leonardo sciascia
OPER E
volume ii
Inquisizioni . Memorie . Saggi
tomo i
Inquisizioni e Memorie
a cura di paolo squillacioti
ADELPHI EDIZIONI
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titoli originali:
Die Ursache . Der Keller . Der Atem
Die Kälte . Ein Kind
Traduzioni di Eugenio Bernardi (La cantina),
Renata Colorni (Un bambino), Umberto Gandini (L’origine)
e Anna Ruchat (Il respiro e Il freddo)
© 2014 adelphi edizioni s.p.a. milano
www.adelphi.it
isbn 978-88-459-2944-1
Anno
----------------------------------------------------2017 2016 2015 2014
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Edizione
-----------------------------------------------------1 2 3 4 5 6 7
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NOTE A I TESTI
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ABBREVIAZIONI, SIMBOLI
E CRITERI EDITORIALI
Per gli scritti di Leonardo Sciascia e i materiali relativi all’autore, negli apparati sono state utilizzate le seguenti sigle
e abbreviazioni bibliogra$che.
1. Archivi, fondazioni e biblioteche
AA
AB
AE
AL
Archivio della Casa editrice Adelphi, Milano.
Archivio della Casa editrice Bompiani, Milano.
Archivio della Casa editrice Einaudi, presso l’Archivio di Stato di Torino. La corrispondenza con Sciascia è raccolta nella sezione « Corrispondenza con
autori e collaboratori italiani », cartella 191, fascicolo
2766/1-2: « Leonardo Sciascia » (= AE/C), e nella sezione « Corrispondenza collana I gettoni », cartella 24,
fascicolo 1695: « Sciascia Leonardo » (= AE/G). Dattiloscritti e bozze sono archiviati nella sezione « Uf$cio tecnico, Originali e bozze », cui seguono il numero della cartella (il materiale su Sciascia è nelle cartelle 1601-1606) e il numero del fascicolo (da 4805 a
4837).
Archivio della Casa editrice Laterza, presso l’Archivio
di Stato di Bari per gli anni $no al 1959. Il carteggio è
raccolto nella sezione « Archivio autori », in cartelle
che riportano le seguenti segnature: B. 136 (1955),
B. 146 (1956), B. 159 (1957), B. 170 (1958), B. 184
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FLS
FM
note ai testi
(1959). I materiali relativi agli anni seguenti sono conservati presso l’archivio della Casa editrice (= AL/L).
Fondazione Leonardo Sciascia, Racalmuto. Vi sono
raccolte in particolare le lettere dei corrispondenti di
Sciascia.
Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano.
La corrispondenza di Sciascia con l’agente letterario
Erich Linder e con l’Agenzia Letteraria Internazionale è conservata nel « Fondo Erich Linder, fascicoli
Leonardo Sciascia (1963-1983) » (= FM/L-sc); il carteggio è archiviato in cartelle che riportano le seguenti segnature: 42/7 (1963), 42/24 (1964), 50/19
(1965), 53/30 (1966), 49/23 (1967), 60/4 (1968),
70/9 (1969), 67/8 (1970), 64/35 (1971), 55/38 bis
(1972), 62/28 (1973), 68/39 (1974), 59/28 (1975),
69/44 (1976), 75/18 (1977), 86/15 (1978), 91/16
(1979), 99/16 (1980), 61/25 (1981), 88/1 (1982),
20/29 (1983).
2. Raccolte di testi e interviste in volume
DCS
FA
OA
OB
PRSG
PVN
Q
Delle cose di Sicilia. Testi inediti o rari, a cura di Leonardo Sciascia, Sellerio, Palermo, vol. I, 1980 (= DCS
I); vol. II, 1982 (= DCS II); vol. III, 1984 (= DCS III);
vol. IV, 1986 (= DCS IV).
Leonardo Sciascia, Fuoco all’anima. Conversazioni con
Domenico Porzio, Mondadori, Milano, 1992.
Leonardo Sciascia, Opere, a cura di Paolo Squillacioti, vol. I: Narrativa. Teatro. Poesia, Adelphi, Milano,
2012.
Leonardo Sciascia, Opere, a cura di Claude Ambroise,
Bompiani, Milano, vol. I: 1956-1971, 1987 (= OB I);
vol. II: 1971-1983, 1989 (= OB II); vol. III: 1984-1989,
1991 (= OB III).
Leonardo Sciascia, Per un ritratto dello scrittore da giovane, Adelphi, Milano, 2000.
Leonardo Sciascia, La palma va a nord, a cura di Valter Vecellio, Quaderni Radicali, Roma, 1981; 2a
ediz., Gammalibri, Milano, 1982 (da cui si cita).
Leonardo Sciascia, Quaderno, Introduzione di Vincenzo Consolo, Nota di Mario Farinella, Nuova Editrice Meridionale, Palermo, 1991.
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abbreviazioni, simboli
SCM
SPSV
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Leonardo Sciascia, La Sicilia come metafora, intervista di Marcelle Padovani, Mondadori, Milano,
1979.
Valter Vecellio, Saremo perduti senza la verità, La Vita
Felice, Milano, 2003.
3. Studi e raccolte di lettere
Ambroise, Invito alla lettura di Sciascia = Claude Ambroise,
Invito alla lettura di Leonardo Sciascia, Mursia, Milano, 1974,
10a ediz., 2000.
Cincotta-Carapezza, Il piacere di vivere = Il piacere di vivere. Leonardo Sciascia e il dilettantismo, a cura di Roberto Cincotta e
Marco Carapezza, La Vita Felice, Milano, 1998.
Collura, Il Maestro di Regalpetra = Matteo Collura, Il Maestro di
Regalpetra. Vita di Leonardo Sciascia, Longanesi, Milano,
1996.
La Cava-Sciascia, Lettere = Mario La Cava e Leonardo Sciascia, Lettere dal centro del mondo. 1951-1988, a cura e con un
saggio introduttivo di Milly Curcio e Luigi Tassoni, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2012.
La Mendola, La scrittura delle idee = Velania La Mendola, Leonardo Sciascia e la scrittura delle idee: l’illuminismo siciliano in
casa Einaudi, in Libri e scrittori di via Biancamano. Casi editoriali in 75 anni di Einaudi, a cura di Roberto Cicala e Velania La Mendola, Presentazione di Carlo Carena, EDUCatt, Milano, 2009, pp. 163-203.
Leonardo Sciascia. Qui êtes-vous| = James Dauphiné, Leonardo
Sciascia. Qui êtes-vous|, La Manufacture, Paris, 1990; la sola
intervista (agosto 1987) è tradotta da Saverio Esposito in
Chi è lei, Leonardo Sciascia|, incontro con Leonardo Sciascia a cura di James Dauphiné, in « Linea d’ombra », IX,
65, novembre 1991, pp. 37-47.
Lombardo, Il carteggio Sciascia-Bompiani = Giovanna Lombardo, « Con un occhio ilare e uno lacrimoso ». Il carteggio SciasciaBompiani, in « La Fabbrica del Libro. Bollettino di storia
dell’editoria in Italia », XII (2006), 1, pp. 13-18.
Lombardo, Il critico collaterale = Giovanna Lombardo, Il critico
collaterale. Leonardo Sciascia e i suoi editori, La Vita Felice,
Milano, 2008.
Lombardo, L’immagine come soglia = Giovanna Lombardo,
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note ai testi
L’immagine come soglia. Le copertine dei libri di Leonardo Sciascia, in « Todomodo », I (2011), pp. 287-95.
Motta, Il sereno pessimista = Antonio Motta, Il sereno pessimista.
Omaggio a Leonardo Sciascia, Lacaita, Manduria-Bari-Roma, 1991.
Nigro, Sciascia scrittore editore = Leonardo Sciascia scrittore editore
ovvero La felicità di far libri, a cura di Salvatore Silvano Nigro, Sellerio, Palermo, 2003.
Onofri, Storia di Sciascia = Massimo Onofri, Storia di Sciascia,
Laterza, Roma-Bari, 1994, 2a ediz., con una Premessa dell’autore, 2004 (da cui si cita).
Pasolini, Lettere 1955-1975 = Pier Paolo Pasolini, Lettere 19551975, a cura di Nico Naldini, Einaudi, Torino, 1988.
Pupo, Narrare l’Inquisizione = Ivan Pupo, Narrare l’Inquisizione. Appunti sul « paradigma indiziario » in Ginzburg e in Sciascia, in « Spunti e ricerche », XXVI (2011), 1, pp. 126-38.
Rizzarelli, Sorpreso a pensare per immagini = Maria Rizzarelli,
Sorpreso a pensare per immagini. Sciascia e le arti visive, Edizioni ETS, Pisa, 2013.
Sgroi, Eredità linguistica = Salvatore Claudio Sgroi, Leonardo
Sciascia ‘scrittore di cose’ o ‘di parole’| Ovvero la sua eredità linguistica (e metalinguistica), in L’eredità di Leonardo Sciascia,
Atti dell’incontro di studi, Napoli, 6-7 maggio 2010, Palazzo Du Mesnil, a cura di Caterina De Caprio e Carlo Vecce,
Università degli Studi di Napoli L’Orientale, Napoli, 2012,
pp. 231-91.
Simonetta, Non faccio niente senza gioia = Non faccio niente senza gioia. Leonardo Sciascia e la cultura francese, a cura e con
un’Introduzione di Marcello Simonetta, La Vita Felice,
Milano, 1996.
Traina, In un destino di verità = Giuseppe Traina, In un destino
di verità. Ipotesi su Sciascia, La Vita Felice, Milano, 1999.
Traina, Leonardo Sciascia = Giuseppe Traina, Leonardo Sciascia, Bruno Mondadori, Milano, 1999.
Traina, Una problematica modernità = Giuseppe Traina, Una
problematica modernità. Verità pubblica e scrittura a nascondere
in Leonardo Sciascia, Bonanno, Acireale-Roma, 2009.
Troppo poco pazzi = Troppo poco pazzi. Leonardo Sciascia nella libera e laica Svizzera, a cura di Renato Martinoni, con DVD
allegato, Olschki, Firenze, 2011.
Vittorini, Lettere 1952-1955 = Elio Vittorini, Lettere 1952-1955,
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abbreviazioni, simboli
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a cura di Edoardo Esposito e Carlo Minoia, Einaudi, Torino, 2006.
4. Simboli e criteri editoriali
Nelle trascrizioni dei dattiloscritti e testimoni delle opere
di Sciascia sono stati impiegati i seguenti simboli:
|
||
<>
>aaa<
\ aaa /
/aaa \
[da aaa]
1
aaa 2bbb
[aaa]
aaa bbb
passaggio alla riga inferiore
passaggio alla pagina successiva
lacuna
lezione cassata
aggiunta in interlinea, sopra la riga
aggiunta in interlinea, sotto la riga
lezione ricavata da altra
lezioni ri$utate in susseguenti fasi di stesura
integrazione del Curatore
passaggio da una lezione alla successiva
Nel corso del lavoro sono state utilizzate e trascritte parti
anche ampie di lettere inedite scritte da Sciascia e a lui inviate, necessarie per comprendere la storia redazionale ed editoriale delle sue opere. Dato il carattere strumentale del materiale epistolare qui presentato si è optato per una trascrizione fedele alla sostanza, che tuttavia eviti di dar conto nel
dettaglio della disposizione del testo, delle oscillazioni negli
usi degli accenti (adeguati all’uso moderno), dei modi di
enfatizzazione del testo (per esempio, le parole sottolineate
vengono rese con il corsivo), e di altri elementi formali. Gli
aspetti rilevanti vengono segnalati in nota. Delle lettere integralmente o parzialmente edite si dà quando opportuno
una nuova trascrizione, seguita dai dati del luogo di conservazione e della sede di pubblicazione.
Al novero delle persone ringraziate nel primo volume, a
cui ribadisco la mia sincera gratitudine, aggiungo ora Giovanna Lombardo per la rara liberalità con cui ha messo a mia disposizione la corrispondenza editoriale relativa alla Casa editrice Laterza, Mauro Bersani per il materiale inedito dell’Archivio Einaudi che mi ha segnalato, Salvatore Silvano Nigro
per le informazioni sull’attività di Sciascia alla Sellerio, Jean-
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note ai testi
Noël Schifano per le notizie sulla traduzione francese di Cronachette, Mila e Angelo Tomassoli per avermi cortesemente
consentito di studiare la copia del dattiloscritto dell’Affaire
Moro, Luigi Carassai, Matteo Collura e Nino De Vita per le loro preziose indicazioni bibliogra$che, Maria Rizzarelli per
l’amichevole collaborazione.
Dedico queste note alla memoria di Umberto Baiamonte,
fraterno amico di Sciascia e della sua famiglia, al quale non
solo i miei studi sciasciani devono molto.
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LE PARROCCHIE DI REGALPETRA
Il libro viene pubblicato nel 1956 presso Laterza nella collana « Libri del tempo » (n. 29); ristampato nel 1963 nella
medesima collana, viene riproposto nel 1967 nell’« Universale Laterza » (n. 62), insieme con Morte dell’inquisitore (testo
alle pp. 9-158). L’edizione Adelphi, nella collana « Fabula »
(n. 52), è del 1991; incluso in OB I, pp. 1-170.
un nuovo inizio
Nell’importante Avvertenza al volume laterziano del 1967,
è Sciascia stesso a fornire un ragguaglio essenziale sulla storia editoriale delle Parrocchie di Regalpetra :
Nel 1954, sul $nire dell’anno scolastico, mentre compilavo
quell’atto di uf$cio che è, nel registro di classe, la cronaca (appena una colonna per tutto un mese: ed è, come tutti gli atti di
uf$cio, un banale resoconto improntato al tutto va bene ), mi
venne l’idea di scrivere una più vera cronaca dell’anno di scuola che stava per $nire. E la scrissi in pochi giorni, e qualche pagina a scuola, mentre i ragazzi disegnavano o risolvevano qualche esercizio di aritmetica. Avevo una quinta, e di ragazzi che
mi portavo dietro $n dalla seconda: molto affezionati, dunque;
e io a loro. Mi capita, quando vado al mio paese, di incontrarne
qualcuno: hanno già fatto il soldato, c’è chi si è sposato; ma i più
sono emigrati, vengono soltanto a Natale o nell’estate. Uno mi
ha scritto dal Canada, che aveva letto un mio libro.
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note ai testi
Nell’autunno, portai il manoscritto a Calvino. Lo lesse, gli
piacque; ma troppo breve per farne un « gettone », e lo passò
alla rivista « Nuovi Argomenti ». Nel numero 12, gennaio-febbraio 1955, le Cronache scolastiche furono pubblicate. Trovandomi a Bari quando appena il numero di « Nuovi Argomenti » era
uscito, Vito Laterza mi chiese di scrivere tutto un libro sulla vita
di un paese siciliano. Tommaso e Vittore Fiore mi incoraggiarono a provarmici. Qualche mese dopo, mandai a Vito Laterza
alcune pagine. Me le restituì con buoni consigli. E così, prima
che l’anno $nisse, il libro era pronto. Mancava il titolo: e lo trovò, molto felicemente, l’editore.
Questa, in breve, la storia delle Parrocchie di Regalpetra.1
In realtà, verso la $ne di novembre del 1954, quando le
Cronache scolastiche erano già state consegnate a « Nuovi Argomenti », Sciascia non aveva ancora perso la speranza che il
racconto potesse diventare il nucleo di un volume einaudiano e aveva scritto a Elio Vittorini, direttore dei « Gettoni »:
Nel numero di gennaio di « Nuovi Argomenti » uscirà, ma
non integralmente, una mia « Cronaca scolastica »: io insegno
alle elementari, in un povero paese della Sicilia; e dalla mia esperienza ho tratto delle note. Potrei tra uno o due mesi sottoporLe l’intero manoscritto nella speranza che possa essere gettonato |2
Stimolato dalla risposta incoraggiante di Vittorini (« mandi il suo libro e lo leggerò volentieri. L’argomento mi interessa molto e mi sembra anche nuovo »),3 Sciascia si impegna, all’inizio del 1955, a inviargli le Cronache « quanto prima »,4 ma un mese dopo il « manoscritto » non è ancora giunto a destinazione:
vedo su « Nuovi Argomenti » una primizia delle Sue cronache
scolastiche. Avrei preferito che il libro potesse venir fuori di sorpresa. La collana dei « Gettoni » è un po’ anche una rivista. Comunque aspetto di poter leggere il Suo lavoro per intero. E ...
che il meglio sia ancora inedito. Quando calcola di darmelo|5
1. Leonardo Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra. Morte dell’inquisitore, Laterza, Bari, 1967, p. 5. Vent’anni dopo la storia del libro è tracciata in
termini analoghi in FA, p. 36.
2. 27 novembre 1954 (AE/G; cit. anche in Vittorini, Lettere 1952-1955, p.
260, nota 3).
3. 21 dicembre 1954 (FLS; AE/G, copia; cit. anche in Vittorini, Lettere
1952-1955, p. 260, nota 3).
4. 7 gennaio 1955 (AE/G).
5. 12 febbraio 1955 (FLS; anche in Vittorini, Lettere 1952-1955, p. 260).
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le parrocchie di regalpetra
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Inaspettatamente, Sciascia pare voler rinunciare al progetto:
la pubblicazione di quelle note di cronaca scolastica su
« N.A. » mi ha disamorato dal lavoro che avevo in mente di concludere. È l’effetto che sempre mi fanno le cose mie stampate
– me ne allontano, me ne disgusto persino. Non credo ci metterò più mano.1
Tanta perentorietà colpisce Vittorini, che il 3 marzo non
esita a manifestare la sua delusione:
Lei mi dà una cattiva notizia a dirmi che non vuol più portare
avanti le Cronache scolastiche. Quanto ho letto su « Nuovi argomenti » mi faceva puntare molto sul libro. E oltretutto ci tenevo
anche per la materia trattata.
Perché pubblica dei « pezzi » se rischia di disgustarsi d’un lavoro pubblicandoli| Vorrei riuscire a persuaderLa di riprendere le Cronache.2
Quel che Vittorini ignora è che nel frattempo Sciascia ha
optato per un altro editore: lette le Cronache sulla rivista di
Carocci e Moravia,3 Vito Laterza gli aveva infatti chiesto, in
un incontro avvenuto a Bari, nella sede della casa editrice,
all’inizio del 1955, se avesse intenzione di ampliarle per farne un libro. L’adesione di Sciascia è senza riserve (« gratissimo Le sono della proposta cordiale di preparare un libro
per le Sue edizioni. Ho molto pensato al lavoro da fare, e
posso senz’altro assicurarLe che tra tre o quattro mesi sottoporrò al Suo giudizio il manoscritto »),4 tanto più che, a
quella data, può contare anche su un testo memoriale sugli
anni del fascismo.5 Il progetto iniziale è delineato – come
rimarca anche Giovanna Lombardo –6 già in quella prima
lettera a Laterza, nella quale Sciascia prevede che il libro
« non supererà le 150 pagine di stampa: avrà una “introduzione”, un tentativo di raccontare il paese nella sua vita di
1. 24 febbraio 1955 (AE/G; cit. anche in Vittorini, Lettere 1952-1955, p.
263 nota).
2. FLS; anche in Vittorini, Lettere 1952-1955, p. 263.
3. Leonardo Sciascia, Cronache scolastiche, in « Nuovi Argomenti », 12,
gennaio-febbraio 1955, pp. 111-37 (= NA).
4. 15 marzo 1955 (AL).
5. Leonardo Sciascia, Memorie vicine, in « Nuova Corrente », I, 3, gennaio
1955, pp. 200-16.
6. Lombardo, Il critico collaterale, pp. 30-33, che cita buona parte della
corrispondenza fra Sciascia e Laterza qui considerata.
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note ai testi
ogni giorno; e poi tre cronache relative al consiglio comunale, alle saline e alle scuole ».
Laterza accoglie l’idea, propone l’invio immediato del
contratto e subito avvia quella fattiva collaborazione che caratterizzerà tutta la costruzione del libro: « Mi manderà tutte
insieme le altre parti, o non preferirà inviarmele man mano
che le prepara| Ne sarei, in quest’ultimo caso, estremamente lieto ».1 Dal canto suo, Sciascia si mostra piuttosto ottimista circa i tempi di lavoro:
Le manderò presto alcuni capitoletti delle cronache; e conto
di farLe avere nei primi di giugno il manoscritto completo –
perché dopo le elezioni siciliane dovrei recarmi in Spagna per
un « servizio », e temo che il viaggio, se lasciassi in sospeso il lavoro, $nirebbe col distrarmene.
Non fosse per una certa insidia di « divertimento », alla Brancati (qui il Brancati si trova in natura), il mio lavoro scorrerebbe
molto più agevolmente: quel che appunto non voglio è « divertirmi ».
Quindi, nel post scriptum: « Per il contratto di cui mi parla, ci terrei che Lei giudicasse prima il lavoro – ma faccia come meglio crede, per conto mio son disposto a $rmarlo anche subito ».2 Laterza glielo invia prontamente l’8 aprile.
La lettera che accompagna il contratto $rmato contiene
già la scelta toponomastica e una prima proposta per il titolo:
In settimana Le spedirò la prima parte delle cronache.
Poiché i riferimenti a persone e a fatti sono in qualche punto
evidenti, ho pensato di chiamare il paese Regalpetra e il libro intitolarlo « R come Regalpetra » – o soltanto « Cronache regalpetresi ». Lei che ne dice|3
La promessa è mantenuta: « Le invio la prima parte del
lavoro, non de$nitivamente ordinata e mancante di qualche
capitoletto intermedio » scrive il 19 aprile. « Forse anche così può andare; forse no. Sono ansioso di sapere il Suo giudizio ».4 La risposta pienamente elogiativa di Laterza (« mi permetta quindi di complimentarmi con Lei e di felicitarmi con
me stesso per l’ottimo lavoro che si pro$la ormai con con1. 1° aprile 1955 (AL, copia).
2. 5 aprile 1955 (AL).
3. 11 aprile 1955 (AL; riprodotta fotogra$camente in Laterza. Un secolo
di libri 1885/1985, Laterza, Roma-Bari, 1989, p. 55).
4. AL.
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le parrocchie di regalpetra
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torni certi ») è seguita da un’osservazione stilistica sull’« ordine » delle pagine consegnate:
cui forse converrebbe dare un andamento più cronachistico,
di narrazione distesa e anche esteriormente più organica anziché a « flash », a istantanee. Dalla relazione del governatore arabo risalirei velocemente, ma fermandomi sui diversi punti nodali da Lei accennati e su altri che pur si potrebbero indicare,
sino al Risorgimento e al primo Novecento (ci saranno testimonianze suf$cientemente signi$cative|) e al fascismo e alle pagine da Lei già scritte sulla ma$a $no al dopoguerra e alle diverse
opinioni politiche ecc. In questa maniera, se non erro, non solo
si avrebbe una introduzione di lettura più piana, ma ci si sottrarrebbe più facilmente a un sempre possibile bozzettismo. D’altra
parte, credo che Le riuscirebbe anche più semplice schivare il
pericolo di cui mi parlava, del « brancatismo », dato che il gallismo ecc. acquisterebbero un posto limitato ma preciso in un
quadro storico dai contorni ben de$niti.
Queste le mie osservazioni, tenendo d’occhio anche la collana in cui il Suo libro uscirà. Le sembrano osservazioni giuste|1
Sciascia non solo accoglie il suggerimento ma, come sintetizza Lombardo, « chiede addirittura che le pagine già lette siano considerate solo come appunti per una successiva
fase del lavoro ».2 La stesura prosegue a ritmi serrati: il 30 aprile invia il « pezzo » in procinto di uscire su « Nuova Corrente »,3 che andrà a formare, col titolo Breve cronaca del regime e alcune varianti,4 il secondo capitolo delle Parrocchie ; il 6
maggio spedisce « il primo capitolo » e ne promette un secondo « sull’amministrazione comunale dal 45 ad oggi, e
poi sulle saline. Il fascismo verrebbe ad essere colmato da
quelle “memorie vicine” che Le ho spedito, si capisce se Lei
approva, e che io metterei in appendice », per concludere:
« Praticamente tutto il materiale è già pronto: e io Le spedirò i capitoli che vado trascrivendo ».5
Ma il termine del 15 giugno stabilito dal contratto, che
ancora all’inizio di maggio Sciascia riteneva di poter rispet1. 27 aprile 1955 (AL, copia).
2. Lombardo, Il critico collaterale, p. 30.
3. Sciascia, Memorie vicine, cit. (= NC).
4. Si veda sotto, pp. 1261-62.
5. AL. Laterza replica il 16 maggio sottolineando che « la nuova stesura
del primo capitolo va molto bene » e rinviando « qualche sporadica osservazione tra lessicale e stilistica » a quando il lavoro sarà stato completato (AL, copia).
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note ai testi
tare,1 appare di lì a poco troppo incombente: « ho lavorato
molto, in questi ultimi giorni, » scrive a Laterza il 30 maggio
« e potrei anche mandarLe il manoscritto – ma non sono
soddisfatto del risultato, mi pare ancora non faccia libro; vorrei lasciar tutto per qualche giorno, non pensarci, e poi riprenderlo ... Potrei avere una dilazione tale da consentirmi
una vacanza breve e poi una serena ripresa| ».2
Rientrato dal viaggio in Spagna, Sciascia riprende il lavoro e, il 2 luglio, consegna tre capitoli (« altri due li ho macellati di pentimenti e di aggiunte, e perciò debbo ricopiarli ... Non so quello che penserà dei due nuovi che Le
invio specie del non previsto “diario elettorale” »):3 il manoscritto completo – annuncia a Laterza un paio di settimane dopo – verrà spedito « entro la $ne del mese ».4 Che
il traguardo sia ormai prossimo è del resto confermato da
una lettera a Giuseppe Bonaviri del 27 luglio: « Lavoro molto – ma ne ho per circa una settimana. Poi manderò il manoscritto a Laterza; sono già in ritardo relativamente ai
termini assegnati dal contratto ».5
La nuova scadenza viene valicata solo di pochi giorni: « ecco gli altri due capitoletti » comunica a Laterza il 15 agosto
« e una breve nota di premessa. Aspetto ora il Suo giudizio ».6
E ai primi di settembre af$da all’editore, che le aveva richieste il 18 agosto,7 le sue riflessioni sulla struttura e gli elementi paratestuali del libro:
1. Il 5 maggio scrive da Racalmuto a Nino Crimi: « A Caltanissetta non
so quando potrò andarci; debbo consegnare il manoscritto a Laterza
entro il 15 giugno, ho persino lasciato la scuola » (si cita da Vanni Ronsisvalle, Crimi / La mappa del poeta con quindici lettere di Leonardo Sciascia ed
altri documenti, Cesati, Firenze, 2000, p. 59).
2. AL. Laterza accoglie la richiesta il 3 giugno: « le Sue preoccupazioni
sono giustissime, Lei deve rivederlo tutto con calma. Si riposi, poi lo riprenda, e me lo mandi solo quando ne sarà soddisfatto (o meno scontento di adesso) » (AL, copia).
3. AL.
4. 14 luglio 1955 (AL).
5. Si cita da Bonaviri inedito. La ragazza di Casalmonferrato, a cura di Sarah
Zappulla Muscarà e Enzo Zappulla, con la collaborazione di Mirella
Maugeri Salerno e le foto di Giuseppe Leone, la Cantinella, Catania,
1998, p. 176.
6. AL.
7. Laterza formula la sua richiesta in questi termini: « mi scriva anche la
Sua opinione per la successione degli scritti. Il libro acquisterà molto se
risulterà omogeneo, unito e direi consequenziale » (AL, copia).
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le parrocchie di regalpetra
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Per l’ordine da dare al libretto, sarei di questo parere: premessa – il conte del Carretto – l’amministrazione comunale – i salinari – diario elettorale – cronache scolastiche; come appendice
metterei – memorie vicine (se Lei è d’accordo). Per il titolo – il
sale sulla piaga – o, più discreto – Regalpetra in Sicilia. Se Lei
pensa ad una sopracoperta credo che Arnoldo Ciarrocchi o Emilio Greco sarebbero contenti di farla – Ciarrocchi credo riuscirebbe meglio, per un libro che è un pamphlet.1
« Come si vede, » commenta Lombardo « l’ordine assolutamente provvisorio non include Il circolo della concordia, che
verrà poi ricavato da un diverso taglio dei testi e, soprattutto,
manca I parroci e l’arciprete ».2 L’esigenza di Laterza che venisse
aggiunta una parte riguardante « i prelati, i parroci, i preti
giovani e vecchi, ricchi e poveri, il mondo religioso insomma
o, per restare nello spirito del suo libro, il “potere” ecclesiastico » è trasmessa a Sciascia da un funzionario della casa editrice, Donato Barbone.3 Utilizzando liberamente un testo sulla
festa della Madonna del Monte di Racalmuto, uscito un paio
d’anni prima nell’Apollo errante di Mario dell’Arco,4 Sciascia
confeziona in pochi giorni il « pezzo » mancante.5 Dopo un
avvio molto simile:
Pampilonia, nel dialetto dei racalmutesi, vuol dire confusione, infernale chiasso, panico, smisurata allegria. L’ipotesi più
immediata è che la parola provenga dalla Babilonia dei predicatori; ma da quando abbiamo letto Fiesta di Hemingway, per nostro conto ne abbiamo formulato una più suggestiva: che la parola provenga piuttosto dalla Pamplona di Spagna e dalla sua
$esta. I pellegrini che avranno raccontato di quel che succede in
una settimana di festa a Pamplona, riteniamo siano riusciti a
commuovere la fantasia popolare più dei preti che tuonavano
di Babilonia civitate infernali
1. 6 settembre 1955 (AL).
2. Lombardo, Il critico collaterale, p. 31.
3. 7 settembre 1955 (AL, copia).
4. Leonardo Sciascia, Una festa per Hemingway, in L’Apollo errante. Almanacco per il 1954, a cura di Mario dell’Arco, « il Belli », Roma, 1953, pp. 56-59.
5. « Il capitolo relativo ai preti » risponde a Barbone il 12 settembre « è
quasi pronto, perché già ci avevo pensato, era stato anzi il dr. Laterza a
suggerirmelo; l’avevo lasciato cadere temendo di aver avuto la mano
pesante, ora con più serenità lo riprendo. Lo manderò a $ne settimana.
Senza dubbio, è un capitolo che non dovrebbe mancare » (AL). Lo invierà il 19 settembre.
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note ai testi
e il racconto dell’apologo all’origine della devozione, il testo del 1953 si sviluppava così diversamente dal capitolo delle Parrocchie da con$gurarsi come un suo avantesto.
Nella lettera di ringraziamento del 29 settembre, Laterza
de$nisce le questioni ancora aperte: esprime la necessità di
un titolo consono alla materia trattata (« Ottimo “Il sale sulla
piaga”, ma forse poco indicativo del contenuto »),1 propone
per i capitoli un ordine e dei titoli che poi saranno quelli de$nitivi,2 e suggerisce « una fantasia di Nino Caffè » (eco dell’allusione nel testo; qui p. 20) per l’illustrazione in sovraccoperta.3 Il dialogo continua per tutto il mese di ottobre: l’8
Sciascia accusa ricevuta del manoscritto con gli interventi di
Laterza, il 12 lo restituisce dichiarando di averli accolti tutti, e
ipotizza « di abolire i titoli dei capitoli mettendo ad ognuno, a
modo di epigrafe, le frasi di Courier che ho trascritto »; quanto
al titolo generale propende per « il più ovvio e dichiarativo:
“Un paese in Sicilia” ».4 Laterza, che giudica « della miglior vena, vivacissime » le aggiunte al Diario elettorale da lui stesso suggerite, boccia invece entrambe le proposte per il titolo, con$dando nella « felicissima inventiva » di Sciascia.5 Il quale è
tuttavia assai meno $ducioso: « La scelta del titolo » replica il
26 ottobre « è diventata la mia quotidiana ossessione: tutti
quelli che mi vengono in mente mi pare facciano un po’ letteratura. Forse un “terzo uomo” riuscirebbe più facilmente a
trovarlo ».6
La ricerca del titolo prosegue nei mesi successivi, nel corso dei quali si sviluppa l’iter redazionale: il 22 dicembre, con
il manoscritto in tipogra$a, Laterza prevede un’uscita nel
mese di febbraio e commenta: « Per il titolo pensiamoci ora
con maggiore... intensità: un titolo “azzeccato” è cosa trop1. AL, copia. Il sale sulle piaghe è il titolo dell’articolo sui salinari cui si
allude nelle Parrocchie (qui p. 136), apparso in « Sicilia del Popolo » del
15 settembre 1951, p. 3; verrà poi riutilizzato per l’edizione americana
(Leonardo Sciascia, Salt in the Wound, trad. ingl. di Judith Green, The
Orion Press, New York, 1969) « sembrando all’editore che Le parrocchie
di Regalpetra non avesse signi$cato per i lettori di quel continente » (Collura, Il Maestro di Regalpetra, p. 144).
2. Con la sola modi$ca di « La grande illusione » in Breve cronaca del regime : Sciascia stesso commenterà il 12 ottobre che i titoli « vanno tutti
bene, tranne, come anche Lei ha notato, “La storia di Regalpetra” e “La
grande illusione” » (AL).
3. La copertina è riprodotta in « Todomodo », I (2011), $g. 11.
4. AL.
5. 15 ottobre 1955 (AL, copia).
6. AL.
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le parrocchie di regalpetra
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po importante per poterci rinunciare a cuor leggero, e perciò s’ha da trovare assolutamente! ».1 Il giorno di Natale,
nell’assicurare all’editore che correggerà le bozze tempestivamente e parcamente, Sciascia avanza un paio di proposte
(« Ho molto pensato al titolo, ne sono anzi ossessionato. Eccone un paio: Salinari e galantuomini – Paese del sale. E ancora cerco »),2 seguite, nella lettera dell’8 gennaio 1956 che
accompagna l’invio delle bozze, da altre idee presentate però come un atto di resa:
Questa del titolo è una faccenda maledetta: mi ci arrovello da
mesi per trovarne uno buono. A vederlo in stampa, « un paese
in sicilia » non mi pare malvagio.
I due che Le avevo ultimamente proposto sono « Paese del
sale » e « Salinari e galantuomini ». Oggi penso: « Parroci salinari
e galantuomini » (evidentemente più ci penso peggio è), « Cronache di vita siciliana », « R come Regalpetra », « Cronache siciliane » (sempre peggio insomma). Tutti gli altri che penso fanno
letteratura. Sono davvero spiacente; e spero vorrà scusarmi.3
Tocca dunque alla casa editrice scovare un titolo: « stiamo
ancora cercando: » gli comunica Laterza il 13 gennaio « appena trovato La informerò ».4 Cinque giorni dopo, la soluzione,
presentata come il risultato di uno sforzo collettivo:
dopo aver molto cercato abbiamo trovato un titolo che mi
auguro Le piaccia: Le parrocchie di Regalpetra. Spiegheremo nel
risvolto della sovracoperta che R. è un paese che non esiste, ma
che proprio per questo rappresenta bene un aspetto saliente
della società meridionale: la mancanza degli scambi tra i gruppi
chiusi in loro stessi, la mancanza di interessamento per la comunità, la formazione cioè di tante parrocchie che non si dialettizzano, che non cercano nemmeno di incontrarsi.
A R. i borgesi, come li chiama Lei, si chiudono nel circolo per
vivere la loro vita e anche lì dentro si dividono in fazioni; i salinari restano ai margini del paese; della scuola egualmente chi si
interessa| chi pensa alla scuola, oltre ai docenti, il direttore e
l’ispettore|; i preti formano un’altra casta, anch’essa divisa irrimediabilmente tra preti giovani e arciprete; ogni gruppo insomma fa parrocchia a sé.
1. AL, copia.
2. AL. In calce alla lettera si legge di altra mano: « Il Paese del Sale », segno
che il titolo aveva ricevuto attenzione in casa editrice.
3. AL.
4. AL, copia.
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note ai testi
Non Le dispiace questo tipo di presentazione editoriale| Me
lo faccia sapere.1
Sciascia sembra soddisfatto (« ottimo è il titolo – e ottima
la spiegazione »),2 ma le riserve di Calvino (« ha un brutto
titolo che non ricordo. Cambialo subito se sei ancora in tempo ») contribuiranno ad attenuare l’entusiasmo: « il titolo è
venuto fuori, come dire|, per esasperazione: non sono riuscito ad azzeccarne uno buono ».3
Diversamente da Calvino, che, se si escludono le perplessità sul titolo, mostra un vivo interesse per il nuovo lavoro di
Sciascia (« Fammi mandare il libro appena esce »),4 Vittorini
non nasconde il suo rammarico:
Mi è molto spiaciuto leggere che le Cronache Scolastiche usciranno presso Laterza. Già prima che fossero pubblicate in Nuovi
Argomenti le dissi che sarei stato contento di pubblicarle (che ci
tenevo a pubblicarle). Credo anzi di averle ripetuto, mentre lei
sembrava poco propenso a riprenderle, più volte la proposta.
Speravo perciò che le avrebbe tenute per farne con le altre cose,
un « Gettone ». Pensavo di averla impegnata. Invece...5
inducendo così Sciascia a puntualizzare:
temo ci sia un equivoco. Io non sarei mai venuto meno ad un
impegno con Lei. Infatti: Lei mi ha proposto di ampliare le
« Cronache scolastiche », e io Le ho risposto che non me la sentivo di riprenderle. E così è stato. Laterza, più tardi, mi ha
« commissionato » un « documentario » su un paese siciliano (i
preti, il consiglio comunale, le saline, ecc.), le « Cronache scolastiche » incluse così com’erano. Il libro che è venuto fuori – e glielo invierò tra qualche giorno – non credo avrebbe potuto trovar
posto in una collana come « i gettoni »: è un « libello ». Questo è
tutto: e spero varrà a dissipare la Sua impressione che io sia venuto meno a un impegno.
Lei mi dice che la pubblicazione in corso presso Laterza mi
preclude la possibilità di apparire nei « gettoni ». Ci tenevo molto; ma sopratutto tengo alla Sua amicizia e alla Sua stima.6
1. 18 gennaio 1956 (AL, copia).
2. 21 gennaio 1956 (AL).
3. 7 marzo 1956 (AE/C). Sullo scambio epistolare con Calvino, cfr.
OA I, pp. 1719-20.
4. 2 marzo 1956 (FLS; AE/C, copia).
5. 17 gennaio 1956 (FLS; AE/G, copia).
6. 19 gennaio 1956 (AE/G).
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le parrocchie di regalpetra
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Puntualizzazione che ottiene l’effetto sperato (« può darsi
veramente che il volume così come lei lo descrive potesse
anche non essere adatto ai Gettoni » replica infatti Vittorini.
« Tuttavia io ho insistito, in una lettera del marzo dell’anno
passato, nel dirle che un libro in senso documentario mi interessava vivamente. Ormai la cosa è fatta: mi dispiace soltanto di arrivare molto dopo Laterza »),1 sicché Sciascia può
ringraziare e chiudere l’incidente.2
A libro ormai in tipogra$a,3 c’è spazio per un supplemento
di lavoro, motivato dal fatto che una pagina, come segnala
Laterza il 30 gennaio, contiene « una ripetizione di cose già
dette per esteso precedentemente »; di qui la richiesta: « nel
caso decidesse di tagliare, per non disfare l’impaginazione
delle venti pagine $no alla $ne del capitolo (cosa però fattibile) sarebbe bene sostituire al brano eliminato due o tre righe nuove. Le è possibile| »,4 cui Sciascia risponde a strettissimo giro di posta, inviando « la pagina “aggiustata” ».5
Pochi giorni dopo il libro è stampato,6 e il 29 febbraio
Sciascia può valutarne il risultato:
è bellissimo, ne sono felice. La sopracoperta è poi deliziosa.
Non Le saprò mai esprimere tutta la gratitudine che Le debbo:
e per aver pubblicato il libro e per le indicazioni e i suggerimenti che ha saputo darmi. Se il libro è davvero buono (e Le confesso che sto rileggendo con un certo gusto), è a Lei che lo devo: e
lo dico con la più aperta convinzione.
Vedremo ora quel che se ne dirà.7
Gratitudine che il tempo non cancellerà e che verrà ribadita vent’anni dopo, in occasione dei cento anni della Laterza:
1. 26 gennaio 1956 (FLS; AE/G, copia). Vittorini si riferisce alla sua
lettera del 3 marzo 1955, citata sopra, p. 1251.
2. 2 febbraio 1956 (AE/G). Per l’articolata vicenda del primo « Gettone » sciasciano, rinvio alla Nota a Gli zii di Sicilia, in OA I, pp. 1716-33.
3. Il 28 gennaio 1956 Laterza gli annuncia che « Il libro uscirà a metà
febbraio: ora stiamo stampando » (AL, copia).
4. AL, copia.
5. 1° febbraio 1956 (AL).
6. Leonardo Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra, Laterza, Bari, 1956 (= La56);
il ‘$nito di stampare’ è del febbraio.
7. AL. L’invio delle copie era stato annunciato da Laterza il 20 febbraio,
con parole elogiative: « Io sono sempre di più convinto del valore del
Suo lavoro e sono certo che la collana si arricchisce di un libro importante » (AL, copia).
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note ai testi
Ero entrato al 51 di via Dante come lettore, a rendere omaggio e ringraziamento a una casa editrice dai cui libri, tra adolescenza e giovinezza, avevo tratto tanta conoscenza e speranza; e
ne sono uscito come autore di un libro che forse mi portavo
dentro e di cui avevo scritto il solo capitolo delle « cronache
scolastiche » (che non sapevo fosse un capitolo), ma che forse
non avrei scritto se Vito Laterza, che su « Nuovi Argomenti » aveva appena letto le « cronache scolastiche », non me lo avesse
quel giorno sommariamente disegnato.1
varianti, aggiunte, nuove edizioni
Tra il primo contatto con Laterza e la pubblicazione passa
appena un anno, è vero, ma se Sciascia fa confluire nel libro,
con poche varianti, i due capitoli già apparsi in rivista è, più
che altro, per la resistenza alla rielaborazione che caratterizza sin dall’inizio la sua scrittura.
1. L’edizione del 1956
Il testo delle Cronache scolastiche subisce qualche soppressione: dopo « in cui il direttore manca. » (qui p. 101), in NA 112
si leggeva la considerazione: « È proprio una particolare attenzione, manifestata nel momento più opportuno per merito del solerte maestro che infallibilmente lo informa »; e di
seguito a « capisce le cose della scuola. » (qui p. 109) $gurava
un esempio di quel ‘brancatismo di natura’ a cui Sciascia allude nella citata lettera del 5 aprile 1955: « Qui è proverbiale la
frase che un vecchio signore rivolgeva alla donna di casa
af$dandole una certa parte del suo corpo – Concettina, se
resuscita è tuo. Nei riguardi del direttore io penso – se la classe resuscita, è sua. Non mi illudo. Svolgo il programma » (NA
120-21; poi il testo prosegue come in La56 118).
Dopo « esplode rossa ira, sensualità disperata. » (qui p.
115), NA presentava un testo diverso, i cui contenuti verranno poi recuperati nel capitolo I parroci e l’arciprete ; il brano
sui ragazzi zingari con cui viene sostituito in La56 rende altrettanto bene il clima di violenta eccitazione che si respira
durante la festa:
1. Leonardo Sciascia, Via Dante 51, in Cento anni Laterza 1885-1985. Testimonianze degli autori, Laterza, Roma-Bari, 1985, pp. 236-37.
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le parrocchie di regalpetra
NA 125
Per conquistare una bandiera, alta su una macchina, i contadini fanno zuffa in piazza,
tutti i colpi sono permessi, vanno poi a farsi ricucire dal medico. Per portare le offerte alla Madonna c’è da salire a cavallo, di corsa, la lunga gradinata; il mulo si avventa per la
scala come ubriaco, l’occhio
stravolto, urla lo feriscono da
ogni parte.
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La56 124
I ragazzini degli zingari (che
sono poi i modicani nomadi
che sulle feste dei paesi si avventano come cavallette), sudici e grondanti di tracoma,
come furetti lanciati in mezzo alla folla a chiedere carità
con indecifrabile lamento, aggiungono acre inquietudine:
i ragazzi del paese ne hanno
paura, e anche le mamme; credono che con misteriose parole vadano seminando sventura.
A questi più ampi interventi se ne af$ancano pochi altri:
per ricondurre a un numero notevolmente più basso, e più
realistico, le giornate di lavoro dei braccianti (« non fanno
più di centocinquanta giornate in un anno » NA 114 -15
« non fanno più di ottanta giornate in un anno » La56 110;
qui p. 103), e per lasciare implicita la volgarità delle espressioni di un collega (« non apprezzo le sue immagini da stazione di monta, e il resto » NA 131 « non apprezzo le sue
immagini, e il resto » La56 132; qui p. 121).1
Passando all’altro testo, in due luoghi di Breve cronaca del
regime viene attenuato con minime soppressioni il carattere
memoriale della stesura uscita in « Nuova Corrente »: dopo
« un tipo che sapevo diceva sempre male di Mussolini. » (qui
p. 43), NC 204 aveva: « Ora lo ricordo con commozione. »;
dopo « l’immagine che conservo di lui. » (qui p. 44), in NC
206 si leggeva: « E non so se debbo rimpiangere ch’egli sia
morto prima dell’ignominioso exit del ’45. ».
Quantitativamente i tagli sono compensati da un paio di
ampliamenti:
49 ultimo discorso di Roosevelt. Ci beccavamo NC 212 ultimo discorso di Roosevelt. Andava bene. Ci beccavamo La56
47 51 era un gatto da quinta colonna; e non si contentò NC
214
era un gatto da quinta colonna; forse, a dispetto delle
1. Tra le varianti minime segnalo soltanto l’adozione sistematica della
forma dittongata in « giuoco » (La56 134 e 135; qui pp. 122 e 123; « gioco » in NA 133) e « Giuocava » (La56 134; qui p. 123; « Giocava » in NA
133), e della forma univerbata « malocchio » (La56 109; qui p. 103;
« mal’occhio » in NA 114).
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note ai testi
favole e dei padroni che lo nutrivano, era un gatto socialista; e
non si contentò La56 50.
Inoltre, in NC 215, dopo « parla il colonnello Stevens.
Buona sera. », mancava la frase: « Per sfogarmi a parlare facevo a piedi un po’ di chilometri, $no a Grotte, dove stava il
mio amico L., o veniva lui a trovarmi. » di La56 51 (qui p. 52).
In$ne, un personaggio designato in NC con le iniziali
« G.C. » diventa « C. », certo per rendere meno riconoscibile l’amico Gino Cortese; così come l’onorevole chiamato
« Guerreri-Averna » in NC 214 diventa « Guerrieri-Averna »
in La56 49 (qui p. 51), senza che il riferimento a Giovanni
Guarino-Amella, onorevole demosociale nella XXVII legislatura regia e, dal 1943, sindaco di Canicattì su nomina degli Alleati,1 risulti più trasparente.
In prossimità della pubblicazione, un brano del capitolo
Il circolo della concordia viene anticipato su « L’Ora »;2 qualche
mese dopo una porzione di I parroci e l’arciprete esce su « Bancarella », la rivista stampata da Giovanni Piubello, storico
gestore di una bancarella di libri e stampe a Mantova.3
Di un’ulteriore anticipazione, richiesta per « Tempo Presente » dal suo direttore Nicola Chiaromonte, Sciascia aveva
informato Laterza il 26 gennaio 1956:4 ma allorché questi gli
annuncia l’uscita di un brano sul « Mondo » di Pannunzio
« a far pubblicità al libro ancora prima che esca »,5 Sciascia
per il mensile opta per un pezzo nuovo, continuazione ideale delle Cronache scolastiche,6 destinato a entrare sette anni
dopo nella seconda edizione delle Parrocchie.
1. Cfr. Rosario Mangiameli, La regione in guerra (1943-1950), in Storia
d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi, vol. V: La Sicilia, a cura di Maurice
Aymard e Giuseppe Giarrizzo, Einaudi, Torino, 1987, pp. 501-502.
2. Leonardo Sciascia, Conversazione a Regalpetra, in « L’Ora », 29 febbraio
1956, p. 3 (da « Oltre che del decoro » a « due colpi di calibro dodici. »;
qui pp. 58-61).
3. Leonardo Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra, in « Bancarella », agosto
1956, s.p. (da « Nel 1948, prima delle elezioni » a « l’arciprete ci perde il
sonno. »; qui pp. 89-93).
4. « È stato Alvaro » speci$ca Sciascia « a parlare a Chiaromonte del libro, “con molta ammirazione”: ed è cosa che mi fa piacere e mi incoraggia » (AL).
5. 28 gennaio 1956 (AL, copia). In luogo del brano estrapolato apparirà
invece la recensione di Vittorio Frosini, Malcontento in Sicilia, in « Il
Mondo », VIII, 19, 8 maggio 1956, p. 9.
6. Leonardo Sciascia, Cronache regalpetresi, in « Tempo Presente », I, 1, aprile 1956, pp. 52-55 (= TP3).
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le parrocchie di regalpetra
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2. L’edizione del 1963
Il 23 febbraio 1963, con Il Consiglio d’Egitto fresco di stampa, Sciascia dipana uno dei grovigli editoriali in cui suo malgrado era coinvolto (e che lo indurranno, nel corso dell’anno, a ricorrere all’attività di mediazione di Erich Linder e
dell’Agenzia Letteraria Internazionale):
Amici librai, e l’altro ieri un ispettore della Sua Casa, oltre
alle persone che direttamente si rivolgono a me, mi invogliano
a proporLe la ristampa delle Parrocchie di Regalpetra. Lei ne valuti liberamente l’opportunità. Benché Einaudi, per come mi è
stato proposto, ne assumerebbe volentieri la riedizione, io, anche se Lei decidesse di non ristamparlo più, desidero che almeno questo libro resti di edizione Laterza. Ma se si decidesse di
ristamparlo, ne sarei naturalmente contento: aggiungerei alle
cronache scolastiche dei brani che ho scritto allora, subito dopo la pubblicazione del libro; e scriverei una nuova prefazione.
Che gliene pare|1
La richiesta cade al momento giusto: « son tornato oggi da
Roma » gli scrive Laterza il 5 marzo « e tra le cose che mi ripromettevo di fare per prime vi era proprio quella di scriverLe per proporLe una nuova edizione delle Parrocchie di Regalpetra ».2 Ma il progetto di « una nota d’introduzione in cui
farò il punto su Regalpetra e su me stesso »3 non trova realizzazione, e il 25 aprile così Sciascia risponde ai solleciti dell’editore:
mi scusi del ritardo: ma sono stato $nora in giro per la Sicilia
– a Catania per la rappresentazione teatrale del ‘Giorno della
civetta’, a Gela per un lavoro di cinema. E prima sono stato a
Torino, a Firenze... In conclusione, sono molto stanco, addirittura a terra.
Le mando perciò soltanto il capitoletto che vorrei aggiungere (lo metterei dopo le ‘Cronache scolastiche’): lasciando a Lei,
si capisce, il giudizio sull’opportunità dell’aggiunta. La nota di
premessa, la manderò al più presto: appena mi sarò un po’ rinfrancato.4
1. AL/L.
2. AL/L, copia.
3. Come scrive a Laterza il 9 marzo 1963 (AL/L).
4. AL/L. Laterza gli aveva scritto il 20 aprile: « La prego vivamente di
farmi tenere presto le aggiunte per la nuova edizione delle Parrocchie,
altrimenti usciremo troppo tardi » (AL/L, copia).
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note ai testi
La lettura delle bozze, nel mese di giugno, comporta tuttavia un drastico mutamento di prospettiva:
in questi ultimi giorni, sono rimasto nello stato d’animo indeciso e contraddittorio di chi si trova a rileggere, dopo sette
anni (da allora non lo avevo più riletto), un proprio libro –
che per di più sta per essere ristampato. Mi scusi, dunque, del
ritardo.
La mia risoluzione, come vede, è stata quella di non mutare
una virgola. Ho aggiunto una noticina e ne ho cassata un’altra.
Non posso dire di aver corretto le bozze: perciò sarà opportuna una revisione accurata. Sono un pessimo correttore.1
La Nota cassata è quella che nell’edizione del 1956 chiude le Cronache scolastiche :
Queste cronache scolastiche uscirono sul n. 12 (gennaio-febbraio
1955) di « Nuovi Argomenti ». Credevo di aver trascritto in esse i
dati di una particolare esperienza, non pensavo condizioni simili
si riscontrassero in altre parti della Sicilia, anche in città come
Palermo e Catania. Il consenso che colleghi siciliani mi manifestarono, che tutto quel che avevo scritto era vero, e che avevo avuto il coraggio di scriverlo, in un certo senso mi sorprese. Qualcuno mi disse che, in certi posti, c’è addirittura di peggio.
D’altra parte, eguale consenso le cronache non riscossero tra
i colleghi di Regalpetra; qualcuno le trovò addirittura fantastiche: fenomeno abbastanza comprensibile; qualche altro, pur
trovandole vere nell’insieme, mi fece notare che certi dettagli
non corrispondevano alla realtà: il salario dei braccianti agricoli, oggi, non è di 600 ma di 700 lire al giorno; quello dei salinari
di 600 e non di 500; e i ragazzi non portano più i sandali di legno con striscette di cuoio; e alla refezione scolastica i ragazzi
non tengono più come prima, molti lasciano le scodelle piene,
prendono il pane e la marmellata e lasciano intatta la zuppa di
fagioli o la pastasciutta. Da quest’ultimo fatto il collega deduce
che non c’è più la fame di prima. Io non so se è da attribuire a sazietà o a invincibile disgusto il fatto che le scodelle restino piene: può darsi siano migliorate, nelle famiglie, le condizioni alimentari; ma è più facile sia stato il rancio scolastico a peggiorare, che da disgustoso che era sia diventato addirittura impossibile. Nel ’54-’55 io non ho frequentato la refezione; ma già negli
anni precedenti il rancio era tale che, ad entrare nell’aula dove
veniva scodellato, mi af$orava il cattivo pensiero che a farne ingollare un cucchiaino per assaggio all’on. assessore regionale
sarei stato felice, e in quanto contribuente e in quanto maestro.
Ogni centro di refezione assorbe l’attività di un maestro, e1. 16 giugno 1963 (AL/L).
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le parrocchie di regalpetra
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sclusivamente a questo servizio distaccato, e di quattro cinque
cucinieri e inservienti. Se invece di quella tremenda scodella di
zuppa calda l’assessorato pensasse di far distribuire una refezione meno evanescente di biscotto e marmellata, o cioccolato, o
formaggino, i ragazzi sarebbero felici; e il dispendio notevolmente ridotto. È buona l’idea di una refezione calda: a patto
che la cosa calda risulti commestibile.
C’è da sperare che il nuovo assessore regionale per la P.I.,
invece di far circolari sul saggio ginnico di staraciana memoria
e sul canto obbligatorio dell’Inno a Roma (quello che cantano i
misini) come il suo illustre predecessore, cominci ad occuparsi
di cose più concrete, e anche della refezione.1
La « noticina » aggiunta è collocata in calce all’ultima pagina della seconda edizione,2 e chiusa dalla sigla « L. S. »:
Ripubblico questo libro, dopo sette anni, senza mutare una
virgola (ho soltanto aggiunto un capitolo – La neve, il Natale –
scritto allora, in continuazione delle Cronache scolastiche). E sì
che la tentazione di mutare qualcosa era forte: specialmente là
dove, nell’esperienza di questi anni, è mutato il mio giudizio su
certe cose, su certi uomini. Mi duole moltissimo, per esempio,
che su un punto (che il lettore scoprirà da sé facilmente) il tempo abbia dato ragione a don Carmelo Mormino e torto a me.
Ma ciò non vuol dire che il tempo è galantuomo, come si usa
dire: vuol dire soltanto che certi uomini non lo sono. Lasciando
il segno dei miei errori, io presumo di esserlo. E questo è tutto.3
Sciascia si riferisce alla previsione di don Carmelo Mormino sul presidente della Repubblica Giovanni Gronchi (« quest’uomo getterà nero come la seppia »; qui p. 129), unica voce di dissenso nel Circolo della Concordia rispetto al discorso d’insediamento dell’11 maggio 1955, foriero di speranze
di rinnovamento che sarebbero venute meno nel 1960 con il
‘Governo del Presidente’ guidato da Fernando Tambroni e
1. La56 139-41.
2. Leonardo Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra, Laterza, Bari, 1963 (= La63).
Il ‘$nito di stampare’ è del 2 luglio 1963.
3. La63 197. Oltre ai refusi che presenta questa edizione (si veda sotto,
pp. 1271-72), si registrano un paio di interventi: il medico regalpetrese
« celebre nelle Due Sicilie e nelle Spagne » di La56 13 diventa « celebre
nella Sicilia e nella Spagna » in La63 13 (qui p. 21); inoltre il deputato
socialista parla in La56 175 dei Fasci Siciliani « nel 92 nel 94 » e non « nel
’92 nel ’93 » come risulta in La63 173 (qui p. 156): intervento, quest’ultimo, certamente appropriato perché, se il movimento dei Fasci si esaurì
il 3 gennaio 1894 con la promulgazione dello stato d’assedio, l’oratore
ne parla evidentemente come di un’esperienza in pieno corso.
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note ai testi
appoggiato dal Movimento sociale italiano, l’esecutivo più
destrorso e reazionario della storia repubblicana.
Il capitolo aggiunto coincide in larga parte col testo uscito
nel 1956 su « Tempo Presente »: a TP3, che si conclude con
le parole « forse anche i poveri di Regalpetra avranno le loro
coperte, i loro coppi di pasta. » (qui p. 174), vengono aggiunti i tre capoversi con i quali si chiude un volume (La63
194 -96; qui pp. 175-76) per il quale Sciascia esprime a caldo
una grata soddisfazione al ‘suo’ editore, appena velata da un
rammarico che mostra quanto lo scrittore ritenesse importanti anche gli aspetti peritestuali:
ho ricevuto le copie delle Parrocchie che gentilmente mi ha
fatto mandare per espresso. Ne sono molto contento, e La ringrazio. (Ho un certo rimpianto per i pretini di Nino Caffè, ma
capisco che il libro doveva uniformarsi alla nuova veste della
collana).1
3. L’edizione del 1967
Già nel settembre del 1964, a pochi mesi dalla pubblicazione di Morte dell’inquisitore,2 Sciascia propone a Laterza di
rilanciarlo coinvolgendo anche il libro che lo aveva preceduto e ispirato:
Com’è andato, il libro| Ci sarà la possibilità di farne una
nuova edizione| (Librai di Milano – dove sono stato al ritorno
dalla Jugoslavia – e di Catania, mi dicono che la ‘Morte dell’inquisitore’ ha rimorchiato benissimo ‘Le parrocchie’: e non si
potrebbe ristamparli insieme, nella U.L.| – Ma tu piglia questa
mia proposta per quel che vale).3
L’idea coincide ancora una volta con le intenzioni dell’editore barese (« Alla ristampa non avevamo pensato, proprio perché eravamo sul punto di proporti di ridarli insieme, appunto nella UL, non appena il mercato fosse meno
saturo »),4 che conferma appieno i dati dei librai. E quando
Sciascia torna a caldeggiare il progetto (« Non so se vi è stato
1. 8 luglio 1963 (AL/L).
