Francesco Marchi Relazione finale di tirocinio TFA 2011/12 Relatore: Prof.ssa Rosetta Zan Co-relatore: Prof. Paolo Nardini Università degli Studi di Pisa Classe di concorso A049 Luglio 2013 Indice Introduzione iv 1 L’informatica negli apprendimenti disciplinari e come strumento trasversale per la didattica 1.1 Difficoltà degli alunni nell’utilizzo di alcuni strumenti informatici . . 1.1.1 Analisi statistica di dati e foglio di calcolo . . . . . . . . . . 1.2 Potenziare le competenze informatiche . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.1 Attività svolte come docente di informatica . . . . . . . . . . 1.2.2 Un progetto interdisciplinare sul pendolo . . . . . . . . . . . 1.3 L’utilizzo di documenti condivisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.1 Appunti di classe condivisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.2 Promuovere la trasparenza nelle valutazioni . . . . . . . . . 1.3.3 Il “diario di bordo” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1 1 3 3 6 7 8 10 11 2 Il problema della valutazione nella scuola secondaria 2.1 La valutazione degli apprendimenti degli alunni . . . . 2.1.1 Correzione di verifiche scritte . . . . . . . . . . 2.2 La valutazione dei docenti . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.1 Questionari di valutazione della didattica . . . . 12 12 12 16 16 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Stili di apprendimento ed integrazione fra saperi 18 3.1 Fisica, Matematica, Informatica: possibili sinergie e discontinuità . 19 3.1.1 Applicazioni della matematica alla fisica? . . . . . . . . . . . 19 3.1.2 L’insegnamento della Matematica e della Fisica: separare le cattedre? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 3.2 Scienze naturali vs “scienze dure” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 3.2.1 Forme di rappresentazione della conoscenza . . . . . . . . . 23 3.2.2 Dalla mappa concettuale alla formula fisica . . . . . . . . . . 23 A L’integrazione degli alunni con disabilità A.1 Il gruppo H del Liceo Scientifico “E. Majorana” e il mio tirocinio A.1.1 Descrizione sintetica del contesto . . . . . . . . . . . . . A.1.2 La “filosofia di lavoro” e l’impostazione delle attività . . . A.1.3 Il mio lavoro all’interno del gruppo . . . . . . . . . . . . A.2 Le attività del gruppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.2.1 Laboratorio di musicoterapia . . . . . . . . . . . . . . . . A.2.2 Laboratorio di psicomotricità . . . . . . . . . . . . . . . A.2.3 Laboratorio “territoriale” . . . . . . . . . . . . . . . . . . i . . . . . . . . . . . . . . . . 25 25 25 26 26 27 27 29 30 ii A.2.4 A.3 Alcuni A.3.1 A.3.2 A.3.3 Altre attività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . insegnamenti dell’esperienza formativa . . . . . . . Dalle didattiche speciali alle didattiche disciplinari . Le difficoltà specifiche degli insegnanti di sostegno . Alcune riflessioni sul metodo di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . B Scoprire la fisica con il pendolo: proposta di un progetto tico per reti di scuole B.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . B.2 Un esempio di modulo didattico . . . . . . . . . . . . . . . B.2.1 Perché l’esperimento? Scopi e metodi della fisica . . B.2.2 Esiti di una prima sperimentazione sul campo . . . didat- C Materiali utilizzati, attività svolte e riflessioni teoriche: complementi C.1 Alcuni materiali complementari . . . . . . . . . . . . . . . C.1.1 Griglie di correzione delle verifiche scritte . . . . . . C.1.2 Questionari di valutazione della didattica . . . . . . C.2 Altre attività svolte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . C.2.1 Perché il calcolo letterale? . . . . . . . . . . . . . . C.2.2 Cosa si può vedere nel cielo? . . . . . . . . . . . . . alcuni Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 31 31 32 33 . . . . 35 35 35 36 38 . . . . . . 42 42 42 43 47 47 48 53 Elenco delle figure 1 Dettaglio delle attività svolte nel corso dell’A.S. 2012/13 . . . . . . v A.1 Alcune immagini relative al laboratorio di musicoterapia . . . . . . 34 C.1 C.2 C.3 C.4 43 44 50 Griglia di misurazione degli esiti di una verifica . . . . . . . . . . . Intestazione di una verifica scritta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Un esempio di mappa concettuale per l’insegnamento delle scienze . Un esempio di applicazione delle mappe concettuali alla didattica dell’astronomia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . C.5 “La costruzione” di una grandezza fisica tramite mappe concettuali . 51 52 Elenco delle tabelle 1 Dettagli relativi ai tutor scolastici e alle loro classi . . . . . . . . . . viii iii Introduzione I contenuti di questa relazione di tirocinio e la loro organizzazione Nell’impostazione e stesura della presente relazione di tirocinio mi sono preliminarmente posto il problema di come sintetizzare, armonizzare e rendere il più significativo possibile l’insieme degli apprendimenti teorici e delle attività pratiche riferibili al presente anno scolastico: sia quelli connessi direttamente con il percorso TFA, sia quelli legati alla mia esperienza ed attività di insegnante. Nel periodo compreso fra settembre 2012 e giugno 2013, infatti, relativamente alla mia formazione e professione di insegnante, ho fatto esperienze che possono essere fatte rientrare, in sintesi, in tre aree: • Corsi TFA di didattiche disciplinari e della cosiddetta “area comune” (ovvero didattiche generali, didattiche speciali, psicopedagogia . . . ). • Attività di tirocinio (diretto e indiretto) nella scuola secondaria. • Attività di docenza in qualità di supplente, sempre nella scuola secondaria. Una descrizione più analitica e dettagliata di queste attività, con riferimenti temporali precisi, è proposta nella figura 1. Nel portare avanti queste tre “direttrici di lavoro” ho cercato di intrecciarle nel modo più stretto possibile, attuando - ogniqualvolta si presentasse l’opportunità - processi di trasferimento tra apprendimenti teorici e loro traduzioni in prassi didattiche e, viceversa, cercando di leggere e interpretare fatti, attività ed eventi avvenuti in classe alla luce delle conoscenze e competenze che andavo via via maturando grazie ai corsi TFA. In questo modo ho provato sia a rendere più significativa la mia esperienza formativa del TFA sia a rendere più efficace la mia attività come insegnante. Ho lavorato secondo questa logica, che è sostanzialmente quella indicata dal decreto ministeriale istitutivo dei TFA (MIUR, 2011, art. 10, comma 6), in cui si fa presente che: [. . . ] La relazione consiste in un elaborato originale che, oltre alle attività svolte dal tirocinante, deve evidenziare la capacità del medesimo di integrare ad un elevato livello culturale e scientifico le competenze acquisite nell’attività svolta in classe e le conoscenze in materia psico-pedagogica con le competenze acquisite nell’ambito della didattica disciplinare e, in particolar modo, nelle attività di laboratorio. iv Figura 1: Dettaglio delle attività svolte nel corso dell’A.S. 2012/13. I numeri nelle intestazioni in alto si riferiscono alle varie settimane degli anni solari 2012 e 2013. Si notano diverse sovrapposizioni fra attività di insegnamento, di tirocinio e dei corsi TFA. v In questo modo ho potuto disegnare un percorso formativo che si inserisse con coerenza all’interno della mia attività, in corso di svolgimento, di docente supplente, e delle mie esperienze pregresse nell’ambito dell’insegnamento. Il metodo di lavoro Per la stesura della presente relazione di tirocinio: 1. Ho individuato le principali attività da me svolte nel corso del corrente anno scolastico come docente, come studente dei corsi universitari TFA e come tirocinante; 2. ho scelto - all’interno dei gruppi di attività sopra indicati - i contenuti, gli spunti di riflessione e i percorsi che mi sono sembrati maggiormente significativi, tenendo conto di: (a) Quanto stretti erano i legami tra gli apprendimenti, le considerazioni teoriche e le loro possibili ricadute nelle prassi didattiche. (b) Quanto fosse forte la loro caratterizzazione in senso interdisciplinare. (c) Quante risorse, sia di materia psicopedagogica, sia di materie disciplinari, tali percorsi attivassero. (d) Quanto fosse il mio interesse e/o la concreta possibilità di lavorare nuovamente in futuro su tali temi, come insegnante di scuola secondaria. 3. sono così arrivato ad isolare dei “temi di lavoro”, che sono quelli attorno a cui si sviluppa la presente relazione di tirocinio. Le fasi appena elencate si sono in parte succedute le une alle altre in senso cronologico; in parte, ci sono stati processi di feedback tra una fase di lavoro e l’altra. E’ stato altresì operato un grande lavoro di sintesi rispetto alla ricchezza dei materiali e degli spunti di riflessione forniti da questo anno, molto denso dal punto di vista formativo e professionale; con ciò intendo sottolineare che la presente relazione di tirocinio non può essere considerata esaustiva rispetto alle attività svolte e che la scelta personale dei contenuti da trattare ha giocato un ruolo particolarmente importante. I temi trattati e l’organizzazione in capitoli I nuclei tematici attorno a cui si sviluppa questo lavoro riguardano in buona parte questioni di didattica generale: parlerò infatti, nei primi due capitoli, dell’utilizzo di strumenti informatici e di alcuni aspetti relativi alla valutazione (tanto degli alunni quanto dei docenti) da un punto di vista che prescinde totalmente (o quasi) da qualsiasi specificità disciplinare. Questo non significa però che tali temi siano completamente avulsi dalle didattiche disciplinari. Anzi, diversi riferimenti ad attività svolte in classe, sia come insegnante che come tirocinante, illustrano le ragioni di una tale attenzione a questioni di didattica generale; questioni che vi possono avere ricadute anche sulle pratiche collegate all’insegnamento della Matematica e della Fisica. In ogni caso, una delle principali ragioni che mi ha indotto a porre una particolare attenzione su aspetti di didattica generale risiede nel fatto che, tra gli apprendimenti del mio percorso TFA, sono proprio i contenuti della cosiddetta “area comune” ad essere stati particolarmente nuovi per me: durante il mio percorso di studi, infatti, avevo già seguito numerosi corsi universitari di Didattica della Matematica e Didattica della Fisica1 . Nel terzo capitolo, invece, è maggiore l’attenzione a specifici aspetti dell’insegnamento della Matematica e della Fisica, anche all’interno di un più ampio contesto di insegnamento delle cosiddette Scienze Integrate. Ho cercato di raccordare nel modo più “liscio” possibile attraverso i vari capitoli tanto i vari temi affrontati, che si susseguono secondo un filo argomentativo che attraversa interamente questo lavoro, quanto “l’ambito di provenienza” delle varie riflessioni (insegnamento, tirocinio, corsi TFA). Il mio percorso formativo e professionale Alcune informazioni di contesto Nel corso del presente anno scolastico ho lavorato come supplente temporaneo in alcune classi del Liceo Scientifico “E. Majorana” di Capannori (in provincia di Lucca). Il Liceo fa parte dell’I.S.I.S.S. della Piana di Lucca, istituto costituito appunto dal Liceo Scientifico e dall’Istituto Tecnico Economico e Tecnologico “A. Benedetti”. L’Istituto nel suo complesso può esser considerato una scuola assai piccola; in particolare, all’interno della sezione liceale sono presenti, per ogni anno di corso, dalle tre alle cinque sezioni. Oltre a diverse sperimentazioni attive negli anni terminali (PNI Fisica, PNI Matematica e Fisica), sono presenti, dal corrente anno scolastico, due classi prime dell’opzione Scienze Applicate. Il dettaglio delle classi in cui ho lavorato come supplente è quello già illustrato nella figura 1. La classe 5A è una classe dell’indirizzo PNI Matematica; le classi 1A, 1B, 1C sono classi di ordinamento; le classi 1D e 1E sono classi dell’opzione Scienze Applicate. La classe 4AB, in cui ho lavorato come docente di Fisica, è una classe costituita da alunni provenienti dalle classi 4A e 4B che, durante le ore di Fisica, si dividevano fra il corso tenuto da me (per gli alunni dell’indirizzo PNI Matematica) e quello del prof. Manfredini (PNI Matematica e Fisica); si tratta, insomma, di una cosiddetta classe articolata. Nell’ultima parte dell’anno scolastico, la scuola ha anche dato la disponibilità ad accogliermi come tirocinante TFA, insieme ad altri tre tirocinanti provenienti da altre classi di abilitazione. I docenti individuati come tutor scolastici, che già conoscevo in quanto miei colle1 I corsi di didattiche disciplinari seguiti nell’ambito del percorso TFA mi hanno comunque fornito ulteriori nuovi stimoli e conoscenze, rispetto a corsi analoghi già seguiti: questo a testimonianza della ricchezza di questi ambiti di insegnamento/apprendimento/ricerca. vii ghi al Liceo, sono stati il prof. Trinchera, responsabile del gruppo H della scuola, il prof. Manfredini e la prof.ssa Pasquini, tutti e tre insegnanti di ruolo. Pur non essendo tenuto a svolgere attività di tirocinio relativo alla mia classe di abilitazione (in virtù dei crediti riconosciuti per servizio prestato - nel presente e nei passati anni scolastici - sulla classe di concorso A049) ho scelto di prendere comunque contatti con due docenti di ruolo che potessero costituire per me un riferimento formativo anche sulla classe di concorso sulla quale insegno ormai da cinque anni. Ho avuto così modo di seguirli tanto nelle lezioni di matematica che in quelle di fisica delle loro classi; per ragioni “di opportunità”, sentiti anche i pareri sia della prof.ssa Pasquini che della prof.ssa Zan, docente del corso di Didattica della Matematica per il TFA, ho deciso di non presentarmi come tirocinante nella classe 1D, in cui la prof.ssa Pasquini era docente di Matematica e in cui io avevo un incarico, come già detto, in qualità di docente di Informatica. Ulteriori dettagli sui tutor scolastici e sulle classi sono proposti nella tabella 1. Tabella 1: Attività di tirocinio: dettagli relativi ai tutor scolastici e alle loro classi. Come detto nel testo, non ho svolto attività di tirocinio diretto nella classe 1D, che pure rientra fra le classi della prof.ssa Pasquini. Docente tutor Classe Disciplina di insegnamento Trinchera 1A, 1E, 2A, 5B sostegno Manfredini 3C, 4AB, 5C matematica e fisica Pasquini (1D), 2C, 5B matematica Un’importante occasione formativa La scelta di cogliere l’opportunità di un’occasione formativa come quella costituita dal tirocinio (diretto e indiretto) ha comportato per me un aggravio di impegni non richiesti da un punto di vista formale; ma è stata un’ottima occasione di apprendimento da insegnanti-esperti. Più che di apprendimento, nel mio caso, si è trattato spesso anche di confronto, dal momento che anch’io, dopo diversi anni di insegnamento, ritengo di possedere un bagaglio di esperienze e competenze che mi hanno consentito di discutere con i tutor, oltre che come tirocinante, come collega non del tutto estraneo alle problematiche e dinamiche dei processi di insegnamento/apprendimento. Anzi, il fatto di aver già acquisito esperienza nella gestione dei numerosi aspetti di carattere più burocratico legati alla professionalità dell’insegnante mi ha permesso di concentrare la quasi totalità delle mie attenzioni su aspetti più propriamente didattici; e, proprio per questo, il numero delle ore di tirocinio dedicate ad attività collegiali (consigli di classe, collegi docenti . . . ) sono state ridotte al minimo, dal momento che ho partecipato a tali attività in qualità di docente del Liceo, prima che come tirocinante. viii I risultati di questa esperienza sono confluiti in parte in alcuni lavori che ho presentato come elaborati per gli esami di didattiche disciplinari del TFA2 e in parte saranno oggetto di rielaborazione futura: numerose sono infatti le riflessioni e gli spunti ancora in forma di bozza e che, per ragioni di spazio, non saranno presentati in questa relazione di tirocinio. Ad ogni modo, con tutti e tre i docenti tutor, abbiamo anche gettato le basi per alcune discussioni e per alcuni progetti che ci auguriamo di poter continuare a portare avanti nel corso dei prossimi mesi e dei prossimi anni scolastici. 2 Vedi (Marchi, 2013b), (Marchi, 2013e), (Marchi, 2013d). ix Capitolo 1 L’informatica negli apprendimenti disciplinari e come strumento trasversale per la didattica Questo primo capitolo avrà come filo conduttore l’informatica, non tanto come disciplina oggetto di studio in sé, quanto come strumento (o insieme di strumenti) dalle molteplici ricadute in ambito didattico: nelle specifiche didattiche disciplinari (Matematica e Fisica nel nostro caso) e in numerose attività collegate in vari modi ai processi di insegnamento e di apprendimento. 1.1 Difficoltà degli alunni nell’utilizzo di alcuni strumenti informatici Il punto di partenza delle riflessioni di questo capitolo, nonché di diverse attività che ho portato avanti, sia nell’ambito dell’incarico come supplente presso il Liceo Scientifico “E.Majorana” che in relazione ai corsi di didattiche disciplinari del TFA, è un’attività di laboratorio svolta con gli alunni della classe 4AB. 1.1.1 Analisi statistica di dati e foglio di calcolo Descrizione di un’attività svolta in classe Come previsto dal progetto didattico e dalla programmazione da me presentati all’inizio dell’anno scolastico, nel periodo più o meno a cavallo fra primo e secondo quadrimestre, è stato affrontato, nella classe 4AB, lo studio dei gas perfetti e delle loro leggi classiche. In relazione a tale tema, è stata svolta un’attività sperimentale nel laboratorio di fisica: con l’aiuto del tecnico di laboratorio è stato allestito un semplice apparato in cui potevamo far espandere un gas (dell’aria) all’interno di una provetta di vetro, provocandone l’aumento di temperatura attraverso un riscaldatore. Era possibile effettuare misure della temperatura del gas tramite un termometro e determinare, indirettamente, il suo volume, misurando il livello (variabile in conseguenza delle variazioni di temperatura) della parete mobile del recipiente entro cui era contenuto il gas. 1 Capitolo 1. L’informatica nella didattica 2 Dopo aver raccolto un certo numero di dati sperimentali utili a studiare la relazione tra temperatura e volume, nelle lezioni successive ci siamo recati nel laboratorio di informatica per analizzare quantitativamente tali dati ed arrivare (auspicabilmente) a “scoprire” la prima legge di Gay-Lussac1 (GL1). Il lavoro da svolgere al computer era - o almeno credevo che tale sarebbe risultato agli alunni - piuttosto elementare. Su mio suggerimento, infatti, era loro richiesto di: 1. Inserire nelle celle di un foglio di calcolo i dati raccolti in laboratorio; nella fattispecie i valori della temperatura e i corrispondenti livelli della parete mobile del recipiente che conteneva il gas; 2. inserire in una cella del foglio di calcolo il valore della sezione della provetta utilizzata, al fine di calcolare i valori del volume del gas corrispondenti ai diversi livelli della parete mobile2 ; 3. determinare, tramite l’inserimento di una semplice formula (prodotto tra la sezione - costante - ed i diversi livelli della parete - variabili), i valori assunti dal volume del gas; 4. tracciare un grafico cartesiano (T,V) e verificarne l’andamento (approssimativamente) lineare; 5. (eventualmente) determinare l’equazione della retta di miglior interpolazione dei dati ed il valore dei parametri corrispondenti a tale retta. Le difficoltà degli alunni Pure nello svolgimento di un’attività piuttosto semplice come quella appena descritta (soprattutto in considerazione del fatto che si trattava di alunni di una classe quarta), ho riscontrato difficoltà diffuse praticamente in tutta la classe: sia difficoltà specifiche nell’utilizzo dello strumento informatico proposto, sia - immagino - difficoltà nel coordinare competenze afferenti a due discipline di insegnamento diverse, l’informatica e la fisica3 . Inoltre, le difficoltà prescindevano dal particolare software usato: ho infatti proposto agli alunni di usare un programma a loro scelta fra GeoGebra (che dispone di un foglio di calcolo interno), Excel e Calc, rispettivamente delle suite per l’ufficio Microsoft Office e OpenOffice o un foglio di calcolo online di Google Drive. Queste difficoltà sono state da me affrontate e in buona misura superate nel corso di alcune lezioni con gli studenti della classe. Tuttavia, questa soluzione ad hoc mi 1 Parlo di scoprire e non di verificare la legge perché essa non era stata introdotta precedentemente agli alunni “da un punto di vista teorico”. 