorio, nel ’64 (evocata nel romanzo, Approssimato per difetto) e
dall’aggravarsi delle sue responsabilità familiari con le due figlie da mantenere e da educare da
sola. Dal 1974 ha inizio il periodo più fecondo e produttivo sul piano letterario e critico, anche
se già negli anni Sessanta diverse riviste avevano pubblicato suoi racconti.
La breve carriera politica di Gina Lagorio, rivelatrice del suo senso profondo
dell’impegno civile, affonda le radici nell’esperienza resistenziale e nel racconto di quei tempi
eroici di speranza, segnati per lei da una grande figura savonese e nazionale come Sandro
Pertini, protagonista con Parri del famoso processo di Savona12.
Scrive, in Inventario, ripercorrendo la memoria di quei giorni:
Recuperammo i valori ideali nel fare, durante la Resistenza e la Ricostruzione. Ora soltanto
abbiamo capito, sappiamo che la crisi politica è solo la scorza di qualcosa di più fondo. E la
frana della cultura, non solo delle ideologie, e dei sentimenti con cui le idee si sostengono:
davanti alle sirti obbligate della storia, siamo chiamati a crudeli verifiche...13
Gina Lagorio è eletta deputato della Sinistra Indipendente, nel collegio ligure per la X
Legislatura (1987-1992). Scopre perplessa e un po’ smarrita un mondo che le sembra del tutto
estraneo e con il quale non si sentirà mai a suo agio:
Ho stentato a finire l’esperienza parlamentare tanto è stata faticosa, uggiosa, frustrante, e non
la ripeterei per nessuna ragione. Tenevo un diario, in quegli anni, per me soltanto, trovavo
insopportabili gli eletti che usavano il Parlamento per farsi pubblicità e diventare personaggi
televisivi, per inventarsi scrittori e altre simili variazioni sul tema: scrivevo, per non morire al
primo incontro, come Butterfly...14
11
GINA LAGORIO, Golfo del Paradiso, Milano, Garzanti 1987; Milano, Club degli Editori 1987; Genova, De
Ferrari 2001.
12
Il processo si era svolto a Savona dal 9 al 13 settembre 1927: i giudici savonesi dovevano pronunciarsi
sull’espatrio clandestino di Filippo Turati, dopo le leggi eccezionali, organizzato da Pertini, Parri, Carlo Rosselli
e altri antifascisti. Il processo fu perso dal potere, grazie alla coraggiosa arringa del giovane avvocato Luzzatti,
ma la repressione si fece più pesante. Carlo Levi ne aveva conservato il luminoso ricordo.
13
GINA LAGORIO, Inventario, Milano, Rizzoli, 1997; Milano, Euroclub 1998; Milano, Oscar Mondadori 2007, p.
145.
14
Ivi, p.153.
5
Da quella esperienza nacque il taccuino Nel Palazzzo, stampato in sole 12 copie, per
amici e parenti. Con lei erano state elette persone di grande rilievo intellettuale come: Natalia
Ginzburg, Stefano Rodotà, Raniero La Valle, Vincenzo Visco, Antonio Cederna... Lagorio ne
lascia un ricordo molto vivo nel suo Inventario, ma anche la testimonianza - tutta femminile - di
un distacco critico nei confronti del teatrino della politica, di un’indifferenza/diffidenza per il
potere e per i suoi riti:
Mi addormentavo qualche volta; quasi sempre mi arrendevo al sonno quando vedevo Natalia
Ginzburg, due file sopra di me, dormire dignitosa ed eretta e più che mai simile a un totem
azteco. Se ripenso a Stefano Rodotà acuto e mai impreparato, a Raniero La Valle, utopista
celeste e tenace, a Tonino Cederna, compagno di banco che mi passava in bella grafia interi
brani della Commedia a commentare qualche bischerata in corso, a Luigi Pintor, ispido e
pungente come uno dei suoi cinghialetti sardi, a Visco e a Bassanini, garzantine ambulanti di
sapienza parlamentare, alla dolce Carole Tarantelli, all’energica Laura Balbo, è come
ricordare di essere stata casualmente in un collegio di lusso. Mi portava spesso le dolcezze
torinesi di cioccolato la sindacalista Pinuccia Bertone, che sedeva tra me e Tonino, e qualche
volta con lei i miei commenti alle capriole logistiche del linguaggio politico avvenivano in
dialetto, e in dialetto rurale, che non si nasconde negli eufemismi15.