2. Pubblicato nel febbraio 1964, era stato ristampato alla $ne di marzo,
e già il 29 maggio Laterza aveva scritto all’autore: « Spero che non passi
l’anno senza la terza edizione dell’Inquisitore » (AL/L, copia). Si veda
sotto la relativa Nota.
3. 9 settembre 1964 (AL/L).
4. 14 settembre 1964 (AL/L, copia).
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le parrocchie di regalpetra
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comunicato che in Jugoslavia stanno traducendo Le parrocchie e l’Inquisitore, da pubblicare in un unico volume. Ho
dovuto tradurre, per il traduttore, tutti i brani e le espressioni ispano-sicule: e perciò ho riletto il libro, e ho notato quel
che c’è da fare per una nuova edizione »),1 Laterza ribadisce: « ti farò sapere certamente in tempo quando ristamperemo insieme l’Inquisitore con Le parrocchie di Regalpetra ».2
Il contratto viene inviato nel marzo dell’anno successivo
(l’intento è quello di « iniziare al più presto la composizione
in modo da pubblicare il libro al principio dell’estate ») e
contestualmente l’editore chiede un saggio introduttivo o
un racconto inedito così che la nuova edizione acquisti « un
sapore di novità ».3 Scartata l’ipotesi del racconto inedito, si
stabilisce che il saggio introduttivo verrà inviato entro la $ne
di marzo,4 termine poi spostato da Laterza a « prima di Pasqua »,5 ossia entro il 18 aprile, dopo la restituzione della versione de$nitiva del contratto.
Passerà un anno e mezzo prima che a Sciascia giunga
dall’editore un amichevole sollecito:
nella prossima primavera vorremmo tirar fuori $nalmente,
nella « Universale », insieme Le parrocchie e Morte dell’Inquisitore,
come concordammo e de$nimmo anche con un contratto.
Ti prego perciò di farmi avere Morte con le correzioni che mi
annunciasti e un saggio introduttivo o un racconto inedito, come pure si convenne.
Ti sarò grato se mi darai un cenno di assicurazione.6
Sollecito che suscita un’articolata giusti$cazione:
tornando quest’anno dalla campagna, nel rimettere un certo ordine alle mie carte, ho trovato alcune cartelle, della premessa alla edizione economica dei due libri, che credevo di
averti mandato chi sa da quanto tempo. Mi restava il dubbio che una terza copia, oltre alle due ritrovate, te l’avessi
mandata: ma poi è venuta fuori la copia corretta di ‘Morte
dell’inquisitore’. Ho preferito, tuttavia, non scrivertene, con1. 18 settembre 1964 (AL/L).
2. 21 settembre 1964 (AL/L, copia).
3. 6 marzo 1965 (AL/L, copia).
4. Come risulta dalla lettera di Sciascia dell’8 marzo 1965 (AL/L) e dalla risposta di Laterza del 13 marzo (AL/L, copia).
5. Lettera del 5 aprile (AL/L, copia), dove l’editore conferma l’idea di
far uscire il volume all’inizio dell’estate.
6. 17 novembre 1966 (AL/L, copia).
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note ai testi
siderando che tu potevi anche aver rinunciato al proposito
della ristampa.
Mi dispiace molto, e ti prego di scusarmi. Sono uno smemorato.
Ti dirò che la prefazione, a rileggerla dopo tanti mesi, non
mi convince più. Forse conviene una semplice avvertenza, mentre ‘Morte dell’inquisitore’ verrebbe ad avere correzioni ed aggiunte; le quali correzioni ed aggiunte, e più quelle che vorrei
ancora fare, ché non ho perduto la speranza di trovare nuovi
documenti (e proprio oggi ho commissionato per telefono a
una libreria antiquaria di Palermo un manoscritto di Agostino
Gallo, dei primi dell’ottocento, tutto di appunti sulla storia
dell’Inquisizione in Sicilia), forse hanno agito a farmi dimenticare l’impegno che avevo con te. ‘Morte dell’Inquisitore’ sarà
per me, $ntanto che non avrò trovato un documento risolutivo,
un libro non $nito: e dunque il solo, tra i miei, che veramente
mi interessa.
In conclusione: poiché ti ho fatto aspettare più di un anno, ti
prego di aspettare ancora qualche giorno.1
Da quel momento l’iter si snoda celermente: il 30 gennaio 1967 Laterza annuncia l’inizio della composizione del
volume e ribadisce la richiesta delle parti nuove;2 il 3 febbraio
Sciascia spedisce la « breve introduzione alla nuova edizione
dei due libri e copia di Morte dell’inquisitore con correzioni ed
aggiunte »,3 riservandosi di effettuare altri interventi sulle
bozze. Queste gli vengono inviate il 23 marzo dal redattore
Mario Santostasi, insieme con la richiesta di « una cartellina
(2000 battute scarse) di biogra$a »4 per la quarta di copertina e un titolo provvisorio. Sciascia si rifà vivo solo un mese
dopo:
scusami se $nora ho tenuto le bozze – ma ho la mania di non
rileggere le mie cose, e perciò le ho date da vedere ad altri. Io
ho corretto le note – il resto è stato sottolineato nei luoghi dove
ci sono errori (ma a quest’ora voi avete certo corretto tutto).
Il titolo mi ha tenuto in dubbio. Forse basterebbe Regalpetra
– e in quarta di copertina speci$care che si tratta dei due libri.
Per la copertina, mi piacerebbe ci fosse un disegno che ha
1. 21 novembre 1966 (AL/L).
2. AL, copia. La richiesta del 5 dicembre 1966 di ottenere il testo de$nitivo « se non prima delle feste, subito dopo » (AL/L, copia) non aveva
ricevuto riscontro.
3. AL/L.
4. AL/L, copia.
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le parrocchie di regalpetra
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fatto Guttuso per Morte dell’inquisitore – ci terrei tanto anzi. Sarà
possibile accontentarmi|1
In giugno il libro è stampato, con in copertina una fotogra$a dei tetti di un paese2 e il titolo Le parrocchie di Regalpetra:3 se Sciascia avesse esaminato anche le bozze delle
Parrocchie si sarebbe accorto che per la composizione tipogra$ca era stata utilizzata la prima edizione e non quella
del 1963, con la conseguente caduta del capitolo $nale La
neve, il Natale. Non solo: La67 presenta, rispetto alle edizioni
precedenti, una notevole quantità di varianti, che vanno
tuttavia ascritte alla Redazione.4 D’altronde, l’Avvertenza
a La67 si chiude con un’affermazione inequivocabile, che
va presa – almeno rispetto alle intenzioni dell’autore – alla
lettera:
Non ho mutato nulla nelle Parrocchie : e non avevo del resto,
né soggettivamente né oggettivamente, ragione alcuna per mutare qualcosa. Il che, soggettivamente, può essere una presunzione; ma oggettivamente, per l’immutata realtà del paese, è una
tragedia.5
I mutamenti ci sono, invece, e sono talvolta palesi errori, come nella frase « il viaggio in prima classe getta il discredito sulla democrazia parlamentare » di La67 47, resa
1. 20 aprile 1967 (AL/L).
2. Sciascia aveva tentato $no all’ultimo di far riprodurre il disegno di
Guttuso raf$gurante il momento dell’uccisione di monsignor de Cisneros, dopo il diniego di Laterza del 15 maggio 1967 (« non lo credo utilizzabile nel nostro caso, perché illustreremmo la morte dell’inquisitore
mentre per titolo diamo Le parrocchie di Regalpetra; e perché, come vedrai dalla riduzione, il disegno risulterebbe poco leggibile »; AL/L, copia), argomentando sottilmente il 18 maggio: « mi dispiace che il disegno di Guttuso non vada sulla copertina, ci tenevo molto. Non è proprio possibile| Per il fatto che raf$guri la morte dell’inquisitore e non le
parrocchie, ritengo anzi ci sia un certo senso ad usarlo: il secondo è nel
titolo, il primo è nel disegno. In quanto alla leggibilità, non mi pare sia
venuto male, nella riduzione che mi hai mandato. Insomma: mi faresti
un gran piacere, a metterlo » (AL/L).
3. Il titolo dell’altro libro contenuto nel volume è speci$cato nel frontespizio: Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra. Morte dell’inquisitore, cit.
(= La67).
4. La circostanza ha condizionato in negativo la fruizione del libro, perché il testo di La67 non solo è stato più volte ristampato nell’« Universale
Laterza », ma è stato assunto sia da OB I, pp. 1-170 (dove tuttavia si recupera il capitolo $nale), sia, di conseguenza, dall’edizione Adelphi del
1991 (= Ade91).
5. La67 8.
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note ai testi
insensata dall’omissione di una speci$cazione: « il viaggio
in prima classe dei deputati getta il discredito sulla democrazia parlamentare », come si legge in La56 e La63 48 (qui
p. 50).
Altre omissioni rendono il testo meno perspicuo:
95 il parroco di san Rocco, per esempio, fa suo il numero di
un candidato La56 e La63 100 il parroco di san Rocco, per esempio, fa il numero di un candidato La67 90 117 hanno faticato e soffocato e sofferto La56 e La63 127
hanno faticato e
sofferto La67 112 121 quell’uomo aveva davvero i c... così (fa un
cerchio con le mani La56 e La63 131 quell’uomo aveva davvero
i c... (fa un cerchio con le mani La67 115 123 se non ascoltava
i miei consigli era perché non poteva, perché era fatto così,
perché la povertà La56 e La63 134 se non ascoltava i miei consigli era perché la povertà La67 117 126 Ai discorsi che si fanno al circolo La56 e La63 137 Ai discorsi che fanno al circolo
La67 120
oppure meno pregnante:
62 voi forse che sapete scrivere| La56 e La63 62
voi forse
67
sapete scrivere| La 58 114 per dire di guadagno sicuro La56
e La63 123 per dire guadagno sicuro La67 108 155 l’onorevole Fanfani è qui La56 173 e La63 171 l’onorevole è qui La67
147.
Analogamente, il cambio di persona verbale rende incomprensibile l’accusa rivolta « a noi maestri »:
114 i contadini dicono che mangiamo a tradimento la cruscata
La56 e La63 123 i contadini dicono che mangiano a tradimento
la cruscata La67 108.
La nuova edizione si segnala inoltre per la normalizzazione linguistica di forme legittime e perfettamente in linea
con l’uso dell’autore:
78 denuncie La56 e La63 80
denunce La67 73 83 contradanza La56 e La63 86
contraddanza La67 78 97 son persone
56
63
La e La 103
sono persone La67 92 104 strisciette La56 e
63
La 111 striscette La67 98.
L’intervento normalizzatore interessa anche termini stranieri, come « behavior » di La56 e La63 85 (qui p. 82), forma
statunitense corretta nel più ‘inglese’ « behaviour » in La67 77;
o come, sempre nella stessa pagina, « Velasquez », gra$a
d’autore corretta, ma in modo approssimativo, in « Ve-
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le parrocchie di regalpetra
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lazquez ».1 L’emendazione, sulla base dell’etimo – l’inventore è Paul Decauville –, di « carrelli alla decouville » (La56 147
e La63 145; qui p. 132) in « carrelli alla decauville » (La67 126)
cancella poi il parallelismo con un brano della tesi di laurea
sulle malattie professionali dei salinari di Nicolò La Rocca,
che parla di gallerie « fornite di binari per carrelli alla Decouville per il trasporto del minerale ».2
Questi interventi redazionali, e un’altra decina di cui per
economia si omette la menzione, inducono a scegliere – per
la parte comune, dichiarata, come s’è visto sopra (p. 1266),
identica alla princeps del 1956 – La63 come base per la presente edizione. Se ne assume dunque il testo con alcune emendazioni:
a ) La56 e La63 50 damigiane di | olio [e quindi « damigiane di
olio » in La67 48] damigiane d’olio (qui p. 51, in base a
NC 214)
b ) La56 e La63 52 ante- | marcia [diventato « ante-marcia » in
La67 50] antemarcia (qui p. 53, in base a NC 216)
c ) La56 e La63 71 cinquanta | anni prima
cinquant’anni
prima (qui p. 70, come in La67 65)
d ) La63 72 core di Alboino corte di Alboino (qui p. 72, in
base a La56 72)
e ) La56 e La63 98 Peron Perón (qui p. 92, come in La67 87)
f ) La63 115 poi ha già avuto i soldi
e poi ha già avuto i
56
soldi (qui p. 107, in base a La 115)
g ) La63 128 ne hanno le spese
ne fanno le spese (qui p.
118, in base a NA 128 e La56 128)
h ) La63 144 al servizio de al servicio de (qui p. 131, in base a
La56 146)
i ) La63 167 cu non avi cu nun avi (qui p. 151, in base a La56
169)
j ) La63 177 a baccagliu
a baccagliu (qui p. 160, in base a
56
La 179)
k ) La63 181 tutti fannulloni vanno coi comunisti
tutti i
fannulloni vanno coi comunisti (qui p. 163, in base a La56
183)
l ) La63 192 potrebbe andare a lascia o raddoppia potreb1. La forma di La67, riprodotta in OB I, p. 76, è ulteriormente corretta in
« Velázquez » in Ade91 92; la gra$a con -s- ha anche due occorrenze nel
Contesto (OA I, pp. 695 e 696).
2. Nicolò La Rocca, « Il sale sulla piaga ». Le malattie dei lavoratori del salgemma, con una Nota di Leonardo Sciascia, Malgrado tutto, Racalmuto, 1995, p. 20, su cui si veda anche OA I, p. 1786, nota 1. La forma decouville ha una certa circolazione: la si trova anche nel libro postumo di
Elio Vittorini, Le città del mondo, Einaudi, Torino, 1969, p. 145.
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note ai testi
be andare a lascia o raddoppia (qui p. 173, in base a TP3
55a, dove l’espressione è tra virgolette basse)
m ) TP3 55a e La63 193 sul sagrato della matrice sul sagrato
della Matrice (qui p. 173, per uniformità con le altre otto
occorrenze – qui pp. 15, 64, 90, 92, 96, 123, 130, 175).
Inserisco in$ne lo stacco dopo « al di fuori del tempo umano, lontana. » (qui p. 170), giusto in TP3 53b, considerato
il cambio d’argomento, sebbene in La63 189 il testo prosegua
senza alcuna spaziatura.
Si mantiene invece a testo la concordanza al maschile di
rubato nel brano di dialogo « gliele hanno rubato le pecore| » (qui p. 37), come in La56 e La63 33, laddove La67 34 ha
un più canonico « gliele hanno rubate le pecore| », da attribuire all’azione normalizzatrice della Redazione laterziana.
un colpo di penna per cambiare le cose
È dif$cile sottovalutare l’importanza delle Parrocchie di Regalpetra nell’opera di Sciascia; e d’altronde tale rilevanza è
stata ampiamente sottolineata negli studi.1 L’autore stesso
non mancò di metterne in evidenza il valore, in particolare
nell’Avvertenza all’edizione del 1967: « È stato detto che nelle Parrocchie di Regalpetra sono contenuti tutti i temi che ho
poi, in altri libri, variamente svolto. E l’ho detto anch’io ...
Tutti i miei libri in effetti ne fanno uno. Un libro sulla Sicilia
che tocca i punti dolenti del passato e del presente e che
viene ad articolarsi come la storia di una continua scon$tta
della ragione e di coloro che nella scon$tta furono personalmente travolti e annientati ».2
Questo testo introduttivo è tanto pregnante quanto noto,3
1. Basti il rinvio al capitolo dedicato al libro in Ambroise, Invito alla lettura di Sciascia, pp. 62-77. Si vedano anche Onofri, Storia di Sciascia, pp.
38-56, e Traina, Leonardo Sciascia, pp. 166-70.
2. La67 6-7. La valutazione è costante: ancora nell’intervista radiofonica
curata da Marco Horat per la Radio della Svizzera italiana e mandata in
onda il 23 maggio 1988, Sciascia dichiarò: « Io credo che praticamente
ho scritto come una prefazione a tutti i miei libri, che è Le Parrocchie di
Regalpetra: e poi vengono tutti gli altri come fossero uno solo » (ora in
Troppo poco pazzi, p. 137).
3. Oltre che in La67 5-8, si legge in OB I, pp. 3-6; la parte relativa alle
Parrocchie è riprodotta in Ade91 9-11, quella riguardante Morte dell’inquisitore nell’edizione Adelphi del 1992, alle pp. 7-9.
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le parrocchie di regalpetra
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e peraltro ampiamente citato in queste Note; meno conosciuta è un’altra autovalutazione, stesa nel marzo 1956 per
« Cultura Moderna », la rassegna periodica delle attività e
delle iniziative della Laterza. La presentazione è in forma di
lettera all’editore – « È una piccola cosa, » gli scrive nella lettera d’accompagnamento « ma non sono riuscito a fare di
più: sono arrivato ieri. Né ho potuto trovare fotogra$e » –,1 e
vi si coglie bene il valore di « buona azione » che Sciascia attribuiva allora alla sua attività di scrittore, di colpo di penna
à la Paul-Louis Courier:2
... il libro è arrivato anche a Regalpetra. Ieri, uscendo di casa,
come al solito sono andato a fermarmi davanti alla vetrina
dell’unica libreria, sempre ci sono le novità della BMM e della
BUR, qualche « giallo » e le dispense di un interminabile romanzo di banditismo e di familiare pietà; stavolta c’erano invece due $le delle « Parrocchie di Regalpetra »; con precipitazione ho voltato le spalle alla vetrina e son corso sull’opposto marciapiede, vedendomi davanti alla vetrina i miei amici avrebbero
pensato che io mi ci specchiassi di soddisfazione e vanità, qui
bisogna fare attenzione a queste cose. Poi, come al solito passeggiando su e giù per il corso, facevo attenzione a non fermare
gli occhi sulla vetrina quando vi passavo davanti.
Ma tutti parlavano del libro. Al circolo della Concordia ne avevano già acquistata una copia, un capitolo (e proprio quello
che riguarda il circolo) era stato letto nella sala di conversazione: sicché era cominciato l’ilare giuoco dell’individuazione, e al
giuoco ci stavano tutti, nessuno prese in malaparte la cosa –
questo sono io, questo sei tu, questo è il tizio. Il signor B. si riconobbe in don Carmelo Mormino. Don Calogero L. in don Ferdinando Trupia.
Il signor B. e don Calogero L., scorgendomi da lontano, vennero a congratularsi con cordiali effusioni. « Bravo » mi disse il
signor B. « bravo davvero: non ti sei scordato niente, ci siamo
dentro tutti, io poi... ». Protestai che era tutta una mia fantasia,
niente di vero c’era nel libro, accidentale ogni riferimento.
« Senti » mi disse il signor B. « a me piace dire pane al pane e
vino al vino: io nel libro ci sono, preciso preciso, come mi fossi
guardato allo specchio ».
Don Calogero L. aggiunse « certo qualche cosa non corrisponde, ma don Ferdinando Trupia sono io, quant’è vero Cristo ».
1. 24 marzo 1956 (AL).
2. Sul concetto di letteratura « come buona azione », si veda OA I, p.
1787 e nota 4.
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note ai testi
Non sapevo che dire, restai a sorridere con imbarazzo. Di
nuovo mi strinsero la mano augurandomi successo.
Poi ne incontrai altri, tutti mi sorridevano con un ammicco
di intesa di complicità. Il paese intero sfuggiva dentro una dimensione di pura fantasia, mi sentivo mancare il terreno sotto i
piedi. E, a parte questo pirandelliano smarrimento, ho pensato
che debbo qualcosa ancora a Regalpetra: forse un altro libro.
Il cameriere del circolo mi liberò dall’imprevedibile disagio.
Mi disse che gli avevano letto il capitolo sui salinari, il salinaro
morto di cui nel capitolo si parla era suo cognato, mi disse che
avrebbe comprato il libro per conservarlo al bambino che suo
cognato aveva lasciato « quando sarà grande lo leggerà » disse.
Era commosso. Dissi che il libro glielo avrei regalato, lui dovrebbe lavorare due giorni per pagarselo.
Mi commuove il pensiero di questo mio libro che un bambino che oggi ha tre anni, più tardi, quando a scuola gli avranno
insegnato a leggere, leggerà per ricordarsi di suo padre, del lavoro che suo padre faceva e di come è morto. E mi auguro che
per tutti i bambini come lui ci sia un migliore avvenire di dignità e di giustizia.
E, dopotutto, anche un libro può servire a qualcosa...1
Un altro episodio rilevante della prima fortuna del libro
coinvolge Pier Paolo Pasolini, il quale dopo aver espresso in
privato il proprio entusiasmo:
ti ringrazio per il tuo bellissimo libro: ma veramente bellissimo. Non solo mi è piaciuto del piacere normale che danno le
opere riuscite e necessarie, ma ha aumentato ancora, ed era già
molta, la simpatia che avevo per te, $no a un vero, forte e commosso, senso di fraternità. Come sono rari i cuori come il tuo...
Auguro al tuo libro la migliore fortuna: ma già vedo che si accinge ad averla...2
scrive del libro in quello stesso 1956 in un articolo ricordato
da Sciascia nell’Avvertenza del 1967:
debbo confessare che proprio sugli scrittori « rondisti » – Savarese, Cecchi, Barilli – ho imparato a scrivere. E per quanto i
miei intendimenti siano maturati in tutt’altra direzione, anche
intimamente restano in me tracce di un tale esercizio. E appunto parlando delle Parrocchie, Pasolini acutamente notava che « la
ricerca documentaria e addirittura la denuncia si concretano in
forme ipotattiche, sia pure semplici e lucide: forme che non
1. Leonardo Sciascia, Una lettera da Regalpetra, in « Cultura Moderna »,
23, aprile 1956, s.p.
2. 31 marzo 1956 (si cita da Pasolini, Lettere 1955-1975, p. 183).
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le parrocchie di regalpetra
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soltanto ordinano il conoscibile razionalmente (e $no a questo
punto la richiesta marxista del nazionale-popolare è osservata)
ma anche squisitamente: sopravvivendo in tale saggismo il tipo
stilistico della prosa d’arte, del capitolo ». Il che, forse a maggior
ragione, si potrebbe ripetere per un libro come Il consiglio d’Egitto.1
1. La67 6. L’articolo pasoliniano (La confusione degli stili, in « Ulisse », X,
24-25, autunno-inverno 1956, pp. 998-1009) è stato poi raccolto in Pier
Paolo Pasolini, Passione e ideologia (1948-1958), Garzanti, Milano, 1960,
ora in Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di Walter Siti e Silvia De
Laude, Mondadori, Milano, 1999, vol. I, pp. 1070-88 (la citazione è a
p. 1082).
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MORTE DELL’INQUISITORE
Il libro viene pubblicato nel 1964 presso Laterza nella collana « Libri del tempo » (n. 84) e ristampato nel 1967 nella
« Universale Laterza » (n. 62), insieme con Le parrocchie di
Regalpetra (testo alle pp. 159-233). L’edizione Adelphi, nella
collana « Piccola Biblioteca Adelphi » (n. 279), è del 1992;
incluso in OB I, pp. 643-716.
un’appendice alle « parrocchie »
Nel maggio del 1963 Sciascia è ormai uno scrittore affermato. Con Il Consiglio d’Egitto da alcuni mesi in libreria, assiste al Quirino di Roma alla riduzione teatrale del Giorno della
civetta curata da Giancarlo Sbragia: nel corso dell’intervista
che rilascia al termine dello spettacolo, la domanda sul nuovo romanzo in cantiere giunge inevitabile:
No; ho deciso di tornare, almeno momentaneamente, alla saggistica e sto preparando uno studio storico sulla $gura dell’« eretico » Diego La Matina, un mio concittadino di Racalmuto, che
nel 1658 uccise a Palermo l’inquisitore che lo interrogava e fu
quindi a sua volta giustiziato. Non è tanto la vicenda che m’interessa, quanto la $gura stupenda di Diego La Matina.1
1. Sciascia: dopo l’impostura l’eresia, intervista a cura di Giorgio Frasca Polara, in « l’Unità », 15 maggio 1963, p. 6.
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morte dell’inquisitore
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La notizia non sfugge a Vito Laterza, che alcuni mesi dopo, il 21 ottobre, dopo aver commentato con soddisfazione
il buon successo di vendite della seconda edizione delle Parrocchie di Regalpetra, soggiunge: « proprio non mi rassegno a
restare l’editore di questo Suo libro soltanto: a quando il libro sulla ma$a| e questa storia di Diego La Matina non sarebbe adatta ai nostri tipi| »,1 trovando il suo interlocutore
pronto a raccogliere la proposta:
pensavo appunto di proporre a Lei la pubblicazione del mio
saggio su Diego La Matina: anche perché, in effetti, è una specie di appendice alle ‘Parrocchie’. Ma volevo, prima, sistemare
la cosa con Einaudi: non solo sul piano dell’amicizia, ma anche
su quello contrattuale. Perché la mia distrazione, il mio vizio di
$rmare i contratti senza leggerli, mi ha giuocato uno scherzo:
nel contratto $rmato per ‘Il consiglio d’Egitto’ la clausola che
riguarda l’opzione dell’editore sui miei lavori futuri non è stata,
come altre volte, corretta e limitata alle sole cose narrative. So
che una simile opzione non ha poi un vero peso legale: ma è
meglio risolvere la cosa in modo amichevole.2
Ne scrive dunque, quello stesso 25 ottobre, a Giulio Bollati:
ho lavorato in questi ultimi tempi a un saggio storico su un
eretico del mio paese: e ne è venuto fuori una specie di appendice alle ‘Parrocchie di Regalpetra’. Per questo, oltre che per
ragioni di amicizia, di affetto, sarebbe mio desiderio pubblicare
questo libretto da Laterza: ma, si capisce, senza dispiacervi.
Pensavo, $no a quando sono venuto recentemente a Torino,
di proporvelo per la collana dei ‘Saggi’; e ne ho parlato a Calvino e a Ponchiroli. Ma ora vedo che per mole e per contenuto
meglio si adatta a far seguito alle ‘Parrocchie’.
Aspetto, comunque, una tua risposta.3
Un mese dopo il saggio è pressoché ultimato e, di fronte
al silenzio degli einaudiani, si vede costretto a reiterare la
richiesta: ne informa Vito Laterza, pre$gurando fra l’altro la
possibile collocazione editoriale del libro:
Da Einaudi non ho avuto $nora risposta alla mia lettera: e
1. AL/L, copia. La storia editoriale di Morte dell’inquisitore è già stata
tracciata da Lombardo, Il critico collaterale, pp. 42-48, e da La Mendola,
La scrittura delle idee, pp. 187-89.
2. 25 ottobre 1963 (AL/L).
3. AE/C.
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note ai testi
per raccomandata torno oggi a scrivergli del mio proposito di
pubblicare con Lei il saggio che sto ultimando.
Avrei potuto attendere che Lei accettasse formalmente, dopo averlo letto e giudicato, il mio lavoro: ma mi è parso più leale
farlo prima.
Quando Lei lo avrà letto, forse troverà qualche dif$coltà a
collocarlo: benché in un certo senso si collega alle ‘Parrocchie’,
non può andare nei libri del tempo, ritengo; e anche se è un saggio storico, per il fatto che io non sono uno storico non so se
può andare nella biblioteca di cultura moderna. Certo, quest’ultima soluzione mi piacerebbe. Ma vedrà Lei.1
E dopo avere avvisato, sempre il 21 novembre, Daniele
Ponchiroli (che, fermo alla risoluzione precedente, alcune
settimane prima gli aveva chiesto di inviargli il saggio),2 si
rivolge direttamente a Giulio Einaudi, con argomenti affatto simili a quelli già usati con Bollati:
ho lavorato recentemente ad un saggio su un eretico del
’600, mio concittadino: e ne è venuta fuori una specie di appendice alle ‘Parrocchie di Regalpetra’. Per questa ragione, e per
altre di amicizia e di affetto, desidererei pubblicare questo libretto da Laterza: e in questo senso ho scritto già a Bollati, ma
senza ottenere risposta.
Io spero che a Lei questo mio proposito non dispiaccia: è da
tempo che debbo un libro a Laterza, e questa mi pare l’occasione buona per assolvere il mio vecchio impegno.3
Annunciata da un Ponchiroli sottilmente ironico (« Non
ti nascondo che ci spiace un po’ lasciarcelo scappare, ma se
il tuo desiderio è come hai detto, sia fatta la tua volontà »),4
arriva la « risposta “uf$ciale” » di Bollati:
scusami se ti rispondo in ritardo. Ho voluto sottoporre la tua
richiesta a Einaudi, e non è stato facile indurlo a pronunciarsi a
favore, geloso com’è di tutto quello che scrivono i « suoi » autori. Ma le ragioni sentimentali e pratiche addotte da te e il desiderio di farti piacere hanno vinto. Quindi nihil obstat per la
pubblicazione presso Laterza del tuo saggio sull’eretico.5
1. 21 novembre 1963 (AL/L). Laterza risponde il 26 novembre: « Appena avrà avuto notizie di Einaudi, me ne informi e mi mandi il libro appena può: sono tanto desideroso di leggerlo » (AL/L, copia).
2. Lettera del 28 ottobre 1963 (AE/C, copia).
3. 21 novembre 1963 (AE/C).
4. 25 novembre 1963 (AE/C, copia).
5. 25 novembre 1963 (FLS; AE/C, copia).
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morte dell’inquisitore
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Ma Einaudi subordina il suo placet al chiarimento di un
dubbio: « credo di capire » scrive a Sciascia il 26 novembre « i
motivi psicologici e sentimentali della Sua richiesta e non avrei dif$coltà a favorirLa. Desidererei soltanto sapere se il
Suo saggio sarebbe destinato a fare concretamente da appendice ad una nuova edizione riveduta e aumentata della
Parrocchia di Regalpetra o se $nirebbe per essere un volume a
sé, pubblicato cioè a parte, che solo idealmente potrebbe
costituire un seguito delle Parrocchie ».1
La replica, datata 2 dicembre, è puntuale:
il saggio che desidererei pubblicare da Laterza, anche se breve (una cinquantina di cartelle, a parte le note), non andrebbe
in una nuova edizione delle ‘parrocchie’, ma in un volumetto a
parte, e credo in altra collana. Io ne parlo come di una appendice a quell’altro mio libro, in quanto dà un quadro delle condizioni dello stesso paese nel secolo XVII.
Pubblicandolo da Laterza, io vengo ad assolvere un debito
(non contrattuale, ma di amicizia) che ho sempre avuto presente: come Lei può constatare dai nostri contratti, in cui sempre
ho chiesto venisse corretta la clausola dell’opzione; ma me ne
sono dimenticato in quello $rmato a Torino per ‘Il consiglio
d’Egitto’. Ma in ogni caso io avrei chiesto il Suo consenso, come
ora ho fatto.2
Convinto dai « gentili chiarimenti », Einaudi concede tre
giorni dopo la liberatoria.3 Ma a Sciascia erano bastate le
lettere di Bollati e Ponchiroli, tanto che il 30 novembre aveva scritto a Laterza:
ho avuto $nalmente dall’Archivio di Madrid la risposta che
aspettavo per « chiudere » il mio saggio; e da Einaudi il consenso. E poi, ora sono $nalmente in grado di muovermi; e dunque
conto di mandarLe al più presto il manoscritto (e le fotogra$e
– poche – che mi piacerebbe vedere nel libro). Lei giudicherà,
inutile dirlo, liberamente – ma spero proprio che il saggio Le
piaccia.4
1. AE/C, copia. Il dubbio aveva già spinto Einaudi a vergare un punto
interrogativo sul margine della lettera inviatagli da Sciascia il 21 novembre, in corrispondenza delle parole in cui il saggio veniva de$nito « una
specie di appendice alle ‘Parrocchie di Regalpetra’ ».
2. AE/C.
3. 5 dicembre 1963 (AL, copia).
4. AL/L.
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note ai testi
Il lavoro si protrae ancora per un mese, per lo più dedicato alla stesura delle note,1 e si conclude il 4 gennaio 1964:
Le mando, $nalmente completo, il mio scritto sull’eretico fra
Diego. Giudichi Lei; e, se crede e se è possibile, faccia giudicare
qualcuno che in fatto di eresie e inquisizione ha più competenza di noi (poiché a me qualche grave dubbio, su certe affermazioni cui mi sono lasciato andare, resta).
Se il saggio Le pare che vada bene, Le manderò alcune fotogra$e che ci terrei lo accompagnassero.2
Laterza ignora il consiglio e manda subito il dattiloscritto
in tipogra$a:
Le confermo l’interesse grandissimo col quale ho letto il Suo
libro, che è già in composizione.
La settimana entrante riceverà le bozze che La prego di leggere e ritornarmi con rapidità, poiché in questi giorni annuncio l’uscita del libro ai primi giorni di marzo.
Per questa stessa ragione Le ho chiesto ieri con urgenza le
fotogra$e, per clichettarle e trarne un elemento adatto alla sovracoperta.
Le sarei molto grato se intanto mi mandasse anche una traccia per il risvolto: servirà, oltretutto, a metterci subito d’accordo
sul tipo di presentazione e lancio del libro.3
Come di consuetudine, Sciascia si occupa con passione
dell’apparato illustrativo del volume:
Le mando 6 fotogra$e e la riproduzione di una bellissima
stampa che rappresenta un Atto di fede celebrato in Palermo
(precisamente quello del 1724). Da questa si possono trarre,
ritengo, due parti: il palazzo dello Steri, da cui la processione
parte, e il piano della cattedrale, dove arriva; ma si può anche
tirar fuori quella parte in cui sono i rei (quelli con la mitra in
testa). Veda Lei, insomma. Se poi mi manda la prova dei clichés
cavati dalla riproduzione, scriverò didascalie precise.4
1. « Le invierò subito dopo le feste il manoscritto: mi sto dedicando alle
note » si legge in una cartolina illustrata del 15 dicembre 1963 (AL/L).
2. AL/L.
3. 17 gennaio 1964 (AL/L, copia).
4. 19 gennaio 1964 (AL/L). « La stampa verrà riprodotta per intero, sul
lato interno del pieghevole cartonato della copertina, che a sua volta
sarà illustrata proprio con un adattamento gra$co del particolare relativo ai rei suggerito dallo stesso Sciascia » (Lombardo, L’immagine come
soglia, p. 290). La copertina è riprodotta in « Todomodo », I (2011), $g.
12, il pieghevole in « Todomodo », III (2013), $g. 3.
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morte dell’inquisitore
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Ricevute le fotogra$e, il 22 gennaio Laterza de$nisce vari
aspetti del lavoro e precisa la scelta della collana:
Il libro lo pubblicheremo nei « Libri del tempo », poiché nella B.C.M. avrebbe certamente una destinazione ed una fortuna
molto minori: il lettore qui si aspetta letture gravi e impegnative, mentre il Suo saggio su La Matina si legge d’un $ato anche
se con pro$tto maggiore di una grossa ricerca storico-erudita.
In questo momento mi portano dalla tipogra$a le bozze: gliele faccio subito spedire in doppia copia. Me le ritorni al più
presto che può, così avrò anche il tempo di farLe vedere l’impaginato, che svilupperà certo più di cento pagine.1
Nel mese di febbraio Sciascia continua a lavorare sulle
bozze, di cui gli vengono presumibilmente sottoposti più
giri:
sono morti$cato: non solo perché ho trattenuto le bozze per
tre giorni, ma anche perché mi sono trovato costretto ad aggiungere qua e là qualcosa e un intero capitoletto. Ma non potevo farne a meno: un lavoro simile è come un’indagine poliziesca, indizi che prima si trascurano ad un certo punto assumono
risalto imprevisto.
D’altra parte, ho avuto cura di non portare sconvolgimento
nella composizione già fatta.
Certo, ora mi piacerebbe vedere di nuovo le bozze (le ultime): e Le prometto che non farò la più lieve modi$ca al testo e
che le restituirò in giornata.2
Alla $ne del mese il volume esce dalla tipogra$a.3 Poiché
oggi risultano irreperibili sia il dattiloscritto originario, sia le
bozze di stampa, non sono in grado di stabilire se Sciascia
abbia accolto il suggerimento che Laterza aveva af$dato alla
lettera di risposta: « Rivedendo le bozze consideri se sia il
caso di lasciare nel nuovo capitoletto l’ultimo periodo. Non
è che non mi piaccia, ma non potrebbe risultare di un pessimismo troppo amaro| ».4 Quel che è certo è che il nuovo lavoro rafforza in Sciascia la stima e l’affezione per l’editore
barese, che esce vincente dal confronto con Giulio Einaudi:
spesso, con franchezza, io ho detto da Einaudi, ogni volta che
ci sono stato anzi, che Laterza è il mio editore « naturale »: per
1. AL/L, copia.
2. 12 febbraio 1964 (AL/L).
3. Leonardo Sciascia, Morte dell’inquisitore, Laterza, Bari, 1964 (= La64),
che risulta ‘$nito di stampare’ il 28 febbraio 1964.
4. 15 febbraio 1964 (AL/L, copia).
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note ai testi
la geogra$a, per la tradizione, per il rapporto personale e di
collaborazione che si è tra noi stabilito (io ricordo sempre
quanto Lei mi abbia aiutato per ‘Le parrocchie’: a scriverle, a
darle forma). Einaudi è invece irraggiungibile, dietro le sue
barriere burocratiche (e di burocrazia che non ha nemmeno il
merito di essere ordinata): e Lei può immaginare quanto ciò sia
irritante per un meridionale come me, abituato a risolvere tutto
nel rapporto personale, di amicizia. Non voglio dire, con ciò,
che Einaudi non sia stato, tutto sommato, un buon editore né
che non mi senta in qualche modo legato a lui; ma i rapporti
che io ritengo di avere con la Casa Laterza e con Lei sono diversi. E senz’altro penso di darLe altri libri.1
nelle celle dell’inquisizione
Intrecciata com’è con quella delle Parrocchie di Regalpetra,
la storia della seconda edizione di Morte dell’inquisitore è stata
già delineata nella Nota relativa a quel libro.2 Qui basti ribadire che, mentre le Parrocchie vengono lasciate intenzionalmente intatte da un’edizione all’altra, sin dal settembre 1964,
dunque pochi mesi dopo la pubblicazione del nuovo libro,
Sciascia manifesta l’esigenza di intervenire sul racconto della vicenda di Diego La Matina:
la cosa che sopratutto mi preme, nell’eventuale ristampa
dell’Inquisitore, è di saperlo con un certo anticipo: ho tante cose
da correggere e da aggiungere (pensa che allo Steri ci sono altre tre camere, coperte dei graf$ti dei prigionieri, di cui inspiegabilmente Pitrè non si accorse: e andrò ora a vedermele).3
Le visite al palazzo avvennero in modo clandestino, come
Sciascia racconterà anni dopo:
Vi fervevano i lavori di restauro, l’ingresso era vietato a tutti,
anche a coloro che per motivi professionali, di studio, ne facevano richiesta. Ma Giuseppe Quatriglio aveva scoperto il modo
di introdursi nel palazzo, nei giorni in cui i lavori si sospendevano, e generosamente me lo indicò. Ci andai più volte: prima
1. 4 febbraio 1964 (AL/L). « La ringrazio » risponde Laterza « della Sua
lettera tanto affettuosa: non posso nasconderLe che mi ha riempito di
vera gioia sentire nelle Sue parole tanta amicizia e simpatia » (11 febbraio
1964; AL/L, copia).
2. Si veda sopra, pp. 1266-69.
3. 18 settembre 1964 (AL/L).
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morte dell’inquisitore
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con Ferdinando Scianna e poi con un giovane dello studio Labruzzo, che appassionatamente si adoperarono a fotografare,
in dif$cili condizioni di luce e senza quelle attrezzature che la
clandestinità ci impediva di portare, ogni spazio in cui fosse una
scritta, un disegno. Una volta ci tornai con Salvatore Battaglia: e
furono ore per me indimenticabili, a sentire da lui le immediate e commosse considerazioni che fece su quelle cose, sull’Inquisizione, sulla storia della Sicilia e della Spagna.1
Nasce da quell’esperienza un articolo2 che, confluito nel
volume laterziano del 1967,3 costituisce la principale novità
della nuova edizione, come d’altronde si legge nell’Avvertenza:
Mi resta da dire che ho apportato qualche correzione a Morte
dell’Inquisitore, giovandomi di suggerimenti che generosamente
qualche lettore mi ha dato, e ho aggiunto in nota un articolo su
un recente ritrovamento nel palermitano palazzo dello Steri,
che fu sede dell’Inquisizione.4
Le numerose aggiunte e correzioni annunciate nella citata lettera del 18 settembre 1964 non vennero poi attuate;
vanno invece segnalate la soppressione di un didascalico indugio sul giuramento di Pellegrina Vitello:
213 certamente pronunciò senza malizia quel giuramento,
effettivamente augurando a sua signoria una vita tanto lunga
quanto vera e stupefatta era l’innocenza che lei nel tormento
gridava: ma nel suo inconscio La64 50 certamente pronunciò
senza malizia quel giuramento, ma nel suo inconscio La67 1955
l’emendazione di un’evidente incongruenza (era datata al
1657 la prima edizione di un libro dedicato a un evento avvenuto l’anno successivo):
246 La prima edizione, intitolata Racconto dell’Atto ecc. è del
1. Graf$ti e disegni dei prigionieri dell’Inquisizione, con una Nota di Leonardo Sciascia, Sellerio, Palermo, 1977, pp. 6-7; anche in Giuseppe Pitrè e
Leonardo Sciascia, Urla senza suono. Graf$ti e disegni dei prigionieri dell’Inquisizione, Sellerio, Palermo, 1999, p. 20.
2. Leonardo Sciascia, Due pittori in catene, in « La Fiera Letteraria », N.S.,
XIX, 40, 22 novembre 1964, p. 4; poi anche in Graf$ti e disegni dei prigionieri, cit., pp. 3-7, e in Pitrè - Sciascia, Urla senza suono, cit., pp. 11-22.
3. Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra. Morte dell’inquisitore, cit., pp. 223-27
(sempre La67).
4. La67 8.
5. È fondata sul testo di La67 (attinto da OB I, pp. 679-80) l’acuta analisi
del passo condotta da Pupo, Narrare l’Inquisizione, p. 132.
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note ai testi
1657: è meno ricca La64 90 La prima edizione, intitolata Racconto dell’Atto ecc. è meno ricca La67 2281
e la correzione di « nastri carmesini » di La64 56 in « nastri
carmisini » di La67 199 (qui p. 218), in conformità con il « velluto carmisino » sia di La64 56 sia di La67 199 (qui p. 217). Per
il resto registro differenze meramente formali ed esigui interventi lessicali:
234 proprius La64 78 propius La67 216 235 intravvedere La64
79 intravedere La67 217 250 quantunque La64 95
quan67
tunche La 233.
L’abbandono, nei primi mesi del 1964, dello stato sacerdotale da parte di Gonzalo Álvarez García motiva il nuovo
assetto dei ringraziamenti $nali:
251 E in particolare ad Antonino Cremona, Enzo D’Alessandro, Romualdo Giuffrida, Giovanna Onorato, Michele Pardo,
Fernando Scianna, Giuseppe Troisi; a monsignor Giovanni Casuccio e ai sacerdoti Gonzalo Alvarez e Alfonso Di Giovanna
La64 98 E in particolare a Gonzalo Alvarez, Antonino Cremona, Enzo D’Alessandro, Romualdo Giuffrida, Giovanna Onorato, Michele Pardo, Fernando Scianna, Giuseppe Troisi; a monsignor Giovanni Casuccio e a monsignor Alfonso Di Giovanna
La67 233.
Poche varianti, quindi, in un libro che Sciascia considerava, unico fra i suoi, passibile di una riscrittura, e perciò il più
amato. Lo scrive nell’Avvertenza all’edizione del 1967:
Dirò subito che questo breve saggio o racconto, su un avvenimento e un personaggio quasi dimenticati della storia siciliana,
è la cosa che mi è più cara tra quelle che ho scritto e l’unica che
rileggo e su cui ancora mi arrovello. La ragione è che effettivamente è un libro non $nito, che non $nirò mai, che sono sempre tentato di riscrivere e che non riscrivo aspettando di scoprire ancora qualcosa: un nuovo documento, una nuova rivelazione che scatti dai documenti che già conosco, un qualche indizio
che mi accada magari di scoprire tra sonno e veglia, come succede al Maigret di Simenon quando è preso da un’inchiesta.2
1. Il riferimento è al volume Racconto dell’atto pubblico di fede celebrato in
Palermo a’ dicisette di marzo dell’anno che ancora dura. Scritto dal padre d. Girolamo Matranga chierico regolare palermitano quali$catore, e consultore del
Sant’Uf$cio in questo regno. D’ordine del Tribunale. Anno 1658, In Palermo
per Nicolò Bua, stampatore del Tribunale della Santa Inquisitione,
1658. La Relazione si legge in DCS III, pp. 47-86.
2. La67 7.
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morte dell’inquisitore
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E lo ribadisce negli anni successivi in varie interviste: nel
1968 addita il testo come quello che avrebbe voluto tramandare ai posteri;1 nel 1971 sottolinea di amarlo in quanto « libro non $nito, che io vorrei $nire, per trovare la chiave vera
e documentaria di questo eretico siciliano del ’600. Ritengo
sia effettivamente il migliore dei miei libri »;2 nel 1979 gli
af$anca un’altra inchiesta coinvolgente: « ci sono due libri
in tutta questa mia carriera, diciamo così, che invece mi hanno lasciato delle tracce. Uno sul piano puramente $lologico
direi, nel senso di ricerca, ed è Morte di un inquisitore... e l’altro è questo di Moro »,3 sinché, nel 1988, la preferenza cade
su un altro libro: « una volta preferivo Morte dell’inquisitore,
poi $no ad oggi preferisco La scomparsa di Majorana secondo la risonanza che il libro allora scritto ha nel momento attuale ».4
Per la presente edizione si adotta il testo di La67, con poche emendazioni, con le quali si ripristina il testo della princeps del 1964: « ai due libri già citati del La Mantia » è lezione
corretta di La64 93 (qui p. 249), laddove La67 231 legge per
un refuso « ai due libri già citati dal La Mantia »; inoltre « di
cui effettualmente tutto il popolo » di La64 27 (qui p. 196) va
preferito al « di cui effettivamente tutto il popolo » di La67
178, giacché l’avverbio, di ascendenza machiavelliana (nel
capitolo xv del Principe si parla di « verità effettuale della cosa » contrapposta « alla immaginazione di essa »), è di frequente impiego in Sciascia (e si presta facilmente alla banalizzazione).
Puramente formali gli altri interventi, quali l’adozione
dell’accento circonflesso in « terziarî », come in La64 56 (qui
p. 218), o il ripristino della virgola (come in La64) fra il luogo
e l’anno di pubblicazione dei volumi citati nelle note. Nelle
citazioni bibliogra$che si adotta sistematicamente l’indicazione abbreviata « vol. » anche là dove La64 e La67 usano la
forma piena « volume ».
1. Leonardo Sciascia, intervista del 1968 a cura di Michael Ricciardelli, in
« Forum Italicum », XXVII, 1-2, primavera-autunno 1993, p. 350.
2. La Sicilia dell’eresia, intervista a cura di Egidio Sterpa, in « La Fiera
Letteraria », XLVII, 21, 4 luglio 1971, p. 10.
3. Incontro con Leonardo Sciascia, intervista a cura di Enrico Deaglio e
Clemente Manenti, in « Lotta continua », 5 maggio 1979, p. 7; anche in
PVN, p. 174, e in SPSV, p. 288.
4. Così nella già menzionata intervista trasmessa il 23 maggio 1988 alla
Radio della Svizzera italiana (ora in Troppo poco pazzi, pp. 136-44; la citazione è a p. 137).
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ATTI RELATIVI ALLA MORTE
DI R AY MOND ROUSSEL
L’inchiesta viene pubblicata con il titolo L’affaire Roussel
in « Il Mondo », XXIII, 963-65, 14 marzo 1971, pp. 25-27; nello stesso anno esce in volume presso Edizioni Esse (prima
denominazione della casa editrice Sellerio) nella collana
« La civiltà perfezionata » (n. 2); ristampata nel 1977 nella
medesima collana, viene riproposta nel 1980 in « La memoria » (n. 10); inclusa in OB I, pp. 1223-52.
nelle cose di raymond roussel
In un brano del « Taccuino » della « Stampa », confluito
poi in Nero su nero, Sciascia annota: « Sono stato immerso per
qualche mese nelle cose di Roussel: ma non sono diventato
un “roussellâtre”. Lo scrittore non mi interessa. Mi interessa
se mai, paradossalmente, il suo non essere scrittore ».1 Qualche mese prima di pubblicare l’indagine, Sciascia aveva ricostruito la genesi del suo recente ‘interesse’ per lo scrittore
francese in un ampio articolo che così inizia:
Le curiose coincidenze, le piccole inquietanti fatalità. Nel
1964, appena pubblicate presso Rizzoli le Impressioni d’Africa di
Raymond Roussel, Mauro De Mauro, il giornalista misteriosa1. Leonardo Sciascia, L’innocenza, in « La Stampa », 14 marzo 1973, p. 3
(qui p. 983).
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atti relativi alla morte di roussel
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mente scomparso, e sulla cui scomparsa da più di un mese i
giornali si arrovellano, svolgeva per il suo giornale una inchiesta sulla morte dello scrittore francese. Com’è noto, Roussel
morì a Palermo, nella notte tra il 13 e il 14 luglio del 1933, nella
camera 224 del Grand Hotel delle Palme. De Mauro cominciò
la sua inchiesta dall’uf$cio di Stato Civile del Comune, dove nel
registro degli atti di morte si legge che Raymond Roussel, fu
Eugène e fu Marguerite Chalon (ma il cognome della madre
era Moreau-Chaslon), nato a Parigi, celibe, possidente, 56 anni,
decedeva il 14 luglio all’Hotel des Palmes (un trattino sull’ora
del decesso) e che la rimozione della salma, e l’inumazione al
cimitero dei Rotoli, era stata autorizzata dal pretore Margiotta.
De Mauro cercò il Margiotta, che da consigliere di corte d’appello si era dimesso ed esercitava l’uf$cio di notaio; e si ricordava benissimo del caso, raccontò i particolari che lo avevano
colpito e praticamente fermò l’inchiesta del giornalista dicendogli che il fascicolo degli atti relativi da lui compilato sulla
morte di Roussel con tutta probabilità non esisteva più negli
archivi del tribunale: « gli atti relativi non si conservano, si conservano gli atti dei casi in cui sia con$gurata anche la sola ipotesi del reato o del suicidio ». De Mauro non cercò dunque gli
atti relativi.
Qualche giorno prima che De Mauro scomparisse, Sergio
Morando mi chiese, per uno studioso francese che sta scrivendo una biogra$a di Roussel, una copia dell’atto di morte
di Roussel. L’ebbi; e non sapendo (fortunatamente) dell’inchiesta di De Mauro, mi venne voglia di farla per mio conto, a
distrarmi da un lavoro che cominciava ad annoiarmi. Un mio
amico avvocato si incaricò di fare una ricerca nell’archivio del
tribunale; non sperando però di trovare quel fascicolo che
invece stava lì, scampato al macero. Il mio amico l’ha avuto
per un momento tra le mani, l’ha sfogliato; ma per leggerlo, per copiarlo, occorre l’autorizzazione del procuratore della Repubblica. Presentata la regolare richiesta, la decisione
spetta al magistrato che in questo momento si occupa appunto del caso De Mauro. E non è proprio il momento di sollecitargliela.
Il discorso sembra chiuso, perché, si legge nel seguito,
« pare sia consuetudine degli uf$ci giudiziari ri$utare simili
autorizzazioni »; e siccome secondo la legge gli atti scampati
al macero « non possono essere letti da uno studioso, da un
giornalista, se non settant’anni dopo la morte della persona
a cui si riferiscono »,1 Sciascia si risolve per una ricostruzione
1. Leonardo Sciascia, Un tale Roussel, in « Corriere della Sera », 29 ottobre 1970, p. 3.
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note ai testi
della vicenda con gli elementi a sua disposizione. Ed esprime dubbi sul suicidio, propendendo per l’assunzione involontaria di una dose eccessiva di barbiturici, offre uno scorcio della Palermo dell’epoca e associa la morte di Roussel
alla noia di quegli anni, che aveva ispirato a Vitaliano Brancati il racconto La noia nel ’937,1 sintesi perfetta – amava ripetere Sciascia – del clima esistenziale sotto il fascismo.2
Invece, grazie a un amico che « conosceva e fece valere
una sentenza della Corte Costituzionale che praticamente
svincolava questi documenti »,3 Sciascia ottiene una copia
del fascicolo degli atti d’indagine,4 e ne ricava l’impressione
1. Scritto nel 1944 e raccolto in Il vecchio con gli stivali (Bompiani, Milano, 1946), si legge anche in Vitaliano Brancati, Opere 1932-1946, a cura
di Leonardo Sciascia, Bompiani, Milano, 1987, pp. 892-901.
2. Lo ribadisce anche in un articolo successivo alla pubblicazione del
racconto-inchiesta: Il « suicile » di Roussel, in « Giornale di Sicilia », 6 marzo 1973, p. 10.
3. Così, anni dopo, nell’intervista della serie « Nel corso di una vita », a
cura di Giampiero Mughini, in « Mondo Operaio », XXXI, 12, dicembre 1978, p. 119, poi in PVN, p. 142, e in SPSV, p. 257.
4. Si tratta di 41 pagine di riproduzioni in fotocopia, conservate in casa
Sciascia, insieme con altri materiali preparatori dell’autore, compresi appunti manoscritti autogra$, frutto della lettura dei giornali d’epoca (cfr.
qui p. 281, nota 12) e già utilizzati per la stesura dell’articolo dell’ottobre
1970; vi è allegata la fotogra$a di un ritratto di Roussel realizzato da
Leonardo Sinisgalli, corredata di dedica autografa del dicembre 1970.
Gli atti della Procura comprendono: la copertina anteriore di una cartella intitolata « Atti relativi | alla morte del suddito francese | Roussel
Raimond. | In Palermo il 14.7.1933 XI »; il telegramma del Commissariato di P.S. Sez. Politeama (qui p. 255); il processo verbale di descrizione e identi$cazione di cadavere e di autopsia (= Verbale di identi$cazione ;
qui pp. 255-57); il verbale di sommarie informazioni datato 14 luglio
1933 relativo al sopralluogo del pretore Michele Margiotta al Grand
Hotel et Des Palmes (= Verbale di sopralluogo ; qui pp. 257-59); cinque
verbali di sommarie informazioni datati 14 luglio 1933 relativi agli interrogatori di Antonio Kreuz e Tommaso Orlando (= Verbale Kreuz-Orlando ; qui p. 259), di Leopoldo Serena (qui pp. 259-60), di Michele Lombardo (= Verbale Lombardo 1; qui pp. 260-62), di Charlotte Fredez (qui
pp. 262-64) – con allegato il foglio del diario di cui è riferito il contenuto qui alle pp. 264-65 –, ancora di Kreuz (qui p. 270); il verbale di esame
di testimone nell’istruzione sommaria datato 14 luglio 1933 (ore 18),
relativo all’interrogatorio di Dora Chierici (qui pp. 270-71); la copertina posteriore della cartella degli Atti (qui p. 271); il rapporto del vicequestore del Commissariato di P.S. Sez. Politeama (= Rapporto del vicequestore ; qui pp. 271-74); il verbale di rimozione dei sigilli di sequestro
alla camera occupata da Roussel, in italiano e in francese (qui p. 274); il
verbale di sommarie informazioni datato 6 agosto 1933 relativo all’interrogatorio del dottor Lombardo (qui p. 274); l’ordine di trasmissione
degli Atti all’archivio (qui p. 274).
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di un’inchiesta svolta in modo così sommario e super$ciale
da spingerlo a occuparsi del caso.1 Si mette subito al lavoro,
accantonando la faticosa stesura del Contesto:2 pone dei quesiti a François Caradec, il biografo francese di Roussel cui aveva procurato l’atto di morte di quest’ultimo, e ne ottiene
informazioni e un incoraggiamento $nale: « Dites-lui bien
que ses recherches sont très importantes et qu’il est normal
qu’il les utilise le premier, et qu’il sera cité dans mon bouquin, ce qui n’est pas demain la veille! ».3
Nel marzo 1971, presentata come « Racconto giallo dal
vero », l’inchiesta appare su « Il Mondo » di Arrigo Benedetti:4
il risultato, dichiarerà anni dopo a Tom Baldwin, è che « il
mistero, attraverso i documenti, diventava più forte di quanto non fosse senza i documenti ».5 E ancora nel 1988, nel commentare una frase dell’amico Vincenzo Consolo (« Sciascia al
buio cerca di fare luce, io al buio mi dispero »), ammetterà
con Daniela Pasti:
C’è della verità in questo giudizio, a patto di tenere presente
che il buio ha esiti di luce e che dalla luce spesso si approda
all’oscurità. Per quanto mi riguarda ricordo quel mio libretto
1. Lo ribadirà, con più benevolenza, una decina d’anni dopo: « non mi
parve ci fosse stato, da parte del dottor Margiotta, particolare zelo e acutezza nel condurre l’inchiesta; e di questa mia impressione, leggendo il mio libretto, il dottor Margiotta si dolse con un comune amico.
Aveva fatto, disse, tutto quello che c’era da fare, nulla omettendo o
trascurando. Credo avesse ragione, tutto sommato, e che la differenza
stava in questo: che io sapevo, nel 1972 [sic], chi era Roussel e tutto
quel che su Roussel c’era da sapere; mentre il dottor Margiotta, nel
1933, nulla sapeva di Roussel scrittore e della sua vita » (Nei ricordi di un
magistrato l’ombra di Raymond Roussel, in « Giornale di Sicilia », 18 luglio
1982, p. 3).
2. Su questa fase, cfr. OA I, p. 1840.
3. La lettera, mutila della parte iniziale (e quindi dei dati del destinatario), è indirizzata probabilmente a Sergio Morando ed è conservata in
casa Sciascia insieme con gli altri materiali preparatori. Nel libro di Caradec, Vie de Raymond Roussel (1877-1933), Pauvert, Paris, 1972, la ricerca
di Sciascia è menzionata con adesione alle pp. 367-83, dove si parla della morte dello scrittore.
4. Leonardo Sciascia, L’affaire Roussel, in « Il Mondo », XXIII, 963-65, 14
marzo 1971, pp. 25-27 (= Mo). A p. 25 il testo è distribuito su 5 colonne,
a p. 26 su 4, a p. 27 su 6.
5. Leonardo Sciascia: l’uomo, il cittadino e lo scrittore, intervista a cura di
Thomas Donald Baldwin, in « Association of Teachers of Italian Journal »,
30, primavera 1980, p. 39; poi in « Lo Stato delle Cose », 6, settembre-ottobre 1998, p. 128, e in « Rassegna siciliana di storia e cultura », II, 4, agosto
1998, p. 20.