2 Ovviamente, dal momento che tra livello del gas e volume sussiste una relazione lineare, al fine di verificare la legge in questione non era necessario determinare il volume. Tuttavia, visto che la GL1 parla esplicitamente di volume e temperatura, ho preferito far lavorare i ragazzi con queste due grandezze, per non introdurre una possibile fonte - per loro - di sovraccarico cognitivo. 3 Per la verità, l’informatica non è stata oggetto di insegnamento specifico per i ragazzi della classe in questione; tuttavia è lecito aspettarsi che nel corso degli anni precedenti gli alunni dovrebbero aver acquisito competenze basilari nell’utilizzo del foglio di calcolo attraverso il suo utilizzo in attività di altre discipline o di carattere interdisciplinare. Capitolo 1. L’informatica nella didattica 3 ha lasciato con il sospetto che non si trattasse di un caso isolato, ma che piuttosto lacune nelle competenze informatiche basilari fossero diffuse anche in altre classi; alcuni occasionali scambi di opinioni con qualche collega mi hanno sostanzialmente confermato nel mio sospetto. 1.2 Potenziare le competenze informatiche Proprio dalle lacune di cui ho appena parlato ho preso spunto per alcune attività mirate al potenziamento delle specifiche competenze informatiche in cui gli alunni erano risultati carenti. Questo mi è stato reso possibile dal fatto che, a partire dal mese di gennaio del 2013, sono stato nominato come supplente di Informatica, fino al termine delle lezioni, nelle classi 1DSA e 1ESA, due classi dell’indirizzo Scienze Applicate, sempre facenti parte del Liceo “E. Majorana”. La programmazione proposta all’inizio dell’anno scolastico dalla collega che avrei sostituito fino al termine delle lezioni prevedeva di trattare nel secondo quadrimestre anche il foglio di foglio di calcolo e le sue applicazioni, coerentemente con le Indicazioni Nazionali. 1.2.1 Attività svolte come docente di informatica Ho dedicato perciò un consistente numero di ore di lezione allo studio del foglio di calcolo. La quantità di tempo destinata a spiegazioni “di tipo teorico” è stata ridotta all’essenziale: soprattutto mi sono soffermato sulla necessità di progettare con particolare cura la struttura del foglio di calcolo, prima di implementarne una sua realizzazione concreta con una delle applicazioni utili a tale scopo. Ho infatti sottolineato l’importanza di inserire dati che abbiano caratteristiche di atomicità, di scegliere opportunamente quali dati mettere nelle righe e quali nelle colonne a seconda del caso specifico su cui si sta lavorando, nell’impostare in modo chiaro le intestazioni di righe e colonne e così via. Ma, soprattutto, ho fatto lavorare direttamente gli alunni su applicazioni concrete di questo strumento informatico. Per la classe 1DSA ho ideato e realizzato un piccolo progetto, che si è sviluppato lungo l’arco di 4-5 lezioni, dedicato allo studio della caduta libera di un grave con lo scopo di ottenere una relazione tra il tempo di caduta e la quota di lancio. Ho suddiviso la classe in vari gruppi di lavoro, ciascuno dei quali si sarebbe occupato di un compito specifico: • Coordinamento fra i vari gruppi; • ideazione e creazione del foglio di calcolo; • raccolta dati; • inserimento dati nel foglio di calcolo; • creazione grafico ed estrapolazione di una previsione; Capitolo 1. L’informatica nella didattica 4 • verifica sperimentale della previsione; • esposizione alla classe del progetto. Ho lasciato a ciascun alunno decidere in quale gruppo avrebbe voluto lavorare, in modo da venire incontro ai loro specifici interessi e predisposizioni; non è stato difficile assegnare ciascun alunno ad un gruppo, rispettando il vincolo che ogni gruppo sarebbe stato costituito da tre-quattro ragazzi4 . La maggior parte degli allievi ha mostrato un grande entusiasmo per l’attività che stavamo svolgendo ed ha avuto occasione di sviluppare competenze specifiche (da quelle relative alla raccolta di dati quantitativi tramite metro e cronometro a quelle informatiche), ma anche competenze trasversali, legate al lavoro di gruppo di tipo cooperativo. Particolarmente evidente è stata la sensazione che ciascuno stesse facendo ciò con cui si sentiva più a suo agio, proprio grazie alla possibilità lasciata agli alunni di scegliere liberamente il gruppo di lavoro; un momento di sintesi, utile a costruire comunque una base comune di apprendimenti condivisi dalla classe, è stato quello finale, dell’esposizione dell’intero progetto fatta da alcuni alunni tramite l’ausilio di una presentazione tipo PowerPoint. Per non creare disomogeneità eccessive nelle competenze specifiche dei ragazzi, la soluzione ottimale sarebbe forse quella di alternare i compiti portati avanti da ciascuno di loro nello svolgimento di successive esperienze impostate su un analogo metodo di lavoro. Tuttavia, nell’accogliere in buona parte la progettazione fatta ad inizio anno dalla collega che mi ha preceduto in questa classe nell’insegnamento dell’Informatica, non ho avuto modo di svolgere, nella restante parte dell’anno scolastico, attività analoghe. Ulteriori elementi emersi dallo svolgimento di questo progetto sono descritti nell’appendice B.2.2. Nella classe 1ESA è stato utilizzato il foglio di calcolo per tracciare un grafico relativo alla curva di riscaldamento dell’acqua a partire da dati sperimentali raccolti in laboratorio dai ragazzi sotto la supervisione della collega insegnante di Scienze; in questo modo i ragazzi hanno potuto apprezzare vantaggi e svantaggi dello strumento informatico rispetto al tracciare con carta (millimetrata) e penna un simile grafico. Oltre a questi due progetti, nel corso di diverse successive lezioni, in entrambe le classi è proseguito l’utilizzo del foglio di calcolo, sostanzialmente secondo due direttrici: • raccolta ordinata e classificazione di vari tipi di dati, non necessariamente numerici, anche provenienti da ambiti diversi dalle scienze esatte; 4 La divisione in gruppi appena illustrata si è basata su una suddivisione del compito complessivo in vari processi; si è trattato, insomma, di una scelta basata piuttosto ingenuamente su una sorta di buon senso. Nell’ambito delle teorie sul cooperative learning esistono indicazioni piuttosto precise sulla composizione dei gruppi al fine di aumentare l’efficacia delle attività di insegnamento/apprendimento: si tratta certamente di un tema che vorrò affrontare in modo più approfondito nel mio aggiornamento futuro (essendo stato trattato in misura minima anche nei corsi dell’area comune del TFA da me seguiti). Capitolo 1. L’informatica nella didattica 5 • raccolta di dati quantitativi e loro analisi elementare, nel caso in cui tali dati fossero di natura numerica. Di questi due tipi di operazioni mentali, oltre che pratiche, e delle relazioni tra di esse, tornerò a parlare in 3.2.1. Acquisire competenze attraverso il fare Solitamente, l’informatica viene proposta come disciplina in cui ci si occupa della raccolta, archiviazione ed elaborazione di dati. Questa classica definizione era stata proposta all’inizio dell’anno scolastico agli alunni che tuttavia, quando sono stati posti di fronte a compiti in cui si chiedeva loro di ordinare o analizzare dati provenienti dai più disparati ambiti di conoscenza, sono sulle prime rimasti spiazzati. Un intervento che mi ha particolarmente colpito, dopo che avevo discusso su come poter raccogliere dati relativi al tempo di caduta di un oggetto, all’interno di un foglio di calcolo, e di come poterne estrapolare una previsione di una qualche legge è stato quello di un alunno che mi ha detto - più o meno - le seguenti parole: “prof, ma questa non è informatica; è fisica!”. Ebbene, tale intervento mi sembra estremamente indicativo di almeno due nodi centrali - e spesso irrisolti - delle didattiche tradizionali: • Un approccio ai processi di apprendimento per argomenti, sempre proposti all’interno di discipline chiuse le une alle altre, anziché per problemi. Lo studio della relazione tra il tempo di caduta e la quota di lancio di un grave è un problema che può richiedere, a seconda del livello delle risposte che vogliamo cercare, di attivare risorse cognitive e operative provenienti dalla fisica, dalla matematica, dall’informatica . . . In questa trasmissione di conoscenze/competenze irrigidite all’interno di compartimenti stagni, e rese spesso per questo stesso fatto prive di vita, penso che noi insegnanti abbiamo delle responsabilità notevoli e credo che un ripensamento delle didattiche realmente messe in atto (e non solo nelle Indicazioni o in documenti di varia fonte) sarebbe più che necessario5 . • La distanza tra conoscenze e competenze. La memorizzazione di una nozione come “l’informatica è la scienza che si occupa di organizzare ed elaborare dati” si è rivelata fine a se stessa (e ad un’eventuale verifica delle nozioni, anch’essa - a questo punto - fine a se stessa): quando si è trattato di vedere che in pratica era effettivamente così, molti alunni (sicuramente l’autore dell’intervento di cui sopra) hanno in realtà dimostrato la fragilità e l’inutilità della nozione acquisita. Come biasimare allora l’alunno che alla domanda “cos’è l’informatica?” risponde dicendo che “è l’uso del computer”? Come biasimarlo se ci si limita a fargli piovere dall’alto una definizione che è destinata a scivolare via se non gli si fa vedere in concreto che l’informatica è molto di più? Proprio per rispondere a problematiche come quelle appena sollevate (e nella convinzione che le modalità di verifica degli apprendimenti debbano avere un ruolo di 5 Di questi temi parlo anche in A.3.1. Capitolo 1. L’informatica nella didattica 6 guida nella progettazione degli interventi didattici) nelle verifiche scritte successive alla trattazione dell’argomento ho chiesto spesso agli alunni di progettare sul proprio foglio - con carta e penna! - delle strutture tipo foglio di calcolo utili a raccogliere ed elaborare dati di varia natura che proponevo loro. Questa certamente è una delle competenze da provare a costruire - e verificare! - e non un mero inserimento di dati in fogli di calcolo già progettati dall’insegnante o chi per lui. 1.2.2 Un progetto interdisciplinare sul pendolo Il progetto sulla caduta dei gravi proposto nella classe 1DSA è stato anche lo spunto, per me, per allargare l’orizzonte e proporre una sorta di sua estensione, destinata anche a classi successive dello stesso indirizzo di scuola. Ho presentato a tal proposito una relazione scritta (Marchi, 2013d), poi discussa nella prova d’esame relativa al corso di Preparazione di esperienze didattiche; ulteriori materiali, che non sono confluiti all’interno di tale relazione, sono proposti nell’appendice B. In tale progetto propongo di individuare alcuni aspetti particolarmente significativi dell’insegnamento della fisica sia come disciplina in sé (processo di misura, trattazione di incertezze, relazione tra due grandezze fisiche . . . ), sia in relazione con altre discipline (calcolo di integrali, rappresentazioni cartesiane, ruolo della tecnologia nello sviluppo della scienza . . . ). Il tutto prendendo come tema unificante il pendolo, un sistema fisico che ha sicuramente giocato un ruolo molto importante nello sviluppo della scienza6 . Un problema aperto: specificità disciplinari vs interdisciplinarità Rimandando al lavoro già citato (Marchi, 2013d) per una discussione più approfondita, mi limito qui a sottolineare una delle principali peculiarità del progetto di cui stiamo parlando, ovvero la sua forte caratterizzazione in senso interdisciplinare, che trova una delle sue ragioni di essere nelle difficoltà degli alunni messe in luce in 1.1. E’ legittimo chiedersi, quanto tale interdisciplinarità sia da considerarsi una finalità da perseguire nella progettazione di attività didattiche nella scuola secondaria e se essa non sia invece un ostacolo all’acquisizione di consapevolezza, da parte degli alunni, delle specificità metodologiche e operative proprie di ciascuna disciplina oggetto di insegnamento. La questione è stata brevemente discussa con i docenti del corso di Preparazione di esperienze didattiche anche in sede d’esame, durante il colloquio orale; pur nella brevità del confronto, siamo giunti alla conclusione che, se a livello universitario è opportuno che tali specificità emergano con chiarezza, a livello di scuola secondaria una fusione di metodi e di diversi punti di vista può essere accolta con maggiore naturalezza. Sul tema dell’interdisciplinarità, in ogni caso, tornerò nel capitolo 3, maggiormente focalizzato sulla questione. Un’ultima nota, tutt’altro che peregrina, riguardo allo “sconfinamento” da me fatto, in quanto insegnante di Informatica, nell’ambito della Fisica: esso è sia legato ad una convinzione personale dell’opportunità di fondere nella pratica didattica discipline diverse (al fine del conseguimento di competenze da parte degli alunni), sia ad una ragione di tipo organizzativo. Ho infatti proposto alla collega, docente 6 Questo lavoro si basa, fra l’altro, sulla tesi di Laurea Specialistica da me discussa presso l’Università degli studi di Bologna (Marchi, 2008, cap. 4). Capitolo 1. L’informatica nella didattica 7 di Fisica nella classe 1DSA, di portare gli alunni in laboratorio di fisica a raccogliere misure relative al periodo di oscillazione di un pendolo semplice, in modo da poter poi analizzare tali dati e da arrivare - è legittimo aspettarsi - a risultati più facilmente interpretabili di quelli relativi al tempo di caduta di un grave7 . Tuttavia la collega in quel periodo stava affrontando un’altra parte del programma e perciò ha fatto fatica ad inserire una simile attività all’interno della sua programmazione. Questo evidenzia, secondo me, la necessità di un’adeguata progettazione curricolare, anche interdisciplinare, all’inizio dell’anno scolastico, al fine di individuare tempi e modalità per realizzare attività didattiche veramente significative per gli apprendimenti degli alunni; laddove tale programmazione sia efficace, e laddove le interazioni fra i diversi docenti coinvolti siano buone, anche le necessità di “sconfinamenti” al di fuori della propria disciplina si faranno senza dubbio meno pressanti. 1.3 L’utilizzo di documenti condivisi Nel momento in cui ho deciso di trattare l’argomento del foglio di calcolo nelle classi prime, si è posto il problema della scelta dello specifico software su cui lavorare; le opzioni fra cui ho deciso di effettuare la mia scelta sono state le tre seguenti: • Microsoft Excel • Calc (della suite OpenOffice) • Foglio di calcolo di Google Drive La scelta riguardava principalmente le seguenti dicotomie: software proprietario vs software libero; software as a service (ovvero da utilizzare sul web) vs software da utilizzare in locale (sul proprio computer). Dopo aver presentato le varie opzioni alla classe, illustrando i principali vantaggi e svantaggi di ciascuna, la scelta è ricaduta sull’impiego del servizio di documenti condivisi di Google, principalmente per le seguenti ragioni: • E’ prevista la possibilità di esportare sul proprio PC i documenti su cui si lavora online, sia in formati proprietari che in formati liberi; quindi, in un certo senso, questa scelta comprende le altre due. • Da un punto di vista squisitamente didattico, l’utilizzo di un tale servizio consente una maggiore integrazione con il modulo didattico relativo all’utilizzo della rete e del web, previsto dalla programmazione proposta all’inizio dell’anno scolastico. • Anche se la condivisione di materiali è possibile ad esempio tramite l’utilizzo di posta elettronica o di cartelle di rete condivise, tramite il software scelto è più immediato condividere documenti: 7 Nello studio delle oscillazioni di un pendolo, infatti, considerando insiemi di più oscillazioni successive, è possibile ridurre significativamente le incertezze nella misura dei tempi, imputabili in gran parte al tempo di reazione e coordinazione oculo-manuale del cronometrista. Capitolo 1. L’informatica nella didattica 8 – Internamente alla classe, in relazione alla disciplina oggetto di insegnamento. – Internamente alla classe, ma con colleghi di altre discipline. – Fra varie classi, magari coinvolte in progetti comuni. • E’ possibile e molto semplice gestire diversi livelli di permessi relativi ai documenti creati: dalla possibilità di editare tali documenti a quella di commentarli a quella di sola visualizzazione. • L’utilizzo del cloud e di servizi online sembra più vicino ai possibili sviluppi nel breve-medio termine dell’informatica e delle sue applicazioni. In questo modo, una scelta nata a partire da uno specifico problema riscontrato tramite lo svolgimento di una specifica attività disciplinare svolta in una classe (un esperimento con analisi dati di fisica), mi ha condotto a riflessioni di carattere più generale; ed anzi la scelta fatta ha acquisito lo status di potenziale strumento e metodo di lavoro trasversale alle discipline. L’impiego di documenti condivisi è stato alla base dell’ideazione di ulteriori attività che ho sperimentato nelle classi prime e nella classe 4AB. Non ho ritenuto opportuno proporre tali iniziative anche alla classe 5A, pensando che ciò avrebbe potuto costituire un aggravio degli impegni personali degli alunni, fortemente concentrati all’ottimizzazione di tempi ed energie in preparazione dell’Esame di Stato, piuttosto che orientati a costruire competenze dalle potenziali ricadute sul medio-lungo termine. 