1
MANFREDO PAOLO FALASCA
UN PARROCO MODELLO DI PARROCI
IL VEN. GIUSEPPE FRASSINETTI
Felice il cuore
che non ha piú se non un amore
e un desiderio!
un amore,
e solo per Iddio;
un desiderio,
e solo di divenire cosí perfetto
da piacere pienamente a Dio!
GIUSEPPE FRASSINETTI
CANTAGALLI
2
MANFREDO PAOLO FALASCA
UN PARROCO MODELLO DI PARROCI
VITA DEL VENERABILE
GIUSEPPE FRASSINETTI
PRIORE DI SANTA SABINA IN GENOVA
FONDATORE D E I FIGLI DI S. MARIA IMMACOLATA
Edizione maggiore
ROMA 2006
3
A MARIA VERGINE
NELLE CUI MANI
IL SABATO 5 LUGLIO 1947
A SAN MARTINO AI MONTI
IN ROMA
AFFIDAI IL MIO SACERDOZIO
QUESTO LAVORO
IN CUI SI NARRA LA STORIA
D'UN SACERDOTE CH'EBBE
LEI PER LAMPADA
IL SUO DIVIN FIGLIO PER REGOLA
4
INDICE GENERALE
Indice generale
Abbreviazioni
Approvazione del Padre Generale
Piano del lavoro
Introduzione
Parte I – Gli anni della preparazione – 1804 1827
Cap. 1 – Nel nome di Maria
Cap. 2 – Esultate nel Signore, un Genovese è nato alla Chiesa
Cap. 3 – La bufera napoleonica
Cap. 4 – Il fanciullo ascoltava
Cap. 5 – Le citoyen français Joseph Frassinetti
Cap. 6 – 1 ricostruttori
Cap. 7 – La famiglia Frassinetti
Appendice al cap. VII – La zia Annetta
Cap. 8 – L‟educazione dei figli
Cap. 9 – Educando i fratelli educava se stesso
Cap. 10 – Come a Cassiciaco – Una casa convento
Cap. 11 – Fratelli in gara a chi dà maggior gusto a Dio
Cap. 12 – Cos‟è che ti dà maggior gusto, o Dio?
Cap. 13 – Bruciami Signora il cuore col fuoco del tuo amore
Cap. 14 – Mira quant‟è bello essere fratelli e vivere uniti
Cap. 15 – I “Ragazzi del Gianelli”
Cap. 16 – L‟adolescente focosissimo
Cap. 17 – Il seminario di Genova prima del rettore Cattaneo
Cap. 18 – I “Ragazzacci” Mazzini e compagni
Cap. 19 – Gli interessi culturali
Cap. 20 – Lo studente di filosofia
Cap. 21 – Cosa studiare e con quale spirito pensando all‟altare
Cap. 22 – Lo studente di teologia
Cap. 23 – Oltre la scuola I
Cap. 24 – Oltre la scuola II
Appendici I e II al cap. 24
Cap. 25 – L‟incontro con Sant‟Alfonso
Cap. 26 – Ubi Petrus ibi Ecclesia
Cap. 27 – Sacerdote – Un fuoco ardente gli bruciava il cuore
VII
XI
XIII
XV
XVII
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3
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5
Parte II – Il Pastore
Prospetto della II parte
Nell‟attesa che il Vescovo gli assegni il suo compito
Cap. 28 – Come atleta al via
Cap. 29 – Gli oratori festivi
Appendice sul modo di insegnare la dottrina ai fanciulli
Cap. 30 – Era Don Bosco a conoscenza delle cose di Genova?
Cap. 31– La “Beato Leonardo” e l‟Accademia di studi ecclesiastici
Il parroco
Cap. 32 – Parroco a Quinto
Cap. 33 – Parroco a Santa Sabina in Genova
Cap. 34 – Le associazioni
Cap. 35 – Parroco maestro di parroci
Triboli e spine
Cap. 36 – Denunciato come eretico e membro di società segreta
Cap. 37 – Nel 1846 osò smascherare il Gioberti creduto messia…
Stralci del Saggio intorno alla dialettica del Gioberti
A Vincenzo Gioberti il Seminario di Genova
Cap. 38 – Nella bufera del 1846-1849
Cap. 39 – Ancora triboli e spine
Giuseppe Frassinetti apostolo della vita consacrata
Cap. 40 – Giuseppe Frassinetti alle origini delle Dorotee
Cap. 41 – Primi passi delle Dorotee sotto la guida del Frassinetti
Cap. 42 – Paola a Roma
Cap. 43 – Differenze di vedute tra fratello e sorella
Cap. 44 – La storia delle Regole
Cap. 45 – Il 1857 segnò un prima e un dopo
Cap. 46 – Don Pestarino e le ragazze di Mornese
Cap. 47 – Le Figlie di Maria Immacolata “Monache in casa”
Appendice: Lettera di GB Lemoyne
Cap. 48 – Alcune figlie di M. I. diventano figlie di M. Ausiliatrice
Cap. 49 – I Figli di S. Maria Immacolata – Il padre Antonio Piccardo
Il moralista
Cap. 50 – Il moralista
Cap. 51 – Liberale o reazionario il Frassinetti?
Cursum consummavi, fidem servavi
Cap. 52 – Vieni Servo fedele assiditi al Convito del divino amore
Cap. 53 – Vergine Maria, Madre di Gesù, fateci santi
Resta con noi ché si fa sera
Cap. 54 – Il Priore nel ricordo dei genovesi
Cap. 55 – Il Frassinetti in giro per il mondo
Cap. 56 – Congedo
Sulla via degli Altari
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Cap. 57 – Il processo di canonizzazione
Documenti
Documenti del Frassinetti
Cap. 58 – Documenti I-XV
Documenti non del Frassinetti
Cap. 59 – Varie redazioni del “Piano ristretto” delle Dorotee
Cap. 60 – Sinossi dei titoli delle Regole della Barat e della Frassinetti
Indici
Indice biblico
Indice dei nomi
ABBREVIAZIONI1
Atti dei processi
POS.sD.
= Positio super dubio an sit signanda Commissio
Instructionis Causæ Beatificationis et canonizationis Servi Dei
Josephi Frassinetti, Romæ, 1934. Ed in essa:
A = Animadversiones
E = Epistolæ postulatoriæ
I = Informatio
RA = Responsio ad Animadversiones
S = Summarium
SS = Summarium ex officio super scriptis
T = Tabella textium
POS.sV. = Positio super virtutibus Servi Dei Josephi Frassinetti,
Romæ 1990. Ed in essa:
A = Animadversiones
G = De gratiis a Dei Famulo impetratis
I = Informatio
P = Prænotatio Relatoris
PS = Positio super scriptis
PSN = Positio super scripris nuper inventis
1 Altre abbreviazioni e citazioni complete nella Bibliografia in fondo al volume.
721
727
729
731
763
765
776
779
781
785
7
R = Responsio ad animadversiones
S = Summarium
SA = Summarium additionale 1 e 2.
T = Tabella testium
POS.P.F = Positio super introductionis Causæ Beat. et
Canonizationis Servæ dei Paulæ Frassinetti, Romæ
1906.
RV
= Relatio et vota Congressus peculiaris super virtutibus Servi
Dei Josephi Frassinetti, Roma 1990.
CFS
= Copia publica transumpti Processus Servi Dei Josephi
Frassinetti in Curia Januensi constructi super fama
sanctitatis, Genova 1930, vol. 1, ff. 1-591; vol II, ff. 5921182.
CPC
= Copia publica transumpti Processus Servi Dei Josephi
Frassinetti in Curia Januensi constructi super cultu
Servo Dei Josepho Frassinetti nunquam præstito, Roma
1934, ff. 131.
CPV
= Copia publica transumpti Processus Servi Dei Josephi
Frassinetti in Curia Januensi constructi super virtutibus
et miraculis Servi Dei Josephi Frassinetti, Roma 1944,
ff. 375.
OEI = GIUSEPPE FRASSINETTI, Opere edite ed inedite.
Archivi
ADA
ACAG
ACGSJ
ACGSD
ACGSG
ACM
AF
APMA
APSL
APSS
APV
AS
ASAG
ASG
= Arch. De Albertis, Genova.
= Arch. Curia Arcivescovile, Genova.
= Arch. Curia Gener. Compagnia di Gesù, Roma.
= Arch. Curia Gener. Suore di S. Dorotea, Roma.
= Arch. Curia Gener. Suore Gianelline, Roma.
= Arch. A. Charvaz, Moûtiers (Savoia).
= Arch. Frassinettiano, Curia Gener. dei FSMI, Roma.
= Arch. Parrocchia di Maria Assunta, Genova-Rivarolo.
= Arch. Parrocchia di San Lorenzo, Genova.
= Arch. Parrocchia di Santo Stefano, Genova.
= Arch. Parrocchia delle Vigne, Genova.
= Arch. Istituto dei Sordomuti, Genova
= Arch. Seminario Arcivescovile, Genova.
= Arch. di Stato, Genova.
8
AUG
= Arch. Università, Genova.
Dizionari, enciclopedie e raccolta di testi
DicB = Dictionnaire de la Bible.
DicBS = Dictionnaire de la Bible, Supplément.
DicThC = Dictionnaire de Théologie Catholique.
DicThC = Dictionnaire de Archéologie Chrétienne.
DizRis = Dizionario del Risorgimento Nazionale.
EC
= Enciclopedia Cattolica.
EI
= Enciclopedia Italiana.
KTW = G. KITTEL-G. FRIEDRICH, Theologishes Wörterbuch zum N. T.,
trad. it: Grande lessico del N.T.
Mor = Dizionario di erudizione storico-eccles. di G. MORONI.
PG
= Migne, Patrologia Greca.
PL
= Migne, Patrologia Latina.
PRESENTAZIONE
La vita del Ven. Giuseppe Frassinetti, uscita ridotta di piú di una metà
della stesura originaria, è qui data come essa fu concepita. Presentando
l‟edizione minore dicevo che non mi sarei meravigliato della meraviglia di
chi l‟avesse presa in considerazione di fronte allo sviluppo dato alla prima
parte, agli anni della formazione: ben 160 pagine! Qui più del doppio, 351.
Tante, se si pensa come ne è avara la stessa Positio, e se ne rammarica il
quarto Consultore Teologo: “Dagli Atti della Causa [di canonizzazione] non
risulta quasi nulla su questi anni che sono, invece, a nostro parere,
fondamentali per lo studio delle sue virtù”. Critica che mi ha incoraggiato a
dare un tale sviluppo agli anni della formazione. Vi si presenta un giovane
santo in una famiglia di santi, un giovane che, pur vivendo a casa ed in
parrocchia, si forma santamente al sacerdozio in tempi tristissimi e sa
innamorare alla vita consacrata i tre fratelli minori, anch‟essi sacerdoti, e la
9
sorella, santa canonizzata, da lui formata e sostenuta nella fondazione delle
Dorotee. Un esempio di famiglia santa che in tempi tanto turbinosi seppe
vaccinarsi contro i mali dell‟epoca.
Nello scrivere di un santo o di un servo di Dio se ne può essere cosí
affascinati da farne un primo piano isolandolo dalla gente in mezzo alla
quale egli visse, da cui ricevette e a cui diede e con cui fece corpo. Sembra
ne esca ingigantito, in realtà ne esce impoverito di quello che io chiamo
“effetto eucaristia”, cioè i molti che per nutrirsi di un solo Pane diventano
un solo corpo in Cristo. Un toglierlo dall‟orchestra per farne un solista. Il
Frassinetti non fu un solista prestigioso, fece parte di una orchestra messa su
da lui e dallo Sturla di cui egli fu il Toscanini. In quella loro Congregazione
del Beato Leonardo da Porto Maurizio i molti divennero uno, viva
testimonianza di cosa possa quel Pane.
Nei primi ventisette capitoli si parla della sua formazione al sacerdozio
scritta pensando in particolare ai giovani che ne fossero chiamati e non
potessero entrare in seminario. Nella seconda si parla di quel suo sapere
essere due in uno, pastore e scrittore, uno che, pur tenendo se stesso in
ombra, scrive il suo vissuto per esortare quanti lo leggeranno alla
perfezione di cui è perfetto il Padre nostro che è nei cieli, ed invitare quanti
più può al “di più”, facilitandone il modo sí da rendere la vita consacrata a
tutti possibile, anche a chi per un motivo o per un altro non possa uscire dal
proprio ambiente e dalla propria casa. Nell‟una e nell‟altra parte cito con
molta larghezza pagine e pagine del Venerabile da lasciare l‟impressione di
leggere una sua autobiografia.
Mi sono molto indugiato sulla nascita e natura di due istituti femminili,
le Dorotee e le Figlie di Maria Immacolata. Del primo, dopo aver detto come
egli lo aveva pensato ed iniziato, parlo della sua evoluzione a cui egli non
ebbe più parte diretta. Il secondo anticipava di quasi un secolo le
congregazioni laiche, anche nel nome. Ebbero una splendida fioritura. Un
gruppo, dopo la sua morte, nelle mani di san Giovanni Bosco fu il lievito
delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ma diverse da come egli le aveva pensate:
donne consacrate che all‟esterno in nulla si distinguessero dalle altre donne
se non nello spirito e per il fuoco che ardeva loro in cuore. Era stato un
anticipare troppo i tempi. Dette anche agli uomini la stessa opportunità di
vivere la perfezione cristiana senza in nulla distinguersi dal resto della
popolazione. Da un gruppo di questi giovani nascerà l‟Opera dei Figli di
Maria Immacolata e da essa, ad un trentennio dalla sua morte, la
Congregazione dei Figli di Santa Maria Immacolata. Nel Frassinetti vedo
10
avverato il detto paolino: “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma di Dio la
maturazione”2.
Non stupiscano le molte note a pie‟ di pagina con tanti rimandi. Nel dubbio
se lasciare o non lasciare la documentazione delle mie ricerche, le ho
lasciate pensando che potrebbero essere utili a chi voglia approfondire la
conoscenza del Venerabile. Voglia questo mio lavoro aiutare a farlo
conoscere. A chi lo ha scritto è ricompensa le molte ore passate in sua
compagnia e l‟amicizia che ne è nata.
Manfredo Paolo Falasca
Un grazie alla Gianellina Madre Maria Tarquini della Natività e a Suor
Diana Barbosa della Dorotee di Santa Paola Frassinetti per i documenti di
archivio che mi hanno fornito e a quanti altri sono venuti incontro alle mie
richieste.
2 Cor 3,6
11
INTRODUZIONE
La storia è quella che forma il cuore piú che tutte le altre
scienze, perché la scienza dei fatti è la piú persuasiva.
G. FRASSINETTI, Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici.
Quando [i panegiristi] si fanno a dire le lodi di un santo,
generalmente scelgono le cose piú mirabili della sua vita;
cosicché non sono pochi coloro i quali si danno a credere che,
quando sono riusciti a rimandare gli uditori sorpresi per
stupendi prodigi e per fatti eccelsi ed inarrivabili, abbiano pur
lodato il santo nel miglior modo possibile… Il fondamento del
merito, la base della lode, non sono già i doni stupendi
soprannaturali che Dio solo opera senza il concorso
dell‟uomo… Il fine per cui si lodano i santi non è di eccitare
chi ascolta ad una sterile ammirazione, ma di spingerlo alla
piú fruttuosa imitazione…
G. FRASSINETTI, Discorsi a sacerdoti e chierici.
Sono stato in dubbio se mutare l‟Introduzione-prefazione in una
“postfazione” ponendola a chiusura del racconto. Ho scelto una via di
mezzo. Se il Lettore è curioso di sapere a quali fonti ho attinto prima di
accingersi a leggere il lavoro, cominci dalle pagine in fondo al volume
dove se ne parla, se desidera conoscere con quali criteri mi sono accinto
a narrare la storia del Servo di Dio, legga qui di seguito.
Non mi è stato difficile far mio il suggerimento riportato nel corsivo,
perché invano si cercherebbero nel parroco Giuseppe Frassinetti fatti e
prodigi da restarne sbalorditi, come se ne trovano, per esempio, nel suo
amico ed estimatore san Giovanni Bosco. Lo straordinario del
Frassinetti fu l‟eroica fedeltà all‟ordinario d‟ogni ora quale doveva
proporsi un pastore di anime, ché altro non seppe né volle essere. Nulla
che non si possa fare anche noi. Nella biografia di santa Angela Merici
da lui scritta, passando a parlare delle sue virtú, le divide in virtú
imitabili e virtú ammirabili3. Le virtú del Frassinetti sono tutte virtú
imitabili. Ammirabile il loro insieme armonioso e la perseveranza con
cui le seppe praticare dalla prima giovinezza alla fine dei suoi giorni.