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note ai testi
sulla morte di Raymond Roussel: ho cercato di far luce, e ho
aggiunto alle cose più oscurità. Lo considero una specie di
apologo...1
l’esordio con sellerio
Nel giro di qualche settimana, Sciascia rivede il testo del
« Mondo » in funzione del primo libro destinato alle Edizioni Esse (presto Sellerio),2 la piccola casa editrice palermitana fondata dal fotografo Enzo Sellerio e dalla moglie Elvira
Giorgianni con il suo determinante apporto: « ho seguito gli
amici Sellerio $n dal principio della loro attività, consigliando loro dei libri da pubblicare, scrivendo prefazioni, pubblicando da loro quel libretto sulla morte di Roussel, svolgendo insomma un’attività che dà un senso al mio stare a Palermo, città in cui altrimenti non vorrei né potrei stare » dichiarerà nel 1977.3
Il volume, che prevede anche una tiratura per biblio$li di
100 copie numerate e $rmate dall’autore, e corredate dell’incisione di Fabrizio Clerici riprodotta in copertina,4 è aperto dal saggio di Giovanni Macchia L’ultima macchina di
Roussel ovvero la luce, l’estasi e il sangue,5 un elegante pro$lo
che compensa la quasi totale assenza nell’inchiesta di Scia1. Sciascia re degli scrittori, intervista a cura di Daniela Pasti, in « Il Venerdì » (suppl. di « la Repubblica »), 19 febbraio 1988, p. 47.
2. Leonardo Sciascia, Atti relativi alla morte di Raymond Roussel, Edizioni
Esse, Palermo, 1971 (= Sel71); il ‘$nito di stampare’ è del 30 aprile.
3. Editori in Sicilia, intervista a cura di Claudio Marabini a Enzo e Elvira
Sellerio, con un intervento di Sciascia, in « La Nazione », 13 luglio 1977,
p. 3; cit. anche in Lombardo, Il critico collaterale, p. 141, cui si rinvia per
più ampi ragguagli sulla collaborazione con Sellerio (pp. 141-82). Si
veda anche Nigro, Sciascia scrittore editore, pp. 7-41, e Collura, Il Maestro di
Regalpetra, pp. 217-19.
4. A partire dal 1968, con Alba per Raymond Roussel, Clerici realizza un
ciclo di dipinti dedicati all’eccentrico scrittore francese; l’ultima opera,
Locus Solus del 1971, « trae origine dall’incisione che Clerici realizza per
l’edizione speciale del libro di Leonardo Sciascia » (Fabrizio Clerici. Opere
1937-1992, a cura di Sergio Troisi, catalogo della mostra tenutasi a Marsala, Convento del Carmine, 7 luglio-28 ottobre 2007, Sellerio, Palermo, 2007, p. 172).
5. Sel71 5-33. Sul connubio con lo studioso della letteratura francese (ma
anche di Pirandello e Manzoni), rinvio a Paolo Squillacioti, Da Lagandara a Proust. Un percorso fra immagini e letteratura, in « Todomodo », I
(2011), pp. 176-77.
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scia di riferimenti a una produzione letteraria troppo distante dai suoi gusti. Vi si legge, poco oltre l’inizio:
Gli atti che sulla storia della sua morte Leonardo Sciascia ha
avuto la fortuna di rintracciare (e tale fortuna, cui sembrava predestinato, non poteva cadere che su di lui), qui raccolti con commenti quanto mai acuti e pertinenti, confermano e smentiscono
ciò che si conosceva. Danno un altro superstite tocco all’affascinante riserbo del personaggio. Stringono l’opera e il volto di chi
la creò in un’unica immagine; e convincono che era l’opera a
guidare la sorte, la fatalità di lui essere vivente.1
Rispetto a quella del « Mondo », la versione di Sel71 ha un
$nale più ampio,2 ma resta inalterata quanto alla struttura
complessiva; si segnala tuttavia l’aggiunta di alcuni brani,
volti a chiarire la vicenda, a introdurre particolari.
Dopo le parole « è disteso l’uomo anzidetto, morto”. » di
Mo 25b, Sel71 40 aggiunge: « “Sotto il materasso si rinviene un
orinale, con poca urina”: sotto il materasso disteso a terra,
che è curioso. Comunque, il particolare serve, crediamo, a
spostare l’ora della morte alla notte inoltrata » (qui p. 257).
Dopo « il mistero, del suo scrivere. » di Mo 25d, Sel71 42
aggiunge: « Regalò anche, al professor Lombardo, le Impressions d’Afrique, troisième édition, con la cedoletta verde dell’“avis”: “Les lecteurs qui ne sont pas initiés à l’art de Raymond Roussel auront avantage à lire ce livre d’abord de la
page 217 à la page 455, ensuite de la page 1 à la page 211” »
(qui pp. 258-59).
Dopo « c’era qualcosa da correggere). » di Mo 27e, Sel71
65-66 aggiunge: « Notevole è poi il grossolano gallismo in cui
viene assunta la relazione tra Roussel e la Fredez. Sarebbero
rimasti ben meravigliati, i poliziotti, ad apprendere che di
nottetempo il predetto non passava dall’amante, e che la Fredez non era mai stata effettivamente l’amante di Raymond
Roussel » (qui p. 273).
Rispondono al medesimo intento chiari$catore altri interventi meno estesi:
261 (sigla DR, che useremo anche noi) Mo 26a
(sigla
DR, « domandato risponde », che useremo anche noi) Sel71
46 263 A questo punto, forse dopo aver sentito per la terza
volta il facchino Kreuz, è stato aggiunto: « Dico meglio Mo 26a
Su questo punto, quando, più tardi, sentì per la terza volta il
1. Sel71 7-8.
2. Mo si arresta con la frase « dove noi, trentasette anni dopo, li abbiamo
trovati. » (qui p. 274); la parte seguente è aggiunta in Sel71 67-79.
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note ai testi
facchino Kreuz, il pretore mosse contestazione; ma soltanto
per eliminare dagli atti il contrasto delle due versioni. Evidentemente aggiunta è la retti$ca della Fredez: « Dico meglio Sel71
49 270 « Allora la signora Fredez era assente da Palermo ».
Mo 27b
« Allora la signora Fredez era assente da Palermo »
(ma era andata via il giorno prima). Sel71 61 274 tradurre
Charlotte in Carlotta. Mo 27f tradurre Charlotte in Carlotta
e Charles in Carlo. Sel71 66 274 « nell’interesse degli eventuali eredi ». Mo 27f « nell’interesse degli eventuali eredi ». Della consegna veniva redatto doppio verbale, in italiano e in francese Sel71 66.
Talora il testo dei verbali contenuti nel fascicolo degli atti
è riportato alla lettera, soprattutto là dove in Mo aveva agito
un’azione normalizzatrice:
261 prendeva forti dosi di droghe Mo 26a
prendeva forti
dose di droghe Sel71 46 (come nel Verbale Lombardo 1 ) 271 due
tubetti vuoti di « Sonneril » contenenti ciascuno Mo 27c due
tubetti vuoti di « Sonneril » contenente ciascuno Sel71 62 (come
nel Rapporto del vicequestore ) 272 l’iniezione di sostanze barbiteirute che gli portavano Mo 27d l’inezione di sostanze barbiteirute (sic ) che gli portavano Sel71 64 (come nel Rapporto del
vicequestore ).
Nel caso del cameriere al servizio di Roussel, Sciascia corregge un errore fattuale: « Tommaso Orlando di Gaetano,
anni 29, palermitano » di Mo 25e diventa « Tommaso Orlando di Gaetano, anni 29, salernitano » in Sel71 43 (qui p. 259;
cfr. Verbale Kreuz-Orlando: « da Salerno »), ma in menzioni
successive, in parti assenti in Mo, gli attribuisce il patronimico: « a Palermo, per quel che ricorda Gaetano Orlando, usciva » (Sel71 54; qui p. 266), « Gaetano Orlando ricorda perfettamente » (Sel71 70; qui p. 276).1
Altre correzioni sono volte a introdurre un lessico più ricercato:
257 è allegata una nota Mo 25a
è alligata una nota Sel71
40 258 allegato agli atti Mo 25b
alligato agli atti Sel71
41 261 due cancellazioni, questa volta Mo 26a
due carcerazioni, questa volta Sel71 47 261 poi lo aveva cancellato e sostituito con Dufrène, cancellato Dufrène era tornato a Fredez Mo
26a
poi lo aveva carcerato e sostituito con Dufrène, carcerato Dufrène era tornato a Fredez Sel71 472 269 la piccola contraddizione
1. Il primo segmento di testo risulta « a Palermo usciva » in Mo 26c, il
secondo è nella parte aggiunta in Sel71.
2. Anche in Mo 25e, si legge, qualche riga sopra, la spiegazione del ter-
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atti relativi alla morte di roussel
che abbiamo rilevato Mo 26d
abbiamo rilevata Sel71 58.
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la piccola contraddizione che
Dopo questa prima edizione in volume, l’inchiesta è più
volte ristampata. Dapprincipio nel 1977, l’anno del centenario della nascita di Roussel,1 sempre nella collana « La
civiltà perfezionata » e con la medesima veste gra$ca. Successivamente, benché prevista – e stampata nel 1979 – quale titolo inaugurale della nuova collana « La memoria »,
viene « di fatto pubblicat[a] nel 1980 come numero 10 della stessa collana »:2 ora il saggio di Macchia segue il testo di
Sciascia, la copertina riproduce un particolare della litogra$a di Jean Veber La Fortune qui danse, e nel risvolto si
legge una presentazione non $rmata ma attribuibile all’autore:
Questo racconto-inchiesta è stato pubblicato nel 1971, ha avuto dalla critica – non soltanto italiana – un vasto ed entusiastico consenso, è stato ristampato nel 1977: ma resta, tra i libri di
Sciascia, il meno conosciuto. Tradotto subito in francese, ha
appagato i rousselâtres svelando (e al tempo stesso accrescendo)
il mistero di quella morte a Palermo, nel vecchio e famoso albergo delle Palme; ma sarebbe del tutto ingiusto lasciare un simile racconto nella sfera del culto tributato a Raymond Roussel.
Si tratta proprio di un racconto, e tra i più interessanti che Sciascia abbia scritto.3
La ristampa del 1977 è identica alla princeps, mentre
quella del 1980 (= Sel80) corregge uno soltanto dei suoi numerosi refusi – l’impreciso « le première » di Sel71 69 diventa « la première » in Sel80 41 (qui p. 275) – e non presenta alcuna differenza riconducibile all’autore. Si riproduce perciò Sel71, con alcune emendazioni sostenute dalla versione
di Mo e, in parte, dagli atti d’indagine del 1933:
a ) Sel71 38 Raymond Rousell
Raymond Roussel (qui p.
256, in base a Mo 25a e al Verbale di identi$cazione )
mine tecnico: « carcerato, circoscritto cioè dentro un rettangolo » (Sel71 46; qui
p. 261).
1. Occasione per Sciascia per fare un bilancio sullo scrittore francese:
Raymond Roussel: un passaggio segreto in quella fantasia, in « la Repubblica », 4 marzo 1977, pp. 10-11.
2. Nigro, Sciascia scrittore editore, p. 74. La circostanza è confermata nella
Nota dell’editore che apre l’edizione degli Atti relativi alla morte di
Raymond Roussel del 2009 nella collana « La rosa dei venti » (n. 1), celebrativa dei quarant’anni della casa editrice palermitana.
3. Ora si legge in Nigro, Sciascia scrittore editore, p. 74.
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note ai testi
b ) Sel71 42 i Conti or$ci i Canti or$ci (qui p. 258, in base a
Mo 25c )
con 8 di Hypalène (qui p.
c ) Sel71 51 con 8 di Hipalène
264, in base a Mo 26b e al diario di Charlotte Fredez allegato agli atti d’indagine)
euphorie très grande
d ) Sel71 51 euphorie tres grande
(qui p. 264, in base a Mo 26b e al diario della Fredez)
quello di un’altra (qui p.
e ) Sel71 54 quello di un altra
266, in base a Mo 26c )
f ) Sel71 62 Da indagini e accertamenti eseguite Da indagini e accertamenti eseguiti (qui p. 271, in base a Mo 27c
e al Rapporto del vicequestore ).
La correzione di un refuso in un brano in francese assente in Mo (« qui ne sont pas initiès » Sel71 42 « qui ne sont
pas initiés », qui p. 258) è confortata da uno degli appunti
autogra$ conservati insieme con gli altri materiali; parimenti, si emendano altre imprecisioni in parole francesi che si
leggono in Sel71 51: « Sonèryl » « Sonéryl » (qui p. 264), in
Sel71 69: « ces fait » « ces faits », « d’alleurs » « d’ailleurs »
(qui pp. 275 e 276), e in Sel71 77: « c’ètait » « c’était » (qui
p. 280).
Si uniforma, in$ne, il « Locus solus » di Sel71 77 (cfr. qui p.
280) alle tre occorrenze di « Locus Solus » di Sel71 41 e 42 (qui
p. 258), si segnano gli accenti su « Écoutez » e « Écoute » (qui
pp. 275 e 276)1 e si adottano gli accenti canonici del castigliano in « Darío » e « Valle-Inclán » (qui p. 267).2
Si mantiene invece nella stessa pagina « Brandomin », in
luogo di « Bradomín », nel titolo del componimento di Rubén
Darío dedicato a Ramón del Valle-Inclán, forse citato a memoria;3 e si conserva – come in Mo 25c, Sel71 41 e Sel80 13 – senza accento « necessaire » (qui p. 258), perché la si assume come forma italianizzata nella parafrasi fedele di un brano del
Verbale di sopralluogo, dove è scritta, appunto, senza accento.
Si accoglie in$ne il parziale emendamento di Sciascia « Rue
Quentin Bauchant, 20 » di Sel71 78 (qui p. 282), a partire dal
« 20 rue Quenten Bauchant » trascritto fedelmente dallo
sgrammaticato Verbale del vicequestore in Sel71 62 (qui p. 271):
il cognome corretto sarebbe Quentin-Bauchart.4
1. « Ecoutez » e « Ecoute » in Sel71 67, 68 e 69, e Sel80 39, 40 e 41; così anche in OB I, pp. 1245 e 1246.
2. « Darìo » e « Valle-Inclan » in Mo 26c, Sel71 55 e Sel80 27; così anche in
OB I, p. 1237.
3. « Brandomin » anche in OB I, p. 1237.
4. « Rue Quentin Bauchant, 20 » anche in Sel80 50 e OB I, p. 1251.
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LA SCOMPARSA DI MAJOR ANA
Il libro viene pubblicato in sette puntate sulla « Stampa »
dal 31 agosto al 7 settembre 1975; nello stesso anno esce
presso Einaudi nella collana « Nuovi Coralli » (n. 139). L’edizione Adelphi, nella collana « Fabula » (n. 99), è del 1997;
incluso in OB II, pp. 205-70.
e possibilmente anche dopo
In un’intervista del novembre 1973, Emilia Granzotto aveva domandato a Sciascia se la riflessione del protagonista del
racconto Il mare colore del vino – condensata nella massima
« Non si può aver fede nella tecnica senza aver fede nella vita » –1 rispecchiasse la sua visione del progresso:
No, questo è il pensiero di un personaggio che fa il tecnico,
l’ingegnere. Della tecnica io penso molto peggio. Come Vitaliano Brancati quando fa dire all’uomo: « nobili scienziati, io
non posso che morire », e cioè: non posso rispondere ai vostri
sforzi che morendo, e grazie a voi prima del tempo e più atrocemente.2
Il concetto è ribadito, poche settimane dopo, in un col1. OA I, p. 736.
2. Siamo tutti siciliani, intervista a cura di Emilia Granzotto, in « Panorama », XI, 394, 8 novembre 1973, p. 177.
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loquio con Giulio Villa Santa trasmesso dalla Radio della
Svizzera italiana:
L’ingegner Bianchi di quel mio racconto Il mare colore del
vino è appunto una $gura stereotipata, non è un personaggio,
è un simbolo quasi, direi. Io non sono responsabile di quello
che dice, è un uomo piuttosto banale, io non ho una grande
stima dei tecnici, debbo dire, io penso che l’unica risposta che
possiamo dare ai tecnici è quella di morire, come diceva Brancati.1
In queste parole è, con ogni evidenza, racchiuso il germe
del libro su Ettore Majorana.2 Di poco successiva alla dichiarazione di guerra del giugno 1940, la frase di Brancati – che
verrà usata come epigrafe al volume – si riferisce alle bombe,
componente essenziale di una storia patita come sequela di
guerre e battaglie (« Bombe di migliaia di chili, con sibili infernali e bagliori accecanti, si rovesciano su di lui. “Ma che
cosa posso fare io|” dice l’uomo. “Morire, come al tempo in
cui venivo colpito dalle frecce. O nobili scienziati, io non
posso rispondere ai vostri sforzi con qualcosa che sia più della morte!” »),3 e pre$gura i bombardamenti devastanti, e assai poco scienti$ci, che si abbatteranno sull’Italia nei due
ultimi anni di guerra.
È proprio durante il conflitto che matura in Sciascia la profonda avversione per una scienza capace di realizzare spaventosi strumenti di morte, come confessa a Giuseppe Quatriglio
qualche settimana dopo l’uscita del libro:
Ho ritrovato questa estate tra le carte che ho lasciato nella
casa di Racalmuto, una mia poesia (allora scrivevo poesie) sull’atomica. Debbo dire che tra tutte le poesie allora scritte, questa è la sola che mi sentirei di salvare. S’intitola Natale 1947. Ero
riuscito a trasfondervi tutto l’orrore che sentivo e sento per la
bomba atomica, per la scienza che l’ha prodotta. Quando più
tardi mi sono imbattuto nel personaggio Majorana, personaggio dentro cui potevo – almeno per carattere – agevolmente met1. Mandata in onda il 10 gennaio 1974 nel programma Opinioni attorno
a un tema, l’intervista si legge ora in Troppo poco pazzi, pp. 127-35 (la citazione è a p. 135).
2. Sciascia lo scrive anche a Giulio Einaudi il 16 agosto 1975: « Ho
già $nito la ricostruzione del caso Majorana, che è poi un libello
contro i “nobili scienziati”, per dirla con una espressione di Brancati » (AE/C).
3. Vitaliano Brancati, Minutario, in « Oggi » del 27 luglio 1940; poi, col
titolo Diario, in « La Stampa », 28 agosto 1941, p. 3, da cui si cita.
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termi, ho cominciato a vagheggiare di dar forma alla sua storia,
di « inventare » la sua storia.1
Quel momento – lo sottolinea Lorenzo Mondo nella premessa a un’intervista dell’ottobre 1975 – arriva all’inizio degli
anni Settanta: « A Sciascia venne in mente d’occuparsi di Majorana ... quattro o cinque anni fa, sulla base di un’intervista rilasciata da Erasmo Recami ».2 Professore di Fisica all’Università
di Catania, Recami si era occupato, nel marzo 1972, della pubblicazione dei documenti di Majorana. Nel corso della raccolta del materiale si era imbattuto anche nell’epistolario: « Le
lettere ... erano state celate in cassaforte. Dapprima per non
rinnovellare il dolore della madre; poi (dai fratelli) per familiare discrezione ».3 Del ritrovamento Recami diede notizia in
un’intervista apparsa sulla « Domenica del Corriere » del 28
novembre 1972 – ed è a questa che presumibilmente si riferisce Mondo – dopodiché, « verso il 1973 », il professore inviò a
Sciascia copia di « molto del materiale epistolare di Ettore ».4
Il lavoro di Sciascia si limita però alla raccolta dei documenti: almeno sino al gennaio del 1975, quando scrive a
Linder: « sono tornato a vagheggiare quel libro sul $sico Majorana che avevo lasciato allo stato di documentazione per
scrivere Todo modo ».5 L’episodio decisivo è raccontato nel
libro-intervista curato da Marcelle Padovani:
Sulla sua $gura avevo già raccolto un certo numero di pezze
d’appoggio (le sue lettere alla famiglia, le poche carte che si
trovavano negli archivi), ma non pensavo ancora di mettermi a
scrivere. Poi ho partecipato a una trasmissione della televisione
svizzera per il trentesimo anniversario della $ne della guerra,
1. Esiste una sola cultura: è quella che ama l’uomo, intervista a cura di Giuseppe Quatriglio, in « Giornale di Sicilia », 9 novembre 1975, p. 14. Nel
seguito del colloquio Sciascia è ancora più reciso: « Ho sempre dif$dato
della scienza: e credo che la partita del dare e dell’avere della scienza
nei confronti dell’umanità sia piuttosto passiva ».
2. Così « incontrai » Majorana, intervista a cura di Lorenzo Mondo, in « La
Stampa », 5 ottobre 1975, p. 3.
3. Erasmo Recami, Il caso Majorana. Epistolario, documenti, testimonianze,
Di Renzo, Roma, 2000, p. 77.
4. Ibid., p. 78. La genesi del racconto-inchiesta è confermata dallo stesso
Sciascia in una lettera a Guido Davico Bonino del 25 giugno 1976: « ho
cominciato ad interessarmi del caso Majorana nel ’73, prendendo contatti col prof. Recami e con la signorina Majorana, dai quali ho avuto
quasi tutto il materiale » (AE/C).
5. 27 gennaio 1975 (FM/L-sc). La stesura del romanzo, pubblicato nel
novembre del 1974, era iniziata nell’estate del 1973: cfr. OA I, p. 1889.
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insieme ad Alberto Moravia, al $sico Emilio Segre [sic] e ad altri. Quando ci è stato proiettato il $lm dell’esplosione della prima bomba atomica, sono rimasto colpito della serenità di Segre
[sic], della sua coscienza tranquilla. Allora ho ripensato a Majorana, il tormentato, l’incerto, il prodigioso giovane $sico che
forse ne aveva avuto invece paura. Avendo intuito, a quanto voglio credere, le conseguenze della $ssione nucleare, aveva preferito scomparire. Ho cercato di sapere dove si fosse nascosto,
se fosse morto, se si fosse suicidato, sono andato in un convento
calabrese, ma Majorana aveva organizzato così bene la propria
scomparsa, che non ha lasciato tracce di sorta.1
La stesura del libro si svolge, come d’abitudine, durante l’estate e si conclude il 16 agosto con l’allestimento di un dattiloscritto, conservato all’Archivio Einaudi (= D12):2 si compone di
73 pagine (65 di testo, numerate dall’autore, e 8 di note, prive
di numerazione), cui si aggiungono il frontespizio (« Leonardo Sciascia e possibilmente anche dopo ») e la pagina con le
citazioni da Brancati e Amaldi poi riprodotte in esergo.
La prima destinazione del dattiloscritto è il quotidiano
« La Stampa », come Sciascia riferisce a Linder lo stesso 16
agosto:
ho $nito quel lavoro su Majorana. Ne ho già spedito copia –
ma senza le note – alla ‘Stampa’: per la pubblicazione a puntate
che Levi desidererebbe farne (la cosa è andata così: Levi mi
chiedeva continuamente degli articoli, io ho detto che sapevo
fare una cosa alla volta e che al momento ero impegnato nella
ricostruzione del caso Majorana – non potevo dunque che offrirgli questo lavoro, una volta $nito; Levi mi ha risposto di sì, e
appena $nito gliel’ho mandato. Il concordare la parte pratica
resta dunque a Lei ...).3
1. SCM, pp. 70-71. In un’altra rievocazione dell’episodio, Segrè appare
più che tranquillo compiaciuto: « Quando ci mostrarono le immagini
di Hiroshima ricordo che Segrè si mostrò contento e soddisfatto della
bomba atomica » (Sciascia: « Incombe sul mondo la collera degli imbecilli »,
intervista a cura di Francesco Merlo, in « La Sicilia », 31 dicembre 1983,
p. 2). E qualche anno dopo, in un’intervista rilasciata alla Radio della
Svizzera italiana e trasmessa il 3 marzo 1987 dichiarerà: « Quando c’è
stata la sequenza sulla bomba c’era Segre [sic], il $sico atomico, che mi
pareva contento » (cit. in Troppo poco pazzi, p. 55).
2. AE. Uf$cio tecnico, Originali e bozze, cartella 1603, fascicolo 4821:
« La scomparsa di Majorana ». La copia carbone del dattiloscritto è custodita dagli eredi in casa Sciascia.
3. FM/L-sc.
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la scomparsa di majorana
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Lo stesso giorno informa, tramite Guido Davico Bonino,
anche la casa editrice Einaudi:
ho $nito e mando a Linder, che subito ve lo farà avere, quel
mio lavoretto su Ettore Majorana. Ma l’ho già mandato – senza
le note – a Levi, per ‘La Stampa’. Vuole pubblicarlo a puntate.
(È stato un modo, per me, di alleviare il senso di colpa che ho
nei riguardi del giornale: è da più di sei mesi che non mando un
articolo). Non so se la pubblicazione sul giornale pregiudica
quella in volume. Vedete voi. Se decidete di pubblicarlo, mi piacerebbe l’edizione fosse la più economica possibile. Naturalmente, in ogni caso, mi piacerebbe sapere quel che ne pensate.
E che, come al solito, lo leggesse Calvino.1
Gli undici capitoli del libro escono distribuiti in sette puntate fra il 31 agosto e il 7 settembre, sempre in terza pagina,
accompagnati da un ricco apparato fotogra$co:
La scomparsa di Majorana I e II : 31 agosto, capp. i e ii (qui pp.
287-98) = SM1-2
La scomparsa di Majorana III : 2 settembre, cap. iii (qui pp.
299-306) = SM3
La scomparsa di Majorana IV : 3 settembre, cap. iv (qui pp. 30712) = SM4
La scomparsa di Majorana V e VI : 4 settembre, capp. v e vi (qui
pp. 313-21) = SM5-6
La scomparsa di Majorana VII : 5 settembre, cap. vii (qui pp.
322-26) = SM7
La scomparsa di Majorana VIII e IX : 6 settembre, capp. viii e ix
(qui pp. 327-36) = SM8-9
La scomparsa di Majorana X e XI : 7 settembre, capp. x e xi (qui
pp. 337-46) = SM10-11.
Alla $ne dell’ultima puntata, si annuncia come prossima
l’uscita in volume del testo per Einaudi col titolo E possibilmente anche dopo, espressione tratta da una lettera di Majorana al collega Carrelli (qui p. 330). Ai dubbi manifestati nella
lettera a Davico Bonino circa l’opportunità di pubblicare un
libro già apparso su un quotidiano nazionale, risponde Giulio Einaudi ancor prima di aver letto per intero il testo:
Il tuo avvincente libro su Majorana (tale mi pare dalle due
puntate che ho letto qui) vorremmo pubblicarlo subito.
Ieri ho fatto sapere a Linder che la sede più adatta ci sembra
i Nuovi Coralli, collana assai economica come sai; un momento
1. 16 agosto 1975 (AE/C).
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note ai testi
propizio per la vendita potrebbe essere la seconda quindicina
di ottobre, una volta smaltiti gli acquisti scolastici.
Il dattiloscritto speditoci da Linder dovrebbe esser qui domani; lo comporremo subito e te lo spediremo subito per un « celere » visto si stampi.1
E così, il 9 settembre, Linder può rassicurare Sciascia: « Le
confermo che il libro su Majorana uscirà brossurato, secondo
i Suoi desideri, al prezzo più basso possibile, nei Nuovi Coralli. Einaudi sta cercando di procurarsi da Clerici la copertina: la pubblicazione dovrebbe avvenire in ottobre ».2 A un
mese esatto dalla conclusione della stesura del testo, le bozze corrette vengono recapitate a Davico Bonino:
Ho aggiustato pochissime cose – e aggiunto una nota.
Certo, mi piacerebbe vedere la bozza de$nitiva: ma se per voi
i tempi sono stretti, lasciamo andare.
Spero che « le rovine circolari » di Clerici siano andate bene.
Sotto la $rma Sciascia aggiunge: « Trattengo una copia
delle bozze, per vederla con minor fretta. Se troverò qualche altro errore, telefonerò »; e in verticale sul margine sinistro, a mo’ di poscritto: « Potremmo forse o lasciar perdere E
possibilmente anche dopo e intitolare La scomparsa di Majorana
o usare questo come sottotitolo ».3
In casa editrice l’idea è approvata « all’unanimità »: Davico Bonino lo comunica con un telegramma il 24 settembre,
avvisando nel contempo Sciascia che non avrebbe ricevuto
le ultime bozze e concedendogli ancora un paio di giorni
per altri eventuali interventi.4
Il volume esce in ottobre con una tiratura iniziale di 70.000
copie;5 in copertina la riproduzione di Un istante dopo : dipinto da Clerici nel 1972, rappresenta un anello di roccia sospeso in aria in via di sgretolamento, e fa pendant con Corpus
hermeticum, dove l’anello è nella stessa posizione ma ancora
integro.6
1. 2 settembre 1975 (AE/C, copia).
2. FM/L-sc, copia.
3. 16 settembre 1975 (AE/C). La richiesta di fare delle proposte per la
copertina gli era giunta da Giulio Bollati l’8 settembre.
4. AE/C, copia.
5. Leonardo Sciascia, La scomparsa di Majorana, Einaudi, Torino, 1975
(= Ein75).
6. Si veda Fabrizio Clerici. Opere 1937-1992, cit., pp. 41-43, e le $gg. 30
e 31.
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la scomparsa di majorana
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attenuazioni e polemiche
D12 reca i segni di una parca ma signi$cativa elaborazione: gli interventi di una certa ampiezza tendono infatti ad
attenuare affermazioni evidentemente ritenute troppo esplicite, e in taluni casi troppo asseverative. Si tratta di opzioni stilistiche e non di interventi autocensori, giacché le
riformulazioni mantengono sostanzialmente inalterati i contenuti.
Per esempio, l’evocazione del contesto storico-politico
in cui si consuma la scomparsa di Ettore Majorana non risulta meno pregnante una volta privata del riferimento diretto
alla scelta di Mussolini di seguire l’alleato nazista nell’Endlösung :
296 Siamo alla $ne di luglio del 1938. >Già si capiva – e in
certi ambienti si sapeva – che Mussolini stava per accodarsi a
Hitler anche nelle leggi razziali e antisemite.< Il 14 era stato
pubblicato il manifesto della razza D12 10-11.
Né ha conseguenze sull’ef$cacia di quell’evocazione la
rinuncia, qualche riga avanti, a un interessante inciso sulla
paradossale funzione antifascista della rivista diretta da Giuseppe Bottai:
296 Fermi era nel « primato » della $sica >(la fortuna di questo termine giobertiano nell’Italia del fascismo arriva a tal paradosso che le giovani leve antifasciste vennero a incontrarsi e a
formarsi nella rivista Primato diretta da Bottai)<; e poi accademico d’Italia D12 11.
Anche nella ricostruzione della dinamica della scomparsa, Sciascia rinuncia a dei particolari:
331 e a Napoli sbarcò l’indomani, alle 5,45. Ma >non tornò
all’albergo Bologna, dove già i familiari erano arrivati e avevano
trovato il suo messaggio< noi abbiamo qualche dubbio D12 49.
E altrove elimina una congettura sulle ragioni per cui Majorana provvide, prima di scomparire, a distruggere tutti i
suoi lavori, sostituendo con un neutro « pubblicherà » una
formulazione che rendeva espliciti i suoi dubbi sul suicidio
del $sico:
323 casualmente lasciando, o volontariamente, >ritenendo la
cosa di poco conto< il saggio >pubblicato diciamo postumo.<
che Giovanni Gentile junior pubblicherà D12 39.
In un passaggio delicato, là dove si evoca la tragica vicen-
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note ai testi
da dell’infanticidio in cui venne coinvolto lo zio di Ettore,
cade un commento: dopo « $no all’annientamento, $no alla follia. » (qui p. 307), in D12 21 vengono infatti cancellate le
parole: « Un crimine atroce. Tanto atroce quanto gratuito. E
talmente gratuito che nemmeno sembra, immediatamente,
un crimine ».
Sono anche signi$cativamente sfumati i riferimenti al militare statunitense che si sarebbe ritirato al termine del conflitto mondiale nella Certosa di Serra San Bruno: indicato in
un primo momento come « l’uf$ciale americano », diventa
prima « uno degli uf$ciali americani » in D12 63 e poi, in
Ein75 74-75, « uno dell’equipaggio del B-29 che aveva sganciato su Hiroshima l’atomica » (qui p. 344). Poco oltre viene
soppressa l’indicazione del nome di quell’uf$ciale:
345 la diceria che nello stesso convento fosse arrivato, e forse
ancora vi si trovasse, >il colonnello Tibbets< \ l’uf$ciale americano che era stato preso dai rimorsi per aver comandato o aver
fatto parte dell’equipaggio di quel B-29/ D12 64.
In$ne « di quel B-29 » passa a « di quell’aereo fatale » sulle
bozze di Ein75 76.1
Limitati, come d’altronde risulta dalla citata lettera a Davico Bonino del 16 settembre, gli interventi legati alla correzione delle bozze:
295 di imbecillità D12 10 SM1-2 da imbecillità Ein75 13 296
della signora Majorana D12 10 SM1-2
della madre di Ettore
Ein75 13 296 presso la famiglia Majorana D12 10 SM1-2 presso
la famiglia Ein75 14 296 « supplica » della madre D12 10 SM1-2
« supplica » della signora Majorana Ein75 14 303 breve giro di
anni D12 17 SM3 breve giro di tempo Ein75 22 312 La tentazione ad avanzare D12 26 SM4 La tentazione di avanzare Ein75
33 319 fucilazioni dei miliziani era D12 34 SM5-6 fucilazioni
dei miliziani da parte dei franchisti era Ein75 43 330 al quale i
più tendono D12 47 SM8-9 al quale alcuni tendono Ein75 57.2
1. Va in controtendenza la sostituzione in D12 46 dell’espressione « Apocrifa o no » con la più netta « Quasi certamente apocrifa », riferita alla
frase « i morti si trovano, sono i vivi che possono scomparire » attribuita ad
Arturo Bocchini (qui p. 329).
2. La correzione « >anni< \tempo/ » e l’aggiunta « da parte dei franchisti » si leggono solo sulla copia carbone di D12, segno che vengono effettuate quando l’originale è già stato consegnato alla casa editrice. Altre
differenze fra la versione di D12 e quella pubblicata sulla « Stampa » si
con$gurano come innovazioni – ovvero refusi – del giornale: 290 solo
uno D12 4 Ein75 6 uno solo SM1-2 300 cosidetto D12 15 Ein75 19 cosiddetto SM3 320 hanno avuto raccomandazione D12 36 Ein75 45
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E sempre in bozze viene aggiunta la nota che spiega e attenua la perentorietà dell’affermazione « Bohr già nel 1933
era in fama di rimbambimento » (qui p. 317), che Edoardo
Amaldi – collega di Majorana al tempo della comune frequentazione del laboratorio di Fermi in via Panisperna e
biografo ‘uf$ciale’ del $sico catanese –1 aveva impugnato
sulla base del testo apparso sulla « Stampa ».2 La consapevolezza che Majorana avrebbe avuto dell’esito distruttivo delle
ricerche nucleari, l’irritualità del concorso universitario vinto dal $glio di Giovanni Gentile e l’irresponsabilità morale
degli scienziati che contribuirono alla costruzione della
bomba atomica sono gli altri aspetti contestati da Amaldi.
La replica di Sciascia viene af$data prima a « Paese Sera »3
e poi all’« Espresso », dove alle sue argomentazioni vengono
contrapposte, in una sorta di dialogo, quelle di Amaldi.4 La
successiva lettera al direttore del settimanale, in cui si speci$ca che « il dialogo non c’è stato: né in senso $sico, né in
senso morale »5 e si forniscono ulteriori elementi a conferma delle sue tesi, chiude la prima fase della polemica.
Dopo l’uscita del volume, Amaldi torna a contestare il metodo e il merito dell’inchiesta,6 provocando un’altra, e de$nitiva, replica:7 contrariamente a quanto il $sico aveva insihanno avuto raccomandazioni SM5-6 327 si intratteneva D12 44 Ein75 53
s’intratteneva SM8-9 339 scriveva D12 58 Ein75 69 scriverà SM10-11.
1. Edoardo Amaldi aveva curato la Nota biogra$ca di Ettore Majorana,
in La vita e l’opera di Ettore Majorana (1906-1938), Accademia Nazionale
dei Lincei, Roma, 1966, pp. vii-xlix. Il pro$lo è una delle fonti dichiarate di Sciascia.
2. Edoardo Amaldi, L’atomica non l’ha scoperta lui, in « L’Espresso », XXI,
40, 5 ottobre 1975, pp. 105-11 e 157. Le controdeduzioni del $sico sono
anticipate su « Paese Sera », 1° ottobre 1975, p. 19, in un articolo dal titolo Amaldi non è d’accordo pubblicato di seguito alla presentazione del
libro di Sciascia $rmata da Giampiero Mughini (Un siciliano che aveva
presagito la $ammata di Hiroshima).
3. Leonardo Sciascia, Majorana e l’atomica, in « Paese Sera », 2 ottobre
1975, p. 9 (edizione della sera), e 3 ottobre 1975, p. 19.
4. Leonardo Sciascia e Edoardo Amaldi, Duello intorno a una bomba, in
« L’Espresso », XXI, 41, 12 ottobre 1975, pp. 56-61 e 140.
5. Leonardo Sciascia, Majorana| Un simbolo, altro che oleogra$a..., in « L’Espresso », XXI, 42, 19 ottobre 1975, p. 189.
6. Edoardo Amaldi, Perché si uccise Ettore Majorana, in « Corriere della
Sera », 30 novembre 1975, p. 2.
7. Leonardo Sciascia, Majorana, l’atomo, il no alla scienza, in « La Stampa », 24 dicembre 1975, p. 3; l’occhiello sottolinea il carattere de$nitivo della replica: « Sciascia conclude la polemica sullo scienziato scomparso ».
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note ai testi
nuato, puntualizza Sciascia, le note che corredano il testo erano già scritte – fatta eccezione per quella dedicata a Niels
Bohr – « nel momento in cui il giornale cominciava la pubblicazione del testo: ma le cose su un giornale vanno pubblicate come su un giornale, non come sul bollettino dantesco
o su una rassegna scienti$ca. Le note mi era parso, e mi pare, fossero su un giornale una incongruenza tipogra$ca, un
appesantimento – per il lettore – quasi minaccioso ». Sciascia rivendica inoltre l’approfondita preparazione della sua
inchiesta: « ho letto, in ordine alla storia della ricerca scienti$ca tra il ’30 e il ’45, tutto quel che mi è stato possibile
leggere », e conclude citando un articolo di Albert Camus
del 1948:
Non ho scritto La scomparsa di Majorana per divertirmi a
provocare il professore Amaldi. L’ho scritto per rabbia e per
paura. La rabbia e la paura – come diceva Camus – di vivere
contro un muro, di vedere la vita diventare sempre più una
vita da cani. « Vivere contro un muro, è vita da cani. Ebbene,
gli uomini della mia generazione e di quella che entra oggi
nelle fabbriche e nelle facoltà, hanno vissuto e vivono sempre
più come cani ». Grazie anche alla scienza, grazie soprattutto
alla scienza.1
Ma la polemica con Amaldi travalica le speci$che questioni affrontate,2 giacché contribuisce a rendere La scomparsa
di Majorana il libro che più conta per Sciascia. È d’altro canto quello che inaugura, sia pure ricollegandosi alla desultoria serie dei racconti-inchiesta precedenti, una sequenza di
libri in cui la ricostruzione di fatti storici e documentati è
1. Loc. cit. Il passo di Camus è tratto da Il secolo della paura, apparso su
« Comabat » nel 1948: Sciascia lo cita da Albert Camus, Ribellione e morte.
Saggi politici, Bompiani, Milano, 1961, p. 55, o dalla raccolta delle sue
Opere, Bompiani, Milano, vol. II, 1969, p. 709.
2. In merito alle quali si rinvia, oltre che alle pagine documentate di
Recami, Il caso Majorana, cit., e a quelle polemiche di Roberto Finzi, Ettore Majorana. Un’indagine storica, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2002, pp. 89-102, all’ampio saggio di Arnaldo Bruni, La scomparsa di
Majorana, in Sciascia, scrittore europeo, Atti del Convegno Internazionale
di Ascona, 29 marzo-2 aprile 1993, a cura di Michelangelo Picone, Pietro De Marchi, Teresa Crivelli, Birkhäuser, Basel-Boston-Berlin, 1994,
pp. 181-20, completato poi con Rilettura del « Majorana » di Sciascia, in
Cincotta-Carapezza, Il piacere di vivere, pp. 31-41. Si rimanda ora anche a
Traina, Una problematica modernità, pp. 151-67. Si vedano inoltre le pagine biogra$che e di storia della $sica, ben documentate, di Giulio Maltese, Il papa e l’inquisitore. Enrico Fermi, Ettore Majorana, via Panisperna, Zanichelli, Bologna, 2010.
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consustanziale a una rilettura effettuata con gli strumenti e i
modi propri della letteratura. Nella convinzione che solo
ciò consenta di cogliere, una volta per tutte, la verità.
Nonostante l’interesse e l’entità dei temi implicati, Sciascia
non tornerà che sporadicamente sulla vicenda di Majorana,1
pienamente appagato dal modo in cui la vicenda era stata
trattata da Lea Ritter Santini nella Postfazione alla traduzione
tedesca:2 un testo che lo scrittore volle fosse inserito, col titolo
Uno strappo nel cielo di carta, nella seconda edizione italiana3 e
che ora accompagna, in una versione riveduta, l’edizione Adelphi.4
Coeva alla polemica, un’autorecensione uscita in « Tuttolibri » nella serie « Quando l’autore giudica se stesso » dimostra che erano altre le questioni che davvero gli premevano:
Un’autorecensione. Un’autostroncatura. Dif$cile autorecensirsi. Più facile autostroncarsi. E preferibile, anche: visto che
nessuno pratica le belle, nette stroncature di una volta. Ma appunto perciò la autostroncatura suonerebbe a rimprovero di
coloro che benevolmente ci hanno recensito. Sarebbe anzi un
1. L’episodio principale è la reazione alla divulgazione da parte del $sico Emilio Segrè di una lettera del 25 maggio 1933 in cui Majorana si
esprimeva in termini non negativi nei confronti del nazismo: Leonardo
Sciascia, Majorana e quella famosa lettera, in « La Stampa », 8 marzo 1988,
p. 3, poi, col titolo Majorana e Segrè, in Fatti diversi di storia letteraria e civile
(1989), Adelphi, Milano, 2009, pp. 189-96.
2. Leonardo Sciascia, Der Fall Majorana, Seewald, Stuttgart, 1978.
3. Lea Ritter Santini, in Leonardo Sciascia, La scomparsa di Majorana,
Einaudi, Torino, 1985, pp. 79-101. L’autore aveva già suggerito l’inserimento del saggio nell’edizione scolastica, come risulta da una lettera
che gli inviò Carlo Carena il 13 marzo 1979 (AE/C, copia), ma, pur ritenendolo « molto bello », Davico Bonino il 29 luglio 1980 gliene comunicò l’esclusione perché « assolutamente inadatto ai ragazzi della scuola
dell’obbligo: si rivolge ad un pubblico adulto e colto » (FLS), a favore di
un testo di Lorenzo Mondo: cfr. Leonardo Sciascia, La scomparsa di Majorana, a cura di Sebastiano Vassalli, Introduzione di Lorenzo Mondo,
Einaudi, Torino, 1981, pp. v-xiii.
4. Leonardo Sciascia, La scomparsa di Majorana, con un saggio di Lea
Ritter Santini, Adelphi, Milano, 1997 (= Ade97), pp. 97-119. Le correzioni e integrazioni al saggio vennero comunicate da Ritter Santini il 7
gennaio 1997 a una redattrice adelphiana (AA). In merito a questa edizione, caratterizzata anche da interventi sulle citazioni trascritte da
Sciascia, frutto di una veri$ca puntuale delle fonti usate per la composizione dell’inchiesta, rinvio al mio articolo Volontà testamentarie e ragioni
della $lologia. Sull’edizione dell’opera saggistica di Leonardo Sciascia, in corso
di stampa in « Studi (e testi) italiani », 33 (2014), dove si argomenta
l’opportunità di tornare al testo licenziato dall’autore, pur con le sue
discrepanze dalle opere citate.
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note ai testi
atto di pura e nera ingratitudine. (In verità, non posso lamentarmi: la stroncatura, generalmente in disuso, a me più di una
volta è capitato di godermela; si vedano, per esempio, quelle
che si sono abbattute sul Contesto. Solo che non vi presiedeva la
letteratura, ma la politica e il costume).
Cercherò di tenere una via di mezzo: tra la recensione (elogiativa per come si usa) e la stroncatura. Toccando due soli
punti. Primo: La scomparsa di Majorana è, dopo I $sici di Dürrenmatt, la sola opera letteraria che, nel giro di più che un decennio, affronti con giustezza e con giusta violenza il problema dei
rapporti (ormai inesistenti, ormai criminalmente vani$cati) tra
l’umanità e la scienza e tra la scienza e il potere (invece esistenti
e sempre più criminalmente rafforzati). Questi due esili libretti, uno del 1962, l’altro di quest’anno, così soli, così sparuti di
fronte a dei fatti che il potere riesce a difendere con l’esercizio
di una omertà massiccia e insieme capillare, sono atti di coraggio: e rendono la letteratura – ormai smarrita nei labirinti di una sessualità che si illude libertaria mentre fonda nuovi modelli
di antica schiavitù – al suo uf$cio umanistico, e cioè di amore
all’uomo.
Poiché sono sole, le sole, un confronto tra le due operette si
impone. Nella commedia di Dürrenmatt il $sico che ha fatto la
scoperta che sa nefasta per il genere umano, difende il suo segreto e si autopunisce chiudendosi in un manicomio di lusso.
Nel mio racconto, Majorana sembra (sembra anche a me) $nisca in un convento. In area protestante, il manicomio. In area
cattolica, il convento. Nella commedia, il $sico è raggiunto in
manicomio da altri due $sici che si $ngono pazzi – uno dice di
essere Newton, l’altro Einstein – e che hanno il compito, assegnato loro da due diversi paesi in guerra fredda, di carpirgli il
segreto. Ma a carpirglielo sarà la direttrice del manicomio, che
lo venderà al maggiore offerente. L’idea della follia, e cioè le
teorie psichiatriche più avanzate, la follia stessa in cui si imbevono la scienza, la politica, fanno alla $ne un groviglio che sembra
ma non è inesplicabile. Il $lo che se ne può sgomitolare è questo: « Ciò che si è pensato una volta non può più venir revocato ». Con questa battuta, che fa dire al $sico che si nasconde,
Dürrenmatt dà un avvertimento realistico e ri$uta l’utopia della responsabilità individuale, della possibilità dell’individuo di
mutare o fermare qualcosa. Questa utopia è invece alla base del
mio racconto. Ma un’utopia come questa non serve più, il mondo non sa che farsene. Io so che farmene: ma è un po’ troppo
scrivere un libro, sia pure esiguo, per una cosa che serve solo a
me (e forse anche a pochi altri). Secondo: questa utopia ne nasconde altra, piuttosto arrogante. L’affermazione della « superiorità » della letteratura. Anche di questa, oggi come oggi, il mondo
non sa che farsene. Al povero autore, nonostante il grande suc-
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la scomparsa di majorana
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cesso di pubblico che il libretto ha avuto, non resta che sperare
nel domani. Una terza utopia.1
Per la presente edizione si assume il testo di Ein75, con alcune emendazioni:
a ) SM3 Ein75 24 soprattutto sopratutto (qui p. 305, in base
a D12 19)
b ) Ein75 31 Io sola sono colpevole « Io sola sono colpevole »
(qui p. 310, in base a D12 24-25 e SM4)
c ) Ein75 39 nota ne sono stati oggetto ne sono state oggetto (qui p. 316, in base a D12 nota 5)
d) SM 7 Ein75 49 soprattutto sopratutto (qui p. 324, in base a
D12 40 e a Ettore Majorana, Il valore delle Leggi Statistiche
nella Fisica e nelle Scienze Sociali, in « Scientia », XXXVI,
febbraio-marzo 1942, p. 66)
e ) Ein75 73 diruta « diruta » (qui p. 343, in base a D12 62 e
SM10-11)
f ) Ein75 74 si trovava un grande scienziato
si trovava « un
grande scienziato » (qui p. 344, in base a D12 63 e SM10-11).
Si emenda inoltre in « Frédéric » (qui p. 339) il « Fréderic » di D12 58 e Ein75 69, in base a SM10-11, e in « Le Corbusier » (qui p. 343) il « Le Corbusièr » di Ein75 73, che a sua
volta rimediava parzialmente al « Le Corbusière » di D12 62,
sempre in base a SM10-11. Le emendazioni sono entrambe già
in Ade97 85 e 90.
Si conserva invece la forma « Chevallier » di D12 18, SM3 e
Ein75 23 (qui p. 304) per il cognome di Auguste Chevalier,
come invece legge Ade97 34.
Si mantengono in$ne le due occorrenze della forma dittongata « giuoco » di D12 34 e 42 (anche in Ein75 43 e 51; qui
pp. 319 e 325), accanto alle forme prevalenti gioco, giocare.
1. Leonardo Sciascia, Il successo e l’utopia, in « Tuttolibri » (suppl. di « La
Stampa »), 27 dicembre 1975, p. 10.
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I PUGNALATORI
Il libro viene pubblicato in sedici puntate sulla « Stampa »
dal 24 ottobre al 12 novembre 1976; nello stesso anno esce
presso Einaudi nella collana « Nuovi Coralli » (n. 168). L’edizione Adelphi, nella collana « Piccola Biblioteca Adelphi »
(n. 490), è del 2003; incluso in OB II, pp. 271-345.
un feuilleton storico e politico
Nel dicembre 1975, considerato il buon esito della pubblicazione a puntate della Scomparsa di Majorana, Sciascia annuncia a Linder:
Credo che scriverò un’altra cosa da pubblicare a puntate su
« La stampa » (e vedremo poi se sarà il caso di farne un libro). Si
tratta di una storia siciliana, ma con protagonista un magistrato
piemontese (Guido Giacosa, il padre di Pietro), di cui il giornale mi darà una documentazione di base, e io cercherò qui il resto. Spero di scriverla in un paio di mesi.1
Come chiarisce la Nota (qui pp. 417-18), è il critico letterario della « Stampa », Lorenzo Mondo, a formulare la proposta e a mettere lo scrittore in contatto con gli eredi di Gia1. 12 dicembre 1975 (FM/L-sc). « Attendo Sue notizie sullo scritto destinato alla Stampa: » gli risponde l’agente il 17 dicembre « sono molto
intrigato da quello che mi scrive » (FM/L-sc, copia).
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i pugnalatori
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cosa, che forniscono la necessaria documentazione. Parte
delle ricerche, di cui resta traccia negli appunti autogra$,
Sciascia la svolge personalmente a Palermo, compiendo per
intero il percorso della scrittura delineato in SCM, p. 72:
leggo scrupolosamente tutto ciò che è stato scritto sull’argomento, compio ricerche, parlo con molta gente, e segno su dei
foglietti i punti che mi sembrano più importanti, o talvolta semplici annotazioni e particolari anodini, di cui intuisco la possibile, futura signi$catività. Poi lascio che tutto si decanti $nché
viene l’estate, la famiglia si trasferisce a Racalmuto, e $nalmente comincio a scrivere.
Gli appunti – conservati dagli eredi – rispecchiano solo
una sezione del lavoro preparatorio: dei numerosi brani del
« Giornale Of$ciale di Sicilia » citati nell’inchiesta, ad esempio, solo di quello del 2 ottobre 1862 (qui p. 353) sopravvive
la trascrizione autografa. Per converso, sono quattro i brani
trascritti da articoli pubblicati nel 1862 sul giornale di Crispi
« Il precursore » (26 novembre, 9, 11 e 16 dicembre), ma solo il primo e il terzo hanno un richiamo diretto nel testo
(qui p. 381). Per il resto si tratta di appunti relativi alla collocazione archivistica di documenti,1 cui si aggiungono uno
schema dei ferimenti del 1° ottobre 1862 ricavato dal rapporto dei carabinieri menzionato nell’opera (qui pp. 36162), un foglio dattiloscritto su carta intestata « Senato della
Repubblica » con dati concernenti i senatori del Regno Romualdo Trigona di Sant’Elia (1809-1877) e Domenico Trigona di Sant’Elia (1828-1906), ottenuti evidentemente dall’Archivio del Senato, e persino lo schizzo dello stemma araldico
di quella famiglia.
Di particolare interesse, considerato che « un notevole
movimento $loborbonico si sviluppa presso i benedettini di
Monreale » (qui p. 413 nota), è l’annotazione:
12 ottobre l’abate dei benedettini bianchi di Monreale consegna sotto segreto al comandante la stazione CCRR 3 sonetti e
5 odi in stampa speditigli da Napoli, non si sa da chi, ma sospetta
« la spedizione anzidetta sia stata eseguita da mano clericale ».
1. Per esempio: « Questura | Informazioni | riservate di Gabinetto | buste
455-456 | Informazioni personali | busta 523 | Protocollo di 2a e 3a di |
vol. 1384-85 »; « Ministero e R. Segreteria di Stato | presso il Luogotenente
Generale | Interni 7 | Grazia e giustizia 9 | Polizia 11 »; « Tribunale | Sentenze penali | 103 a | 103 b ».
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note ai testi
Nello stesso foglio sono trascritti dei versi evidentemente
ricavati dal gruppo di rime consegnate ai carabinieri: « Nel
siculo suolo / Fu uno il pensiere / Scacciare le schiere /
dell’usurpator » e « Mostro avernal che nel Sabaudo soglio... ».
Anche la stesura del testo rispetta le consuetudini: il lavoro estivo termina l’11 settembre 1976, data cui risale una
lettera indirizzata a Davico Bonino:
ecco il manoscritto, completo di note, de « i pugnalatori »
(penso che questo titolo vada bene: da romanzo popolare, ma
allude ai pugnalatori veri della democrazia italiana). Forse anche la nota che ti accludo potrebbe andare, in corsivo, in coda
alle altre. Vedete voi.
Mi piacerebbe sapere che ve ne pare.1
Il dattiloscritto, di cui si conserva una fotocopia all’Archivio Einaudi (= D13),2 viene avviato subito alla composizione:
« ho ricevuto stamane » gli risponde Davico Bonino « la tua
stesura de$nitiva dei Pugnalatori di Palermo. Ci stanno già lavorando per poterlo impaginare e spedirtelo al più presto ».3
E infatti già il 21 settembre lo stesso Davico Bonico può annunciare con un telegramma che le bozze impaginate sono
pronte, e aggiungere: « attendo istruzioni per spedizione ».4
La realizzazione del volume viene rinviata di alcune settimane, perché a partire dal 24 ottobre inizia la prevista pubblicazione sulla « Stampa », sempre in terza pagina (= Pu).
La prima puntata è introdotta dalla Nota – in volume collocata invece dopo il testo (qui pp. 417-18) – e dalla citazione,
poi diventata l’epigrafe, tratta da Boiardo. Mancano, come
1. AE/C.
2. AE. Uf$cio tecnico, Originali e bozze, cartella 1604, fascicolo 4828:
« I pugnalatori ». La copia consta di 49 pagine di testo numerate dall’autore in cifre arabe e 2 in cifre romane contenenti la Nota $nale. L’originale con buona probabilità è stato inviato alla « Stampa » per la pubblicazione a puntate. Una ulteriore fotocopia di D13 è stata donata da JeanNoël Schifano, traduttore francese del libro (Leonardo Sciascia, Les
poignardeurs, suivi de La disparition de Majorana, trad. fr. di Jean-Noël
Schifano e Mario Fusco, Nadeau, Paris, 1977), alla FLS. La fotocopia è
corredata della stesura dattiloscritta originale del frontespizio (« Leonardo Sciascia i pugnalatori »), della citazione in epigrafe e delle note poi pubblicate a piè di pagina in Ein76.
3. 14 settembre 1976 (AE/C, copia).
4. AE/C, copia.
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i pugnalatori
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già per la Scomparsa di Majorana, le note che corredano il testo dell’edizione einaudiana.1
I pugnalatori I : 24 ottobre, $no a « E torniamo, dunque, ai
fatti della sera del 1° ottobre. » (qui p. 355) = Pu1
I pugnalatori II : 26 ottobre, $no a « ma forse è stata illusione
anche la nostra. » (qui p. 358) = Pu2
I pugnalatori III : 27 ottobre, $no a « cioè tutto quello che il
D’Angelo aveva raccontato. » (qui p. 362) = Pu3
I pugnalatori IV : 29 ottobre, $no a « ma oggi per una dura necessità...” » (qui p. 366) = Pu4
I pugnalatori V : 30 ottobre, $no a « il partito che lui, moderato, non approvava. » (qui p. 371) = Pu5
I pugnalatori VI : 31 ottobre, $no a « la verosimiglianza del fatto in rapporto al personaggio Sant’Elia. » (qui p. 375) = Pu6
I pugnalatori VII : 2 novembre, $no a « tanti mandati di arresto
e di perquisizione. » (qui p. 378) = Pu7
I pugnalatori VIII : 3 novembre, $no a « davanti al Mattania,
davanti ai suoi complici| » (qui p. 382) = Pu8
I pugnalatori IX : 4 novembre, $no a « richieste di giusti$care il
loro operato, rimproveri, accuse. » (qui p. 385) = Pu9
I pugnalatori X : 5 novembre, $no a « secondo giustizia, è un
primo segno di disperazione. » (qui p. 388) = Pu10
I pugnalatori XI : 6 novembre, $no a « altre di cui, senza saperlo, stiamo godendo gli effetti). » (qui p. 392) = Pu11
I pugnalatori XII : 7 novembre, $no a « non dare per innocenti
le persone che i giudici credono colpevoli. » (qui p. 396) = Pu12
I pugnalatori XIII : 9 novembre, $no a « a noi pare disattenzione volontaria, deliberata. » (qui p. 399) = Pu13
I pugnalatori XIV : 10 novembre, $no a « In un carcere abbastanza lontano. In quello di Genova. » (qui p. 404) = Pu14
I pugnalatori XV : 11 novembre, $no a « La doveva invece all’Italia. » (qui p. 409) = Pu15
I pugnalatori XVI : 12 novembre, $no a « Si preparava così a
governare l’Italia. » (qui p. 415) = Pu16.
1. Leonardo Sciascia, I pugnalatori, Einaudi, Torino, 1976 (= Ein76). Tra
la copertina e il frontespizio sono riprodotte 5 immagini – 2 incisioni
con i volti dei pugnalatori, la xilogra$a con l’esecuzione di Castelli che
campeggia anche sulla copertina e i ritratti del principe di Sant’Elia e di
Giacosa – scelte dal ricco apparato iconogra$co che corredava le puntate sul quotidiano torinese. Un’ampia porzione di testo (da « La notte
dal 12 al 13 marzo » a « La doveva invece all’Italia. »; qui pp. 382-409)
viene proposta alcuni mesi dopo l’uscita del libro in « La lettura », marzo 1977, pp. 19-33.