1.3.1 Appunti di classe condivisi Una delle esperienze che ritengo maggiormente significative è la redazione di una sorta di quaderno degli appunti della classe. Ad ogni lezione un alunno (che cambiava di lezione in lezione, procedendo secondo l’ordine alfabetico) era incaricato di prendere gli appunti con particolare cura; a casa avrebbe trascritto tali appunti in un file condiviso visibile a tutta la classe; successivamente, io suggerivo alcune correzioni o commenti, se necessari. Obiettivi dell’attività proposta Le finalità che mi sono prefisso di raggiungere con tale attività sono molteplici e, sebbene non ci sia stato un vero e proprio momento in cui ho verificato in modo formale il raggiungimento di obiettivi specifici legati a tali finalità, credo che l’esito della sperimentazione possa considerarsi positivo; naturalmente, nel caso di una sua replica, cercherò di individuare obiettivi ben definiti e di prevedere adeguati momenti e modalità per stabilire il loro eventuale raggiungimento. Innanzitutto, da un punto di vista delle competenze disciplinari, ho avuto modo di verificare quanto gli alunni fossero in grado di rispettare le più semplici regole relative alla composizione e formattazione di un testo in formato digitale. A queste competenze si affiancano del resto competenze cognitive di carattere decisamente più ampio: nel proporre il proprio riassunto della lezione del giorno, ogni alunno Capitolo 1. L’informatica nella didattica 9 doveva rielaborare gli argomenti trattati in classe, individuarne se possibile gerarchie di importanza e riproporli infine in una forma efficace e chiara, anche in considerazione del fatto che sarebbero stati anche i compagni di classe a fruire del suo lavoro. Non meno importanti sono, secondo me, le finalità che un simile lavoro può consentire di perseguire riguardo al “clima di classe”. Innanzitutto ciascun alunno ha modo di vedere il lavoro fatto dai compagni e di farsi un’idea autonoma delle proprie capacità e competenze anche in relazione a quelle degli altri, a prescindere da una valutazione del docente. Valutazione che avrà modo di condividere o di contestare sulla base di elementi concreti, dal momento che il documento condiviso è disponibile a tutti. Nondimeno il docente, attraverso i commenti agli elaborati via via presentati dagli alunni, ha modo di portare avanti un’azione didattica individualizzata e ad un tempo utile a tutta la classe; questo, peraltro, anche al di fuori del tempo-scuola della mattina. In questo modo si vengono a creare delle relazioni significative all’interno della classe nel suo complesso, ovvero tra alunni e alunni e tra alunni e docente; e sono possibili riflessioni dal carattere per certi versi metacognitivo - ovvero sui contenuti oggetto di insegnamento e sui livelli di apprendimenti raggiunti. Secondariamente, una scelta non casuale da parte mia è stata quella di chiedere alla classe di creare un unico account Google, anziché far creare a ciascun alunno un suo proprio account. In questo modo, credo, ho contribuito, sia pure in minima parte, allo sviluppo di un qualcosa che riguardasse la classe nel suo complesso piuttosto che i singoli alunni. Tanto più che ciascun alunno era libero, in ogni momento, di editare il quaderno degli appunti condiviso utilizzando l’account di classe: in questo modo, chi avesse voluto, avrebbe anche potuto cancellare tutto quanto era stato prodotto dai propri compagni. Il fatto stesso che nessuno abbia mai intrapreso un’azione del genere non è, per la mia esperienza, così scontato; immagino anzi che il resistere ad una simile tentazione da parte di tutti quanti possa esser considerato un ottimo risultato conseguito dagli alunni, anche in considerazione della loro età, in cui dinamiche di rivalità, competizione, bullismo e simili sono decisamente molto comuni. Esiti della sperimentazione Devo però registrare una differenza nell’esito di questa sperimentazione fra le classi prime e la classe quarta: se infatti gli alunni delle prime hanno accolto di buon grado la proposta e, alla fine dell’anno, potevano disporre di un “quaderno degli appunti” piuttosto ben fatto, gli alunni della quarta non hanno raccolto con la stessa convinzione il mio invito a collaborare alla sua redazione e il risultato è stato indubbiamente meno convincente. Penso di poter individuare alcuni dei possibili fattori che hanno determinato questa disomogeneità: • Nelle classi prime, dopo una discussione con i ragazzi, è stato deciso, ab initio, che il lavoro che ciascuno avrebbe svolto sarebbe stato oggetto di valutazione individuale. Inoltre, nel caso in cui, alla fine dell’anno, il lavoro fosse risultato particolarmente ben fatto nel suo complesso, anche a seguito di un processo di revisione collaborativa, tutti gli alunni avrebbero avuto un bonus di un quarto di punto sulla media finale, utilizzata come punto di partenza per Capitolo 1. L’informatica nella didattica 10 la formulazione della mia proposta di voto in sede di scrutinio finale. Nella classe quarta tale accordo non è stato preso, anche in considerazione del fatto che sarei stato sostituito da una collega intorno alla metà di aprile e che proprio tale collega avrebbe portato la classe allo scrutinio finale. • Le due classi prime in cui ho lavorato prevedono l’insegnamento dell’informatica al posto del latino e tipicamente gli alunni di tali classi - ho avuto modo di notare - hanno un interesse mediamente più alto rispetto a quelli delle altre sezioni verso gli strumenti e le questioni dell’informatica (alcuni di loro, addirittura, erano in grado di utilizzare alcuni linguaggi di programmazione senza che fossero parte del programma di insegnamento dell’anno). • In generale, nelle classi terminali, la mia esperienza mi testimonia di una consistente difficoltà da parte dei ragazzi ad accogliere nuove proposte ed un’inerzia ad intraprendere attività che vadano oltre certe prassi (di insegnamento, di valutazione, di interazione fra alunni e docente) consolidatesi nel corso degli anni precedenti. 1.3.2 Promuovere la trasparenza nelle valutazioni Nella sezione precedente ho evidenziato, tra le possibili cause dei diversi esiti della sperimentazione “appunti delle lezioni”, il fatto che tale attività sarebbe stata oggetto di valutazione o meno. Questo caso, insieme a molti altri registrati nel corso della mia esperienza di insegnamento, e insieme alle discussioni avute con numerosi colleghi, mi conferma nella convinzione che i ragazzi attribuiscono una notevole importanza al momento valutativo rispetto all’intero processo didattico ed organizzano in sua funzione una gran parte delle proprie strategie di studio e di lavoro, tanto in classe, quanto a casa. Non si tratta, secondo me, di un atteggiamento da denigrare e liquidare con affermazioni banalizzanti come “tanto gli interessa solo il voto, non studiano per interesse o passione”. Penso piuttosto che questo loro pragmatismo - potremmo anche definirlo così - debba spingere noi insegnanti a disegnare progetti educativi che tengano conto tanto dei nostri obiettivi riguardanti la formazione ed educazione degli alunni, quanto i loro obiettivi, che spesso, appunto, sono decisamente diversi dai nostri. Di questo argomento abbiamo discusso nel corso di Didattica della matematica (Zan, 2013, ultima parte della presentazione). Un’esigenza degli alunni strettamente collegata all’importanza che essi (e le loro famiglie) attribuiscono alle valutazioni è quella di una massima trasparenza nei criteri di valutazione, sia delle singole prove di verifica, sia dell’intero anno scolastico. Anche in funzione di ciò, è diventato un contenuto imprescindibile dei documenti P.O.F. pubblicati dalle scuole una sezione dedicata alla chiara esplicitazione di tali criteri, in relazione agli obiettivi formativi ed educativi proposti nel P.O.F. stesso. Questo, in un procedimento “a cascata”, vincola anche noi docenti a richieste di chiarezza nell’attribuzione di un voto alle prove di verifica, in quelle scritte forse a maggior ragione che in quelle orali. Riguardo a questo punto, nel corso del presente anno scolastico ho intrapreso un lavoro sia come docente supplente, sia come tirocinante, che illustrerò in 2.1. Capitolo 1. L’informatica nella didattica 1.3.3 11 Il “diario di bordo” Un ulteriore utilizzo dei documenti condivisi è stato relativo al programma da me svolto nel corso dell’anno nelle varie classi in cui avevo un incarico come supplente. Per ciascuna di esse ho creato infatti un documento, sotto forma di foglio di calcolo, consistente in varie schede, ognuna delle quali dedicata ad uno dei moduli didattici previsti dalla programmazione annuale per quella classe e per quella disciplina. In ciascuna scheda erano indicati in modo chiaro gli obiettivi di apprendimento, suddivisi secondo le seguenti voci: • Saper definire • Conoscere • Saper spiegare • Saper dimostrare • Saper fare A mo’ di esempio, è possibile consultare il programma di Fisica per la classe 4AB (Marchi, 2012b): in parte il documento è stato da me rimaneggiato successivamente al termine dell’anno scolastico; tuttavia, dovrebbe esser chiara tanto la sua struttura generale, quanto alcuni degli obiettivi in esso indicati. Sicuramente, molte voci sono da definire e precisare ulteriormente; tuttavia, credo che tale file possa essere un buon punto di partenza per un ulteriore lavoro di raffinamento. Via via che veniva svolto il programma, io evidenziavo le celle del foglio di calcolo contenenti gli obiettivi che si potevano considerare “trattati” al termine di ogni singola lezione; nel caso in cui un alunno non fosse d’accordo sul fatto che tale obiettivo si poteva considerare raggiunto, me lo avrebbe fatto presente nelle lezioni successive. Il disporre - insegnante ed alunni - di indicazioni chiare e specifiche sulle “cose da sapere” costituisce indubbiamente un ottimo punto di partenza per l’impostazione di attività di verifica degli apprendimenti, di qualsiasi natura siano tali verifiche: in questo modo sia il docente che gli studenti hanno un preciso riferimento che consente ad entrambi di indirizzare in modo mirato il proprio lavoro; al tempo stesso le misurazioni degli esiti delle verifiche saranno, si presume, più obiettive. Come illustrato nei corsi di “area comune”, soprattutto dalla prof.ssa Baronti, individuare degli obiettivi estremamente precisi (e delle modalità chiare per stabilire se tali obiettivi sono stati raggiunti, e in quale misura) è di importanza cruciale per la riuscita di qualsivoglia attività formativa. Capitolo 2 Il problema della valutazione nella scuola secondaria Nell’ultima parte del capitolo precedente abbiamo toccato il tema della valutazione degli apprendimenti: in questo capitolo ne parlerò più diffusamente, allargando lo sguardo anche alla valutazione anche dei docenti. 2.1 La valutazione degli apprendimenti degli alunni La letteratura sul tema della valutazione degli apprendimenti in ambito scolastico è decisamente vasta; tuttavia, soprattutto negli ultimi anni - anche grazie ad una crescente attenzione sullo sviluppo di una didattica per competenze - il focus di indagine si è spostato dalla ricerca di metodologie di verifica e valutazione il più oggettive possibile (quello che poteva essere considerato il principale compito della docimologia) all’individuazione di forme di valutazione utili a promuovere il successo formativo1 . Tanto la mia esperienza di insegnamento, quanto il tirocinio e le lezioni di didattica generale del TFA mi hanno fornito numerosi spunti di riflessione sul tema; mi limito qui ad esporre alcune esperienze ed alcune questioni che mi sembrano maggiormente significative. 2.1.1 Correzione di verifiche scritte Durante il mio tirocinio ho avuto modo di osservare, credo con maggiore obiettività rispetto a quello che avrei potuto fare quando io stesso sono in cattedra in qualità di insegnante, delle significative dinamiche che si instaurano durante la “classica” correzione delle verifiche scritte. A tale attività ogni insegnante dedica solitamente una-due ore successivamente allo svolgimento di ogni verifica scritta: non fanno eccezione il prof. Manfredini e la prof.ssa Pasquini, miei tutor scolastici. Ebbene, dall’osservazione di ciò che accade nel corso di questa attività, mi sono 1 Il sottotitolo di un’importante raccolta di contributi sul tema, a cura di Capperucci (Capperucci, 2011), è - non a caso - Promuovere il successo formativo a partire dalla valutazione. 12 Capitolo 2. La valutazione nella scuola secondaria 13 sorti molti dubbi sul fatto che essa sia portata avanti in modo ottimale. Ciò che ho riscontrato dall’osservazione dei miei due tutor - e che è in linea con quello che accade quando sono io ad essere impegnato come insegnante - è che i ragazzi concentrano quasi tutte le loro risorse mentali sul voto riportato: in particolare, controllano i punteggi assegnati ad ogni esercizio, li confrontano con i compagni, cercano di capire in quali esercizi potrebbero “lottare per qualche punto in più”. Inoltre, quando uno di loro chiede la correzione alla lavagna di un esercizio, solamente una minima parte della classe segue tale correzione, magari ritenendo di poterne trarre un beneficio in relazione alla propria valutazione (scoprendo ad esempio che è stata fatta una correzione che non doveva esser fatta); il resto della classe prosegue nell’analisi della propria verifica. E’ mia convinzione che questo atteggiamento degli alunni sia una delle numerose conseguenze (negative) di un approccio alla scuola in cui la misurazione delle prestazioni e in generale l’aspetto valutativo ha un peso troppo grande rispetto al momento dell’apprendimento. E soprattutto, il momento della valutazione è ancora oggi inteso, nella realtà delle nostre scuole, solo come la fase conclusiva del processo didattico e non come un possibile punto di ripartenza per la costruzione/ricostruzione di apprendimenti. In sintesi, viene svilita un’attività potenzialmente molto ricca da un punto di vista delle opportunità di apprendimento. Una funzione che comunque tale attività credo possa svolgere, anche nonostante simili distorsioni, è quella di mediazione didattica: ciascun alunno si confronta con le proprie capacità (o perlomeno con quelle che l’insegnante gli ha riconosciuto nella specifica occasione) e consolida un’idea di sé rispetto alla disciplina, o magari ha occasione di modificare tale idea; l’insegnante ha modo di dimostrarsi attento verso le richieste del singolo alunno e disponibile nel fornirgli una spiegazione individualizzata. Una situazione analoga a quella appena descritta si registra durante le verifiche orali: gli unici veramente attivi durante questo momento didattico sono gli interrogati; il resto della classe molto difficilmente presta attenzione a quanto accade alla cattedra o alla lavagna, eccezion fatta, magari, per un piccolo gruppo di studenti: coloro che saranno interrogati nella lezione successiva. La riduzione dei “tempi morti” ed altri problemi aperti Questo stato di cose solleva il problema di come ottimizzare le attività di verifica e soprattutto il momento della loro correzione (sempre assumendo che esse non siano da eliminare tout court dalle prassi didattiche), rendendole veramente significative nel processo di costruzione degli apprendimenti e dei processi didattici in generale. Da un lato, una didattica dell’errore potrebbe essere un modo per riassegnare un ruolo centrale, potenzialmente ricchissimo da un punto di vista degli apprendimenti conseguibili, al momento della correzione delle verifiche2 ; dall’altro, una simile impostazione dei propri metodi didattici richiederebbe, necessariamente, una 2 Questo tema è ampiamente trattato in letteratura, sia da un punto di vista della didattica generale (Franciolini, 2013), sia delle specifiche didattiche disciplinari (ad esempio, per quanto riguarda la matematica, si veda (Zan, 2007)). Capitolo 2. La valutazione nella scuola secondaria 14 revisione talmente radicale da poter essere attuata soltanto in sede di progettazione all’inizio dell’anno scolastico, preferibilmente portando avanti un lavoro del genere a livello collegiale (all’interno dei singoli consigli di classe se non dell’istituto nel suo complesso). Lavorare sugli errori degli alunni per costruire nuovi saperi (o decostruire, ricostruire, consolidare . . . saperi già posseduti) richiede un investimento in termini di tempo assai consistente; tempo che viene sottratto allo svolgimento di programmi che ancora oggi, nelle reali pratiche didattiche, sono così centrali nell’impostazione del lavoro degli insegnanti. Certamente, nell’ottica di progettazione di una scuola del domani - che, stando alle Indicazioni e ai documenti ministeriali, dovrebbe essere già scuola dell’oggi se non del recente passato - sarà necessario rivedere questi metodi di lavoro che sempre più appaiono incompatibili con le esigenze formative ed educative richieste dalla società attuale. Si pone inoltre il problema, strettamente collegato - e per certi versi più ampio della gestione dei “tempi morti” in classe. Durante il corso di Didattica della matematica la prof.ssa Zan ci ha proposto di svolgere un’attività - integrata con il tirocinio indiretto - di osservazione dei nostri docenti tutor: noi tirocinanti-osservatori avremmo provato a quantificare alcuni aspetti che ci sembrassero particolarmente rappresentativi delle dinamiche che si instaurano in classe. Un resoconto di questa attività di osservazione è proposto in (Marchi, 2013e); mi limito qui a riportare che, dai processi di osservazione ed analisi, è emerso il grande peso occupato, in termini di tempo, da quelli che potremmo definire “tempi morti”: compilazione di registri, lettura di circolari, consegna di verifiche agli alunni . . . L’utilizzo di griglie di correzione Non intendo affrontare qui tutti i problemi sollevati nella sezione precedente; in particolare, non mi occuperò di come gestire “il resto della classe” durante una verifica orale3 . Per quanto riguarda la correzione delle prove scritte, invece, nel corso del presente anno scolastico ho adottato con maggiore sistematicità rispetto agli anni passati delle griglie di correzione da me preparate per ognuna delle verifiche svolte; a mo’ di esempio, ne riporto una nell’appendice C.1.1, in cui parlo più diffusamente di questo strumento da me adottato. L’utilizzo di un simile strumento consente, in buona parte, una riduzione di quei tempi morti di cui ho appena parlato: ciascun alunno può consultare autonomamente i dettagli relativi alla valutazione di ciascun singolo problema/esercizio della 3 Ho avuto modo di discutere di questo tema con il mio tutor prof. Manfredini, portandogli a confronto la mia esperienza di insegnante, perennemente alla ricerca di idee per coinvolgere la totalità della classe nel processo di verifica orale, e quanto avevo osservato durante alcune sue interrogazioni, durante le quali buona parte della classe non seguiva ciò che stava accadendo alla cattedra, tra l’insegnante e gli interrogati. Manfredini mi ha riferito che, se da un lato richiede alla classe, con una sorta di contratto didattico, di non disturbare lo svolgimento della verifica orale, dall’altro non pretende nemmeno di coinvolgere a tutti i costi la classe in questa attività, preferendo concentrare la sua attenzione sugli alunni interrogati. In questo modo, sostanzialmente, assegna un ruolo ben definito - di verifica - all’interrogazione, mettendo in secondo piano le eventuali, possibili, ricadute formative di una tale attività sulla classe; e, nella sua pratica didattica, agisce coerentemente con tale assegnazione di funzioni diverse a specifici momenti didattici. Capitolo 2. La valutazione nella scuola secondaria 15 verifica o su un foglio che ho cura di stampare e lasciare a disposizione della classe il giorno in cui viene effettuata la correzione, o direttamente dal file condiviso, se la correzione è fatta in un’aula dotata di computer o videoproiettore. In questo modo, però, si pongono delle questioni relative alla privacy: un alunno potrebbe non gradire che l’esito della propria verifica sia reso visibile ai compagni di classe. Si tratta di una questione molto delicata, sulla quale non