3 G. FRASSINETTI, Vita ed Istituto di S. Angela Merici, Genova 18673, pp. 72-99.
12
Il Frassinetti non fu un teorico della spiritualità, né studiò pagina
per puro amore di cultura religiosa. Era troppo zeneise riso ræo per
crogiolarsi di astrazioni e aggiungere teorie a teorie. La sua mentalità
partecipava della concretezza di suo padre dietro il banco della sua
bottega. Se gli chiedevano tre palmi di panno, voleva sapere per che
farci e suggeriva la qualità piú adatta e se quei tre palmi erano troppo o
poco. La teologia del figlio fu una teologia applicata alle situazioni
concrete delle anime, alla gente che aveva sotto i suoi occhi, una teologia
tutta ordinata alla santificazione propria ed altrui, per linee
semplicissime.
Scopo della vita è piacere a Dio, studiare quindi quali sono le cose
che gli piacciono e quali sono quelle che non gli piacciono per fare le
une e tenersi lontano dalle altre. Dio conosce l‟uomo, non può quindi
chiedergli cose impossibili e, se di per sé sono cose impossibili alla
condizione umana, vuol dire che gli ha già predisposto gli aiuti di grazia
perché l‟impossibile diventi in lui possibile. Suo punto di riferimento fu
sempre Gesú Cristo, regola del sacerdote, titolo d‟una sua opera
fortunatissima di cui parleremo a suo luogo. Ma Gesú cœpit facere et
docere4, visse cioè quel che insegnava o, meglio, insegnò il suo vissuto.
Anche il Frassinetti insegnerà il suo vissuto. Non una virgola che non
sia legata all‟esperienza vissuta, a lungo vissuta, o direttamente, se si
tratta di virtú proprie dello stato sacerdotale o, se con esso
incompatibili, quali i doveri d‟una sposa, di una madre, di un padre di
famiglia, rivissute per essersi fatto tutto a tutti nelle lunghe sedute in
confessionale e negli incontri con i suoi parrocchiani. Ne sono riprova i
suoi lavori di maggior respiro ed impegno: Il manuale pratico del
parroco novello ed il Compendio della teologia morale, scritti non fresco
di studi, ma dopo trentadue anni di parrocato il primo, trentotto di
confessionale il secondo.
Scrisse il suo vissuto, spesso a distanza di molti anni. Ci può
illuminare un suo trattatello di 32 paginette, stampato a Genova nel
1853: Le amicizie spirituali (Imitazione da S. Teresa di Gesú). Nei
seminari non c‟era predica in cui non si mettessero in guardia i giovani
dai pericoli delle amicizie particolari, ed ogni amicizia ingenerava il
sospetto che fosse tale. Un tenersi lontani dal focolare per paura di
scottarsi. Il Frassinetti è stato l‟uomo delle amicizie, amicizie pensate
4 At 1,1.
13
come il miglior sostegno vicendevole per santificarsi e santificare, e lo fu
da molto prima che si innamorasse delle opere di santa Teresa di Avila.
Quando scoprí che la santa aveva pensato non diversamente da lui, non
gli parve vero di conferire ben altra autorità a ciò che egli aveva sempre
pensato e praticato.
In quei primi libriccini dati alle stampe per esortare a vivere i
consigli evangelici e tendere alla santità, si avverte che la loro prima
stesura era il vissuto dell‟adolescente nella casa paterna; le
argomentazioni, quelle usate ancora studente per innamorare se stesso,
la sorella e i fratelli minori alla vita consacrata; e poi, nei primi anni del
suo sacerdozio, le amiche della sorella, che andranno a formare il primo
nucleo delle suore dorotee. Trovando nello studio dei Padri, di san
Tommaso d‟Aquino, di Sant‟Alfonso, o nella storia della Chiesa, le piú
belle pezze d‟appoggio, non gli pareva vero di poterle usare per
avvalorare il suo dire. È l‟espediente consigliato nelle Industrie spirituali
in difesa dall‟accusa di fare cose nuove:
Uno dei pretesti piú frequenti, onde il mondo fa guerra al bene, è quello
della novità. Per la qual cosa tu procurerai di togliere, per quanto sarà
possibile, l‟aria di novità al bene che vuoi promuovere, studiandoti al
possibile di presentarlo come imitazione di ciò che in altri tempi o in altri
luoghi è stato fatto, la qual cosa non ti sarà difficile, essendo vero che nil sub
sole novum (Eccl. 1,10)5. Tutte le buone istituzioni, di qualunque genere
siano, hanno riscontri nella storia; i quali, ove vogliano cercarsi, si
troveranno. Da siffatta industria verrà ancora quest‟altro bene: ne avrà minore
soddisfazione l‟amor proprio, parendo tu piuttosto imitatore che inventore 6.
Ricorse a tale industria anche quando scoprí che santa Angela
Merici, piú di tre secoli prima, aveva creato un‟opera simile alle sue
Figlie di S. Maria Immacolata. Le attribuí subito l‟onore della scoperta,
conferendo sapore di antico alla sua nuova istituzione in cui si vivevano
i consigli evangelici senza entrare in convento. Anzi, in alcune
circostanze, i consigli evangelici si sarebbero potuti vivere persino in
misura piú perfetta e con maggior impegno di apostolato restando nel
secolo senza in nulla distinguersi esteriormente dagli altri buoni
cristiani. Era cosa antica, già nella tradizione della Chiesa! Di suo non
5 Nelle versioni dall‟ebraico Qo 1,9.
6 G. FRASSINETTI, Industrie spirituali secondo il bisogno dei tempi, “Letture Cattoliche”
di Don Bosco, Torino 1860. Cito dalla 3a ed., Genova 1864, pp. 14-15.
14
c‟era che… l‟imitazione. Del resto, aveva già attribuito alla Maccagno e
a don Pestarino tutto il merito dell‟iniziativa. Ma la Maccagno versava
acqua della sorgente Frassinetti giuntale dall‟acquedotto don Pestarino
e dai libretti del Frassinetti con cui il Pestarino l‟abbeverava.
In realtà la nuova associazione non faceva altro che estendere alle
ragazze ed alle vedove, come pure ai giovani nell‟istituzione parallela
dei Figli di S. Maria Immacolata, lo stile di vita che il Frassinetti stesso
attuava da anni con un gruppo di amici sacerdoti, ed altro non era se
non la continuazione del modo in cui egli aveva vissuto la giovinezza
nella sua famiglia casa-convento. Una sua lettera a padre Giovanni
Roothaan, preposito generale dei gesuiti, in data 9 febbraio 1838,
firmata da lui e da sei suoi amici ci rivela che tale era già da un pezzo la
vita vissuta dal Servo di Dio. Si proponevano, vi si afferma, di essere
“un quid medium tra la Compagnia e il Clero… Gesuiti quanto è
possibile, e sacerdoti secolari quanto è necessario”7, quanto dire
religiosi al secolo, invece che in convento.
Che scrivendo i suoi libri si rifacesse alla sua vita vissuta, ce lo dice
espressamente lui stesso nella presentazione delle Osservazioni sopra gli
studi ecclesiastici proposte ai chierici:
Ciascuno facilmente si persuade poter tornar utile altrui ciò che prova utile
per se stesso. Pertanto voglio confidare che alcune avvertenze intorno agli
studi ecclesiastici, le quali ho provato di qualche utilità per me, possano
riuscire di qualche utilità per voi, o Chierici studiosi. Questa e non altra si è la
ragione che m‟induce a presentarvele8.
Il Frassinetti non si fece santo in un romitorio. Se non fu del mondo,
non visse un sol giorno fuori del suo mondo. Trascorse l‟intera vita nel
cuore stesso della sua città, salvo gli otto anni di parrocato a Quinto,
una lunga passeggiata da Genova con cui non perse mai il contatto.
Visse nel mondo anche per tutto il periodo degli studi, avendo
frequentato il seminario solo come alunno esterno. Fu uomo socievole e
fece corpo con quanti altri a Genova ebbero i suoi stessi ideali e con essi
fu il lievito della “Beato Leonardo” in cui troviamo i nomi di quanti poi
7 AF, Lettere del Frassinetti. L‟originale nell‟Archivio della Curia generalizia dei
Gesuiti.
8 G. FRASSINETTI, Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici proposte ai chierici, Genova
1839, p. VII.
15
sarebbero stati il fiore del clero genovese. Attuò il segno dell‟eucaristia
dei molti che si fanno uno in virtú di un unico pane9.
Sarebbe perciò uno snaturare la sua storia se lo isolassimo per farne
un solista, mentre è il piú bello strumento di un‟orchestra messa su
principalmente da lui e da lui diretta. Si parlerà quindi del maestro e
della sua orchestra. Una storia, almeno nelle intenzioni, a tutto campo:
il monte Fasce della sua Genova visto nell‟intera catena appenninica,
non come cima solitaria in desolata pianura. Lui e i suoi amici nel loro
tempo. Quel loro tempo, purtroppo, ci è giunto falsificato dalla
sfacciata miticizzazione che ne hanno operato i testi scolastici e tutta la
pubblicistica risorgimentale. Tre esempi.
In una delle stampe piú diffuse vediamo un fanciullo con un alto
cappello a cono, la cui punta non arriva alla spalla della madre che lo
tiene per la manina, guardare impietosito i patrioti del 1821 chiedere
elemosina prima di imbarcarsi per l‟esilio. Quella visione l‟avrebbe
convertito alla causa nazionale10. È il Mazzini. In realtà nel 1821 il
Mazzini aveva sedici anni e in quei giorni, invece che uscire tenuto per
la manina dalla madre, usciva capo brigata, la mano armata di
manganello, a fare il bastonatore a Sotto Ripa. Si era già reso famoso
l‟anno precedente per una chiassata fatta in chiesa e per i
provvedimenti scolastici presi a suo carico .
La sollevazione di tutto un popolo contro i francesi di Napoleone per
difendere la propria fede è stata sempre sentita in Spagna come la piú
bella epopea della sua storia, e quanti collaborarono con lo straniero
furono giudicati traditori. Da noi è stato il contrario. Gli insorgenti al
grido di “Viva Maria!” sono stati ignorati e, quando non si è proprio
potuto non parlarne, come a Napoli, sono stati presentati come briganti
e lazzaroni; purissimi eroi, invece, i collaborazionisti dell‟invasore, i
quisling dell‟epoca. Non una parola delle ruberie, delle violenze e delle
fucilazioni senza numero operate dai francesi, eppure la loro
occupazione non fu dissimile da quella dei tedeschi in quest‟ultima
guerra.
In un corso di storia, tra i piú adottati nei nostri licei tra le due
guerre ed anche dopo, si legge: “Le leggi Siccardi… infrenarono
9 1 Cor 10,17.
10 G. MAZZINI, Note autobiografiche, cap. I, nell‟ediz BUR 1986, pp. 51-52.
16
l‟aumento dei beni delle congregazioni religiose”11. Tutta qui la penosa
storia degli incameramenti dei beni ecclesiastici. Frati e monache
cacciati dai loro conventi cambiati in caserme, carceri ed altri edifici
pubblici; biblioteche preziosissime passate allo Stato, senza contare le
opere di incalcolabile valore mandate disperse, non una parola. Né una
parola sui modi in cui quelle leggi furono eseguite ed il danno che ne
venne a molti poveri ai quali si provvedeva con quei beni espropriati. Di
qui la necessità di riscrivere quei tempi, almeno quanto basta per
comprendere l‟influsso che ebbero sul nostro Venerabile che quella
storia in parte visse ed in parte apprese dal racconto dei suoi di casa
come poteva narrarla gente che ne era stata vittima. Non paia quindi
sproporzionato lo spazio che gli si è dato nei primi capitoli e in quelli
dove, nella seconda parte, si parlerà del pastore che smaschera i lupi in
sembianze d‟agnelli venuti ad insidiargli il gregge.
Ancora una parola sui tempi come essi furono e non come si è
facilmente portati a falsificarli. Non c‟è nulla di peggio che leggere la
storia di ieri con la mentalità dell‟oggi, dimenticando, per esempio, che
le anime affidate a quei zelanti pastori erano in parte gente analfabeta
ed in parte persone appena in grado di leggere e scrivere come può chi
ha fatto solo qualche classe delle elementari. Un pubblico, questo,
ignorato dal Gioberti e dal Mazzini, il cui “popolo” fu la medio alta
borghesia, una sparuta minoranza di quante persone in Italia
respiravano aria. Non cosí per il Frassinetti. Basta questa
considerazione per dedurne che il bene operato da questo apostolo non
si può misurare dal numero delle bibbie diffuse a gente che non ci si
sarebbe raccapezzata, né meravigliarsi del largo spazio dato alle
pratiche devozionali per nutrirne la pietà. I libri a loro destinati
dovevano essere tali da potersi comprendere dall‟analfabeta al
sentirseli leggere da chi aveva fatto terza elementare e forse anche
meno. Un nutrire di latte chi era privo di denti atti a masticare cibi
duri12.
Di questo dover rileggere la storia con gli occhi del tempo se ne
debbono essere completamente dimenticati non pochi rievocatori di
Don Bosco nel centenario della sua morte. Il fine che si propose Don
Bosco era identico a quello del Frassinetti e di tanti altri santi pastori:
11 P. SILVA, Corso di storia ad uso dei licei, vol. III. Milano-Messina 195412, p. 297.
12 1 Cor 3,2.
17
salvare anime, ossia tenerle lontane dal peccato ed animarle a praticare
quanto piú potessero tutte le virtú cristiane. Da mihi animas et cetera
tolle13, dammi anime ed altro non voglio, l‟anelito di Don Bosco, rida
pure qualche biblista per il senso dato dal Santo al passo della Genesi.
Per tal via ottenne anche gli effetti sociali, e che effetti!, ma per un
riflusso delle ricchezze dello spirito sull‟umano quotidiano. Don Bosco
non fu un sindacalista o qualcosa del genere. Fu uno che volle chiudere
le porte dell‟inferno ai giovani e spalancar loro quelle del paradiso. Cosí
facendo ne vennero fuori onesti cittadini, spesso ben qualificati e
sistemati nella vita. Sulla stessa linea, ma nei compiti d‟un parroco che
abbraccia tutti, il Frassinetti.
Altrettanto errato sarebbe pretendere che nell‟Ottocento i pastori
d‟anime guardassero i protestanti come “fratelli separati” invece che
come lupi venuti ad insidiare la fede del loro gregge. Ed in realtà, piú
che annunciatori della verità, si trattava di individui, non pochi dei
quali preti spretati, coalizzati con anticlericali e massoni, e non di rado
essi stessi massoni, contro quanto sapesse di cattolico. Anche le cose
buone, di cui si facevano latori, erano presentate in polemica con la
Chiesa. La Bibbia, per esempio, veniva ridotta a strumento per
confutare la perpetua verginità di Maria santissima, il culto dei santi,
l‟autorità del papa, il celibato,… a voler tacere la somma di calunnie e
di infamie che lanciavano a piene mani contro la Chiesa cattolica ed il
suo capo. Velare di silenzi la lotta di un Don Bosco o d‟un Frassinetti
contro l‟invadenza dei protestanti, perché non in armonia con l‟odierno
movimento ecumenico, sarebbe un adulterarne la figura. Peggio poi se,
dicendo e non dicendo, si volessero scusare e chiedere per loro perdono
ai figli di coloro che ne insidiarono il gregge. Un chiedere perdono che
in realtà altro non è che un atto di accusa. Dio voglia che domani non si
debba chiedere perdono a Dio di troppo riguardosi silenzi.
Questi santi pastori lavorarono alla salvezza del popolo nel mezzo
del quale essi vivevano. Non furono dei teorici da tavolino o dei
cattedratici. Nessuna meraviglia, quindi, se si incontrano forme di
apostolato che oggi non hanno piú senso, ma la mancanza di tali forme,
oggi morte, sarebbe per loro un grave capo d‟accusa: non aver
13 Gen 14,21.
18
conosciuto il loro gregge ed averne disatteso i reali bisogni. L‟apostolo
Paolo nutriva di latte chi non era capace di masticare pane14.
D‟altra parte, nel Frassinetti non mancarono semi di iniziative che
ebbero del profetico, ma il nostro Priore seppe non forzarne una
crescita fuori stagione, lasciando che la Provvidenza li portasse a
maturazione in questi nostri tempi. Se ne fu mai toccato, egli seppe
resistere a tale tentazione, perché viveva la stessa fede di quella teoria di
santi che ci squaderna l‟Epistola agli ebrei:
Tutta gente morta con in cuore le promesse quaggiú non conseguite, ma
soltanto viste e strette da lontano, testimoniando di sentirsi straniera sulla
terra e di passaggio, perché, chi cosí si comporta, attesta di tendere ad una
patria15..