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note ai testi
Nel frattempo la lavorazione del libro viene completata e
quattro giorni dopo l’uscita dell’ultima puntata Giulio Einaudi invia all’autore « la prima copia dei Pugnalatori ».1
Rispetto a quello apparso sulla « Stampa » il testo presenta
poche varianti, legate a interventi compiuti in fase di correzione di bozze. In Ein76 30 si allude alla notizia del « rinvio al
giudizio della Corte d’Assise, il 29 maggio » (qui p. 371),
mentre D13 16 e quindi Pu5 leggono « 30 maggio », data peraltro corretta2 e forse ricavata da qualche fonte, ma poi uniformata all’altra menzione della circostanza: « Nei giorni 28
e 29 maggio 1863 si riuniva la sezione d’accusa presso la Corte d’Appello, per sentire il rapporto di Giacosa ... La sera
stessa del 29, col vapore italiano Campidoglio, Giacosa lasciava Palermo » (qui p. 415 nota).
Inoltre, in D13 33, e quindi in Pu12, si legge « il vuoto, che
altrove avrebbe riempito l’indignazione », frase ellittica che
in Ein76 59 risulta decisamente migliorata in « il vuoto della
giustizia, che altrove avrebbe riempito l’indignazione » (qui
p. 393).
Alla Redazione della « Stampa » vanno attribuite le discrepanze fra D13 e Pu:
354 soprafatto D13 3 sopraffatto Pu1 357 cresta iliaco sinistra D13 5 cresta iliaca sinistra Pu2 377 in sua casa D13 21
in casa sua Pu7 380 aiutò col denaro D13 23 aiutò con denaro Pu8 383 che rendono impossibile D13 25
che rendono
impossibili Pu9 399 parroco dell’Albergheria D13 38 parroco dell’Alberghiera Pu13 400 fratello di questi D13 39 fratello di questo Pu14.
D13 è un dattiloscritto piuttosto pulito, con correzioni limitate e pochi brani riscritti, peraltro non sempre confrontabili con il testo emendato, che in fotocopia appare mal
leggibile al di sotto della cancellatura.
Nelle parti decifrabili, si nota una generale tendenza a riformulazioni che lasciano di fatto inalterati i contenuti. Segnalo un paio di passi in cui si ride$niscono particolari della
dinamica dei ferimenti:
357 e rispondendo il Pipia di no, quello gli saltò addosso e lo
colpì >, parve al Pipia, con un pugno ed era invece una coltella1. 16 novembre 1976 (AE/C, copia).
2. È il 30 maggio 1863 che, secondo Paolo Pezzino, « la Sezione d’accusa
accoglieva le richieste del sostituto procuratore generale » (La congiura
dei pugnalatori. Un caso politico-giudiziario alle origini della ma$a, Marsilio,
Venezia, 1992, p. 203).
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i pugnalatori
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ta all’ipocondrio destro. Tommaso Paterna, ventidue anni, confettiere< di due stilettate alla spalla. Tommaso Paterna, ventidue anni, confettiere D13 5
361 E il primo da ferire se lo giocarono, D’Angelo e Termini,
>« a tocco » e fu Angelo Fiorentino, 1ferito da 2colpito da Termini< a pari e dispari: e toccò al Termini D13 8.
E, soprattutto, due punti in cui Sciascia decide di lasciare
impliciti i riferimenti a partiti politici e alla ma$a, cassando
gli incisi esplicativi:
398-99 E con questo non si vuol negare che Corrao ed altri
del « partito esagerato » complottassero. Complottavano; e con
tutta probabilità, a livello della plebe cittadina, della camorra
rionale e della ma$a rurale, >credevano della loro parte quegli
elementi stessi che il partito borbonico credeva della sua (il che
col sottoproletariato palermitano o con la ma$a « piccola » può
ancora accadere al Partito Comunista come più di un secolo
addietro al Partito d’Azione)< contavano dalla loro parte quegli elementi stessi che il partito borbonico contava dalla sua: il
che può sempre accadere ai « partiti esagerati » in Sicilia e ovunque sia in corso una sicilianizzazione, e cioè una disgregazione
sociale secondo l’antico e stabile modello siciliano D13 37
411 gli si dava facoltà di « adescare con l’oro o con promessa
d’impieghi i capi-squadra del 1848 », >vale a dire i capi della
malavita organizzata,< di « stabilire dei Clubs D13 47.
raccontare la strategia della tensione
Il passaggio sul Pci palermitano cassato in D13 va circostanziato. Nell’autunno del 1976 Sciascia siede ancora nel Consiglio comunale di Palermo, eletto come indipendente nella lista del Pci, pur mostrando i segni di quel disagio che di
lì a pochi mesi lo avrebbe indotto alle dimissioni: « Non è
un’esperienza positiva » dichiara quando la pubblicazione
dei Pugnalatori sulla « Stampa » non è ancora terminata, e
prosegue:
Lì dentro non si serve a niente. Le sedute dei consigli comunali sono spettacoli assurdi. Ognuno parla quanto vuole, a ruota libera, per ore. Ma su che cosa| ... Io sinceramente ho un’invidia enorme per il segretario comunale, che riesce a riassumere in cinque righe di verbale quel che un consigliere dice in
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note ai testi
un’ora. Lo invidio proprio da scrittore, da persona del mestiere. Io non riesco quasi mai a capire niente.1
Pochi giorni dopo risponde così a Enzo Biagi che gli domanda come possano i comunisti frenare la « nuova ondata
di conformismo » che Sciascia aveva detto di scorgere dagli
scranni consiliari:
Io ritengo, francamente, che non riusciranno a bloccare nulla. In primo luogo perché non ci sono: presenti in effetti ma
con la loro paura, che è molto ragionevole, molto cosciente,
però è paura. Il guaio è che se io mi metto a criticarli, poi non
saprei dire che cosa debbono fare, perché ho paura anch’io, e
la paura è cattiva consigliera. Quando parlo del PCI, ecco i punti, parlo della gente che c’è dentro, non di Berlinguer o di Amendola.2
Ma il brano sul Pci e il giudizio sulla controproducente
gestione del consenso elettorale che se ne ricava evidenziano soprattutto lo spirito attualizzante con cui Sciascia guarda alla vicenda remota che ricostruisce. Lo spiega ancora a
Valentini:
La distanza a volte serve a raccontare meglio le cose dif$cili.
E poi il libro vuole proprio dimostrare come la strategia della
tensione abbia fatto parte $n dall’inizio dello Stato italiano,
sia addirittura nata insieme a lui. Per questo ho messo come
epigrafe al mio libro un verso di Boiardo: « Principio sì giolivo
ben conduce », che sarebbe a dire « quando si comincia così
bene... ». E infatti il nuovo regno d’Italia comincia con i personaggi che sono borbonici di fatto, ancora parte del passato
regime, difesi da quelli che sono borbonici di sentimenti. La
stessa cosa che accadde dopo la Resistenza, quando l’apparato
dello Stato, rimasto fascista, continuò inevitabilmente a proteggere i fascisti.3
1. Sciascia, il pugnalatore, intervista a cura di Chiara Valentini, in « Panorama », XIV, 551, 9 novembre 1976, p. 135.
2. Sciascia, il pessimista che non si arrende, intervista a cura di Enzo Biagi, in
« Corriere della Sera », 28 novembre 1976, p. 3. Alla $ne del colloquio,
dovendo indicare un personaggio da segnalare ai giovani, Sciascia sceglie proprio Enrico Berlinguer: « mi convince col suo comportamento,
un uomo serio, severo ». La lettera di dimissioni dal Consiglio comunale verrà spedita di lì a poco, il 25 gennaio 1977: cfr. Collura, Il Maestro di
Regalpetra, p. 239.
3. Sciascia, il pugnalatore, cit., p. 133. Il verso del Boiardo non deriva, come si legge nell’epigrafe, dall’Orlando innamorato: è invece il v. 5 del sonetto 26 (« Ecco quella che il giorno ce riduce ») del libro primo degli
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i pugnalatori
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Con ancor maggiore chiarezza lo ribadisce a $ne anno,
offrendo a Igor Man quasi una dichiarazione di poetica:
Tutte le volte che mi sono servito del passato, che ho rappresentato in un racconto fatti del passato, è stato per rappresentare e spiegare il presente ... Di certi fatti del presente conosciamo la natura, gli interessi che li muovono, il $ne cui sono diretti: ma a volerla assumere in un racconto, la materia di cui si dispone, e cioè la cronaca, non ha trasparenza: è torbida, oscura.
Bisogna che ci sia decantazione, distanza, distacco. Del resto, la
molla del racconto storico (del vero racconto storico, poiché
c’è un racconto storico diciamo d’evasione) è sempre stata il
presente: dai Promessi sposi al Gattopardo.1
E non mancano i confronti fra i protagonisti della vicenda
postunitaria e $gure dell’Italia del suo tempo: si va da un
generico « Ci sono tanti Sant’Elia nell’Italia di oggi »2 a un
più circostanziato « l’ispettore Daddi mi ha ricordato da vicino tanti agenti del servizio segreto italiano di cui si è tanto
parlato in questi anni ».3
Ma I pugnalatori non è solo un pamphlet, giacché colma
una lacuna nella ricerca storica, e Sciascia ne è consapevole:
Fino a oggi gli storici che si sono occupati di quell’episodio
erano convinti che Giacosa avesse preso un granchio a puntare
sulla grande congiura. E anch’io lo credevo. È stato solo trovando le carte del processo, in casa della sua pronipote Nina
Ruf$ni, che ho potuto appurare la verità. Gli atti uf$ciali erano
spariti da un pezzo.4
Gli atti li ha poi reperiti, all’Archivio Centrale dello Stato,
lo storico Paolo Pezzino, in servizio di un ampio e documentato saggio nel quale puntualizza e retti$ca vari aspetti del
libro di Sciascia, pur indicandolo come la fonte essenziale
Amores : cfr. Matteo Maria Boiardo, Amorum libri tres, a cura di Tiziano
Zanato, Einaudi, Torino, 1998, p. 78.
1. I pugnalatori sono fra noi, intervista a cura di Igor Man, in « La Stampa », 31 dicembre 1976, p. 3. Dei Pugnalatori come « storia ... dell’invenzione della strategia della tensione italiana » parla anche Vincenzo Consolo nella recensione apparsa in « Tuttolibri » (suppl. di « La Stampa »)
del 24 dicembre 1976 col titolo Misteri e pugnali del nuovo Sciascia, dove si
segnala il feuilleton pubblicato nel 1902 da Salvatore Mannino che venne riproposto sulla scia del libro di Sciascia (I pugnalatori di Palermo del
1862, Il Vespro, Palermo, 1976) e compare un richiamo al Gattopardo.
2. Sciascia, il pugnalatore, cit., p. 133.
3. I pugnalatori sono fra noi, cit.
4. Sciascia, il pugnalatore, cit., p. 133.
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note ai testi
della sua conoscenza dei fatti al momento di intraprendere
la ricerca.1 Pezzino giunge alla $ne « a conclusioni opposte »,2 attraverso un percorso in cui ai numerosi punti di dissenso af$anca sporadiche adesioni a singoli aspetti della ricostruzione e dell’interpretazione proposte nei Pugnalatori.
Chi voglia conoscere nei dettagli la vicenda è al libro di
Pezzino che deve rivolgersi, per colmare così le lacune documentarie che inducono Sciascia, per fare un esempio, a formulare una maliziosa congettura sul fatto che l’indagato
Giuseppe Di Giovanni « svanisc[a] del tutto nelle carte processuali » (qui p. 362), quando invece « fu liberato a seguito
della dichiarazione del gestore della bettola dove egli la sera
delle pugnalazioni aveva lavorato ».3
Ma I pugnalatori non ha solo il merito di aver dato rilievo a
un frammento dimenticato e tutt’altro che irrilevante della
storia patria: dobbiamo infatti considerarlo propriamente,
come suggerisce Giuseppe Traina, « l’investigazione storica
di un letterato » che « ha impostato la maggior parte dei suoi
testi proprio sulla contrapposizione fra Individuo – limpido,
disinteressato, inevitabilmente scon$tto – e Potere – oscuro,
interessato, inevitabilmente vincitore ».4 E se è vero che, al di
là delle puntualizzazioni che sempre si possono fare sulle
inchieste sciasciane, le critiche mosse dagli storici chiamano di fatto in causa « la questione più generale della “liceità”
delle investigazioni compiute dallo scrittore siciliano a dirsi
storiche oltre che letterarie »;5 occorrerebbe piuttosto cogliere i tratti originali di una produzione che, per usare le parole dello studioso che per primo colse le peculiarità dei Pugnalatori, tiene in perfetto equilibrio « il conte philosophique, la
cronaca storica e l’inchiesta politica ».6
Il testo della presente edizione è ricavato da Ein76, con alcune emendazioni:
1. Pezzino, La congiura dei pugnalatori, cit., p. 3.
2. Ibid., p. 282, nota 48.
3. Ibid., p. 247, nota 181.
4. Traina, In un destino di verità, p. 129. Lo studioso discute del libro di
Pezzino nel capitolo « Sciascia e gli storici. Il caso dei Pugnalatori » (pp.
123-36).
5. Ibid., p. 130.
6. Carlo Alberto Madrignani, recensione a I pugnalatori, in « Belfagor »,
XXXII, 4, 31 luglio 1977, p. 477 (si legge ora in Antonio Motta, Leonardo
Sciascia. La verità, l’aspra verità, Lacaita, Manduria-Bari-Roma, 1985, pp.
335-40; la citazione è a p. 336).
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i pugnalatori
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a ) Pu4 Ein76 21 soprattutto sopratutto (qui p. 364, in base
a D13 11)
b ) Ein76 57 quando facea colpa
quando faceane colpa
(qui p. 391, in base a D13 31 e Pu11)
c ) Ein76 62 interdisce soltanto interdice soltanto (qui p.
395, in base a D13 34 e Pu12, e alla forma « interdice », di
poche righe sopra, comune a tutte le testimonianze, qui
p. 394)
diverso di quello (qui
d ) Pu13 Ein76 64 diverso da quello
p. 397, in base a D13 36, conforme all’uso di Sciascia: cfr.
OA I, p. 1953 nota).
Si ripristina inoltre l’accento prescritto in castigliano in
« música » (qui p. 392), come nell’edizione Adelphi del 2003
(p. 71), laddove D13 32, Pu12 e Ein76 58 recano « musica »; cfr.
poche righe sopra « León », come in Ein76 58 (ma « Leon » in
D13 32 e Pu12).
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L’AFFAIRE MORO
Il libro viene pubblicato nel 1978 presso Sellerio nella collana « La civiltà perfezionata »; ristampato nel 1983 nella collana « La memoria » (n. 80), con l’aggiunta della Relazione
di minoranza presentata da Sciascia alla Commissione parlamentare sul caso Moro. L’edizione Adelphi, nella collana
« Piccola Biblioteca Adelphi » (n. 332), è del 1994; incluso in
OB II, pp. 463-599.
« questo libro mi ha dato l’insonnia »
Domenica 19 marzo 1978, tre giorni dopo l’agguato di via
Fani, il direttore di « Paese Sera » Aniello Coppola denuncia
come nell’avversione per lo Stato, che alligna in « quelle zone dell’estremismo che sono collegate a $sarmonica con il
“partito armato” e con l’eversione terroristica », si senta « l’eco delle suggestioni corrosive provenienti da intellettuali
solitari, a cominciare da Leonardo Sciascia, da tempo arrivato alla conclusione che questo Stato sia da buttare ».1 Il richiamo evidente è alla polemica sul coraggio e la viltà degli
intellettuali dell’estate precedente,2 in occasione della quale era stato arbitrariamente attribuito a Sciascia lo slogan
1. Aniello Coppola, Non è tempo di cicale, in « Paese Sera », 19 marzo 1978,
p. 1.
2. Si veda AA.VV., Coraggio e viltà degli intellettuali, a cura di Domenico
Porzio, Mondadori, Milano, 1977, e OA I, p. 1901 e nota 3.
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l’affaire moro
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« né con lo Stato né con le Br », in realtà mai pronunciato in
questa forma, né pensato. Dopo averlo annoverato fra i cattivi maestri, Coppola lo assimila agli « intellettuali abituati a
ponti$care sugli umori segreti della coscienza pubblica »
che ora tacciono e si chiede: « Perché questo silenzio| ».1
Nella replica, af$data il 21 marzo a un comunicato dell’agenzia ANSA, Sciascia ammette che il suo « silenzio » era stato sino a quel momento volontario:
Non scrivo sui giornali da circa quattro mesi. Per tante ragioni. E non ultima quella di una stanchezza e di un disgusto che
mi prendono ogni volta che la più piccola verità che mi trovo a
dire viene travisata dagli intolleranti e dagli imbecilli.2
Da quel momento Sciascia viene coinvolto nella discussione pubblica sul caso Moro, e ben presto dalla stigmatizzazione del suo silenzio si passerà all’aspro, e spesso pregiudiziale, dissenso nei confronti delle sue parole. Eppure, durante
i cinquantacinque giorni della prigionia di Moro, la sua è
una voce quasi sommessa: appena rotto il silenzio, rilascia
un’ampia intervista alla « Repubblica »,3 è vero, e risponde diffusamente sulla « Stampa » a una lettera aperta di Luigi Compagnone,4 ma in seguito si limita a una dichiarazione di poche righe, sempre sulla « Repubblica », dopo il falso annuncio dell’uccisione di Moro5 e, nei drammatici primi giorni di
1. Coppola, Non è tempo di cicale, cit.
2. Il comunicato, riportato anche su « Paese Sera » del 22 marzo 1978, p.
1, con una controreplica di Coppola, si legge in PVN, p. 18, col titolo
L’arroganza di Coppola. Le considerazioni svolte vengono poi dilatate e
articolate in Leonardo Sciascia, Non difendo questo uovo, in « Panorama »,
XVI, 624, 4 aprile 1978, pp. 109 e 111 (poi in PVN, pp. 28-32), cui fa seguito sul numero successivo del settimanale un’intervista a Coppola a
cura di Chiara Valentini, intitolata Uscire dal guscio (a p. 97). L’ultimo
articolo sciasciano su temi d’attualità (Intellettuali e terrorismo, in « La
Stampa », 25 novembre 1977, p. 1; poi in PVN, pp. 11-13) costituiva l’estrema coda della polemica estiva.
3. « Quella tragica foto di Moro... », intervista a cura di Alberto Stabile, in
« la Repubblica », 23 marzo 1978, pp. 1-2 (poi in PVN, pp. 19-21, e SPSV,
pp. 179-82), che prende spunto dalla prima fotogra$a di Moro diffusa
dai terroristi, su cui si veda ora Marco Belpoliti, Da quella prigione. Moro,
Warhol e le Brigate Rosse, Guanda, Parma, 2012, pp. 24-51.
4. Luigi Compagnone, Lettera a Sciascia, in « La Stampa », 25 marzo
1978, pp. 1-2 (poi in PVN, pp. 22-24), cui Sciascia replica il 29 marzo
1978, con un articolo in prima pagina intitolato Sciascia, il caso Moro e lo
Stato (poi in PVN, pp. 24-27).
5. Leonardo Sciascia, È la $ne delle Br, in « la Repubblica », 19 aprile
1978, p. 1.
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note ai testi
maggio, a brevi interventi sull’« Ora »1 e a un articolo sulla
« Stampa ». Quest’ultimo, in particolare, anticipa uno dei
temi centrali dell’Affaire Moro:
Spero che anche questa volta il messaggio delle Brigate rosse
sia « falso ». Se autentico, se davvero hanno eseguito o sono decise ad eseguire la loro sentenza, quella che con grottesca atrocità chiamano sentenza, non posso che ripetere quanto ho dichiarato allora: che ripristinando nel nostro Paese la pena di
morte si assumono, oltre quelle che già hanno, una tremenda
responsabilità. Se l’assumono di fronte a tutto il popolo italiano, di fronte allo stesso movimento rivoluzionario che dicono
di rappresentare, se l’assumono persino di fronte ai loro compagni in carcere. Se l’assumono anche di fronte a coloro che
$nora hanno negato solidarietà alla classe di potere, allo Stato
così come da questa classe è gestito.
Perché a questo punto non si pone più il dilemma se tentare
di salvare lo Stato così com’è o lasciare che vada in rovina. Si
tratta di essere dalla parte del delitto – del delitto freddamente
preparato ed eseguito – o contro il delitto.
Chi ha sempre considerato la pena di morte un crimine, il
crimine più terribile che una società può commettere attraverso la legge, a maggior ragione la considera un crimine quando
è applicata, in efferata parodia, da dei criminali.2
L’idea è ribadita con maggiore chiarezza in margine a una conversazione con gli studenti di un centro montano fra
Agrigento e Palermo:
io faccio colpa alle brigate rosse anche di questo, che in questo momento mi costringono ad essere solidale con una classe
dirigente con la quale non sarei mai stato solidale. Ma dal momento in cui loro ripristinano in Italia la pena di morte, che è
1. I due interventi su « L’Ora » – L’opinione di Leonardo Sciascia, 4 maggio
1978, p. 1, e L’opinione di Sciascia, 5 maggio 1978, p. 3, confluiti poi in
Nero su nero (qui pp. 1073-74) – erano stati preceduti da un accenno a
Moro nella chiusa di un pezzo della rubrica « Incidenze & coincidenze »
devoluto a La vita è sogno di Calderón de la Barca, in « L’Ora », 25 aprile
1978, p. 1 (« La vita è sogno. Il potere è sogno. Un dramma cattolico.
Ma c’è dentro il dramma che forse Moro vive e su cui certamente altri
cattolici dovrebbero meditare »). Risale al mese di aprile anche la nota
di Nero su nero sulla « polemica che si agita contro gli intellettuali – contro il loro silenzio o contro le loro parole » (qui p. 1075), di cui non sono riuscito a individuare la sede della prima pubblicazione: cfr. sotto la
relativa Nota al testo, p. 1398, nota 2.
2. Leonardo Sciascia, Dalla parte del delitto o contro il delitto, in « La Stampa », 6 maggio 1978, p. 3.
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una delle cose più orrende che io possa immaginare, essi mi
costringono ad essere solidale verso la parte dell’onorevole Moro, con la Democrazia cristiana, con il partito comunista, con
questo Stato. Ed è anche questa una loro colpa.1
Sciascia è profondamente toccato dalla vicenda, ma lo
manifesta soprattutto in privato, raccogliendo materiali e
documenti funzionali alla stesura del libro che gli ha commissionato l’editore parigino Grasset, come risulta da un’intervista dei primi di giugno:
Leonardo Sciascia sta scrivendo una storia del sequestro e
della morte di Aldo Moro. Scrive per un editore francese, documentandosi sulle lettere che dalla prigione dei terroristi il leader
democristiano ucciso ha mandato ad uomini politici, amici e
familiari, sui suoi discorsi parlamentari degli ultimi anni, sui
comunicati delle Brigate rosse, sulle preghiere del Papa e della
moglie di Moro, sui giornali e su quel poco che si conosce certamente delle indagini poliziesche.2
L’occasione gli torna utile per spiegare le ragioni della
sua scarsa attività pubblica nelle settimane precedenti e, più
in generale, dell’abbandono della narrativa d’invenzione:
Di fronte al caso Moro ho avuto il mio trauma, la mia crisi.
Ma direi che l’ho avuta all’interno del mio mestiere, nel senso
del terrore dello scrivere. Ed è per questo che per un po’ non
ho scritto. Ora riprendo, proprio su Moro: ma su cose certe, già
state, sui documenti della sua vicenda ... I miei sono soltanto dei
processi aritmetici, del due più due che fa quattro. Ho un po’
paura di questo quattro, ecco.3
Lo ribadisce poco dopo in un’altra intervista:
Sul caso Moro scriverò come di un fatto già accaduto e ti dirò
che ne scriverò in prima persona, non proprio per raccontare i
fatti ma per esprimere le mie reazioni a quei fatti e per coglierne i nodi direi più drammatici, più pirandelliani. Uno di questi
1. Elogio dell’eresia, conversazione con gli studenti dell’Istituto Sperimentale di Santo Stefano Quisquina a cura di Marcello Cimino, in
« L’Ora », 9 maggio 1978, p. 5; la citazione fa parte del brano escluso da
PVN, pp. 194-202, e da SPSV, pp. 301-13, dove – datato erroneamente
« maggio 1979 » – compare il resto del dialogo.
2. « Ora scrivo di Moro, un uomo che credeva nella dignità umana », intervista
a cura di Roberto Ciuni, in « Corriere della Sera », 7 giugno 1978, p. 1.
La proposta – lo ricorda Collura, Il Maestro di Regalpetra, p. 266 – gli era
venuta dall’amico Dominique Fernandez, autore di punta di Grasset.
3. « Ora scrivo di Moro... », cit., p. 2.
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nodi, e secondo me il più importante, è quello di Moro del quale ad un certo punto viene detto che non è più se stesso.1
Nel frattempo, nel mese di giugno, si era consumata la
rottura con Einaudi (che contro la volontà dell’autore aveva
presentato Candido ovvero Un sogno fatto in Sicilia al premio
Campiello),2 e Sciascia deve decidere con chi pubblicare l’edizione italiana dell’Affaire Moro. La soluzione viene consegnata, dopo un incontro chiari$catore avvenuto a Palermo,
a una lettera della seconda metà di luglio:
Sto lavorando al libro sull’affaire Moro, che ho contrattato
con Grasset per tutti i paesi ad eccezione dell’Italia. In Italia,
forse lo pubblicherò dai miei amici Sellerio: gesuitica soluzione
per non lasciare Einaudi.3
Giulio Einaudi non può che accoglierla con favore,
con$dando in un pieno recupero del rapporto editoriale:
ti sono assai grato per la soluzione prescelta, che ti consente,
anche nel caso tu volessi rendere felici i nostri ormai comuni amici, di non lasciare la Einaudi, che sai quanta stima e $ducia
ha in te e nel tuo lavoro.4
Anche Linder è d’accordo (« con questo mi pare che, per
il momento, la questione sia accantonata, e spero si risolva
come Lei mi aveva già detto e come ha scritto ad Einaudi: il
prossimo libro sotto un’altra sigla, per decidere, poi, se si
debba o non debba tornare da Einaudi »); solo, disapprova
recisamente il troppo generoso trattamento riservato a
Grasset, a cui vengono ceduti i diritti « per tutto il mondo
fatta eccezione per l’Italia ».5
Intanto la stesura del libro procede con le modalità usuali, ma senza diletto: « Moro me lo sogno anche di notte, » confessa la vigilia di Ferragosto « è dif$cile cercare di ricostruire
1. « Hanno il gusto di caricarmi tutte le altrui responsabilità », intervista a cura di Giuseppe Quatriglio, in « Giornale di Sicilia », 2 luglio 1978, p. 3.
Altre anticipazioni dei contenuti del libro si rintracciano in una intervista di poco precedente: Un entretien avec Leonardo Sciascia: Les barbares
sont parmi nous, intervista a cura di Hector Bianciotti e Jean-Paul Enthoven, in « Le Nouvel Observateur », 710, 19-25 giugno 1978, pp. 86-114,
tradotta, col titolo I barbari sono tra noi, in « Epoca », XXIX, 1448, 5 luglio
1978, pp. 36-40 (poi in PVN, pp. 42-55, e SPSV, pp. 183-99).
2. Sulla vicenda, si veda OA I, pp. 1909-11.
3. 20 luglio 1978 (FM/L-sc, copia).
4. 1° agosto 1978 (FM/L-sc, copia).
5. 3 agosto 1978 (FM/L-sc, copia).
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questa vicenda così enorme ».1 A stesura quasi conclusa può
essere ancora più drastico:
Ogni anno, qui in campagna, scrivere un libro – un piccolo
libro – è per me riposo e divertimento: quale ne sia l’oggetto, la
materia. Il riposo e il divertimento della scrittura, il piacere di fare
un testo ... Ma questo su Moro mi ha dato una inquietudine che
scon$nava nell’ossessione. E ne esco stanco: però con l’impaziente voglia di mettermi ad altra scrittura, ad altro testo.2
Alcune notizie contenute nell’intervista di metà agosto
contrastano con gli elementi offerti dal dattiloscritto (= D14),
di cui i nipoti di Sciascia Mila e Angelo Tomassoli conservano una copia.3 A una decina di giorni dal termine della stesura Sciascia avrebbe dichiarato di dover scrivere « ancora
un centinaio di pagine », prima di consegnare il lavoro « a un
editore francese ». E poiché le parole introduttive del giornalista:
Lavora di lena in una stanzetta con aria condizionata, una
sedia, un tavolino ingombro di carte e di libri. Scrive $tto con
una portatile, ha già riempito un centinaio di fogli senza alcuna
correzione. Il libro su Moro si apre con un breve brano di Borges, bello, profondo ed enigmatico. « Sembra suo », dico4
inducono a credere che il libro avesse quasi raggiunto le dimensioni $nali, se ne poteva evincere che fosse in seguito
intervenuta una celere ride$nizione e contrazione del pro1. Sciascia ci parla del caso Moro: « Saremo perduti senza la verità », intervista
a cura di Tony Zermo, in « La Sicilia », 15 agosto 1978, p. 1 (poi in PVN,
p. 60, e SPSV, p. 201).
2. Leonardo Sciascia, Come gli oggetti che sono eterni, in « Corriere della
Sera », 6 settembre 1978, p. 3; poi in Nero su nero (qui p. 1106). Torna
sull’argomento un mese e mezzo dopo: « Scrivere mi piace. Molto: se
non mi diverto, non scrivo. Ma questo libro su Moro mi ha divertito
molto meno, anzi mi ha dato l’insonnia » (Un sogno fatto in Sicilia. Una
giornata con Leonardo Sciascia, intervista a cura di Giuseppe Barbera, Paolo Brogi e Enrico Deaglio, in « Lotta continua », 21 ottobre 1978, inserto
non paginato; anche in PVN, pp. 111-12, e SPSV, p. 230).
3. La fotocopia del dattiloscritto consta di 96 pagine numerate dall’autore, cui si aggiungono quella iniziale con la citazione da Elias Canetti,
La provincia dell’uomo. Quaderni di appunti 1942-1973, trad. it. di Furio
Jesi, Adelphi, Milano, 1978, p. 73, e 6 pagine con la « cronologia dell’“affaire ” ». Ringrazio la famiglia Tomassoli per la cortese e tempestiva disponibilità. Una ulteriore fotocopia di D14 è stata donata da JeanNoël Schifano, traduttore francese del libro (Leonardo Sciascia, L’affaire Moro, Grasset, Paris, 1978), alla FLS.
4. Sciascia ci parla del caso Moro, cit., p. 1.
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getto.1 Quanto al « brano di Borges », la risposta di Sciascia
(« Comincio sempre i miei lavori con una frase emblematica, che è un po’ il simbolo-guida di quello che voglio scrivere »)2 dimostrerebbe che il dattiloscritto era effettivamente
aperto dalla citazione dal racconto Esame dell’opera di Herbert
Quain3 che ora chiude il libro (qui p. 522) e che si legge in
D14 96. Se non si tratta di una svista del giornalista – forse il riferimento era al brano di Canetti – ci sarebbe stato uno spostamento inusuale nella prassi scrittoria di Sciascia. D14 96
contiene anche la data di conclusione della stesura, confermata dal già citato articolo di Nero su nero : « Finito il 24 agosto
il pamphlet sul caso Moro, ho passato quattro giorni a rileggerlo, correggendo e ritoccando quasi meccanicamente »
(qui p. 1106).
La principale peculiarità di D14 consiste nel fatto che i più
estesi scritti di Moro citati nel libro sono ricavati da una pubblicazione a stampa, le cui pagine sono state ritagliate e incollate sui fogli del dattiloscritto,4 mentre è trascritta la lette1. L’indicazione delle pagine ancora da scrivere può essere alla base
delle illazioni sul taglio (auto)censorio di 100 o 150 pagine che circolarono subito dopo la pubblicazione del pamphlet e che indussero Sciascia a una recisa smentita: « Questa voce delle 150 pagine mancanti è
assurda. Non può essere certo uscita dalla casa editrice Sellerio e tantomeno da me. Ho $nito il libro in agosto e ho inviato due copie del manoscritto ai miei due editori ... Questa presunta “censura” è due volte assurda. Come possono mancare delle pagine| L’“Affaire” ha la stessa misura, più o meno, di tutti i miei libri. È la mia misura » (Al libro di Sciascia tagliate 100 pagine| Lo scrittore risponde, intervista a cura di Silvano Costanzo, in « Stampa Sera », 18 ottobre 1978, pp. 12-13). E lo ribadisce, non
sollecitato, a dicembre: « Lo sai che l’Ansa ... aveva diffuso la notizia che
avevo ridotto il libro a 146 pagine rispetto alle 250 annunciate, insinuando chi sa che e dicendo che era in giro una seconda edizione senza che
fosse mai circolata la prima| Nessuno aveva mai annunciato quel libro
di 250 pagine » (Uno, nessuno e centomila Sciascia, intervista a cura di Nico
Perrone, in « il manifesto », 5 dicembre 1978, p. 4; poi in PVN, pp. 120-21,
e SPSV, pp. 240-41).
2. Sciascia ci parla del caso Moro, cit., p. 1.
3. Sciascia riproduce, con lievi differenze, la traduzione di Franco Lucentini (Jorge Luis Borges, La Biblioteca di Babele, Einaudi, Torino, 1955,
pp. 73-74) che aveva recensito sulla « Gazzetta di Parma » del 22 dicembre 1955 (ora in PRSG, pp. 91-94). Il racconto si legge ora in Jorge Luis
Borges, Finzioni, a cura, e con un saggio, di Antonio Melis, Adelphi, Milano, 2003, pp. 61-66.
4. Sono così riprodotte la lettera a Cossiga del 29 marzo (D14 23; qui
pp. 445-46), quelle a Zaccagnini del 4 aprile (D14 37-38; qui pp. 46061) e del 20 aprile (D14 57-58; qui pp. 482-85), quella su Taviani allegata al comunicato delle Br del 10 aprile (D14 44-45; qui pp. 468-71), e
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ra indirizzata alla moglie Noretta che Sciascia presume redatta « tra il 27 e il 30 aprile » (qui p. 520) e che invece risale
al 7 aprile.1
D14 non lascia trasparire le dif$coltà elaborative dichiarate dall’autore, e mostra anzi una veste esteriore che se non è
frutto di un’ampia ricopiatura2 è paragonabile a quella di
un’opera ‘felice’ come Candido ovvero Un sogno fatto in Sicilia, stesa in ben altre condizioni l’anno precedente.3 Le non
molte correzioni non sono sempre confrontabili con la lezione sottostante, mal leggibile nella fotocopia; ma le parti decifrabili rivelano rielaborazioni e ripensamenti signi$cativi,
come l’estensione all’intera Sicilia di una caratteristica architettonica in un primo momento limitata a una zona speci$ca
dell’isola:
455 Nelle case patrizie >del palermitano< siciliane c’era, ingegnosamente escogitata credo nel secolo XVIII, una camera
dello scirocco D14 32
o la riduzione della stima numerica dell’ignoranza grammaticale degli italiani:
507 Un>a< buon>a metà< \terzo/ della popolazione italiana si chiede che cosa è questo gerundio cui ci si af$da per salvare la vita di Moro D14 79.
Altri interventi rilevanti sono operati nelle parti in cui si
caratterizzano la natura e l’azione delle Brigate rosse:
476-77 discorso sul mito di rigore e di verità che, in uno a
quello della micidiale >precisione e< perfezione >nell’esecuzione di disegni< e dell’imprendibilità, godevano e godono le Brigate rosse nell’inconscio collettivo D14 52
quella alla Dc del 27 aprile (D14 69-71; qui pp. 495-98); così anche il
falso comunicato delle Br del 18 aprile (D14 53; qui pp. 478-79) e il
comunicato della famiglia Moro (D14 75; qui p. 502).
1. Trascritta in D14 93-95 (qui pp. 520-21), la lettera venne sequestrata
dalla polizia l’8 aprile, ma venne resa nota da Mino Pecorelli su « OP »,
25, 13 giugno 1978, pp. 5-6, in un fascicolo dedicato alle Lettere segrete di
Aldo Moro: cfr. Aldo Moro, Lettere dalla prigionia, a cura di Miguel Gotor,
Einaudi, Torino, 2008, p. 33, nota 1.
2. Almeno in D14 60 la ricopiatura di una prima, più ampia stesura ci
dev’essere stata giacché dopo « Come era prevedibile, l’appello » (qui p.
487) il seguito della riga e le dieci righe successive sono occupate da sequenze di lettere volte a riempire lo spazio del foglio rimasto bianco dopo la rielaborazione del testo.
3. Si veda OA I, pp. 1904-908.
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note ai testi
515 non c’è delazione >che a loro sfugga anche se sussurrata nell’uf$cio più segreto.< o collaborazione di cui loro non siano informati D14 88.
In due momenti di quella caratterizzazione si rinuncia
all’opposizione fra punto di vista soggettivo e oggettivo e si
riformula il concetto:
515 E al di là di queste >soggettive analogie, altre ce n’è non
oggettive< analogie, $no a un certo punto oggettive, nella coscienza popolare se ne è affermata un’altra D14 88
516 Sarebbe >– soggettivamente da parte nostra, oggettivamente da parte loro – collocare le Brigate rosse< pazzesco da
parte nostra collocare le Brigate rosse in una sfera di autonoma
e autarchica purezza rivoluzionaria D14 89.
Sciascia rinuncia inoltre a sottolineare il fatto che i due
esponenti del Pci che $rmarono l’appello per la liberazione
di Moro pubblicato da « Lotta continua » non avessero più il
peso politico di un tempo:
490 persino da due >esponenti< comunisti di prestigio >anche se un po’, negli ultimi anni< come Umberto Terracini e
Lucio Lombardo Radice D14 64.
In$ne, nell’« ulteriore e più libera », e perciò « più realistica », traduzione della nota del governo del 3 maggio, là
dove si leggeva « Lo Stato, altrimenti impotente » (D14 76) e
« lo Stato non potrà che dirsi lieto » (D14 77), Sciascia sostituisce in entrambi i luoghi « il governo » a « lo Stato » (qui
p. 504).
Al principio di settembre Sciascia invia a Linder una copia
del testo:
Le mando L’affaire Moro (l’intitolerei così anche nell’edizione italiana). Mi piacerebbe sapere quel che ne pensa. Comunque, conservi il manoscritto nel caso debba essere passato a un
editore di costì1
e un mese dopo giunge in libreria un’elegante edizione2
(che prevede anche una tiratura per biblio$li di 120 esemplari con acclusa l’incisione L’uomo solo di Fabrizio Clerici
riprodotta in copertina). La precedono interventi improntati a dif$denza: in particolare, ancora prima che ampi stral1. 2 settembre 1978 (FM/L-sc).
2. Leonardo Sciascia, L’affaire Moro, Sellerio, Palermo, 1978 (= Sel78). Il
‘$nito di stampare’ è del 12 ottobre 1978.
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ci del pamphlet venissero pubblicati dal « Corriere della Sera »1 e dall’« Espresso »,2 e sul solo fondamento delle anticipazioni e delle interviste rilasciate dall’autore mentre era in
corso la stampa,3 Eugenio Scalfari e Indro Montanelli avevano espresso i primi severi giudizi4 su un libro destinato a far
discutere a lungo e accanitamente, e spesso a sproposito,
come notò sin dall’inizio lo stesso Sciascia:
Tutt’altra vicenda sta avendo il mio ultimo libro su L’affaire
Moro. Pochissimi critici letterari se ne sono $nora occupati: e
nemmeno da Ambroise ne ho avuto ancora un giudizio. Prima
che fosse pubblicato, sui pochi capitoli pubblicati dai giornali,
molto autorevoli giornalisti hanno espresso riserve, dissensi, indignazioni. E non è andata diversamente dopo la pubblicazione. Curiosamente, il giudizio sul libro non letto era già lo stesso
di quello sul libro letto. Con una sola eccezione.
Scorrendo quel che è stato scritto prima e dopo, non posso
dire di aver di fronte una critica. E tanto per fare un esempio,
restando nell’ambito di questo giornale: le due volte che del libro si è parlato, di sfuggita la prima volta, in sede di recensione
1. Leonardo Sciascia, « Pasolini, le lucciole che credevi scomparse cominciano
a tornare », in « Corriere della Sera », 23 settembre 1978, pp. 1-2 (i due
capitoli iniziali: $no a « il suo linguaggio del nondire. »; qui pp. 423-32),
e Sciascia e l’« Affaire Moro », in « Corriere della Sera », 24 settembre 1978,
p. 11 (dal quarto al sesto capitolo: da « Nel farsi di ogni avvenimento »
a « si è voluto, per impostura, imporgli »; pp. 438-54). Qualche giorno
prima Sciascia aveva rilasciato ad Antonio Ferrari una dettagliata intervista (Quelle Brigate rosse avevano due volti, dice Sciascia, in « Corriere
della Sera », 20 settembre 1978, pp. 1-2) sui temi e le intenzioni del pamphlet.
2. Leonardo Sciascia, Aldo Moro è morto due volte, in « L’Espresso », XXIV,
38, 24 settembre 1978, pp. 10-17 – da « Uno dei racconti più straordinari » a « qual parve, quale è creduto...”). » (qui pp. 433-37); da « “Il popolo”, giornale della Democrazia Cristiana » a « perviene la sera del 27 aprile » (qui pp. 493-95); da « Chi, non disponendo » a « è diventato un
morire con la rivoluzione| » (qui pp. 514-18).
3. Ed ecco perché ho scritto questo libro, intervista a cura di Rita Cirio, in
« L’Espresso », XXIV, 38, 24 settembre 1978, pp. 14-15 (poi in PVN, pp.
65-67, e SPSV, pp. 207-10), e Io vi accuso!, intervista a cura di Stefano
Malatesta, in « Panorama », XVI, 649, 26 settembre 1978, pp. 69, 71-72
(poi in PVN, pp. 74-77, e SPSV, pp. 211-14).
4. Brani dei loro interventi, in cui vengono elogiate le qualità letterarie
del libro, così da depotenziarne la rilevanza, sono riportate nel segnalibro accluso a Sel78: se ne legge in Nigro, Sciascia scrittore editore, pp. 46-47,
e in « Domenica » (suppl. di « Il Sole 24 Ore »), 9 marzo 2003, p. 25, dove, a cura dello stesso Nigro, è riprodotta una scheda di presentazione
del libro rimasta inedita; su quest’ultima, si veda ancora Nigro, Sciascia
scrittore editore, pp. 15-16.
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note ai testi
la seconda, né io né i lettori possiamo dire sia stato attendibilmente criticato.
La prima volta, Spadolini ha scritto che il libro non lo persuadeva nell’insieme ma salvava le pagine « sulla ricerca dei covi »
– pagine che nel libro non esistono. La seconda volta, in una
vera e propria recensione, Vittorio Gorresio non solo affermava
una cosa oggettivamente non vera, e cioè che le ultime scoperte
fatte nei covi milanesi delle Brigate [sic] fanno crollare tutto il
castello delle mie interpretazioni e supposizioni (ed è vero esattamente il contrario), ma mi faceva ad un certo punto affermare quel che io in un intero capitolo nego: che Moro parli del
bisogno che la famiglia ha di lui solo per impietosire gli italiani.
E me ne rimprovera in questi termini: « È una interpretazione
impietosa, squali$cante per un uomo politico di una certa statura, ma soprattutto è riduttiva: il caso è certamente più complesso e più oscuro ». Io ho scritto un libro per dire appunto che
il caso è più complesso e oscuro di come si è voluto presentarlo:
e due pagine di questo libro, dalla 54 alla 56, si svolgono in una
interpretazione della parola « famiglia » in un senso non riduttivo e non squali$cante.
Credo che, come esempio della critica che si muove intorno
a questo mio ultimo libro, questo possa bastare. E debbo ammettere che non è dei peggiori. Il lettore che ne ha voglia può
– per suo divertimento – cercarne altri.1
« una storia che non è finita »
La traduzione richiede « più tempo del previsto »,2 sicché
la versione francese segue di circa un mese l’edizione italia1. Leonardo Sciascia, Ai miei critici, in « La Stampa », 10 novembre 1978,
p. 15. Una disamina delle polemiche innescate dal libro, non foss’altro che per la mole dei dati, è qui inopportuna: per limitarmi al momento iniziale (su cui ha testimoniato Giampiero Mughini, Gli intellettuali e il caso Moro, Feltrinelli, Milano, 1978), l’editoriale di Coppola è
stato seguito, nel solo mese di marzo, dagli interventi dello stesso direttore (22 marzo), di Michele Rago e Antonio Ghirelli (23), Giampiero Mughini (25), di nuovo Coppola e Fausta Cialente (26), Giglia
Tedesco (30), oltre alle lettere dei lettori il 30 e 31 marzo. Passando ai
tempi recenti, segnalo le pagine di Miguel Gotor, in Moro, Lettere dalla
prigionia, cit., pp. 192-95, e di Bruno Pischedda, Scrittori polemisti. Pasolini, Sciascia, Arbasino, Testori, Eco, Bollati Boringhieri, Torino, 2011,
pp. 101-32.
2. Al libro di Sciascia tagliate 100 pagine|, cit., p. 12.
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na;1 né l’una né l’altra sono ancora in libreria quando, all’alba del 1° ottobre, i carabinieri del nucleo speciale antiterrorismo del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa irrompono
nel covo brigatista di via Monte Nevoso a Milano e fra molti
documenti sequestrano il dattiloscritto del Memoriale redatto da Moro durante la prigionia.
Il caso si riaccende così bruscamente, e la questione dell’autenticità e della completezza degli scritti di Moro si ripropone in maniera bruciante per non chiudersi più.2 Sciascia non ravvisa in alcun modo la necessità di modi$care i
dati e le tesi del libro:
Da quello che è venuto fuori $no a questo momento sul caso
Moro e dalle carte che sono state trovate dopo la pubblicazione
dell’« Affaire Moro » non credo che io abbia nulla da cambiare
nel mio libro. Tutto lo comprova. Così come l’ho scritto. Credo
nell’autenticità dei documenti ritrovati. Ritengo che il memoriale sia autentico. In queste carte è infatti possibile riconoscerlo per quel tanto di più di meditativo e in un certo senso di poetico che c’è. Sono riuscito, credo, ad immedesimarmi nella condizione di Moro, nei suoi pensieri nei giorni della prigione e
sono arrivato anche alla conclusione che tra le sue carte, quelle
che sono state trovate o quelle che si troveranno, ci sarà anche
l’elaborazione di una teoria giuridica sugli scambi tra stati e bande eversive. Credo che lui abbia pensato a questo problema proprio da giurista. Nel suo memoriale dice di avere « lavorato ». E
io penso che abbia lavorato proprio a questa teoria.3
1. Leonardo Sciascia, L’affaire Moro, trad. fr. cit. Il ‘$nito di stampare’ è
del 23 ottobre 1978. Sui retroscena di questa edizione, si veda Giovanna
Lombardo, Sciascia e Nadeau. Di amicizia, agenti letterari e passioni mai
spente, in « Todomodo », II (2012), pp. 268-71.
2. La ricostruzione più recente è quella di Miguel Gotor, Il memoriale
della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere
italiano, Einaudi, Torino, 2011; la più attenta ai ragionamenti di Sciascia, quella di Adriano Sofri, L’ombra di Moro, Sellerio, Palermo, 1991. Al
di là delle polemiche, l’analisi più interessante resta quella di Marco
Belpoliti, Settanta, Einaudi, Torino, 2001, pp. 3-51.
3. « Una cortina di stupidità per esorcizzare la paura », intervista a cura di
Anselmo Calaciura, in « Giornale di Sicilia », 3 dicembre 1978, p. 3 (il
giornalista speci$ca che « Sciascia queste cose ce le ha dette più di una
settimana fa »). Il giudizio sul proprio lavoro resterà costante negli anni, sino a FA, p. 30: « Di quel libro non ho da mutare una virgola. E visto
che tutto ciò che è avvenuto in seguito mi ha dato ragione, io ne sono
soddisfattissimo. Naturalmente ci sono stati degli attacchi feroci. Ma
hanno avuto torto loro ».
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note ai testi
Vagheggia comunque « un appendice à L’Affaire Moro en
apportant un certain ordre et une certaine lumière dans
tout ce qui a été écrit pendant ces deux derniers mois: il en
résulterait une image fantastique du pouvoir, c’est-à-dire
très réelle. À la fois ridicule et effrayante ».1 Troverà presto il
modo di documentarsi, giacché dopo l’elezione alla Camera
dei deputati nelle liste del Partito radicale, maturata su altre
basi,2 entra nella Commissione parlamentare d’inchiesta
sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo
Moro, e da lì continua la sua indagine, anzi la veri$ca delle
« ipotesi già formulate » e l’accertamento dei « fatti intravisti ». Sono parole di un articolo della $ne 1982, in cui fa un
bilancio di quell’intensa attività:
i tre anni che ho passato nella commissione, le centinaia d’ore
di audizione, le migliaia e migliaia di pagine di documenti che
ho lette e di verbali della commissione stessa che ho rilette, non
sono state per me una perdita di tempo. In quanto cittadino e
in quanto scrittore. Il risultato ne sono ventiquattro pagine dattiloscritte che ho consegnato alla presidenza della commissione
il 22 giugno. Una relazione di minoranza; di assoluta minoranza, almeno $nora. E l’avrei presentata in ogni caso, anche se
fossi stato in tutto d’accordo con la maggioranza. Perché ... altra disgrazia delle commissioni d’inchiesta è quella di vaporizzare i risultati in migliaia di pagine, quando invece è necessario
restringerli in poche. Mi è parso insomma doveroso far coinci1. Sciascia: « La réalité est devenue $ction », intervista a cura di Jean-Noël
Schifano, in « La Quinzaine littéraire », 291, 1-15 dicembre 1978, p. 8;
trad. it. La realtà è divenuta $nzione, in « Spirali », II, 1, gennaio 1979, pp.
17-18 (ora in PVN, pp. 148-51; la citazione è a p. 150).
2. « Io ho ricordato altra volta, forse con te, » confessa a un interlocutore
abituale « quanto mi sentivo d’accordo con me stesso quando votavo il
vecchio Partito radicale. Una volta, poi, che ho votato radicale con preferenza ad Elio Vittorini, mi sono sentito addirittura felice. Sono, dunque, un vecchio radicale; non so $no a che punto anche nuovo, ma il
radicalismo, tutto sommato, non invecchia » (Sciascia: sono radicale per
scontento, intervista a cura di Giuseppe Quatriglio, in « Giornale di Sicilia », 28 aprile 1979, p. 30). E alcuni giorni dopo: « Ieri mi hanno detto
che Melega si presenta con i radicali proprio perché vuole entrare nella
commissione sul caso Moro. Io lì per lì a questo non avevo pensato »
(Incontro con Leonardo Sciascia, intervista a cura di Enrico Deaglio e Clemente Manenti, in « Lotta continua », 5 maggio 1979, p. 7; poi in PVN,
p. 174, e SPSV, pp. 288-89). L’idea di entrare nella Commissione insomma nasce a candidatura uf$cializzata: « Vedo tutti i misteri italiani come
un triangolo i cui vertici sono Moro, Alessandrini e Pecorelli. Riesco
appena a immaginare: vorrei leggere documenti, parlare con gente che
sa » (Leonardo Sciascia: « Sono un eretico », intervista a cura di Walter Tobagi, in « Corriere della Sera », 11 maggio 1979, p. 4).
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dere il mio mestiere di scrittore coi miei compiti di deputato,
perseguendo chiarezza e sintesi. E posso aggiungere che è stato, questo lavoro di restringere in ventiquattro fogli le diecine
di migliaia che mi sono passati sotto gli occhi, il più duro e assiduo lavoro che abbia mai fatto come scrittore.1
Ampi stralci della relazione appaiono su « Panorama »
all’inizio dell’anno seguente;2 essa viene poi pubblicata integralmente su « Nuovi Argomenti »3 e confluisce in$ne nella
seconda edizione dell’Affaire Moro, che appare nella collana
« La memoria »4 con la sola aggiunta del post scriptum (qui
p. 556).
Se ne riproduce il testo, con la sola emendazione di « soprattutto » di Sel83 80 (e di Sel78 80), che sulla base di D14 51
va ricondotto all’usuale forma con t scempia « sopratutto »
(qui p. 476); si ripristina inoltre il punto interrogativo che in
D14 85 si legge dopo « Devo telefonare io » (qui p. 512), laddove Sel83 124 (e Sel78 124) non presenta alcun segno di
punteggiatura.
Si mantiene invece, nello stesso dialogo fra i Tritto e il
brigatista (che poi verrà identi$cato in Valerio Morucci),
« Cioè se lei telefona non... non verrebbe meno all’adempimento delle richieste che ci aveva fatto espressamente il pre1. Leonardo Sciascia, Montanelli ha ragione ma ha torto, in « L’Espresso »,
XXVIII, 51, 26 dicembre 1982, p. 23. Tra la stesura dell’Affaire Moro e
questa sintesi ci sono le innumerevoli testimonianze dell’attività parlamentare e pubblicistica di Sciascia che i limiti e il taglio di questa Nota
consigliano di omettere. Menziono soltanto, perché poco conosciuta,
l’intervista in cui Sciascia rivela di aver reagito con « rabbia » a una strana lettera – « quattro fogli dattiloscritti in rosso, bollo postale Novi Ligure, $rmata “uno che la stima” » dove gli si suggerisce di « spiegare che le
Brigate rosse sono forti, numerose, dovunque in Italia. Che la solidarietà, attorno ai brigatisti, è spessa e operante. Che lo stato è in piena disgregazione e che è giusto e morale affrettarne la $ne per mezzo del
partito armato » (Le Br vorrebbero che scrivesse « sotto dettatura », intervista a
cura di Enrico Nassi, in « La Domenica del Corriere », LXXX, 47, 23
novembre 1978, p. 12). L’episodio è poi raccontato da Sciascia nell’articolo Una lettera da qualche covo, in « Il Globo », 25-26 aprile 1982, pp. 12, che comprende la trascrizione integrale del testo ricevuto.
2. Leonardo Sciascia, Il controprocesso, in « Panorama », XXI, 876, 31 gennaio 1983, pp. 104-13. La notizia viene anticipata nell’articolo siglato
E.Bo. Controprocesso di Sciascia sul caso Moro, in « Corriere della Sera », 23
gennaio 1983, p. 7.
3. Leonardo Sciascia, Relazione sul caso Moro, in « Nuovi Argomenti »,
Terza Serie, 7, luglio-settembre 1983, pp. 74-86.
4. Leonardo Sciascia, L’affaire Moro, con aggiunta la Relazione Parlamentare, Sellerio, Palermo, 1983 (= Sel83), pp. 147-83.
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sidente... » (qui p. 512), sebbene il secondo « non », confermato da D14 85, appaia di troppo o andrebbe corredato di
puntini sospensivi.
Ugualmente si mantiene il testo cui sovraintese l’autore
anche nella lettera di Moro a Zaccagnini del 4 aprile, là dove
Sel83 58 (e già Sel78 58) legge « con i quali tu ti vorrai assumere le responsabilità » (qui p. 460), perché così è riportato
nella versione della lettera il cui ritaglio è stato incollato in
D14 37, mentre l’edizione Adelphi del 19941 legge a p. 59
« con i quali tutti vorrai assumere le responsabilità ».2
1. Come quella della Scomparsa di Majorana (si veda sopra la relativa Nota,
p. 1305, nota 4), questa edizione adelphiana è caratterizzata da un controllo puntuale delle fonti volto a ristabilire uniformità là dove Sciascia si
era concesso delle piccole incoerenze qui mantenute; ma vi compaiono
anche mende dipendenti dall’assunzione come modello del testo, in
questo caso particolarmente scorretto, di OB II, pp. 463-565: per un esame più articolato della questione, rinvio ancora a Squillacioti, Volontà testamentarie e ragioni della $lologia, cit.
2. Questo stesso testo risulta in Moro, Lettere dalla prigionia, cit., pp. 13
e 16.
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DALLE PARTI DEGLI INFEDELI
Il racconto-inchiesta viene pubblicato nel 1979 presso Sellerio nella collana « La memoria » (n. 1); l’edizione Adelphi,
nella collana « Piccola Biblioteca Adelphi » (n. 311), è del
1993; incluso in OB II, pp. 847-98.
in partibus infidelium
La Nota dell’autore fa risalire l’interesse per Angelo Ficarra alla metà degli anni Sessanta, « appena pubblicato il libro
sulle Feste religiose in Sicilia »1 (qui p. 605), interesse rinnovato
anni dopo dall’arrivo inaspettato delle carte del vescovo che
a suo tempo aveva rinunciato a cercare. In un’intervista del
dicembre 1978, nel precisare a cosa stesse lavorando, Sciascia aveva evocato la circostanza con maggiori dettagli:
Ci sto pensando già da tempo. È il racconto della vita di un
vescovo siciliano morto pochi anni fa, il vescovo di Patti. Vescovo dal ’36, ha fatto in tempo ad avere conflitti sia con il regime
fascista che con quello democristiano tanto da essere dimesso
negli anni ’50, un caso più unico che raro. L’idea di lavorare
su questo personaggio me la diede il nipote che venne a trovar1. Leonardo Sciascia, Feste religiose in Sicilia, fotogra$e di Fernando
Scianna, Leonardo da Vinci, Bari, 1965; ristampato poi presso L’Immagine, Palermo, 1987, si legge ora in Leonardo Sciascia, La corda pazza.
Scrittori e cose della Sicilia (1970), Adelphi, Milano, 1991, pp. 207-28.
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note ai testi
mi, suo zio era morto da poco, portandomi una documentazione che pensava potesse interessarmi. C’era la corrispondenza
tenuta da questo vescovo, c’erano molti suoi quaderni di appunti, uno dedicato all’« irreligiosità » dei siciliani.1
L’incontro con il nipote di monsignor Ficarra dev’essere
avvenuto nel 1977, se nel novembre del 1979 Sciascia può
presentare Dalle parti degli infedeli come « un libro a cui pensavo da due anni e che ho scritto in meno di un mese », per
poi aggiungere nel seguito:
È inutile aspettarsi da me un grosso libro, il capolavoro. Io
faccio tanti libri piccoli, e mi piace farli sempre più brevi. Questo sul vescovo di Patti dovevo scriverlo l’estate scorsa, c’è stata
l’interruzione angosciosa del caso Moro, ma proprio perché ci
pensavo da due anni sono riuscito a farlo così piccolo.2
Un libro esile, « dove di scritto c’è poco, solo quello che
serve a legare i documenti »,3 a cui l’intersezione con un’altra vicenda in cui – secondo Sciascia – i valori cristiani erano
stati disattesi dai massimi esponenti del partito che avrebbe
dovuto invece propugnarli conferisce particolare intensità e
vigore. Anzi, Dalle parti degli infedeli inaugura la serie dei « libri piccoli » – Il teatro della memoria, Kermesse, La sentenza memorabile, Storia della povera Rosetta, Stendhal e la Sicilia –, scritti
come ‘vacanza’ dagli impegni gravosi e a lui poco congeniali
che l’attività parlamentare, intrapresa in quello stesso 1979,
gli aveva procurato.
La stesura originale, che il testo consente di datare con
precisione – da « oggi, 2 agosto del 1979 » (qui p. 562) al
« 31 agosto 1979 » (qui p. 603) –, è documentata dal dattiloscritto conservato dagli eredi in una fotocopia anepigrafa
(= D15), dove si scorgono le annotazioni della Redazione Sellerio: consta di 53 pagine, numerate dall’autore, e comincia con l’epigrafe tratta dai Pensieri di Pascal.4 Un dattilo1. Intervista della serie « Nel corso di una vita », cit., p. 121, poi in PVN,
p. 146, e SPSV, p. 262. L’intenzione di occuparsi del caso è dichiarata
anche a Tom Baldwin nel maggio del 1979: cfr. Leonardo Sciascia: l’uomo,
il cittadino e lo scrittore, cit., p. 41.