Quel gruppetto, tuttavia, malgrado le buone intenzioni, può fare poco. Gina fa parte
della commissione cultura che si occupa dei luoghi da lei più amati e frequentati: biblioteche,
scuola, cinema, teatro. Si impegna, tra altri, con il mensile di Nando dalla Chiesa, “Società
civile”, dove scrive pagine particolarmente vigorose, che colpiscono per il suo sguardo di
donna, scevro di compiacenze e di opportunismo; non è certo casuale il fatto che lei scelga
come riferimento ideale la figura “incorrotta” di Simone Weil, “una donna assoluta”:
[...] la sempre fraintesa, o dimenticata, grande Simone. Come non volle e non potè lasciarsi
sedurre o imbrigliare da nessuna religione dichiarata - gli angeli non assumono sacramenti, la
pura fede è solo vento che gonfia loro le ali – Simone che, ebrea, anarchica, filosofa, operaia in
una fabbrica d’automobili, antifranchista, antinazista, portò fino in fondo ogni esperienza
umana di pietà nei confronti della gente, fino a morirne consumata di passione e di pena, ha
detto cose profetiche sulla natura della realtà politica del suo tempo già gravido dei terribili
drammi futuri. Voleva, la folle [Ndr: così diceva di lei, a Londra, De Gaulle, poco prima che si
lasciasse morire], che in politica si mettesse l’accento sui doveri e non sui diritti 16.
Politica, la Lagorio ne ha fatta molta, con passione, con ardore, con indignazione –
come scritto in un articolo dell’“Unità” del 1996, nel quale ammette umilmente «sì, sarei
stanca. Ma mi tiene sveglia la paura del futuro, di quello che può succedere nell’indifferenza
dei più, nella mancanza di vera responsabilità, non solo politica ma anche etica, dei politici,
delle persone addette alla guida del Paese... »17. Fin dall’epoca della composizione dei primi racconti, cioè negli anni Sessanta, Gina
Lagorio ha svolto un’attività saggistica ed editoriale. Al mattino insegnava e poi scriveva per
assolvere impegni redazionali per “Il Giornale d’italia”, “Il Telegrafo”, e collaborava con saggi
15
Ivi, pp. 153-154.
16
A questa esperienza rimanda direttamente la prima sezione della raccolta dei suoi articoli, Intellettuali e
impegno. La citazione è a p. 41.
17
Ivi, p. 47.
6
di critica letteraria per il “Corriere mercantile” e “Rigamatta”. Tiene un ciclo di lezioni per la
Rai e lavora alle rubriche culturali di “Terzo programma Rai”, “Singolare femminile”,
“Meridiana” e “Approdo letterario”. Cura edizioni scolastiche (Tobino, Pavese, Fenoglio...).
Piemonte e Liguria alternano nella sua produzione critica (come fanno, del resto, nella sua
opera narrativa). Nel 1972, cura una rassegna di Cultura e letteratura ligure del ‘900, cui faranno
seguito l’anno successivo due monografie Sui racconti di Sbarbaro, Sbarbaro controcorrente, edite da
Guanda 18. Tornerà a Sbarbaro nell’85, curando l’edizione di tutta L’opera in versi e in prosa19.
Appunto, l’intensificarsi della sua attività critica ed editoriale la convince a trasferirsi a Milano
nel 1973, dove inizia a collaborare con la casa editrice Garzanti. Collabora così alla
realizzazione dell’Enciclopedia Europea, ed è direttore responsabile della collana “Grandi libri”.
Continua ad interessarsi alla poesia, come prova la sua antologia, Poesia italiana. Il Novecento20.
Produce anche programmi per la Rai (7 radiogrammi). In quegli anni collabora ad altre
testate giornalistiche: la “Gazzetta del Popolo”, “Il Resto del Carlino”, “La Nazione”, “La
Fiera Letteraria”, “Uomini e libri”, “Il Ragguaglio librario”, “La Voce” di Montanelli.
Negli anni successivi scrive diverse opere teatrali (Dolce Susanna, Senza Copione, Raccontami
quella di Flic, Freddo al cuore ...) 21.