Qui cade bene a proposito una considerazione del card. Newman,
che penso possa estendersi anche al campo pastorale:
Quando ero anglicano, studiando la storia ecclesiastica, mi si concentrava
l‟attenzione su come l‟errore, da cui poi si sarebbe sviluppata un‟eresia, era
dovuto all‟aver insistito fuori tempo su un aspetto della verità non tenendo
conto della proibizione dell‟autorità. Ogni cosa ha un suo tempo. Non sono
pochi quelli che desiderano la riforma di un abuso, o lo sviluppo piú pieno di
una dottrina, o l‟adozione d‟un suo personale piano, senza chiedersi se sia
quello il momento giusto. Anzi, sapendo che nessuno si moverà in quella
direzione nei suoi giorni, se non è lui stesso a muoversi, si rifiuta di dare
ascolto alla voce dell‟autorità e manda in rovina nel suo secolo un buon
lavoro perché non abbia a compirlo felicemente un altro nel secolo
successivo. Un uomo siffatto potrà passare alla storia come un audace
campione della verità ed un martire del libero pensiero, mentre è proprio una
di quelle persone a cui l‟autorità competente dovrebbe imporre il silenzio
anche se la materia non rientra nel campo dell‟infallibilità. Ciò non di meno
un tale intervento, per aver tacitato un riformatore, passerà alla storia come un
esempio di tirannica ingerenza nelle private opinioni… mentre, d‟altro canto,
potrebbe venire in soccorso dell‟autorità un violento partito oltranzista che
muta le opinioni in dogmi, avendo soprattutto a cuore l‟eliminazione d‟ogni
corrente di opinione diversa dalla propria… Sono posizioni che si riscontrano
sia nei tempi passati come nei presenti16.
14 1 Cor 3,2.
15 Eb 11,13-14.
16 J. H. NEWMAN, Apologia Pro Vita Sua, General Answer to Mr. Kingsley, in una mia
traduzione.
19
Il Frassinetti seppe innovare senza forzare o violentare. Gettò il
seme, seppe aspettare il tempo necessario perché germogliasse e non gli
importò se poi altri fossero venuti a mietere nel suo campo, memore del
paolino:
Chi è poi Apollo? chi è mai Paolo? ministri per mezzo dei quali veniste alla
fede, ciascuno ricco di quel che Dio l‟arricchí. Fui io che piantai, Apollo
innaffiò, ma fu Dio a far crescere. Perciò non è granché né chi pianta né chi
innaffia, bensí colui che porta a maturazione, Dio. Del resto chi pianta e chi
innaffia formano un tutt‟uno e ciascuno riceverà la propria mercede secondo
la propria fatica, quali collaboratori di Dio 17.
Furono in tanti a mietere là dove il Frassinetti aveva seminato e si
era rallegrato nel vedere il campo verdeggiare, come, ad esempio, la
bella fioritura delle Figlie di S. Maria Immacolata di Mornese divenute
con Don Bosco Figlie di Maria Ausiliatrice.
Mi sono però ugualmente guardato dal presentarlo come un profeta
dei tempi nuovi ed anticipatore del Concilio Vaticano II. Una tentazione
a cui era facile cedere per le molte rispondenze tra la sua pastorale e le
prescrizioni e direttive che ci sono state date dal Concilio. Preferisco sia
il lettore a notarle, forse con sorpresa, se la sua conoscenza della
religione fosse legata a certa pubblicistica che gli avesse dato a credere
che il Concilio abbia segnato per la Chiesa l‟anno zero ed operato una
conversione ad U rispetto al passato, stabilendo un prima e un dopo fino
a rompere la continuità della storia. La pietra che fa da confine tra il
prima e il dopo è Cristo, e solo Cristo, in cui il prima si ordina al dopo.
Le molte rispondenze, piú che dono profetico, sono effetto di una
causa che potremmo chiamare naturale nell‟ordine della grazia: lo
studio amoroso della Scrittura ed il sentire con la Chiesa di sempre. Un
essersi abbeverati, sia il Frassinetti che i Padri conciliari, alla stessa
fonte. Di qui la sua devozione alla Vergine Immacolata, all‟Assunta e
l‟adesione all‟insegnamento pontificio, anche se erano verità non ancora
definite; di qui la pietà illuminata, cristocentrica e mariana, nutrita di
grazia sacramentale, soprattutto di eucaristia, anche quotidianamente
ricevuta; di qui l‟unione con i confratelli nel sacerdozio e l‟associarsi i
laici, uomini e donne, nell‟apostolato e nell‟offerta totale a Dio, pur
continuando ciascuno a vivere nel proprio ambiente e a svolgere la
propria attività confusi con gli altri, ma diversi da loro; di qui il
17 1 Cor 3,5-9.
20
circondarsi di giovani discepoli, mandati a scuola in Seminario, ma
preparati in parrocchia al ministero, un po‟come i loro coetanei
imparavano in bottega guardando il “mastro” lavorare, facendo con lui
e come lui, e sognando d‟uguagliarlo nell‟arte, ed anche superarlo.
Sembra a tanti che per far risplendere la luce dei tempi presenti, si
debba mutare in tenebra il tempo passato. Eppure basterebbe entrare
in una biblioteca e sostare un minuto innanzi ai 382 volumi del Migne, a
non voler tener conto dei volumi del Supplementum, o leggere una sola
questione della Summa, perché nasca il dubbio che i secoli in cui furono
scritte tali opere non dovettero essere poi cosí tenebrosi, tutt‟altro! Non
si getterebbe tra i rifiuti ciò che non si conosce. Il Frassinetti, per
innovare nella tradizione, fu un cultore della storia ecclesiastica e a tale
studio esortò vivamente il clero.
C‟è un modo spiccio con cui si usa spesso compendiare la vita d‟un
servo di Dio: rapportarlo ad un santo insigne ed etichettarlo “secondo”
dopo di lui, senza precisare a quale distanza e con quanti altri condivida
quel secondo posto. Il Frassinetti è conosciuto come il “Secondo Curato
d‟Ars”. Il primo che affidò alla carta stampata ciò che a Genova era
impressione generale, aver avuto un secondo Curato d‟Ars, fu il
genovese Domenico Fassiolo:
Io non voglio né sono da tanto da istituire paragoni, ma se mi fia lecito
esternare un mio sentimento, dirò che come la Francia in questi ultimi tempi
si gloria del Servo di Dio, Giovanni Battista Vianney, Parroco d‟Ars, che
toccò il sommo nella perfezione delle sacerdotali virtú, cosí l‟Italia può
ancora gloriarsi del compianto Priore di S. Sabina. Ambedue zelantissimi
della gloria di Dio e della salute delle anime, instancabili nell‟esercizio dei
loro pastorali uffici, nulla mai mostrando di terreno nel loro conversare, nulla
che non fosse conveniente al loro sacerdotale carattere. E di vantaggio, se il
primo edificò la Francia colle ammirabili opere dell‟eroismo e dei miracoli, il
secondo edificò non meno l‟Italia e l‟estero col portento de‟ suoi scritti e
colla grandezza della sua umiltà....18.
Il raffronto, ritenuto valido, fu ripreso dai biografi posteriori e
riportato dalle enciclopedie ecclesiastiche italiane e straniere nel profilo
18 D. FASSIOLO, Memorie storiche intorno alla vita del Sac. Giuseppe Frassinetti Priore
a S. Sabina, Genova, 1878. p. 9.
21
del Servo di Dio19. Rimase cosí fissata in quell‟appellativo l‟immagine
che del santo Priore si erano fatta i genovesi e quant‟altri erano passati
per Santa Sabina rimanendone edificati. Era la vox populi che in
Genova anticipava la voce della Chiesa sia per un frate cercatore,
chiamandolo Padre Santo, sia per un parroco di un‟umile chiesa
ritenendolo un curato santo, un “Santo Curato d‟Ars”. Questo l‟aspetto
che piú aveva colpito gli occhi dei genovesi, mentre,
dalla molteplicità di quello che scrisse: dove si ha tanta copia di cose, –
annotava lo Stendardo Cattolico l‟otto gennaio 1868, una settimana dalla
morte del Servo di Dio –, avrà supposto, chi non fosse Genovese, lui non aver
atteso quasi mai ad altro che scrivere20.
No, non c‟è santo che non sia stato lavorato da Dio con genialità ed
estrosità da risultare un unicum irripetibile. Ci possono essere
rassomiglianze piú o meno accentuate, come si riscontrano tra fratelli, o
tra figli e genitori, un marchio di fabbrica per cosí dire, fotocopie no. Il
raffronto con il Curato d‟Ars è valido purché venga precisato, come del
resto fa lo stesso Fassiolo nel passo sopra riportato, e farà, ad esempio,
il tedesco Konrad Hoffmann:
Mediante la predicazione, la catechesi, il confessionale ed associazioni
religiose per le varie categorie, il Frassinetti rinnovò stupendamente la vita
morale della sua parrocchia col fervore ed il successo d‟un Vianney21.
19 J.-B. MIREBEAU, in Jésus Christ, Règle du Prêtre, Paris 1885, traduzione francese di
Gesú Cristo regola del sacerdote, scriveva nell‟Avant-propos, ricalcando il Fassiolo: Il fut au
delà des Alpes comme un autre Curé d‟Ars, et si la France a le droit de se glorifier du
vénérable J. -B. Marie Vianney, l‟Italie peut aussi à juste titre se glorifier du regretté Prieur
de Sainte Sabine; ripreso da E. MANGENOT nel Dictionnaire de Théologie Catholique, vol.
VI, Paris 1920, c. 769: …il merita d‟être comparé au Curé d‟Ars. Cosí pure S. ROMANI,
Enciclopedia del cristianesimo, Roma 1947, p. 662: Meritatamente è chiamato il Curato
d‟Ars italiano, ed il cardinal PIETRO PALAZZINI nell‟Encicl. Catt., vol. V c. 1703: All‟attività
pastorale intensa, tanto da essere chiamato il “Curato d‟Ars” italiano, aggiunse quella di
scrittore di ascetica pastorale e di teologo moralista. J. C. WILLKE nella New Catholic
Encyclopaedia, New York 1967, alla voce: His intensely active pastoral apostolate won for
him the reputation of being “the Italian Curé d‟Ars” vol. VI p. 81.
20 Giuseppe Frassinetti, Priore di Santa Sabina. Estratto dallo “Stendardo Cattolico”, 8
Gennaio 1868, p. 9.
21 K. HOFFMANN in Lexikon für Theologie und Kirche, IV, Freiburg im Breisgau 1937 c.
138: Frassinetti frischte mit dem Eifer und Erfolg eines Vianney durch Predigten,
22
Un paragone ristretto al servizio parrocchiale che non si estende al
resto della voce dove Hoffmann tratta dello scrittore e della fondazione
dell‟Opera dei Figli di Maria. Senza tali precisazioni l‟appellativo si fa
deviante, perché porta a pensare il Frassinetti copia conforme del
Curato d‟Ars. Furono di pari zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle
anime, ma il Frassinetti fu uomo di molto studio e buona penna, il
Curato d‟Ars no; il Frassinetti confessore benigno, il Curato d‟Ars
tendeva al rigorismo; la vita del Frassinetti parca e povera, ma tale che
ogni povero vi si può riconoscere; quella del santo Curato d‟Ars ripiena
di penitenze spaventose; nel Frassinetti nulla fuori dell‟ordinario, e fu
questo il suo straordinario, sicché tutti possono dire: – Se lui, perché
non io? –, mentre nel Curato d‟Ars tutto fu fuori dell‟ordinario sí da
potersi solo ammirare quanto sia stata grande in lui la potenza di Dio.
Queste distinzioni diventano superflue se si riavvicina il Priore di Santa
Sabina a Sant‟Alfonso Maria de‟Liguori. Lo notavano a due anni dalla
morte le Letture Cattoliche di Genova a proposito del libretto Amiamo S.
Giuseppe: “Esso è scritto in quello stile piano e facile che fa del
Frassinetti un altro Liguori, come un altro Liguori può dirsi per la
varietà degli scritti da esso lasciati”22.
Si noti il diverso riferimento: chi, come il Fassiolo, ha avanti agli
occhi il parroco santo, visto all‟altare, o in ginocchio a pregare, o per
interminabili ore in confessionale, o a catechizzare grandi e piccini e, se
incontrato per strada, che andava ad assistere qualche infermo o
tornava dall‟averlo assistito, va col pensiero al santo Curato d‟Ars; chi
lo conosce dai suoi scritti, pensa a Sant‟Alfonso Maria de‟Liguori.
Le rispondenze fra Sant‟Alfonso Maria de‟Liguori ed il venerabile
Giuseppe Frassinetti sono tali e tante da poter porre le due figure in
parallelo, cosa che faremo diffusamente nel capitolo dove si tratterà
dell‟impressione che le opere di Sant‟Alfonso suscitarono sul giovane
chierico fino a spingerlo a sceglierselo per maestro. Possiamo pensare il
Frassinetti quale egli è stato, anche non si fosse incontrato con il
Gianelli, cui è tanto debitore, ma non è piú possibile, io credo, se,
giovane chierico, non si fosse fatto discepolo del napoletano
Katechesen, Beichtstuhl u. mittels religiöser Standesvereine das sittl. Leben seiner Gemeide
wunderbar auf….
22 Letture Cattoliche di Genova, anno 1870, p. 97.
23
meraviglioso23 come Eliseo di Elia. Sarebbe stato certamente un santo
sacerdote, ma non il Frassinetti che noi conosciamo. Mostreremo quindi
le affinità, ma anche le differenze che intercorrono tra maestro e
discepolo, perché nessun santo, anche proponendoselo, può essere copia
conforme di un altro. Per affermarlo non si dovrebbe tener conto della
irripetibilità d‟ogni figura di santo, dei geni del luogo, che, nel caso,
differenziano un genovese da un napoletano24, né dei tempi in cui i due
vissero, l‟uno prima della Rivoluzione francese e l‟altro dopo, e dei
cambiamenti di situazioni che nel frattempo si erano prodotti.
Discepolo attento, ma non adoratore dell‟ipse dixit d‟un tanto
maestro. Fu un discepolo che sapeva ripensare l‟insegnamento, tornarci
su, e, dove gli pareva bene, non si faceva scrupolo di discostarsene,
come appare chiaro nelle dissertazioni e note apposte alla morale del
suo Maestro. Anche Genova aveva qualcosa da dare a Napoli: senso
pratico legato alla realtà quotidiana della vita.
Del Frassinetti non basta narrare lo zelo con cui curò le anime a lui
affidate, aggiungendo che riuscí anche a trovare tempo per scrivere
libri, senza fermarsi ad esaminarne il contenuto, come se le due attività
si fossero svolte in parallelo l‟una non interferendo con l‟altra. Un extra
che poco aggiunge e poco muta. Il Frassinetti, per l‟impostazione della
sua attività sacerdotale, nella misura che gli permisero le sue forze e i
doni da Dio ricevuti, lo troviamo sulla linea di quei santi che furono ad
un tempo dottori e pastori, dottori perché pastori: Sant‟Ambrogio,
Sant‟Agostino e, giú giú, fino a Sant‟Alfonso, il suo modello. Pastori e
scrittori che avrebbero potuto apporre sui loro libri la scritta: Non vi
dico cose che io non ho già praticato e non continui a praticare, e, se con
la grazia del Signore posso praticarle io, anche voi lo potete. Siate,
23 G. DE LUCA, Sant‟Alfonso uomo grande, da “L‟Osservatore Romano della Domenica”,
4 giugno 1939.
24 Non si riesce a pensare uscita dalla penna del Frassinetti una lettera come questa di
Sant‟Alfonso in data 21 luglio 1733 da Scala ad uno che era in dubbio se entrare o no nella
sua congregazione:”… D[on] Giuseppe mio, e quando vieni, quando? Insomma ci vuoi
proprio fare stentar questa venuta tua. Sbrigati mo: Che aspetti? Noi ti desideriamo, Cristo ti
chiama, mamma Maria ti aspetta, e tu te ne stai a dire, Spiritus promptus est, caro autem
infirma? Ma io ti replico: Qui non odit matrem, fratrem etc., non potest meus esse discipulus.
Spicciati mo per carità che ti voglio far fare l‟istruzioni, che serviranno per queste missioni.
Vieni trova la solitudine: vieni, trova Dio… e se non, non ti fai santo, no, no, no, no, no, no,
no, no, no, no, no, no, no, no. Viva Gesú, Maria, Giuseppe e Teresa”.
24
dunque, miei imitatori, com‟io di Cristo25. I loro scritti sono la piú bella
storia della loro vita vissuta e di come in essi si andò effettuando la
metànoia che li rese immagini vive del Cristo.
Metanoia, una felice espressione greca senza equivalente in latino o
in italiano, se non la si vuole impoverire con conversione o, peggio, con
penitenza. La metanoia è il cambiamento del modo di pensare e sentire
le cose, un ripudiare i nostri pensieri ed i nostri sentimenti per
trapiantarvi i pensieri ed i sentimenti di Cristo, un trapianto di divino lí
dove tutto era terreno26, facendo della nuova mentalità la nostra norma
di vita fino a poter ripetere con l‟Apostolo: Non sono io invero che vivo,
ma è Cristo che vive in me27. Gli scritti di quei santi pastori, letti
cronologicamente, ci permettono di seguire questo processo di
assimilazione del divino nella mente, nel cuore e nella vita, assimilazione
che si fa zelo per le anime, bruciati come sono dal desiderio di
partecipare ad altri quanto essi vanno man mano ricevendo. Come loro
il Frassinetti, soprattutto come Sant‟Alfonso.