ho qui spazio per discutere adeguatamente; mi limito a mettere in luce come tale questione - oltre a risvolti di natura più propriamente legale - sia strettamente collegata al modo in cui gli alunni vivono il momento della valutazione, alla funzione ad essa attribuita e, in sintesi, alle questioni cui ho già accennato in 1.3. Un’esperienza di correzione in parallelo Nel corso del tirocinio ho avuto anche l’opportunità di sperimentare una correzione “in parallelo” con il prof. Manfredini. Abbiamo infatti deciso di correggere gli elaborati di un paio di alunni, relativi ad una verifica scritta di Fisica da lui proposta alla classe 4AB, ciascuno restando all’oscuro delle valutazioni espresse dall’altro; chiaramente, più che cercare di ottenere un qualcosa di significativo da un punto di vista statistico, visto il ridottissimo numero di verifiche su cui abbiamo lavorato, abbiamo cercato di esplorare eventuali criticità connesse con il processo di valutazione ed eventualmente con la valutazione da parte di “figure terze” (in questo caso il sottoscritto). La misurazione delle prove si svolgeva nel seguente modo: ciascuno di noi due correggeva i singoli esercizi e problemi, assegnando un punteggio relativo ad un massimo, stabilito a priori dal professore, variabile tipicamente da un esercizio all’altro soprattutto in considerazione della complessità dell’esercizio stesso; successivamente confrontavamo i punteggi assegnati a ciascun esercizio. Innanzitutto abbiamo notato che è emerso un sostanziale accordo nei punteggi attribuiti ai singoli esercizi. Secondariamente, è emersa una difformità di valutazione nei casi in cui sono presenti degli errori che gli alunni “si portano dietro” da errori di domande/esercizi precedenti e collegate in qualche modo all’esercizio in questione. Personalmente, nelle verifiche che assegno ai miei alunni, esplicito quasi sempre nel testo della prova che un errore che derivi da uno precedente, ma che sia con esso coerente, non viene valutato come tale. Non ho però la pretesa che questa soluzione sia la migliore: un simile criterio di valutazione nasconde delle sottili criticità che soprattutto l’esperienza mi ha portato ad individuare4 ; si tratta comunque di criticità che si presentano in casi marginali, che non inficiano il criterio di valutazione adottato. Infine, abbiamo notato come non sia facile correggere una verifica preparata da altri: ogni testo (compreso quello di una prova scritta) è inserito in un contesto, fatto di impliciti, di sottintesi etc. che spesso sono chiari solamente a chi di quel 4 Supponiamo ad esempio che in una verifica di matematica sia richiesto, in un primo quesito di determinare una data funzione che soddisfi certe condizioni ed in un quesito successivo di studiare tale funzione. Potrebbe capitare che un alunno, per esser facilitato nello svolgimento del secondo quesito proponga volutamente una risposta errata rispetto al primo, arrivando alla determinazione di una funzione più semplice da studiare rispetto a quella corrispondente alla risposta corretta. In tal caso non sembra affatto “giusto” attribuire lo stesso punteggio a chi ha studiato una funzione magari complessa e a chi lo ha fatto con una funzione più semplice. Capitolo 2. La valutazione nella scuola secondaria 16 contesto è parte attiva (nel nostro caso il docente con la sua relazione educativa con la classe). Come comportarsi rispetto a certi quesiti presenti nel testo e, di conseguenza, come valutare certi svolgimenti, è tutt’altro che facile. Questa considerazione, più che essere considerata un punto di debolezza, deve secondo me essere vista come uno sprone per l’insegnante ad esplicitare quanto più possibile le proprie richieste e i criteri di valutazione, proprio mettendosi nei panni di una figura terza che dovesse correggere verifiche svolte dai suoi alunni. Del resto, anche l’esistenza stessa di questi margini di ambiguità porta a ridimensionare in parte l’atto valutativo, soprattutto se inteso come fine a se stesso. E ancora: la presenza di queste difficoltà rende ragione dell’accuratezza e analiticità con cui organi come l’INVALSI compilano griglie di correzione per prove standardizzate assegnate a livello nazionale. 2.2 La valutazione dei docenti Chi valuta i valutatori? Parafrasando una celebre massima latina, potremmo chiederci chi dovrebbe avere il compito di valutare i docenti (italiani) e se anzi un tale compito abbia un senso nel miglioramento dei processi didattici e del sistemascuola in generale. Ho voluto riflettere sulla questione, che a più riprese negli ultimi anni è emersa nel panorama delle discussioni sul nostro sistema scolastico; i principali risultati del mio lavoro sono raccolti nell’elaborato presentato per l’esame relativo al corso di Didattica della matematica (Marchi, 2013e), a cui rimando il lettore interessato all’argomento. 2.2.1 Questionari di valutazione della didattica Nel mio lavoro di insegnante, già in alcune occasioni passate, ho elaborato questionari di valutazione dei corsi da me tenuti, da somministrare agli alunni. L’ultima versione da me utilizzata (al termine del presente anno scolastico) di tali questionari è proposta nell’appendice C.1.2. A causa della natura occasionale di molte delle mie esperienze di insegnamento, e della loro breve durata temporale, solo in alcuni casi ho avuto modo di progettare ab initio una simile attività e di metterla in pratica in modo efficace e significativo: chiaramente, per supplenze di un solo mese, avrebbe avuto poco senso intraprendere una simile iniziativa. Grazie all’attività svolta per il corso di Didattica della matematica ho avuto modo di approfondire la questione della valutazione da un punto di vista teorico, scoprendo che esistono in letteratura diversi strumenti di valutazione della didattica, focalizzati ciascuno su alcuni aspetti specifici dei processi e dei contesti didattici piuttosto che su altri. Inoltre, ho scoperto che anche il mio tutor prof. Manfredini da diverso tempo utilizza un simile strumento nelle sue classi. Una delle differenze più evidenti fra il mio metodo di lavoro ed il suo è che Manfredini fa compilare il questionario tramite Capitolo 2. La valutazione nella scuola secondaria 17 un’applicazione resa disponibile agli alunni sul suo blog5 (Manfredini, 2011). Personalmente avevo valutato in passato di utilizzare anch’io strumenti informatici per agevolare la raccolta dei dati, cosa che sicuramente costituisce un grosso vantaggio di un simile metodo di lavoro; ma avevo poi scartato tale opzione per il rischio di ottenere dati non attendibili: è infatti possibile, salvo adottare accorgimenti particolari (e per aggiornarmi in merito al loro impiego non avevo messo in conto di investire tempo sufficiente), che un alunno compili più volte il questionario oppure che non lo compili affatto. In ogni caso, mi ha fatto notare il tutor, i risultati da lui ottenuti sembrano piuttosto affidabili e gli eventuali “questionari doppi” o mancanti non influiscono in modo significativo sulle conclusioni statistiche ottenute dall’analisi dei dati raccolti. 5 Dal momento che, al termine delle lezioni del corrente anno scolastico, la pagina relativa al questionario è stata chiusa, riporto una copia delle domande di tale questionario nell’appendice C.1.2. Capitolo 3 Stili di apprendimento ed integrazione fra saperi La dicotomia interdisciplinarità/specializzazione ha una notevole rilevanza nelle scelte metodologiche e didattiche relative all’insegnamento nella scuola secondaria, ad ogni livello di progettazione didattica: da quello più alto, costituito dal ministero che disegna indicazioni e linee guida per i vari indirizzi di studi, al singolo insegnante che progetta un modulo didattico da implementare in classe1 . Il tema è stato discusso molte volte nel corso degli ultimi decenni, anche in Italia; già il grande matematico Lucio Lombardo Radice, nella seconda metà degli anni Settanta, ne parlava in questi termini (Radice, 1976, pag. 19): Se consideriamo il processo di sviluppo della conoscenza umana nella sua totalità, noi vediamo che in esso agiscono sempre due tendenze contrastanti: una tendenza verso la ramificazione, la specializzazione, la divergenza delle conoscenze e delle capacità, una contrapposta tendenza verso la sintesi, l’unità, la convergenza di indirizzi che alle generazioni precedenti sembravano privi di ogni collegamento tra di loro. Oggi, alla possente spinta verso le specializzazioni, che tende a frantumare l’unità del sapere, a spezzare la cultura nelle culture, si contrappone una spinta altrettanto possente verso la riunificazione del sapere, verso una nuova cultura unitaria. Oggi la questione specializzazione/sintesi non è meno centrale, anzi: assistiamo, a livello di ricerca, alla continua nascita di nuovi filoni di indagine in cui la fusione di competenze provenienti da ambiti diversi è strutturale e connaturata con gli stessi principi metodologici delle nuove discipline che portano i nomi di ingegneria biomedica, fisica astroparticellare, linguistica computazionale . . . Più di recente, il premio Nobel Ilya Prigogine si è espresso al riguardo in questi termini (Prigogine, 2004): [. . . ] nel 19o secolo la frammentazione ha svolto un importante ruolo nella nascita di discipline separate per la biologia, la chimica, la fisica, la 1 Qui e nel seguito parlerò semplicemente di interdisciplinarità; un’interessante riflessione sui termini disciplinarità, multidisciplinarità, pluridisciplinarità, interdisciplinarità, transdisciplinarità è sviluppata in (Tiezzi e altri, 2011, 105-109). 18 Capitolo 3. Stili di apprendimento ed integrazione fra saperi 19 matematica, la psicologia, la sociologia, etc. Ma quando consideriamo le grandi sfide che l’umanità ha oggi di fronte a sé, noi ci accorgiamo che abbiamo bisogno di un approccio interdisciplinare. Pertanto in questo momento storico, io credo che sia veramente molto importante enfatizzare la fine della frammentazione, o almeno il suo superamento [. . . ] Il problema di un approccio interdisciplinare all’insegnamento si pone poi, in modo evidente, e molto più nello specifico, per la classe di insegnamento A049, i cui docenti sono abilitati all’insegnamento della Matematica e della Fisica. In questo capitolo illustrerò alcuni esempi di percorsi didattici che toccano, in modo più o meno consistente, le due discipline di insegnamento della classe A049 e, indirettamente, anche discipline per così dire “confinanti”: tali percorsi sono legati alle mie esperienze di insegnamento e di formazione svolte nel presente anno scolastico. 3.1 Fisica, Matematica, Informatica: possibili sinergie e discontinuità Un’interessante proposta per una didattica integrata della matematica e della fisica, e che prevede l’utilizzo del laboratorio di fisica anche come ponte fra queste due discipline, è stata elaborata dai Dipartimenti di Fisica e di Scienze Matematiche e Informatiche dell’Università di Siena e dal Liceo Scientifico Statale “G. Galilei”, nell’ambito del Progetto Lauree Scientifiche (Mariotti, 2012, 58-60). Anche soltanto un primo sguardo ai contenuti e alle attività proposte in tale progetto mostra quanto strette possano essere le relazioni in chiave didattica tra queste due discipline. Qui, tuttavia, non discuterò di progetti di una simile ampiezza, ma mi limito ad illustrare una proposta da me fatta sull’introduzione alla cinematica che ho sviluppato, più ampiamente, per l’esame finale del corso di Complementi di Fisica Generale, in una tesina dal titolo Introduzione alla cinematica. Una proposta didattica per studenti dei licei (Marchi, 2013b). 3.1.1 Applicazioni della matematica alla fisica? Una delle caratteristiche più peculiari dell’insegnamento della fisica nei licei italiani è l’approccio che si pone a cavallo, spesso in modo assai confuso, tra quelli che sono tre “livelli di insegnamento” che nella tradizione anglosassone sono solitamente ben distinti: concept-based, algebra-based, calculus-based. Nella realtà, solitamente, finisce comunque per prevalere un approccio basato sull’algebra, con la conseguenza che gli alunni non di rado faticano ad approcciare problemi e questioni da un punto di vista puramente qualitativo o fenomenologico; e che, sull’altro versante, non arrivano a cogliere gli aspetti più matematici della fisica che consentono una formalizzazione più accurata di definizioni e leggi quantitative. Tutto questo (o Capitolo 3. Stili di apprendimento ed integrazione fra saperi 20 meglio, il primo dei due punti appena menzionati) è testimoniato dai risultati mediamente non soddisfacenti degli allievi italiani in rilevazioni internazionali come la OCSE-PISA. Il rapporto tra matematica e fisica, spesso - e soprattutto a seconda della formazione del docente che si trovi ad insegnare entrambe le materie - è di subalternità della seconda rispetto alla prima. Una prova di ciò è costituita, secondo me, dal classico modulo didattico proposto nelle classi quinte dei Licei Scientifici sulle “applicazioni della matematica alla fisica”: ci si riferisce con ciò alla definizione di velocità come derivata della posizione rispetto al tempo, alla carica fluita in un tratto di conduttore come integrale della corrente rispetto al tempo e così via; insomma alle applicazioni del calcolo (differenziale e integrale) a definizioni e concetti fisici che solitamente gli alunni già conoscono. Un simile approccio, innanzitutto, fornisce una visione distorta sulle gerarchie tra le due discipline e sui processi, storicamente avvenuti, che hanno portato all’elaborazione dei concetti e alla costruzione delle teorie che sono alla base sia di molta matematica sia della fisica moderna. E’ fuori dubbio che fondamentali contributi alla nascita calcolo furono dati da Newton per “ragioni pratiche”, ovvero per la soluzione di problemi fisici che lui per primo aveva posto in una forma matematicamente soddisfacente; e che proprio con due classici scritti di Newton (Sulla quadratura delle curve) e Leibniz (Nuovo metodo per i massimi e i minimi ) “comincia quello che si potrebbe chiamare il periodo di maturità del calcolo infinitesimale” (Castelnuovo, 1962, p. 26)2 . E’ vero anche che il rigore matematico inteso in senso moderno nell’opera di Newton (e in quella di Leibniz) era ancora di là da venire: fu sostanzialmente il matematico francese Cauchy a sistematizzare per la prima volta in modo rigoroso definizioni e risultati che venivano utilizzati già da parecchi decenni (e sulla sua scia il lavoro di costruzione di solide fondamenta per il calcolo proseguì per parecchi decenni). Da un punto di vista didattico, poi, è esperienza piuttosto comune che alunni che sono stati abituati, nel corso di diversi anni, a definizioni come “la velocità è lo spazio fratto il tempo”, “la corrente è la carica fratto il tempo” e simili faticheranno enormemente nel cogliere definizioni più generali - e più profonde - che prevedano l’uso del calcolo differenziale ed integrale. Di ciò ho avuto testimonianza nel corso del mio tirocinio diretto: nella classe 5B ho tenuto, dopo averne discusso con la professoressa Pasquini, mia tutor scolastica, una lezione sul concetto di velocità come derivata della posizione rispetto al tempo. E’ stata l’occasione per esporre, incidentalmente, le considerazioni fatte sopra sul rapporto tra matematica e fisica nella nascita del calcolo; ed inoltre ho potuto sperimentare in un contesto didattico reale i materiali da me elaborati sull’argo2 Una indagine storica su quelli che possono essere considerati i lavori alla base del calcolo infinitesimale, in realtà, come illustra (Castelnuovo, 1962), ci porta indietro perlomeno al: [. . . ] secolo durante il quale si son gettate le basi del calcolo infinitesimale; secolo che inizia verso la fine del ’500 con i primi tentativi di proseguire l’opera di Archimede e si chiude con la redazione degli scritti di Newton e Leibniz [. . . ] la nuova scienza sia sorta quando le antiche, geniali concezioni di Archimede furono fecondate con le nuove dottrine, dell’algebra e della geometria analitica da un lato, della dinamica (o meglio della cinematica) dall’altro lato. . Capitolo 3. Stili di apprendimento ed integrazione fra saperi 21 mento (Marchi, 2013b). La comprensione degli alunni mi è parsa buona (non ho poi avuto modo di effettuare verifiche formali al riguardo, dal momento che non erano previste prove sommative su questi temi trattati). Pochi alunni, tuttavia, faticavano a comprendere perché non è vero che “la velocità è lo spazio fratto il tempo”; facendo ricorso ad una discussione in cui ho usato diffusamente il concetto di funzione (vettore posizione come funzione del tempo) e la sua rappresentazione cartesiana queste difficoltà sono state superate. 3.1.2 L’insegnamento della Matematica e della Fisica: separare le cattedre? A complemento delle considerazioni appena fatte, riporto qui un’ampia citazione da un importante testo di didattica della matematica del prof. Bruno D’Amore (D’Amore, 1983, pagg. 122-123): Abbiamo già anticipato che vediamo in modo diverso questo problema3 nella scuola media inferiore e nella scuola superiore. Nel primo caso, la matematica è più disciplina induttiva, vicina quasi alle scienze naturali, che non deduttiva, astratta e formale. Dunque, secondo noi ben s’accompagna come spirito a quello che anima l’insegnamento delle scienze. Lo spirito euristico finisce col predominare e coll’uniformare l’insegnamento di discipline che, in realtà, sarebbero ben diverse tra di loro. Le cose cambiano completamente, a nostro avviso, nella scuola media superiore. Sia perché non del tutto preparati, sia perché filosoficamente e dunque metodologicamente portati ad un atteggiamento deduttivo, i laureati in matematica finiscono col dover sdoppiare la propria personalità ed imporre due metodi didattici agli stessi allievi. Da una parte la deduzione, l’astrazione; dall’altra l’induzione, l’esperienza. Il che rende prima o poi invisa una delle due materie; infatti è ben noto che nell’insegnamento di matematica e fisica o si fa matematica (con qualche accenno alla fisica) o si fa fisica (con il minimo indispensabile di matematica). La preparazione, lo spirito diverso, la metodologia diversa, spingono a vedere di buon occhio la separazione delle cattedre. Tanto più che l’unificazione di matematica e fisica è un antico retaggio dovuto al fatto che la matematica è stata vista come materia non di per se stessa educativa e formativa, ma tale solo in quanto applicabile ad altre discipline4 . Nel brano si accenna ad una situazione che, nella mia esperienza (sia come insegnante che come tirocinante osservatore), mi sembra che ad oggi si presenti raramente: l’eventualità che nelle ore di matematica e fisica l’insegnante che abbia la cattedra 3 Quello della separazione delle cattedre, che dà il titolo al paragrafo qui riportato: Separare o no le cattedre? 