Nel contempo ha già esordito nel romanzo, con Approssimato per difetto; nel 1977 esce La
spiaggia del lupo, finalista al Campiello e allo Strega22; nel ’79 esce un altro romanzo, Fuori
scena23 : i due romanzi, il primo ambientato in Liguria, il secondo in Piemonte, inscenano
problemi di incomunicabilità nelle coppie affrontate con una società in piena trasformazione,
dove si fa strada, da parte delle donne, una volontà di autenticità e di autonomia.
L’ambientazione ligure e la cultura novecentesca della regione ritornano nei due romanzi
successivi, rispettivamente del 1983, Tosca dei gatti, e dell’87, il Golfo del Paradiso, ispirato, come è
stato anticipato, al pittore e amico Oscar Saccorotti, anche se è dedicato a Sbarbaro24.
Ma la sua attività pubblicistica e critica continua: Penelope senza tela, nel 1984, è una
raccolta di elzeviri e di note autobiografiche e di viaggio25; mentre nell’89 pubblica i taccuini
dei suoi viaggi in Russia per gli Editori Riuniti: Russia oltre l’URSS; nel ’92, pubblica un lungo
saggio sul cinema dedicato a Kieślowski (Il decalogo di Kieślowski. Ricreazione narrativa).
Nel 1986 la città di Cherasco le assegna la cittadinanza onoraria. Il suo legame con il
paese delle origini della sua famiglia verrà celebrato nei racconti, La stella di Cherasco, poi nel
18
Cultura e letteratura ligure del ‘900, Genova, Sabatelli 1972; ripubblicato in La linea del mare, a cura di
Simonetta Lagorio, Viennepierre 2010.
19
CAMILLO SBARBARO, L’opera in versi e in prosa, Milano, Garzanti 1985 (a cura di Gina Lagorio e Vanno
Scheiwiller).
20
Poesia italiana. Il Novecento, Milano, Garzanti 1980 (a cura di Piero Gelli e Gina Lagorio).
21 GINA
LAGORIO, Freddo al cuore e altri testi teatrali, Introduzione di Odaordo Bertani, Milano, Oscar
Mondadori 1989.
22
GINA LAGORIO, La spiaggia del lupo, Milano, Garzanti 1977, 1991; Milano, Oscar Mondadori 1986 (a cura di
Giacinto Spagnoletti); Milano, Mondadori/De Agostini 1994.
23
GINA LAGORIO, Fuori scena, Milano, Grazanti, 1979; 1990 (a cura di Mario Spinella).
24
GINA LAGORIO, Tosca dei gatti, Milano, Grazanti, 1983; Milano, Garzanti, 1988; Milano, Mondadori/De
Agostini 1993; Milano, Garzanti 1999.
25
GINA LAGORIO, Penelope senza tela. Argomenti e testi, Ravenna, Longo 1984 (a cura di Franco Mollia).
7
romanzo corale, Tra le mura stellate26. Il suo Piemonte ricercato con passione più che con
nostalgia, per la sua terra, la sua atmosfera, la sua gente, lei lo ritrova anche negli archivi, dove
svolge cinque anni di ricerca documentaria, prima di pubblicare, nel 1996, un romanzo
storico di grande impegno, particolarmente suggestivo, non soltanto per la rigorosa
ricostruzione della complessa trama evenemenziale, ma per la profonda umanità, la
pregnanza etica e la prossimità sentimentale del protagonista: Il bastardo, ovvero Gli amori, i
travagli e le lacrime di Don Emanuel di Savoia ( insignito di diversi premi: Grinzane Cavour,
Lucca) 27.
Nel ’97 esce l’importante romanzo autobiografico Inventario, che rappresenta un bilancio
esistenziale “d’invenzione” e rivela l’intreccio artistico, culturale affettivo che ha definito la sua
personalità; mentre nel ’99, pubblica l’Arcadia americana, che incomincia a scrivere negli Stati
Uniti (dove era stata invitata nelle più importanti università): la perfetta fusione delle arti figurative, musicali e letterarie – è restituita al fluire della vita, alla quotidianità di un
viaggiatore alla scoperta di se stesso e del nuovo continente28.
Gina Lagorio ha provato inoltre a cimentarsi con il teatro musicale: il progetto nato nel
1991, approda con la composizione di un libretto, La memoria perduta, per una musica di Flavio
Emilio Scogna: l’opera fu rappresentato al Teatro dell’Opera di Roma, per l’apertura della
stagione, il 25 ottobre del 200229.