2. Sciascia: diventa pubblica anche la mia solitudine, intervista a cura di Nico
Orengo, in « Tuttolibri » (suppl. di « La Stampa »), 17 novembre 1979,
p. 2. La genesi è ricostruita, in termini analoghi, da Collura, Il Maestro di
Regalpetra, pp. 287-88.
3. Nemici miei, non avete capito, intervista a cura di Maria Luisa Agnese, in
« Panorama », XVII, 708, 12 novembre 1979, p. 171.
4. È il n. 897 dell’edizione curata da Léon Brunschvicg, più volte ripro-
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dalle parti degli infedeli
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scritto che reca pochi segni di rielaborazione – per lo più
limitati a sostituzioni lessicali sinonimiche e alla scelta di
diversi giri di frase –, che si vanno in$ttendo nella parte
conclusiva.
Sono invece collocati nelle prime pagine i due interventi
più rilevanti: il primo volto a sostituire una frase contrassegnata da una faticosa collocazione a destra del soggetto con
una meno esplicita, ma sintatticamente più lineare citazione
dalla Commedia (Paradiso, I, 3):
567 Ma la >tanto al fascino duttile e adattabile mente< \ mente duttile « in una parte più e meno altrove »/ del futuro Pio XII
D15 7
l’altro $nalizzato a sempli$care l’indicazione degli schieramenti politici alle elezioni amministrative del 1949 attraverso i simboli dei partiti:
569 [la DC] fu ugualmente scon$tta >dalla lista che si fregiava dell’emblema « stella » e da quella che alle « spighe » aveva
sostituito< dalle liste che avevano come emblema la vecchia
« stella » e una nuova « aquila » D15 9.
Il volume, annunciato sul « Giornale di Sicilia » con l’anticipazione di un brano della Nota dell’autore,1 inaugura la
collana selleriana « La memoria »:2 la copertina, che raf$gura un particolare del San Gerolamo nello studio di Antonello da Messina,3 richiama la tesi di laurea – e le pubblicazioni
poi derivatene – di Angelo Ficarra, dedicata a « La posizione di
san Girolamo nella storia della cultura » (qui p. 608).
Si riproduce il testo di Sel79, mantenendo anche la costruzione desueta4 « non posso a meno di signi$carLe » di Sel79
63, e già di D15 37 (qui p. 595), nella prima lettera indirizzata
dal cardinale Tedeschini a monsignor Ficarra.
posta e fonte (nella stampa del 1957) della traduzione italiana di Paolo
Serini (Einaudi, Torino, 1962, dove il pensiero ha il n. 909), traduzione che evidentemente Sciascia tenne presente per la sua versione del
passo.
1. Poi seppe d’essere Arcivescovo di Leontopoli di Augustamnica, in « Giornale
di Sicilia », 12 ottobre 1979, p. 3 (da « Angelo Ficarra nacque a Canicattì » a « prima che la morte lo cogliesse. »; qui pp. 606-608).
2. Leonardo Sciascia, Dalle parti degli infedeli, Sellerio, Palermo, 1979
(= Sel79). Il ‘$nito di stampare’ è dell’ottobre 1979.
3. La copertina è riprodotta in « Todomodo », III (2013), $g. 10.
4. Emendata in « non posso fare a meno di signi$carLe » nell’edizione
Adelphi del 1993 (p. 56).
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IL TEATRO DELLA MEMORIA
L’inchiesta viene pubblicata in due puntate sull’« Espresso » del 18 e 25 gennaio 1981; nello stesso anno esce presso
Einaudi nella collana « Nuovi Coralli » (n. 319). L’edizione
Adelphi, nella collana « Piccola Biblioteca Adelphi » (n.
514), è del 2004 e accoglie anche La sentenza memorabile (testo alle pp. 11-96); inclusa in OB II, pp. 899-963.
pirandello, moro e i percorsi della memoria
Dopo aver proposto con l’Affaire Moro un’interpretazione
pirandelliana della condizione del leader democristiano durante il suo sequestro, Sciascia ritrova « l’ombra di Moro » in
una storia apparentemente assai lontana da quella vicenda
angosciante:
il libro è nato dopo la faccenda Moro. Il libro su Moro mi aveva affaticato e perciò cercavo un argomento che mi distraesse,
che mi divertisse, ma mi sono imbattuto poi in qualche cosa che
aveva ancora a che fare con la faccenda Moro, perché anche nel
caso Moro vi è stato il problema dell’identità. Il cosidetto governo dell’unità nazionale ha avuto come prima preoccupazione
quella di negare l’identità a Moro. È stato detto e la stampa lo
ha ripetuto quasi unanimemente, con la leggera eccezione del
« Giornale » di Montanelli, che Moro non era più se stesso, e
che quindi le sue lettere non bisognava tenerle in nessun conto
... Questo attentato alla personalità dell’uomo, all’identità del-
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l’uomo è la cosa più sconvolgente che io abbia vissuto durante
il caso Moro. Poi mi restò quest’alone di un problema e ho ritrovato nella memoria, i piani della memoria sono tanti, il caso
« Bruneri-Canella » che ho vissuto durante la mia infanzia, come una delle cose di drammaticità quotidiana.
Dall’opinione pubblica italiana tra il 1927 e il 1931 e nella vita familiare del paese, non si ha idea di come sia stato vissuto
questo caso. È stata proprio l’atmosfera pirandelliana, che si è
come raddoppiata, io già vivevo in un’area pirandelliana quando è intervenuto il caso « Bruneri-Canella »; il quale ogni giorno
ci toccava sui giornali e da cui quindi le dilazioni [sic] e poi le
scommesse su questa identità.1
Nell’estate del 1980 Sciascia aveva insomma posto mano
al suo nuovo libro con l’intenzione di svagarsi, concludendone la stesura il 31 agosto: così risulta dal dattiloscritto, di
cui gli eredi conservano una copia carbone (= D16) di 42 pagine numerate dall’autore, cui si aggiungono il frontespizio
(« Leonardo Sciascia | il teatro della memoria ») e i fogli
con l’epigrafe e la Nota $nale.
All’inizio del 1981 il racconto-inchiesta esce a puntate
sull’« Espresso »,2 in una versione conforme a D16; quasi contemporanea, ma evidentemente effettuata nel corso dell’ultimo trimestre del 1980, è la traduzione tedesca, pubblicata
nella rivista diretta da Hans Magnus Enzensberger.3
L’uscita in volume è dell’autunno,4 preceduta da due anticipazioni.5 In origine Il teatro della memoria avrebbe dovuto
1. A colloquio con Leonardo Sciascia, intervista del marzo 1983 a cura di
Lea Ritter-Santini, Manfred Hardt e Salvatore A. Sanna, in « Italienisch.
Zeitschrift für italienische Sprache und Literatur in Wissenschaft und
Unterricht », V, 11, maggio 1984, p. 13; per altre considerazioni dell’autore, si vedano le pp. 14-15 e 19. Per un’analisi del libro, si rinvia senz’altro a Lina Bolzoni, Sciascia e i teatri della memoria, in Cincotta-Carapezza,
Il piacere di vivere, pp. 125-37.
2. Leonardo Sciascia, Lo smemorato di Collegno, in « L’Espresso », XXVII, 2, 18
gennaio 1981, pp. 61-72 (= TM1), e 3, 25 gennaio 1981, pp. 61-72 (= TM2).
3. Leonardo Sciascia, Der Gedächtnislose von Turin oder: Das Verbrechen, ein
Anderer zu sein, in « Trans Atlantik », II, 2, febbraio 1981, pp. 76-86.
4. Leonardo Sciascia, Il teatro della memoria, Einaudi, Torino, 1981 (= Ein81).
Il ‘$nito di stampare’ è del 3 ottobre 1981.
5. Leonardo Sciascia, Tra Bruneri e Canella esce Pirandello, in « Corriere
della Sera Illustrato » (suppl. di « Corriere della Sera »), V, 44, 31 ottobre 1981, pp. 17 e 65 (da « A Torino, nell’autunno del 1979 » a « lo sconosciuto fu accompagnato. »; qui pp. 616-18), e Nel labirinto della memoria, in « Giornale di Sicilia », 5 novembre 1981, p. 3 (da « Il 10 marzo del
1926, alle 9,50 del mattino » a « Domenica: 20 febbraio 1927. L’Inconnu »; qui pp. 617-22).
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far parte di un progetto editoriale più ampio: qualche giorno dopo l’uscita di TM2, Giulio Einaudi infatti aveva scritto a
Sciascia di attendere « di vedere completato presto il Caso
Bruneri con gli altri racconti che ci hai annunciato »,1 e il
contratto inviato da Linder il 23 febbraio 1981 si riferisce a
« Il teatro della memoria e altre cronache »,2 dunque, con ogni
probabilità, anche a testi poi confluiti in Cronachette.
Il testo di Ein81 risulta signi$cativamente più esteso di quello testimoniato da TM1 e TM2, per una serie di aggiunte che
lo stesso Sciascia ritiene cospicua:3 vi riporta infatti, dopo « alla immagine aggiungeva descrizione e notizie » (qui p. 620),
la citazione dalla « Domenica del Corriere », e inserisce inoltre una chiosa che dà conto del collegamento con uno degli
episodi della vicenda Moro che più l’avevano indignato:
622 (e in effetti si tratta di operazioni, a rovescio, analoghe)
D16 8 TM1 67b (e in effetti si tratta di operazioni, a rovescio,
analoghe: a promuovere un riconoscimento, l’inconnu ; un disconoscimento, gli amici di Moro) Ein81 12.
Meritano una segnalazione altri due incrementi. Ampio il
primo: dopo « se non addirittura sotto silenzio. » (qui p.
640), compare in Ein81 36-37 il brano sul ruolo del « regime
fascista », di Mussolini e Rocco in particolare, nella vicenda
(qui pp. 640-41). Ancora più esteso il secondo: dopo « si ricelebrasse il processo presso la Corte d’Appello di Firenze. »
(qui p. 654), in luogo del breve riassunto del dibattimento
$orentino che si legge in TM2 72b (conforme a D16 41):
Ma dura lex sed lex, anche la Corte $orentina rigettava l’appello e dichiarava che la persona $sica ricoverata il 10 marzo 1926
nel manicomio di Collegno col numero 44170 di matricola altri
non era che Mario Bruneri fu Carlo. Era il 1. maggio del 1930.
Erano già passati quattro anni, ancora uno e mezzo doveva passarne (e intanto la signora Canella metteva al mondo un altro
bambino) perché si arrivasse al supremo giudizio: della Corte
di Cassazione, il 17 dicembre del 1931
$gura in Ein81 54-64 un dettagliato resoconto del processo
d’appello (qui pp. 654-62).
Inoltre, in D16 42, e quindi in TM2 72b, il testo si conclu1. 10 febbraio 1981 (FLS).
2. FM/L-sc, copia.
3. « Manderò presto, entro i primi del mese entrante, » scrive a Linder il
20 giugno 1981 « le bozze (con molte aggiunte) del “Teatro della memoria” ad Einaudi » (FM/L-sc).
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de con « Ma il “responso” veramente “alto” era venuto l’anno prima: da Luigi Pirandello. » (qui p. 663), mentre il
nuovo $nale di Ein81 65-76 introduce l’epilogo brasiliano e
la citazione dell’emblematica voce dedicata nel Dizionario
Biogra$co degli Italiani a Giulio Canella1 (qui pp. 663-71).
Anche la Nota, stampata in un box al centro di TM2 72 col
titolo La memoria si diverte e un testo conforme a D16, viene
modi$cata in Ein81 77 (qui p. 673), in due punti:
a ) studi cui la Yates è forse sola, e comunque quella che ha
dato il più vasto e intelligente contributo studi cui la Yates ha
dato il più vasto e intelligente contributo (ma non va dimenticato, di Paolo Rossi, il Clavis universalis – Arti mnemoniche e logica
combinatoria da Lullo a Leibniz)
b ) Questa avvertenza è forse inutile. Ma altra, ugualmente inutile, voglio aggiungerne: che il raccontare
Questa avvertenza è forse inutile. E altrettanto inutilmente voglio aggiungere che il raccontare.
E, naturalmente, il lasso di tempo che vede Sciascia impegnato nella poco divertente attività parlamentare passa da
« un anno » a « più di due anni ».
In$ne, risalendo all’indietro sino alla citazione in esergo, è
dichiarata come una correzione apportata sulle bozze la nota
che spiega il doppio inganno della memoria sulla frase di
Benda (qui p. 614). In ossequio al principio lì adombrato, che
non è possibile ricordare senza un qualche inganno, si è scelto di mantenere a testo l’incongruenza cronologica fra l’indicazione del « 10 marzo del 1926, alle 9,50 del mattino » (qui p.
617) per il furto del Bruneri nel cimitero e il trasferimento in
questura, e la successiva menzione dell’« attività della questura di Torino nella giornata del 10 maggio 1926 » (qui p. 618).2
Appare ugualmente incongrua l’indicazione « Tre mesi
fa » per l’incontro « in un ristorante romano » con Susan
Sontag (qui p. 616): l’incontro avvenne infatti nel luglio del
1979, durante l’allestimento del Come tu mi vuoi di Pirandello, andato poi in scena al Teatro Stabile di Torino nell’ottobre del 1979.3 Il brano iniziale del libro riprende con ogni
1. Dizionario Biogra$co degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana,
Roma, vol. XVIII, 1975, pp. 1-2 (voce a cura di Rosanna Daga).
2. Peraltro così leggono tutti i testimoni precedenti la stampa (D16 3 e 5;
TM1 64a e 65a), Ein81 5 e 7, e le edizioni successive, OB II, pp. 905 e 906,
e quella Adelphi del 2004 (= Ade04), che ne dipende, pp. 15 e 18.
3. Dell’incontro ci resta un ampio dialogo fra Sciascia e Sontag su Pirandello raccolto da Rita Cirio: Come tu lo vuoi, in « L’Espresso », XXV, 28,
15 luglio 1979, pp. 67-73.
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evidenza una cronaca dello spettacolo mai consegnata all’« Espresso » per la rubrica « Teatro »,1 e poi integrata – senza che ne venisse adattato il riferimento cronologico – nel
racconto-inchiesta sullo smemorato di Collegno. S’interviene invece sull’espressione di D16 18 « cadere nella mani dell’Inquisizione », confluita in Ein81 24, in OB II, p. 920 e in Ade04 37; solo TM1 71a legge « nelle mani » (qui p. 631).
L’altra emendazione interessa l’avverbio sopratutto. Nella
parte comune con TM1 e TM2 si incontrano due occorrenze
che in D16 16 e 35 presentano la t scempia (e pertanto così sono rese, qui pp. 629 e 648), ma in TM1 70a e TM2 69b e in Ein81
21 e 46 appaiono con la doppia; le altre tre occorrenze, comprese in parti testimoniate solo dal volume, ricorrono con tt
(Ein81 55, 59 e 68): per uniformità anche queste sono riportate
alla forma prediletta da Sciascia (qui pp. 655, 658 e 665).
Si mantiene in$ne la gra$a « Chessmann » (qui p. 661)
per il cognome di Caryl Chessman, diventato scrittore durante la detenzione terminata nel 1960 con l’esecuzione della
condanna a morte; la gra$a è documentata almeno nel racconto di Sebastiano Addamo, Il giorno in cui morì Chessmann,
apparso su « Nuovi Argomenti », N.S., 26, marzo-aprile 1972,
pp. 64-72, poi in Sebastiano Addamo, Palinsesti borghesi. Tre
racconti, Scheiwiller, Milano, 1987, pp. 105-23.
1. Rubrica tenuta dall’inizio del 1979 (a partire dalla recensione 6 personaggi meno una frase, in « L’Espresso », XXV, 2, 14 gennaio 1979, p. 76) in
alternanza con Rita Cirio: la collaborazione era stata annunciata da Sciascia un paio di mesi prima in un articolo (Su il sipario. Che rovina!, in
« L’Espresso », XXIV, 47, 26 novembre 1978, p. 202), confluito poi in
Nero su nero (qui pp. 1115-16). Su questa attività, si vedano Giuseppe
Traina, Sciascia e il teatro, in Omaggio a Leonardo Sciascia, Atti del Convegno, Agrigento, 6-8 aprile 1990, a cura di Zino Pecoraro e Enzo Scrivano,
Provincia Regionale di Agrigento-Assessorato alla Cultura e alla Pubblica Istruzione, Agrigento, 1991, pp. 95-105, e Valentina Fascia, Il « Teatro »
di Leonardo Sciascia. « L’Espresso » (1978-1983), in Da un paese indicibile, a
cura di Roberto Cincotta, La Vita Felice, Milano, 1999, pp. 181-98.
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LA SENTENZA MEMOR ABILE
Il racconto-inchiesta viene pubblicato nel 1982 presso Sellerio nella collana « La memoria » (n. 56); l’edizione Adelphi,
nella collana « Piccola Biblioteca Adelphi » (n. 514), è del
2004 e accoglie anche Il teatro della memoria (testo alle pp.
97-142); incluso in OB III, pp. 1205-25.
una divertita inquisizione
A un anno di distanza dall’uscita di Il teatro della memoria,
Sciascia affronta nuovamente il tema del ritorno di un presunto marito con una divagazione che prende spunto dalle
pagine dedicate da Montaigne a Martin Guerre. Ma, come
nota Traina, sulla vicenda in sé – peraltro oggetto di uno studio di Natalie Zemon Davis allora fresco di stampa –1 « Sciascia si pronuncia poco: l’elemento che più gli sta a cuore è
dimostrare quanto fosse tragicamente sproporzionata la condanna a morte per Arnaud du Tilh ».2 Un tema ben sciascia1. Natalie Zemon Davis, Jean-Claude Carrière, Daniel Vigne, Le retour de
Martin Guerre, Laffont, Paris, 1982 (Il ritorno di Martin Guerre. Un caso di
doppia identità nella Francia del Cinquecento, trad. it. di Sandro Lombardini, Postfazione di Carlo Ginzburg, Einaudi, Torino, 1984). Sul rapporto
di Sciascia con le microstorie e il metodo d’indagine di Ginzburg, si veda Pupo, Narrare l’inquisizione, pp. 126-29.
2. Traina, Leonardo Sciascia, p. 199.
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note ai testi
no, insomma, che viene trattato lievemente, in consonanza
con l’ideale del ‘non fare niente senza gioia’ mutuato proprio
da Montaigne.
Nel volumetto che Sellerio dà alle stampe alla $ne del
1982,1 il breve testo è seguito dal capitolo Degli zoppi degli
Essais (libro terzo, capitolo xi)2 e introdotto da un risvolto
$rmato « l.s. » dove sono esplicitati i punti di riferimento dell’operazione:
Mi piace sempre più scrivere cose come questa; e sempre più
mi piace pubblicare piccoli libri come questo. Forse è che ad un
certo punto della vita si vuole essere in pochi. Mi avviene persino di credere di avere inventato un genere letterario: illusione
che accresce il piacere di praticarlo. Ma so anche che non è vero. Il prototipo, altissimo, resta La storia della Colonna Infame ; ci
sono poi le « inquisiciones » di Borges e – per me – le inquisizioni $lologiche e critiche di Salvatore Battaglia, indimenticabile
maestro ed amico.
Questa « inquisizione », giocata tra un processo del secolo
XVI e una pagina di Montaigne, l’ho scritta con sottile divertimento. Spero ne abbiano anche i miei venticinque lettori. E
mantengo la cifra manzoniana non per immodestia, ma tenendo conto della onnipresente inflazione.3
Il « sottile divertimento » traspare con evidenza dalla lettura, ed è inutile insistervi. Andrà piuttosto sottolineato che a
quel diletto corrisponde, nel dattiloscritto conservato presso gli eredi,4 una stesura lineare e veloce, con esigue aggiunte a penna in fase di rilettura e poche correzioni che non alterano in modo signi$cativo il testo. Segnalo solo, più che
altro per il suo valore emblematico, la modi$ca della quan1. Leonardo Sciascia, La sentenza memorabile, Sellerio, Palermo, 1982
(= Sel82). Il ‘$nito di stampare’ è del novembre 1982. Un brano (da
« Questa “mirabile storia di un falso e supposto marito” » a « L’evento fu
la riapparizione del vero Martin Guerre. »; qui pp. 680-83) era stato anticipato in « Tuttolibri » (suppl. di « La Stampa »), 27 novembre 1982,
pp. 4-5, col titolo Nella Francia del ’500 Sciascia scopre un caso Bruneri-Canella e una presentazione di Guido Calcagno.
2. Ricavato da Michel de Montaigne, Saggi, a cura di Fausta Garavini,
con un saggio di Sergio Solmi, Adelphi, Milano, 1966, pp. 1369-84; si
veda ora Michel de Montaigne, Saggi, trad. riveduta e corretta di Fausta
Garavini, note di André Tournon, testo francese a fronte a cura di André
Tournon, Bompiani, Milano, 2012, pp. 1906-27.
3. Si legge anche in Nigro, Sciascia scrittore editore, p. 107.
4. Composto di fogli di carta intestata della « Camera dei Deputati », il
dattiloscritto (= D17) consta di 15 pagine numerate dall’autore, cui se ne
aggiungono 6, non numerate, contenenti le note.
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la sentenza memorabile
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ti$cazione degli errori indotti dalla sottigliezza: « Tant’è che
>spesso< \qualche volta/ si sbaglia, a voler essere sottili » D17 4
(qui p. 680).
In effetti, il piacere di intraprendere una $ne indagine su
uno dei grandi classici più frequentati come lettore lo espose – a giudizio della principale studiosa italiana degli Essais
– a due errori: veniale il primo (e a ben vedere forse neanche tale), più gravido di conseguenze il secondo. Fausta Garavini ha infatti reso noto uno scambio epistolare originato
dalla sua reazione all’affermazione di Sciascia secondo la
quale « nessun chiosatore si è accorto (e a dire che tutti hanno fatto annotazioni a questo passo) » (qui p. 679) dell’incongruità dell’espressione « Je vy en mon enfance » in rapporto a un episodio cui Montaigne assistette ventisettenne.
Alla constatazione che era « noto a tutti gli studiosi di Montaigne ... che sotto la sua penna e nell’uso dei contemporanei come lui nutriti di latino, enfance può valere (al pari di
pueritia ) per un’età il cui limite fluttuante arriva talvolta $n
oltre il ventesimo anno »,1 Sciascia rispose il 14 gennaio
1984:
In quanto al piccolo mistero della parola « enfance » in Montaigne, Le dirò che il dubbio di un più vasto signi$cato l’ho avuto – e l’ha avuto anche il mio amico Gesualdo Bufalino. Abbiamo cercato molto, anche in vecchi vocabolari francesi, ma con
esito che ci ha convinto della svista di Montaigne. E né Nadeau,
che pubblicherà il libro nelle sue edizioni, né Mario Fusco, che
lo ha tradotto, me ne hanno scritto.2
E di fronte alle insistenze della studiosa, che peraltro riconobbe che una nota a un passo non pienamente perspicuo
sarebbe stata opportuna, replicò in modo de$nitivo alcuni
mesi dopo:
In quanto alla « infanzia », sono senz’altro convinto che lei ha
ragione di restar ferma alla sua opinione più di quanta io ne
abbia di restare alla mia: ma deve anche considerare che il mio
errore è un po’ fondato sul suo. E mi permetto di chiamare errore il fatto che lei, traducendo nell’italiano di oggi, abbia tradotto « infanzia » e non « giovinezza ». Nella sua ultima lettera,
lei si rammaricava di non aver fatto una nota: io penso non occorresse una nota, bastava tradurre in « giovinezza ».3
1. Fausta Garavini, Sciascia e Montaigne: breve storia di un malinteso, in Cincotta-Carapezza, Il piacere di vivere, p. 26.
2. Loc. cit.
3. Loc. cit. Lettera del 29 ottobre 1984.
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note ai testi
Dopo aver riconosciuto le buone ragioni di Sciascia, che
la indurranno a modi$care nel modo suggerito la sua nuova
traduzione degli Essais,1 Garavini richiama una terza lettera
con cui si era decisa a segnalargli, dopo averglielo « sottaciuto per un malinteso riguardo », il secondo errore. Lo scrittore aveva infatti evidenziato che « il brano relativo al processo
non si trova nell’edizione degli Essais del 1580, ma è stato
aggiunto a quella del 1588 » e che quindi Montaigne « del
processo si è ricordato otto anni dopo di avere scritto il capitolo sugli zoppi » (qui pp. 679 e 680). In realtà, l’edizione
del 1580 era limitata ai libri primo e secondo, motivo per cui
mancava per intero il capitolo sugli zoppi, apparso per la
prima volta solo nell’edizione del 1588: « veniva così a zoppicare » commenta Garavini « il suo ragionamento sullo zoppo
Martin Guerre, ossia la sua congettura che l’episodio entri
nel capitolo di Montaigne perché il “vero” Martin Guerre
torna a casa, con una gamba di legno, proprio quando il
processo del “falso” Martin Guerre, arrivato in appello, sta
per chiudersi con una sentenza di assoluzione ».2 Sciascia
non reagì a quest’ultima lettera.
Per volontà dell’autore La sentenza memorabile non fu poi
inclusa nella raccolta di OB II ma venne recuperata nel volume postumo dal curatore Ambroise, che precisa: « Si è ritenuto giusto non tralasciare La sentenza memorabile ... che, pur
potendo anche essere considerata come una lunga introduzione al saggio di Montaigne Degli zoppi, è un racconto molto
sciasciano, a sé stante, da mettere in relazione con Il teatro
della memoria e da inserire nella serie dei processi e dei fatti
di cronaca ».3
Il testo qui riprodotto è pienamente conforme all’edizione Sellerio, anche là dove Sel82 39, così come D17 nota 5, legge « Tallemant de Réaux » (qui p. 694) invece di « Tallemant
des Réaux ».
1. Montaigne, Saggi, ed. Bompiani, cit., p. 1917.
2. Garavini, Sciascia e Montaigne, cit., p. 27.
3. OB III, p. 954.
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CRONACHETTE
La silloge viene pubblicata nel 1985 presso Sellerio nella
collana « La memoria » (n. 100); l’edizione Adelphi, nella collana « Piccola Biblioteca Adelphi » (n. 421), è del 1998; inclusa in OB III, pp. 107-63.
piccole indagini tra critica e storia
Al principio del 1985 Sciascia raccoglie in un volumetto
Sellerio della collana « La memoria »1 sette brevi racconti su
vicende del passato remoto e recente, disposti in ordine
cronologico;2 al centro di ciascuno c’è un mistero da svelare
con gli strumenti della letteratura, così come, nelle sue inquisiciones, aveva fatto Jorge Luis Borges, cui è signi$cativamente dedicata l’ultima cronachetta.
Scritti e pubblicati singolarmente fra il 1972 e il 1984, confluiscono in Sel85 con rimaneggiamenti in qualche caso marcati; li accompagna una presentazione siglata « l.s. » nel risvolto di copertina:
1. Leonardo Sciascia, Cronachette, Sellerio, Palermo, 1985 (= Sel85). Il
‘$nito di stampare’ è del mese di gennaio.
2. Lo nota anche Claude Ambroise, Les chroniquettes de Leonardo Sciascia,
in « La Quinzaine littéraire », 466, 1-15 luglio 1986, p. 5.
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note ai testi
Queste « cronachette », scritte in tempi diversi e ora in parte
riscritte, portano il numero 100 di questa collana che s’intitola alla Memoria: quasi a ribadirne la ragione, i richiami, le istanze. Vanno dai primi del secolo XVII ad oggi: ma in tutte è
il senso e il senno dell’oggi, almeno nelle intenzioni; e così
spero le intenda chi delle cose di oggi ha ancora il senso (come dire « il senso del pericolo ») e continua ad aver senno nel
giudicarle.
Ma – intenzioni non realizzate o risultati che siano – queste
« cronachette » le giudichino i lettori. Io desidero soltanto mettere in evidenza il fatto che questa collana, che si è aperta col
mio libretto Dalle parti degli infedeli, tocca oggi – fortunosamente
e fortunatamente (voglio dire: con avventura e con fortuna) – il
numero 100.1
Lo stimolo per queste piccole inchieste è, ancora una volta, il puro piacere della scrittura, come Sciascia confessa
nell’agosto del 1987 a James Dauphiné:
les petites histoires – Les Cronachette – me procurent-elles un
grand plaisir même lorsque l’histoire racontée ne débouche
sur aucune solution. La supposition et l’éveil de l’esprit peuvent
déjà combler celui qui, comme moi, dans l’histoire découvre de
véritables romans policiers.2
E a chi crede di scorgervi addirittura « un congedo da alcuni modelli che in essi vengono esibiti come Stendhal o
Borges » oppone una semplice de$nizione:
Le Cronachette debbono solo leggersi come racconti, racconti
che ho scritto in tempi diversi e in parte riscritti; nessun congedo da questi autori da lei citati. Solo racconti condotti tra critica
e storia.3
Il volumetto selleriano è corredato di 4 fotogra$e raf$guranti Pietro Bonaparte, « la povera Rosetta », Mata Hari e
Borges, collocate nella terza pagina della cronachetta relativa,4 che integrano ef$cacemente il testo:5 nonostante l’al1. Si legge ora in Nigro, Sciascia scrittore editore, p. 128.
2. Leonardo Sciascia. Qui êtes-vous|, p. 141 (trad. it., p. 40).
3. Un uomo di « circolo » e le sue riflessioni, intervista a cura di Mirella M.
Salerno, in « La Sicilia », 19 giugno 1986, p. 3.
4. Sel85 29, 49, 69 e 85. La foto di Borges è stata scattata da Antonino
Catalano, genero di Leonardo Sciascia, nel 1984, in occasione della visita dello scrittore argentino al Rettorato dell’Università di Palermo.
5. Secondo Rizzarelli, Sorpreso a pensare per immagini, p. 194: « Le fotogra$e ... si offrono come testimonianza che, nonostante i misteri e i dubbi
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cronachette
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lestimento del corredo fotogra$co si debba all’autore,1 Sel85
è l’unica edizione a proporlo. Poiché esigenze tecniche impediscono qui di riprodurlo nella posizione originaria, si è
convenuto di non presentarlo del tutto, scelta rafforzata dalla soluzione adottata dalla ristampa adelphiana del 1998 priva delle immagini e dove, rispondendo già in larga misura
all’ultima volontà dell’autore, $gurano altre due cronachette, Manzoni e il linciaggio del Prina e Garibaldi e il padre Buttà,
aggiunte « sulla base di un progetto concepito dallo stesso
Sciascia per un’edizione francese ».2 La traduzione della silloge, apparsa presso Fayard nel 1986,3 af$ancava infatti altri
tre pezzi ai sette della princeps: Pour un portrait de l’écrivain
en jeune homme, traduzione del pro$lo di Giuseppe Antonio
Borgese dato alle stampe nel 1985,4 e le due già menzionate
cronachette, correttamente presentate nel controfrontespizio come « textes inédits en librairie ». Pubblicate nel 1985
rispettivamente su un periodico e come prefazione a un libro, rappresentavano dunque una relativa novità, anche se
quella su Prina ha un $nale più ampio rispetto alla prima
stesura. Il vero motivo d’interesse dell’edizione francese sta
che avvolgono le storie dei protagonisti, essi sono realmente esistiti e
noi lettori possiamo vederne le prove. Certamente questa funzione di
‘certi$cazione dell’esistenza’ può essere attribuita al ritratto di Borges
inserito fra le pagine della cronachetta tutta giocata sulla diffusione della notizia che lui “non esiste” e che esiste invece “un attore che incarna
l’inesistente Borges”. Ma anche le paradossali e complicate storie del Principe Pietro, della Povera Rosetta e di Mata Hari a Palermo sembrano acquisire con quelle foto un sigillo di verità per le loro vicende che “non potrebbero mai essere, e mai dovrebbero essere credute”, ma che “sono
accadute” realmente ». La prima coppia di citazioni deriva dalla cronachetta su Borges (qui p. 768), la seconda dal racconto disperso Una storia vera (1969), in OA I, p. 1351.
1. E non, come nel caso dei Pugnalatori menzionato qui (si veda sopra la
relativa Nota, p. 1311 nota), all’iniziativa dell’editore. Me lo ha cortesemente confermato, e perciò lo ringrazio, Salvatore Silvano Nigro, testimone autorevole dell’attività di Sciascia alla Sellerio.
2. Così si legge nel risvolto di copertina di Leonardo Sciascia, Cronachette, Adelphi, Milano, 1998 (= Ade98).
3. Leonardo Sciascia, Petites chroniques, trad. fr. di Jean-Noël Schifano e
Bertrand Visage, Fayard, Paris, 1986. Il volume, anch’esso privo dell’apparato fotogra$co, mostra in copertina un particolare leggermente più esteso della litogra$a di Achille Devéria che campeggia su quella
di Sel85.
4. Leonardo Sciascia, Per un ritratto dello scrittore da giovane, Sellerio, Palermo, 1985, poi in PRSG, pp. 44-85.
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note ai testi
nell’ordinamento cronologico,1 soluzione evidentemente
suggerita dall’autore, e qui adottata.2
Don Alonso Giron
Pubblicata in « La Stampa », 2 febbraio 1975, p. 3, col titolo Altro specchio, altre brame, e poi in « L’Ora », 4 dicembre
1975, p. 4, col titolo La bella Giacoma che non poteva morire. L’uscita sul quotidiano palermitano è l’anticipazione di un’edizione fuori commercio, stampata in 100 esemplari numerati
dalla galleria palermitana Arte al Borgo col titolo Altro specchio, altre brame e l’acquaforte di Renato Guttuso raf$gurante
« l’impiccato ».
L’unica variante è l’aggiunta, dopo l’espressione « vifacciovedereiocomemettoapostolecose. » di Sel85 13, del commento
fra parentesi: « (Il lettore mi perdonerà questa piccola incursione della memoria nel vecchio Dos Passos che è stato
per me, quasi mezzo secolo addietro, scoperta che le avanguardie di oggi, ignorandola, ripetono). » (qui p. 700).
La vicenda compare anche in una nota di Nero su nero (qui
pp. 905-907) originariamente pubblicata sul « Corriere della
Sera » del 12 novembre 1969.
Si riproduce Sel85 9-18.
Don Mariano Crescimanno
Pubblicata su « La Stampa » del 13 aprile 1975, p. 3, col titolo L’Inquisitore, è confluita in Sel85 con un’unica variante
(« bizzoche » diventa « bizzocche » in Sel85 22; qui p. 706).
Un ampio stralcio è apparso poi sul « Giornale di Sicilia » del
26 gennaio 1985, p. 3, col titolo Un fanatico allo specchio, come anticipazione di Sel85, dove la cronachetta compare alle
pp. 19-26 e di cui si riproduce qui il testo.
1. In OB III le due cronachette sono collocate nell’Appendice I, mentre in Ade98 vengono aggiunte in coda alle altre, senza alcun segnale
di stacco. Per i dati bibliogra$ci completi dei due testi, si veda sotto,
p. sg.
2. Jean-Noël Schifano – che ringrazio – ricorda nitidamente di aver ricevuto da Sciascia i testi da aggiungere al nucleo selleriano e le indicazioni sulla loro disposizione.
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cronachette
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Manzoni e il linciaggio del Prina
Scritta dopo l’uscita di Sel85, la cronachetta è stata pubblicata parzialmente (dall’inizio $no a « rispetto all’avvenimento di quel 20 aprile 1814. »; qui pp. 710-17) in « L’Espresso », XXXI, 8, 24 febbraio 1985, pp. 83-88, col titolo
Quanti rimorsi per il povero Prina. La prima edizione integrale,
in francese, è del 1986 in Sciascia, Petites chroniques, cit., pp.
25-40 (Manzoni et le lynchage de Prina); la prima in italiano
compare in OB III, pp. 927-39, col titolo Il capitolo xiii. Manzoni e il linciaggio del Prina, da cui la ricava Ade98 81-94, e che
qui si riproduce.
L’episodio della $rma della petizione da parte di Manzoni è raccontato anche in una nota di Nero su nero (qui pp.
983-84) originariamente apparsa sulla « Stampa » del 14
marzo 1973. Dell’anno successivo è la recensione al libro di
Gian Franco Grechi, Le testimonianze di Stendhal sulla morte del
Prina (uscito in edizione limitata in quello stesso 1974 presso uno stampatore milanese), in « Corriere del Ticino », 8
giugno 1974, p. 37 (Manzoni e l’assassinio del Prina), poi in
Troppo poco pazzi, pp. 118-19.
Garibaldi e il padre Buttà
Pubblicata come Presentazione a Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta. Memorie della rivoluzione dal 1860 al
1861, Bompiani, Milano, 1985, pp. 7-10 (= VBG), la cronachetta appare l’anno successivo in traduzione francese in
Sciascia, Petites chroniques, cit., pp. 41-52 (Garibaldi et le père
Buttà ), poi in OB III, pp. 941-50, col titolo qui adottato, quindi in Ade98 95-104.
La ripubblicazione del Viaggio di padre Buttà è stato il primo dei suggerimenti offerti dallo scrittore alla Bompiani:
« Nell’ottobre del 1983 » riassume Lombardo « Bontempi,
funzionario della casa editrice, scrive a Sciascia di essere riuscito a procurarsi il libro, che pensa di pubblicare con “un’introduzione consistente” scritta da Sciascia ».1 Introduzione
che viene stesa nell’estate successiva e inviata a $ne luglio a
Mario Andreose, insieme con le fotogra$e che illustrano il
volume: « Nessuna, credo, è stata $nora riprodotta nei libri
1. Lombardo, Il carteggio Sciascia-Bompiani, p. 14.
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note ai testi
in questi ultimi anni pubblicati sui Borboni di Napoli »;1 la
diapositiva del Ritratto della regina Maria So$a, il cui acquisto
è ricordato in una nota di Nero su nero (qui pp. 965-68) originariamente apparsa sulla « Stampa » del 22 ottobre 1972,
viene invece spedita ad Andreose il 21 novembre 1984, con
il commento: « credo sarà una bella copertina ».2
Il libro di Buttà era da tempo oggetto dell’interesse di
Sciascia: il suo agognato reperimento e l’immediata lettura
fornirono spunto a un articolo nella rubrica « Quaderno ».3
Una prima stesura del testo poi utilizzato per l’introduzione
alla ristampa di Bompiani era uscita sul « Corriere della Sera » del 13 dicembre 1981, p. 3, col titolo Disse male di Garibaldi (= CS2); l’occasione è offerta dall’approssimarsi del centenario della morte di Giuseppe Garibaldi, come si ricava dalla frase $nale dell’articolo: « Credo non si possa celebrare
meglio Garibaldi che ricordando il suo più coraggioso e inflessibile nemico ».
CS2 si apre con un riferimento a un cultore di memorie
garibaldine:
Nella storia di Naso (grosso paese in provincia di Messina,
protetto da San Cono e da cui, mi pare, trae origine Craxi)
dell’arciprete Antonino Portale, pubblicata nel 1938, tra gli illustri che ebbero nel paese i natali, il sacerdote Giuseppe Buttà
è il più trascurato.
In VBG 5 tale riferimento – peraltro impreciso, posto che
la famiglia Craxi è originaria di San Fratello, paese non
distante da Naso – viene sostituito dalla menzione della
« pleiade di eruditi e poeti » (qui p. 721) e del beato imparentato col poeta Lucio Piccolo.
All’epoca Sciascia aveva dell’opera di Buttà una conoscenza piuttosto limitata, come viene speci$cato nel brano di CS2
che più differenze presenta rispetto a VBG:
Dei tre libri di Giuseppe Buttà, uno solo ne conosciamo: quel
« Viaggio da Boccadifalco a Gaeta » pubblicato a Napoli – in estratti dal giornale « La Discussione » – nel 1875 e che possiamo
considerare tra le più appassionate apologie e le più vivaci memorie che siano state scritte dalla parte dei vinti. Poiché padre Buttà
non era solamente un fedele alla causa, ma un combattente: e per
di più in quel 9° battaglione Cacciatori, comandato dal colonnel1. 28 luglio 1984 (AB).
2. AB.
3. Leonardo Sciascia, Uno che dice male di Garibaldi - Le due anime, in « L’Ora », 20-21 novembre 1965, p. 4 (ora in Q, pp. 126-29).
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cronachette
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lo Bosco, che con valore si batté contro garibaldini e piemontesi
e ne ebbe riconoscimento ed onore dagli stessi nemici.
Padre Buttà chiama amaramente e ironicamente viaggio la ritirata di un esercito, che $no ad un certo punto ebbe tutte le
possibilità di annientare il nemico, da Palermo a Gaeta: una ritirata che non riesce a spiegarsi se non col tradimento di generali
e ammiragli, senza che il sospetto mai lo s$ori che quei generali e
ammiragli più che per denaro o per ambizione si ritiravano e si
lasciavano battere per mancanza di fede e stanchezza, oltre che
per impreparazione e scarsa intelligenza. Per 806 pagine, il cappellano militare del battaglione Bosco ci racconta fatti in cui il
valore di Garibaldi si riduce alla inettitudine dei comandanti borbonici: e su di essi af$la disprezzo, rancore, rabbia. Garibaldi non
è che un piccolo uomo incerto, spaurito e quasi svanito, senza
alcun piano, senza alcuna strategia, ma con la grande fortuna di
avere di fronte quei capi imbecilli o venduti che, incredibilmente, riescono a farlo vincere proprio nel momento in cui perde. E
per quanto sembri incredibile, non soltanto sulle pagine di padre Buttà intravediamo la verità di una simile affermazione – che
le battaglie garibaldine, e quella di Calata$mi particolarmente,
sono state vinte proprio nel momento in cui erano perdute; ma
anche sulle pagine della più fervida letteratura garibaldina (cfr.
qui pp. 721-23).
Per il resto, le discrepanze sono limitate all’inserzione in
VBG di brani per lo più digressivi:
725 Punto cruciale e fatale di tutta la guerra, questo della cosiddetta « diversione di Corleone »: e ha dato luogo ad esaltazioni del genio di Garibaldi da un lato, a sospetti ed analisi che
oggi diremmo « dietrologici » dall’altro CS2
Punto nodale e
fatale di tutta la guerra, questo della cosiddetta « diversione di
Corleone »; e ha dato luogo a esaltazioni del genio di Garibaldi,
da un lato; a sospetti che oggi si direbbero di « dietrologia » (una scienza italiana dei nostri anni: solo che nell’andar dietro ai
fatti, nel cercare coloro che occultamente li mossero, altro non
si scoprono che ectoplasmi, come nelle sedute spiritiche), dall’altro VBG 8
727-28 Ma non aveva, padre Buttà, nessuna voglia di diventare fratello dei garibaldini. Con prudenza CS2 Si capisce che
padre Buttà non aveva nessuna voglia di diventare fratello dei
garibaldini vecchi e nuovi (e semmai avrebbe preferito i vecchi);
e tanto meno di andare ad ingrossare la $la, che faceva capo a fra
Pantaleo, dei preti e monaci liberali che, armati di croce$sso,
sciabole e pistole, si aggiravano tra i garibaldini. Questi preti e
monaci erano anzi le sue bestie nere; e i vescovi e i cardinali che
sottostavano a compiacere Garibaldi non erano da meno, per
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lui, dei generali che tradivano Francesco II. Perciò con prudenza VBG 10.
Segnalo in$ne tre ulteriori incrementi: dopo « il sentimento del giovane generale per la giovanissima, bella e $era
regina| » (qui p. 726), VBG 9 aggiunge: « Viene da pensare
al romanzo di Daudet I re in esilio, in cui la regina d’Illiria –
per tanti tratti riconoscibile come Maria So$a – è oggetto di
devoto e silenzioso amore »; dopo « molto meno ai borbonici la scon$tta. » (qui p. 727), si legge in VBG 9: « A confronto, le descrizioni di Bandi e di Buttà sembrano di due diverse
battaglie. Ma avremmo uguale impressione a confrontare
tutte le descrizioni che sono state date della battaglia di Waterloo: soltanto quella di Stendhal è, in assoluto, la battaglia
di Waterloo »; dopo « qualche squadra di garibaldini.” » (qui
p. 727), $gura in VBG 9 il seguente passo: « Perché padre
Buttà era sì fedele ai Borboni, considerava la loro dinastia la
più propizia alla felicità del Regno, ma talmente grande era
il suo amore alla Sicilia che arrivava ad ammettere che qualche torto nei riguardi della Sicilia i Borboni lo avevano. Non,
si capisce, per loro deliberata volontà: ma sempre per consiglio fraudolento o imbecille, di generali e ministri ».
Il testo di VBG, qui riprodotto, è stato anticipato integralmente sul « Giornale di Sicilia » del 3 aprile 1985, p. 21, col
titolo L’impresa dei Mille in Sicilia, dalla parte dei vinti, e, con
due piccoli tagli, sul « Corriere della Sera » del 17 aprile
1985, p. 15, col titolo Un prete contro Garibaldi.
Il principe Pietro
Una prima versione della cronachetta, rimaneggiata e
ampliata in vista dell’uscita in volume, è stata pubblicata sul
« Corriere della Sera » del 3 novembre 1984, p. 3, col titolo
Quel Bonaparte sparava troppo (= CS3); confluisce poi in Sel85
27-46, che qui si riproduce.
Omogeneo l’inizio (qui pp. 729-33), con poche varianti:
730 acquistato « de vieux manuscrits » CS3
acquistato
« dei vecchi manoscritti » Sel85 28 733 in una qualche repubblica del sud; ma CS3
in una qualche repubblica del sud,
pare in Colombia; ma Sel85 33 733 Nella biogra$a che molti
anni dopo evidentemente dettava a un certo De La Rocca, si
legge che a Canino trascorreva le giornate scrivendo versi e
studiando storia: ma non dovevano essere poche le ore CS3
Nella biogra$a che molti anni dopo, evidentemente con in-
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tento apologetico, dettava a un certo De La Rocca, dice che a
Canino trascorreva le giornate scrivendo versi e studiando storia: ma, anche a voler credere, non dovevano essere poche le
ore Sel85 33.
Le modi$che più vistose sono localizzate nella parte successiva, priva in CS3 dei riferimenti alla biogra$a di Stendhal, alla lettera che gli indirizzò Lysimaque Tavernier il 14
febbraio 1837, e ai rapporti fra Pietro e Napoleone III, aggiunti in Sel85 33-38 (qui pp. 733-36):
Pietro e Antonio aspettano dunque i passaporti: sicché quando numerosi arrivano i gendarmi e invece del passaporto recano un mandato d’arresto, Pietro reagisce uccidendo con una
pugnalata il tenente che li comanda e ferendone gravemente
due. Ma gli altri lo abbattono colpendolo col calcio del fucile e
lo portano prigioniero a Viterbo (Antonio riusciva invece a fuggire). Processato, viene condannato a morte; ma il papa gli
commutò in esilio la pena di morte. E Pietro Napoleone di nuovo parte per l’America.
Quando « Napoleone il piccolo » diventa imperatore dei
francesi, ecco Pietro a Parigi. Si agita a che l’imperatore si accorga di lui, ma altro non ottiene che di entrare alla Camera dei
Pari. Come Napoleone I aveva tenuto lontano il fratello Luciano, così Napoleone III teneva lontano il cugino Pietro.
Poi il testo continua come in Sel85 38-39, $no alle parole
« portare al principe la sua contros$da » (qui p. 737). Seguono, in Sel85 39-46, il richiamo ai Promessi sposi e la dilatazione
del $nale (qui pp. 737-42), con una più dettagliata cronaca
del processo a Pietro Bonaparte e un indugio sul « piccolo
libro » dedicato dal principe al Maniement de l’épée, laddove il
testo di CS3 risulta più sintetico ed essenziale:
Nel pomeriggio del 10 gennaio, Noir e de Fonvielle si recarono in carrozza al numero 59 di rue d’Auteil. Con loro erano lo
s$dante Grousset e un certo Sauton: e rimasero a passeggiare
davanti alla casa.
Per come aveva promesso, a Noir e de Fonvielle il principe
non fece dire che non era in casa. Li ricevette in veste da camera. Ma da questo punto in poi, quel che accadde trova due discordanti versioni: quella del principe e quella di de Fonvielle.
Fatto sta, comunque, che i due che aspettavano davanti al 59 di
rue d’Auteil videro uscire barcollante Victor Noir, seguito da de
Fonvielle. Raccolsero Noir e lo portarono in una vicina farmacia: era ferito a morte da un colpo di pistola, rantolava; e spirò
prima che un medico arrivasse.
Il principe, intanto, mandava questo biglietto al capo di ga-
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binetto dell’imperatore: « Mio caro signor Conti, due giornalisti della “Marseillaise” sono venuti a provocarmi. Uno mi ha
schiaffeggiato e l’altro mi ha minacciato con la sua pistola a sei
colpi. Io feci fuoco e credo di averne ucciso uno. Ho fatto chiamare i sergenti di città e il commissario di polizia ». Era la sua
versione del fatto. Quella di de Fonvielle era completamente
opposta.
Che il principe se ne stesse abitualmente, come poi dichiarò,
con una pistola a cinque colpi nella tasca della veste da camera,
sembrò e sembra inverosimile: benché di cretini che tengono
armi come talismani, ricevendo dal loro pesare in tasca e dalla
loro freddezza al tatto un senso di sicurezza e di forza, alcuni ne
abbiamo conosciuti. E il principe Pietro era un cretino: secondo
Mérimée, secondo noi. Ma c’è un altro dettaglio che conferisce
verità alla testimonianza di de Fonvielle: che Victor Noir, uscendo dalla casa ferito mortalmente, stringeva ancora nella mano
destra il proprio cappello. Probabilmente, dunque, le cose erano andate così: il principe aveva schiaffeggiato Noir e, ad un gesto di reazione di costui, aveva estratto la pistola e sparato: e a tirar fuori tardivamente la pistola era stato de Fonvielle: ché non
si spiegherebbe altrimenti che il principe – con esercitatissimo
occhio – l’abbia riconosciuta come di un colpo in più della sua.
Per decreto imperiale, fu subito convocata l’Alta Corte di Giustizia: e il processo si tenne a Tours nell’aprile. Testimonianze
false o compiacenti furono addotte dalla difesa; ma la parte civile, sostenuta da un avvocato, Laurier, ebbe buon gioco presso
l’opinione pubblica riesumando il passato di Pietro Napoleone
e facendo ricostruzione logica di tutti gli elementi del fatto. Ma
la sentenza dell’Alta Corte è di assoluzione.
Appena letta, Pietro Bonaparte chiede al presidente se può
andarsene: quasi si fosse liberato da una piccola, seccante cerimonia. Il presidente risponde di no: c’è da discutere sui danni
da pagare alla famiglia Noir. La parte civile chiede centomila
franchi, il principe si dichiara a darne ai poveri duecentomila; la
Corte lo condanna a venticinquemila, più le spese processuali.
Poiché la giuria dell’Alta Corte lo ha assolto, si può esser certi che una giuria di droghieri l’avrebbe condannato.
Ho davanti a me un libretto splendidamente rilegato, acquistato qualche anno fa a Parigi per la suggestione che mi veniva
dal saggio di Pincherle: « Le maniement de l’épée réduit à sa
plus simple expression utile. Essai théorique et pratique par le
prince Pierre-Napoléon Bonaparte » stampato a Parigi nel
1869. Porta come ex-libris una vivace incisione a colori: scudo
barocco sorretto da libri e fronde, e sotto due spade incrociate
e un nastro con la dicitura « toujours la pointe au corps ». Nello
scudo si intrecciano tre iniziali: e una è la B. La B di un Bonaparte| È possibile.
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cronachette
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Ma quel che ci importa di Pietro Bonaparte è lo scioglimento
di un piccolo mistero: che tra i personaggi di Stendhal Fabrizio
Del Dongo è uno dei meno intelligenti. Appunto come il suo
modello.
La povera Rosetta
Pubblicata in edizione limitata (145 esemplari numerati),
con 5 acqueforti di Franco Rognoni: Leonardo Sciascia, Storia della povera Rosetta, Sciardelli, Milano, 1983 (= SPR), primo volume della collana « Al segno della bissa ». Ristampata
in edizione fuori commercio destinata ai clienti della Banca
del Monte di Milano, la cronachetta confluisce in$ne in Sel85
47-66, con minime varianti1 e l’aggiunta di due brani:
752 i risultati dell’autopsia SPR 29 i risultati – uf$ciali e non
credibili – dell’autopsia Sel85 61 755 da Napoli e dalla « mano
nera ». Forse, a ripristinare SPR 35 da Napoli e dalla « mano
nera »: ma per gli italiani del nord da Roma in giù tutto può esser
Napoli o Calabria o Sicilia. Forse, a ripristinare Sel85 65.
A conclusione del racconto, SPR propone dei Cenni biogra$ci di Elvira Andrezzi, una sorta di appendice documentaria
ritenuta forse dissonante in Sel85, ma certo di notevole interesse:
Elvira nasce il 1° settembre 1895 in via Arena 33 a Milano,
ultima di nove $gli, da Eugenio Andrezzi e da Rainoldi Genueffa: il padre è facchino, la madre casalinga.
Il 17 dello stesso mese viene battezzata nella Basilica di S. Eustorgio e le vengono imposti i nomi di Elvira, Rosa, Ottorina.
Agli atti della Parrocchia il nome della madre risulta Giuseppa.
Nel 1911 frequenta per alcuni mesi la scuola elementare di
via Ariberto, se ne ha notizia dal registro della prima classe dove
nel mese di febbraio è scritto: « assentatasi per malattia ».
Risiede sempre nei quartieri di Porta Ticinese e Porta Genova: via Arena, Bastioni Genova, c.so Ticinese, piazza Macello, via
Vetraschi. Solo nel 1912 abita per qualche tempo in via Espinasse al 2, ospite di Orlandi Attilio, detto « Buterin ». L’anno successivo comunque torna a vivere nel vecchio quartiere, al numero 7 di via Gaudenzio Ferrari.
1. Accanto a poche altre concernenti varianti minime e aspetti di punteggiatura, segnalo: 746 momento dall’istantanea SPR 13 momento
26
nell’istantanea Sel85 52 748 26 agosto 1913 o l’ingoiare SPR 19
agosto 1913. O l’ingoiare Sel85 55 752 Ma atout SPR 28 Ma l’atout
Sel85 60.
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note ai testi
Il 21 marzo 1913, col nome di « Rosetta de Voltery », debutta
come cantante al Teatro San Martino.
Muore all’Ospedale Maggiore di Milano il 27 agosto 1913.
Nel registro conservato nell’archivio dell’ospedale si legge:
« Elvira Andressi d’anni 18 di professione cantante domiciliata e nata a Milano, via Gaudenzio Ferrari, 7; fu accolta il 27 agosto 1913 – ore 2 – in sala T.S. [sciolto in nota: Tentati suicidi]
per avvelenamento T.S. Deceduta il 27 agosto 1913 – ore 11,30
– per avvelenamento con sublimato corrosivo ».
Si riproduce Sel85 con la sola aggiunta di uno stacco dopo
« Sante, ancora sante parole. » (qui p. 755), in base a SPR 36:
in Sel85 lo stacco sarebbe caduto fra le pp. 65 e 66: di conseguenza non lo si trova in OB III, p. 149, e in Ade98 61.
Un brano (da « tentò di stabilirla, la verità dei fatti » a « $nse o davvero tentò di suicidarsi »; qui pp. 748-51) è stato anticipato nelle pagine milanesi del « Corriere della Sera » del 4
dicembre 1983, p. 27, col titolo Così ammazzarono Rosetta, la
bella di piazza Vetra.
La cronachetta è stata stesa, scrive Sciascia, « mentre rileggevo, per ripubblicarla, la Storia della Colonna Infame » (qui p.
755): ossia nel 1981, nelle settimane che precedono l’uscita
dell’inchiesta manzoniana nella collana « La memoria » di
Sellerio.1 La circostanza è ricordata anche in una testimonianza non $rmata – ma attribuibile a Franco Sciardelli,
l’« amico siciliano di Milano » (qui p. 755) che ha fornito i
materiali a Sciascia – del sodalizio artistico da cui nacque il
volume: Sciascia-Rognoni: Storia della povera Rosetta, in « L’arte
a stampa », 1, settembre-ottobre 1983, s.p. [pp. 3-4].
Mata Hari a Palermo
Pubblicata come « esclusiva » in « Mondello Lido », XXXVII,
2, 20 giugno 1972, pp. 16-17, col titolo Mata Hari a Palermo
(= ML2), e subito dopo in « La Stampa », 29 giugno 1972, p.
3, col titolo Quando Mata Hari danzò a Palermo (= Sta1) e con
l’aggiunta di un capoverso $nale (ML2 termina con « voleva
inserirsi nel giuoco dello spionaggio per avere senza mai
dare »; qui p. 761), ulteriormente modi$cato in Sel85 73-74.
Come anticipazione di Sel85 la cronachetta è stata proposta
da « Tuttolibri » (suppl. di « La Stampa »), 19 gennaio 1985,
1. Alessandro Manzoni, Storia della Colonna Infame, con una Nota di Leonardo Sciascia, Sellerio, Palermo, 1981; il ‘$nito di stampare’ è del mese
di aprile.
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cronachette
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p. 4, col titolo Che cosa ci faceva Mata Hari in quel teatrino di
Palermo|
La versione di Sel85 67-74, qui riprodotta, è caratterizzata
da alcune varianti:
757 e precisamente dal punto ML2 16a Sta1
e muovendo
precisamente dal punto Sel85 67-68 760 Placata dal denaro, e
forse ML2 17c Sta1
In qualche modo placata, e forse Sel85
73 761 Il giorno precedente, domenica, la stagione ML2 17c
Sta1 Il giorno precedente, la stagione Sel85 73
di cui una sola di una certa estensione:
758 Ramon Novarro), dopo aver raccontato ML2 16b Sta1
Ramon Novarro: indimenticabile $lm, come del resto, per noi,
quasi tutti quelli interpretati da Greta Garbo; mentre è da notare che proprio in quel $lm veniva a dissolversi l’ingente impegno hollywoodiano di sostituire al mito di Rodolfo Valentino,
ancora puntando sulla « latinità », quello di Ramon Novarro),
dopo aver raccontato Sel85 68.
In Sel85 viene inoltre ampliato il capoverso $nale (qui p.
761), che era stato aggiunto nella versione di Sta1:
Sta1
Convinzione che a Waagenaar viene forse da una supervalutazione degli ingranaggi
spionistici e delle menti che li
guidano, mentre io credo si
muovano sempre – allora come ora – in un giuoco delle
parti, e ogni parte in giuoco
doppio, di informazioni false
ritenute vere e di informazioni vere ritenute false, e insomma in una specie di atroce
« nonsense ».