4 Il rapporto tra Matematica e Fisica è qui ribaltato rispetto alla situazione che ho descritto nella sezione precedente, in cui ho accennato ad una sorta di subalternità della seconda rispetto alla prima (perlomeno in molti libri di testo di matematica). In ogni caso, sia l’una sia l’altra visione testimoniano la criticità - che può e deve essere produttiva - del rapporto fra queste due discipline. Capitolo 3. Stili di apprendimento ed integrazione fra saperi 22 completa finisca per trattare prevalentemente o l’una o l’altra delle due materie. Soprattutto agli inizi della mia carriera ho avuto, più volte, “la tentazione” di far prevalere in alcuni momenti dell’anno le ore dedicate ad una disciplina piuttosto che all’altra: solitamente si trattava di classi quinte, in cui lo spauracchio della prova scritta di matematica induceva me e i consigli di classe di cui facevo parte a spingere per un maggior numero di ore da dedicare a questa disciplina per poter completare i programmi in vista dell’Esame di Stato. Il confronto con i colleghi mi ha portato alla ferma convinzione dell’opportunità di fissare degli orari settimanali in cui siano ben definite le ore da dedicare all’una e all’altra disciplina. Anzi, nella mia esperienza come tirocinante al “Majorana”, ho avuto modo di apprezzare anche il fatto di fissare un giorno alla settimana da dedicare al laboratorio di fisica, come ha deciso il prof. Manfredini per le sue classi: il fatto stesso di porsi un vincolo è una forte spinta ad impostare la propria didattica in un modo piuttosto che in un altro5 . 3.2 Scienze naturali vs “scienze dure” Un approccio all’insegnamento della fisica fortemente centrato sull’algebra (vedi 3.1.1 e (Marchi, 2013b)) contribuisce a marcare una discontinuità fra la fisica e le altre scienze naturali, che pure sono oggetto di insegnamento fin dal primo anno della scuola secondaria: scienze della Terra, scienze biologiche, chimica . . . In queste discipline l’uso di strumenti matematici è molto ridotto (se non assente), mentre è prevalente il momento descrittivo, quello classificatorio-tassonomico e quello della spiegazione qualitativa. Credo che il primo biennio del liceo scientifico - e del resto questo è ciò che traspare dalle Indicazioni Nazionali - possa essere il momento in cui ad un tempo si mostra la continuità fra le scienze summenzionate e una “scienza dura” come la fisica6 , ma anche si gettano le basi di una successiva specializzazione nei metodi e nei contenuti trattati. Nell’ottica di queste considerazioni ho elaborato, per il corso di Applicazioni come motivazioni per la Matematica, una simulazione di lezione di astronomia/astrofisica destinata a studenti di una classe seconda liceo scientifico in cui introduco alla questione di cosa si può vedere nel cielo e quali sono i fattori che determinano la magnitudine di un oggetto celeste. Sorprendentemente, anche alcune riflessioni proposte dalla prof.ssa Baronti nel suo modulo sulle didattiche speciali mi hanno fornito indicazioni utili alla progettazione della lezione. 5 Il vincolo di cui parlo può essere anche un vincolo di tipo tecnico: ad esempio, sempre in una delle classi del prof. Manfredini, la presenza di una LIM è, secondo me, un fortissimo incentivo al suo utilizzo (che, nel caso del mio tutor, era praticamente sistematico). 6 Solitamente con il termine “scienze dure” (hard sciences in inglese) si intendono la chimica, la fisica, la biologia. Tuttavia è chiaro che, fra queste discipline, perlomeno al livello di insegnamento di nostro interesse, quella maggiormente formalizzata/formalizzabile da un punto di vista matematico è la fisica. Capitolo 3. Stili di apprendimento ed integrazione fra saperi 3.2.1 23 Forme di rappresentazione della conoscenza Nei corsi di “area comune” abbiamo trattato, fra l’altro, diversi problemi riguardanti le didattiche speciali, con particolare riferimento ad alunni con disabilità e alla loro integrazione nei contesti e processi scolastici. Oltre a casi di disabilità gravi e medie, abbiamo avuto modo di discutere con la professoressa Baronti di casi di disabilità “lievi” o casi cosiddetti borderline; personalmente mi ha colpito il fatto che in questi casi, molto spesso, la natura delle difficoltà e le loro possibili fonti non sembrano troppo dissimili da quelle di alunni che seguono classici percorsi A, ma che con fatica riescono a raggiungere gli obiettivi minimi in termini di competenze e conoscenze. Non è peregrino pensare, allora, che strumenti e accorgimenti solitamente impiegati per facilitare gli apprendimenti di alunni con lievi disturbi cognitivi certificati possano essere di ausilio anche per un discreto numero di alunni del resto della classe. Penso in particolare allo strumento delle mappe concettuali, che sono particolarmente indicate per la didattica con soggetti ipoacusici, le cui capacità uditive sono (Trisciuzzi e Galanti, 2001, p. 244) [. . . ] fluttuanti in relazione all’affaticabilità (maggiore per lui nel decodificare) e quindi al calo di capacità e tenuta attentiva. Chi abbia esperienza di quanto siano diffusi (ed in forte crescita) disturbi dell’attenzione da parte degli alunni (certificati o meno), può senza dubbio rendersi conto di come problemi solitamente associati ad uno specifico deficit psicofisico (relativo all’udito in questo caso) non siano così distanti da quelli che riguardano anche alunni “normodotati”. Per questi alunni è consigliabile (Trisciuzzi e Galanti, 2001, p. 244) [. . . ] privilegiare l’aspetto morfosintattico e logico della produzione verbale rispetto a quello dello sviluppo lessicale. L’attenzione del bambino sarà inizialmente convogliata sulle azioni più che sui nomi, e sull’associazione gesto/azione. E’ importante, infatti, non tanto fornire molte “etichette nominali”, quanto evidenziare i legami (di filiazione causale, finali, temporali ecc.) tra le etichette nominali stesse. Le mappe concettuali, mettendo in luce relazioni e legami di varia natura tra concetti, possono essere un ottimo ausilio alla didattica in situazioni del genere. 3.2.2 Dalla mappa concettuale alla formula fisica Nello svolgimento del programma di Informatica nelle classi prime ho dedicato un certo numero di ore al tema della classificazione ed organizzazione di dati e informazioni. Prendendo spunto dalle difficoltà degli alunni di quarta nell’utilizzo del foglio di calcolo e da analoghe difficoltà che, all’inizio, hanno mostrato anche gli alunni delle classi prime (che pure venivano introdotti per la prima volta a questo strumento), ho riflettuto sulla relazione tra processi mentali di classificazione e di seriazione. Mi sono state utili, in questo senso, le riflessioni proposte in (Trisciuzzi e Galanti, 2001, p. 241): Capitolo 3. Stili di apprendimento ed integrazione fra saperi 24 La “classe” è un insieme di oggetti che hanno in comune una o più caratteristiche, mentre la “serie” è un insieme di elementi ordinato in base a una caratteristica quale, ad esempio, la dimensione o l’intensità. Secondo Piaget la seriazione e la classificazione sono le operazioni logiche che permettono la costruzione del concetto di numero come integrazione di aspetti ordinali (seriazione) e cardinali (classificazione). E’ ipotizzabile un collegamento con le riflessioni fatte poco più sopra: nell’ambito delle “scienze dure”, le difficoltà nell’utilizzo autonomo di dati numerici e nella loro elaborazione derivano forse, allora, da una non completa integrazione fra i due tipi di procedimento mentale descritti da Piaget. Proprio per questo, con le classi prime, ho deciso di far lavorare gli alunni anche con dati e informazioni che non si prestassero a seriazione, ma che, avendo caratteri più “qualitativi”, potessero comunque esser classificati secondo un certo numero di criteri fra loro indipendenti7 . Tra le forme di organizzazione e classificazione della conoscenza, sono passato poi alla trattazione di grafi, mappe concettuali e diagrammi di flusso: quest’ultimo strumento, peraltro, è un ottimo veicolo verso la programmazione informatica in senso stretto, oggetto di trattazione approfondita nel secondo anno di corso. Ho riscontrato che molti degli alunni delle prime conoscevano lo strumento mappa concettuale dalla scuola secondaria inferiore. Ho preso come spunto il modo che gli alunni già conoscevano di progettare e costruire mappe concettuali per proporne - come progetto per l’esame di Applicazioni come motivazioni per la Matematica - un’evoluzione che avesse la funzione di facilitare un raccordo tra approcci qualitativi alla scienza (più naturali per i ragazzi di quell’età e più vicini al loro pregresso scolastico) e approcci quantitativi (che costituiscono comunque un importante finalità degli apprendimenti per la scuola secondaria, in particolare per un liceo scientifico): in sintesi, secondo me, è fondamentale che la gestione del numero nelle scienze e l’elaborazione di modelli matematici via via più sofisticati per descrivere fenomeni naturali sia una conquista graduale per lo studente. La lezione simulata che ho progettato, come già detto, riguarda cosa si può vedere nel cielo. Essa prevede un metodo di lavoro fortemente interattivo, in cui l’insegnante sollecita con frequenza gli studenti, i quali contribuiscono in modo significativo alla costruzione dei contenuti della lezione (mentre l’insegnante deve cercare di mantenere il suo svolgimento secondo un filo logico ben delineato). L’utilizzo di mappe concettuali è centrale in tale lezione, come illustrato nell’appendice C.2.2. 7 Ho proposto agli alunni di scegliere dati da ambiti di loro interesse: chi ha provato a classificare e ordinare libri (secondo l’autore, secondo l’anno di edizione, secondo genere . . . ), chi giocatori di calcio, chi gli elementi della tavola periodica . . . Oltre all’aspetto specifico di costruzione di competenze questo è stato un modo - ho realizzato a posteriori - per conoscere qualcosa in più di loro in quanto persone ed instaurare un più naturale e autentico rapporto educativo. Appendice A L’integrazione degli alunni con disabilità A.1 A.1.1 Il gruppo H del Liceo Scientifico “E. Majorana” e il mio tirocinio Descrizione sintetica del contesto All’interno del mio percorso formativo TFA ho svolto attività di tirocinio diretto e indiretto riguardo l’integrazione scolastica di alunni con disabilità. Il gruppo di lavoro per l’handicap operativo (GLHO1 ) del Liceo Scientifico “E. Majorana” è, come buona prassi in questi casi, strutturato come un’équipe di cui fanno parte soggetti e professionalità diverse: genitori degli alunni disabili, consigli di classe (delle classi in cui sono presenti alunni con disabilità), personale medicosanitario (logopedisti, neuropsichiatri . . . ), operatori ANFFAS2 . Il mio tutor scolastico è stato il prof. Trinchera, docente di ruolo sul sostegno da cinque anni e principale responsabile dell’organizzazione del gruppo di lavoro dei docenti di sostegno del “Majorana”; nel corso del presente anno scolastico facevano parte di tale gruppo anche i professori Aveta, Galli e Stagi, con i quali ho avuto modo di collaborare, anche se in modo meno sistematico e strutturato rispetto a quanto fatto con il prof. Trinchera. 1 Il gruppo di lavoro sull’handicap è talvolta indicato con diciture o acronimi leggermente diversi da quello appena proposto. Del resto capita spesso che, nella sfera delle disabilità e del loro inquadramento in ambito scolastico, nomi e sigle cambino con una certa frequenza, spesso in conseguenza di nuove disposizioni legislative in materia. Qui e nel seguito ho cercato di individuare termini e diciture che fossero il più conformi possibile con quanto appreso nell’ambito del tirocinio e quanto discusso nelle lezioni della prof.ssa Baronti, oltre che con i testi di riferimento utilizzati nei corsi di “area comune”. 2 L’ANFFAS è un’associazione che si occupa di fornire forme di sostegno a persone con disabilità di tipo intellettivo e/o relazionale e alle loro famiglie; si tratta soprattutto di un sostegno di tipo assistenziale: nella fattispecie, in ambito scolastico gli operatori ANFFAS non sono tenuti a svolgere attività didattico/educativa in senso stretto con gli alunni da loro seguiti, non essendo peraltro richiesta, a queste figure, una formazione specifica in materia. Sebbene ANFFAS non sia l’unica associazione presente sul territorio a svolgere un simile compito, è, de factu, il principale operatore in questo settore nella provincia di Lucca, e tutti gli alunni con disabilità del “Majorana” sono seguiti da operatori di questa associazione. 25 Appendice A. L’integrazione degli alunni con disabilità 26 Gli alunni certificati all’interno del liceo sono in totale sette: quattro nelle classi prime, uno in 2A e due nella classe 5B. Le disabilità di questi ragazzi sono di diverso tipo e di diverso livello di gravità; tutti quanti, eccezion fatta per uno dei due alunni della 5B, presentano tali patologie fin dalla nascita. A.1.2 La “filosofia di lavoro” e l’impostazione delle attività Il lavoro svolto dai docenti di sostegno del “Majorana” riguarda sia i singoli alunni e le classi di cui questi fanno parte, sia il gruppo degli alunni H nel suo complesso3 . L’offerta formativa del “Majorana” è caratterizzata da una progettazione specifica riguardante gli alunni con disabilità, in cui giocano un ruolo molto importante vari laboratori attivati e sperimentati nel corso degli ultimi anni; questa scelta metodologico/operativa, ovviamente, è prevista dai PEI dei singoli alunni ed è costante oggetto di confronto con tutti i soggetti coinvolti nelle attività del gruppo H (famiglie degli alunni in primis). La principale finalità di un metodo di lavoro in cui attività laboratoriali di vario genere - che descriverò più avanti - hanno un ruolo così importante è quella di promuovere progressi solidi e duraturi nel senso di fiducia in sé degli alunni e nelle capacità relazionali all’interno del gruppo. La maggior parte di questi ragazzi, infatti, in conseguenza della loro specifica struttura psicologica (presunta/desunta dalla diagnosi funzionale e dai documenti PDF4 ) ha modalità relazionali significativamente distanti da quelle considerate “normali”: esse sono improntate ad una stereotipizzazione piuttosto marcata in alcuni casi; in altri caratterizzate da un atteggiamento adesivo nei confronti degli educatori (e talvolta di altre figure dell’ambiente scolastico); in altri casi ancora, emerge in modo evidente una forte insicurezza nell’instaurazione di un dialogo con l’altro. In questo quadro, anche la capacità acquisita dalla maggior parte dei ragazzi di riuscire a muoversi con sicurezza all’interno dell’edificio scolastico, ad esempio per andare ad acquistare bibite o merende da distributori automatici - e comunque interfacciandosi con figure di riferimento quali educatori, collaboratori scolastici etc., sono da considerarsi progressi significativi sul piano delle autonomie personali, dal momento che buona parte degli alunni del gruppo mostrava - all’inizio dell’anno scolastico - forti insicurezze in tal senso. A.1.3 Il mio lavoro all’interno del gruppo Ho conosciuto il prof. Trinchera fin dall’inizio dell’anno scolastico, in quanto eravamo entrambi insegnanti nello stesso istituto; da gennaio, poi, sono divenuto suo collega in senso più stretto, dal momento che lui, insieme al prof. Stagi (insegnante di sostegno per le discipline scientifiche), fa parte del consiglio di classe 3 Parlerò qui indistintamente di alunni con disabilità o alunni H, con riferimento al gruppo dei sette alunni summenzionato; la distinzione tra disabilità e handicap, nonché l’evoluzione storica dell’utilizzo di questi termini e affini, è stata oggetto di discussione con il prof. Trinchera nelle ore di tirocinio indiretto. 4 Profilo Dinamico Funzionale: è un documento redatto dal GLOH, anche sulla base della diagnosi funzionale (redatta, questa, da medici delle ASL), in cui si evidenziano soprattutto le potenzialità dei soggetti analizzati in relazione alle disabilità di cui sono portatori. Appendice A. L’integrazione degli alunni con disabilità 27 della 1E, in cui è presente un’alunna con lievi disturbi cognitivi sul cui caso mi aveva ragguagliato (anche fornendomi il suo PEI) non appena sono stato nominato come supplente di informatica in quella classe; infine, da maggio, abbiamo lavorato ancora più a stretto contatto nell’ambito della mia attività di tirocinio sull’integrazione di alunni con disabilità. Trinchera, in discussioni che rientrano fra le attività di tirocinio indiretto, mi ha “dato le coordinate” per orientarmi, almeno su grande scala, all’interno del “mondo del sostegno” in generale e del gruppo di lavoro del “Majorana” in particolare, ragguagliandomi sui principali aspetti relativi a: • Questioni normative legate al tema della disabilità • Strutturazione generale delle attività del gruppo, con suddivisione tra presenza nelle rispettive classi degli alunni e loro partecipazione ai laboratori comuni • Progetti didattici dedicati agli alunni del gruppo H attivati al liceo • Cenni al lavoro di tipo curricolare portato avanti da alcuni alunni • Indicazioni fondamentali riguardo ai “casi” dei singoli alunni, con riferimento al loro quadro eziopatogenetico e neuropsichiatrico, nonché alle loro abilità cognitive; descrizione finalizzata principalmente alla gestione della mia relazione con gli alunni stessi • Dinamiche relazionali interne al gruppo Dopo un breve lavoro secondo le direttrici suddette, sono stato inserito all’interno del gruppo, prendendo parte alle principali attività che venivano svolte nei vari laboratori. Per quanto riguarda il mio tirocinio diretto, ho scelto di concentrare la maggior parte delle ore su attività comuni di tipo laboratoriale piuttosto che su quelle svolte in classe dai singoli alunni, dato che avevo già avuto modo di lavorare, insieme al prof. Stagi, con un’alunna che seguiva un Piano Educativo Individualizzato nella classe 1E, in cui ho insegnato Informatica in qualità di supplente. A.2 Le attività del gruppo Nella programmazione oraria settimanale prevista per ciascun alunno del gruppo H erano presenti momenti in cui buona parte di essi non erano direttamente coinvolti in attività nelle loro classi; è proprio in tali momenti, che avevano una calendarizzazione ben precisa, che venivano portate avanti alcune attività da tutto il gruppo. A.2.1 Laboratorio di musicoterapia Al fine di esplorare modalità comunicative diverse da quelle verbali, ma anche modalità di conoscenza del sé diverse da quelle proprie di un lavoro a carattere analitico, venivano svolte con cadenza settimanale delle attività di carattere musicale, Appendice A. L’integrazione degli alunni con disabilità 28 che potremmo qui definire per semplicità - senza entrare nel merito del termine - di musicoterapia, sotto la guida della professoressa Galli; attività in cui erano coinvolti tutti gli alunni ed i docenti del gruppo H. Ho partecipato ad una di queste “sessioni” nell’ambito del tirocinio diretto e si è trattato di un’esperienza che mi ha colpito particolarmente, facendomi intuire la sua potenziale efficacia didattica anche a partire dalle sensazioni che io stesso ho provato nel corso del suo svolgimento. Ho vissuto questa esperienza con un senso di naturalezza e realizzato, in un secondo momento, la grande professionalità della collega Galli - che peraltro conduce attività di questo tipo da diversi anni. Come prima cosa, ci siamo seduti in cerchio (alunni e docenti), presentandoci a turno, ciascuno con il resto del gruppo, dapprima con lo sguardo ed un sorriso e successivamente scegliendo uno strumento musicale fra i molti che erano stati preliminarmente disposti al centro del cerchio e suonandolo in libertà, cercando di produrre dei suoni che secondo ciascuno rendessero bene conto della propria personalità e del proprio stato d’animo. Anche se stiamo parlando di sensazioni - in quanto tali difficilmente quantificabili - è stato per me sorprendente notare come i suoni prodotti da ciascuno di noi