All’inizio del 2003, Gina Lagorio è colpita da un ictus che la lascia indebolita.
Ciononostante continua a lavorare portando a compimento un ultimo romanzo, Càpita, che
vuole scandagliare il mistero della malattia e testimoniare l’estrema resistenza alla morte30 . Lo
consegna all’inizio del 2005, ma si spegne prima di vederlo pubblicato, il 17 luglio 2005.
Nel primo anniversario della sua scomparsa, la città di Cherasco ha istituito in sua
memoria il premio nazionale “Una donna nel mondo”, destinato ad una donna che nella vita
e nelle opere si sia distinta per l’impegno civile. È significativo che la prima a ricevere quel
riconoscimento, nel 2006, sia stata Bianca Guidetti Serra, avvocato, parlamentare di sinistra,
torinese, antifascista fin dalla promulgazione delle leggi razziali, amica di Primo Levi,
impegnatasi nella Resistenza, che nel dopoguerra ha continuato a difendere la democrazia, i
diritti dei cittadini (in particolare nell’appoggio alle lotte contadine del meridione,
nell’assistenza agli operai delle fabbriche torinesi).
2. Una vita per la scrittura, le scritture della vita
26
GINA LAGORIO, Tra le mura stellate, Milano, Mondadori 1991; Milano, Oscar Mondadori 1993 (a cura di
Paolo Ruffilli): Milano, BUR 2001.
27
GINA LAGORIO, Il bastardo, ovvero Gli amori, i travagli e le lacrime di Dom Emanuel di Savoia, Milano,
Rizzoli, 1996; Milano, BUR 1998. Si rimanda allo studio particolarmente penetrante di Pietro Frassica, I travagli
intimi del Bastardo e la frontiere delle ipocrisie, in Varianti e invarianti dell’evocazione. Saggi di narrativa
contemporanea, Pisa, Giardini 2004, pp. 131-144.
28
GINA LAGORIO, L’Arcadia americana, Milano, Rizzoli 1999.
29
Si vedano, sempre nel Dossier, la presentazione dell’opera, la riproduzione del libretto, e la modalità di
accesso alla registrazione.
30
GINA LAGORIO, Càpita, Milano, Garzanti 2005.
8
Senza tensione spirituale non si vive, non si è.
Scrivere vuol dire saperlo e tentare di comunicarlo
(Inventario)
Centrale per affrontare il tema della memoria, nell’opera di Gina Lagorio è il suo
romanzo autobiografico Inventario (1997): il libro si presenta come un bilancio informale, in
cui, con la squisita naturalezza, con il tono colloquiale e spesso autoironico che ha saputo
conquistarsi con strenuo lavoro, Gina Lagorio ripercorre senza ordine prefissato, sul filo dei
ricordi, una vita particolarmente ricca di esperienze personali e professionali, familiari e
pubbliche, intellettuali ed artistiche.
Scrive (in data del 29 ottobre 1995) aprendo il libro della memoria:
Se per vivere bastasse campare… forse non suona proprio così il verso di Adriano Grande,
comunque il senso è chiaro ed è vero soprattutto che mi sta martellando in testa da giorni; a
periodi seguiti da lunghe pause l’ho sempre ricordato, ma ora mi è motivo conduttore dei
pensieri della sera. I pensieri, già, simili alle cifre di un bilancio, le emergenze a rischio, le
giacenze e l’ammortamento, i debiti e i crediti, l’attivo e il passivo. Su un piatto della bilancia il
produttivo, l’utile, sull’altro il superfluo e il rischioso 31.
Un bilancio che non si fa mai astratto ma conserva il colore del vissuto, la risonanza delle
parole, la tonalità degli incontri:
[...] vorrei fare il punto della navigazione per segnare, a me e a chi ho amato, quel che è stato
davvero determinante al di là delle contingenze e degli inganni o delle illusioni, e che mi ha
permesso di arrivare sin qui. Sana spero, bizzarra certo [...] la matta di casa, ma non del tutto,
inquieta ma non disperata, che si racconta quel che è stato ed è disponibile a quel che verrà, se
e come verrà 32.