Non ci contenteremo perciò di dire che il Frassinetti scrisse questo e
quel libro, ma ne scorreremo le pagine per conoscere il pensiero, la vita
e la radice del suo zelo. Separare una cosa dall‟altra è come voler
separare i fatti della vita di Cristo dal suo insegnamento, il facere dal
docere28. La vita di questi servi di Dio fu una vita “dabar”, la voce
ebraica che significa ad un tempo parola e cosa29, parola che si è fatta
25 1 Cor 4,16; 1 Cor 11,1; 1 Ts 1,6.
26 1 Cor 15, 45-49.
27 Gal 2,20.
28 At 1,1.
29 Parola realtà, ciò che dice è. Per usare un termine scolastico, in “dabar” res et veritas
convertuntur, l‟una voce vale l‟altra. È l‟opposto della parola kantiana incapace di
manifestarci la sostanza della cosa da essa significata. “Dabar” ci dice il fondo della cosa,
rendendo conoscibile chiaro e trasparente al pensiero il nucleo del concetto, ricco di forza
creativa per chi l‟accoglie. La storia, per gli ebrei, era “d ebarîm”, parole-fatti, rivelatrici del
protagonista: Dio. Mentre Kant taglia i ponti con il di fuori di noi, “dabar” fa già presentire
anche il “di piú” non percepibile dalla ragione ed è figura del Lógos che si fece sarcs e ci
diede il potere di conoscere persino l‟inconoscibile di Dio. Una via a tale conoscenza, che ci
muta in immagini di Dio, sono questi santi uomini “d ebarim JHWH”, uomini parola di Dio.
Per il significato della parola cfr. O. PROCKSCH, légo C4 in KITTEL-FRIEDRICH, Theologishes
Wörterbuch zum Neuen Testament, vol., IV, Stuttgart 1942, pp. 90s.: traduz. it., Grande
lessico del N.T., vol. VI, Brescia 1970, c. 260-265.
25
cosa, una cosa che manifesta e canta il recondito del proprio essere
lodandone Iddio: “Grandi cose ha operato in me la potenza di Dio”30.
Liberale o reazionario il Frassinetti?31. Domanda d‟obbligo
scrivendo di un genovese vissuto a Genova nel periodo ruggente del
nostro Risorgimento.
I nostri testi di storia patria, trattando del Risorgimento, vedono
nella Chiesa o una forza politica di cui si sarebbero potuti servire, o la
forza che intralciava l‟opera di quanti si battevano per l‟unità
dell‟Italia32 e, nella Chiesa, additano nei gesuiti e nel clero gesuitante i
nemici giurati del progresso. Nella storia patria, per il periodo
risorgimentale, ai cattolici in genere, ed al clero in particolare, sono due
le caselle assegnate: cattolici-liberali – una sparuta minoranza di menti
“aperte”– e cattolici-reazionari, menti “retrive”.
Chi sono i reazionari? È questo uno di quei nomi magici usati quasi ad
incanto – si leggeva sul Cattolico di Genova il 27 novembre 1849 –, dei
quali, i moderni demagoghi si fecero una provvigione e formularonsi quasi un
frasario per segnare al disprezzo dei meno veggenti quelle persone che
dessero impedimento o fastidio. Questo nome va di conserva con gli altri di
retrogradi, di gesuiti, codini, aristocratici e simiglianti, che sempre ebbero in
bocca senza mai definire.33.
Cosí l‟Alimonda, se era lui, scriveva nel 1849. Di lí a vent‟anni
avrebbe potuto aggiungere almeno un‟altra voce: temporalista, in
opposizione a conciliatorista.
Nomi magici! Magici soprattutto per l‟odio e le vessazioni che
seppero suscitare. Come i demagoghi dell‟epoca, anche gli storici di quel
30 Lc 1,49.
31 Domanda che, dopo il Settanta, sarà assorbita dall‟altra, comprensiva della prima:
Conciliatorista o temporalista? Ma il Frassinetti era già morto da due anni e nove mesi.
Alcuni problemi s‟erano già posti con l‟occupazione di gran parte degli stati Pontifici nel
1860, anche se non nella gravità con cui si porranno dopo l‟occupazione di Roma nel 1870
con la perdita di quel rimasuglio di stato che garantiva al pontefice la sua piena autonomia. Se
ne tratta nel capitolo 51.
32 Anche nel biennio d‟infatuazione giobertiana la Chiesa fu vista solo come una forza
politica creduta vantaggiosa per la realizzazione d‟un piano politico.
33 Lo stile è di Gaetano Alimonda, il futuro cardinale arcivescovo di Torino, vicinissimo
al Frassinetti. Il “P. G.” [Prete Gaetano] che nel 1846 scese in campo per difenderlo contro il
Bonavino.
26
periodo ci si presentano incapaci di percepire cosa la Chiesa veramente
è, e quale la vera missione a cui essa è ordinata: rigenerare l‟uomo con i
mezzi soprannaturali a sua disposizione per farne un figlio di Dio e
cittadino del cielo.
I suoi uomini e le sue istituzioni si sarebbero dovuti giudicare da
questo punto di vista e chiedersi se la loro opposizione era contro il
rinnovamento politico o non piuttosto contro i modi adottati e a quanto
sonava negazione di vita cristiana. Non era il rifiuto d‟un‟Italia unita ed
indipendente dallo straniero, né feticistico attaccamento a questa o
quella forma di governo – monarchia o repubblica, Savoia sí Savoia no
– , ma il rifiuto di ridurre il cattolicesimo a strumento di quella loro
politica, di quella loro civiltà e di quel loro progresso. Altra è la natura
della Chiesa. Altra ancora oggi e sempre la sua natura.
L‟aggettivo liberale, aggiunto a cattolico, ne rendeva equivoco il
significato e su tale equivoco giocò il Gioberti con tale abilità da passare
nei nostri testi di storia come il maggiore propugnatore d‟un
cattolicesimo aperto ai tempi nuovi. In realtà si trattava di una religione
civile, non diversa nella sostanza da quella del Mazzini, gabellata per
religione di Cristo. Il Frassinetti fu dei pochi che avvertirono subito
l‟insidia e, mentre ignorò il Mazzini, che si denunciava da sé, scese in
campo contro il Gioberti, ben piú pernicioso all‟ovile di Cristo per il
trucco d‟agnello con cui aveva saputo imbellettarsi. Tanto bastò per
essere etichettato gesuitante.
La risposta alla domanda che ci siamo posti: – Liberale o
reazionario?– ce l‟anticipa lo stesso Frassinetti in un suo appunto per il
progetto d‟un settimanale: La Carità.
Questo giornale – cosí l‟appunto del Frassinetti – sarà sostanzialmente
religioso trattando brevemente, ma solidamente, le materie che sono di
maggior importanza alla giornata. Esso non avrà assolutamente nessun colore
politico: unico suo colore sarà il cattolico, colore che si confà a tutte le
esigenze delle oneste opinioni. Esso in qualunque caso conserverà inviolabile
rispetto verso tutte le persone, anche meno meritevoli d‟essere rispettate. Gli
errori saranno combattuti, le colpe disapprovate, ma gli erranti o colpevoli
non saranno menomamente ingiuriati34.
34 AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. IX, pp. 220s. La correzione è nel manoscritto.
27
Siamo negli anni Cinquanta, quando a Genova già usciva il Cattolico,
uno dei fogli piú battaglieri35.
C‟è di piú, e, se vogliamo, anche di piú spassoso. L‟autore dei libri
che uscivano dalla nera officina36, la “Beato Leonardo”, sua creatura,
l‟antigiobertiano, alla vigilia della morte passò per cattolico-liberale!
Con quale altro nome appellare uno, che contro la norma né eletti né
elettori, che in quegli anni Sessanta si andava delineando, propugnava
con dovizia d‟argomenti il dovere di andare a votare, farsi eleggere e
non rifiutare di prestare giuramenti all‟usurpatore?
Riponendo la penna – cosí la primavera del 1867 licenziava la terza edizione
del suo Compendio di teologia morale – mi prende il timore che alcuno, dopo
letta quest‟Appendice, giusto il vezzo già molto in uso, dica di me: Tò un
cattolico liberale… Io sono cattolico semplicemente in tutta le semplicità del
termine… I liberali che sanno fiutar bene la gente non mi credettero mai dei
loro. Infatti nel 1848-49 mi tennero esiliato dalla mia parrocchia per tredici
mesi; e fa un anno appena, che all‟epoca del domicilio coatto si adoprarono
per farne gustare le dolcezze anche a me… Io inoltre protesto che non ho mai
cangiato né modo di pensare, né modo di agire. Mi diceva tempo fa un
liberale: Ella pensa diversamente da me; ma ho stima di lei, perché sta
immobile nei principi in cui crede… Io dunque non sono mai stato, né sono,
né voglio essere cattolico con qualche aggiunta. Sono sempre stato, sono, e
spero che sempre sarò cattolico semplicemente. Io sto colla S. Sede, e con
tutti i suoi organi… Quando essa spiegherà la sua Risposta – su cui aveva
argomentato – in modo diverso dal modo in cui la intendo io, cangerò tosto di
sentimento. Fin tanto che Essa tace, chiedo e spero ottener la grazia che mi si
permetta di poter pensare a modo mio, com‟io consento agli altri di pensare a
modo loro. In necessariis, unitas, in dubiis libertas, in omnibus charitas.
Quotiescunque e Roma scripta venerint, quoad nos omnes causæ finitæ
35 Insieme con “L‟armonia della religione con la civiltà”, anch‟essa nata a Genova, ma
tosto trapiantata dal Margotti a Torino. “Il Cattolico” ebbe per direttore don Antonio
Campanella, per redattore capo l‟Alimonda, sopra citato, tra i collaboratori, oltre al
Frassinetti, il beato Tommaso Reggio, futuro arcivescovo di Genova, il gesuita padre Luigi
Persoglio ed altri fra i piú colti della città, in gran parte vicini al Frassinetti ed alcuni già
membri attivi della sua “Beato Leonardo”.
36 Cosí chiamata dal Gioberti la “Beato Leonardo” nel Gesuita moderno, vol. V,
Vigevano 1848, p. 14
28
erunt37. Finalmente mentre rifiuto la denominazione di cattolico-liberale, ho
l‟onore di poter gridare alto, che davanti a qualunque Governo sono sempre
stato inappuntabile, come sempre è lo schietto cattolico, che necessariamente
tiene la dottrina di S. Paolo sopra accennata38.
Qualunque governo. Nei suoi anni ve n‟erano stati tanti: Repubblica
Ligure, Impero Napoleonico, di nuovo Repubblica, Regno di Sardegna
assoluto, Regno di Sardegna costituzionale, Regno d‟Italia. In quanto
alle lotte per modificare confini e forme di governo pare aver fatto suo
il precetto del Signore: Lascia ai morti seppellire i loro morti, tu vai ad
annunciare il regno di Dio39. Della politica si interessò solo quando
vennero emanate leggi in contrasto con la le leggi di Dio per ricordare
ai fedeli quali erano i loro doveri e per dissuaderli dal dare il loro voto a
chi tali leggi propugnava40.
Ma le caselle mentali per tanti erano solo due, e tutt‟ora spesso sono
ancora solo due, impensabile una terza per chi sia solo prete, e prete
preoccupato solo della salvezza delle anime che si trovavano a vivere in
queste e quelle circostanze di tempo e di luogo.
L‟incapacità di vedere con altri occhi la Chiesa ed i suoi uomini ci
hanno propinato pagine come queste di Massimo Taparelli d‟Azeglio
sul fratello gesuita, conosciuto con il nome di Luigi Taparelli, scritte
senza avvertire di sbugiardare il suo antigesuitismo con i fatti che
narra:
[Mio fratello gesuita] aveva piú talento di me e di tutti di casa; ed
inoltre una maggior prontezza al sagrificio, unita ad un carattere
d‟incrollabile fermezza. Ciò che si dice in tre parole: ingegno, virtú e
carattere: tre bagattelle!
Se fosse rimasto nel mondo, anche prete, la sua fortunata e potente
natura poteva condurlo, Dio sa, a quali destini. Chi può indovinare in
quanti modi avrebbe potuto divenire utile alla patria, alla società, alle
sue stesse opinioni religiose e filosofiche!…
37 Al detto “Unità in ciò che è necessario, libertà in ciò che è dubbio, ed in ogni cosa
carità”, aggiunge di suo: “e parlato che abbia Roma, per me tutte le cause sono finite”, eco del
Roma locuta, causa finita.
38 G. FRASSINETTI, Compendio…, 18673, p. 771. Testo paolino: Rm 13,1-8.
39 Lc 9,60.
40 Come quando venne introdotto il matrimonio civile.
29
Se però mio fratello non raggiunse coll‟ingegno quell‟altezza alla
quale era nato, se non lasciò di sé, come avrebbe potuto, quell‟impronta
che è l‟eredità degli uomini sommi, lasciò però grandi e belli esempi di
sagrificio e di virtú che valgon meglio e son piú utili a chi li sa discernere
ed applicare, di tutte le meraviglie dell‟intelletto…
Egli era giovane di temperamento bollente, di passioni impetuose; era
preso talvolta da sfuriate di collera tremende; sentiva ardentemente tutte
le aspirazioni, tutti i desideri che Iddio diede per attributi alla nostra
natura. E tutti domò e tutti vinse. Prima de‟ trenta anni era divenuto
d‟una dolcezza e serenità di carattere che non vidi mai piú alterarsi in
nessuna occasione. La mente e il cuore d‟accordo avevano in lui vinta la
materia, e quasi potrebbe dirsi distrutta.
Io certo non sono punto gesuita; ho presente tutto il male che hanno fatto certi
loro principî e certe loro arti, ma tanto piú mi meraviglio a vederli uno per
uno a che razza d‟abnegazione si condannano! per riuscire poi a che? o a far
del male o a far un buco nell‟acqua41.
Il d‟Azeglio crede firma fide in tutti i pregiudizi antigesuitici, ma
trova avanti agli occhi il contrario nel fratello, nel padre Pellico, il
fratello di Silvio, ed in altri. Ci si aspetterebbe il sorgere di un dubbio,
un ripensamento, un porsi, alla luce dei fatti, la domanda che ventisette
anni prima il Frassinetti poneva al Gioberti in quel suo Saggio che ha
tanto del genere letterario degli Adversus cosí caro ai padri della
Chiesa:
Ma questi uomini pii e virtuosi – i corsivi citano il Gioberti dei Prolegomeni
in cui si facevano salvi padre Pellico, il d‟Azeglio, e pochi altri – non
veggono essi in che ceto corrotto e pernicioso si trovino? non veggono a qual
tristo gioco essi servano?… Bisognerebbe supporli inetti a comparare e
discernere tra il bene e il male, fra le tenebre e la luce, e appunto tra Cristo e
Belial. Convivere con uomini profondamente corrotti, trovarsi sotto un
magistero di fraudolenza, sotto il regime dell‟egoismo e non avvedersene in
vita giammai, non è cosa possibile se non a stupido tronco di uomo. Né la
pietà e la vera virtú… sopporterebbe quest‟onta. Per tanto questa novella
arguzia è un altro paradosso42.
Come il d‟Azeglio, anche la maggior parte dei nostri storici del
Risorgimento non hanno avvertito il paradosso facendo convivere il
pregiudizio con la verità che lo sbugiarda. Sarebbe quindi grave errore
41 M. D‟AZEGLIO, I miei ricordi, Parte I, cap. VIII, inizio.
42 G. FRASSINETTI, Saggio intorno alla dialettica e alla ragione di Vincenzo Gioberti,
Genova maggio 1846, pp. 23.25.
30
guardare il Frassinetti, vissuto a Genova, focolaio di rivoluzionari, negli
anni piú caldi del Risorgimento, con gli occhi del politico e dei media di
quei tempi invece che con gli occhi del credente.
Se un giovane fra cinquant‟anni presentasse una tesi di laurea in
storia e sostenesse che la VERA causa dello sbriciolarsi dell‟impero
comunista per decomposizione interna sia stata l‟aver negato Dio, e
vedesse negli avvenimenti un ripetersi in scala sociale e politica ciò che
l‟apostolo Paolo afferma dell‟uomo che lo ha ignorato43, penso che
susciterebbe sorriso nel relatore, fosse anche della Cattolica e cattolico
praticante. Un lavoro, per essere lavoro scientifico, deve ignorare Dio,
soprattutto un Dio attivo che si interessa delle cose nostre da
protagonista, o come recitava il vecchio Catechismo di Pio X: “Dio ha
cura e provvidenza delle cose create e le conserva e dirige tutte al
proprio fine, con sapienza, bontà e giustizia infinita (12)”, e che, se
permette per un certo tempo il trionfo del male, è solo un tollerarlo
“per lasciar libere le creature, sapendo poi ricavare il bene anche dal
male (11)”.