corrispondessero ad aspetti della personalità che avevo avuto modo di conoscere per altre vie: soprattutto dal confronto verbale diretto durante le ore trascorse con i ragazzi e dalla loro descrizione fattami dai colleghi docenti del gruppo H. In seguito, con una leggera musica di sottofondo, ci siamo disposti a coppie formate da un alunno e un insegnante (o tirocinante TFA: erano presenti anche altri tirocinanti oltre a me), uno di fronte all’altro. Dapprima l’adulto eseguiva dei movimenti lenti che si addicessero alla musica e il ragazzo, come in una sorta di specchio, replicava in sincronìa i movimenti; successivamente, le parti si invertivano, con il ragazzo che guidava i movimenti dell’adulto. Queste semplici azioni hanno contribuito a creare una sorta di prossimità mentale, oltre che fisica, che è poi culminata in un ballo di coppia in cui non vi era più chi conduceva e chi seguiva le mosse dell’altro. Terminata anche questa attività, e disponendoci nuovamente in cerchio, abbiamo messo al centro un telo elastico di forma circolare, di cui tenevamo i lembi con le mani; la prof.ssa Galli ha fatto partire una musica sinfonica suonata da un lettore CD ed ha lanciato sul telo una piccola palla di gomma. Ciascuno di noi, tirando a sé o lasciando andare i lembi del telo, contribuiva a far muovere la pallina su di esso, cercando di seguire, come meglio credeva, la musica in sottofondo; in particolare, nei crescendo, giungevamo a far saltare la palla sopra il telo, riproducendo quasi i movimenti di un danzatore. I ragazzi, con questa attività, hanno modo di entrare in contatto con le proprie emozioni e lasciarle fluire; ma al tempo stesso sono indotti a cercare di controllarle, dal momento che condividono fra di loro - e con i docenti - un’attività che, anche attraverso l’atto simbolico - oltre che fisicamente reale - di tenere tutti quanti lo stesso telo, consente di entrare in relazione gli uni con gli altri in modo “non invasivo”, ma nemmeno troppo mediato e artificioso. Nella figura A.1 sono proposte due immagini di diversi momenti del lavoro descritto. Nel corso dell’anno sono state svolte numerose altre attività nel laboratorio di musicoterapia; fra queste, la realizzazione di dipinti da parte dei ragazzi mentre suonavano, in sottofondo, canzoni e brani musicali scelti da ciascuno di loro; anche Appendice A. L’integrazione degli alunni con disabilità 29 in questo caso è stato per me sorprendente notare la sintonia tra la musica scelta da ciascuno, le scelte cromatiche e compositive dei loro dipinti e gli aspetti caratteriali individuali che già conoscevo. A.2.2 Laboratorio di psicomotricità Tutti i ragazzi del gruppo H presentano, oltre a disabilità/deficit da un punto di vista cognitivo e relazionale, anche difficoltà, più o meno marcate, da un punto di vista motorio. Sia per favorire un progresso in relazione a specifiche abilità motorie (da considerare positivo in sé), sia per la stretta relazione presente tra intelligenza e motricità, nel gruppo di lavoro presso cui ho svolto il tirocinio è stata fatta la scelta di dedicare un buon numero di ore a diverse attività orientate in tal senso. In questo ho trovato consonanza con quanto appreso tramite uno dei testi di riferimento indicati a lezione (Trisciuzzi e Galanti, 2001, p. 218): La motricità, dal canto suo, non è un aspetto separato dall’intelligenza, ma contribuisce a strutturare la psiche. [. . . ] acquisizioni sensopercettivo-motorie, cognitive e affettive, dunque, si influenzano vicendevolmente e si corrispondono. Lo sviluppo motorio permette di manipolare il mondo, di formulare, rivedere e verificare ipotesi. Anche il processo di costruzione della propria identità psicofisica e delle stesse coordinate di esistenza passa attraverso percorsi psicomotori e in particolare quello della costruzione dello “schema corporeo”, e quello delle coordinate spazio-temporali. Le attività relative all’area psico-motoria svolte nel corso dell’anno sono state di diverso tipo; nel periodo del mio tirocinio la maggior parte di esse erano finalizzate alla preparazione ad una partita di calcetto, che si sarebbe svolta nel mese di maggio tra le classi dell’istituto, a cui avrebbero preso parte anche due ragazzi del gruppo H. Questi due ragazzi hanno mostrato fin da subito una grande passione per il calcio, sia praticato da loro in prima persona, sia seguito come tifosi; proprio per questo, il coinvolgimento in un progetto del genere può essere considerato una forte spinta allo sviluppo di quella soggettività desiderante che Galanti (Trisciuzzi e Galanti, 2001, p. 226) considera all’origine dei possibili progressi in ambito motorio (e d’altronde di qualsiasi apprendimento tout court): Motivazione e bisogno adattivo sono la molla di qualsiasi apprendimento, compreso quello motorio, e rappresentano il vettore centrale attorno al quale la riabilitazione motoria stessa può strutturarsi. Sul piano motorio, l’aspetto principalmente compromesso appare, nel bambino affetto da PCI5 , quello esecutivo; tuttavia, nel prospettarne il percorso di riabilitazione, occorre considerare in primo luogo la necessità di sollecitare l’intenzionalità progettuale, di far nascere la soggettività desiderante che si pone all’origine e poi in sinergia con gli aspetti di tipo esecutivo. 5 Paralisi Cerebrale Infantile, nota mia. Appendice A. L’integrazione degli alunni con disabilità 30 Nello svolgimento di alcuni esercizi da parte dei ragazzi, notate alcune loro difficoltà nell’eseguire le azioni richieste, ho chiesto al mio tutor dell’opportunità di suddividere il compito complessivo in alcuni “sottocompiti” più elementari; Trinchera mi ha risposto illustrandomi la sua opinione al riguardo, ovvero che un approccio troppo orientato alla scomposizione dei compiti (in questo caso un gesto atletico o un movimento complesso) non sempre è utile al raggiungimento di obiettivi sia specifici sia di carattere più ampio, e che anzi un approccio olistico è solitamente - nella sua esperienza - garanzia di migliori risultati, sia in termini di prestazioni sia in termini di capacità sviluppate dagli alunni. A.2.3 Laboratorio “territoriale” Nel corso dell’anno i ragazzi hanno imparato a conoscere meglio il territorio in cui è posta la scuola e in cui essi vivono. Con cadenza settimanale, infatti, salvo avverse condizioni meteorologiche, sono state fatte delle visite guidate nei pressi dell’edificio scolastico, finalizzate all’esecuzione di alcuni compiti che erano stati preventivamente indicati o alla semplice conoscenza di alcune realtà sociali/produttive/etc. del territorio stesso. I ragazzi si sono infatti recati, accompagnati dagli insegnanti, all’ufficio postale del paese, per spedire alcune lettere che essi stessi avevano scritto; hanno visitato la locale caserma dei carabinieri; sono andati alla piscina comunale (che dista circa un chilometro dalla scuola), dove hanno svolto diverse attività in acqua, sotto la guida e supervisione tanto dei docenti che di personale specializzato. Nel corso di queste iniziative hanno avuto modo di sviluppare, anche se non in modo completo e sicuro, semplici capacità di orientamento, oltre ad aver avuto modo di relazionarsi con figure esterne rispetto alla realtà scolastica (impiegati dell’ufficio postale, carabinieri della locale caserma . . . ), solitamente in relazione a problemi/esigenze specifiche, come già detto. Inoltre, nel corso di più lezioni, sono state preparate delle visite guidate alla città di Lucca. I ragazzi hanno memorizzato alcune caratteristiche urbanistiche della città (i nomi di alcune porte di accesso al centro storico, i nomi di alcuni baluardi della cinta muraria . . . ); hanno pianificato delle visite ai principali siti di interesse (piazze, monumenti . . . ), servendosi di una cartina; sono andati, con gli insegnanti, ad acquistare i biglietti per raggiungere la città tramite bus di linea; si sono poi recati più volte nel centro storico, visitando ogni volta diverse zone della città. A.2.4 Altre attività Oltre alle attività laboratoriali appena descritte, i vari docenti di sostegno portano avanti diverse altre attività, sia di gruppo, sia con ciascun singolo ragazzo; in questo secondo caso è prevalente l’attenzione allo sviluppo di specifiche conoscenze e competenze disciplinari previste dai singoli PEI e il lavoro viene di norma svolto nelle classi di appartenenza di ciascuno. Tra le attività di gruppo, sono stati svolti alcuni progetti in collaborazione con il gruppo H della scuola secondaria di I grado “C. Piaggia” di Capannori, adiacente al Liceo: ad esempio i ragazzi, insieme agli insegnanti, hanno lavorato nell’ambito del progetto “L’isola delle coltivazioni”, attivo dal 1997/98 presso l’istituto (Istitu- Appendice A. L’integrazione degli alunni con disabilità 31 to Comprensivo “Carlo Piaggia”, 2012). All’interno del liceo, poi, sono state fatte anche alcune semplici messe in scena di brevi sketch o scenette di vario tema, in cui ciascun alunno aveva modo di rappresentare una parte; gli spettatori di tali rappresentazioni sono stati gli alunni stessi e i docenti di sostegno. Tra le attività individuali, invece, ho assistito allo svolgimento di alcune esercitazioni di matematica fatte dalla prof.ssa Aveta con l’alunno della classe 2A. Le difficoltà di questo ragazzo in ambito relazionale sembrano riflettersi, indirettamente, sulle sue capacità cognitive e di conseguenza sulle sue prestazioni: l’insegnante, anche nello svolgere semplici esercizi di matematica, cerca di rafforzare il senso di sicurezza in se stesso dell’alunno, dal momento che questi tende a fornire risposte alle domande poste dall’insegnante a bassa voce e in modo frammentario, oppure “tirando a caso”. Gli strumenti utilizzati, nelle occasioni in cui ho avuto modo di assistere alle lezioni, sono stati carta e penna e gli esercizi proposti sono stati spesso presi da testi a livello di scuola elementare, come quelli della collana L’acchiappanumeri (Dattolico, 2011). A.3 Alcuni insegnamenti dell’esperienza formativa L’esperienza di tirocinio sull’integrazione di alunni con disabilità è stata indubbiamente interessante e valida per la mia formazione personale e professionale. Altrettanto fuori di dubbio è il fatto che, per me, non è stato affatto facile riuscire a costruire apprendimenti e competenze sufficientemente strutturate tramite un monte ore piuttosto ridotto (un centinaio di ore di tirocinio indiretto e venticinque di tirocinio diretto). Riuscire a lavorare con professionalità in un ambito così specifico come l’integrazione di alunni con disabilità richiede una varietà di competenze (psicopedagogiche, relazionali, in materia legislativa . . . ) ed una pratica che certamente non possono essere acquisite in breve tempo. Tuttavia, l’essermi affacciato, sia pure come tirocinante e sia pure per un breve periodo di tempo, su un mondo così complesso e articolato è stato certamente utile per il mio percorso formativo, almeno per due ordini di motivazioni. A.3.1 Dalle didattiche speciali alle didattiche disciplinari Innanzitutto, come già detto in 3.2.1, il confronto diretto con ragazzi con disabilità consente di rileggere, con maggiori consapevolezze e da prospettive di solito non esplorate, anche particolari difficoltà che riguardano alunni “normodotati”. Pure senza entrare in nomenclature e tassonomie vecchie e nuove (non ultimi i cosiddetti BES), è sensazione diffusa - mia e di molti altri colleghi docenti - che molti dei ragazzi “normodotati” presentino difficoltà, tanto sul piano relazionale, quanto su quello cognitivo, non trascurabili da parte di chi è chiamato ad allestire un progetto educativo e formativo, che riguardi sia i singoli alunni, sia la classe nel suo complesso. Dopo questa esperienza ho cominciato ad avvertire alcune delle difficoltà degli allievi “normodotati” come qualcosa di non troppo diverso, qualitativamente (ma magari solo quantitativamente), da analoghe difficoltà presenti in casi di disabilità lievi; non a caso, si parla spesso di situazioni borderline, termine che evidenzia quanto la linea di confine tra normalità e anormalità(?)/disabilità Appendice A. L’integrazione degli alunni con disabilità 32 sia spesso assai sfumata. Un’altra riflessione particolarmente interessante stimolata dall’osservazione dei metodi di lavoro del gruppo H del “Majorana” riguarda l’approccio didattico che spesso parte da problemi, piuttosto che dalle loro soluzioni, come invece avviene ancora oggi soprattutto nell’insegnamento delle varie didattiche disciplinari. E’ assai frequente che - nei libri di testo e nelle prassi didattiche reali - si propongano agli alunni una serie di nozioni teoriche utili, nel medio-lungo termine, alla soluzione di problemi nei quali sono già stati ampiamente “defalcati gli impedimenti”, per dirla con Galileo; la sensazione personale è che ciò avvenga molto più frequentemente che non la posizione di problemi il meno “raffinati” possibile e in cui la costruzione degli strumenti teorici utili ad affrontarli sia graduale e guidata, in buona parte, dalle riflessioni e proposte degli alunni. Penso invece ad attività come quelle del laboratorio territoriale, in cui il problema era ad esempio quello di visitare la città: tale problema, soprattutto se sentito dai ragazzi come proprio, stimola la mente alla sua scomposizione in sotto-problemi (recarsi ad una rivendita di biglietti, consultare orari degli autobus di linea . . . ) e alla loro soluzione, anche tramite l’acquisizione, spesso incidentale e comunque finalizzata ad un obiettivo preciso, di nozioni e conoscenze che così vengono ad essere per certi versi secondarie e comunque funzionali rispetto a delle competenze verificabili e verificate. Lo svolgimento di attività di carattere all’apparenza ludico (recitazione, giochi di squadra, attività musicali) mi ha mostrato come proprio queste attività possano avere un’importante funzione nel creare un sereno e costruttivo clima relazionale tra gli alunni e i docenti e all’interno del gruppo di apprendimento nel suo complesso; proprio in un contesto del genere qualsiasi apprendimento significativo è favorito ed anzi stimolato. Queste considerazioni, credo, possono essere estese senza troppa difficoltà al caso in cui i soggetti in formazione sono alunni “normodotati” e le conoscenze/competenze oggetto di insegnamento sono codificate nelle discipline proposte dai piani di studi; nella mia esperienza di docente ho frequentemente notato una stretta correlazione tra risultati conseguiti nel processo di insegnamento/apprendimento e qualità dell’interazione all’interno della classe (tema che ho ripercorso anche in (Marchi, 2013e)). A.3.2 Le difficoltà specifiche degli insegnanti di sostegno Il fatto stesso di mettersi nei panni dell’insegnante di sostegno mi ha consentito di vedere con maggiore lucidità le difficoltà specifiche che caratterizzano il lavoro di questi colleghi specializzati con cui peraltro avevo già avuto modo di collaborare in modo stretto, come già detto, nella classe 1E. L’aspetto che mi ha forse maggiormente colpito riguarda l’importanza del lavoro di mediazione tra istanze ed aspettative dei singoli alunni (e delle loro famiglie) e contesti educativi che si riescono a creare. Tutto questo viene fatto in modo sistematico e continuo da parte del docente di sostegno, il quale deve coniugare in modo costruttivo le proprie conoscenze e competenze teoriche con le realtà concrete in cui si trova ad operare. Particolarmente emblematico in tal senso è stato il lavoro svolto da tutto il gruppo del “Majorana” riguardo ad un’alunna che, entrata al liceo (indirizzo Scienze Applicate) con l’intenzione di seguire un percorso A standard, ha proseguito poi se- Appendice A. L’integrazione degli alunni con disabilità 33 guendo un PEI che è stato oggetto di un approfondite discussioni di tutti i soggetti coinvolti prima di essere approvato; infine, nell’ultima parte dell’anno, la famiglia ha optato per un nuovo passaggio ad un percorso A per l’alunna, nonostante le indicazioni e i pareri contrari del Consiglio di Classe di appartenenza. Senza entrare nello specifico di un caso così articolato e delicato, è evidente come la necessità di mediare fra molte figure e le loro funzioni, sia un compito particolarmente difficile e che talvolta richiede alcune flessibilità, pur nel rispetto della legislazione e della normativa in materia. A.3.3 Alcune riflessioni sul metodo di lavoro Sicuramente l’attività di tirocinio sull’integrazione degli alunni con disabilità è stata un’esperienza utile ad osservare la traduzione in prassi didattiche ed educative di molte delle nozioni di carattere generale da me acquisite nei corsi dell’area comune. In diversi casi ho notato una sintonia tra quanto appreso a lezione e quanto ho potuto osservare di persona; in particolare, ho rivisto in azione molti dei meccanismi relazionali che si vengono a creare in un gruppo di lavoro come quello con cui ho svolto il mio tirocinio, meccanismi di cui avevamo ampiamente discusso nel corso delle lezioni della professoressa Baronti. Per quanto riguarda, invece, lo sviluppo di una progettazione didattica specifica per i singoli alunni, e la sua concretizzazione nelle attività svolte in classe e nei laboratori, ho avuto modo di osservare alcune discrepanze fra quanto appreso a lezione e quanto sperimentato nel corso del tirocinio. Infatti, mentre nelle lezioni di psicopedagogia e didattiche speciali è stata spesso sottolineata l’importanza di una reale integrazione degli alunni disabili, da realizzarsi anche tramite una massiccia partecipazione alle attività didattiche nelle classi di appartenenza (compatibilmente con il grado di disabilità di cui gli alunni sono portatori), nella pratica osservata al Liceo “Majorana” ho notato quasi una preponderanza dei vari laboratori in cui venivano svolte attività da parte di tutto il gruppo H; inoltre, in diverse occasioni, non sono riuscito a cogliere uno stretto legame tra obiettivi educativo/formativi ben definiti ed azioni intraprese ai fini del loro raggiungimento. Penso che una maggiore sintesi tra un lavoro teso a sviluppare le autonomie basilari dei ragazzi, in primis quelle di tipo relazionale ed emotivo ed un lavoro più specifico su apprendimenti di carattere disciplinare sia possibile; o che, quantomeno, sia in ogni caso opportuno delineare con grande chiarezza il quadro dei bisogni formativi ed educativi dei singoli alunni e disegnare percorsi didattici utili al soddisfacimento di tali bisogni, nonché forme il più oggettive possibile per la verifica del raggiungimento degli obiettivi correlati. Appendice A. L’integrazione degli alunni con disabilità (a) Il gruppo di lavoro, con i tre tirocinanti (sulla destra), l’insegnante prof.ssa Galli e il telo con alcuni strumenti disposti a terra al centro del cerchio. (b) Un momento della danza di coppia fra educatori ed alunni. Figura A.1: Alcune immagini relative al laboratorio di musicoterapia 34 Appendice B Scoprire la fisica con il pendolo: proposta di un progetto didattico per reti di scuole B.1 Introduzione Nell’ambito del mio percorso TFA ho elaborato una proposta per un progetto didattico interdisciplinare articolato attorno alla fisica del pendolo. Gli obiettivi di tale progetto, le sue fasi di sviluppo e le scelte metodologiche fatte sono descritte in dettaglio nella relazione presentata per l’esame di Preparazione di esperienze didattiche (Marchi, 2013d). Il progetto nel suo complesso