A colpire, in quelle prime pagine (ma il tono resta come un basso continuo per tutto il libro)
sono la caparbietà e l’esigenza di autenticità che Gina Lagorio mette in quel rendiconto/
rispecchiamento di una vita non scindibile dalla scrittura:
[...] tenere la presa, testa cuore volontà, il mio pensiero dominante. [...] è stata proprio questa
continuità del sentire, immediato e senza alcuna compiacenza di retorica, che mi ha fatto
capire il perché della mia voglia di inventario personale, nella quiete della notte, in camera,
senza gli inganni della luna33 .
In quel silenzio raccolto, che evoca con straordinaria evidenza: «il silenzio spesso come una
forma di pane»!
Lei enuncia con limpidità il principio guida della sua scelta esistenziale e la ragione
della sua scrittura, del suo diario in pubblico: «Senza tensione spirituale non si vive, non si è.
Scrivere vuol dire saperlo e tentare di comunicarlo»34.
31
Inventario, op.cit., cap. 1, p. 5.
32
Ivi, p. 7.
33
Ivi, p.8.
34
Ivi, p.9.
9
Scrive Gian Luigi Beccaria nella sua Introduzione35:
Non è il libro della memoria colmo di nostalgia per il passato. Si vuole innanzitutto dare
testimonianza di sé e del proprio tempo, schizzare un’autobiografia per frammenti da
guardare con la distanza che non consente di contemplare se stessa come un narciso. Non c’è
l’io al centro di Inventario ma le esistenze che hanno dato senso alla sua vita.
Scrittori e artisti innanzitutto, Camillo Sbarbaro, Angelo Barile, Luigi Broggini, Arturo
Martini, Agenore Fabbri, Oscar Saccorotti, Luigi Fontana .... ritratti vivaci che si staccano sul
paesaggio ligure, che si animano nel ricordo delle allegre cene di Albisola. Scrupolosamente
Lagorio interroga se stessa:
Mi sono chiesta se amerei tanto la Liguria qualora ci fossi vissuta senza il contagio dell’arte e
della poesia nate sotto il suo cielo. [...] La comunione con un luogo scatta solo se reca le tracce
di chi ne ha goduto in passato...36.
Appunto, ormai allontanatasi da quei luoghi “dell’anima” (come dirà di alcune città),
la scrittrice può evidenziarne il tratto dominante, la “ligusticità”:
[...] è difficile sottrarvisi, quando ci si spiega agli occhi un paesaggio come quello della Liguria,
con la sua asprezza rocciosa e l’azzurro degli orizzonti marini in innumerabile varietà di scorci,
e la sua storia s’impone alla memoria, piena di avventura, di tenacia, ma anche di poesia e di
arte: un alveo tanto ricco di umori naturali e di carattere così rilevato da aver dato luogo in
letteratura alla suggestione di una categoria ricorrente, per esaltarla o per negarla: la ligusticità,
la cosiddetta “linea figure”. [...] difficile non vedere nel «tormentato paesaggio di mare e di
scogli, di vento e di sole», da Ceccardo a Montale, «una chiusa tradizione di valori etici». I
miei poeti, quelli della gioventù, ai discorsi critici folti di etichette come barattoli di una
dispensa, che insinuavano essere per lo più vuoti, sorridevano con indulgenza, come si guarda
ai giochi assurdi e persuasivi dei bambini37.
Inventario raccoglie, quindi, « pagine di vagabondaggio nelle età e nei momenti di una
vita intensa, le memorie, le voci delle stagioni del vivere», scrive ancora Beccaria, citando quel
passo ben noto:
La memoria, questo fiume carsico che attraversa la nostra vita guidandola anche quando pare
inabissarsi nel tempo, Caronte conscio o inconscio, ci traghetta dal vivere al morire e ha di
questi improvvisi sussulti in apparenza forniti dal caso, un odore portato dal vento, un tratto
fisionomico colto per strada, la casa intravvista in velocità, la frase che brilla tra cento parole
scialbe, l’inflessione della voce, il volto di un attore, la forma di una nuvola. Sono le brezze, gli
zefiri, i refoli che muovono il grande fiume della memoria, ma se voglio ricordare, se tento di
mettere in chiaro un tempo e un luogo, richiamandolo alla mente con un ricordo sintetico,
immediatamente un sapore si annuncia: questa è l’infanzia, questo mi dice gioventù, così è la
maturità. Perentorio, insostituibile, lui solo affidabile e accetto, sempre lo stesso. Infanzia ha, è
35
Ora anche nel volume, Gina Lagorio. La scrittura tra arte e vita, a cura di Luca Clerici, Roma, Edizioni di
storia e letteratura 2010, pp. 3-5; il volume contiene anche in appendice il prezioso inventario dell’Archivio
depositato presso APICE.