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Sel85 73-74
Ma la convinzione che Mata
Hari non fosse in grado di sostenere il ruolo di spia (l’agente H 21) a Waagenaar viene forse e dall’averne scrutato la vita privata, piuttosto
semplice e casalinga (e si vedano le pagine che Savinio le
dedica nei Souvenirs ), e da una supervalutazione degli ingranaggi spionistici e delle
menti che li guidano: mentre
io credo si muovano sempre
– e allora come ora – in un
giuoco delle parti, e ogni parte in giuoco doppio, di informazioni false ritenute vere e
di informazioni vere ritenute
false, e insomma in una specie di atroce nonsense. E tante
prove noi italiani ne abbiamo
avute in questi anni.
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note ai testi
Questo intervento, insieme con l’attenuazione di un giudizio critico nei confronti della biogra$a di Mata Hari1 da
cui prende spunto la cronachetta sciasciana (« In così breve
passo, ci sono tanti errori: e se in proporzione ce ne sono in
tutto il libro, stiamo freschi. » di ML2 16c e Sta1 diventa « In
così breve passo, ci sono tanti errori. » in Sel85 70; qui p. 758),
è legato alla polemica innescata da una risentita lettera alla
« Stampa » di Sam Waagenaar:
Ma, caro Sciascia, Le pare giusto, specialmente per uno scrittore del Suo prestigio e della Sua fama, esprimere un dubbio su
un libro con simili parole, usando per di più la locuzione assai
sprezzante « siamo freschi »| Risultato: il lettore sarà indotto a
credere che il resto del libro possa essere « cattivo » (Suo parere
personale) come il passo citato.2
Il biografo entra poi nel merito delle critiche a lui mosse,
ammettendo un solo errore, rivendicando la sostanziale correttezza del suo lavoro e accusando Sciascia di aver formulato
congetture non più valide delle sue ipotesi, per concludere:
Sono fermamente convinto che in nessun punto del Suo articolo Lei abbia provato l’esistenza di importanti errori. Quindi
ritengo la sua frase « siamo freschi » un po’ esagerata, anzi esageratissima, e anche illogica. E sono sinceramente desolato di
dover dire che il Suo articolo svia nel modo più inquietante i
lettori di La Stampa.3
La risposta di Sciascia arriva sei giorni dopo, in forma di
lettera sullo stesso quotidiano; ed è una cortese ma ferma
rivendicazione delle proprie ragioni, e al contempo un atto
riparatorio:
Caro Waagenaar, Lei ha equivocato: la mia espressione « se in
tutto il libro ci sono tanti errori quanto in questo breve passo » (o qualcosa di simile: poiché non ho sotto gli occhi il mio articolo) non
voleva dire che io non ho letto tutto il Suo libro su Mata Hari,
ma che non avevo (e non ho) nessuna competenza a giudicare
il resto. Il libro l’ho letto per intero, e con piacere.
1. Che Sciascia legge nella traduzione italiana di Giovanna Mazzucchelli: Sam Waagenaar, Mata Hari. Vita e morte di una spia bella, Longanesi,
Milano, 1972; una prima edizione era uscita, sempre presso Longanesi,
nel 1966, due anni dopo la biogra$a originale (The Murder of Mata Hari,
Arthur Barker, London, 1964).
2. Sam Waagenaar, Lettera aperta a Sciascia, in « La Stampa », 13 luglio
1972, p. 3.
3. Loc. cit.
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cronachette
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In quanto agli errori, Lei dice che Mata Hari si esibì per quindici giorni – e non è vero; dice che fece il suo dovere con « soddisfazione di tutti » – e non mi pare; dice che il Trianon era di proprietà dei Florio – e nessuno a Palermo mi ha confermato questo fatto. Ma l’errore che, dal mio punto di vista, ritengo capitale, è questo: come mai, Lei, che pure si domanda perché mai
Mata Hari andò a $nire in quel teatrino, non ha approfondito
la questione| Non è un errore di fatto, d’accordo; ma mi pare
– come dire| – un errore di metodo.
Desidero, comunque, darLe ragione sul fatto che, per aver
riscontrato qualche errore di dettaglio, e su un punto che Lei
non ha ritenuto valesse la pena di approfondire, niente mi autorizzava ad avanzare sospetti sul resto. Purtroppo, in questi
tempi così maleducati e aggressivi, anche una persona non maleducata e non aggressiva subisce qualche contagio. Mi scusi e
mi creda, con i saluti più cordiali, Suo Leonardo Sciascia.1
L’uomo dal passamontagna
Pubblicata in « Corriere della Sera », 22 dicembre 1978, p.
3, col titolo Il delatore mascherato (= CS4), da cui deriva, con
minime varianti formali, la versione parziale (dall’inizio
$no a « In nulla, cioè, che fosse degli scon$tti, dei torturati,
degli uccisi. »; qui pp. 762-65) di PVN, pp. 122-24.2
La cronachetta confluisce, con poche varianti, in Sel85
75-82:
764 Certo, i suoi compagni lo perseguitarono CS4 PVN 123
Certo, i suoi ex compagni lo perseguitarono Sel85 78 765 turbare la sua carriera di delatore. Ma andiamo per ordine CS4
PVN 124
turbare la sua carriera di delatore. È insomma un
« pentito » per come oggi in Italia si costuma de$nire chi rompe
una criminale solidarietà e fa nomi di complici e di capi. Ma
andiamo per ordine Sel85 78-79 766 e la morte può venirgli dai
suoi ex compagni come dal regime: perché se i suoi ex compagni CS4
e la morte può venirgli dai suoi ex compagni come
dal regime. Più sicuramente dal regime: perché se i suoi ex
compagni Sel85 81.
Si adotta il testo di Sel85 con alcune emendazioni: formale
la prima (« dai tempi dell’inquisizione » Sel85 75 « dai tempi dell’Inquisizione », qui p. 762), per uniformità con l’occorrenza presente nell’ultima frase del testo (qui p. 767),
1. Sciascia replica, in « La Stampa », 19 luglio 1972, p. 3.
2. Già nella prima edizione del volume, alle pp. 140-42.
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note ai testi
dove l’istituzione storica, caratterizzata dalla maiuscola, si
oppone all’entità metastorica a cui Sciascia connette l’azione dell’uomo dal passamontagna; sostanziali le successive,
perché i dati anagra$ci dell’uomo dal passamontagna sono
presentati in modo approssimativo da tutti i testimoni: la
versione più vicina a quella adottata (« Juan René Muñoz Alarcón ... via Sargento Menadier, a Puente Alto, Población
Maipo », qui p. 763) è in CS4: « Juan Renè Muñoz Alarcón ...
via Sargento Menadier, a Puente-Alto, Población Malpo »
(« Juan René Munoz Alarcon ... via Sargento Menadier, a
Puente Alto, Poblacion Malpo » in PVN, p. 123; « Juan René
Muñoz Alarcon ... via Sargento – Menadier, a Puente – Alto,
Poblacion Malpo » in Sel85 77).1 Si corregge anche la forma
« Malpo », della cui erroneità tuttavia l’autore potrebbe non
essere stato consapevole.
L’inesistente Borges
Pubblicata sul « Messaggero » il 30 agosto 1981, p. 3, col
titolo L’inesistente (= Me), la cronachetta confluisce in Sel85
83-87 con alcune varianti:
768 Ed ecco come la raccoglie Le Monde, nel supplemento
letterario del 7 agosto:2 « Secondo la rivista Me Ed ecco come
la raccoglie « Le monde »: « Secondo la rivista Sel85 83 769 assegnandogli lo pseudonimo di Emile Ajar Me assegnandogli
il pseudonimo3 di Emile Ajar Sel85 84 769 come quest’illustre
giornale Me come questo illustre giornale Sel85 84 769 E a
qualcuno (non a noi) può anche venire il sospetto Me
Ea
85
qualcuno può anche venire il sospetto Sel 84
e l’aggiunta della chiusa « E così sia di noi. » (Sel85 87; qui p.
770), già usata, ma in forma negativa (« Così non sia di
1. OB III, p. 156, e Ade98 70-71 riproducono alla lettera Sel85.
2. La notizia venne pubblicata nella rubrica « La vie littéraire » del supplemento « Le monde des livres », sul numero del 7 agosto 1981, p. 10.
3. Sull’uso dell’articolo il (anche in preposizione articolata) davanti a
pseudonimo, si veda Sgroi, Eredità linguistica, p. 265, che segnala alcune
occorrenze in Sciascia e considera il tratto come l’unico nella sua prassi
scrittoria che sia in linea con la norma propugnata dall’« essenziale, agile, godibile » Grammatica italiana di Alfredo Panzini, ristampata per iniziativa dello scrittore nel 1982 nella collana « La memoria » di Sellerio:
il giudizio è ricavato dal risvolto raccolto in Nigro, Sciascia scrittore editore,
p. 102. Al regesto di Sgroi, si aggiunga « un pseudonimo » in Atti relativi
alla morte di Raymond Roussel (qui p. 281).
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cronachette
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noi. »), per concludere una nota pubblicata su « L’Ora » del
30 giugno 1978 e poi confluita in Nero su nero (qui p. 1093).
Si riproduce Sel85 con l’unica emendazione delle tre occorrenze di « Le monde » di Sel85 83 e 84 in « Le Monde »
(qui pp. 768 e 769), e l’adozione dell’accento in « Émile Ajar » (qui p. 769).
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LA STREGA E IL CAPITANO
Il racconto-inchiesta viene pubblicato nel 1986 presso
Bompiani; l’edizione Adelphi, nella collana « Fabula » (n.
121), è del 1999; incluso in OB III, pp. 199-257.
in principio fu brancati: sciascia da bompiani
Nel 1982 la casa editrice Bompiani coinvolge Sciascia nel
progetto di ripubblicare, a cinquant’anni dalla prima edizione, il romanzo ‘fascista’ di Vitaliano Brancati L’amico del
vincitore. L’idea non si concretizza,1 ma due anni dopo Sciascia scrive una Prefazione per il Diario romano, destinato ai
« Tascabili Bompiani »,2 e nell’inviarla al direttore editoriale Mario Andreose si augura che « la brevità non sia stata a
danno delle cose che avevo da dire ».3 Sempre nel 1984, av1. Sciascia si occupa comunque del romanzo – uscito presso l’editore
milanese Ceschina nel 1932 e mai più ristampato stante il ripudio
dell’autore – in una conferenza tenuta a Scicli il 19 dicembre 1983,
pubblicata col titolo Brancati « fascista », in « La Sicilia », 28 dicembre
1983, p. 3, e poi in « Profondo Sud », 1, maggio-giugno 1984, pp. 16-17;
si legge anche online, preceduta da una presentazione di Mark Chu, in
« A futura memoria », 3 (2009), nel sito www.amicisciascia.it.
2. Vitaliano Brancati, Diario romano, a cura di Sandro de Feo e Giovanni
Antonio Cibotto, Prefazione di Leonardo Sciascia, Bompiani, Milano,
1984.
3. 20 febbraio 1984 (AB).
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la strega e il capitano
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via i lavori per l’edizione dell’opera brancatiana nei « Classici ».1
Inizia così una feconda e intensa collaborazione con
Bompiani,2 che culmina nei tre volumi delle Opere sciasciane, fondati su un progetto d’autore recepito dal curatore
Claude Ambroise,3 e che comprende anche un $lone manzoniano. All’inizio del 1985, anno del bicentenario della nascita di Manzoni, Sciascia suggerisce un’edizione della Storia
della Colonna Infame nei « Tascabili Bompiani », da far distribuire insieme all’« Espresso », in cui ripropone come Introduzione un saggio del 1973 più volte ristampato.4
Come ricorda l’autore stesso, inoltre, è l’improvviso
riaf$orare dal disordine del suo studio alla Noce, nell’estate
del 1985, delle carte del processo a Caterina Medici ottenute due anni prima, unito alla lettura del capitolo xxxi dei
Promessi sposi, a metterlo in condizione, « nel giro di tre settimane », di scrivere un « racconto » concepito come « sommesso omaggio » a Manzoni (qui p. 828).
Il 29 agosto ne scrive ad Andreose:
Le mando il « raccontino ». Gradirei sapere se – come lettore
– Le interessa.
Credo che aggiungerò una prefazione o nota $nale.
Ho preso impegno con Franco Sciardelli – che è l’amico che
mi ha dato i documenti – di fargli pubblicare due o trecento
copie di questo libro in edizione numerata e con acqueforti.
Desidererei, naturalmente, che Lei tenesse conto di questo mio
impegno.5
1. Brancati, Opere 1932-1946, cit. Sempre a cura dello scrittore, il secondo volume (Opere 1947-1954, Postfazione e apparati di Domenica Perrone) è uscito dopo la morte di Sciascia, nel 1992.
2. Sulla quale, si veda Giovanna Lombardo, Il carteggio Sciascia-Bompiani,
articolo del 2006 confluito in Lombardo, Il critico collaterale, pp. 184-96.
3. Si veda Claude Ambroise, L’edizione delle « Opere » nei « Classici Bompiani », in « Todomodo », I (2011), pp. 127-34. Si veda inoltre la riflessione
del curatore intitolata Tutto Sciascia|, compresa nelle edizioni nei « Classici tascabili » (2000, pp. vii-xiii) e nei « Classici rilegati » (2004, pp. viixiii) di OB I.
4. Alessandro Manzoni, Storia della Colonna Infame, Introduzione di Leonardo Sciascia, Bompiani, Milano, 1985, distribuito nel mese di febbraio con « L’Espresso ». L’Introduzione (ricavata dall’edizione della Colonna Infame pubblicata presso Sellerio nel 1981, come risulta a p. xiv),
si legge anche in Leonardo Sciascia, Cruciverba (1983), Adelphi, Milano, 1998, pp. 119-33, col titolo « Storia della Colonna Infame ».
5. AB; cit. anche in Lombardo, Il critico collaterale, p. 194. L’edizione a
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note ai testi
Andreose risponde a stretto giro di posta, esponendo un
piano de$nito e ponendo qualche domanda:
ho letto d’un $ato « La strega e il capitano » e mi pare che
funzioni benissimo: un omaggio manzoniano, certo, ma anche
una lettura molto attuale, ricca di umori e di spunti, di una vicenda che $nisce per appassionare al di là della sua emblematicità.
La settimana prossima vedrò Dennis Linder, attualmente
all’estero, per de$nire l’accordo secondo lo schema precedente, che prevedeva anche le riedizioni del « Consiglio d’Egitto » e
di « A ciascuno il suo ».
« La strega e il capitano » lo pubblicherei all’inizio dell’ ’86
nella « Letteraria », rilegato con sovracoperta. Non so quale sarà
l’entità della pre o postfazione: con occhielli ecc. spero di poter
arrivare a 80 pagine o giù di lì. Ha già in mente qualcosa per la
copertina| Le acqueforti dell’edizione Sciardelli sono d’epoca
o fatte appositamente| Eventualmente potremmo riprodurne
qualcuna|1
Nelle settimane successive Sciascia concede al « Corriere
della Sera » di anticipare, a puntate, l’intero racconto-inchiesta: al progetto si allude già nella lettera ad Andreose
del 9 ottobre che accompagna le bozze, la Nota e una proposta per la copertina:
Le mando le bozze corrette (ma non si $di della mia esattezza nel correggere) e la noticina da mettere alla $ne. (Ho visto,
in certe pagine, difformità di caratteri: sarebbe da rimediare).
Posso vedere le bozze de$nitive| Mi piacerebbe fossero passate al « Corriere » le ultime.
In quanto alla copertina, mi assale qualche perplessità: anche perché proprio in questi giorni ho ricevuto la cartolina che
accludo. Ma faccia Lei, come crede.2
Alla $ne dell’anno La strega e il capitano arriva al giornale,
ed esce in undici puntate fra il 28 dicembre 1985 e l’8 gentiratura limitata uscirà nel 1989 in 140 esemplari presso Franco Sciardelli, corredata di 16 acqueforti di Aligi Sassu.
1. 3 settembre 1985 (AB, copia).
2. AB. Per la copertina Lombardo, Il critico collaterale, p. 204, parla invece di una « fotogra$a in bianco e nero ». In ogni caso la scelta $nale sarà
un particolare dell’affresco I dannati all’inferno dipinto da Luca Signorelli nel Duomo di Orvieto. La copertina è riprodotta in « Todomodo »,
III (2013), $g. 7.
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la strega e il capitano
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naio 1986, sempre in terza pagina, accompagnato dai disegni realizzati da Alik Cavaliere per illustrare la vicenda.1
La strega e il capitano: 28 dicembre, $no a « se la letteratura
non glielo apprende). » (qui p. 779) = SC1
La strega e il capitano: 29 dicembre, $no a « desideravo levarmele di torno, non potevo”. » (qui p. 783) = SC2
Nel letto trovò un $lo con tre nodi distinti: 30 dicembre, $no a « la
dominano o vi si insinuano. » (qui p. 787) = SC3
« Una notte venne il Demonio in camera mia »: 31 dicembre, $no
a « teniamoci intanto al racconto di Ludovico. » (qui p. 794) =
SC4
« Così un cavallo si materializzò nell’aria »: 2 gennaio, $no a « essendosene forse tornato a Bologna. » (qui p. 797) = SC5
« Era strega professa e marcata dal Diavolo »: 3 gennaio, $no a
« scrittori che di questa materia trattano”. » (qui p. 802) = SC6
« Le visite notturne del senatore al letto di Caterina »: 4 gennaio,
$no a « Ma morì di colica: il 16 luglio 1629. » (qui p. 806) = SC7
Caterina inventava i diavoli per i suoi giudici: 5 gennaio, $no a
« l’aveva interrogata in casa Melzi. » (qui p. 810) = SC8
Dal cerchio di sangue comparve il diavolo: 6 gennaio, $no a « confessava di sé, del suo essere “strega professa”. » (qui p. 815) = SC9
Con stregoni e demoni al baccanale del « barilotto »: 7 gennaio, $no
a « E non ci voleva di più. » (qui p. 821) = SC10
Condannata al rogo per divertire il pubblico: 8 gennaio, $no alla
chiusura del libro (qui p. 826) = SC11.
Anche sul « Corriere » il testo è costantemente presentato
come « racconto a puntate », de$nizione di genere di cui
Sciascia stesso segnala l’inadeguatezza nella Nota che chiude 1912 + 1: « L’anno scorso ho scritto e pubblicato un breve
racconto (come chiamarlo|) che era, deliberatamente, un
omaggio a Manzoni » (qui p. 887), senza tuttavia reagire
quando una giornalista glielo nomina come il « suo ultimo
romanzo ».2
Di fatto si tratta dell’esame di un ampio resoconto processuale, non dissimile da Atti relativi alla morte di Raymond Roussel
o dai Pugnalatori, con la differenza che le ampie citazioni
sono in questo caso modernizzate per favorirne la fruizione
da parte del lettore, come si precisa in un passo che conviene richiamare:
1. I disegni sono riprodotti nella sezione « Immagini » del numero dedicato a Leonardo Sciascia vent’anni dopo, in « Il Giannone », VII, 13-14,
gennaio-dicembre 2009.
2. Un uomo di « circolo » e le sue riflessioni, cit.
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note ai testi
continuiamo a render più chiara quella che Manzoni chiamava « la dicitura », a scioglierne le frasi – sarebbe il caso di dire
– più « groppite », a dare più ordinato ritmo alla punteggiatura,
a dar luogo o a sostituire qualche parola che manca o che oggi
ha diverso signi$cato o non ne ha più (qui p. 798)
e come si può veri$care sull’edizione fedele ai documenti
del processo a Caterina pubblicata tre anni dopo.1
le confessioni di una sedicente strega
Qualche settimana dopo, l’inchiesta giunge in libreria:2 la
Nota conclusiva e l’epigrafe tratta dal libretto della Carmen
di Bizet sono le uniche differenze rispetto ai ‘tratti’ del
« Corriere ». Una campagna correttoria piuttosto intensa
dev’essersi invece veri$cata durante la rilettura del dattiloscritto, di cui è stata reperita la sola copia carbone:3 il confronto fra D18 e il volume evidenzia infatti un numero cospicuo di discrepanze ascrivibili con ogni probabilità a correzioni apportate non già sulle bozze – generalmente Sciascia
tendeva a evitarle – ma sul dattiloscritto originale, e dunque
non documentate dalla copia carbone.4
1. Giuseppe Farinelli e Ermanno Paccagnini, Processo per stregoneria a Caterina de Medici. 1616-1617, Rusconi, Milano, 1989 (= PCM). L’operazione di Sciascia è stata ampiamente analizzata da Carlo Boumis, La verità
bella. La « Storia della Colonna Infame » tra riscrittura e invenzione, in AA. VV.,
Leonardo Sciascia. La mitogra$a della ragione, a cura di Francesca Bernardini Napoletano, Lithos, Roma, 1993, pp. 141-203, e descritta – con un
fraintendimento di fondo – in termini di « Interpolazioni, manipolazioni, censure, confusione dei piani della narrazione e pedagogia del falso », ovvero di « impiego parodico del metodo d’indagine inferenziale e
storico-$lologica », compensato dalla sovrapposizione di « un meccanismo retorico basato sul sistema associativo della memoria letteraria »
(pp. 190-91). Decisamente più appropriate le riflessioni di Pupo, Narrare
l’Inquisizione, che mette a confronto l’indagine sciasciana con gli studi di
Carlo Ginzburg, concludendo che « Sciascia giunge allo stesso livello di
consapevolezza maturato da Ginzburg per ciò che attiene la natura non
innocente degli incartamenti processuali di natura inquisitoriale » (p.
127), concetto ribadito con una convincente esempli$cazione a p. 133.
2. Leonardo Sciascia, La strega e il capitano, Bompiani, Milano, 1986
(= Bom86). Il ‘$nito di stampare’ è del mese di gennaio.
3. Il dattiloscritto (= D18) consta di 56 pagine, compresi un frontespizio
che reca la dicitura « Leonardo Sciascia la strega e il capitano » e la
pagina successiva con l’epigrafe.
4. Su questa prassi correttoria, si veda OA I, p. 1850 e nota 1.
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la strega e il capitano
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Si va da interventi limitati e puntuali (per es. « ma lo con« ma lo inclinò a convincersene » Bom86 16,
vinse » D18 8
qui p. 781; oppure « Una giovane » D18 10 « Una giovanissima » Bom86 18, qui p. 782) a varianti che mirano a introdurre dettagli e precisazioni:
790 qualche dubbio dovevano pure averlo. D18 18 qualche
dubbio dovevano pure averlo, mentre ovviamente non ne avevano coloro che li temevano o che di pratiche stregonesche si
credevano affetti – e ancora di più i padri inquisitori, i giudici
Bom86 29-30
792 recitare Padrenostro e Avemaria, ma evitando di pronunciare il nome di Gesù e l’amen, pena il fallimento del
male$zio D18 19
recitare Padrenostro e Avemaria, ma mettendole la pelosa mano sulla bocca quando stava per pronunciare il nome di Gesù e l’amen, ché a quelle parole la possibilità
del male$zio sarebbe svanita Bom86 32-33
793 altro non fece che carezzarla; ma all’inquisitore D18 20
altro non fece che carezzarla (e questo pure al senatore bastò
per « corrompersi »); ma all’inquisitore Bom86 34
825 La pupilla, forse. Ed ecco D18 54 La pupilla, indubbiamente: corruzione della parola latina e richiamo a quella –
popϝ Рdel dialetto milanese. Ed ecco Bom86 83.
Qualche intervento lascia supporre una attenta riconsiderazione dei documenti su cui si fonda l’inchiesta; è il caso
del ripensamento su un dettaglio che in prima battuta doveva essere parso a Sciascia evidente:
776-77 Evidentemente scritta dal Verri con le carte processuali sotto gli occhi: e copiando o riassumendo fedelmente certi passi, sorvolando senz’attenzione su altri D18 3
Evidentemente scritta dal Custodi riassumendo il fatto per come il Verri
lo raccontava negli Annali; e si può presumere il Verri ne avesse
scritto con le carte processuali sotto gli occhi: e copiando o riassumendo fedelmente certi passi, sorvolando senz’attenzione su
altri Bom86 9
o dell’età del Melzi, che si fa più vaga:
806 Aveva settant’anni, il senatore D18 33
sessant’anni, il senatore Bom86 53
Aveva passati i
o, ancora, di un nome (quello del marito di Caterina) che
viene precisato:
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note ai testi
807 Sposata a tredici anni con un tale di Piacenza di cui non
riusciamo a leggere il nome D18 35 Sposata a tredici anni con
un tale di Piacenza, Bernardino Pinotto di nome Bom86 55.
Tale nome è desunto non dal luogo corrispondente dei
verbali originali, che in PCM 289 reca: « mentre havevo solamente tredeci anni fui maritata in uno piacentino chiamato
Bernardino Zagalia », bensì da un passo successivo dell’interrogatorio di Caterina, dove la donna dichiara: « Voglio
dire la verità, quello di chi si tratta in detta lettera era mio
marito, quale perché mi trattava male, sono statta forzata
fugir da lui, et si nominava Bernardino Pinotto, che faceva il
mestiero del Michelazzo, et io ero forzata fare il bordello,
per mantenerlo lui » (PCM 305), passo utilizzato già in D18
46: « le informazioni riguardavano la salute del marito di lei,
quel Bernardino Pilotto “che faceva il mestiere del Michelaccio, e io ero forzata a fare il bordello per mantenere lui” »
(qui p. 817).1
Altra direttrice d’intervento è l’inserimento di elementi attualizzanti, come l’allusione a una nota tesi di Hannah Arendt:
779 meno ripetitivo e banale di altri che conosciamo D18 6
meno ripetitivo e banale (c’è una banalità dell’atroce, della
crudeltà, della sofferenza; c’è sempre stata, mai però così invadente e saturante come ai giorni nostri; e insomma, come è
stato già detto: la banalità del male) di altri che conosciamo
Bom86 13
o come la speci$cazione in un richiamo all’oggi già presente
nel testo:
787 le pratiche di fattucchieria sono oggi più magiche e meno effettuali che nei passati secoli D18 15
le pratiche di fattucchieria sono oggi più magiche e meno effettuali – meno effettuali, in senso menomante o letale – che nei passati secoli
Bom86 25
o come, in$ne, l’aggiunta di un ammicco al lettore:
804 e il cavalcare non si riferiva all’aver a che fare coi cavalli
D18 30-31
e il cavalcare, inutile spiegarlo agli italiani, non si
riferiva all’aver a che fare coi cavalli Bom86 50.
1. In sostanza Sciascia, dopo aver integrato in D18 35 il nome corretto
del marito di Caterina, non è intervenuto in D18 46 a emendare la forma
« Pilotto »; fuori luogo, dunque, il commento di Boumis, La verità bella,
cit., p. 189, dove si adombra una storpiatura volontaria del nome « quasi
che la condanna morale della turpitudine dell’uomo meriti una sanzione linguistica ».
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la strega e il capitano
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In un solo passaggio il riassetto testuale mitiga l’attualizzazione di un paragone:
812 Ma si intenda il « grassa » nel senso in cui oggi una bella
donna dice di sentirsi grassa e di voler mettersi a dieta: non magra, insomma D18 40
Ma si intenda il « grassa » nel senso di
allora della bianchezza e del colore, della morbidezza e dello
splendore delle carni: non magra, insomma Bom86 63.
Si tratta per lo più di ampliamenti testuali, e altro si potrebbe documentare; pochi gli esempi in cui, in controtendenza rispetto a questo movimento correttorio, si sopprimono porzioni di testo.
Di seguito all’elenco di oggetti trovati nel letto di Caterina
(« un osso di oca con dentro delle piume bianche, un tralcio
di roveto spinoso intrecciato di piume, una rosa piccola di
piume bianche groppita con refe bianco »; qui p. 795) D18 22
presenta un commento ironico – « e sarà stata davvero abilità di maga il far stare tutte queste cose dentro un osso di oca » – cui poi si rinuncia.
Analogamente, dopo aver menzionato come « inquirenti » coloro che sottoposero la donna all’interrogatorio (qui
p. 809), in D18 37 Sciascia sviluppava una precisazione incidentale soppressa in fase di rilettura: « (e continuiamo a
chiamarli inquirenti e non giudici perché a loro era demandato uf$cio, per così dire, di polizia giudiziaria, il giudizio, la
comminazione della pena spettando al Senato) ».1
Nella presente edizione si assume il testo di Bom86, con
minime emendazioni: « senato milanese » di Bom86 24 (conforme a D18 14 e a SC3) è riportato a « Senato milanese » (qui
p. 786), in conformità alle numerose altre occorrenze fuori
di citazione; il « prostar a terra » di Bom86 36 è corretto in
« prostrar a terra » (qui p. 794), sulla base di D18 21 e SC5, oltre che di PCM 252 (ma il refuso era stato già sanato in OB III,
p. 223, e non si trova perciò nell’edizione Adelphi del 1999,
p. 38).
Si mantiene invece una resa imprecisa del verbale originale: la « Apolonia Buscha » (PCM 289), della famiglia patrizia
1. E inoltre: 782 Il cavaliere Andrea Cavagnolo punto per punto confermò la storia di Vacallo. >E il 26 dicembre 1616, con la denuncia di Ludovico Melzi al Capitano di Giustizia, il destino di Caterina.< Che era,
appunto, storia di Vacallo D18 9 788-89 qual miscuglio di tripudio
>1per l’ambita nomina, di preparazione alla festosa cerimonia, di ambascia per le rivelazioni di Vacallo, di trafelate ricerche di corpi del reato,
di 2e d’ambascia ribollisse in casa Melzi< e di angoscia ribollisse D18 16.
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note ai testi
pavese dei Busca,1 da cui va a servizio Caterina dopo la morte del marito, è infatti resa in D18 35 (e quindi in SC8 e Bom86
55) con « Apollonia Bosco » (qui p. 807).
un libro incompreso
La strega e il capitano è, fra i libri di Sciascia, uno dei meno
fortunati: per limitarci agli autori delle monogra$e più analitiche e complete, si va dal sostanziale disinteresse di Massimo Onofri2 all’aperta riprovazione di Traina, il quale, salvati
gli « elementi attualizzanti e ... alcune interessanti osservazioni sul dilettantismo », asserisce che il libro « offre scarsi motivi d’interesse, poco o nulla aggiungendo, in relazione all’intolleranza, a quanto già scritto in Morte dell’inquisitore », e che
anche lo stile risulterebbe « involuto $n quasi all’oscurità ».3
Giudizio legittimo, ma che collide con le numerose sfaccettature di quest’opera. Innanzitutto, come d’altronde sottolinea lo stesso Traina,4 al di là dell’esposta $ligrana manzoniana di Storia della Colonna Infame – alla quale, scrive Sciascia, « mai ci stancheremo di rimandare il lettore, e per tante
ragioni: che sono poi quelle per cui scriviamo e per come
scriviamo » (qui p. 820) –, sono stati messi in rilievo da un
lettore sensibile come Gian Franco Grechi sottili richiami
allo Stendhal dei Cenci : « una donna a confronto con un maturo gentiluomo, il rito inutilmente crudele della tortura, la
celebrazione di un’infamata giustizia ».5
È poi particolarmente suggestiva l’osservazione di Ambroise sul « discorso della stregoneria », espressione calcata
sul discours de la folie di Michel Foucault, « che coincide [con]
il discorso della scienza. O meglio: laddove il discorso della
scienza non riconosce i propri limiti, salvandolo dalle sue
mancanze lo squali$ca quello della stregoneria. La strega e il
capitano, del resto, è anche un testo sulla malattia, sulla triade corpo-donna-medicina ».6
1. Su cui si veda la nota dei curatori in PCM 347-48.
2. Che si limita a una mera descrizione in Onofri, Storia di Sciascia, pp.
261-62.
3. Traina, Leonardo Sciascia, p. 216.
4. Loc. cit.
5. Gian Franco Grechi, Sciascia e la cultura francese: tappa a Milano, in Simonetta, Non faccio niente senza gioia, p. 50.
6. Ambroise, Invito alla lettura di Sciascia, pp. 255-56.
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la strega e il capitano
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Non va soprattutto scordata la lettura ‘femminista’ di Dacia Maraini, che sottolinea come Sciascia abbia « ritrovato e
fatto sue, dopo solitarie elaborazioni personali, alcune delle
idee che da anni le donne, a gruppi o da sole, portano avanti. Ai tempi del sommovimento ideologico femminile, Sciascia era rimasto “a guardare” con un sorriso chiuso dentro la
bocca, di sospetto e di preoccupazione. Poi, da uomo curioso e aperto qual era, anche se con l’aria di occuparsi d’altro,
si era messo a riflettere sul concetto della diversità femminile, del razzismo di sesso, $no a scrivere con mano veloce e
sapiente questo piccolo capolavoro sulle “ragioni delle donne” ».1
Comunque sia, motivi d’insoddisfazione per l’esito editoriale del libro non risparmiarono l’autore stesso: il 31 luglio
1986 scrive ad Andreose di aver completato « un piccolo libro, per volume ed essenza molto somigliante a quelli di
questi ultimi miei anni » che intende destinare ad altro editore « nell’impressione che già “La strega e il capitano” fosse
rimasto, nelle edizioni Bompiani, come una specie di corpo
estraneo. Lo dico, Lei mi intende, senza alcuna presunzione
o albagia: con la consapevolezza, anzi, di un mio limite. E
spero Lei mi dia ragione ».2 Speranza vana: Andreose risponde circa un mese dopo esprimendo un disappunto cui si intrecciano dati di fatto e valutazioni di buon senso:
al ritorno dalle mie vacanze trovo la sua lettera del 31.7, inaspettata, agrodolce. Nonché dif$cile, mi riesce impossibile darle ragione sulla « Strega » come corpo estraneo. Forse la sua decisione ne sottolineerà la solitudine.
1. Dacia Maraini, Un giorno Sciascia entrò nella città delle donne, in « l’Unità », 22 novembre 1989, p. 1; poi in « Nuove Effemeridi », III (1990), 9,
pp. 159-61, col titolo La strega e il matriarcato, da cui si cita (p. 160).
Quest’ultimo titolo richiama la discussione innescata dall’intervista rilasciata a Franca Leosini, Le zie di Sicilia, in « L’Espresso », XX, 4, 27
gennaio 1974, p. 19, in cui Sciascia istituiva un nesso tra il matriarcato
siciliano e la ma$a tradizionale, interpretata come reazione maschile
all’oppressione familiare. In seguito alle reazioni (tra cui quella di Adele Cambria in « L’Espresso », XX, 5, 3 febbraio 1974, p. 15, e della stessa
Maraini sull’« Ora » del 12 febbraio 1974), Sciascia af$dò un chiarimento in cui ribadì le sue posizioni (« penso che per una effettiva liberazione della donna, non si possa non tener conto di quel che la donna rappresenta di negativo, e magari non per sua colpa, in una certa società »)
all’articolo Antifemminista io|, in « Panorama », XI, 410, 28 febbraio
1974, p. 33 (anticipato con lo stesso titolo sull’« Ora » del 26-27 febbraio
1974, p. 5).
2. AB.
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note ai testi
Non conosco ancora il nuovo libro e quindi mi manca un elemento di valutazione, ma per me, per noi tutti della Bompiani,
la « Strega » rappresentava l’inizio di un rapporto che a mano a
mano si sarebbe af$nato, registrato sulle mutevoli esigenze e eventuali variazioni della produzione dell’autore.
Qualche dubbio mi era venuto, e volevo parlarne al più presto, sulla collocazione di collana, sulla veste gra$ca, sulla opportunità di una più speci$ca caratterizzazione editoriale rispetto
all’immagine dell’autore e al suo genere di questi ultimi anni.
La risposta dei librai e dei lettori, peraltro, ci risulta, tutto
sommato, confortante: 40.000 copie distribuite e oltre 30.000
vendute ad oggi: un dato che, secondo le statistiche Demoskopea riguardanti il primo semestre ’86 colloca « La Strega e il
Capitano » all’8° posto nella classi$ca della produzione italiana
(le allego la fotocopia perché ne valuti il contesto).1
Ma a quel punto i giochi sono fatti: 1912 + 1, il « piccolo
libro » menzionato nella lettera del 31 luglio, è già da alcuni
giorni nelle mani di Roberto Calasso.
1. 27 agosto 1986 (AB, copia).
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1912 + 11
Il libro viene pubblicato nel 1986 presso Adelphi nella
collana « Fabula » (n. 12); incluso in OB III, pp. 259-324.
l’approdo all’adelphi
Il 12 luglio 1986 Sciascia indirizza una breve lettera a Roberto Calasso:
Le mando la mia piccola divagazione sul 1913; veda Lei se è il
caso di farne un libretto Adelphi. Non è molto diversa delle
piccole cose che ho scritto in questi ultimi anni, forse più divagante.2
Il modo con cui si rivolge all’editore, oltre a evidenziare
sin dal primo approccio l’« amichevole discrezione ed affabile eleganza »3 a cui saranno improntati i rapporti con la
1. Questa Nota è stata anticipata in forma sintetica al convegno 1912+1,
2012+1. Passeggiare nel tempo con Leonardo Sciascia, Milano, 22-23 novembre 2013; col titolo Scrivere facile. Storia redazionale di « 1912 + 1 », è in corso
di stampa in « Todomodo », IV (2014).
2. AA.
3. Giorgio Pinotti, Sciascia adelphiano, in corso di stampa in « Todomodo »,
IV (2014). È l’intervento al convegno milanese su 1912 + 1 sopra citato:
vi si mette per la prima volta a frutto l’epistolario editoriale recentemente rinvenuto nell’Archivio Adelphi. Ringrazio Pinotti per avermi
anticipato il contributo.
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casa editrice, fa presupporre un contatto anteriore, di cui
tuttavia non è stata reperita alcuna traccia documentaria.
Ma in questo caso la lacuna non appare davvero signi$cativa,
perché all’Adelphi Sciascia era arrivato anni prima come lettore, con un percorso che a posteriori potremmo de$nire di
graduale avvicinamento.
Le tappe di quel percorso sono state messe a fuoco da
Giorgio Pinotti: al principio c’è Savinio, di cui escono da Sellerio, « sotto l’egida di Sciascia », Souvenirs (1976) e Torre di
guardia (1977), « proprio mentre Adelphi intensi$ca il programma avviato nel 1975 con Maupassant e “l’Altro”: Nuova
enciclopedia e Sorte d’Europa (1977), Il signor Dido (1978), cui
seguirà Vita di Enrico Ibsen (1979) »:1 talché Sciascia dovrà rinunciare, nel 1980, a La casa ispirata, che Adelphi manderà
in libreria alcuni anni dopo,2 mentre fallirà, nel 1983, il disegno di radunare per Adelphi gli Scritti dispersi saviniani (usciranno nel 1989 nei « Classici Bompiani »).3 E si aggiungano,
con Pinotti, le allusioni ad autori del catalogo adelphiano
come Milan Kundera e Georges Simenon, e poi Alexander
Lernet-Holenia, E.M. Cioran, lo stesso Borges.4
Così, appena s’instaura il nuovo rapporto editoriale, Sciascia individua nell’Adelphi l’approdo de$nitivo per la diffusione dei suoi scritti. Lo confessa ad Andreose pochi giorni
dopo aver inviato 1912 + 1 a Calasso (« L’Adelphi è insomma, per me, la casa editrice che può non farmi rimpiangere
né l’Einaudi né la Sellerio »),5 e glielo ribadisce mesi dopo, a
libro ormai pubblicato:
Mi piace il libro Adelphi, mi piacciono gli scrittori con cui da
Adelphi mi trovo in compagnia; e mi piacciono i lettori che seguono l’Adelphi, anche se sono di minor numero di quelli
dell’Einaudi o della Bompiani. Quel che mi ha impedito di andare prima – molto prima di ora – da un editore come Adelphi
è stata forse la passione con cui mi ero dedicato alla casa editrice Sellerio: a tal punto che, specialmente tra i librai, correva
voce che ne fossi socio o addirittura proprietario. In effetti, il
compenso che ne ho avuto è stato soltanto di amara delusione:
1. Pinotti, Sciascia adelphiano, cit.
2. Alberto Savinio, La casa ispirata, Adelphi, Milano, 1986.
3. Alberto Savinio, Scritti dispersi tra guerra e dopoguerra (1943-1952), a
cura di Leonardo Sciascia e Franco De Maria, Bompiani, Milano, 1989.
4. Pinotti, Sciascia adelphiano, cit.
5. 31 luglio 1986 (AB).
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dopo quasi quindici anni di assolutamente disinteressato lavoro. Ma lasciamo andare.1
Lo dichiara poi nelle interviste: a Guido Valdini, che gli
chiede « Einaudi è il suo primo amore, Sellerio la sua casa.
Ma l’inverno scorso ha pubblicato con Bompiani e ora con
Adelphi: che succede| », risponde con la consueta schiettezza:
Einaudi non è stato il mio primo amore e Sellerio non è stata
la mia casa. Il mio primo amore è stato Laterza. E debbo molto,
personalmente, a Vito Laterza. E da Sellerio sono stato ospite,
anche se per un lungo e intenso soggiorno. Adelphi, ora. Se,
come lettore, è l’editore che seguo di più, era piuttosto ovvio
che ci andassi come autore.2
E a Gian Franco Colombo che si domanda, quando il rapporto con l’Adelphi è ormai ben consolidato, « come mai, il
più grande scrittore siciliano oggi vivente, non ha una “sua”
casa editrice », replica più analiticamente:
Ho voluto sempre mantenermi libero. Io sono nato alla letteratura con Laterza e mi sono sempre sentito legato a questa casa
editrice, ma non pubblicava racconti per cui sono andato da
Einaudi. Ad un certo punto quando ho scritto il primo racconto-inchiesta sono tornato da Laterza perché non ho mai avuto
con nessun editore un contratto di opzione. Poi c’è stata la possibilità di collaborare ad una editrice siciliana come Sellerio per
cui ho lavorato molto, quando è diventata troppo grossa me ne
sono andato ed oggi pubblico da Adelphi perché è una piccola
casa editrice, perché posso avere rapporti diretti con Foà e Calasso e vedere nascere un libro tra amici. La grande casa editrice impersonale a cui interessa il nome più o meno famoso e
non quello che c’è nel libro, a me non dice nulla. Tutte queste
cose non mi piacciono ed allora è la vita che comincia a non
piacermi molto.3
La delusione per l’esito del rapporto con la Sellerio non
gli impedisce di accostarla alla ‘sua’ Adelphi, riconoscendo
in entrambe il gusto per il libro di qualità:
1. 19 novembre 1986 (AB).
2. Onor di contessa, intervista a cura di Guido Valdini, in « L’Ora », 14 ottobre 1986, p. 4; anche in « Brescia oggi », 21 ottobre 1986, p. 9, col titolo L’onore della contessa.
3. Confessioni sulla $ne del mondo e di me, intervista a cura di Gian Franco
Colombo, in « Il Sabato », XI, 51, 17 dicembre 1988, p. 56.
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note ai testi
all’immagine, alla forma esterna del libro, di solito l’editore
fa corrispondere una scelta precisa. Adelphi non solo fa il libro
« bello », fa anche il libro interessante. La collana che esce ora
da Sellerio, « Il Castello » – non so se l’ha già vista, ha pubblicato anche i racconti di Maria Messina, – è una bella collana, in
entrambi i sensi. Sellerio e Adelphi dimostrano il gusto della
gente per il libro ancora ben presentato, confezionato con gusto e armonia. Il fatto è che ormai, non so sulla base di quali
dati, si è deciso quali debbano essere i nostri gusti. E non è vero
niente.1
una commedia mancata
Qualche giorno dopo l’uscita del libro, nell’intervista che
af$anca la recensione di Giuseppe Quatriglio,2 Sciascia racconta al critico letterario del « Giornale di Sicilia » com’è
nato 1912 + 1:
Questo libro è nato da una cena con Adriana Asti. A tavola
si è parlato di una commedia, di una commedia teatrale che
lei cercava. A me è venuta l’idea di ricostruire il processo Tiepolo perché i processi sono di per sé teatro. E l’attrice ha trovato buona la proposta per cui mi ha procurato molto materiale.3
Un’inusuale inversione dei ruoli: lo scrittore suggerisce il
tema su cui costruire il copione, l’attrice procaccia il materiale con cui realizzarlo. Ma il progetto non va in porto:
« quando mi sono messo a lavorare, la forma teatrale non è
venuta fuori. È venuto fuori invece uno dei racconti-inchiesta da me scritti in questi ultimi tempi ».4 Arduo ascriverlo a
1. La giustizia, una preoccupazione costante, intervista a cura di Gianmarco
Gaspari, in « Il Corriere del Ticino », 28 ottobre 1989, p. 51.
2. Giuseppe Quatriglio, Il racconto-verità di Sciascia, in « Giornale di Sicilia », 24 novembre 1986, p. 30.
3. « Il cittadino onesto è come l’asino di Buridano », intervista a cura di Giuseppe Quatriglio, loc. cit. La genesi del libro è ribadita nell’agosto del
1987 a James Dauphiné (Leonardo Sciascia. Qui êtes-vous|, pp. 141-42;
trad. it., p. 41), mentre l’accostamento al teatro è ripreso nell’intervista
rilasciata a Rita Cirio, Questo paese fa proprio pena, in « L’Espresso »,
XXXIII, 42, 25 ottobre 1987, p. 159: « “1912 + 1” faceva pensare a un
dramma teatrale – anche per l’argomento, un processo, già di per sé
teatro ».
4. « Il cittadino onesto è come l’asino di Buridano », cit.
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un preciso « $lone »: « Non so esattamente a quale $lone
può appartenere. Io procedo sempre per centri d’interesse
anche se momentanei, anche occasionali ».1
In questo caso, il centro d’interesse che illumina le vicende ricostruite è certamente la giustizia, tema fondamentale
nella riflessione di Sciascia. Lo hanno rilevato i critici,2 ma lo
ha sottolineato l’autore stesso, accostando a quello della giustizia un altro tema non meno essenziale:
nel libretto dell’anno scorso, 1912 + 1, io affrontavo, insieme
al problema della giustizia, che sempre mi impegna, un tema
che ci impegnerà intensamente in questo cinquantenario della
morte di D’Annunzio. Ecco, questo mi occupa, mettere le cose
a posto con D’Annunzio. Cioè non prenderlo sottogamba, come una specie di fungo cresciuto casualmente in questo paese,
ma considerare un dannunzianesimo che è sempre latente.
D’Annunzio e il fascismo sono equivalenti.3
La giustizia costantemente rovesciata in ingiustizia, il fascismo contenuto in nuce nel dannunzianesimo: motivi sciasciani quant’altri mai. In effetti il nucleo centrale del libro
era da tempo nella mente di Sciascia, e la conversazione con
Adriana Asti costituisce nient’altro che l’innesco della scrittura. Si deve ancora a Pinotti la segnalazione di una lettera
di Linder a Sciascia nella quale l’agente scrive:
La Mondadori mi dice che Lei ha accettato l’idea di scrivere
per una collana semi-economica della Mondadori della Contessa Tiepolo ... Tutte le spese di ricerca saranno a carico della
Mondadori e tutti i diritti stranieri restano riservati a Lei.
Resta da sapere se effettivamente Lei ha dato il Suo consenso
formale, e resta da vedere come vogliamo trattare la questione
Einaudi. È vero che lei non ha alcuna clausola d’opzione nel
Suo contratto con Einaudi: tuttavia è sempre stato inteso tacitamente che, a parte i contratti Sellerio, Einaudi La considera un
autore della casa editrice e anche Lei si considerava un autore
di Einaudi.
Come devo comportarmi| vuol pensarci e darmi poi delle
istruzioni|4
1. Loc. cit.
2. Quatriglio, Il racconto-verità di Sciascia, cit., e cfr. Onofri, Storia di Sciascia, p. 264.
3. Impegnato: perché no|, intervista a cura di Giorgio Fabre, in « l’Unità »,
23 gennaio 1988, p. 19.
4. 3 dicembre 1981 (FM/L-sc). Cfr. Pinotti, Sciascia adelphiano, cit.
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note ai testi
Sciascia ci avrà pensato il minimo indispensabile, poi avrà
disposto la rescissione dell’accordo. Ma l’idea resta e al momento buono torna fuori. Il percorso è confermato dalla testimonianza di Giorgio Ferrara, che colloca nel tempo il
progetto:
Nell’autunno del 1985, domandai a Leonardo Sciascia, con il
quale mi incontravo durante i suoi brevi soggiorni romani, se
avesse un’idea per una commedia teatrale.
Dopo qualche tempo mi chiese di procurargli le annate
1913-1914 del Corriere della Sera e del Messaggero: forse c’era qualcosa...
Alcuni mesi dopo ricevetti una copia di « 1912 + 1 » e una sua
lettera in cui mi diceva che mentre si provava a scrivere la commedia sul caso Oggioni-Tiepolo, gli era uscito dalla penna quella « specie di romanzo », che si « scusava » e mi esortava a cercare
la maniera di trarla io una commedia dal suo libro.1
Durante l’estate del 1986 si mette al lavoro e allestisce un
dattiloscritto, oggi conservato nell’Archivio della Casa editrice Adelphi.2 D19 è frutto del lavoro di non più di ventidue
giorni, dal 21 giugno al successivo 12 luglio, data dell’invio
a Calasso. La data d’inizio della stesura si legge nella cartella iniziale, al di sotto di un foglietto incollato in calce, ovvero in una prima redazione dell’episodio della rappresentazione della Gioconda di D’Annunzio all’Oeuvre di Parigi
(qui p. 834):
è anche da dire che l’entusiasmo del socialista Blum può
essere considerato di rivelazione nei riguardi del socialismo,
dei socialismi, dei socialisti. E scrivo queste parole, questo
giudizio, già deciso a votare domani, 22 giugno 1986 – elezione dell’Assemblea regionale siciliana – per il Partito Socialista.3
1. Giorgio Ferrara, Una commedia mancata, un $lm ritrovato, in Sebastiano
Gesù, Leonardo Sciascia. Incontri con il cinema, Maimone, Catania, 1992,
p. 183. Ferrara avrebbe poi tratto non una commedia ma lo sceneggiato
televisivo L’uomo che ho ucciso, annunciato nell’articolo per il 1993, ma
trasmesso dalla RAI due anni dopo.
2. Il dattiloscritto (= D19) consta di 51 pagine numerate a mano, cui si
aggiungono il frontespizio (« leonardo sciascia | 1912 + 1 ») e la pagina con la citazione dalla Passeggiata di Palazzeschi.
3. Il passo è riportato più estesamente sotto a p. 1388. La dichiarazione
di voto non sorprende affatto: alle successive elezioni politiche del giugno 1987, spiegando le ragioni per cui aveva ri$utato una candidatura
alla Camera dei Deputati offertagli dall’amico Antonino Buttitta, segretario regionale del Partito socialista in Sicilia, confesserà: « la mia
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Nella seconda metà di giugno Sciascia si trova dunque a
Palermo, sia per l’imminenza delle elezioni, sia perché è impegnato in un lavoro per cui gli saranno occorsi i libri della
casa di viale Scaduto: « Attualmente lavoro su Pirandello »
dichiara a Sergio Palumbo. « Sto preparando un piccolo dizionario pirandelliano ».1 L’incontro col giornalista potrebbe essere avvenuto venerdì 20 o il giorno precedente: di certo il lavoro pirandelliano cui si allude doveva essere pressoché concluso dal momento che il « dizionario » sarebbe stato
pubblicato il successivo 6 luglio come supplemento del settimanale « L’Espresso ».2
Sciascia va avanti per una ventina di giorni, e ogni mattina
completa uno dei diciassette capitoli (diciotto con le Note
$nali) in cui è diviso D19.3 Un lavoro serrato e costante, che
include una rilettura completa di cui restano tracce manoscritte sulle pagine. E pervasivo: in quel periodo non risulta
che Sciascia abbia scritto altro, se non un breve articolo sul
pittore siracusano Gaetano Tranchino per il « Corriere della
Sera » del 2 luglio, stimolato da una mostra antologica a Palazzo Steri appena inaugurata.4 Altra ragione per restare a
posizione è nota da tempo: se in Sicilia i radicali presenteranno liste io
voterò per loro, altrimenti lo farò per il psi » (Sciascia: con la politica ho
chiuso, intervista a cura di Giuseppe Zaccaria, in « La Stampa », 7 maggio 1987, p. 2).
1. L’insularità è un fatto, intervista a cura di Sergio Palumbo, in « Gazzetta del Sud », 22 giugno 1986, p. 3.
2. Leonardo Sciascia, Pirandello dall’A alla Z, supplemento a « L’Espresso » del 6 luglio 1986. Alla $ne dell’anno il libro viene ripubblicato « a
bene$cio della Lega contro la droga » con l’aggiunta di quattro voci dalla
Tipogra$a Renna di Palermo (il colophon reca la data del novembre
1986, le prime 150 + XXX copie hanno in copertina un’acquaforte di
Domenico Faro); uscirà in$ne nel 1989 presso Adelphi, col titolo Alfabeto pirandelliano.
3. I capitoli, che in D19 incominciano a pagina nuova e nel volume pubblicato sono invece individuati da cinque righe di bianco, sono piuttosto
brevi, per lo più formati da due cartelle di quaranta righe e una terza con
non più di una trentina di righe di scrittura. Solo i capitoli sesto e settimo sono un po’ più lunghi: il primo supera di poco le tre cartelle, il secondo si arresta alle tre piene, e per di più risulteranno uniti nel volume
(dove, per effetto dell’aggiunta di due capitoli in bozze, i capitoli salgono a diciotto; in OB III, per effetto di indebiti accorpamenti, sono invece sedici). In compenso, gli ultimi tre capitoli sono poco più estesi di
una cartella.
4. Leonardo Sciascia, Tranchino: la memoria e il destino, in « Corriere della
Sera », 2 luglio 1986, p. 17.
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note ai testi
Palermo, prima di recarsi alla Noce, da dove scriverà a Calasso il 12 luglio.
Durante l’estate riceve le bozze, tempestivamente, si direbbe, se il 3 settembre scrive, scusandosi del ritardo, a Luciano Foà: « Restituisco, corrette (ma sono un pessimo correttore) le bozze. Ho aggiunto, e inseriti a lor luogo, due
capitoletti che mi è parso ci volevano. Anche alle note ho
aggiunto qualcosa ».
Con l’occasione si occupa anche dell’immagine di copertina, dopo aver saputo da Dennis Linder – che, morto il padre, si curava di Sciascia all’ALI – dell’interesse di Foà per il
quadro Viva el pelo di Julio Romero de Torres menzionato
nel libro (qui pp. 849-50):
Le mando il catalogo del museo segnato [ossia il Museo Julio
Romero de Torres di Cordova], alla pagina in cui si trova, della
fotocopia del disegno che Gennaro Amato fece (giugno 1914)
per « L’Illustrazione italiana ». Né l’una né l’altra sono buone
riproduzioni: ma veda Lei.1
1912 + 1 esce in ottobre,2 e Sciascia ne è molto soddisfatto:
è naturale che lo scriva a Calasso (« Il libro si presenta bellissimo. E ve ne sono grato »),3 ma è signi$cativo che lo comunichi anche ai dirigenti della Bompiani, il 14 ottobre ad Andreose:
Debbo dirle (e so che le dispiacerà: ma dire il vero è sempre
bene) che il mio libretto che sta per uscire dall’Adelphi mi piace molto: come oggetto, nel contesto di quelle edizioni, di quegli autori4
e il 5 novembre a Elisabetta Sgarbi:
Ho scritto due lettere ad Andreose, ma non ho avuto riscontro. Capisco che sia un po’ seccato con me, ma il libro Adelphi
mi piace molto: e non altro motivo che questo c’è nel mio « passaggio ».5
1. AA.
2. Leonardo Sciascia, 1912 + 1, Adelphi, Milano, 1986 (= Ade86).
3. 21 ottobre 1986 (AA).
4. AB.
5. AB. La seconda lettera ad Andreose, del 25 ottobre (AB), concerne le
ricerche preliminari al saggio per Ignoto a me stesso. Ritratti di scrittori da
Edgar Allan Poe a Jorge Luis Borges, a cura di Daniela Palazzoli, Bompiani,
Milano, 1987 (poi in Fatti diversi di storia letteraria e civile, cit., pp. 221-30,
col titolo Il ritratto fotogra$co come entelechia). Andreose, forse sollecitato
da Sgarbi, risponderà il 12 novembre, con un tono burocratico di cui si
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divagazioni e riscritture
Nel restituire le bozze a Foà, il 3 settembre, Sciascia segnala, come si è visto, l’aggiunta di due capitoli, il dodicesimo e
il quindicesimo della presente edizione:1 « mi è parso ci volevano » gli precisa, ma non tanto – o non solo – perché arricchiscono di elementi decisivi la ricostruzione della vicenda,
quanto per il loro carattere divagante così congeniale al suo
gusto: « J’aime les digressions, » dichiarerà l’anno successivo
« elles me divertissent et je crois qu’elles me permettent
d’enrichir les points de vue, de jouer avec les textes et parfois avec les idées. En cela, je suis héritier de Montaigne et
de Savinio ».2
È divagante rispetto alla vicenda anche l’aggiunta, nelle
Note, del manifesto contro il tango e Parsifal di Filippo
Tommaso Marinetti (qui pp. 889-91; D19 51 si limitava alle
prime due righe del testo). Così come è divagante un’altra
aggiunta, sottaciuta nella lettera a Foà, che interviene alla
$ne del quarto capitolo, dopo che è stata descritta la $gura
dell’avvocato difensore della contessa, il socialista Orazio
Raimondo:
Che poi, otto mesi dopo, i giornali lo dicano « ex socialista
uf$ciale », vuol dire che aveva lasciato il partito ma certamente
dichiarando che ne manteneva l’idea: caso non dissimile dei
tanti che si son visti negli ultimi quarant’anni. Più di ogni altro
partito, quello socialista offre la possibilità del dissenso, dell’uscita: nella presunzione – o nella retorica – di essere più socialisti di quanto il partito consenta, al momento. Ma non infrequente è il caso che il dichiararsi più socialista e l’uscire dal
partito nasconda l’esserlo meno o il non esserlo più (qui pp.
844-45).
Ne registro ancora una nell’undicesimo capitolo, subito
dopo la menzione della lettera anonima di Oliva, che scrive
« a nome di tutte le maestre d’Italia »: ed è l’unica che abbia
un rapporto sostanziale con la ricostruzione della vicenda,
perché Sciascia vi speci$ca numero e destinazione delle lettere anonime generate dall’affaire Tiepolo:
scusa, auspicando un incontro a Palermo « per riprendere un dialogo a
cui tengo molto nonostante qualche cocente delusione » (AB, copia).
1. Qui pp. 870-72 e 877-80. In OB III, pp. 269-77, sono accorpati in uno i
capitoli terzo-quinto, per cui i capitoli a cui si fa riferimento sono lì il
decimo (pp. 301-303) e il tredicesimo (pp. 309-12).
2. Leonardo Sciascia. Qui êtes-vous|, p. 160 (trad. it., p. 46).
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note ai testi
E chi sa quanti abissali o viscerali amori ed umori – umani e
italici – erano nelle 570 lettere anonime pervenute alla parte
civile, nelle 350 alla difesa, nelle 120 al presidente, nelle 69 al
pubblico ministero; cui son da aggiungere quelle non computate, ma tantissime, ricevute dai giurati e dagli inviati dei giornali
(qui p. 869).