si snoda lungo i cinque anni dedicati allo studio della fisica nel liceo scientifico e prevede la realizzazione di attività didattiche di natura molto diversa fra loro, ma tutte accomunate dal filo conduttore del pendolo: si va da attività di raccolta dati in laboratorio, ad analisi matematiche di modelli che descrivano la fisica del pendolo a discussioni sulle applicazioni tecniche e tecnologiche di questo strumento. Si tratta ad ogni modo di un progetto aperto, nel senso che nel mio lavoro ho provveduto solamente a descrivere un quadro generale e a proporre alcune delle attività possibili, lasciando la possibilità di inserirne via via di ulteriori, anche attraverso contributi proposti da altri colleghi di diverse scuole: proprio per questo parlo di “un progetto didattico per reti di scuole”. Ho inserito una sintetica descrizione di alcune delle attività possibili in un file liberamente consultabile sul web (Marchi, 2013c) e in corso di aggiornamento continuo (in effetti, per adesso, si tratta sostanzialmente di una bozza, che dovrebbe comunque rendere un’idea sufficientemente chiara del lavoro nel suo complesso). B.2 Un esempio di modulo didattico In questa sezione descrivo con un certo dettaglio una delle attività proposte, sia dal punto di vista della progettazione, sia dal punto di vista della sua realizzazione in classe. Qua di seguito cercherò di illustrare, più che “caratteristiche tecniche” dell’attività proposta, per le quali rimando al documento condiviso citato sopra, soprattutto lo 35 Appendice B. Scoprire la fisica con il pendolo 36 spirito con cui il modulo didattico viene presentato ai ragazzi e la sua collocazione in relazione agli altri moduli. Anche se lo svolgimento delle attività previste dal progetto non deve necessariamente seguire un ordine rigoroso, nella logica in cui è pensato l’intero percorso, penso che questa attività possa essere la prima ad esser proposta agli studenti, per le ragioni che illustro qua di seguito. B.2.1 Perché l’esperimento? Scopi e metodi della fisica Dov’è finito il pendolo? L’obiettivo principale di questa attività è mostrare come sia possibile fare previsioni riguardo fatti di natura, a partire da un’analisi attenta dei fenomeni; in particolare, in un’attività sperimentale in cui possiamo produrre e riprodurre fenomeni con un buon margine di libertà e di accuratezza al tempo stesso, misurando le grandezze fisiche di nostro interesse, possiamo anche essere in grado di fare previsioni quantitative. Un esempio evidente di ciò, in relazione al pendolo, riguarda la previsione del periodo di oscillazione in funzione della lunghezza del pendolo stesso. Tuttavia, mi sembra che l’analisi di un sistema, pur semplice come il pendolo, possa apparire per certi versi artificiosa a chi si approccia per la prima volta alla fisica: perché non studiare qualcosa di “più naturale”? Del resto, prima dei lavori di Huygens e Galileo, non si hanno, nella classicità greca e romana, cenni a pendoli utilizzati allo scopo di indagare la natura e le sue leggi; non vi è menzione di pendoli nella fisica aristotelica, che può essere considerata la summa dell’indagine della natura nell’antichità occidentale. Molto più naturale si presentava, agli occhi del filosofo della natura, studiare i moti di caduta libera dei gravi o degli oggetti lanciati piuttosto che quelli caratterizzati dalla presenza di un qualche vincolo fisico (che si tratti del filo di un pendolo o di un piano inclinato)1 . Proprio per queste ragioni, prima di passare allo studio del sistema pendolo da vari punti di vista - sistema che sarà oggetto di tutto il nostro percorso didattico - sembrano opportuni alcuni moduli introduttivi: per coinvolgere gli alunni, motivarli e per guidarli gradualmente verso il sistema che sarà oggetto degli studi successivi. Relazioni lineari e non La domanda di partenza, che possiamo porre agli alunni è la seguente: Secondo voi, quanto tempo impiega questa gomma2 a cadere da una finestra del primo piano? Come si potrebbe fare la previsione? Dopo aver ascoltato le proposte dei ragazzi, come secondo passaggio, potremmo suggerire di effettuare una misura del tempo di caduta “da un’altezza ragionevole” - ad esempio un metro - e chiedere poi di estrapolare previsioni riguardanti la 1 Sto limitando qui la mia attenzione a moti che avvengono in prossimità della Terra; nel caso dei moti di corpi celesti si può parlare, secondo la concezione antica, di vincoli costituiti dalle sfere celesti su cui orbitavano i corpi incorruttibili del cielo. 2 O un qualsiasi altro oggetto a portata di mano dell’insegnante e di “dimensioni e caratteristiche ragionevoli” (per i nostri scopi, ovviamente). Appendice B. Scoprire la fisica con il pendolo 37 caduta dal primo piano (ipotizziamo 5 metri circa). In questa prima fase, i ragazzi hanno modo di cominciare a confrontarsi con gli ordini di grandezza di misure spaziali e temporali che dovrebbero essere piuttosto familiari; ma fra le quali - la pratica didattica insegna - non tutti si orientano con la sicurezza che ingenuamente ci aspetteremmo. Comunque, in merito alla relazione tra tempi di caduta e quota di lancio, c’è da attendersi - ed è ciò che ho verificato sperimentalmente in più di un caso - che i ragazzi immaginino una relazione lineare3 : questo esperimento può essere un’ottima occasione per mostrare loro che non sempre la relazione tra due grandezze è di tipo lineare. Attenzione: ho usato la parola mostrare e non spiegare! E’ molto più efficace lasciare che sia la natura a smentire le ipotesi false, piuttosto che una spiegazione ex cathedra o la citazione di una formula del libro di testo. A questo punto perciò, dato che sarà molto improbabile che dagli alunni sia arrivata una risposta corretta4 , proseguiremo smentendo direttamente le ipotesi da loro fatte, effettuando il lancio dell’oggetto dalla finestra e facendo la misura del suo tempo di caduta. Cosa significa fare una misura? Cosa dire e cosa non dire Arrivati fin qui, sembra opportuno precisare cosa intendiamo con “tempo di caduta dell’oggetto”. Se non l’avranno già fatto gli alunni, solleveremo la questione se sia possibile o meno parlare di un tempo di caduta dell’oggetto, o se questo non sia, in un certo senso, variabile. Non è difficile convincere i ragazzi (o magari, anche in questo caso, saranno loro stessi a fare la proposta) che “è meglio” considerare la media aritmetica dei valori ottenuti attraverso vari lanci da una stessa quota. Qual è il numero ideale di lanci da fare per calcolare tale valor medio relativo ad una data quota? Cos’è l’errore strumentale, cosa l’errore sistematico, cosa l’errore statistico? In questa fase di lavoro, se teniamo presente l’obiettivo che ci siamo posti per questa attività, ossia mostrare la possibilità di fare una previsione quantitativa, non avremo difficoltà a rimandare ad un momento successivo una risposta a tali domande. Per quanto riguarda la prima, possiamo limitarci ad una risposta come la seguente: Più è alto il numero di lanci e migliore viene la media; un numero adeguato può essere di cinque-sei lanci. Più avanti vedremo insieme il perché. In realtà, in un esperimento come questo, il principale fattore di errore è il tempo di reazione umano, che su tempi di caduta da quote inferiori a due metri, pesa di più della stima dell’incertezza statistica che si può ottenere attraverso lanci ripetuti: per questo motivo, effettuare un elevato numero di lanci al fine di ridurre 3 Tipicamente, se le quote scelte non sono in rapporto intero fra loro, qualcuno della classe più familiare con la modellizzazione matematica - imposterà una proporzione per determinare il tempo incognito. 4 Corretta nel senso che chiariremo a breve. Se stiamo lavorando con alunni di una classe prima, magari al primo approccio con la fisica, non ci aspettiamo che propongano come risposta un intervallo di possibili valori (misura più probabile con la relativa incertezza); ma piuttosto un valore unico. Appendice B. Scoprire la fisica con il pendolo 38 l’incertezza relativa, calcolata ad esempio tramite la deviazione standard, non è particolarmente utile. Può essere una scelta dell’insegnante quella di affrontare esplicitamente con la classe questo punto; in ogni caso, si tenga presente che l’obiettivo di più lungo respiro è quello di convincere i ragazzi, alla fine del presente esperimento, dell’opportunità di studiare un sistema - il pendolo - in cui fonti di errore come quella appena citata possono essere ridotte in modo considerevole. Acquisizione dei dati Adesso potremo passare ad una raccolta dati sistematica. Potremmo far raccogliere dati relativi a diverse quote di lancio, “facilmente accessibili” agli studenti: una decina di misure, comprese nell’intervallo di quote fra cinquanta centimetri e due metri, potrebbe essere una scelta ragionevole; per ogni quota fissata potranno esser fatti almeno cinque-sei lanci, alla luce delle riflessioni precedenti sulla media come valore più vicino a quello “vero”. Interpolazione ed estrapolazione di previsioni Una volta raccolti i dati, potremmo chiedere di nuovo alla classe di fare una previsione del tempo di caduta per una quota fuori dall’intervallo considerato, ad esempio 3 metri. A questo punto ritengo che sia opportuno lasciare ampio spazio alle loro considerazioni su come sfruttare i dati acquisiti al fine di fare tale previsione, piuttosto che proporre la nostra soluzione. Dopo ampia discussione, si potrà introdurre l’idea della rappresentazione cartesiana dei dati e si farà una stampa della rappresentazione cartesiana (quota, tempo) dei dati raccolti; dopodiché, si chiederà nuovamente ai ragazzi se siano in grado, adesso, di fare la previsione richiesta. Se ancora non saranno riusciti ad illustrare un possibile metodo che fornisca una soluzione accettabile, tracceremo noi, a mano libera, una curva che “a occhio” si adatti bene ai dati raccolti; tracciando, sempre a mano, la prosecuzione di tale curva fino al valore della quota considerata, saremo in grado di fare la previsione del tempo di caduta relativo. Tramite queste ultime attività si comincia ad introdurre, senza far precedere nomi complicati alla sostanza delle cose, una discussione sui procedimenti di interpolazione/estrapolazione. La stima fatta per via grafica nel modo appena descritto, ovviamente, è piuttosto grossolana e forse non si può parlare per essa di previsione vera e propria; un successivo salto di qualità consiste nell’introduzione di una legge analitica che interpoli i dati raccolti. Tuttavia, per le ragioni che illustro poco più sotto, non sembra opportuno farlo a questo livello: piuttosto, in un modulo didattico successivo si potrà affrontare il tema, anche tenendo conto delle conoscenze e competenze possedute dagli studenti in ambito matematico, soprattutto in relazione al concetto di funzione e alla sua rappresentazione cartesiana. B.2.2 Esiti di una prima sperimentazione sul campo Alcune informazioni di contesto Nel mese di marzo del corrente anno scolastico 2012/13, nella classe 1D del Liceo Scientifico “E.Majorana” di Capannori, ho sperimentato un’attività didattica Appendice B. Scoprire la fisica con il pendolo 39 che implementasse il modulo appena illustrato nella sezione precedente (B.2). Come già detto in 1.1 è assai frequente trovare classi di alunni - di tutti e cinque gli anni di liceo! - che non riescono a progettare e portare avanti un semplice esperimento di fisica nella sua completezza, dall’acquisizione dei dati alla loro analisi e all’estrazione di una legge fenomenologica. Questo perché, spesso, le competenze necessarie si trovano in una terra di nessuno, in cui non operano né il docente di fisica, né quello di informatica o matematica. Da un lato un insegnante di informatica potrebbe non ritenere opportuno o importante, ai fini della sua disciplina, proporre uno studio di dati “provenienti dalla fisica” - a meno che i dati non gli vengano sottoposti, nell’ambito di una collaborazione più o meno formalizzata, dal collega di fisica. Dall’altro, l’insegnante di fisica potrebbe contare troppo ottimisticamente sulle competenze degli alunni, lasciando a loro di analizzare i dati raccolti insieme in laboratorio, senza andare effettivamente a controllare gli esiti di un processo che non dipende strettamente da competenze che “spettava a lui trasmettere”. Le difficoltà (e l’entusiasmo) degli studenti L’attività svolta nella classe 1D ha suscitato un discreto entusiasmo negli studenti, immagino per diverse ragioni. Innanzitutto sono stati posti una serie di obiettivi ben definiti per l’intero processo: saremmo arrivati a fare una previsione di una misura, che poi avremmo potuto verificare; avremmo prodotto una presentazione che sintetizzasse il lavoro svolto5 . Oltre a ciò, è stato ceduto un ampio margine di responsabilità ai ragazzi nello svolgimento del lavoro: la classe è stata divisa in diversi gruppi, uno dei quali aveva il compito di coordinare le attività, fungendo da tramite tra i vari gruppi e tra la classe e il docente. Le attività si sono svolte in modo abbastanza ordinato. Sono emersi anche alcuni spunti interessanti da parte dei ragazzi. Ad esempio, essi hanno autonomamente ipotizzato che il cronometro dei loro cellulari touchscreen non fosse uno strumento adeguato alle misure dei tempi di caduta, visto che il ritardo nel raccogliere il segnale dovuto alla pressione del dito non era secondo loro trascurabile: molto meglio utilizzare un classico cronometro (digitale), facilmente reperibile nel laboratorio di fisica. E ancora, sempre da loro è venuta la proposta di misurare i tempi di caduta di una palla da baseball guardando il movimento di un sottile strato di farina posto sul telo su cui veniva fatta cadere la palla, in modo da rendere più evidente l’istante esatto dell’impatto della palla con il suolo. Alcune deviazioni dal percorso principale però, a mio giudizio, hanno un po’ messo in difficoltà gli studenti stessi. Ad esempio, per verificare se la misura di tempi “fatta tramite la farina” fosse più precisa di quella basata su una semplice osservazione a occhio del momento dell’impatto al suolo della palla, ho proposto loro di effettuare due serie di misure, una serie per ciascun metodo, e di confrontarne le deviazioni standard: da un lato 5 Inoltre ho accennato agli alunni che la presentazione realizzata sarebbe stata diffusa fuori dalla classe, ad esempio in conferenze sulla didattica o in incontri di presentazione della scuola, non appena ve ne fosse stata occasione l’occasione. Appendice B. Scoprire la fisica con il pendolo 40 hanno accolto - mi pare con sincera convinzione - il fatto che misure meno disperse siano un possibile indicatore che ci stiamo maggiormente avvicinando al “valore vero” della misura; dall’altro, una volta richiesto loro di esporre nuovamente questo ragionamento in un momento successivo, hanno faticato a riproporlo in modo secondo me chiaro. Altre difficoltà sono state incontrate nell’interpolazione dei dati tramite una formula analitica. Non è stato facile provare a spiegar loro, con parole semplici, perché ci aspettiamo che il tempo di caduta sia proporzionale alla radice quadrata della quota; e ancora, perché il coefficiente di correlazione R2 , ottenibile da un fit dei dati fatto con un comune foglio di calcolo, sia un indicatore della bontà√dell’interpolazione. O infine perché, anche se consideriamo leggi diverse da t ∝ h, che danno luogo a valori più alti per R2 (contenendo ad esempio un maggior numero di parametri liberi), non possiamo considerarle ad essa preferibili, sebbene il coefficiente di correlazione sia uno stimatore dell’accordo fra i dati e la legge ipotizzata. I ragazzi, con impegno, hanno provato a cogliere tali ragioni ed hanno inserito qualche semplice argomentazione in merito nella presentazione finale del progetto, realizzata interamente da loro; tuttavia, nutro forti dubbi che di tutto ciò qualcosa sia veramente rimasto loro e che la scelta di toccare tali temi sia stata opportuna. Proprio per questo, sono giunto alla conclusione (come sempre provvisoria, quando si sperimenta nell’insegnamento!) che forse è meglio rimandare tali questioni sicuramente più impegnative ad un successivo modulo didattico per evitare di sovraccaricare eccessivamente questa semplice attività introduttiva. Qualità dei dati raccolti e della previsione Guardando i grafici realizzati dai ragazzi a partire dai dati raccolti, ed inseriti nella presentazione da loro creata, non si può essere soddisfatti - come fisici - della loro qualità. Certamente qualcosa non è andato per il verso giusto nella procedura di raccolta dati: oltre alle difficoltà intrinseche di un simile esperimento, probabilmente anche la supervisione del gruppo di alunni addetti a controllare l’operato dei compagni non è stata fatta nel modo adeguato. Ma questa non deve, secondo me, essere considerata solo come una sconfitta, ma piuttosto un discorso da affrontare con la classe e da prendere come punto di partenza per nuove attività e per esperimenti più accurati. In modo simile, del resto, procede quasi sempre la scienza. Preso atto che “l’esperimento non è andato bene”, ci si può muovere sostanzialmente in due direzioni per cercare di comprendere meglio le cause delle difficoltà riscontrate e per vedere se sia possibile superarle. Da un lato, ad esempio, per quanto riguarda le misure dei tempi, dotandosi di una comune videocamera e registrando un video di caduta dell’oggetto considerato si può poi lavorare sul video risalendo a misure di tempi assai accurate tramite il software Tracker, liberamente scaricabile dal web. L’altra strada è quella di passare ad analizzare sistemi fisici affini, ma che consentono, per varie ragioni, di ottenere misure significativamente più accurate, a prescindere da un miglioramento dello strumento utilizzato per misurare i tempi: misurando 10 oscillazioni di un pendolo, e ricavando il periodo della singola oscillazione, si otterrà un’incertezza decisamente più bassa di quelle ottenibili per il tempo Appendice B. Scoprire la fisica con il pendolo 41 di caduta di un oggetto in un esperimento come quello fatto da noi. In questo caso la difficoltà - da un punto di vista didattico - consiste nel concetto di sistema fisico affine: tale difficoltà è comunque affrontabile, almeno ad un livello elementare, da studenti del primo anno di scuola superiore; ed anzi, proprio l’illustrazione di cosa accomuna la caduta libera, la caduta lungo un piano inclinato e l’oscillazione di un pendolo è l’argomento proposto nella successiva attività didattica (Marchi, 2013c, Attività proposte: quadro generale). Appendice C Materiali utilizzati, attività svolte e riflessioni teoriche: alcuni complementi C.1 C.1.1 Alcuni materiali complementari Griglie di correzione delle verifiche scritte In figura C.1 è proposta una griglia di misurazione di una verifica di fisica, svolta nel corso del presente anno scolastico 2012/13, nella classe 5A del Liceo Scientifico “E.Majorana” di Capannori; il file da cui è presa l’immagine, condiviso con gli alunni della classe, è consultabile online (Marchi, 2013a): è stata nascosta una colonna, sulla sinistra, in cui compaiono i nomi degli alunni. In una nota, non riportata nell’immagine, sono specificate le regole per l’attribuzione dei punteggi alle domande chiuse: 10 se la risposta è corretta, 2 se la casella viene lasciata in bianco, 0 se la risposta è errata. Il voto finale è ottenuto tramite arrotondamento del punteggio complessivo che, a sua volta è una media pesata dei punteggi riportati nei singoli esercizi; i pesi dei singoli esercizi vengono indicati agli alunni sul testo della prova, come mostrato nella figura C.2 (che si riferisce, in realtà, ad una verifica svolta in un’altra classe). Ciascun alunno può consultare, nella riga corrispondente al proprio nome, il punteggio che è stato assegnato ad ogni esercizio da lui svolto (su una scala che va da zero a dieci); può anche confrontarlo con il punteggio medio riportato dalla classe: le ultime due righe corrispondono, rispettivamente, alla media (sulla classe) dei punteggi di ogni singolo esercizio e dei voti finali e alla loro deviazione standard. Le prime due righe si riferiscono a degli ipotetici compiti che corrispondono al livello di sufficienza e al compito svolto in modo perfetto: si tratta di una verifica per gli alunni di quali possano essere le condizioni per raggiungere la sufficienza e di come ad una verifica perfetta corrisponda effettivamente il voto massimo. Gli studenti possono infatti controllare, tramite il foglio di calcolo, che la formula applicata nella cella per la determinazione dei due voti fittizi di cui sopra è la stessa applicata per la determinazione del loro punteggio finale. 