È pensabile che, per aver dichiarato la società ed i governi la non
esistenza di Dio, o che, se pure esiste, non se ne ha da tener conto, Dio
abbia cessato di essere Dio e di operare da Dio? o abbia ristretto il suo
dominio solo al privato di quei che ancora credono in lui? Eppure,
dall‟Illuminismo in poi, sembra che l‟umanità vada sempre piú
rifacendosi al costituto di Adamo: l‟uomo può muoversi in piena
autonomia da Dio, e, se cristiano, negare con Pelagio la necessità di
interventi divini che non siano già inclusi nelle forze della natura. Non
avverte che “i suoi ragionari sono vacui, avendogli la stupidità
ottenebrato la mente, fino a fargli credere d‟essere sapiente, mentre non
è che un povero sciocco”44.
Si precludono, difatti, la percezione del “di piú” che si rifà alla
presenza di Dio nelle cose umane, anche puramente umane, come la
sconfitta dei Persiani a Salamina, in cui Eschilo, non ottenebrato da tale
presunzione, avvertiva la mano di un dio – cosí vicino al vero Dio – che
veniva a ricordare all‟uomo, ristupidito dalla hybris, che era uomo,
facendo dire dall‟ombra del re Dario, quando apprese dalla moglie
Atossa l‟ardire del figlio che aveva gettato un ponte sul Bosforo per
43 Rm 1, 18-32.
44 Rm 1,21-22.
31
farvi passare i soldati: “Quando un uomo s‟affretta alla sua perdita,
anche il dio l‟aiuta a rovinarsi”45.
Se ciò è necessario per la comprensione piena d‟ogni storia umana –
un esempio magistrale ce lo ha dato il Manzoni nei Promessi sposi –, è
condizione sine qua non se si vuole afferrare qualcosa della storia d‟un
santo in cui Dio è il grande protagonista. Con tali occhi lessero gli
agiografi la storia d‟Israele, Agostino la storia universale nella sua Città
di Dio e ripensò la propria nelle Confessioni.
“Chi dicono gli uomini che sia il Figlio dell‟Uomo?… Ma voi cosa
dite che io sia?…”46. Gli occhi della ragione, che non percepiscono il “di
piú” del Cristo, percepibile solo se vengono illuminati dalla fede, di lui
possono dire solo che è un uomo grande. Per gli ebrei, la cui storia era
tutta nella Bibbia, uno che poteva stare alla pari con Elia e gli altri
grandi d‟Israele; per noi moderni, un maestro incantatore, uno
charmeur, al dire di Renan, o, se impegnati nella questione sociale, un
precursore di Marx. La storia si ripete per i suoi santi. Nelle
rievocazioni del centenario abbiamo visto il Don Bosco del film mutato
in un sindacalista vestito di tonaca.
Non si meravigli dunque il lettore se in questa storia avvertirà la
presenza di Dio, ed una presenza da protagonista, che, pur nulla
togliendo alle libere scelte dell‟uomo, è lí che lo dirige secondo i suoi
piani. Proverò a narrare la storia sulla falsariga di come ce l‟ha cantata
la Madonna nel Magnificat: Grandi cose il braccio del Signore riuscí a
compiere servendosi del suo servo Giuseppe Frassinetti.
45 ESCHILO, I Persiani, 742. G. PERROTTA, I tragici greci, Messina-Firenze 1971, p. 24.
46 Mt 16,13-17.
32
PARTE I
GLI ANNI DELLA PREPARAZIONE
1804-1827
Cap. 1 – Nel nome di Maria
Cap. 2 – Esultate nel Signore, un Genovese è nato alla Chiesa
Cap. 3 – La bufera napoleonica
Cap. 4 – Il fanciullo ascoltava
Cap. 7 – La famiglia Frassinetti
Appendice – La zia Annetta
Cap. 8 – L‟educazione dei figli
Cap. 9 – Educando i fratelli educa
Cap. 10 – Come a Cassiciaco – Una casa convento
Cap. 11 – Cos‟è che ti da maggior gusto, o Dio?
Cap. 12 – Fratelli in gara a chi dà maggior gusto a Dio
Cap. 13 – Bruciami Signora il cuore col fuoco del tuo amore
Cap. 14 – Mira quant‟è bello essere fratelli e vivere uniti
Cap. 15 – I “Ragazzi del Gianelli”
Cap. 16 – L‟adolescente focosissimo
Cap. 17 – Il seminario di Genova prima del rettore Cattaneo
Cap. 18 – I “Ragazzacci” Mazzini e compagni
Cap. 19 – Gli interessi culturali
Cap. 20 – Lo studente di filosofia
Cap. 21 – Cosa studiare e con quale spirito pensando all‟altare
Cap. 22 – Lo studente di teologia
Cap. 23 – Oltre la scuota I
Cap. 24 – Oltre la scuola II
Cap. 26 – Ubi Petrus ibi EcclesiaCap. 25 – L‟incontro con
Sant‟Alfonso
Cap. 27 – Sacerdote – Un fuoco ardente gli bruciava il cuore
33
CAPITOLO I
NEL NOME DI MARIA
Troverete perfino di quelli che si dicono divoti della Santissima
Trinità, del Santissimo Sacramento, e divoti cosí gelosi, che
temono che Dio s‟offenda e si abbia a male di vedere onorata
con divozioni speciali la Madonna ed i Santi. Tutte le funzioni
vorrebbero fatte a Dio, a Dio solo vorrebbero che ardessero
tutte le candele, che tutte le musiche a Dio s‟intonassero, che si
facessero a Dio tutti i panegirici, e, illuminati come credono di
essere, non sanno e non vogliono conoscere, che è onore di
Dio l‟essere onorato nei Santi suoi. Temono essi che si
introduca nel popolo cristiano superstizione; cosí chiamano
ogni divozione che loro non aggrada; e poi non temono
l‟aumento di quella indifferenza e incredulità in materia di
religione, che ormai cresce tanto.
G. FRASSINETTI, Discorsi a sacerdoti e chierici.
La sera d‟un quattordici agosto, vigilia della Madonna assunta in
cielo, il priore Giuseppe Frassinetti, in un sermoncino d‟occasione
rivolto ad un drappello di fanciulli che nel santuario genovese della
“Madonnetta” si apprestavano ad offrire il loro cuore a Maria, rievocò
un ricordo della sua lontana infanzia:
Io non avevo ancora sei anni, ed in questa medesima sera, in un drappello di
fanciulli come voi siete, qui davanti a questo altare, ho fatto l‟offerta del mio
cuore a Maria, come voi fate. Lo ricordo tuttavia47, e, ricordandolo dopo tanti
47 Il Frassinetti usa tuttavia nel senso oggi obsoleto di ancora, sempre, in continuazione.
Al numero 3289 del Dizionario dei sinonimi della lingua italiana di N. TOMMASEO, steso in
quello stesso giro di anni in cui scriveva il Frassinetti, si legge: “Tuttavia suppone la
continuazione di un atto [e ne è] l‟idea propria... quindi è che tuttavia si può congiungere a
34
anni, mi sento crescere la confidenza nella Madonna Santissima, e me ne
sento consolato48.
Anche il Mazzini, sui sei anni, una sera d‟un 14 agosto, era avanzato
in processione in quello stesso santuario tenendo in mano una candela
ed un cuoricino d‟argento per consacrarsi a Maria49, e, perché coetanei,
nati com‟erano in parrocchie contigue a sei mesi l‟uno dall‟altro, lo si
può pensare in fila con il Frassinetti. L‟amore alla Vergine e la sua
protezione accompagnerà il nostro Giuseppe tutto il cammino della vita.
Prima di spirare, cercò con la mano già fredda la medaglia della
Madonna, portata notte e giorno appesa al collo con un ruvido spago, e
le diede ancora un bacio50. Fu l‟ultimo atto di pietà di uno nato un
sabato ottava dell‟Immacolata, giorno nella liturgia dell‟epoca
doppiamente consacrato alla Santa Vergine. Un bimbo segnato fin dalla
sua nascita a percorrere il suo cammino tenuto per mano da Maria.
Le madri, se hanno figliuoli savi, amorosi, che stiano attenti per non
disgustarle mai – scriveva in una istruzione rivolta ai giovanetti –, costumano
di fare ai medesimi anche qualche carezza; e sappiate che altrettanto suole
fare Maria a‟ suoi buoni figliuoli. Oh dolci! oh preziose le carezze che suole
fare Maria a‟ suoi buoni figliuoli! Queste carezze sono certe allegrie di
spirito, certe contentezze di cuore, certi sentimenti di dolce divozione che
fanno beate le anime che le provano. Ma, se voi non aveste mai provato
queste carezze, è inutile ch‟io ve ne parli, non potete intendere che cosa
siano, e tanto meno quanto siano gustose a que‟ suoi cari figliuoli cui la
Madonna le fa....51.
nondimeno; perché l‟uno dice la continuazione del tempo; l‟altro il poco valore della cosa
contraria... Boccaccio: «Dopo lunghi dispregi, nondimeno egli amava tuttavia»... il Foscolo:
«Quando gli altri vanno via, Egli canta tuttavia»... E la ragione di questo significato si è che
tuttavia porta l‟immagine seco di moto continuato”. Con tale significato lo troviamo
adoperato anche dal Mazzini. Era di uso comune.
48 G. FRASSINETTI, Discorsetto... recitato nel santuario della Madonnetta la vigilia
dell‟Assunta per l‟offerta del cuore dei fanciulli a Maria SS., in D. FASSIOLO, Op. cit., p. 201.
Quattro paginette, due ai bimbi, il resto per i genitori. Un esempio di predicazione semplice e
penetrante di chi sa stabilire un dialogo convincente con le persone a cui si rivolge.
49 A. BRESCIANI, L‟Ebreo di Verona in “Civiltà cattolica”, II, IV, pp. 266-268.
50 D. FASSIOLO, Op. cit., p. 188.
51 G. FRASSINETTI, Esercizi spirituali pei giovinetti d‟ambo i sessi, Genova 18654, pp. 9798 e 96-97.
35
Se può intendere la dolcezza di quelle carezze della Mamma celeste
solo chi le ha provate, è chiaro che egli, per parlarne cosí, le aveva
gustate fin dalla sua prima infanzia.
Mi si perdoni se per un minuto dimentico documenti e date e mi
abbandono al sogno. Mi piace pensare il nostro Giuseppe Frassinetti
vissuto a Roma, o a Roma pellegrino, sedici secoli prima che nascesse
nella sua Genova, non tanto per il suo attaccamento alla Sede di Pietro,
che fu grandissimo, quanto perché lo sento figlio di quei primi cristiani
che frequentavano il Cimitero di Priscilla sulla Salaria e la tomba di
Pietro al Vaticano lasciandovi i loro graffiti-preghiera. Me lo immagino
a Priscilla, fanciullo e giovinetto, riempirsi gli occhi e nutrirsi il cuore
delle immagini di quegli affreschi professione di fede.
La Fractio panis, quanto dire: il mistero del corpo e del sangue di
Cristo, che è poi quel Bimbo raffigurato in braccio alla Madre assisa in
trono in un altro affresco dello stesso cimitero. Su quel Bimbo partorito
dalla Vergine, e per il quale tutto fu fatto e a cui tutto fu ordinato, sono
rivolti i raggi di una stella e gli occhi di un profeta. Ad adorare quel
Bimbo vengono fin dal lontano Oriente, come ci mostra un altro
affresco, anche qui in braccio alla Madre sua seduta regalmente in
trono. Quei primi cristiani, sentendo povere le parole per esprimere chi
è quel Bimbo, e cosa egli rappresenta per noi, moltiplicarono gli
affreschi-catechismo-preghiera.
L‟affresco nel cubicolo della Velatio mi fa sognare piú d‟ogni altro.
Vi si vede un vegliardo che dà il velo ad una vergine mentre le addita a
destra la Regina delle vergini seduta in trono con il Bimbo sulle
ginocchia. Il vegliardo, spiega il Marucchi, è un vescovo seduto in
cattedra, anzi è il tipo tradizionale dell‟Apostolo Pietro52. Accanto al
vegliardo c‟è un diacono che l‟assiste. In quell‟ affresco vedo
compendiata la vita del nostro Servo di Dio e di sua sorella Paola:
consacrarsi a quel Bimbo per amore del regno dei cieli tenendo gli occhi
fissi a Maria. Un rifarsi a lei, esempio ed aiuto, per riuscire a piacere a
Gesú, perché vivere vergini per amore del regno di Dio è dono di grazia
52 O. MARUCCHI, Le catacombe romane, Roma 1905, p. 456. Allo stesso modo è
interpretato da M. ARMELLINI, Lezioni di archeologia cristiana, Roma 1898, p. 181; H.
LECLERCQ, Dictionnaire de archéologie chrétienne, t. XIV, p. II, Parigi 1948, c. 1832; E.
JUNYENT, Los cementerios cristianos de Roma in AA. VV., La tumba de Pedro y las
catacumbas romanas, Madrid, 1954, p. 355. Altri danno altra interpretazione.
36
e, ad un tempo, frutto di continua preghiera a quel Bimbo ed a Maria. E
tutto sotto la guida di Pietro. Nella Chiesa. L‟artista teologo ne era
pienamente convinto. Ce lo dice ponendo tra i due gruppi l‟anima della
defunta in atteggiamento d‟orante che, per essersi consacrata a Dio ed
essere vissuta con gli occhi fissi a Gesú in braccio a Maria, nella Chiesa,
è giunta a goderne la visione nel regno dei cieli.
Quel levita-Frassinetti pare intento all‟ascolto di voci analoghe a
quelle che un dí risoneranno all‟orecchio di Agostino:
Se questi e queste, perché non tu? Se tua sorella Paola vuol essere tutta di
Dio, perché non tu? Perché non anche i tuoi fratelli? Abbandonatevi, non
temete, vi accoglierà e vi terrà sulle sue ginocchia come tiene quel suo
Bimbo. Non vi lascerà cadere. Non vi ha forse affidati tutti a lei la mamma
terrena nel chiudere gli occhi a questo mondo? 53.
Sono piú o meno le parole nel Beato Susone, che il Frassinetti rilesse
nella sua Teresa d‟Avila e le fece proprie e le ripeté alle anime timorose
di intraprendere il cammino della perfezione:
[Santa Teresa] pensava che “nulla aveva perduto Pietro in lanciarsi in
mare, sebbene dopo ebbe paura”54, la quale paura dipendeva in lui da
pochezza di fede, cui tuttavia supplí misericordiosamente il Signore. La
risoluzione di darsi a una vita tutta santa e spirituale metteva paura anche al
Beato Enrico Susone ne‟ suoi principii, e di questa paura si valeva il demonio
per trattenernelo; ma egli rispondeva al tentatore: Dio m‟invita ad
abbandonarmi a Lui totalmente; se io mi caccio nelle sue braccia, egli è
possibile che si ritiri per farmi cadere?55.
Tu sei mio – fa dire il nostro Servo di Dio dal Signore al sacerdote –, non
sei cosa tua, abbandonati nelle mie mani, io farò di te sempre il meglio, come
il saggio padrone fa delle cose sue.56
53 Cfr. AGOSTINO, Confessioni, l. VIII, c. XI,3.
8 TERESA D‟AVILA, Libro de la vida, cap. 13,3. Allude all‟episodio narrato in Mt 14,30.
Immediatamente prima la Santa aveva citato dalle Confessioni, I,10,29: Dame, Señor, lo que
me mandas y manda lo que quisieres.
55 G. FRASSINETTI, Il Pater noster di S. Teresa di Gesú, Parma 1860, p. 15. Non saprei
indicare a quale vita del Susone si rifaccia. Nelle opere – B. ENRICO SUSONE, Opere spirituali,
vers. di B. DE BLASIO, Alba, 1971 –, dove sono innumerevoli i luoghi in cui si parla
dell‟abbandono in Dio, non sono riuscito a rintracciare il passo citato.