36
Inventario, op.cit., p.171.
37
Ivi, p.173.
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quel sapore. Gioventù ha, è, quell’altro. E senza quel gusto tra lingua e cuore, come posso
illustrare a me stessa, nel mio privato album di famiglia, la mia maturità38.
«L’importante è credere in quello che si fa, per me credere in quello che scrivo. E
scrivere solo quello in cui credo»: la sua è un’affermazione o meglio un manifesto di carattere
e di coerenza, che spiega – al di là della grande varietà dei generi e delle tematiche, delle
esperienze di vita e professionali, una rara continuità più volte evidenziata dalla critica.
Nell’ultimo capitolo di Inventario, Gina Lagorio guarda a ritroso quella prima tranche
così piena della sua vita e della sua opera, tornando, sulle proprie scelte decisive di poetica:
La mia scelta di scrittura era antica e senza velleità anti letterarie, anzi, continuavo a leggere e
studiare, ma non inseguivo mode, ed ero costretta dal dibattito critico a chiedermi se fosse
lecita una narrativa che poteva essere assunta nell’aria della “viventia”, secondo la definizione
di Ronald Laing [Ndr: psichiatra scozzese adepto dell’ “antipsichiatria”]. Sapevo anche che la
ricerca letteraria vuole ostinazione, acribia, scavo. Ma cosa voleva in realtà dire il distacco
dalla “viventia”? Forse l’asepsi emotiva, il trapezismo cerebrale, le invenzioni linguistiche
forzate? Era più importante il virtuosismo freddo o l’impegno all’espressione dei pensieri e dei
sentimenti 39?
Non dimentichiamo che quando Lagorio esordisce nel ambito del romanzo, negli anni
’70, con Approssimato per difetto (1971), poi pubblica di seguito La spiaggia del lupo (1977) e Fuori
scena (1979), è il pieno periodo delle sperimentazioni strutturalistiche e semiotiche nella
narrativa (preceduta dalle avanguardie in poesia): Le città invisibili di Italo Calvino è del ’72, Il
castello dei destini incrociati del ’73, Se una notte d’inverno un viaggiatore, del ’79.
Ora la scrittrice prende consapevolmente il contrappiede dello sperimentalismo
formale, anche se accoglie le istanze di rinnovamento culturali e ideologiche di quegli anni:
M’irritava la falsità delle posizioni critiche tutte e solo di testa, e mi confortava l’eco delle
conversazioni con Sbarbaro, ricordavo il suo sovrano rifiuto di ogni albagia e l’ironia con cui
liquidava tanti campioni di teoria letteraria, poeti e narratori mancati, dai voletti creativi così
poveri che lui li definiva i “nientini”. L’abbondanza si controlla e la limpidità, che è tutto
fuorché immediata e facile, può essere raggiunta ma sul nulla non si può costruire40.
Tornando con il pensiero alla terra che la vide nascere («la faccia familiare del
Monviso a guardia delle vigne dei contadini piegati sulla terra e anche le mie letture infantili
sotto i salici del Tanaro... »), la scrittrice sa che la sua vena narrativa e poetica vi affonda le
radici e se ne nutre: « la mia “viventia” era questo, o la ricerca espressiva si esauriva nei
manifesti che nascevano d’avanguardia per finire nei bollettini degli stati maggiori letterari?».
Eppure, la scelta della scrittura non era stata priva di dubbi e di incertezze, in un
ambiente inizialmente provinciale e geograficamente limitato:
38
Ivi, p.129.
39
Ivi, p.231.
40
Ivi, p.231.
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La provincia e il mondo, la scrittura e la vita. Erano stati emotivi che rischiavano il patetico ed
escludevano l’ironia, lo sapevo, ma rendermene conto non mi aiutava a placare
l’inquietudine41.
Ma la scrittrice non si sarebbe data per vinta, facendo proprio di questa apparente limitazione
una forza:
Ora so che la provincia è il luogo dove è più facile immaginare tutti gli altri possibili luoghi,
che la scrittura è un’inclinazione naturale ma anche dominio logico, disciplina, fatica, e le cose,
le vecchie mura come il rosmarino sul balcone, le voci dei poeti che arrivano di lontano e
anche quelle che risuonano tra le pareti domestiche, sono vita e possono diventare scrittura42 .