D19 si presenta abbastanza pulito: poche le correzioni immediate durante la stesura, così come gli interventi a penna
operati in momenti successivi o comunque con penne differenti.1
Trovandosi nella necessità di effettuare correzioni estese,
che avrebbero potuto compromettere l’intelligibilità del
passo, Sciascia sovrappone alla porzione superata un foglietto con il testo riscritto, metodo, questo, che ha preservato
dati di valore non soltanto $lologico; un passo di D19 1 (cfr.
qui pp. 833-34) è stato già esaminato sopra, pp. 1383-84, e lo
si ripropone ora per esteso, trascurando la parca elaborazione interna:
Prima stesura
Durava già da una diecina
d’anni, ma in quello – l’anno
del D’Annunzio che si consacrava scrittore francese e in italiano lo si traduceva – era
arrivato al massimo. Già otto
anni prima, all’Oeuvre, assistendo alla rappresentazione
della Gioconda, era stato Léon
Blum – racconta Jules Renard
– a dare segnale del lungo applauso. All’uscita, tra Blum e
Renard corsero queste due acri battute: « Avete l’aria di essere in collera », disse Blum;
« Sì, a causa del vostro entusiasmo », rispose Renard. E a
pensarci su, la mia avversione
a D’Annunzio ieri, la mia insofferenza a rileggerlo oggi,
trovano in questa battuta di
Seconda stesura
Durava già da una diecina
d’anni, ma in quello – l’anno
in cui si confermava e consacrava scrittore francese e in italiano lo si traduceva – era
arrivato al massimo. Già otto
anni prima, all’Oeuvre, assistendo alla rappresentazione della Gioconda, alla $ne
del primo atto era stato Léon
Blum a dare il segnale del lungo applauso. Nell’intervallo,
tra Blum e Renard corsero
queste acri battute: « Avete l’aria di essere in collera », disse
Blum; « Sì, a causa del vostro
entusiasmo », rispose Renard.
E credo che la mia avversione
a D’Annunzio ieri, la mia insofferenza a rileggerlo oggi,
trovino in questa battuta
1. Uno specimen (non riproposto in questa Nota) dei vari sistemi e movimenti correttori, in particolare nel passo in cui si menziona Perry Mason (qui p. 859), è in Squillacioti, Scrivere facile, cit.
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Renard preminente ragione.
Più di D’Annunzio, insopportabili i dannunziani: anche
quelli che non l’hanno mai
letto che non lo leggeranno,
che ne sanno quel tanto – della sua vita, del suo fascismo –
che fa loro credere di esserne
lontani. Ed è anche da dire
che l’entusiasmo del socialista
Blum può essere considerato
di rivelazione nei riguardi del
socialismo, dei socialismi, dei
socialisti. E scrivo queste parole, questo giudizio, già deciso
a votare domani, 22 giugno
1986 – elezione dell’Assemblea regionale siciliana – per il
Partito Socialista.
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di Renard preminente ragione. Più di D’Annunzio, insopportabile il dannunzianesimo
(oggi occulto); insopportabili i dannunziani: anche quelli che non l’hanno mai letto,
che non lo leggeranno, che ne
sanno quel tanto – della sua
vita, del suo fascismo – che fa
loro credere di esserne lontani. E per amore di verità, è da
dire che l’entusiasmo del socialista Blum all’Oeuvre, in
quel lontano 1905, può anche
essere considerato un segno,
cui tanti altri ne seguirono,
delle imprevedibili negazioni
del socialismo, dei socialismi,
dei socialisti.
Tale metodo correttorio è adottato in altri due punti. In
D19 17, dopo le parole « Sembrava impossibile, a gente che i
trasporti amorosi, » (qui p. 850), si legge:
Prima stesura
la passione, le omeopatie e le
allopatie dell’amore, le algo$lie e i feticismi appunto, li
conosceva e una cosa era certa, che si volesse ammettere o
negare che tra la contessa e
l’ordinanza ci fosse stato rapporto d’intimità: che l’ordinanza di lei era stato fortemente, follemente innamorato. La contessa riconosceva di
aver concesso al Polimanti più
benevolenza e
Seconda stesura
la passione, le omeopatie e
allopatie dell’amore, le algo$lie e i feticismi appunto, li
conosceva non per sentito dire, come oggi dai sociologi,
ma per sofferenza propria o
per mimesi dell’altrui. E una
cosa era certa, che si volesse
ammettere o negare che tra
la contessa e l’ordinanza ci
fosse stato rapporto d’intimità: che l’ordinanza era preda
di un’infatuazione amorosa di
comuni sintomi e di vulgati rituali.
La contessa riconosceva di aver concesso al soldato più benevolenza e
« con$denza di quanto sia lecito ne corra tra la moglie di un
uf$ciale e un attendente » continua il testo. La stesura de$-
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note ai testi
nitiva introduce una nota polemica sulla mediazione sociologica delle esperienze emozionali, per comprendere le quali
Sciascia riteneva bastasse il De l’amour di Stendhal:
Per quanto mi riguarda sto al « De l’amour » di Stendhal:
nulla è stato scritto sull’amore che sia al tempo stesso così
« scienti$co » e così misterioso. Ogni aggiornamento credo
sarebbe un parlar d’altro. Voglio dire: se si parla di amore,
non è possibile prescinderne. Ma forse, oggi, si sta parlando
d’altro.1
Tutto quello che dopo Stendhal è stato scritto a descrivere e
a de$nire l’amore, in effetti altro non è stato che uno scrivere
sul De l’amour ; sicché come Bertrand Russell dice che tutta la
$loso$a occidentale non è che un’annotazione in margine a
Platone, possiamo dire che tutto quel che in un secolo e mezzo,
$no a noi, è stato scritto sull’amore, non è che un’annotazione
in margine a Stendhal.2
E in D19 45, dopo le parole, riferite al capitano Oggioni,
« si era tenuto nelle vicinanze ad attendere la sentenza, »
(qui p. 883), si legge:
Prima stesura
per decidere se ricomparire o
restare « lontano »| Pirandello aveva già concepito il Berretto a sonagli, può darsi stesse
già per estrarre ed articolare
dalla novella la commedia.
Ma tutto era già pirandelliano, nel caso Tiepolo. La sentenza echeggiò in tutta Italia:
Seconda stesura
per decidere se ricomparire o
restare « lontano »| Pirandello aveva già cominciato ad esplorare, si è detto, questa ignota regione dell’amor proprio (La Rochefoucauld aveva detto che ce n’erano ancora molte): che è il modo di reagire, dirà Savinio, alla corni-
1. Leonardo Sciascia, Fiorin d’amore, in « L’Europeo », XXXV, 46, 15 novembre 1979, p. 97. Si tratta di un breve intervento all’interno di un
ampio servizio del periodico centrato su Innamoramento e amore di Francesco Alberoni, con interventi di Cesare Cases, Fabio Troncarelli, Gianni Baget Bozzo e Edoardo Sanguineti.
2. Intervento al convegno Amore e culture. Ritualizzazione e socializzazione
dell’eros, organizzato da Antonino Buttitta a Palermo il 3-5 dicembre
1984, anticipato in « L’Ora », 4 dicembre 1984, p. 4 (col titolo Amore,
divino error...), e in « Alfabeta », 69, febbraio 1985, pp. 13-14 (col titolo
De l’amour), e uscito negli Atti del VI Convegno Internazionale di Studi
Antropologici, a cura di Salvatore D’Onofrio, Circolo Semiologico Siciliano, Palermo, 1989, pp. 3-5. Riprodotto in$ne in « Nuove Effemeridi », la rivista diretta dallo stesso Buttitta, nel numero dedicato a Sciascia (III, 9, 1990, pp. 5-8, col titolo L’amore), insieme con gli altri interventi di Sciascia ai convegni organizzati dall’antropologo siciliano.
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più di disapprovazione che
in consenso fu dovunque discussa. Ma prima che il mese
in cui fu pronunciata $nisse, l’arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie cadevano a Sarajevo. Colpi di Browning anche questi: precisi
quanto quello della contessa. Ma cominciava a tuonare
il cannone. Un mese dopo, il
processo di Oneglia era già come un lontano ricordo. Mentre gli eserciti si addensavano
alle frontiere, pronti al grande
massacro, qualcuno ricordò
il processo Tiepolo: ma solo
perché in Francia era stata assolta la signora Caillaux, che
aveva ucciso Calmette, direttore del
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$cazione immaginata o effettuale: un delirio che nei siciliani particolarmente attinge
a « un sentimento cosmico ».
Ma tutto era già pirandelliano, nel caso Tiepolo. Le tante verità, il gioco dell’apparire contro l’essere.
La sentenza echeggiò in tutta
Italia, più in disapprovazione
che in consenso fu dovunque
discussa. Ma prima che $nisse il mese, l’arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie
cadevano a Sarajevo. Colpi di
Browning anche questi: precisi quanto quello della contessa. E ai primi di luglio, il
processo Tiepolo era come
un lontano ricordo. Mentre
gli eserciti si addensavano alle frontiere, pronti al grande
massacro, qualcuno vi fece
cenno: ma solo perché in Francia era stata assolta la signora
Caillaux, che aveva ucciso Calmette, direttore del
« “Figaro” » continua il testo. La rinuncia a speci$care il riferimento pirandelliano è compensata dall’aumento dei rinvii; Sciascia ne introduce uno all’amato Savinio e a quel
« sentimento cosmico » già menzionato nel dizionario pirandelliano uscito con l’« Espresso », che un errore di stampa
aveva trasformato in « sentimento comico ».1
Questi gli interventi più ampi, ma di varianti genetiche
interessanti ne incontriamo altre, e su tutte una che coinvolge quella dimensione religiosa la cui emersione improvvisa
nell’ultimo capitolo del libro aveva sorpreso Giorgio Calcagno, tanto che il critico ne aveva chiesto conto a Sciascia.2 A
1. Sciascia, Pirandello dall’A alla Z, cit., p. 42. Si veda Il sentimento comico
dei siciliani, in « L’Espresso », XXXII, 36, 14 settembre 1986, p. 148.
2. La domanda del giornalista (« Perché, nella terzultima pagina del
racconto, salta fuori il nome di Dio| ») suscita una risposta che ribadisce
un concetto a cui Sciascia teneva molto: « Capita anche a me di fare invano il nome di Dio. Forse, anzi, capita più spesso quando ci si avvicina
alla morte. Ma non nomino Dio nello stato d’animo della scommessa di
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esaminare i materiali, il nome di Dio sarebbe già saltato fuori in un contesto diverso, accanto a un’altra entità dell’immaginario cristiano:
847 Ma forse, ad un certo punto, per quel che ci pare di ricordare, i sali furono soltanto etere solforica: in che si univa l’etere
>allo zolfo<, l’etra dei poeti, allo zolfo; il cielo più puro alle >più
diaboliche viscere< oscure vene della terra. Quando cielo e terra >ancora esistevano, Dio e il Diavolo< ancora c’erano D19 15.
Poi, con un intervento sulle bozze, le « oscure vene » ritornano a essere diabolicamente connotate come « infernali
vene ».
Per il resto si tratta di correzioni puntuali: cancellazioni
in vista dell’inserimento di un elemento aggiuntivo nella
frase:
839 delle transazioni, >degli accordi,< delle conciliazioni, degli accordi D19 6 844 è >1una come 2una contraddizione in termini< una preterizione, una contraddizione in termini D19
11 866 racconta >un tentativo di seduzione< una negligenza
(da « négligé ») della signora da lui interpretata come tentativo
di seduzione D19 33
mere sostituzioni sinonimiche:
838 infatti >alla successiva votazione< al successivo scrutinio
D19 6 844 un colpo di >pistola< rivoltella D19 11 849 i giurati,
>il pubblico< gli spettatori del processo D19 17 853 non si tratti di >delibare< succiare ostriche D19 20 864 i testi si possono
>dividere< suddividere in tre categorie D19 31
chiose interne e aggiunta di particolari volti a chiarire elementi della ricostruzione:
850 ri$uto della infuriante moda del >taglio, dei capelli alla
maschietta< taglio corto, della nuca rasa: quel taglio che mi pare si dicesse alla maschietta D19 17 855 teneva l’arma nel cassetto del >comodino< \canterano e, stranamente, nella camera
Pascal: lo scommettere mi ha sempre ripugnato, e specialmente mi ripugna nella sfera meta$sica. Per me, il rischio, nelle scommesse, è più
quello di vincerle che di perderle. Sono stato invece affascinato, sempre, dalle estreme parole di Bernanos a Dio: “A noi due, ora” » (Sciascia:
c’è libertà, non giustizia, intervista a cura di Giorgio Calcagno, in « Tuttolibri » [suppl. di « La Stampa »], 1o novembre 1986, p. 1). Con altre parole aveva espresso il medesimo concetto rispondendo a Vittorio Messori (« Il credente ha dei dubbi sulla fede, io ho dei dubbi sulla mia incredulità »,
in « Jesus », VIII, 11, novembre 1986, p. 69).
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dei bambini,/ quando le disse D19 221 864 sarto a Fermo, >e
l’ex bersagliere Strinchini, che, della stessa leva e dello stesso
reggimento del Quintilio, ne aveva raccolto dettagliate con$denze< e, pur non essendo parente, il conterraneo Strinchini,
bersagliere da poco congedato che, della stessa leva e dello stesso reggimento del Quintilio, ne aveva raccolto dettagliate con$denze D19 31
e riassetti testuali che reindirizzano e conformano meglio il
discorso:
837 Profezia >che ebbe il torto di limitare< da intendere ben
oltre il limite dei dieci anni D19 4 838 il resto si >discioglie e
fonde in tutto quel che in Italia è politica< intride e discioglie in
tutto quel che in Italia è politica, nel \ non/ dire e nel fare \della / politica D19 5 845 un imbianchino già >pregiudicato per
furto< noto alla polizia francese D19 13 849 E vien subito fuori
la storia del medaglione: che >era là tra i reperti< misteriosamente è sparito D19 16 864 La terza categoria, di cameriere,
operaie e >osti, se non aveva sentimenti di ostilità nei signori
dell’imputata, nemmeno ne aveva di risentimento nei riguardi
del Polimanti, e anzi ne serbava un ricordo e< persone che più
o meno abitualmente vedevano il Polimanti e ne ascoltavano
vanterie e lamentazioni, non aveva sentimenti di ostilità nei riguardi dell’imputata, non nascondendo invece un certo risentimento nei riguardi del morto D19 31.
Si riproduce Ade86 con alcune emendazioni per lo più riguardanti aspetti paragrafematici:
a ) E ‘travolgere’ Ade86 25 E « travolgere » (qui p. 841, in
base a D19 8)2
b ) titola il servizio: « Per difendere l’onore » Ade86 28 titola il servizio « Per difendere l’onore » (qui p. 844, in base
a D19 11)
c ) Soprattutto sentite Ade86 40 Sopratutto sentite (qui p.
852, in base a D19 20, e alle altre cinque occorrenze del
termine, tutte con t scempia)3
d ) stessero le cose in un modo o in cert’altri modi Ade86 52
1. Anche un’altra occorrenza di canterano nasce da una correzione: « la
rivoltella, che trovavasi nel cassetto >di mio marito< del canterano » in
D19 16 (qui p. 848). La scelta del termine è perciò ben consolidata quando la si ribadisce nell’ultima frase del testo (qui p. 886).
2. Così anche in OB III, p. 272, dove, in inconsapevole conformità con
D19, si racchiude la forma tra le virgolette alte.
3. Curiosamente invertito il rapporto fra le forme con t scempia e doppia in OB III: « soprattutto » alle pp. 271, 283 (due occorrenze), 284 e
314, « sopratutto » solo alla p. 273.
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note ai testi
stessero le cose in un modo o in cent’altri modi (qui p.
861, in base a D19 28)1
e ) tre categorie: Gli amici Ade86 56 tre categorie. Gli amici (qui p. 864, in base a D19 31)2
f ) segno che Écot Ade86 93 segno che Ecot (qui p. 889, in
base a D19 51).3
Si mantengono invece uniti i capitoli sesto e settimo di
D19, impaginati senza spazio di stacco, come fossero un capitolo unico, in Ade86 32-43: in mancanza delle bozze si può
formulare verosimilmente l’ipotesi che Sciascia abbia disposto o avallato l’accorpamento dei due capitoli, stante la contiguità tematica.
Si conservano inoltre alcuni errori fattuali non rilevati
dalla Redazione Adelphi: è La Marmora (non Lamarmora,
come si legge in D19 9 e in Ade86 25; qui p. 841) la gra$a corretta del cognome del generale che creò il corpo dei bersaglieri; la scrittrice danese autrice del dramma La signora senza pace è Regina Winge (non Winnge, come si legge in D19 51
e in Ade86 96; qui p. 892);4 il racconto borgesiano I teologi è
raccolto in L’Aleph (non in Altre inquisizioni, come si legge in
D19 51 e in Ade86 97; qui p. 892).
1. Escluderei l’ipotesi di una correzione in bozze: « cent’altri » è espressione manzoniana, peraltro citata dal capitolo xxxii dei Promessi sposi in
La strega e il capitano: « Citavano cent’altri autori che hanno trattato dottrinalmente, o parlato incidentalmente di veleni, di malie, d’unti, di
polveri » (qui p. 815).
2. Ancora diverso in OB III, p. 295: « tre categorie: gli amici ».
3. Anche OB III, p. 320, presenta la forma « Ecot »: è assai probabile,
chiunque fosse il destinatario della dedica, che la gra$a corretta del suo
cognome sia Écot; assumo tuttavia che Sciascia, a cui era ignota l’identità dell’uomo, abbia volontariamente riprodotto il nome così come lo
trovava scritto per mano di D’Annunzio.
4. La pièce era stata pubblicata col titolo La signora senza pace. Dramma in
tre atti, in « Nuova Antologia », XLVIII, 1005, 1° novembre 1913, pp. 73103 (atti I e II), e 1006, 16 novembre 1913, pp. 269-76 (atto III). « Non
v’ha fra noi chi non conosca, ormai, Regina Winge » si legge nella nota
della Direzione che – in « Conferenze e posizioni », XI, 1916, p. 176 –
accompagna il testo su Amleto nell’anima contemporanea della « squisita
scrittrice danese, tutt’altro che, come ella dice, “modestissima dilettante di storia letteraria”, ma versatile ingegno ben noto anche al pubblico
plaudente dei nostri maggiori teatri di prosa per il riconfermato successo della sua Signora senza pace ». La conferenza era stata tenuta il 16 febbraio 1916 al Circolo di Filoso$a di Roma.
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NERO SU NERO
Il libro viene pubblicato nel 1979 presso Einaudi nella collana « Gli struzzi » (n. 204); l’edizione Adelphi, nella collana
« Biblioteca Adelphi » (n. 231), è del 1991; incluso in OB II,
pp. 601-846.
un diario in pubblico negli anni di piombo
A partire dall’ottobre 1969 Sciascia pubblica sul « Corriere della Sera » una serie di articoli intitolati Nero su nero o con
tale dicitura nell’occhiello;1 dal marzo del 1973, circa un anno dopo l’interruzione di questa regolare collaborazione e
l’avvio del rapporto con « La Stampa », appaiono sul quotidiano torinese pezzi introdotti dall’occhiello « Taccuino di
Sciascia » o semplicemente « Taccuino »:
Su La Stampa esce (molto irregolarmente, per mio disordine) qualche puntata di un mio « taccuino ». È fatto di appunti
su cose viste o sentite o pensate; di impressioni su letture, riletture, fatti di cronaca. Un diario, insomma: ma il più fortuito e
disordinato che si possa immaginare.2
1. Su questa prima fase, si veda l’articolo postumo curato da Giovanni
Spadolini, Leonardo Sciascia, I miei primi « Nero su nero », in « Nuova Antologia », CXXV, 2173, gennaio-marzo 1990, pp. 235-54.
2. Leonardo Sciascia, A proposito del mio « qualunquismo », in « Quaderni
Siciliani », I, 2, giugno 1973, p. 44.
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note ai testi
Per dieci anni Sciascia stende articoli accomunati da un
intento diaristico-memoriale di cui de$nisce i contorni e dichiara i modelli nella quarta di copertina del volume che li
raccoglie:
Questo diario – non regolare, non assiduo, occasionale e precario piuttosto – va dall’estate del 1969 ad oggi, 12 giugno. Certamente databile vi è l’ultima nota: le altre, quasi tutte scritte
su foglietti o libretti di appunti, sono state ordinate o secondo
memoria o secondo la data di pubblicazione sul « Corriere della sera », « La Stampa », « L’Ora ». Fin dal momento in cui ho
scritto la prima, ho pensato al libro, a questo libro: e vagheggiando contenesse anche, idealmente se non materialmente,
per me come per il lettore, i libri che in quest’arco di tempo
ho scritto. Peraltro, è constatabile che « in nuce » li contiene. Ho
avuto come modello, forse, il « Journal » di Jules Renard; ma rileggendo, mi accorgo di essere andato vicino al « Diario in pubblico » di Vittorini. Pochi – alla Sainte-Beuve – i veleni; al minimo le malignità; discrete le confessioni; molti gli appunti di lettura e rilettura; nessun ritratto, nessuna registrazione di incontri con persone degne di avere un ritratto (alla Saint-Simon o
alla Retz). Un libro, tutto sommato, molto italiano; forse molto siciliano.
Il titolo vuole essere parodistica risposta all’accusa di pessimismo che di solito mi si rivolge: la nera scrittura sulla nera pagina
della realtà.1
Qualcosa in più su genesi e modelli2 si ricava da un’intervista che precede di alcune settimane la pubblicazione del libro:
Non ho mai pensato, cioè deciso, di tenere un diario. Da sempre, in foglietti che poi disperdo, vado annotando riflessioni,
sensazioni, appunti di lettura. Ad un certo punto, ho cominciato
a pubblicare sui giornali queste noticine; e ciò ne ha impedito la
dispersione e quindi ho avuto modo qualche mese fa, di accor1. Leonardo Sciascia, Nero su nero, Einaudi, Torino, 1979 (= Ein79). Le
ragioni del titolo sono esposte con più chiarezza altrove: « Poiché lo
scrivere è un metter nero su bianco – a far contenti coloro che mi proclamano pessimista – ho voluto dire che del pessimismo ho toccato il
fondo: metto nero su nero. C’era un’intenzione ironica: ma è venuto
fuori un bel titolo » (« Ci sono dentro dieci anni della mia vita », intervista a
cura di Giuseppe Quatriglio, in « Giornale di Sicilia », 12 settembre
1979, p. 3).
2. Sui quali si veda Ricciarda Ricorda, Sciascia e la forma diaristica, tra modelli francesi e italiani, in Simonetta, Non faccio niente senza gioia, pp. 53-64,
che giustamente sottolinea l’importanza del Diario romano di Brancati e
delle riflessioni sulla forma diaristica che Sciascia af$dò alla Prefazione
all’edizione Bompiani del 1984.
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nero su nero
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germi che tutte insieme facevano libro. Sono andato a ripescare
allora quei foglietti non pubblicati, li ho aggiunti: ed ecco il libro. Un libro che per me signi$ca molto: dieci anni di vita, uno
specchio di umori, di malumori, di scelte, di malinconia, di polemiche. Un libro che può anche contenere, e idealmente contiene, tutti i libri che ho scritto dal ’69 in poi ... Amo moltissimo
il « Journal » di Renard. Ma anche le « Cose viste » di Hugo e tutta
la diaristica francese. Da noi, non c’è nulla di simile. Il diario
presuppone l’esistenza di una società. In un certo senso, l’esistenza della società italiana io l’ho soltanto immaginata.1
Il termine « noticine » allude alla prevalente brevità dei
pezzi (che nel caso di quelli usciti sull’« Ora » si limitano addirittura, in genere, a poche righe); numerosi fra quelli apparsi sul « Corriere » e sulla « Stampa » sono inoltre costituiti
da singole note slegate fra di loro anche dal punto di vista
del contenuto.
Una quantità cospicua di materiali, comunque, che necessitavano di un ordinamento in vista della raccolta in volume. Sciascia fa dunque copiare da un dattilografo un’ampia porzione delle note pubblicate, ciascuna su un foglio
separato, limitandosi a indicare di propria mano la data di
stesura (ovvero quella in cui la nota era uscita sul giornale), in modo da poter disporre di un dattiloscritto provvisto di dati cronologici e dalla struttura agevolmente modi$cabile.
1. Dello scrivere di sé, intervista a cura di Rita Cirio, in « L’Espresso », XXV,
26, 1° luglio 1979, p. 14. Al Journal Sciascia fa riferimento nel $nale di
un articolo dedicato al romanzo più celebre di Renard: « Il Diario, di
circa millecinquecento pagine, si può senz’altro dire il diario di Pel di
carota: aspro, scontroso, spietatamente ironico; e soltanto si illumina
quando tocca l’unica persona che Renard ha amato e da cui è stato amato, la moglie Marinette. Le pagine sulla madre sono più terribili di
quelle di Pel di carota: e arrivano a un vertice in cui lo scrittore si consegna alla psicanalisi e apre la possibilità di rivedere, oggettivamente, clinicamente, il rapporto tra il ragazzo dai capelli rossi e sua madre e i suoi
familiari. Ma è anche il diario di un uomo intelligente che osserva la
società, il costume, l’ambiente artistico-letterario in cui vive » (Lo spietato diario di « Pel di carota », in « Giornale di Sicilia », 15 ottobre 1972, p.
14). L’abitudine di prendere appunti continuerà anche negli anni a
venire, ma con esiti diversi: « je ne tiens pas de journal secret » confesserà nel 1985. « Il existe seulement des feuillets où, de temps à autre, je
note quelques secrets concernant les autres, ou quelques pensées à
moi, cruelles ou angoissantes. Quand, après un long temps, j’en retrouve un, je le détruis. Et avec une certaine satisfaction » (Leonardo Sciascia,
un esprit XVIIIe dans un corps XXe, intervista a cura di Jean-Noël Schifano,
in « Le Monde », 31 maggio 1985, p. 24).
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note ai testi
A questo nucleo aggiunge poi i « foglietti non pubblicati »
nonché altri materiali sfuggiti alla prima fase di copiatura, e
in due riprese trasmette il tutto all’Einaudi, nel cui Archivio
è conservato l’incartamento completo.1 Il dattiloscritto consta di 337 pagine (= D20), numero che corrisponde a quello
indicato nello schema che – compilato dallo stesso redattore
che ha paginato il dattiloscritto e ad esso lo ha accluso – consente di postulare due fasi di consegna dei testi.
Prima di ricostruire tali fasi, poiché in Ein79 le note sono
semplicemente separate da uno spazio bianco con asterisco, e non sono fornite di alcuna indicazione che permetta di identi$carle sinteticamente, si propone anzitutto una tavola delle sedi originarie di pubblicazione: ai numeri
in corsivo della prima colonna si farà d’ora innanzi riferimento.2
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
897 La campagna è quest’anno
898 È ormai dif$cile
898 Forse ingiustamente
898 Leggo su un quotidiano
899 Nell’atrio di un albergo
899 Grazie a coloro
899 Stando le cose come stanno
900 F. mi racconta
900 La dominazione romana
901 « La pena mia non è
901 L’architetto A.
12 901 A Venezia, nell’autunno
Nero su nero, in « Corriere della Sera », 10 ottobre
1969, p. 3
Donna Franca, in « Corriere
della Sera », 7 settembre
1969, p. 3
1. AE. Uf$cio tecnico, Originali e bozze, cartella 1605, fascicolo 4832: « Nero su nero ». Una copia parziale di D20 è conservata nell’archivio di casa
Sciascia. Per un esame dettagliato dei materiali, si veda sotto, pp. 1403404.
2. Delle note 97-101, 166 e 211 non sono in grado di indicare la sede
originaria di pubblicazione. La nota 166 risale all’aprile 1978, perché così è datata nel manoscritto; la 211 all’autunno 1978, perché di
poco successiva al libro di Giorgio Bocca, Il terrorismo italiano.
1970/1978, Rizzoli, Milano, 1978, ‘$nito di stampare’ nel mese di
settembre. Le note 97-99 potrebbero essere inedite, ma l’assenza di
testimonianze anteriori alla stampa (si veda sotto, p. 1404) rende
malsicura l’ipotesi. Nella tabella l’incipit della nota è preceduto dal
numero della pagina della presente edizione in cui lo si legge, il titolo dell’articolo dall’occhiello che lo accompagna (quando questo
non lo sostituisce del tutto) oppure dal nome della rubrica giornalistica cui appartiene.
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nero su nero
13
14
15
16
17
905 Come si ha l’impressione
907 « La situazione era in quel paese
907 Siamo coetanei
907 Sarò un moralista
908 « La meta$sica è alle porte »
1393
Nero su nero, in « Corriere
della Sera », 12 novembre
1969, p. 3
18 909 « A Palermo da pochi anni, »
Caravaggio furtivo, in « Il
Mondo », XXI, 896, 20 novembre 1969, p. 29
19 910 Bellissime rose in casa
Inedita
20 910 Domando al senatore C.
Inedita
21 911 G.A., prete da poco spretato
Inedita
22 911 E a proposito di preti
Inedita
23 911 È stato detto, ed è vero
Inedita
24 911 Nella conversazione cade il nome Inedita
25 911 La piazza del Gran Cancelliere
Qui non vogliamo scuole, in
« Il Mondo », XXII, 905, 22
gennaio 1970, p. 22
26
27
28
29
913 Un gesuita, noto anche
914 Capito nel paese
916 Ci sono dei regimi
916 Un commerciante mi con$da
Nero su nero, in « Corriere
della Sera », 24 marzo 1970,
p. 3
30
31
32
33
916 Stranamente – in un tempo
917 Dice un vecchio avvocato
917 Un tale che conosco da anni
918 Un nostro scrittore
Nero su nero, in « Corriere
della Sera », 28 aprile 1970,
p. 3
34
35
36
37
38
39
920 Piazza di Spagna
Nero su nero, in « Corriere
921 « Tutti i nodi vengono al pettine » della Sera », 30 settembre
1970, p. 3
921 Pensando ai fatti di Reggio
921 « Che è la vita! »
922 Precetto per coloro che indagano
922 Il commendator G.
40 923 « Questi Beati Paoli
I Beati Paoli, in « Corriere
della Sera », 28 novembre
1970, p. 31
1. Poi, con refusi, in Leonardo Sciascia, I « Beati Paoli » e la ma$a, in
« Mondello Lido », XXXVI, 1, 26 giugno 1971, pp. 16-18.
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41
42
43
44
45
note ai testi
926 Incontro, che non avevo mai
Nero su nero, in « Corriere
della
Sera », 28 febbraio
928 Il contadino che a Roccapalumba
1971,
p.
3
928 Appena agganciata la cintura
928 « Era un fascista » dice di Dubcek
928 Qualche mese addietro
46 929 Steri vale hôtel, palazzo
47 931 Un libro sulla ma$a
48
49
50
51
933 Non per fare dello spirito
934 E a proposito di spirito
935 « Le donne non hanno più
936 Il normanno Guglielmo II
52 936 Pagghiaru nel Palermitano
53
54
55
56
940 Stia, in provincia di Arezzo
942 Naturalmente, il fatto
942 Andando per la Toscana
942 E tornando al moralismo
[Nero su nero] Il dramma
della ma$a, in « Corriere della Sera », 7 maggio 1971,
p. 3
Nero su nero, in « Corriere
della Sera », 3 giugno 1971,
p. 3
Scassapagliara, in « Corriere della Sera », 29 luglio
1971, p. 3
[Nero su nero] Luoghi toscani, in « Corriere della
Sera », 31 agosto 1971, p.
3
57 943 Mi sono trovato una volta
58 946 Ovviamente, che i cattolici
59 947 Ultima notazione
63
64
65
66
[Nero su nero] Esercizi spirituali, in « Corriere della
Sera », 24 settembre 1971,
p. 3
947 Della sua traduzione
[Nero su nero] Dalla Mancia a Loudun, in « Corriere
950 E a proposito dei Diavoli
della Sera », 14 ottobre
1971, p. 3
951 Sembra che si tratti della giornata Le massime eterne, in « Il
Mondo », XXIII, 1002, 28
novembre 1971, p. 31
952 Tra le cose che monsignor
[Nero su nero] I sogni, gli
scherzi, in « Corriere della
953 Un critico scrive
Sera », 4 novembre 1971,
954 Negli anni in cui nasceva
p. 3
955 Un operaio pugliese
67
68
69
70
956 Rileggo il Diario romano
957 Un’idea morta produce
957 « Mi occupo il meno possibile
958 Le convinzioni degli italiani
[Nero su nero] Le pagine
vissute, in « Corriere della Sera », 19 novembre
1971, p. 3
71
72
73
74
75
959 Leggo, in fotocopia
961 Almeno una volta l’anno
961 Mi pare sia entrato nel mondo
962 Il più bello esemplare di fascista
962 Abbiamo un neologismo
[Nero su nero] Le parole,
le cose, in « Corriere della
Sera », 23 gennaio 1972,
p. 3
60
61
62
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nero su nero
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76 962 L’uccisione di Sallustro
Rivoluzione senza boia, in « La
Stampa », 20 aprile 1972,
p. 3
77 965 Nella bottega di un antiquario
Il ritratto della regina, in
« La Stampa », 22 ottobre
1972, p. 3
78 968 Sono dell’opinione che quel tanto Come distruggere un monumento (I discussi restauri nello Steri di Palermo), in « La
Stampa », 1° ottobre 1972,
p. 3
79 973 A Parigi, in uno di quei negozietti Pirandelliana, in « La Stampa », 17 novembre 1972, p. 3
80 976 Mi raccontava un vecchio
I fatti e la storia, in « La Stampa », 21 dicembre 1972, p. 3
81
82
83
84
85
86
87
88
89
979 Quando, per l’elezione
981 « Voi non mi amate ed io
981 Parlo con un uomo politico
981 C’è qualcosa che non va
982 Casanova, Storia della mia vita
982 E a proposito di Clemente
982 Quelli che la pensano
982 Leggo la Vie de Raymond Roussel
983 Uno dei libri che
[Taccuino di Sciascia] L’innocenza, in « La Stampa »,
14 marzo 1973, p. 3
90
91
92
93
94
95
984 Al Théâtre de la Commune
986 Vedo una lettera, forse inedita
986 La cultura meridionale
986 A Milano, in via Santo Spirito
986 Entro nello scompartimento
988 La grandezza di Picasso
[Taccuino di Sciascia] Picasso, Pirandello e varie altre
cose, in « La Stampa », 17 aprile 1973, p. 3
96 988 Nella raccolta del Pitrè
Malpelo, in « La Stampa »,
17 settembre 1972, p. 3
97 992 C’è qualcosa di insano
–
98 992 Rivarol diceva
–
99 992 Curioso come il fascismo
–
100 992 Tra le tante fotogra$e
–
101 994 Dal 26 aprile al 2 maggio
–
102 998 Una delle cose che più mi fece
La paura di Virginia Woolf,
in « Corriere del Ticino »,
13 aprile 1974, p. 39
103 1000 Nel 1768, presso Antonio Zatta La salute dei letterati, in « Corriere del Ticino », 12 ottobre 1974, p. 37
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note ai testi
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107
108
109
1002 Sono come cani e gatti
[Taccuino] Pagar le tasse,
in « La Stampa », 13 otto1003 Si è così profondi, ormai
1003 Sono uno degli ottomila italiani bre 1974, p. 3
1004 Non ricordo se vi era stato
1006 Tra gli elementi
1006 Un racconto di Tolstoi
110
111
112
113
1007 La campagna – questa campagna [Taccuino] Della campagna
(e di altre cose), in « La Stam1008 Uno dei pochissimi contadini
pa
», 8 settembre 1974, p. 3
1008 Una nuova formidabile ondata
1009 Rileggo, dopo tanti anni
114 1012 Qualche mese fa domandarono Per Flaiano, in « Giornale
di Sicilia », 22 novembre
1972, p. 3
115
116
117
118
119
1013 Sarà senz’altro raro
1013 A Roma, in casa di un amico
1017 La donna sta emancipandosi
1017 Quando c’è in giro tanta pietà
1017 La sicurezza e la chiarezza
[Taccuino di Sciascia] Bombe: alla verità mai arriveremo,
in « La Stampa », 3 giugno
1973, p. 3
120
121
122
123
124
125
1017 I giornali, e specialmente
1018 Come l’avvocato Z.
1019 Voltaire diceva
1020 Battute (apocrife)
1020 Per dire della confusione
1020 Si è del tutto dimenticato
[Taccuino di Sciascia] Lo
sbarco del luglio, in « La Stampa », 27 luglio 1973, p. 31
126 1021 Vicino Siena, una casetta
127 1022 Ma la Toscana
128 1024 Le mie estati hanno sempre
[Taccuino di Sciascia] Diavoli di ieri, in « La Stampa »,
9 agosto 1973, p. 3
129 1025 Non ce ne sarebbe bisogno
130 1028 Il commercio dei grani
131 1028 A proposito del grano
[Taccuino di Sciascia] Sesso e grano, in « La Stampa »,
16 ottobre 1973, p. 3
132
133
134
135
1029 La natura sembra essersi arresa [Taccuino di Sciascia] Terra d’Amleto, in « La Stam1029 In molte vetrine di negozi
pa », 9 novembre 1973, p. 3
1030 La presenza di un re
1033 L’Amleto, in de$nitiva
136 1034 Quando Cesare Terranova
[Taccuino di Sciascia] Mostri a Marsala, in « La Stampa », 9 dicembre 1973, p. 3
137 1039 Voltaire, dizionario $loso$co
Parlando di miracoli, in « Panorama », XII, 406, 31 gennaio 1974, p. 29
1. Le note vi compaiono con un diverso ordine: 121-25, 120.
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nero su nero
138 1041 Diciamo la verità
139
140
141
142
143
1042 « Gruppo per l’ordine nero
1044 Per me, una delle cose
1045 Vittorini diceva
1046 Dei cretini intelligentissimi
1046 Leggo la Vita di Antonio
1397
Il ‘destierro’, in « Giornale di
Sicilia », 15 febbraio 1974,
p. 1
[Taccuino] Fascio e corone,
in « La Stampa », 28 marzo
1974, p. 3
144 1046 In un paese della Sicilia
[Taccuino] Un divorzio all’italiana, in « La Stampa »,
145 1047 In politica sembrava ovvio
146 1047 Su « La Stampa » dell’11 aprile 21 aprile 1974, p. 3 (le prime tre note)
147 1047 A cena con un $sico
Inedita
148 1047 Sono così soddisfatto
Inedita
149 1048 Leggo l’articolo di uno scrittore [Taccuino] Una dc diversa|,
150 1048 Due brevissime cose poco note in « La Stampa », 21 luglio
1974, p. 3
151 1050 Non so in altre città
Un divorzio all’italiana, cit.,
(l’ultima nota)
152 1052 Petrarca morì nella notte
Francesco Petrarca e Laura de
Sade, in « La Stampa », 4 agosto 1974, p. 3
153 1056 Trovo in una libreria antiquaria [Il taccuino di Sciascia] Le
onoranze, in « La Stampa »,
11 marzo 1976, p. 3 (la prima nota)
154 1056 Ho cercato ieri
Sciascia: Ero il solo con cui potesse parlare, in « L’Ora », 3-4
novembre 1975, p. 11
155 1057 Sul « Figaro » del 4 novembre Dio dietro Sade, in « Rinascita », XXXII, 49, 12 dicembre 1975, p. 31
156 1061 Il 18 novembre
Le onoranze, cit. (le note successive alla prima)
157 1063 Pubblicità come istigazione
158 1064 Leggendo Chateaubriand
159 1064 Svegliandomi da un sonno
160 1064 Non c’è dubbio che di una
161 1066 Nel 1748, a trentacinque anni
162 1069 Credo che nessuna polizia
[Taccuino], in « La Stampa », 21 novembre 1976, p. 5
L’anello magico di Mangogul,
in « La Stampa », 6 marzo
1977, p. 3
[Taccuino], in « La Stampa », 19 novembre 1976, p. 5
1. Anche in « Paese Sera », 4 novembre 1975, p. 4.
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1398
note ai testi
163 1071 Ho passato la mattinata
[Taccuino] Stendhal oggi, in
« La Stampa », 3 aprile 1977,
p. 5
164 1073 A due settimane dal rapimento L’opinione di Leonardo Sciascia, in « L’Ora », 4 maggio
1978, p. 1
165 1074 Credo che tra le tante cose
L’opinione di Sciascia, in
« L’Ora », 5 maggio 1978,
p. 3
166 1074 C’è un vecchio $lm comico
–
167 1075 Il 18 aprile del 1948
Andò come doveva andare, in
« L’Ora », 17 aprile 1978, p. 3
168 1076 « Mi creda, ho conosciuto
La lezione di una storia di
ma$a in questa dif$cile primavera, in « Corriere della Sera », 18 giugno 1978, pp. 1-21
169 1079 Il migliore osservatorio
Conosco un’isola dove il sì suona, in « L’Espresso », XXIV,
25 giugno 1978, p. 292
170 1080 Voltaire morì a Parigi
O Voltaire o affogare, in « L’Ora », 22 maggio 1978, pp.
12-13
171 1081 Ai primi fasti della televisione
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 15 giugno 1978,
p. 1
172 1082 Un romanzo di Chesterton
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 20 maggio 1978,
p. 1
173 1083 Alla frontiera di Domodossola
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 23 maggio 1978,
p. 1
174 1083 Il giudizio dei miei amici
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 25 maggio 1978,
p. 1
175 1084 In questi giorni, da ogni parte
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 27 maggio 1978,
p. 1
176 1085 Abbiamo confuso
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 30 maggio 1978,
p. 1
177 1085 Uno scrittore cattolico
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 1° giugno 1978,
p. 1
1. Anche in PVN, pp. 36-38.
2. Anche in PVN, pp. 56-57.
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nero su nero
1399
178 1086 Il trecentonovantunesimo
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 3 giugno 1978,
p. 1
179 1087 Nella giornata $nalmente
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 6 giugno 1978,
p. 1
180 1087 In un angolo del boulevard
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 8 giugno 1978,
p. 1
181 1088 Al museo Marmottan
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 13 giugno 1978,
p. 1
182 1089 Un comunista che ha voce
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 20 giugno 1978,
p. 1
183 1089 Dalla $ne di maggio
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 22 giugno 1978,
p. 1
184 1090 Lo Duca è un siciliano di Cefalù [Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 24 giugno 1978,
p. 1
185 1091 Su « L’Espresso » del 25 giugno
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 27 giugno 1978,
p. 1
186 1092 Un piccolo impiegato
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 29 giugno 1978,
p. 1
187 1093 Il 3 dicembre del 1887
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 30 giugno 1978,
p. 1
188 1093 I novant’anni di De Chirico
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 4 luglio 1978,
p. 1
189 1094 La lettura dei giornali
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 13 luglio 1978,
p. 1
190 1095 Nel Vangelo di Giovanni
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 18 luglio 1978,
p. 1
191 1095 In via Siracusa un giovane
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 22 luglio 1978,
p. 1
192 1096 Nel 1896, in un grosso volume
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 25 luglio 1978,
p. 1
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1400
note ai testi
193 1097 Qui in campagna
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 29 luglio 1978,
p. 1
194 1097 Rileggo dopo tanti anni
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 5 agosto 1978,
p. 1
195 1098 Nella biogra$a di Moro
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 5 settembre
1978, p. 1
196 1098 Non si farà sul caso Moro
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 8 settembre
1978, p. 1
197 1099 È incredibile la puerilità
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 12 settembre
1978, p. 1
198 1100 Una delle più grandi opere
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 14 settembre
1978, p. 1
199 1100 La vita di Tolstoi
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 16 settembre
1978, p. 1
200 1101 Suore che appartengono
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 19 settembre
1978, p. 1
201 1101 Su « la Repubblica » di domenica Il vero mistero: come e perché
è morto Moro, in « Corriere
della Sera », 19 settembre
1978, p. 11
202 1103 Il caso Moro torna a divampare [Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 21 settembre
1978, p. 1
203 1104 Paolo Cesarini ha scritto
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 23 settembre
1978, p. 1
204 1104 Nel giro di una settimana
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 26 settembre
1978, p. 1
205 1105 Tutti sembrano intenti
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 28 settembre
1978, p. 1
206 1105 Una delle letture più istruttive
[Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 26 ottobre 1978,
p. 1
1. Anche in PVN, pp. 72-73.
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nero su nero
207
208
209
210
1106 Finito il 24 agosto il pamphlet
1109 Si parla di politica
1110 Comunque la donna possa
1110 Letto Il fattore umano
1401
[Nero su nero di Leonardo
Sciascia] Come gli oggetti che
sono eterni, in « Corriere della Sera », 6 settembre 1978,
p. 3
211 1110 Nel libro di Giorgio Bocca
–
212 1115 Dovrei quest’anno, e anzi debbo Su il sipario. Che rovina!, in
« L’Espresso », XXIV, 47,
26 novembre 1978, p. 202
213 1117 Assemblea Regionale Siciliana [Incidenze & coincidenze],
in « L’Ora », 28 ottobre 1978,
p. 1
214 1117 Una delle prime cose
Ai miei critici, in « La Stampa », 10 novembre 1978,
p. 15
215 1119 Capodanno 1979
Inedita
216 1119 Parigi, rue Mazarine
217 1120 « Sta scrivendo un libro| »
218 1121 Intorno al 1963
Foglietti 1977/’78, in « La
Nuova Rivista Europea »,
II, 3, gennaio-febbraio 1978,
pp. 86-87
219 1121 « “Che ne dite del libro
Inedita
220 1121 Da quando, scrivendo Todo modo Foglietti 1977/’78, cit., p. 87
221 1122 Ieri sera, mentre intorno a me
Inedita
222 1122 Di solito non vedo i manifesti
Inedita
223 1123 Dopo le elezioni, torna
Inedita
224 1123 Un orologio che va male
Inedita
225 1123 Amsterdam. In una
Inedita
226 1124 Leggo in bozze la Vita
Inedita
La prima consegna concerne 187 note su 226 (1-18, 25-95,
115-46 e 149 -214 ), che la Redazione Einaudi indica come
provenienti dalla « cartella originale ». È a questo insieme
che fa riferimento Roberto Cerati nel consegnare con entusiasmo a Giulio Einaudi (« Io lo trovo un libro molto importante; forse il suo più bello. Di quelli che, anche aperti a caso,
si $nisce per leggere $no in fondo, perché ti coinvolgono e
ti chiamano, anche tu, a cercare, a porti delle domande »)1
1. 21 maggio 1979 (AE). Devo la segnalazione della lettera inedita a
Mauro Bersani, che ringrazio sinceramente: il testo verrà pubblicato
nel novembre 2014 in occasione del primo anniversario della scomparsa di Cerati, in una plaquette che raccoglierà alcune sue lettere.
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note ai testi
il manoscritto ricevuto il 17 maggio 1979 da Sciascia. È poi
Einaudi a scrivere all’autore il 13 giugno:
ho accolto con grandissimo piacere il manoscritto del tuo
Diario 1969-1979 e mi sono preoccupato di stamparlo nel più
breve tempo possibile. E poiché stavo preparando un fascicolo
di novità dell’estate, che uscirà prossimamente e sarà inserito
anche nell’Espresso, mi sono sentito in obbligo di non passare
sotto silenzio la pubblicazione del tuo libro, pur lasciando ancora imprecisato ciò che non è stato ancora deciso, in primo luogo la collana. Riguardo la quale, io penso che non potrebbe essercene attualmente una più adatta degli « Struzzi », che sono in
continua crescita e sono nel fuoco dell’attenzione del pubblico
– assai appartato, e assai più dei « Saggi », che sono un luogo
forse nella fattispecie troppo appartato, e assai più delle collane
narrative che darebbero un’indicazione fuorviante.1
Sciascia deve aver consegnato le altre 20 note (19-24, 14748 e 215-26), che la Redazione Einaudi classi$ca come « art.
aggiunti »,2 non molto tempo dopo, dal momento che l’ampia anticipazione sull’« Espresso » annunciata da Einaudi
comprende anche brani di questa seconda tranche.3 Il 28
giugno dà mandato a Erich Linder di preparare un contratto
« alle condizioni che Le parranno più giuste »,4 e un mese
dopo riceve dallo stesso Linder rassicurazioni sull’acquaforte
dell’incisore praghese Jindrich Pilecek inviata all’Einaudi:
da Einaudi mi dicono che stanno ancora usando la Sua incisione per la stampa della copertina di nero su nero: dovrebbero essere in grado di restituircela, però, entro pochi giorni. Noi
poi, secondo le Sue istruzioni, tratterremo qui la incisione sino
alla Sua prossima venuta a Milano.5
1. AE/C, copia.
2. Per essi, come si legge sul fascicolo approntato dalla Redazione, si
dispone una « composizione separata (con le correzioni) ».
3. Leonardo Sciascia, Diario segreto, in « L’Espresso », XXV, 26, 1° luglio
1979, pp. 12-16. Vi vengono anticipate le note 2, 5, 21, 22, 37, 45, 50, 57,
58, 222-26, ma con queste erano state selezionate anche le note 1, 7,
221: le pagine del dattiloscritto (su cui si veda sotto, pp. 1403-404) contenenti le note menzionate presentano infatti una numerazione progressiva da 1 a 20, apposta a matita, destinata evidentemente a raggruppare i brani da inviare alla Redazione del periodico.
4. FM/L-sc.
5. 25 luglio 1979 (FM/L-sc, copia). Per le correlazioni stendhaliane
dell’« enigmatica acquaforte » del 1972, si veda Lombardo, L’immagine
come soglia, pp. 293-94. La copertina è riprodotta in « Todomodo », I
(2011), $g. 24.
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nero su nero
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Tre giorni dopo la data di uscita del libro è de$nita:
Cerati mi dice che è poi riuscito a mettersi in rapporto con
Lei. Il libro, come sa, dovrebbe uscire alla $ne d’agosto o, al
massimo, entro la prima settimana di settembre.
Gli uf$ci di Torino mi hanno confermato che l’incisione verrà restituita a noi non appena avranno $nito di stampare la copertina (e cioè entro pochi giorni).1
Nero su nero esce in effetti a settembre, preceduto da una
serie di anticipazioni così cospicua2 da provocare sconcerto all’Einaudi e in Linder, il quale fa suo il punto di vista
della casa editrice notando che « il numero eccessivo di
anticipazioni distoglie l’attenzione dal libro anziché favorirlo ».3
varianti d’autore scritte a macchina
Come accennato, il materiale trasmesso all’Einaudi è
composito. La maggior parte delle note – 169 su 226, ossia:
1-18, 25-95, 115-46, 149-53, 156-63 e 172-206 – è stata trascritta dal dattilografo incaricato (= D20dt). Di altre 11 (164-70 e
211-14), anch’esse già edite, Sciascia allega il dattiloscritto
originale (= D20or) e in un caso (171) il manoscritto (= D20ms);
di 8 invia il ritaglio del periodico in cui erano apparse (« Corriere della Sera » per 207-10 e « La Nuova Rivista Europea »
per 216-18 e 220). Le 15 note che ritengo siano inedite (1924, 147-48, 215 e 221-26) sono testimoniate da fogli dattiloscritti (= D20in) dallo stesso Sciascia. In casa Sciascia, acclusi
alla copia parziale di D20, si conservano 10 fogli di D20dt contenenti 9 note scartate (= D20sc).
1. 28 luglio 1979 (FM/L-sc, copia).
2. Pare si stia aprendo un’era di mostri e di fantasmi, in « Giornale di Sicilia »,
12 settembre 1979, p. 3 (note 136 e 155), e Nero su nero, in « Il Mattino »,
26 settembre 1979, p. 3 (note 12, 21, 83, 117-19, 141-42); Linder fa riferimento anche ad anticipazioni sull’« Ora » e « Il Gazzettino », non reperite (forse perché poi non autorizzate). Non fa invece cenno alle note 2,
21, 37, 50, 58, 222-24, 226, tradotte da Schifano per la presentazione del
volume al pubblico francese: Dix ans de la vie de Sciascia, in « La Quinzaine littéraire », 308, 1-15 settembre 1979, pp. 4-5. Dopo l’uscita del libro la nota 136 appare sull’« Europeo », XXXV, 41, 11 ottobre 1979,
p. 48, col titolo Cercava la verità, la nota 21 sull’« Ora », 5 dicembre 1979,
p. 3, col titolo A proposito di preti e di donne.
3. 5 settembre 1979 (FM/L-sc, copia).
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note ai testi
In$ne, di 22 note (96-114, 154-55, 219 ) non ho reperito
alcuna testimonianza anteriore alla stampa: non incluse in
D20, dove la paginazione non presenta soluzioni di continuità, devono essere state aggiunte dopo la composizione delle
prime bozze.
In D20dt le note sono tutte corredate dell’indicazione del
mese e dell’anno di pubblicazione apposta dall’autore, e ne
sono fornite anche le anticipazioni sull’« Espresso » e « La
Quinzaine littéraire »: se ne deduce la volontà, poi superata,
di mantenere il dato anche nel volume.
Sull’insieme degli articoli già pubblicati Sciascia mette in
atto un’articolata attività correttoria e di selezione, che conviene descrivere distinguendo due momenti che nella realtà
saranno stati concomitanti: gli interventi sul testo (compresa la soppressione di brani delle note) e l’esclusione da Ein79
di intere note.
1. Interventi sul testo
La soppressione di brani di una certa estensione coinvolge
articoli pubblicati nella prima metà degli anni Settanta:1 in
D20dt 118, nella nota 71 apparsa in CS72, dopo « alla coscienza
della morte. » (qui p. 961) viene cassato il passo $nale:
Colui che nel secolo XV dipinse a Palermo lo stupendo Trionfo della morte, lasciò le donne immuni di fronte alla morte: le
frecce mortali tra$ggono soltanto gli uomini, le donne piangono gli uomini morti o in disparte restano come incantate, a
specchiarsi nella loro bellezza. Due secoli dopo, ecco che si sono conquistata la morte.
Della nota 109, che fa parte di un gruppo (96-114) di cui
non ho reperito testimonianze anteriori alla stampa, risulta
assente da Ein79 121 il brano $nale, che in St74 seguiva a « e
nulla ne sapessimo noi » (qui p. 1007):
tanto vero che è fatto nella novella La Lupa che Giovanni Verga aveva poco prima pubblicato). E sarebbe da chiarire che senso diamo alla parola fatto. Ma sarebbe un troppo lungo discorso.
1. Per non appesantire l’esame delle varianti, da qui in poi menziono i
periodici in forma abbreviata (CS = « Corriere della Sera », CT = « Corriere del Ticino », GS = « Giornale di Sicilia », NRE = « La Nuova Rivista
Europea », O = « L’Ora », St = « La Stampa »), con in esponente le due
ultime cifre dell’anno di pubblicazione della nota. I dati bibliogra$ci
completi sono reperibili sopra nella tavola generale, pp. 1398-407.
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nero su nero
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Diciamo soltanto: il fatto è l’essenza del romanzo, del racconto,
qual era per Tolstoi e per Verga e non è più – né più può essere
– oggi.
Per il resto, gli interventi sono abbastanza circoscritti, ma
talora di notevole interesse, come la soppressione in D20in 29
della parte politica cui appartiene l’interlocutore della nota
20 : « Domando al senatore >comunista< C. » (cfr. qui p.
910).1
Registro inoltre aggiustamenti imposti dal passaggio al
volume, come la correzione, nella nota 129, di « questo giornale » – la « Stampa », dove l’articolo apparve nel 1973 – in
« tutti i giornali » (qui p. 1025), effettuata direttamente su
D20dt 189. Lo sviluppo del dibattito politico motiva poi, nella
nota 196, l’aggiunta « Non si farà sul caso Moro, \almeno per
ora,/ l’inchiesta parlamentare » in D20dt 304 (cfr. qui p.
1098).
Altre correzioni interessano elementi che avevano perso
d’attualità: nella nota 186 (qui pp. 1092-93) viene biffata in
D20dt 293 la valutazione $nale ricavata da O78 (« Ed è forse,
nel campo della narrativa, il libro più interessante che sia
stato pubblicato quest’anno in Italia »), relativa al romanzo
di Sebastiano Addamo Un uomo $dato.
Viceversa, l’omissione del luogo nella chiusa della nota 94
in St73 e D20dt 165 (« Fra qualche minuto saremmo arrivati
a... »), dovuta alla volontà di generalizzare l’intreccio corruttivo-criminale, può essere superata con l’indicazione di « Palermo » in Ein79 101 (qui p. 988), essendo acquisita per Sciascia la de$nitiva ‘sicilianizzazione’ dell’Italia.
L’accumulo di esperienze di lettura lo induce poi a relativizzare l’affermazione per cui quello raccontato nella nota 4
non è « il più terri$cante errore », come in CS69, ma solo « uno dei più terri$canti errori » riscontrati sulla « carta stampata », come, dopo la correzione in D20dt 4, si legge in Ein79 4
(qui p. 898).
C’è inoltre un radicale cambio di prospettiva nell’avvio
della nota 15, dove il « Non siamo coetanei » di CS69, con la
cancellatura in D20dt 22, viene rovesciato nel « Siamo coetanei » di Ein79 14 (qui p. 907).
Una nota (assente in D20) particolarmente rielaborata è la
1. Rimastami ignota l’eventuale sede originaria di pubblicazione della
nota 166 e di conseguenza non potendo confrontare il testo della nota
se non con Ein79 194 (qui p. 1074), non sono in grado di stabilire a quale fase risalga la soppressione in D20or 267 « C’è un vecchio $lm comico
in cui Macario >(o Totò, non ricordo bene)<, maestro elementare ».
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note ai testi
113 sul Bell’Antonio di Vitaliano Brancati e il rapporto con
Armance di Stendhal. Si tratta di interventi che mirano a evitare una ripetizione (poco sotto si legge « distogliersi da
quel giuoco ») o a sprovincializzare il pezzo:
1009 di con$denza, di giuoco: come se St74 di con$denza,
di complicità: come se Ein79 124 1010 il salotto di una non-società (e il salotto catanese è poi il caffè, la piazza, la villa Bellini).
Comunque St74
il salotto di una non-società. Comunque
Ein79 125
ma anche a precisare la distanza temporale fra il periodo di
ambientazione del romanzo di Brancati (1935) e la $ne del
fascismo: gli anni sono « circa dieci » in St74, ovvero si colloca
quest’ultima al termine della seconda guerra mondiale, mentre diventano « otto » in Ein79 125 (qui p. 1010), quindi si pensa al 1943, anno della deposizione e dell’arresto di Mussolini.
Sono quindi esplicitati i modi narrativi con cui viene gestito il « segreto » che collega i due romanzi:
1010 Il vero loro segreto non è quello dell’impotenza sessuale (segreto di cui Stendhal si fa complice e che Brancati invece
fa esplodere); è il segreto di una infelicità St74 Il vero loro segreto, quel segreto che Ottavio si porta nella morte e che il suo
autore non svela, quel segreto che invece Antonio vede esplodere in un processo di Sacra Rota, non è quello dell’impotenza
sessuale; è il segreto di una infelicità Ein79 125.
Segnalo in$ne alcuni interventi meramente linguistici,
mediante i quali si correggono costruzioni a senso (nella nota 102: « una delle cose che più mi impressionarono » CT74
« una delle cose che più mi impressionò » Ein79 111; qui p.