56 ID., Gesú Cristo regola del Sacerdote, Firenze 1852, p. 36.
37
Il calendario ed i documenti mi risvegliano dal sogno e mi riportano
alla realtà. Giuseppe Frassinetti, a differenza della sorella santa Paola,
che da genovese si fece romana, non varcò mai i confini dell‟antica
Repubblica e solo raramente quelli della città di Genova. Del Cimitero
di Priscilla avrà certo sentito parlare avendo all‟epoca fatto molta
notizia per il ritrovamento del corpo d‟una supposta martire Filomena,
ma dubito assai che si sia interessato dei suoi affreschi, eppure non gli
so trovare ritratto piú vivo. Quel levita è lui come se tanti secoli non
fossero trascorsi57. Non afferma forse l‟Apostolo che i veri figli di
Abramo sono coloro che hanno la fede di Abramo? Per stemma gli
darei il graffito di Venerosa Vea
che si legge sul muro g della Tomba di Pietro, inciso da un ignoto
pellegrino di quei primi secoli di fede cristiana e decifrato da
Margherita Guarducci58, in cui vedo riassunta la vita del nostro Servo
57 Gal 3,7.
58 M. GUARDUCCI, Pietro ritrovato, Milano 1970, pp. 77-78. L‟insigne epigrafista, alla
quale si deve l‟individuazione delle ossa di Pietro, fa notare come il monogramma di Cristo
sia situato tra l‟ultima e la penultima riga del graffito, come in un triangolo immaginario con i
vertici su tre A, “ciò che rivela il proposito di esprimere il concetto di «Cristo, Persona della
Trinità divina»”, collegato con un segmento alla T di Bonifatia “con evidente allusione al
concetto di «Cristo crocifisso». Un altro segno di unione congiunge la A di Bonifatia con la O
di Venerosa per produrre la formula AO (= principio e fine) – la prima e l‟ultima lettera
38
di Dio. Al nome di Cristo sono ingegnosamente intrecciati i nomi di
Maria, Pietro e NICA (= vittoria), ossia per Gesú Maria e Pietro la
vittoria della vita sulla morte.
La pietà di quei primi cristiani seppe graffire in un intreccio di
poche lettere la propria professione di fede in Dio Uno e Trino, in
Cristo, seconda persona della divina Trinità, principio e fine, crocifisso
e risorto, che ci porta dalla morte alla vita, e la centralità di Maria
nell‟opera della redenzione.
Come era tutta armonia la fede di quei cristiani vissuti avanti la pace
costantiniana, e come fu tutta armonia la fede del nostro Frassinetti
vissuto in un tempo in cui tale armonia di fede cominciava ad essere
rotta! Una spiritualità cristocentrica vissuta nella tradizione cattolica,
quella del Frassinetti, che non poteva non essere ad un tempo
spiritualità mariana; ed una spiritualità mariana che non poteva non
essere spiritualità cristocentrica. Nessuna delle due forme di pietà ruba
spazio all‟altra, perché non sono due pietà, ma una sola pietà alimentata
di preghiera e di eucarestia, feconde germogliatrici di vergini a Dio
consacrati.
In quei primi secoli della Chiesa, a cui risalgono gli affreschi di
Priscilla e i graffiti alla Tomba di Pietro, ai credenti in Cristo non era
lecito esistere, pena la morte, e molti la subirono. Eppure quei giovani
vollero essere di Cristo quanto piú fosse possibile a creature, sicuri della
sua fedeltà59, sicuri di Maria. Con quelle visioni di paradiso negli occhi
poco importava se fuori infuriava la bufera. Nessuna meraviglia se nel
Frassinetti si riscopre la spiritualità e la confessione della fede di quegli
antichi cristiani, in un clima, anche ai suoi tempi, cosí avverso alla
dell‟alfabeto greco, A, cosí presenti ancora oggi nelle lapidi funerarie –, reversibile in OA
(dalla morte alla vita)”. Sopra il nome Venerosa, sulle lettere O e A, un altro monogramma di
Cristo congiunto con un‟A (= Cristo-Vita), “esprimendo evidentemente il concetto che per
mezzo di Cristo-Vita (il monogramma + A) si può passare dalla morte alla vita (OA)”. Con
un segno chiaramente delineato ed uno ricostruito, si ha poi la M, iniziale del nome di Maria,
che continua facendo sua una A di NIKA (= Vittoria!). E non è tutto. Alla base della P, letta
alla latina, si vede aggiunta una E: PEtrus. Non si è di Cristo se non si sta con Pietro.
“Abbiamo dunque – conclude la Guarducci – uno spirituale intreccio i cui i nomi di
Cristo, Pietro e Maria sono accomunati nel medesimo grido di vittoria. Motivo che compare
altre volte sulla parete del muro g”.
59 2 Tm 1,12.
39
Chiesa. “Son tutte cose queste – dice l‟Apostolo – che opera l‟unico ed
identico Spirito”60.
Pietà cristocentrica e mariana nella tradizione della Chiesa la pietà
del Frassinetti. Suo quel classico di spiritualità sacerdotale: Gesú Cristo
regola del sacerdote; suo il chiamare tutti al quotidiano Convito del
divino Amore; sue le molte pubblicazioni per fomentare la devozione a
Maria; suo il dimostrare la vita consacrata aperta e possibile ad ogni
anima, anche fuori convento: Monaca in casa, Religioso al secolo61. Di
tutti, nessuno escluso, deve essere l‟impegno di tendere alla perfezione
cristiana secondo il proprio stato, come pure il lavoro d‟apostolato in
unità di intenti tra sacerdoti e i laici, uomini e donne, in cui i molti
diventano uno perché nutriti da un unico pane. Suoi, del suo amico don
Luigi Sturla e della sorella Paola, gli oratori festivi per maschietti e per
femminucce, in cui fanciulli ed adolescenti avrebbero incontrato gente
dal volto amico ed appreso ad amare il Signore e la sua santissima
Madre62, e questo una dozzina d‟anni prima che don Bosco li iniziasse a
Torino per i soli ragazzi. Suo l‟impegno per la buona stampa a pochi
centesimi, leggibile anche da chi sapeva appena compitare. Suo il
vegliare che nell‟ovile di Cristo non entrassero lupi mascherati da
agnelli e, cura delle cure, come già il suo divino Maestro e modello, la
formazione dei sacerdoti e di chi al sacerdozio aspirava. Tutto nel nome
di Maria.
A molti del clero sembrò uno che volesse innovare e rivoluzionare il
pacifico modo di vivere cristiano dando, lui giovane, lezioni agli anziani.
Non capivano cosa quel prete avesse tanto da agitarsi. Neppure i suoi
vescovi. Il cardinal Tadini, ad ogni incontro, gli rinfacciava i dispiaceri
che gli avrebbe procurato avendolo costretto a difenderlo dall‟accusa di
creare divisione nel clero con quel suo metterlo in guardia dall‟insidia
giansenista; l‟arcivescovo Charvaz, che all‟uscita del Primato del
Gioberti non si era rifiutato di intervenire presso il Granduca di
Toscana perché togliesse alla pubblicazione il divieto d‟ingresso nel suo
stato63, tra l‟altre cose rimproverava al Frassinetti quella sua fissazione
60 1 Cor 12,11.
61 Opere del Frassinetti continuamente ristampate.
62 G. FRASSINETTI, Avviamento dei giovinetti nella divozione a Maria Santissima, Roma
1846; Ricordi di una figlia che vuol essere tutta di Gesú, Genova 1851.
63 V. GIOBERTI, Epistolario, vol. IV, Firenze 1928, p. 371.
40
a voler scrivere e dare alle stampe. Quei suoi librettucci cosí
mingherlini, come li definiva il Gioberti, con tirature da best-seller, con
edizioni che si succedevano alle edizioni, che saranno tradotti in una
dozzina di lingue,e vari ancor oggi in catalogo, a molti davano
terribilmente sui nervi, a cominciare dalla madre del Mazzini che già
nel 1838 scriveva al figlio:
Certo parroco Frassinetti di campagna – all‟epoca era parroco a Quinto –,
mesi fa, faceva una stampa che era proprio una sciocchezza in ogni guisa
contro i giansenisti,... Vi fu chi in allora rispondea confutando tale
scempiaggine, ma non vollesi permettere la stampa. Però il P. Spotorno mise
un cenno sulla nostra Gazzetta confutando quello sciocco... [che ora ritorna
alla carica con] peggiore pasticcio dell‟altro...64.
In una lettera successiva, volendo il figlio saperne di piú: – Sentirò il
giudizio dei miei santi dottori e te ne dirò.
Uno di quei santi dottori giansenisti ne aveva mandato copia al
Sant‟Ufficio perché mettesse all‟indice quella sciocchezza contro la
quale il Gioberti sputerà veleno nel suo Gesuita moderno. Questo certo
parroco Frassinetti di campagna creava troppo fastidio con quel suo
innovare senza mai uscire dalla tradizione, soprattutto per l‟ascendente
che sembrava essersi acquistato sul giovane clero. Presto se ne
sarebbero visti gli effetti nella ricca fioritura di santi sacerdoti, anche
da altare, e non solo del clero genovese, e la riscoperta da parte di tante
anime che la fractio panis è ordinata al nostro quotidiano nutrimento e
che, cibandoci tutti i giorni di quel pane, la santità si fa a tutti possibile.
Tutto e sempre nel nome di Maria.
Se collegare il Frassinetti con gli affreschi del Cimitero di Priscilla è
stato un mio arbitrio, il rifarsi agli antichi secoli e a quanto di essi ci
tramandarono i santi padri, è caratteristica documentata della sua
pastorale che seppe distinguere ciò che nella religione è sostanza da ciò
che è soltanto accessorio e cosí liberare, sull‟esempio di Paolo, il
cammino dei fedeli dalle pastoie che ne impediscono la vita di pietà.
Cosí, per quanto possa apparire paradossale, rifacendosi alle antiche
tradizioni, e risuscitando forme di vita cristiana da tempo dimenticate,
si trovò ad essere profeta dei tempi futuri. Nessuna meraviglia se da
64 A. LUZIO, La Madre di Giuseppe Mazzini. Carteggio inedito del 1834-1839, Torino
1919. Lettere del 13.7.1838 e 20.7 1838, p. 210.
41
tanti, anche del clero, non venisse compreso e fosse fieramente
avversato.
Avrà presto da ricredersi chi ora pensasse il Frassinetti un figlio
dell‟Ottocento tutto intento a restaurare il religioso riesumando
vecchie forme del passato come stava accadendo nel politico da parte
dei governi dell‟epoca, quello dei Savoia piú di ogni altro; oppure lo
pensasse persona incapace d‟accettare il suo tempo, e ne fuggisse
creandosi un mondo fittizio, sia pure religioso, in cui rifugiarsi come i
suoi coetanei si andavano rifugiando in un mai esistito paradiso
ellenico, se neo-classici, o, se romantici, in un non meno fantasioso
mondo medievale. Il Frassinetti è uomo concretezza, legato all‟ora
presente, al concreto dell‟ora presente, con lo sguardo rivolto al futuro.
Edifica il nuovo sulle collaudate fondamenta del passato, facendo sua
la concretezza della pastorale cattolica: Scrittura, Tradizione,
Magistero pontificio, esempio dei santi. Qui basti averlo accennato,
dovendo indugiarvi a lungo nel corso della storia, dopo aver visto
come il Signore si serví delle circostanze negative di quei tempi
burrascosi per predisporre il suo Servo a compiti nuovi.
CAPITOLO II
ESULTATE NEL SIGNORE
UN GENOVESE È NATO ALLA CHIESA
Giuseppe Frassinetti fu uomo genovese, e genovese della Genova
1800, con un “di piú” che fece di lui un homo Dei65. La sua storia di
uomo di Dio ebbe inizio nella bella chiesa di nostra Signora delle Vigne
65
1 Tm 6,11; 2 Tm 3,17.
42
la terza domenica di Avvento, coincidente in quel 1804 con l‟inizio della
novena di Natale. Lí, nella penombra del battistero, pre‟ Gioanin66
chiedeva ad un bimbo di un giorno:
– Paule Iosephe Maria, quid petis ab Ecclesia Dei?
Il nonno materno, Paolo Viale, e la nonna paterna, Angela, gli erano
accanto ad impegnarsi per lui felici di prestare la loro voce a quel
nipotino a cui, a distanza d‟un anno, o poco piú, l‟uno dall‟altro, se ne
sarebbero aggiunti ancora dieci tra fratellini e sorelline:
– Fidem!
Quale altro motivo avrebbe potuto esserci per condurlo in chiesa con
quel freddo se non quello di farne un figlio di Dio senza rubargli una
sola ora di tale figliolanza? Giuseppino sarebbe stato di Dio, e solo di
Dio. L‟impegno venne confermato con tre solenni abrenunsio: a Satana,
alle sue opere ed al suo allucinante nulla; e con tre credo altrettanto
solenni , senza incrinature di dubbio. In chi si può veramente credere
con tutta la mente e con tutto il cuore e per tutta la vita se non in Dio:
Padre, Figlio, e Spirito Santo?
– Paule Iosephe Maria, vis baptisari?
– Volo.
L‟acqua del fonte scese gelida per tre volte sul capo del bimbo. Un
gemito annunciò che nella chiesa era nato un figlio di Dio, come un altro
gemito il giorno innanzi aveva annunciato ch‟era nato al mondo un
uomo. La pronuncia genovese della zeta di abrenuntio e di baptizari
aveva solo raddolcito l‟asprezza d‟un suono, non resa debole l‟adesione
a Cristo. Sarebbe stata un‟adesione ferma e dolce. Del resto, gente
foresta che potesse sorridere di quel latino non ve ne era, e poi era pur
sempre quel latino che da secoli e secoli arricchiva i riti della Chiesa
d‟un senso di mistero e li rendeva piú solenni. Anche la lingua serviva a
ricordare che ci si immergeva in un mondo di “di piú” e di misteri per
poterci poi ritrovare nel “di piú” di Dio.
– Accipe lampadem ardentem,
il dono di commiato di pre‟ Gioanin, che ha da accompagnarlo la vita
intera, mai ad olio scarseggiante e fiammella illanguidita.
66
Giovambattista Pittaluga.
43
Era nato il giorno innanzi, il quindici dicembre, giorno doppiamente
sacro a Maria, e perché sabato e perché ottava dell‟Immacolata. Due
giorni profezia, quel sabato e quella Dominica gaudete. Nella luce di
quei due giorni il suo codice genetico: tendere a Cristo, tenuto passo
passo per mano da Maria, con la missione di appianare le vie del
Signore a quante piú anime avesse potuto perché trovassero in Dio la
vera gioia che nessuna cosa e nessun uomo potranno mai appannare67.
I circostanti non ebbero il piú piccolo sentore che con quel rito il
Signore si era armato un cavaliere nella terra di san Giorgio per
inviarlo a liberare le anime dai timori e dalle ansietà che incutevano
loro i giansenistanti con l‟accreditare a Dio le sembianze d‟un giudice
facile alla condanna e difficile al perdono, fino a spegnere il desiderio
d‟assidersi al Banchetto del divino Amore68. Erano tante e tali le
condizioni richieste per potersi accostare all‟eucarestia e nutrire
speranza di salvezza, che le comunioni dei fedeli s‟erano fatte poche e
rare, molta l‟angustia per il dí del giudizio e per il terrore dell‟inferno.
Nella liturgia del giorno il mandato al nuovo cavaliere: gridare
l‟intera vita: Dominus prope est, il Signore è vicino, come mai amico fu
vicino ad amico. Non voce di condanna e di terrore ad angustia dello
spirito, ma voce venuta a dirci: Gaudete69. Vivete allegri, ché IO vi sono
vicino. A dissipare l‟ultima titubanza la dolce immagine di Maria, la
sua stella.
Dell‟avvenimento di quel giorno restò traccia solo nei registri della
parrocchia70. Nulla sui giornali. Avevano ben altre notizie da
3
Gv 16,22.
È il titolo dell‟operetta di cui stava correggendo le bozze quando il Signore lo chiamò al
banchetto celeste. Fu un vero best-seller, tradotto e ritradotto in varie lingue e continuamente
ristampato. Veniva a coronare i molti suoi scritti con cui aveva cercato di persuadere i fedeli
ad accostarsi senza timore al banchetto divino, anche tutti i giorni. Fu voce comune che ad
esso si ispirasse san Pio X nel decreto Tridentina Synodus.
69
Fil 4,4: Vivete allegri nel Signore sempre, ve lo ripeto: Vivete allegri... il Signore è
vicino. Sono le parole con cui si iniziava, ed ancora si inizia, la messa della III domenica di
Avvento e ne prende il nome.
70
A pagina 405 del Registro degli Atti di Nascita e Battesimo per l‟anno 1804 della
parrocchia di S. Maria delle Vigne in Genova leggiamo: Die 16 dicti [mensis Decembris].
Paulum Iosephum Mariam Frascinetti, fil. Io. Baptæ q. Iosephi. et Angelæ Viale Pauli
Coniugum heri natum Baptizavit Presbr Io. Bapta Pittaluga Mansus et Curatus: Compatribus
4
44
comunicare. Proprio quella domenica 16 dicembre 1804, prolungando i
parigini le feste per l‟incoronazione dell‟imperatore Napoleone,
presente papa Pio VII, avevano liberato in aria “un pallone di taffetà
incerato, cinto da una rete sorreggente una galleria di filo di ferro con
appesi dei lampioncini”, opera del signor Garnerin, che, dopo aver
sorvolato tutta Francia, l‟Alpi e mezz‟Italia, era andato a ricadere il
giorno appresso all‟Anguillara a due passi da Roma. Questo, sí, era
fatto che faceva storia.