Decisiva, fu la presenza di amici e maestri stimati come Barile («il consigliere amico ma
rigoroso, in quella sua maniera civilissima tesa all’essenziale e mai alla vanità»), o come, in
assenza di Sbarbaro, Adriano Grande (altre volte capitavano Giorgio Caproni o Carlo
Betocchi):
volevo verificare se c’era qualche necessità nel mio bisogno di dire, e soprattutto se il mio essere
e sentirmi in bilico fra due mondi, quello caldo solido confortevole della mia casa e quello
seducente fragile ambiguo dei libri, potesse trovare una composizione pacifica che mi salvasse
dalla dissociazione. Ero giovane e pativo della mia mutabilità ai richiami delle ore, mi pareva
di abitare veramente solo l’attimo, senza riconoscermi davvero in nessun luogo e in nessun
presente 43.
Si persuase, quindi, a «non nascondere più le prose», che esitava a definire “creative” per
distinguerle dalle pagine di critica che pubblicava su varie riviste: «la provincia poteva essere
anche una culla protettiva, dove lavorare in silenzio poter sperare vero quello in cui
credevo»44. Appunto, nell’occasione di un discorso fatto, in Liguria, con Betocchi e Barile,
sulle parole che si scrivono da sé, la scrittrice ricordava come fossero concordi nel riconoscere
che: «Sono le parole che vengono da lontano» 45:
Ci sono parole che pronunciamo senza averle pensate, che vengono da molto lontano, dalle
stagioni del sangue che ci ha generato e da quelle del sangue che abbiamo a nostra volta
generato. Le parole senza logica e senza regole della vita ancestrale, naturale, spontanea. La
polvere degli anni non le consuma, gli uomini le usano raramente nel corso della loro vita, e
qualche volta accade che le parole si posino da sé sul foglio bianco, come se le guidasse una
mano invisibile. La nostra, che è lì, ed è spesso incerta e pesante, si muove ubbidiente, come
quando scrivevamo il dettato seguendo la voce della maestra. Poi le leggiamo e le sentiamo
parte di noi; allora le rileggiamo e ci lavoriamo come siamo abituati a lavorare sulla pagina46.
41
Ivi, p.136.
42
Ibidem
43
Ivi, p.137.
44
Ivi, p.138.
45
Ivi, p. 232.
46
Ivi, p.235.
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L’ultima pagina d’Inventario si chiude sui versi del «poeta pazzo e geniale dei Cantos», Ezra
Pound (citati in inglese quale esergo al libro) 47:
Quello che sai davvero amare rimane
il resto è scoria.
Quello che sai davvero amare non ti sarà rubato.
Quello che sai davvero amare è la tua verità.
Indubbiamente la chiave di tutto per Gina Lagorio è proprio l’amore: l’amore della vita
nella sua fisicità e spiritualità, con i suoi dolori e le sue gioie, l’amore per chi l’ha amata e
circondata, l’amore del proprio mestiere d’insegnante, del suo lavoro di scrittrice scandagliati
con lucidità e attenzione, la passione politica e civile...
Per concludere questo rapido percorso ci si limiterà a citarla, sempre dalle pagine
d’Inventario:
Una sola parola è capace di riassumere in sé il senso di una vita.
L’amore che si è ricevuto e che si è dato, credo sia il primo impulso capace di muovere a un
porto decente le fragili navicelle dei viventi.
L’amore abbraccia, è chiaro, l’amicizia e la soldarietà, e guida la conoscenza, la ragione, la
passione della verità.
Per non parlare di Dio, causa prima assoluta che per chi ha il dono della fede, giustifica e
assorbe tutto.
No, laicamente, nei limiti di un inventario terrestre senza il grande ombrello metafisico della
religione posseduta – cercare e desiderare è un surrogato, non una certezza – penso
concretamente agli ausilii che mi hanno reso più facile e in qualche momento meno disperata
la mia prersonale navigazione.
Le favole scritte –poesia, romanzi, teatro, filosofia – la musica, il mare come le colline, diciamo
la natuta con la sua ancella la ginnastica, le favole per immagini dell’arte e del cinema. La
casa...48.
47
Ibidem.
48
Ivi, p.13.
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La memoria delle donne