998), o si adottano forme lessicali più ricercate:
976 I giudici persuasivi St72 D20dt 143 I giudici persuadenti
Ein79 88 (nota 80 ) 998 alla ripugnanza CT74 alla repugnanza Ein79 112 (nota 102 ) 1094 fare il gioco O78 D20dt 296 fare
il giuoco Ein79 216 (nota 189 ).
2. Note scartate
Il processo di selezione riguarda due tipologie di articoli:
quelli in cui appaiono più note, e allora la soppressione è
parziale, e quelli che contengono una sola nota, eliminati
integralmente dopo la trascrizione in D20dt. C’è poi il caso di
pezzi omogenei a quelli confluiti in Ein79, che potrebbero
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nero su nero
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esser stati copiati e successivamente scartati, ipotesi tuttavia
non supportata da prove documentarie.1
A quanto risulta dai materiali superstiti, le note di D20sc,
mai inviate all’Einaudi, sono 9:
1) Dall’articolo in CS70 che contiene le note 30-33 viene
esclusa quella dedicata all’errore giudiziario che coinvolse il
musicologo palermitano Luigi Rognoni:2
Quel che capita a Luigi Rognoni mi fa pensare alla pagina
della Ricerca in cui Bergotte, cioè Anatole France, consiglia a
Proust di cambiar medico: « Come volete che Cottard vi possa
curare|... Vi troverà una dilatazione di stomaco, non ha bisogno
di visitarvi per trovarla, perché l’ha già da prima negli occhi.
Potete vederla, gli si riflette negli occhiali ». E così il delitto in
molti di coloro che ne dovrebbero essere i medici, e dunque in
grado di diagnosticarne con una certa prontezza la presenza o
l’assenza: l’hanno già negli occhi, gli si riflette negli occhiali.
2) Dall’articolo in CS71 che contiene le note 41-45 viene
esclusa l’ultima, sul poeta e traduttore Alfonso Zaccaria:
Raramente leggo libri di poesia. Io che tra i dieci e i trent’anni
leggevo e rileggevo e ripetevo a memoria tante e tante poesie,
oggi vivo come se libri di poesie non ce ne fossero più. Invece,
ecco il libro di Montale, in cui ritrovo un poeta amato e mi ritrovo. Ed ecco il libro di un giovane che vive in provincia, nella mia
provincia, ad Agrigento. Si chiama Alfonso Zaccaria; e il libro si
intitola Antiche morti. Le nostre antiche morti, le nostre antiche
risposte alle cose, a ogni cosa, alla vita. « Si compiono le tristi
meraviglie ». « Io sono numero e miseria ». « Noi qui restiamo
incerta geogra$a / che tutti riconoscono e non sanno ». E questa poesia che chiude il libro, la storia: « Ricordarsi di avere pietà / per tutti coloro che diranno / che questi sono versi, parole
/ enigmi. Ricordarsi che molti camminano / e non pensano di
doverlo alle gambe, / ricordarsi che molti hanno orecchie /
solo per rombi e fanfare. / Ricordarsi, poeta, di spegnere / i
lumini delle lampade ad olio / che molti credono astri. / Ricordarsi di amare, di avere pietà, di morire. / L’eterno è aspirazione di statue / che $sicamente, a se stesse, / al bello perduto sopravvivono ». E mi pare non fortuita e gratuita la coincidenza
1. Penso ad articoli come Il diritto (e il rovescio), in « La Stampa », 11 agosto 1977, p. 3, o ai pezzi della rubrica « Incidenze & coincidenze »
dell’« Ora » (25 aprile 1978, 14 novembre 1978, 27 febbraio 1979, 1°
marzo 1979) di contenuto affatto simile a quelli confluiti in Ein79 e di
cui non ho rintracciato copia in D20.
2. Sulla vicenda, si veda OA I, p. 1838, nota 1.
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note ai testi
per cui dai libri di due solitari poeti, uno vecchio e famoso, l’altro giovane e sconosciuto, rivedo l’orizzonte, che credevo perduto, della poesia.
3) Dall’articolo in CS71 che contiene le note 67-70 viene
esclusa una breve riflessione politico-$loso$ca, collocata dopo la 69 :
Che errore aver creduto che la partita fosse tra Voltaire e
Marx. Era tra Sade e Marx. E forse sta vincendola Sade.
4) Dall’articolo in CS72 che contiene le note 71-75 viene
esclusa un’icastica annotazione, collocata dopo la 74:
Non pare sia scienti$camente attendibile la credenza, molto
diffusa tra i cretini, che il cibarsi (previa macellazione) di un
uomo intelligente faccia diventare intelligente un cretino.
5) Viene scartato l’articolo di « Incidenze & coincidenze »
uscito su « L’Ora » del 10 giugno 1978, idealmente collocabile tra le note 180 e 181, apparse sullo stesso giornale l’8 e il
13 giugno, dedicato ai referendum per l’abrogazione della
Legge Reale e del $nanziamento pubblico dei partiti:
I due referendum abrogativi su cui domani voteremo, non
hanno nulla di apocalittico, non pongono – quale ne sia l’esito
– questione di vita o di morte. Sono una normalissima veri$ca
(e normalissima anche nel senso della norma costituzionale
che la sancisce) della vita democratica. È come un sentire il polso del paese per sapere se la democrazia ancora vi batte – al di là
delle scelte elettorali, delle scelte politiche – riguardo a precise
e importanti questioni che alcune centinaia di migliaia di cittadini hanno proposto fossero direttamente affrontate da tutti i
cittadini che hanno diritto al voto. Appunto sono, i referendum, il modo più diretto di esercitare la democrazia. E non se
ne può fare – d’accordo – uno al giorno; ma quei pochi che si
fanno direi che richiedono una partecipazione almeno pari a
quella delle competizioni elettorali. Abbiamo visto quanto salutare sia stato per la democrazia quello sul divorzio: almeno nel
senso che ha scosso tante sanfedistiche certezze dei vertici di
potere e dato misura delle istanze di rinnovamento del popolo
italiano (istanze, purtroppo, non ancora raccolte). C’è da augurarsi, dunque, che anche da questi due referendum venga una
scossa ulteriore a quelle certezze e che le istanze di rinnovamento – e cioè di libertà e di moralizzazione – vengano riaffermate. E con ciò ho fatto la mia dichiarazione di voto e formulato
la speranza che i sì superino i no. Ma se anche accadesse il contrario – come è probabile che accada – vuol dire che dovremo
lottare un po’ di più e un po’ meglio. E con maggiori pericoli.
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6) Viene scartato l’articolo di « Incidenze & coincidenze »
uscito su « L’Ora » del 16 giugno 1978, idealmente collocabile tra le note 181 e 182, apparse sullo stesso giornale il 13 e il
20 giugno, scritto subito dopo la morte di Giuseppe Sirchia,
cui due giorni dopo dedicherà sul « Corriere della Sera » la
più distesa nota 168:
Ho saputo ora della tragica morte di Giuseppe Sirchia. È una
morte che dal punto di vista dei più – e della polizia – è certamente computata in quello che Dashiell Hammett chiama « il
raccolto rosso » (meno letterariamente: si ammazzano tra loro):
ma dal mio implica un diverso sentimento e giudizio: da uomo
a uomo, da persona a persona.
Non l’ho mai incontrato: dal con$no di Linosa e dal carcere
dell’Ucciardone mi arrivavano le sue lettere, a Natale e a Pasqua le sue cartoline d’augurio. Una volta mi mandò un disegno: l’Italia rappresentata come una medusa, ma con tentacoli
di polipo invece che serpi; e i tentacoli afferravano i pesci piccoli, lasciando che i grossi le corressero intorno. Era un’allegoria
della commissione antima$a. Mi congratulai con lui per l’invenzione e per la sicurezza del disegno: e mi mandò poi un dipinto fatto su quel disegno.
Le sue lettere traducevano in racconto l’allegoria che aveva
disegnata e dipinta. Si considerava un pesce piccolo, vittima
che i pesci grossi lasciavano all’Italia-piovra. La domanda che lo
assillava era questa: perché io e non... E qui si fermava perché, diceva, « in Sicilia l’omertà bisogna rispettarla in qualsiasi settore:
politica, polizia, giustizia, ecc. ». Aveva coscienza di appartenere
a un mondo diverso: ma quel mondo per lui era la Sicilia intera.
In effetti, era la prova vivente di quella che è la tesi di Henner
Hess: che il ma$oso non sa di essere ma$oso, e vive nello stato
della ma$a così come ogni buon cittadino nello stato di diritto.
Io gli mandavo dei libri (la prima volta mi scrisse per chiedermi i miei, di cui gli aveva parlato un giornalista tedesco). Li leggeva e me ne scriveva. Lunghissime lettere. Se non fosse nato
cittadino della ma$a, forse sarebbe stato scrittore.
7) Viene scartato l’articolo di « Incidenze & coincidenze »
uscito su « L’Ora » del 6 luglio 1978, idealmente collocabile
tra le note 188 e 189, apparse sullo stesso giornale il 4 e il 13
luglio, che commenta uno dei libri di cui la settimana prima
aveva consigliato la lettura:1
1. Si veda il tra$letto dell’« Ora » del 30 giugno 1978, p. 15, nel quale
dopo una scheda bio-bibliogra$ca dedicata a Sciascia vengono offerti i
suoi consigli di lettura: Un uomo $dato di Sebastiano Addamo (Garzanti,
Milano, 1978), Delirio di Barbara Alberti (Mondadori, Milano, 1978),
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note ai testi
La passata settimana, tra i cinque libri che questo giornale
chiede agli scrittori di segnalare, ho indicato al secondo posto il
Delirio di Barbara Alberti. Qualche lettore che l’ha già letto o ne
ha sentito parlare si sarà forse meravigliato della mia predilezione riguardo a un libro che benevolmente è stato etichettato come erotico e malevolmente come osceno. Ma il libro, per come
io l’ho letto, è un rovesciamento dell’erotico e una sublimazione dell’osceno nella follia. Basti pensare che questa storia tutta
disegnata di organi sessuali si svolge in un ospizio di vecchi: ed
è facile, per chi ha visto il vecchio e grande $lm di Duvivier La
$n du jour, immaginare il luogo, l’ambiente, l’atmosfera e dare,
anche, un $sico ai personaggi. Jouvet, Simon, Francen: che stupendi interpreti sarebbero di questo delirio! A dirla, insomma,
brevemente: la chiave del libro sta nella vecchiaia, nell’erotismo e nell’oscenità visti come vecchiaia del mondo.
Ed ecco il $ne e il senso di questa nota: le inutili votazioni che
per ora si svolgono per l’elezione del Presidente della Repubblica, tutte palesemente o nascostamente giocate su nomi di personalità che da un pezzo hanno superato i settant’anni, mi fanno pensare al romanzo dell’Alberti. Invincibilmente. È come una specie di delirio. È come una confessione di impotenza. È come se la politica invecchiasse con dei sintomi cripto-erotici: follemente spenzolata sull’orlo del nulla.
8-9) Vengono scartati gli articoli di « Incidenze & coincidenze » usciti su « L’Ora » del 7 e del 10 novembre 1978, idealmente collocabili alla $ne della serie tratta dalla rubrica, dopo la nota 213, apparsa sullo stesso giornale il 28 ottobre:
Sabato, 16 settembre: nelle prime pagine dei giornali si dà
con un certo rilievo la notizia che i documenti di cui si serviva
Corrado Alunni per darsi una falsa identità appartenevano a un
architetto bolognese, funzionario di un uf$cio tecnico del Comune. I documenti erano mancati all’architetto il primo giugno: non si sa in quali circostanze; ma otto giorni dopo, il 9, uno
sconosciuto gli aveva restituito il borsello con dentro i documenti (ma mancavano 6.500 lire, una penna a sfera e il cedolino dello stipendio). A venticinque giorni dal ritrovamento, precisamente alle 20,45 del 4 luglio, l’architetto presenta denuncia
per il furto subito.
Così presentata, la sequenza dei fatti è piuttosto strana. E i
giornali, infatti, prevedono guai per l’architetto. Sabato, 16 settembre. Ma già l’indomani, invano si cerca, sugli stessi giornali,
Dolcissimo di Giuseppe Bonaviri (Rizzoli, Milano, 1978), Il caso Redureau
di André Gide (Sellerio, Palermo, 1978) e Tragedia dell’infanzia di Alberto Savinio (Einaudi, Torino, 1978).
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il seguito di una notizia così inquietante. E ad oggi nulla più ne
sappiamo.
Non c’era nulla di vero| L’architetto è riuscito a chiarire tutto| Si è tirato fuori dai guai o ci è rimasto|
Silenzio.
Dei romanzi di Simenon che hanno a protagonista il commissario Maigret (ottanta e passa, nelle edizioni italiane), uno
dei più affascinanti è quello che s’intitola Maigret esita. A voler
estrarne quella che Poe chiamava « $loso$a della composizione », e cioè un esempio di tale $loso$a, si può esser certi che
Simenon l’abbia immaginato e articolato sull’articolo 64 del
codice penale francese, che fa poi da motivo conduttore del
racconto. « Non esiste crimine né delitto quando l’imputato è
in stato di demenza al momento dell’azione o quando egli è
stato costretto da una forza alla quale non ha potuto resistere ».
Non ho il testo originale del romanzo né dispongo di un codice
penale francese: non ho dunque modo di controllare quel « crimine » af$ancato a « delitto » come cosa diversa. Comunque, il
problema – per l’avvocato Parendon e per Maigret personaggi
del romanzo; per Simenon autore; per me lettore – è questo: se
un articolo simile non è estensibile ad ogni crimine e se non è
sommamente ingiusto lasciarlo invece all’uso di pochi: e cioè di
coloro che per cultura o condizione sono in grado di privilegiarsene.
Immagino che un articolo simile sia anche nel nostro codice.
Ed ho pensato all’uso che se ne potrebbe fare di fronte al caso
del giovane perito agrario di Ucria che ha ucciso il veterinario
comunale: costretto da una forza alla quale non ha potuto resistere. Ma ci ho pensato, si capisce, per paradosso.1
Sono invece conservate presso l’Archivio Einaudi le copie di due note e il dattiloscritto originale di una terza; saranno perciò state scartate dopo la consegna del materiale
all’Einaudi, probabilmente nel corso della revisione delle
bozze:
10) Viene scartato l’articolo Il mio « Todo modo » e quello del
$lm, uscito sull’« Ora » del 5-6 maggio 1976, p. 1, e su « Paese
Sera » del 9 maggio 1976, p. 4, col titolo Un libro e un $lm,
trascritto in D20dt 249-50, di cui è arduo stabilire l’eventuale
collocazione nel libro, stante l’ordine non cronologico delle
note 153-162 (D20dt 242-61), pubblicate, per la gran parte,
nello stesso 1976:
1. Sciascia è poi tornato su questa sua suggestione veri$cando i codici in
1912 + 1 (qui p. 881).
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note ai testi
Negli anni venti c’era a Canicattì un’Accademia del Parnaso, fondata e animata dall’avvocato Sammartino, spirito bizzarro e beffardo, tutta votata a scherzi che dal sottobosco letterario (pubbliche incoronazioni di poeti che volevano essere incoronati)
scon$nava nella politica. Ma affermandosi il fascismo, sull’Accademia cominciarono a cadere ammonimenti e censure: come,
per esempio, quando tra gli arcadi maggiori, che era la classe che
annoverava gli imbecilli, mentre tra gli arcadi minori stavano quelli che sugli imbecilli si divertivano, fu nominato il prefetto fascista
di Agrigento, un ex generale Maggiotto. Pare che arrivata al generale la nomina ad arcade maggiore, informazioni di polizia gliela
svelarono per quella che era; da ciò una dif$da all’avvocato Sammartino che $niva con questa ammonizione: « con certe cose
non si scherza ». Al che Sammartino, al questore che lo dif$dava,
rispose con una domanda in carta da bollo: che gli speci$casse le
cose su cui ancora si potesse scherzare.
Una dif$da simile io l’ho avuta circa vent’anni fa: non da un
questore ma da un critico di sinistra, in una secca recensione di
quel mio libretto che si intitola Gli zii di Sicilia, e precisamente
per il racconto La morte di Stalin. La recensione $niva precisamente così: « con certe cose non si scherza ». Da allora la mia
vocazione a scherzare su tutto è diventata consapevole e inflessibile decisione: certamente agevolata dal fatto che qualche critico dello stampo di quello che mi dif$dò a scherzare su « certe
cose » non è diventato questore.
Ho scherzato su tutto: questo posso dirlo con tranquilla coscienza, facendo un bilancio esattamente ventennale di quello
che ho scritto, dalle Parrocchie di Regalpetra alla Scomparsa di Majorana. Ho scherzato sul Partito Comunista, sulla Chiesa Cattolica, sulla ma$a, sugli scienziati, sul Risorgimento, sulla famiglia. Su tutte le cose su cui la maggioranza degli italiani di scherzare non se la sente. E a volte magari ingenerosamente: come,
lo riconosco, in quella parte del Contesto che spetta al Partito
Comunista Italiano. E si intende che alla parola scherzare con$do un signi$cato di categoria morale ed estetica, un senso liberatorio. Bisogna scherzare sulle cose che si temono o si odiano
o si amano. Per liberarsi dalla paura o per giustamente amarle.
Così scherzava Voltaire. Così oggi scherza lo scrittore cecoslovacco Milan Kundera. Con più dif$coltà, Kundera, di Voltaire:
il che il lettore avvertito benissimo coglie nella « dif$coltà » della pagina.
Questa piccola riflessione-confessione mi è avvenuto di fare
ieri, assistendo alla proiezione del Todo modo di Petri. Due anni
fa, col libro, io ho scherzato (dicendo, si capisce, cose tremendamente serie). Petri non scherza. E nemmeno Rosi ha scherzato
cavando dal Contesto il $lm Cadaveri eccellenti. Perché|
La domanda apre una quantità di risposte, di diversa natura.
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Alcune riguardano il momento che stiamo vivendo. Le lasciamo ai lettori, agli spettatori.
11) Viene scartato l’articolo di « Incidenze & coincidenze » uscito su « L’Ora » del 1° agosto 1978, trascritto in D20dt
301 e collocabile perciò tra le note 193 (D20dt 300) e 194
(D20dt 302), apparse sullo stesso giornale il 29 luglio e il 5 agosto. Il pezzo presenta un contenuto simile a quello di una
nota pubblicata sulla « Stampa » del 14 marzo 1973 insieme
con le 81-89 di Nero su nero e anch’essa esclusa da Ein79:
« L’Ora »
Una delle più grandi verità che
siano mai state dette è quella di
Rivarol sulle due verità inseparabili. Contiene e spiega tutta
l’incongruenza, la contraddizione, il cieco e violento annaspare della storia; ne dà l’immagine come di una gabbia
dentro cui l’inseparabile inutilmente si dilania per separarsi. Forse nemmeno Rivarol ebbe il senso di quanto atrocemente vera fosse la sua verità,
forse la fermò svagatamente,
con una certa leggerezza, da
$glio di un secolo leggero che
generava però grevissime cose.
« Vi sono due verità inseparabili: 1) La sovranità risiede nel
popolo; 2) Il popolo non deve
mai esercitarla ».
La storia del mondo oscilla
tra questi due punti: l’illusione di poter separare le due
verità; la coscienza e la rassegnazione che non è possibile
separarle.
Quale punto tocchi oggi questo moto pendolare, dica a se
stesso chi legge questa nota.
« La Stampa » (tra le note 87
e 88 )
Due pensieri di Rivarol. Il primo, purtroppo, $nora non
scal$to: « Vi sono due verità
inseparabili: 1) La sovranità
risiede nel popolo; 2) Il popolo non deve mai esercitarla ».
E viene da pensare, con una
inquietudine che si vena dispavento, che il fallimento cui
va incontro Allende, nonostante la riconferma elettorale, sia dovuto, anche se in minima parte, al generoso tentativo di separare queste due verità.
Secondo pensiero: « La Rivoluzione non è più che un grande esperimento $loso$co rovinato dalla politica ». Diceva
della Rivoluzione Francese,
ma possiamo anche riferirlo
a rivoluzioni a noi più vicine.
Ma viene un dubbio: e se, a rovescio, noi stessimo assistendo
a degli esperimenti politici rovinati dalla $loso$a|
12) È conservato in D20or 275 il dattiloscritto originale
dell’articolo dedicato alle dimissioni del presidente della
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note ai testi
Repubblica Giovanni Leone, apparso su « L’Ora » del 15 aprile 1978, p. 3, col titolo L’opinione di Sciascia, collocabile tra
le note 171 (D20ms 274) e 167 (D20or 276):
A me pare che l’unico modo af$nché gli italiani credano in
tutto ciò che gli si dice di credere e sentano di difendere tutto
ciò che gli si dice va difeso, sia quello di cominciare a dare qualche segno di reale mutamento all’ordine (e cioè al disordine)
in cui le cose sono andate e continuano purtroppo ad andare. E
uno di questi segni, il primo, dovrebbe esser dato dalle dimissioni del presidente della Repubblica e dalla sua sostituzione con
un uomo rappresentativo, come si diceva una volta: rappresentativo per intelligenza, per cultura e sopratutto per modo di vita
di questa Italia come effettivamente è, non come appare.
Non dico la destituzione, che darebbe luogo a inquietudini e
conflitti, a parte il rischio che potrebbe cadere ingiustamente.
Dico le dimissioni, che oltretutto darebbero a Giovanni Leone
il solo argomento di difesa della propria integrità morale che
egli possa ad oggi invocare: e cioè il mettersi alla pari di ogni
altro cittadino che si ritiene ingiustamente vittima di una continuata e moltiplicata detrazione. Non si può restare al vertice
dello stato quando si è colpiti, come Giovanni Leone è colpito,
da tutte quelle accuse che Camilla Cederna ha raccolto e sommato nel libro per ora in circolazione. Anche a darle per infondate o addirittura non vere, il solo modo per difendersene è
quello di tornare ad essere cittadino qualsiasi. E del resto così
sarebbe in ogni paese di solida democrazia.
Anche dall’articolo in St73 contenente le note 115-19 viene escluso un primo brano dedicato al presidente Leone:
Il Presidente della Repubblica intervistato. Un tale commenta: « Certo, certo: è antifascista. Lo siamo tutti. Ma che non creda alla jettatura, via... Ci crediamo tutti ».
Segnalo in$ne l’omissione dell’ampio resoconto sul congresso del Pci siciliano e il ruolo di Achille Occhetto che apriva in St74 l’articolo contenente le note 149-50, pubblicato in
forma autonoma in « Quaderni Siciliani », II, 7-8, luglio-settembre 1974, p. 73, col titolo Come la ciurma dell’Hispaniola.
È invece conforme a D20or 324-25 la nota 214 apparsa in
78
St , dedicata Ai miei critici e a Claude Ambroise; D20or 325 si
chiude con la $rma dell’autore, segno che la prima stesura
non conteneva la digressione $nale sull’Affaire Moro, già citata nella relativa Nota.1
1. Si veda sopra, pp. 1327-28.
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nero su nero
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sul testo di « nero su nero »
L’articolata situazione sin qui descritta, davvero singolare
nella produzione di Sciascia, non è certo stata priva di conseguenze sulla qualità del testo di Nero su nero, e per due ragioni opposte.
Anzitutto, la complessiva fedeltà del dattilografo alle sue
fonti – giornali con impostazioni tipogra$che diverse e
modi$catesi nel corso del tempo – e, in secondo luogo, l’approssimativa uniformazione redazionale in servizio di Ein79
hanno prodotto varie incoerenze interne, sia nelle citazioni
da altre opere:
Ein79 74 (da St72) il generale disse all’aiutante: « Hanno pagato
tutti » (cfr. qui p. 963)
Ein79 186 (da St77) « non mandare mai a chiedere per chi
suona la campana... », con quel che precede e segue (qui p.
1067)
sia nel discorso riportato:
Ein79 22 (da CS70) il notabile dice: « Libri| Li chiama libri| »
(qui p. 915)
Ein79 134 (da St73) disse al cameriere che lo seguiva: « Se si azzarda a venire a casa mia, gli farò scendere le scale a calci » (cfr. qui p.
1019)
Ein79 243 (da NRE78) – Sta scrivendo un libro| – mi domanda
il contadino (cfr. qui p. 1120).
In questi, e altri luoghi analoghi, si è adottato un sistema
uniforme (citazioni e discorso riportato in tondo fra virgolette basse), in consonanza con l’edizione Adelphi del 1991
(= Ade91), che è la prima a operare interventi redazionali
volti a organizzare coerentemente i contenuti.1
D’altro canto, D20dt non è immune da errori di trascrizione, solo in parte corretti dall’autore durante la rilettura dei
materiali. Il testo di Ein79 (e quello delle edizioni che ne discendono) presenta pertanto parecchie lezioni che non risalgono all’autore e che il confronto con le versioni originarie degli articoli consente di sanare.
Oltre a correzioni meramente formali:
1. Come già in Ade91, si omettono gli asterischi che in D20 sono tracciati
dalla Redazione Einaudi all’inizio delle note (in corrispondenza di
quello in D20dt 2 un redattore annota « inserire asterisco all[ineato] al
capoverso ») e che in Ein79 (e quindi in OB II) le separano.
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note ai testi
906 Armada Ein79 13 Armada (nota 13) 922 – Qui siamo
– Ein79 30 « Qui siamo! » (nota 37) 925 le dispense dei Beati Paoli Ein79 33
le dispense dei Beati Paoli (nota 40) 935
cinque gregari Ein79 44 cinque gregarii (nota 49) 944 nero
su bianco in rubrica Ein79 54 nero su bianco, in rubrica (nota
57) 947 Don Chisciotte Ein79 57
don Chisciotte (nota
60) 962 nella Medea Ein79 72 nella Medea (nota 73) 969
(hosterium, hôtel particulier) Ein79 81 (hosterium, hôtel particulier) (nota 78) 1016 anni cinquanta Ein79 131
anni Cinquanta (nota 116) 1025 I Commentari Ein79 141 I commentari
(nota 128) 1031 anni trenta Ein79 148
anni Trenta (nota
134) 1035 marchese De Sade Ein79 152 marchese de Sade
(nota 136) 1078 sant’Antonio di Padova Ein79 198 Sant’Antonio di Padova (nota 168) 1078 Subito il santo si recò in Portogallo Ein79 198
Subito il Santo si recò in Portogallo (nota
168) 1088 nelle carceri sovietiche. Come si può Ein79 208
nelle carceri sovietiche: come si può (nota 180) 1088 quest’incredulo, un credente Ein79 209 quest’incredulo un credente
(nota 181) 1092 nella suspense di conoscerlo Ein79 213 nella suspense di conoscerlo (nota 186) 1100 il Retablo – e cioè il
polittico – di Grunewald Ein79 221 il « retablo » – e cioè il polittico – di Grünewald (nota 198)1
si apportano al testo di Ein79 le seguenti emendazioni:
a ) Ein79 15 si torna a chieder alle persone si torna a chiedere alle persone (qui p. 908, in base alla versione in CS69
della nota 16 )
b ) Ein79 111 puru ’u corvu è volitili puru ’u corvu è volatili (qui p. 997, mero refuso di Ein79)
c ) Ein79 139 il « maledetto vizio contra natura » il « maladet1. In base ai criteri generali della presente edizione, si indicano gli accenti prescritti in castigliano in « Martín Luis Guzmán », « Obregón »,
« Gutiérrez » nella nota 76 (qui pp. 962-65) sebbene ne siano privi sia
Ein79 73-76 (che tuttavia stampa « Valdés »), sia la versione in St72; le
forme sono in parte confermate nel romanzo di Martín Luis Guzmán,
L’aquila e il serpente, trad. it. di Mario Socrate, Rizzoli, Milano-Roma,
1942, dove si legge « Obregón » (p. 27) e Valdés (p. 125), ma Gutierrez
(p. 207), mentre di Guzmán, che narra in prima persona, cognome e
nome appaiono solo nel frontespizio e in caratteri maiuscoli e con le iniziali dei nomi di battesimo puntate, quindi senza accenti. Inoltre « il
pamphlet sul caso Moro » di Ein79 228 diventa « il pamphlet sul caso Moro » (qui p. 1106, in conformità con le altre occorrenze) e « restìo a
parlare » di Ein79 242 diventa « restio a parlare » (qui p. 1119, sempre in
conformità con le altre occorrenze, tutte senza accento). Si mantengono invece le forme « detruit » e « detruire » nella citazione della scritta
muraria nella nota 216 (qui p. 1120), come in NRE78 e Ein79 243, mentre in Ade91 267 si segnano gli accenti prescritti « détruit » e « détruire ».
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nero su nero
d)
e)
f)
g)
h)
i)
j)
k)
l)
m)
n)
o)
p)
q)
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to vizio contra natura » (qui p. 1023, in base alla versione
in St73 della nota 127 e di Gli assempri di fra Filippo degli Agazzari, a cura e con Introduzione di Piero Miasciattelli,
Giuntini-Bentivoglio & C., Siena, 1922, p. 60)
Ein79 139 va a imbellettare
va ad imbellettare (qui p.
1023, in base alla versione in St73 della nota 127 )
Ein79 151 c’è da creder che il giudice
c’è da credere
che il giudice (qui p. 1035, in base alla versione in St73
della nota 136)
Ein79 156 a chieder per chi suona
a chiedere per chi
suona (qui p. 1039, in base alla versione in St73 della nota
136)
Ein79 158 sto mettendo un po’ d’ironia sto mettendo
un po’ di ironia (qui p. 1041, in base alla versione in GS74
della nota 138)
Ein79 161 ha un’interna tolleranza ha una interna tolleranza (qui p. 1043, in base alla versione in St74 della
nota 139 )
Ein79 161 candore e incanto candore ed incanto (qui
p. 1044, in base alla versione in St74 della nota 140 )
Ein79 163 del seder accanto del sedere accanto (qui p.
1045, in base alla versione in St74 della nota 140 )
Ein79 172 il sesto giorno d’aprile, nella chiesa avignonese il sesto giorno d’aprile, di mattina, nella chiesa avignonese (qui p. 1054, in base alla versione in St74 della
nota 152 e dell’originale latino nella postilla obituaria
del cosiddetto Virgilio Ambrosiano – il ms. A 79 inf. della
Biblioteca Ambrosiana di Milano –, che legge hora matutina )
Ein79 191 che insegna all’Università di Grenoble, città natale di Stendhal
che insegna all’Università di Grenoble. Italianista a Grenoble, città natale di Stendhal (qui
p. 1072, in base alla versione in St77 della nota 163 )
Ein79 207 Attilio Magiulli
Attilio Maggiulli (qui p.
1086, in base alla versione in O78 della nota 178 )
Ein79 219 lo spinse a chieder alla polizia
lo spinse a
chiedere alla polizia (qui p. 1098, in base alla versione in
O78 della nota 195 )
Ein79 221 E soprattutto colpisce E sopratutto colpisce
(qui p. 1100, in base alla versione in O78 della nota 198 )
Ein79 227 si possono poi far confluire
si possono far
poi confluire (qui p. 1105, in base alla versione in O78
della nota 205 )
Ein79 229 difetti d’intiere nazioni diffetti d’intiere nazioni (qui p. 1107, in base alla versione in CS78 della nota
207 e a Giambattista Bif$, Diario (1777-1781), a cura di
Giampaolo Dossena, Bompiani, Milano, 1976, p. 50, sul-
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note ai testi
la cui scorta si ripristina la forma « wouman » nel brano in
inglese sgrammaticato, laddove la versione in CS78, e quindi Ein79 229, presenta il facile restauro « woman »).
Si mantiene nella nota 183 « Parc de la Bagatelle » di Ein79
210 (qui p. 1089), conforme a O78 e D20dt 288, che Ade91 231
emenda in « Parc de Bagatelle ».
Non si interviene in$ne, nella nota 184, sul cognome del
generale « sir Henry Shrapnell », inventore – secondo Ein79
211 e 212 – dei proiettili « shrapnell » (qui p. 1091), che Ade91
233 corregge in « Shrapnel » e « shrapnel »: le forme con la -ll
$nale, confermate da O78 e D20dt 289 e 290, si trovano infatti
nel testo del dialogo fra Paul Valéry e Giuseppe Maria Lo Duca, fonte diretta del passo.1
1. Paul Valéry, Conversation sur l’histoire, raccolta da Lo Duca, Fasquelle,
Paris, 1957, che si legge anche in Paul Valéry, Oeuvres, Gallimard, Paris,
vol. II, 1960, p. 1547.
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OCCHIO DI CAPRA
Il libro viene pubblicato nel 1984 presso Einaudi nella collana « Nuovi Coralli » (n. 363); l’edizione Adelphi, nella collana « Piccola Biblioteca Adelphi » (n. 250), è del 1990; incluso in OB III, pp. 1-105 e 913-26.
un libro che non finirà mai
Come la memoria che vuole preservare, Occhio di capra ha
radici profonde. Il nucleo originario va infatti individuato
nel testo che nel 1977 accompagna Les Siciliens, « prima raccolta antologica » di fotogra$e di Ferdinando Scianna,1 pubblicata in Italia lo stesso anno da Einaudi, dove Sciascia mette in diretta relazione le 38 voci che seguono a un discorso
introduttivo centrato sulle Parrocchie di Regalpetra:
Un paese siciliano, Racalmuto in provincia di Agrigento: ne
ho rappresentato la vita, vent’anni fa, in un libro; una vita che
somigliava a quella di altri paesi siciliani dell’interno, che ne era la sintesi. Ora, con questa specie di piccolo dizionario, faccio
un’operazione inversa: di sciogliere la sintesi nell’analisi, la generalità nella particolarità, la somiglianza nella dissomiglianza.
1. Les Siciliens, fotogra$e di Ferdinando Scianna, testi di Dominique Fernandez e Leonardo Sciascia, Denoël, Paris, 1977, pp. 145-67. La citazione deriva da Rizzarelli, Sorpreso a pensare per immagini, p. 133, cui si rinvia
per ulteriori considerazioni sul libro.
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note ai testi
Ed è un’operazione, questa di localizzare e di individualizzare
al massimo, molto simile a quella del fotografo.1
La versione italiana del testo era stata sollecitata da Agnese Incisa il 23 novembre 1976, il giorno stesso in cui la casa
editrice aveva ricevuto da Denoël il pezzo di Dominique Fernandez.2 Sciascia adempie alla richiesta e completa la consegna in due riprese, inviando il 25 gennaio 1977 la pagina
« che manca al ... testo per il libro fotogra$co (quello, per
intenderci, francese) » con la preghiera di « metterla al posto stabilito, prima della $lastrocca $nale »,3 e il 5 luglio « le
due “voci” che mancano al glossario del libro fotogra$co “i
siciliani” ».4
Le bozze gli vengono recapitate il 13 settembre da Paolo
Fossati, che gliene chiede conto circa un mese dopo: « immagino abbia ricevuto le bozze e che il suo silenzio signi$chi
che possiamo procedere ».5 Un’eventuale risposta non è documentata, ma il libro risulta ‘$nito di stampare’ il 17 dicembre 1977.
Cinque anni dopo Sellerio pubblica con i numeri 39 e 40
della collana « La memoria » Kermesse,6 ampliamento del repertorio lessicale di Racalmuto, e Museo d’ombre di Bufalino,7
raccolta di mestieri, luoghi, antiche locuzioni, situazioni e
personaggi di Comiso: due libri così simili da far pensare a
un gioco letterario fra amici. Si tratta invece, come spiega Bufalino, di opere « nate indipendentemente l’una dall’altra,
contemporaneamente e nella reciproca ignoranza e con in1. I Siciliani, fotogra$e di Ferdinando Scianna, testi di Dominique Fernandez e Leonardo Sciascia, Einaudi, Torino, 1977 (= Si ), p. 145. 8 voci
(Cu è sutta aggruppa li $la, Jttari ’nnimmi, Fuocu all’arma, Quagliari, Uocchiu $ci lu picuraru, Chi si fa a lu ’n$ernu| Si marteddra, Quantu è laida la
vista di l’uocchi, A bon’è ca si mori ) vengono anticipate nello stesso 1977
nel numero zero della rivista « L’isola » (pp. 54-59), col titolo Né con te né
senza di te posso vivere, accompagnate da una scelta delle fotogra$e di
Scianna.
2. AE/C, copia.
3. AE/C.
4. AE/C.
5. 6 ottobre 1977 (AE/C, copia).
6. Leonardo Sciascia, Kermesse, Sellerio, Palermo, 1982 (= Ke). Il ‘$nito
di stampare’ è del febbraio 1982. 7 voci (Addimuru, Caddruozzu, Catuniari, Ci sputassi vossia, Iu surfaru sugnu, Jttari ’nnimmi, Pigliari di lingua )
vengono anticipate in Leonardo Sciascia, La festa della memoria, in « L’Espresso », XXVIII, 7-8, 28 febbraio 1982, pp. 204 e 207.
7. Gesualdo Bufalino, Museo d’ombre, Sellerio, Palermo, 1982.
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occhio di capra
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tendimenti però leggermente diversi ».1 Ma le af$nità elettive
tra gli autori sono innegabili, come racconta Matteo Collura,
unico testimone del loro primo incontro, nell’agosto del 1981:
Entrambi hanno appena $nito di scrivere un libro che Sellerio pubblicherà in inverno ... Dice Bufalino: « Per la copertina
ho pensato a un quadro di Magritte ». « Strano, anch’io ho pensato a Magritte per la copertina, a quell’albero con la mezza luna sopra », dice Sciascia.2
In Kermesse le voci diventano 67, compaiono l’epigrafe
borgesiana e i due indovinelli (qui p. 1236); il volume è corredato inoltre di due paratesti: il risvolto di copertina, che
informa sulla sua genesi:
Sei anni fa, in campagna, guardando il sole che tramontava
dietro nuvole che sembravano tratti di penna – un po’ spento,
un po’ strabico, come ingabbiato – qualcuno disse: « Occhio di
capra: domani piove ». Non lo sentivo dire da molti anni. Annotai l’espressione su un foglietto; e così ogni volta – da allora –
che ne sentivo o ne ritrovavo nella memoria altre di uguale originalità e lontananza. Foglietto su foglietto, le « voci » hanno
fatto libro: esile quanto è (e quanto si vuole), ma per me « importante ». Da un certo punto di vista lo si può magari considerare, come ora si dice in accademia, un lavoro « scienti$co »:
per me lo è, ma di quella « scienza certa » che è l’amore al luogo
in cui si è nati, alle persone, alle cose, alle parole di cui la nostra
vita, nell’infanzia e nell’adolescenza, si è intrisa3
e una Nota che dà conto del titolo scelto e istituisce un ulteriore collegamento con il libro che Sciascia considerava il
suo vero esordio letterario:
1. A colloquio con Gesualdo Bufalino, intervista [del marzo 1983] a cura di
Lea Ritter-Santini, Manfred Hardt e Salvatore A. Sanna, in « Italienisch.
Zeitschrift für italienische Sprache und Literatur in Wissenschaft und
Unterricht », V, 12, novembre 1984, p. 7.
2. Collura, Il Maestro di Regalpetra, p. 179. Il racconto del colloquio tra
Sciascia e Bufalino rielabora un articolo apparso sul « Mattino » del 6
settembre 1981, p. 3, col titolo Incontro a due, parlando di letteratura, raccolto poi in Motta, Il sereno pessimista, pp. 203-205. In precedenza i due
scrittori avevano corrisposto per lettera e così era nato l’articolo-intervista con cui Sciascia aveva lanciato Diceria dell’untore, romanzo d’esordio
di Bufalino: Che mastro, questo don Gesualdo!, in « L’Espresso », XXVII, 8,
1° marzo 1981, pp. 71-77.
3. Incluso in Nigro, Sciascia scrittore editore, p. 95, si legge in appendice
all’edizione adelphiana del 1990 (= Ade90), p. 149.
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note ai testi
Intitolo questo libretto Kermesse per collegarlo, anche se vagamente, a quell’altro di venticinque anni fa, Le parrocchie di Regalpetra: poiché « kermesse » è, nei Paesi Bassi e nel settentrione
della Francia, la festa della parrocchia.
La parrocchia è quella di Racalmuto, in provincia di Agrigento: dove sono nato e dove effettualmente vivo. La festa che si
celebra in queste mie note – scritte tra il 1975 e l’altroieri – è
quella della memoria.1
La costruzione graduale del libro è riaffermata a ridosso
della pubblicazione, insieme con le motivazioni sottese alla
stesura:
È un piccolo libro nato giorno per giorno, in modo occasionale, secondo le cose che ricordavo, che sentivo ripetere
da qualcuno nella campagna, nel paese. Volevo $ssare sulla
carta cose che stavano soltanto nella memoria e che era dif$cile ritrovare nella memoria senza una qualche sollecitazione. Credo che serva... Certo è un libro non $nito o, meglio,
che può continuare all’in$nito mentre sono vivo. E sarà continuato.2
Più che di un generico proposito si tratta dell’annuncio
implicito dell’imminente pubblicazione di 7 nuovi lemmi in
una rivista diretta da Mario Grasso:
Kermesse: altre voci, in « Lunarionuovo », IV, 18-19, maggio-agosto 1982, pp. 25-27 = KL
e di altri 39 nella terza pagina del « Corriere della Sera », a
partire dal giugno 1982:
[Voci e proverbi legati a un paese siciliano] Sciascia continua
la sua « Kermesse »: 23 giugno 1982 = KC1
[Sciascia continua la sua « Kermesse »] Chi è che si trova più in
alto del re|, 11 luglio 1982 = KC2
[Sciascia continua la sua Kermesse] L’amor proprio di Pirandello: 28 luglio 1982 = KC3
[Sciascia continua la sua « Kermesse »] Quando l’innamorato
supplica il lampione : 6 settembre 1982 = KC4
[Leonardo Sciascia: Kermesse] Una preghiera per Sant’Alò : 14
gennaio 1983 = KC5.
1. Ke 11. In copertina è rappresentato un particolare di una litogra$a di
Dafni e Cloe (la tav. XI, A Mezzogiorno, d’estate) di Marc Chagall. La si può
vedere riprodotta in « Todomodo », II (2012), $g. 20.
2. Ecco com’è il grande vecchio, intervista a cura di Isa Antonelli, in « Amica », XXI, 18, 4 maggio 1982, p. 63.
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occhio di capra
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Mentre le voci escono sul « Corriere », Mario Fusco, dopo
aver rubricato la ripubblicazione in Kermesse di quelle apparse in Les Siciliens sotto il segno di un « retour à Regalpetra »,
chiede allo scrittore se intenda proseguire su quella strada.
Sciascia può così ribadire il suo sentimento nei confronti del
libretto:
Kermesse est un livre qui ne $nira jamais, c’est-à-dire que je
$nirai de l’écrire quand je cesserai de vivre. Et, dans le Corriere
della Sera, j’ai déjà commencé à publier d’autres articles de cette
sorte de dictionnaire.1
I tempi per una stampa accresciuta maturano presto. Nel
settembre del 1984 Sciascia confessa all’amico Mario La Cava di stare « piuttosto male, con nessuna voglia di scrivere né
– segno anche più brutto – di leggere. Tutto mi appare distantissimo e vano ». Questo quadro così disforico è bilanciato da un’unica attività soddisfacente:
sto ordinando, molto lentamente, tutte quelle « voci » che in
parte sono apparse col titolo di Kermesse : un libro che per estrema fedeltà darò ad Einaudi, nonostante le offerte di altri editori. Non mi va di saltare da questa barca che affonda. Del resto,
sto affondando anch’io.2
Il risultato del lavoro di riordino è un manufatto conservato dagli eredi (= D21), in parte dattiloscritto, in parte costituito dalle voci già pubblicate; consta di 170 pagine numerate,
cui si aggiungono il frontespizio (« Leonardo Sciascia occhio di capra »), la dedica ai nipoti (qui p. 1125), l’epigrafe
borgesiana (qui p. 1127), le pagine con gli occhielli « notizia » (qui p. 1129) e « alfabeto » (qui p. 1135) e la Nota conclusiva (qui pp. 1239-40). La maggior parte delle voci di Ke e
di KC sono state ritagliate e incollate ciascuna al centro di un
foglio; di altre già a stampa è presente l’originale dattiloscritto, e in questa stessa forma compaiono i 41 lemmi inediti.
Anche la Notizia che funge da introduzione (qui pp.
1129-34) deriva da un testo già pubblicato,3 le cui pagine
sono state ritagliate e incollate su fogli bianchi in D21 1-4.
1. Leonardo Sciascia ne pense pas prolonger son mandat de député, intervista a
cura di Mario Fusco, in « La Quinzaine littéraire », 380, 16-31 ottobre
1982, p. 30.
2. 16 settembre 1984 (si cita da La Cava-Sciascia, Lettere, p. 475).
3. Si tratta di un testo ricavato da un volume che non sono riuscito a individuare, ma che riproduce l’articolo della serie « Gli scrittori italiani e
la loro terra » apparso sul « Corriere della Sera » del 14 marzo 1982, p. 3,
col titolo Leonardo Sciascia: la mia Sicilia.
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note ai testi
Alcune delle voci edite presentano interventi dell’autore.
Meramente stilistici quelli in Abbrusciatu vivu comu a Caleddru, Jttari ’nnimmi e Uocchiu di crapa :
1137 ma si può anche pensare sia contrazione Ke 13
ma
21
può anche essere contrazione D 7 1181 si risolve in una conversazione che è tutta un lancio di enigmi Ke 35-36 si risolve
in un lancio di enigmi D21 82 1226 è tagliato orizzontalmente
da strisce di nuvole: per cui appare come una pupilla che guarda obliquamente, strabicamente Ke 61-62 è tagliato obliquamente da strisce di nuvole: per cui appare come una pupilla che
guarda strabicamente D21 155
volti a correggere ipotesi rivelatesi infondate quelli in Barruggieddru :
1150 ferocia. A meno che non siano mai esistiti, e la denominazione, di vigoroso disprezzo, sia stata coniata per una milizia
con compiti di polizia arruolata in Corsica dai dominatori catalani spagnoli. KC4 3 ferocia, se un decreto di Carlo III proibisce agli sbirri l’uso dei cani corsi nell’inseguimento dei rei (30
novembre 1750). D21 31
e in Cavaliere porco, perché non mi avete invitato| :
1158 Salvatore e Virgilio erano fratelli Ke 21
Salvatore e
Virgilio erano cugini D21 41 1158 Celibi entrambi Ke 21 Celibe Virgilio; sposato a una ex monaca Salvatore D21 41.
Viene quindi aggiunto in D21 77 il riferimento al Decameron che chiude Fuocu all’arma, voce che in Ke 33 terminava
con « sempre le passioni (e non solo quelle amorose) sono
condannate. » (qui p. 1176).
Per le ragioni esposte da Sciascia nella Nota, le forme in
dd vengono corrette sistematicamente in ddr, sicché « chiddu », « Cipudda », « surciddi » diventano « chiddru », « Cipuddra », « surciddri », eccetera.
D21 168 testimonia in$ne una nuova versione della voce I
nomi di Ke 65-66 (qui pp. 1234-35, col titolo I nomi vezzeggiati): modi$cata la formula introduttiva « (da servire anche
come esplicazione di quelli che si incontrano nell’opera di
Luigi Pirandello, e specialmente nelle Novelle per un anno) »,
l’elenco di Ke viene integrato con i vezzeggiativi « Ciccì »,
« Cocò », « Lollò », « Popò » e « Vevè ».
Il tutto confluisce nel volume che Einaudi stampa alla $ne
dell’anno:1 il titolo coincide con la traduzione italiana di u1. Leonardo Sciascia, Occhio di capra, Einaudi, Torino, 1984 (= Ein84). La
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occhio di capra
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na delle voci (qui p. 1226), la copertina raf$gura il dipinto
di Piero Guccione Al pascolo prima del tramonto.
La memoria che si vuole preservare non è solo quella individuale di un uomo nato e vissuto in una realtà che rischia di
sparire: ha una portata più ampia, come Sciascia stesso spiega a Dauphiné nel 1987:
Œil de chèvre est une sorte de journal de la mémoire la plus
lointaine, celle de l’enfance. Maints lecteurs m’ont écrit pour
me dire ce que tel ou tel détail du livre avait fait revivre en eux.
En ce sens Œil de chèvre comme Kermesse est un réceptacle de la
mémoire... of$cielle ... Kundera, que j’apprécie beaucoup,
pour sa maîtrise de l’histoire et parce qu’il dévoile l’envers du
décor de la société marxiste, a le mérite d’avoir montré que
dans les deux systèmes – pays de l’Est, pays occidentaux – le
danger est identique: la destruction systématique et voulue de
la mémoire. Il faut conserver la mémoire, lui éviter destruction
et amoindrissement. C’est aussi parce que j’écris que la mémoire, par les mots, s’impose à moi. Celui qui écrit, en effet, a une
sensibilité particulière au verbe. Un seul mot suf$t à ressusciter
des pans entiers du passé et de la mémoire.1
Intanto il lavoro di raccolta si era arricchito di 11 foglietti
dattiloscritti contenenti altrettante voci, e di 2 fogli con la voce ’Nfaccialarisi, chiusi dal nome dell’autore e destinati quindi
alla pubblicazione.2
Questi materiali, conservati anch’essi dagli eredi, sono
stati utilizzati per Ade90, la prima edizione completa di Occhio di capra, uscita nell’agosto del 1990,3 a pochi mesi dalla
scomparsa dello scrittore. Successivamente, le 12 voci più
recenti sono apparse nella prima Appendice di OB III, pp.
parte iniziale della Notizia – $no a « per esigenza fonetica, veniva così
trascritto: Xaxa) »; qui p. 1130 – e 21 voci vengono anticipate in Leonardo Sciascia, Dalla A alla Z vi racconto tutta la Sicilia, in « Europeo », XL,
48, 1° dicembre 1984, pp. 156-65.
1. Leonardo Sciascia. Qui êtes-vous|, p. 163 (trad. it., p. 47).
2. La voce, ispirata alla legge dell’11 gennaio 1986 che rese obbligatorio
il casco per i conducenti di motocicli, apparve infatti col titolo Boccaccio,
il casco e la legge, in « L’Espresso », XXXII, 40, 12 ottobre 1986, p. 174,
nella rubrica « L’Enciclopedia ».
3. 5 delle voci inedite (Aviri lu nomu lieggiu, Campari ’ncapu lu tabutu,
’Nfaccialarisi, Sopritu, Trenta e du, vintuottu) vengono anticipate in Leonardo Sciascia, Lessico siciliano, in « L’Espresso », XXXVI, 37, 16 settembre 1990, pp. 96-99.
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note ai testi
13-26, come « già pronte per la nuova edizione di Occhio di
capra » (OB III, p. xlv) e col titolo Voci inedite per « Occhio di
capra ».
Una situazione strati$cata, dunque, meritevole di una descrizione schematica del contenuto:1
Dedica ai nipoti
Citazione da J.L. Borges
Notizia
Abbrusciatu vivu comu a
Caleddru
A bon’è ca si mori
A cuda di surci
Addimuru
Aggiustari
Aggriffari
A li muorti muorti unn’è
A li piedi di lu cavaddru
Allammicu
Ammargiarisi
Ammatula ti spicci e fa’ cannola / ca lu santu è di marmaru e nun suda
Anti$cu
A pedi d’agnieddru
Arrifriscati l’armuzzi di lu
priatoriu
Arrubbari un annu a lu re
Arsu
Arti di pinna
A san Giustu ch’era giustu ci
mancava un jtu
A siccu a siccu
Assa’ è, zi Ta
Assa l’arma!
Assatanassatu
Astura
D21
×
×
1-4
7
Si
Ke
×
2
1
8
1
9
10
11
12
13-14
15
16
2
3
4
post Ke Ein84 OB Ade90
×
×
×
×
×
×
1
1
17
6
10
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
20
18
19
5
7
KC4 2
11
12
13
12
13
14
KC5 2
14
15
16
17
15
16
17
18
18
19
20
21
22
19
20
21
22
23
KC3 1
KC1 1
KC2 1
2
3
4
5
6
7
8
9
1
21
22
23
24
25
26
27
28
29
KC2 2
KC3 2
KL 1
1. Nella colonna con i dati di D21 le cifre arabe indicano le pagine in cui
si legge la voce (in corsivo le pagine in cui sono incollati ritagli da pubblicazioni anteriori), nelle altre il numero d’ordine delle voci nelle sillogi, eccetto in quella di OB III, dove si dà conto solo delle voci raccolte
nell’Appendice I; il segno × indica la presenza nelle singole raccolte dell’elemento testuale corrispondente.
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occhio di capra
D21
A tia m’arraccumannu lam- 30
piuni / quannu passu di
cca lustru m’ha’ fari
Aviri lu nomu lieggiu
Barruggieddru
31
Beddramatri
32
Buonu facisti ca ti nni isti
33
Caddruozzu
34
Caittu
35
Campari ’ncapu lu tabutu
Cani piriddru
36
Carcaruni
Casinu
37-38
Cassati di Pasqua e gialati di 39
munti
Catapanu. Farisi pigliari di
lu catapanu
Cattiva
42
Catuniari
43
Cavaliere porco, perché non 41
mi avete invitato|
Cca sutta ’un ci chiovi
40
Cci squaglia ’mmucca
44
C’è cori e curuzzu
51
Chi c’entra la carrozza di
45
muortu cu la putia di Maruzzu|
Chi mraculu chi $ci santa
46
Fara / la chiesa chiusa, e
la campana sona
47
Chi si fa a lu ’n$ernu| Si
marteddra
Cianciana
48
Ciccanninu
49
Ciciri muoddri
50
Ci sputassi vossia
52
Civita
53
Comu dissi chiddru
56
Craculi
54
Cu è sutta aggruppa li $la
58
Cu happi luci campà, cu
59
happi pani murì
Culuri di cani ca curri
60
Cumarca
55
Cuoriuduru
57
Curari
61
Cu tuttu ca sugnu uorbu, la 62
viu niura
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Si
Ke
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post Ke Ein84 OB Ade90
24
KC4 1 23
2
KC4 3
KC5 1
3
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KC4 4
24
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26
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28
3
9
29
4
KC1 3
30
31
5
KC3 3
37
38
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KC4 5
KC2 3
35
36
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KC5 3
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41
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47
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46
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12
13
33
7
14
15
16
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KC3 4
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note ai testi
D’aremi
Dicica
Diconedì
Di ’na $glia centu nori
Don Gaspàru
Donna Niculetta
E chi n’hammu a vidiri li
spicchia|
Ecla
E iddru pirchì sceccu si $ci|
E lu cuccu ci dissi a li cuccuotti / a lu chiarchiaru
nni vidiemmu tutti
E pi’ mia ti jetti|
E unni agghiorna agghiorna
E viva il socialismo e Dio che
l’ha creato / e viva Gangitano che è nostro deputato
Favarisi
Frustieri
Fuocu all’arma
Galantomu cu li piedi lieggi
Gruttisi
Hannu a passari sti vintinov’anni / unnici misi e
vintinovi jorna
Iu surfaru sugnu
Jttari ’nnimmi
La ’nchiusa pi’ lu mmiernu
La pianeta
L’armi santi
Li corna su’ cuomu li dienti:
duolino quannu spuntanu, ma pua siervinu pi
mangiari
Li cosi d’oru
Lisciari
Lu cani di don Miliu
Lu cani di Pinu
Lu cannuni
Lu crastu di Pasqua
Lu curnutu a lu so paisi, lu
sceccu unni va va
Lu pisci di lu mari / è distinatu cu si l’havi a mangiari
Lu puorcu all’organu
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occhio di capra
Lu quinnici d’agustu / la
rosa spampanata / Maria
la ’Mmaculata / ’ncelu si
n’acchianà
Lu sceccu di Silivestru
Lu sceccu zuoppu si godi la
via / la megliu giuvintù a
la vicaria
Ma chi fuvu n’antru|
Mammatessa
Milucchisi
Minni di sclava
Misericordia dissiru li griddri / quannu si detti fuocu a li ristucci
Mittiri loggia
Mittisi a pettini di quinnici
’Mmucca a un cani
Monsù
Nadurisi
’Na manu lava l’antra e tutti du lavanu la mascara
Narisi
’Ncapu a lu re c’è lu viciré
’Ncapu cappa minnulicchia
’Ncruci e ’n nuci
Nesciri lu cori
’Nfaccialarisi
’Ngiuria
’Nguliari
N’ha fattu quantu Ciccu Agnieddru
Nun c’è scuru, nun c’è fuddra / ca nun c’è lu parrinu Cipuddra
Nun mi futtinu: dintra ci su’
li cavaddri
’Nzirtari
’Nzitari
O santa lagnusìa ’un m’abbannunari / ca mancu
spieru abbannunari a tia
Papuocchiu
Parla quantu un judici poviru
Parlari ad onti
Parlari a ganga
Pigliari di lingua
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note ai testi
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Pigliari o purtari seculasecu- 129
lorum
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Pitaggiu
Quagliari
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Quannu la furtuna nun ti
dici / jettati ’nterra e cuogli babaluci
131
Quantu è laida la vista di
l’uocchi
132
Roba. La roba
Salemmi
133
Santa campana, stuccaticci 134
li vrazza a cu vi sona!
135
Sant’Alò
Santiari
136
Santomu
137
Sapiddru
138
S’arricuglì Sasà
142
Sa unni ci lucinu l’uocchi
140
Scinniri di la cruci. Lu scin- 141
nì di la cruci
143
Siccari lu cori
Signureddri
145
Si po’ viviri ’ntre un bicchieri 144
d’acqua
Sopritu
Sparacogna
146
Spina ca nun ti pungi, suvia 147
cuomu la sita
139
Spranzari
Spruniari
148
Sunari
150
Surciddri
149
Ti fazzu abballari la gran
151
surdana
Ti fazzu vidiri di chi erba si 152
fa la scupa
153
Tintu
Tragidiaturi
154
Trenta e du, vintuottu
Tunnu
Unni maggiuri c’è minuri
157
cessa / dissi lu puddricinu
nni la nassa
Unni va lu sceccu va la cuda 158
Uocchiu di crapa
155
Uocchiu $ci lu picuraru
156
Valenza
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occhio di capra
Viciu Crozza
Viegnu di lu muortu, e mi
dici ch’è vivu
Zàbara e zabàra
Ze, zi
I nomi vezzeggiati
Due indovinelli
Un canto
Nota
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×
Il testo della presente edizione è tratto da Ein84, l’ultima
cui sovrintese l’autore, e per le voci inedite da Ade90, di cui si
riproduce l’ordine. L’unico emendamento riguarda l’avverbio sopratutto, che in Ein84 44, 100 e 101, e nella voce La
’nchiusa pi’ lu mmiernu in Ade90 78 (e di conseguenza in OB III,
p. 919) si presenta in forma normalizzata (soprattutto ) e che
è stato adeguato all’uso sciasciano con t scempia, sia nelle
due occorrenze testimoniate anche dai dattiloscritti (qui p.
1182, da D21 142, e p. 1214, da uno dei foglietti con le voci
successive a Ke, KL e KC), sia negli altri due luoghi (qui pp.
1160 e 1215), dove è disponibile solo la documentazione a
stampa.
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Note ai testi di Sciascia Opere II, 1