42 Appendice C. Alcuni materiali complementari 43 Figura C.1: Un esempio di griglia di misurazione degli esiti di una verifica scritta. C.1.2 Questionari di valutazione della didattica Una mia proposta Come detto in 2.2.1, ho avuto modo, al termine del presente anno scolastico, di proporre agli alunni delle classi prime nelle quali avevo un incarico come supplente di informatica fino alla fine delle lezioni, un questionario di valutazione della mia attività didattica. Nella prima pagina del questionario loro somministrato in forma cartacea, chiedevo di lasciarmi alcune indicazioni utili per una successiva rielaborazione statistica dei dati: classe di appartenenza, genere (maschio o femmina), disciplina per cui venivo valutato (informatica in quel caso), nome della scuola, anno scolastico. Inoltre sulla stessa pagina un ampio spazio bianco era lasciato per commenti liberi facoltativi. Il resto delle domande prevedeva di fornire una risposta numerica su una scala da uno a cinque. Di seguito il dettaglio delle domande proposte che, come si può Appendice C. Alcuni materiali complementari 44 Figura C.2: Un esempio di intestazione di una verifica scritta. vedere, erano articolate secondo cinque “dimensioni di indagine”: 1. La materia/le modalità didattiche (a) interesse: Ti piace la materia? La trovi interessante? (b) difficoltà: Trovi difficile la materia? (c) attese: Hai trovato differenze (di difficoltà, di interesse) tra come ti aspettavi la materia e come è stato il corso? (1=il corso è stato meglio delle attese; 3=non ci sono state grosse differenze; 5= mi aspettavo di meglio dal corso) (d) efficacia: Ritieni efficaci, per il miglioramento della tua preparazione, le strategie didattiche (spiegazioni/esercitazioni/progetti...) adottate dall’insegnante? (e) chiarezza: Le informazioni sugli obiettivi e i metodi di valutazione sono state chiare? (f) verifiche: C’è stata coerenza fra gli argomenti spiegati o svolti nelle esercitazioni e quelli proposti nelle verifiche? (g) valutazione: Pensi che il giudizio finale rispecchi la tua preparazione? (1=voto troppo basso; 3=sì; 5=voto troppo alto) 2. Il professore (a) preparazione: Ti è sembrato preparato sugli argomenti delle lezioni? Appendice C. Alcuni materiali complementari 45 (b) chiarezza: E’ in grado di spiegare in modo chiaro i vari argomenti/concetti? (c) disponibilità: E’ in grado di/è disponibile a rispiegare i concetti, se necessario, in modo diverso? (d) carisma: Sa coinvolgere/gestire/interessare la classe? (e) flessibilità: E’ disponibile nel venire incontro alle varie esigenze (organizzative . . . ) della classe? (f) attenzione: Sa cogliere i vari bisogni di ciascuno? E’ disponibile ad un confronto sincero? (g) equità: Assegna i voti in modo corretto (“senza preferenze”) fra i vari alunni? 3. Io stesso: indica le sensazione che hai provato durante le lezioni (a) interesse: (5=interesse, 1=disinteresse) (b) entusiasmo: (5=entusiasmo, 1=noia) (c) soddisfazione: (5=appagamento, 1=frustrazione) (d) serenità: (5=serenità, 1=ansia) 4. Materiali didattici utilizzati (a) Libro di testo (b) Altri libri (c) Documenti creati da te stesso o dai tuoi compagni (d) Ricerca sul web di materiali indicati dall’insegnante: YouTube, Wikipedia, materiali dal blog del professore, altro (e) Ricerca libera sul web: YouTube, Wikipedia, materiali dal blog del professore, altro 5. Domande generali (a) In generale, ti è piaciuto il corso? (b) Ci sono stati argomenti specifici che hanno suscitato il tuo interesse? (5=molti, o comunque pochi ma che hanno suscitato molto interesse; 1=pochi o nessuno e per niente interessanti) (c) Hai imparato cose nuove? (d) Pensi di avere imparato cose utili? (e) Quanto è migliorata la tua comprensione della materia? (f) Quanto pensi ti rimarrà di ciò che hai imparato? (g) I materiali didattici proposti sono stati utili al miglioramento della tua preparazione? Appendice C. Alcuni materiali complementari 46 Si tratta, ne sono convinto, di uno strumento da mettere a punto sia attraverso indicazioni derivanti da un suo utilizzo pratico, sia da riflessioni teoriche che mi propongo di fare - sotto forma di aggiornamento continuo - nel corso della mia carriera; certamente anche il confronto diretto con colleghi che utilizzano simili strumenti di indagine, così come è stato fatto con il prof. Manfredini, può fornire indicazioni altrettanto utili. Questionario prof. Manfredini Il questionario proposto agli alunni delle sue classi dal mio tutor scolastico prof. Manfredini si compone delle domande elencate qui di seguito. Per ciascuna di esse è prevista una valutazione in una scala da 1 a 5 (eccezion fatta, evidentemente, per le domande 1 e dalla 15 alla 18): 1. Di che classe sei e per quale disciplina valuti? Indica la tua classe e la disciplina per la quale valuti il docente 2. Metodo d’insegnamento. La maniera con cui fa lezione questo docente mi aiuta a comprendere la materia 3. Motivazione. Questo docente sembra motivato all’insegnamento 4. Lavoro personale. Questo docente sa stimolare e valorizzare il lavoro personale degli studenti 5. Domande. Il docente risponde con chiarezza alle domande che gli studenti gli rivolgono 6. Sensibilità. Questo docente cerca di capire se gli studenti comprendono quello che spiega 7. Verifiche e valutazioni. Questo docente valuta in modo chiaro, trasparente e neutro 8. Spiegazioni. Questo docente spiega in modo chiaro, organico e coinvolgente 9. Supporti informatici. Questo docente usa supporti informatici, rendendo la lezione maggiormente efficace 10. Collaborazione. Questo docente collabora efficacemente con i colleghi del Consiglio di Classe 11. Apprendimento. Ritengo che con questo docente ho imparato la materia 12. Formazione. Questo docente non si limita a trasmettere contenuti ma aiuta gli studenti a formarsi uno spirito critico autonomo 13. Nel complesso. Come valuti nel complesso le prestazioni di questo docente 14. Ascolto. Se hai già compilato un questionario simile lo scorso anno scolastico, questo docente ha tenuto conto delle risposte e ha modificato la propria didattica Appendice C. Alcuni materiali complementari 47 15. Sito di servizio - Proffonlain - visite. Quante volte hai visitato il sito? (a) meno di una volta al mese (b) tra una volta al mese e una volta la settimana (c) tra una volta la settimana e una volta al giorno (d) una volta al giorno (e) più volte al giorno 16. Sito di servizio - Proffonlain - utilità. La sezione del sito più utile è stata (a) Prove di verifica (b) Lavoro domestico (c) Domande e risposte (d) Contattami (e) Calendario (f) Questionari di valutazione 17. Sito di servizio - Proffonlain - suggerimenti. Suggeriresti di proseguire nell’utilizzo del sito di servizio? Perché? Con quali eventuali modifiche? (risposta aperta) 18. Suggerimenti. Hai qualche suggerimento da dare al docente per migliorare l’insegnamento/apprendimento in vista del prossimo anno scolastico? (risposta aperta) C.2 C.2.1 Altre attività svolte Perché il calcolo letterale? Più o meno all’inizio del secondo quadrimestre, prima ancora che venisse definita la mia attività di tirocinio e che venissero individuati i miei tutor scolastici, ho concordato con la prof.ssa Pasquini (che sarebbe stata, in seguito, mia tutor) lo svolgimento di un’ora di lezione in compresenza nella classe 1DSA, in cui avremmo proposto un’introduzione al calcolo letterale, cercando di fornire alcune delle possibili motivazioni che inducono a passare dal calcolo con i numeri al calcolo con le lettere. Tra gli obiettivi c’erano quello di introdurre gli alunni all’utilizzo di software utili in ambito matematico (nella fattispecie il foglio di calcolo e GeoGebra) e di mostrare possibili interazioni fra queste due discipline, di cui eravamo insegnanti nella classe di riferimento. La lezione si è svolta nell’aula di informatica del liceo. Nella prima parte della lezione ho utilizzato delle slides, preparate per l’occasione, presentate tramite videoproiettore; ben presto ho anche mostrato un video, che avevo realizzato alcuni mesi prima per il portale Oilproject (Marchi, 2012a). Facendo riferimento al video, ho illustrato come l’utilizzo di “espressioni generali”, in Appendice C. Alcuni materiali complementari 48 cui i numeri sono sostituiti da lettere, consenta di trattare una tantum una serie di operazioni che, se lavorassimo con i numeri, andrebbero ripetute - sempre uguali a se stesse, eccezion fatta per i numeri utilizzati di volta in volta - un gran numero di volte. Nel video, quelle che diventeranno poi le lettere che compaiono in espressioni polinomiali sono i riferimenti di cella (C3, F4 . . . ) di un foglio di calcolo ideato per la risoluzione di un problema concreto, di natura contabile. Dopo una parentesi dedicata a fissare alcuni termini matematici (definizioni di polinomio, grado di un polinomio . . . ), abbiamo assegnato agli alunni compiti simili a quello che avevano appena visto svolgere nel video e li abbiamo seguiti nella traduzione matematico/informatica, fatta da ciascun alunno, alla propria postazione di lavoro. Anche questa esperienza, pur non inserita formalmente nel periodo di tirocinio, ha costituito una significativa conferma delle opportunità della reciproca fecondità di matematica ed informatica. Successivamente, per impegni tanto personali quanto della prof.ssa Pasquini, non abbiamo avuto modo di proseguire in iniziative simili con quella classe; ci siamo tuttavia proposti di tornare a collaborare più avanti, in modo più strutturato, su attività di questo genere. C.2.2 Cosa si può vedere nel cielo? Come discusso in 3.2.2, l’impiego di mappe concettuali può costituire un valido supporto alla didattica, soprattutto nello sviluppo di competenze riguardanti la traduzione in formule matematiche di relazioni tra grandezze misurabili. Le mappe concettuali che di solito gli alunni del primo biennio conoscono, però, sono più che altro delle mere forme di riorganizzazione grafica di un testo scritto, simili ad esempio a quella proposta in figura C.3. Chiaramente la realizzazione di una simile mappa non comporta un grande impegno di rielaborazione da parte dell’alunno, non essendo fra l’altro imposto alcun vincolo sulle parole che possono essere associate agli archi del grafo (questo, in termini matematici, è una mappa concettuale): la creazione di un simile prodotto richiede l’attivazione di risorse cognitive più tipiche delle discipline umanistiche o delle cosiddette scienze molli 1 , piuttosto che risorse che richiedono un più rigoroso impegno nella rielaborazione e formalizzazione, caratteristico delle scienze esatte. La mappa concettuale proposta, insomma, ha più una funzione descrittiva che sintetica. La costruzione di mappe concettuali soggette a regole più rigide può essere allora un efficace passaggio intermedio tra la descrizione verbale libera di un sistema o processo fisico e la formula matematica che quantifica relazioni tra grandezze utili a descriverlo. Attraverso una serie di domande mirate rivolte agli studenti, utili a capire quali oggetti possiamo vedere nel cielo e quali sono i fattori che fanno sì che un oggetto risulti visibile mentre un altro no, possiamo arrivare alla costruzione di una mappa concettuale come quella della figura C.4. Dopo un simile lavoro avente una funzione che potremmo definire “esplorativa” del problema, possiamo concentrarci su alcuni dei fattori appena introdotti, ovvero su una parte del grafo; in particolare 1 Con questo termine (in inglese soft sciences) si designano di solito discipline nelle quali il rigore e l’aderenza al metodo scientifico vengono considerati superficiali: possono essere considerati esempi di scienze molli la psicologia evolutiva o le scienze sociali in genere. Appendice C. Alcuni materiali complementari 49 su quei fattori più facilmente analizzabili e quantificabili attraverso l’introduzione di grandezze fisiche note agli alunni. Procedendo sempre con domande alla classe, o anche tramite una spiegazione “più classica”, possiamo introdurre relazioni algebriche tra le varie grandezze fisiche che via via definiremo e sintetizzare il tutto attraverso un grafo/mappa concettuale come quello proposto in C.5. La “stratificazione gerarchica” del grafo proposto illustra bene quale sia in realtà la complessità, da un punto di vista cognitivo, di un concetto - come quello di magnitudine assoluta - che spesso nei libri di testo viene introdotto in modo piuttosto apodittico, probabilmente proprio per “aggirare tale complessità”. Queste attività di costruzione di mappe concettuali, naturalmente, non esauriscono i problemi di natura didattica in relazione al tema preso in esame, ma costituiscono una possibile integrazione ad altri strumenti didattici non meno utili ad un apprendimento solido e profondo: esercizi e problemi quantitativi (che richiedano l’applicazione delle formule introdotte), eventuali attività di natura sperimentale ed altro ancora. In ogni caso credo che l’impiego di mappe concettuali sia comunque un utile preludio - o complemento - alla scrittura di una formula matematica che sarà a questo punto una conquista degli studenti e non qualcosa “che è così perché così sta scritto sul libro”. Nella costruzione di mappe simili a quelle proposte, infatti, si attivano molte delle procedure tipiche della costruzione del sapere scientifico: • Scomposizione del problema attraverso un lavoro di analisi. Nel nostro caso, arriviamo a dire che la luce raccolta da un osservatore dipende da quanta ne emette l’astro, da ciò che accade nel cammino intermedio, dalle caratteristiche dell’osservatore (che può essere tanto l’occhio umano quanto un telescopio). Ciascuno di questi fattori, a sua volta, può essere ulteriormente analizzato. • Determinazione di grandezze quantitativamente misurabili e perciò caratterizzate da una loro unità di misura e da un valore numerico: distanze, flussi di energia . . . • Assegnazione di una lettera a ciascuna delle grandezze (variabili) suddette: d, D . . . • Traduzione del grafo (mappa concettuale) in una serie di formule algebriche che legano fra loro le variabili introdotte: – La luminosità emessa sarà: L = F · 4πrS2 – La potenza raccolta per unità di superficie, ad una distanza d sarà I = L 4πd2 – Indicato con θ l’angolo tra la posizione dell’astro osservata e quella atm dell’astro allo zenit (la cosiddetta distanza zenitale), avremo D = hcos θ – ... • Eventuale sintesi in una formula che esprima la grandezza di interesse in funzione di tutti i fattori introdotti. Appendice C. Alcuni materiali complementari 50 Inoltre, un simile lavoro chiarisce bene ed anticipa agli studenti le possibilità di successivi approfondimenti, che l’insegnante può scegliere di fare o meno anche sulla base di variabili contestuali (obiettivi specifici della progettazione didattica, competenze possedute dalla classe in relazione all’argomento . . . ): ad esempio, un ulteriore passaggio potrebbe esser quello di indagare ulteriormente la variabile flusso unitario emesso, illustrando la relazione tra F e temperatura secondo la legge di Stefan-Boltzmann. Figura C.3: Un esempio di mappa concettuale per l’insegnamento delle scienze. L’immagine è presa da http://cmapspublic2.ihmc.us/ servlet/SBReadResourceServlet?rid=1234274349546_103231977_ 10286&partName=htmltext. Appendice C. Alcuni materiali complementari 51 Figura C.4: Cosa possiamo osservare nel cielo? Un esempio di applicazione delle mappe concettuali alla didattica dell’astronomia. Il grafo qui rappresentato è da considerarsi come una proposta di lavoro, prestandosi a successive migliorìe ed ulteriori approfondimenti. Appendice C. Alcuni materiali complementari 52 Figura C.5: “La costruzione” di una grandezza fisica tramite mappe concettuali. Rispetto al grafo proposto in C.4, questo può essere considerato un successivo passaggio verso la quantificazione delle relazioni tra grandezze fisiche tramite formule algebriche. Bibliografia Capperucci D. (2011). La valutazione degli apprendimenti in ambito scolastico. FrancoAngeli. Castelnuovo G. (1962). Le origini del calcolo infinitesimale nell’era moderna. Feltrinelli. D’Amore B. (1983). Educazione matematica e sviluppo mentale. Armando editore. Dattolico R. (2011). L’acchiappanumeri (5 voll.). Ardea editrice. Franciolini L. (2013). Dalla correzione alla condivisione dell’errore: riflessione analitica sull’interazione verbale in classe attorno all’errore. http://boa.unimib. it/bitstream/10281/20452/1/phd_unimib_068288.pdf. Istituto Comprensivo “Carlo Piaggia” C. (2012). Progetto L’isola delle coltivazioni. http://www.icpiaggia.it/progetti/progetti.htm. Manfredini E. (2011). Proffonlain, http://proffonlain.blogspot.it/. Marchi F. (2008). Il contributo della ricerca in Didattica all’insegnamento della Fisica: criteri per la progettazione di nuovi materiali. http://francescomarchi. files.wordpress.com/2013/03/tesi-specialistica.pdf. Marchi F. (2012a). Come tradurre espressioni matematiche usando il calcolo letterale. http://www.oilproject.org/lezione/ come-tradurre-espressioni-matematiche-usando-calcolo-letterale-3198. html. Marchi F. (2012b). Programmazione annuale di fisica, classe quarta. https://docs.google.com/spreadsheet/ccc?key= 0AhF76OPEZgnndHVhaFZjX1NJSHAwM25mOWxrTWhES1E&usp=sharing. Marchi F. (2013a). Griglia per la misurazione di una verifica, classe quinta. https://docs.google.com/spreadsheet/ccc?key= 0AhF76OPEZgnndFpjTHA2c0RsR0xCUUVaQWJOb1NuTkE&usp=sharing. Marchi F. (2013b). Introduzione alla cinematica. Una proposta didattica per studenti dei licei. http://francescomarchi.files.wordpress.com/2013/06/ introduzione-alla-cinematica-una-proposta-didattica-per-studenti-dei-licei. pdf. 53 Bibliografia 54 Marchi F. (2013c). Scoprire la fisica con il pendolo. Archivio documenti condivisi. https://docs.google.com/folder/d/0BxF76OPEZgnnSlZoU3VWT0hra28/ edit?usp=sharing. Marchi F. (2013d). Scoprire la fisica con il pendolo. Proposta di un progetto didattico per reti di scuole. http://francescomarchi.files.wordpress.com/ 2013/06/scoprire-la-fisica-con-il-pendolo.pdf. Marchi F. (2013e). Valutare le interazioni e le attività didattiche in classe. 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