Giuseppino – il nome Paolo resterà dimenticato nei registri e nei
certificati – è ora un figlio di Dio, ma genovese d‟una Genova ancora
tutta dei genovesi. C‟erano sí dei foresti, ma cosí pochi da non scalfirne
menomamente la genovesità, cominciando dalla parlata ch‟era per tutti,
patriziato e popolo, lo stretto genovese. La lingua da porre nero sul
bianco variava: a chi riusciva meglio l‟italiano, a chi il francese, e c‟era
persino – incredibile a dirsi – chi aveva maggior dimestichezza con il
latino. Roba appresa a scuola dai pochi che l‟avevano frequentata. La
piú parte della gente non sentiva nessun bisogno di mettere nero sul
bianco.
A Giuseppino non mancava la sua brava genealogia, anche se dal
registro della parrocchia delle Vigne non ci è dato di risalire oltre i
nonni. Dobbiamo al lavoro paziente, umile e disinteressato di don
Giuseppe Capurro che agli inizi del secolo andò peregrinando di
archivio in archivio alla ricerca di quanto si poteva conoscere dei
Frassinetti, meglio dei Frascinetti, se ne sappiamo qualcosa di piú71.
Ne valeva la pena? Sia venia al buon don Capurro se spese tanto del
suo tempo a salire e scendere di figlio in padre e di padre in figlio.
Fatica biblica. Agli agiografi un racconto sarebbe parso lacunoso se dei
vari personaggi non ci avessero indicato di chi erano figli, di chi nipoti e
di chi pronipoti. Per Gesú, Matteo parte da Abramo e ci offre tre
quattordicine di antenati: “Libro delle generazioni di Gesú Cristo, figlio
Paulo Viale q. Angeli ex Parca S: Laurentii et Angela Frascinetti Vid. q. Iosephi ex Para Na
Vinearum.
71
Don Giuseppe Capurro – Recco (GE) 1874 - Genova-Fegino 1935 – ebbe modo di
diventare sacerdote studiando dai Figli di Maria in Carignano. Rimase attaccatissimo al suo
direttore, padre Antonio Piccardo, che gli affidò la cura dell‟edizione Vaticana di tutte le
opere del Frassinetti. Fu lui che fece le ricerche per l‟introduzione della causa di
beatificazione del Servo di Dio e ne seguí il corso iniziale con l‟umile titolo di vice
postulatore.
45
di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò
Giacobbe, Giacobbe...” e giú giú fino a Giuseppe, e qui, con un
disinvolto salto di corsia e mutando il verbo da attivo in intransitivo, ci
attesta che Gesú nacque da Maria72. Luca risalí all‟indietro oltre
Abramo, fino al primo uomo: “Gesú, figlio come si credeva di Giuseppe,
di Mattat, di Levi,… di Davide,... di Abramo,... di Noè,... di Adamo, di
Dio”73.
Fino a quando le famiglie sono state granitiche, ognuna ne portava
stampata in cuore la genealogia, di pochi gradini quelle degli umili; da
competere con la scala di Giacobbe quelle dei nobili. Farinata, dalla sua
tomba di fuoco, non si degnò di intavolare discorso col Tosco che per la
città del foco vivo se ne andava, se non dopo d‟avergli chiesto: “Chi fur
li maggior tui?”74.
Non ostante la molta pazienza e tanto buon volere, don Capurro non
riuscí a risalire fino ad Adamo come Luca per il Signore, e neppure tre
volte quattordici generazioni come Matteo. Poté arrampicarsi sí e no
per un secolo e mezzo. Poco, ma piú di quanto sapevano dei loro avi gli
stessi Frassinetti. Gli umili difficilmente sono in grado di risalire oltre i
nonni dei nonni, né, credo si chiedano a cosa si ricolleghi l‟origine del
nome di famiglia. Si chiamano cosí e basta.
A noi verrebbe spontaneo pensare il nome Frassinetti legato alla
pianta del frassino, dal tardo latino fraxinum, da cui frassineto, bosco di
frassini75. Potrebb‟essere, ma potrebbe anche avere un‟origine
toponomastica da uno di quei luoghi fortificati chiamati “frassineto”
costruiti dai saraceni sul finire del primo millennio lungo la Riviera di
Ponente e la Costa Azzurra76.
72
Mt 1,1-17.
Lc 3,23-38.
74
DANTE, Inferno, X,23.42.
75
Cosí parve al padre Quirino Proni, quarto superiore generale dei Figli di S. Maria
Immacolata, nel disegnare lo stemma della Congregazione.
76
Nel secolo IX, gli Arabi, da noi conosciuti come Saraceni, arrestati in Ispagna,
accentuarono la loro pressione verso l‟Italia, conquistando prima le isole di Malta e di
Pantelleria, poi la Sicilia, dove rimasero per ben due secoli e mezzo. Altrove, come in
Calabria, nella Puglia, alle foci del Garigliano e del Tevere, lungo le coste tirreniche, della
Riviera di Ponente e di Provenza, con puntate anche verso l‟interno (Benevento, Acqui, Asti,
e fino nelle Alpi Cozie) posero insediamenti fortificati, alcuni di breve durata, altri di lunga
73
46
Ecco quel che mi è dato affermare degli ascendenti di Paolo
Giuseppe Maria Frassinetti servendomi dei dati raccolti dal Capurro. Il
padre Francesco era conosciuto con il nome con cui a Genova si poteva
chiamare una buona metà dei suoi abitanti avendo la certezza
d‟azzeccarci una volta su due: o scio Bacicia77, il signor Giovambattista.
Anche per lui il secondo nome aveva fatto dimenticare il primo.
Giovambattista era nato a Genova nella parrocchia delle Vigne, nel
cuore della città vecchia, e lí era ancora residente alla nascita del primo
figlio. Merciaio di professione, con negozio in via di Scurreria ad un
passo dalla cattedrale San Lorenzo.
La madre, Angela Viale, era figlia d‟un merciaio, anch‟egli genovese,
ma della parrocchia di San Lorenzo78. Il nonno paterno, morto otto
giorni innanzi la nascita del nipotino che ne avrebbe portato il nome
con cui sarà conosciuto, Giuseppe, era nato a Rivarolo Ligure, ma,
ancora giovane, se n‟era andato in Genova centro a farvi il cuoco. Non
ci risulta se in qualche casa gentilizia, se in una locanda o altrove. Era
figlio di un Giovambattista, figlio di Andrea, figlio a sua volta di
Francesco, tutti di Rivarolo.
A questo punto, metà del „600, è facile imboccare un viottolo per un
altro e, invece che ricollegarci con il padre di Francesco, rifarci ad un
qualche Frascinetti della Val Polcevera o addirittura ai Frascinetto di
Santa Fede in Genova, gente che potrebbe anche aver avuto legami di
sangue con il nostro Giuseppino, ma talmente ingarbugliati da non
poterne venire a capo. Piú probabile con i Frascinetti di San Pier
d‟Arena, ad un passo da Rivarolo, che con quei di Santa Fede in
Genova79.
permanenza. Di questa loro presenza è rimasto un segno nella toponomastica. Ancora oggi
diverse località in Italia si chiamano Frassineto / Frassinetto / Frassineti..., la piú celebre di tal
nome fu quella in Provenza (889-925). Devo il suggerimento della ricerca al padre Tullio
Pisoni, ottavo superiore generale dei Figli di S. Maria Immacolata.
77 Da leggere u sciu Bacicia.
78
Non si è in grado di dire se si sia trattato d‟un solo negozio dove Giovambattista
Frassinetti avrebbe prima lavorato alle dipendenze del futuro suocero e poi gli sarebbe
succeduto, oppure di un‟attività del tutto autonoma.
79
Nello Stato d‟anime del 1607 della parrocchia di Rivarolo si hanno tre famiglie
Frascinetti: Iacobus, sposato ad una Maria, padre di Franciscus e di Ieronimus; Ioannes,
sposato ad una certa Bianca, e Stefano (sic), sposato ad una Agostina.
47
Nel Quattrocento, c‟erano stati dei Frassinetti e Frassineto che
ebbero un certo nome in città. Si ha memoria d‟un Sagino de‟
Frassineto che nel 1432 fu uno dei priori che curarono nel porto
l‟accrescimento del Ponte della Legna e di quello degli Spinola. Nel
1421, 1431 e 1443 fu pure “Consigliere della Repubblica”, e nel 1444
“Elettore degli Anziani”, lui stesso un “Anziano” per ben due volte, nel
1426 e nel 1431. Non era una carta di nobiltà, ma titoli che in Genova
contavano assai, fino a potersi permettere un pensierino di veder scritto
un giorno anche il nome “Frassineto” nel libro d‟oro del patriziato,
libro che a Genova, a differenza di Venezia, non era mai stato sigillato,
e, perché no?, persino sognare qualche anno di dogato. Nel secolo
innanzi vi erano stati dogi di pochi giorni, uno neppure l‟intera giornata
del 14 luglio 1393! Nell‟attesa non aveva trascurato di disegnarsi il
blasone: un braccio con chiave in mano nello spaccato superiore, una
montagna a tre vette in quello inferiore80.
Il Capurro rinvenne pure un fra‟ Cristoforo Frassinetto,
carmelitano, lettore di teologia, quanto dire professore, ed autore di
testi di morale e di predicabili81, ma sono legami che hanno la stessa
consistenza di quei con cui Virgilio ricollegava Giulio Cesare ad Enea
ed a Venere. Ecco, se sono dubbi i legami di sangue con fra‟ Cristoforo,
sono indubbi quelli di vocazione e di sentire: anche il nostro Priore
studierà con amore la spiritualità del Carmelo, potendo attingerla a
fonti non ancora disponibili per fra‟ Cristoforo: santa Teresa d‟Avila,
san Giovanni della Croce e santa Maria Maddalena de‟ Pazzi;
pubblicherà opere di morale e, postuma, uscirà pure una ricca serie di
predicabili.
Al Capurro sfuggí che il 5 febbraio 1439 un Giacomo Frassineto
aveva avuto affidata dall‟armatore Lorenzo Cappa di Sestri Ponente la
nave Sant‟Alberto di 900 mine di portata con tredici uomini
d‟equipaggio perché insieme a Luca Cichero veleggiassero fino ad
Oristano in Sardegna ed ivi caricassero 100 cantari di formaggio
80
Un disegnino a penna per mano del Capurro con l‟indicazione della chiesa di Gesú e
Maria in via Bologna, non piú esistente. AF.
81
Sempre negli appunti del Capurro trovo il rinvio a due manoscritti dell‟Università di
Genova: FEDERICI, Origine delle famiglie di Genova, pp. 397; DELLA CELLA, Famiglie di
Genova, ms. del 1783, pp. 82. Non ho avuto modo di controllare tali ricerche, né credo ne
valesse la pena tanta poca importanza penso abbia dato alla cosa il Servo di Dio.
48
sardo82. Se antenato gli fu, e Sestri non dista molto da Rivarolo, non gli
trasmise proprio nulla all‟infuori di qualche goccia di sangue, non certo
la passione del mare e del viaggiare, e, meno che meno, quella del
trafficare ed accumulare palanche.
Il frutto di tali ricerche dovette produrre un qualche disappunto nel
Capurro che, nel rovistare archivi, non mancava di dare uno sguardo
anche ai “Piccardo” con la speranza di incontrare gente d‟alto lignaggio
e poter rivelare al suo “Direttore”83 la presenza di una componente di
blu nel sangue. È bello poter dire dei servi di Dio quanto si afferma di
Giuseppe lo sposo di Maria: falegname di villaggio e povero sí, ma
stirpe di re! I “Piccardo” erano solo industriali che a Voltri qualcosa
contavano, nobili no; i “Frassinetti” gente del popolo, e del popolo
minuto: cuochi, merciai e cose del genere. Non credo che in casa
Frassinetti se ne affliggessero piú che tanto o abbiano mai perso una
sola ora per sapere da quali lombi discendessero. Per Giuseppino
meglio cosí, perché per un sacerdote, almeno nello spirito, il piú bel
blasone è sempre quello di Melchisedec: apàtor e amèter, un senza padre
e senza madre, e privo di genealogie84, un fuori del tempo e del
contingente, uno sradicato dalla terra, pur vivendo su questa terra, ché,
a voler seguire Cristo, bisogna vivere nel mondo senz‟essere del mondo
e lasciare che i morti seppelliscano i loro morti85. Nella spiritualità del
tempo era verità indiscussa.
A questo punto, detto che anche Giuseppino ebbe il suo Simeone
nell‟abate di San Matteo che usava porgli la mano sul capo e predirne ai
genitori il futuro: “Quest‟angioletto sarà un giorno la vostra
consolazione”86. avrei potuto concludere la storia della sua infanzia con
82
Annali della Società Ligure di Storia Patria, vol. XXXIV: “Annali Storici di Sestri
Ponente e delle sue Famiglie”, Genova 1904, pp. 298.
83
Alla morte del Frassinetti la Pia Opera dei Figli di Maria era agli inizi. Don Antonio
Piccardo, non ancora sacerdote, appena ordinato, la prese su di sé dandole un grande
sviluppo.
84
Eb 7,3; Gen 14,17-20; Gv 7,27.
85
Mt 8,2.
86
D. FASSIOLO, Op. cit. pp. 15. Si tratta di Anton Maria De Filippi, nato nella parrocchia
delle Vigne nel 1759. Era stato parroco di Nervi dal 1792 al 1815. Negli anni degli
sconvolgimenti rivoluzionari dovette assistere impotente alla ruberia degli ori, degli argenti e
dei nove splendidi lampadari della sua bella chiesa da parte del governo democratico. Nel
1799, i francesi, ricacciati da tutta Italia, erano riusciti ad attestarsi in Liguria ed a resistervi
49
le parole dell‟evangelista Luca: “Ed il bimbo progrediva con gli anni in
sapienza e grazia innanzi a Dio ed agli uomini”87, tanto la sua
adolescenza sembrava avara di notizie, e poi riprendere il racconto
dall‟inizio della sua vita pubblica quando, il sabato 22 settembre 1827, il
vescovo di Savona gli conferí con la consacrazione sacerdotale il
mandato di offrire il sacrificio, benedire, presiedere, predicare e
battezzare, con la viva raccomandazione di essere consapevole di ciò che
era chiamato a fare e l‟ingiunzione di vivere in conformità delle cose
sante che avrebbe trattato sí da essere profumo che allieta la Chiesa di
Cristo88. Ma la tentazione di penetrare il segreto di quegli anni è stata
per me troppo forte da sapermi trattenere dal tentativo di ricostruire il
mondo in cui egli visse la sua adolescenza ed il modo in cui egli ve la
dovette vivere, non certo per appagare una curiosità, ma perché non si
può comprendere il parroco santo ignorando il seminarista santo.
Giustamente uno dei nove consultori teologi, chiamati a dare il giudizio
sulla eroicità delle virtú del Servo di Dio, si rammarica di questa lacuna
della Positio: “Dagli Atti della Causa non risulta quasi nulla su questi
anni che sono, invece, a nostro parere, fondamentali per lo studio delle
sue virtú”89. Ne sono talmente convinto che ho dato a tale tentativo
tanto spazio da occupare l‟intera prima parte della storia di questo
santo sacerdote: Gli anni della preparazione.
fino alla vigilia di Marengo. Per il De Filippi significò l‟allontanamento dalla sua parrocchia
dal 26 gennaio al 19 settembre del 1800 e il dover poi aspettare il 24 ottobre 1803 per poterne
riprendere possesso! Nel 1848 il Frassinetti, anch‟egli costretto a vivere nascosto per tredici
mesi, aveva un bell‟esempio a cui rifarsi. Trasferito a Genova, il De Filippi fu chiamato ad
insegnare all‟Università. Morí nel 1842. Cfr. A. e M. REMONDINI, Parrocchie
dell‟Archidiocesi di Genova, vol. II, Genova 1886, pp. 104.114. In nota rinvia agli articoli di
F. LUXARDO apparsi nel 1862 nel settimanale genovese “La Liguria” a partire da pp. 178.
87
Lc 2,52.
88
Pontificale Romanum, De ordinatione Presbyteri.
89
RV, Voto IV, pp. 24.
50
CAPITOLO III
LA BUFERA NAPOLEONICA
I primi settant‟anni dell‟Ottocento, nei quali a Giuseppe Frassinetti toccò
vivere ed operare nella sua Genova, per la Chiesa furono anni tristissimi.
Che tempi fossero si può dedurre da questi due passi: il primo risale a
quando il Servo di Dio era un bimbo di pochi mesi, il secondo sul finire dei
suoi anni:
Tutto quanto era stato possibile distruggere senza eccessive difficoltà è
ormai distrutto. Sono rimasti i nudi muri perimetrali, gli archi e le possenti
colonne. Appena aperta la porta, ne uscí un nugolo di cornacchie e di civette
che si levavano a volo verso il cielo....
Cosí nel 1805 appariva la cattedrale di Saint-Denis al filosofo tedesco
Friedrich Schlegel. Per secoli, prima che i giacobini ne avessero perpetrato
l‟orrendo e sacrilego scempio, era stata per i francesi la meraviglia delle
meraviglie e ne aveva elevato il cuore a Dio. Qualcosa di simile e di peggio
si augurava il Carducci, vaticinando la fine delle testimonianze di fede
innalzate da generazioni di cristiani sulla tomba del primo papa l‟apostolo
Pietro:
Savi, guerrier, poeti ed operai,
Tutti ci diam la mano
Duro lavor ne gli anni, e lieve omai,
Minammo il Vaticano...
... su l‟antica riva
Cadrà l‟orrenda mole...
E tra i ruderi in fior la tiberina
51
Vergin di nere chiome
Al peregrin dirà: Son la ruina
D‟un‟onta senza nome90.
La Cupola di Michelangelo, il Colonnato, i Musei e quanto in essi si
contiene: orrenda mole. La civiltà cristiana una vergogna! Ai massoni
dell‟epoca parvero versi bellissimi e profetici. Tanto e tale era nel Carducci
l‟odio contro ogni cosa che sapeva di cattolico da anticiparsi il tripudio di
quell‟ora in cui, demolitore tra i demolitori, si vedeva tra quei che
completavano l‟opera iniziata da ostrogoti, vandali, saraceni e barbari vari,
invano cercando di ribattezzarsi e di nobilitarsi proclamandosi:
Noi siam la sacra legïon tebana,
Veglio91 che mai non muore.
90 G. CARDUCCI, Opere, vol III, Giambi ed epodi e rime nuove. VI – Per Giuseppe Monti
e Gaetano Tognetti, Ediz. naz., Bologna 1935, pp. 26-33. Fu composta il 30 nov. 1868.
91 È l‟insulto meno pesante usato dal Carducci in quest‟ode contro il mite e santo Pio IX.
Piú su l‟aveva chiamato Chierico sanguinoso e imbelle... Polifemo cristiano. Il 19 gennaio di
quello stesso anno, proprio nei giorni in cui il Frassinetti saliva al cielo, nell‟ode Per Eduardo
Corazzini (la III della stessa raccolta, ivi pp. 11-18) gli aveva lanciato insulti ancora piú
beceri e sozzi. Chiedo venia al lettore, ma, perché abbia un‟idea della virulenza blasfema, ne
cito una quartina ed alcuni settenari a chiusa di altre quartine:
O prete,
Godi. Di larga strage il breve impero
Empisti e le tue brame.
Trionfa nel tuo splendido San Pietro,
O vecchio prete infame…
Masnadiera papale... / Quel prete empio riposa... / Per te feroce vecchio... / O vecchio
sanguinante... / (il sangue) ferocemente vuoi
ed il botto finale con cui gli spara contro la sua laica scomunica:
Te...
Io scomunico, o prete;
Te pontefice fosco del mistero.
Vate di lutti e d‟ire,
Io sacerdote de l‟augusto vero,
Vate de l‟avvenire.
Trombonate. Chissà se gli era mai giunto all‟orecchio un qualche eco dei massacri
compiuti proprio in quegli anni Sessanta per reprimere la resistenza di quanti erano rimasti
52
In fondo al cuore quei massoni erano certi che la Chiesa non sarebbe
sopravvissuta a lungo, caduto che fosse il potere temporale dei papi. Anche
molti cattolici pensavano la stessa cosa, temendola, e perciò ritenevano che
per salvare la Chiesa si avesse da difendere quel potere temporale con le
unghie e con i denti. È facile trasferire nel mondo del divino i calcoli ed i
timori umani, dimenticando che il Signore è ricco di uscite a sorpresa ed è
sempre lui a giocare l‟ultima carta, quella vincente. Pare si diverta a
rovesciare le situazioni piú disperate con gioco di contropiede.
Per meglio capire i tempi del Frassinetti e la sua testimonianza cristiana
non possiamo non intrattenerci su ciò che fu per la Chiesa la Rivoluzione
francese, non fosse altro per correggere le impressioni lasciate in noi dal
testo scolastico e risuscitate dalle varie rievocazioni televisive. Ne diamo
qualche pagina campione, non però filtrata dalla cattedra, ma come fu
recepita dall‟occhio del popolo. Si direbbe che cronaca e testo scolastico si
siano divisi i compiti, l‟una piena di lacrime sangue ed infamie, l‟altro di
squilli di tromba, rulli di tamburi ed acclamazioni al vincitore. Un primo
saggio ce l‟offre la cronaca dell‟occupazione di Roma, cosí lontana dal
teatro principale, Parigi, in un momento in cui la fase piú bestiale del
Terrore era già trascorsa. Sono questi i fatti che colpirono l‟animo del
popolo timorato di Dio piú che non lo avessero colpito quanto si diceva
essere accaduto in Francia92.
Il 15 febbraio del 1798 era giovedí grasso e a Roma si sarebbe dovuto
celebrare uno degli otto palii del carnevale, il piú spettacoloso, uguagliato
soltanto dal palio dell‟ultimo giorno alla chiusura delle feste, il martedí
successivo. Quell‟anno niente carnevale. Già nel 1790 i romani avevano
dovuto rinunciare ai “moccoletti” dell‟ultima sera per colpa di quei francesi
mandati a Roma dall‟Assemblea Nazionale a provocare disordini e ad
insolentire. Avevano osato provocare ed insolentire persino la notte di
Natale in San Pietro durante la messa papale! Niente carnevale neppure nel
1793 e l‟anno appresso, tanto i francesi la facevano da padroni anche
fedeli ai Borboni! Ma si trattava di briganti, mentre Corazzini e Tognetti erano puri eroi della
sua libresca legïon tebana. Povera verità e piú povero profeta.
92 Attingo dal Cracas, nome con cui è conosciuto il Diario romano. Variava dalle 12 alle
24 paginette, con qualche punta fino a 34, grandi quanto una tessera d‟auto, o poco piú .
Usciva due e tre volte la settimana.
53
all‟estero in anni in cui Roma era in pace con la Francia! Quello del 1797,
vietate le maschere, era stato misera cosa.
Quel giovedí grasso del 1798, in cambio del carnevale, si ebbe una
penosa carnevalata: un trecento “patrioti” si erano ritrovati al Foro Boario
con coccarda tricolore al cappello e lí, con tanto di rògito notarile, avevano
dichiarato estinto il potere temporale dei papi e risorta la Repubblica
romana. Al Papa, bontà loro, avevano fissato un “decente sostentamento”.
Quindi si incolonnarono e ascesero sul Campidoglio a piantarvi l‟albero
della libertà con tanto di berretto frigio sulla cima ed accanto un tricolore
bianco-rosso-nero. Ci fu un lungo tonare di discorsi e rimbombare di nomi
famosi: Bruto, Cassio, Scevola, Catone, gli immancabili Scipioni e l‟uno e
l‟altro Gracco,... intramezzati da grida di: “Viva la libertà, viva la
Repubblica romana” e di: “Abbasso il Papa!”, tutta gente cosciente di
compiere gesta immortali e vivere la piú grande ora della storia. Una
marionettata alla vigilia d‟un diluvio di malanni. Sembra che Iddio, per sua
antica abitudine, si diverta a togliere il senso del ridicolo agli uomini che di
tanto in tanto vengono a rinnovarci la storia. Azara, l‟ambasciatore di
Spagna, scriveva che di 190.000 romani a far la rivoluzione erano stati un
cinquecento93.
Quel giorno papa Pio VI, vecchio ottuagenario e malato, avrebbe dovuto
celebrare il ventitreesimo anniversario della sua elezione al pontificato e
ricevere l‟omaggio dei cardinali nella Cappella Sistina. Meglio lasciar stare,
avevano consigliato i cardinali. Non tutti i porporati avevano cuore d‟eroe,
né li estasiava troppo la prospettiva di consacrare il rosso della porpora con
il rosso del loro sangue. Meglio non contrastare la bestia, meglio accettare
l‟ultima umiliazione, meglio e piú saggia cosa ancora fuggirsene a Napoli,
come avevano già fatto tredici dei ventisei cardinali presenti in Roma. Il
Papa, benché vecchio cadente, ha deciso: non si moverà. All‟imbocco della
via Appia non avrebbe udito il Signore rispondere al suo: Quo vadis,
Domine?, che tornava a Roma per farsi ancora una volta crocifiggere, come
si riteneva fosse accaduto a Pietro tanti secoli prima. Sulla croce ci si
sarebbe fatto porre lui, come del resto aveva fatto Pietro.
93 Cfr. L. VON PASTOR, Storia dei Papi, vol. XVI.III, trad. P. CENCI, Roma 1955, p. 631
n. 3. “Todo esto en el fondo no ha sido mas que una comedia”.
54
Il diciotto, domenica, mentr‟era a pranzo con ancora negli orecchi l‟eco
del canto del Te Deum innalzato in San Pietro per ringraziare Iddio che una
tanta rivoluzione si fosse eseguita senza spargimento di sangue, ed a
cantarlo vi erano stati anche dei cardinali senza il suo permesso, gli si
presentò il commissario Haller e gli intimò con brutalità di prepararsi a
partire prima che fossero passate le quarantott‟ore.
Nulla da fare, non si sarebbe mosso. Alla protesta, Haller replicò che si
poteva morire ovunque e che, se non fosse partito con le buone, l‟avrebbe
portato via con la forza. Cervone, un altro dei liberatori, pretendeva che si
appuntasse al petto la coccarda tricolore e si presentasse ai romani cosí
conciato – non l‟aveva già fatto Luigi XVI con i parigini? –. In cambio si
sarebbe assicurata una pingue pensione. Gli uomini piccoli credono piccoli
anche i giganti, e risposta di gigante furono le parole di papa Pio VI:
Io non conosco altre divise che quelle di cui mi ha onorato la Chiesa. Voi
avete tutto il potere sul mio corpo, ma non già sulla mia anima, che si ride dei
vostri attentati e li disprezza. Non ho bisogno di alcuna pensione. Un bastone
ed un abito di bigello bastano ad uno che in difesa della sua fede deve quanto
prima spirare sulla cenere... Mi appresso all‟ottantesimo anno della mia vita,
onde non ho da temere, e lascio che si usino sopra il mio corpo tutte le
violenze, gli strazi e le indegnità, ad arbitrio di chi ha la forza in mano. Ma
l‟anima mia è ancora talmente libera, talmente forte e ripiena di coraggio, che
prima incontrerò la morte, che offendere il suo onore e il suo Dio. Adoro la
mano dell‟Onnipotente che punisce il pastore ed il gregge. Voi potete ardere e
distruggere le abitazioni dei vivi e le tombe dei morti, ma la religione è
eterna. Come esisteva prima di voi, esisterà dopo di voi94.
Predoni, piú che uomini di stato. Haller pretese persino i suoi due anelli.
Avuto il primo: – Questo non lo posso dare perché deve passare al mio
successore –. Gli fu tolto lo stesso. Era l‟anello del Pescatore. Una
delusione. Valevano poco o nulla. Via anche la tabacchiera, dono del re di
Spagna. Il povero vecchio non seppe trattenere un lamento: – Anche del
tabacco mi private! –95. Se per affermare l‟autorità si richiede villania,
violenza ed un cappello ben calcato in capo, i francesi non avrebbero potuto
94 M. R. A. HENRION, Storia universale della Chiesa, trad. di P. LAMPATO, vol. XII,
Milano 1841, p. 288.
95 Ivi, p. 289.
55
scegliere persona piú adatta del calvinista Haller, uno di quei che
abbisognano di voce grossa e fare villano per sentirsi grandi.
La notte sul 20, ultimo giorno di carnevale, fu notte di tregenda: lampi,
tuoni e scrosci d‟acqua a tempesta. Alla luce di due lanterne veniva
strapazzato un vecchio cadente perché si sbrigasse a montare su di una
brutta carrozza prima che la notizia avesse a trapelare per Roma. Anche i
potenti hanno i loro momenti di paura. Ne avrebbero fatto tosto lunga e
amara esperienza cominciando da questa stessa Italia, e poi in Spagna, e poi
in Russia, e via via fino a Sant‟Elena.
I cardinali Gerdil e Borgia avevano temuto che sarebbe stato pericoloso il
ricusarsi di andare a cantare il Te Deum in San Pietro per ringraziare
l‟Altissimo che una tanta rivoluzione si fosse eseguita senza spargimento di
sangue, ed erano riusciti a persuadere i porporati rimasti a Roma ad unirsi a
loro due. Illusione di un giorno. Ancora una volta si compiva la profezia:
Percoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge96. All‟entrata
in città delle truppe di Berthier, sei dei cardinali rimasti a Roma furono
rinchiusi alle Convertite, parte tentò la fuga, ma a due soltanto andò bene;
altri due, dimenticando che il rosso della porpora significa la continua
disponibilità a versare il sangue per la Chiesa, rinunciarono all‟alta dignità
per non perdere i beni e forse anche la vita97. Fu fatta pressione sugli altri
perché ne seguissero l‟esempio e si tentò persino di creare un antipapa,
senza venire a capo di nulla. Ma il “NO!” del vecchio Pontefice aveva già
cominciato a proliferare altri “NO!” che si andavano facendo sempre piú
numerosi, poco importa se essere cardinale “NO” portava all‟espulsione
dalla “Repubblica romana” con tanto di scorta armata. Dei poveri vecchi,
inermi e morti di paura, impaurivano i forti!
96 Mt 26,31; Mc 14,27; Zc 14,7.
97 Il 21 febbraio accadde qualcosa di simile a ciò che accadrà la mattina del 26 luglio
1943 in Italia quando i giornali, ancora fascistissimi il giorno innanzi, comparvero in edicola
tutti fieri avversari del caduto regime. Il Diario, che fino al giorno innanzi era stato tutto per il
Papa, si risvegliò giacobino. Ebbe però il pudore di mutare la testata in Monitore di Roma,
per richiamarsi poi Diario le ultime due settimane dell‟anno, avendo re Ferdinando IV di
Napoli cacciato i francesi, e raccontare tutte le vergognose gesta degli invasori transalpini,
salvo poi a ricambiare testata e musica al loro rientro in città. Accanto al titolo si leggeva:
Religione Libertà Eguaglianza e, di lí a poco, solo: Libertà Eguaglianza.
56
Se tristi erano i fatti di Roma, ben piú tristi quei di Francia. A migliaia
preti, suore, ed altri cristiani, nonché decine di vescovi, seppero affrontare la
morte e sopportare carceri e deportazioni, spesso ben piú gravi della morte
stessa, mentre altri, e non pochi purtroppo, si affrettavano a rendere
omaggio alla Ragione ripudiando la superstizione. Basti un nome: il vescovo
Talleyrand.
Era l‟ora delle tenebre98. L‟arresto del vecchio Pontefice e la sua
deportazione in una squallida prigione in terra di Francia, tra gente senza
religione e senza pietà, non fu che l‟inizio della sua lunga via crucis prima di
poter ripetere con Cristo in croce: Tutto è compiuto99 e morire solo ed
abbandonato. Non gli fu risparmiata l‟ultima umiliazione e l‟ultima
sofferenza. Anche le esequie un insulto. L‟ufficiale municipale, accertata
che ebbe la morte del detto Giovanni Angelo Braschi esercitante la
professione di pontefice, aveva dichiarato sicuro e solenne: Le ci-devant
pape vient de mourir: ce sera le dernier et la fin de la superstition!100.
Quel 29 agosto 1799 sembrò proprio che avessero avuto compimento la
profezia di Cagliostro, che Pio VI sarebbe stato l‟ultimo papa, e quella della
veggente La Brouse, la passionaria dell‟epoca, che sosteneva il cielo essere
stanco della tirannia dei papi e perciò contate le ore del loro potere. In
Matteo si legge che i pontefici e i farisei... assicurarono il sepolcro,
sigillando la pietra e mettendovi la guardia101. Quel giorno di tenebre anche
i discepoli credettero svanita la loro speranza, infatti non avevano ancora
compreso la Scrittura secondo la quale egli doveva risuscitare da morte, dice
Giovanni a propria e ad altrui scusa .102
Settembre, ottobre, novembre, dicembre, gennaio, febbraio... niente piú
papa, e, senza piú papa, niente piú Chiesa. Tutto era finito. I carnefici ne
erano certi, i buoni lo temevano.
98 Mt 27,45; Lc 22,53.
99 Gv 19,30.
100 Il papa qui presente è morto, ed è stato l‟ultimo. Con lui è finita la superstizione.
101 Mt 27,64-66.
102 Gv 20,9.
57
Quando d‟inverno il freddo è rigido, e freddo e gelo stringono ogni cosa...
e si crede che tutto sia finito e morto... proprio allora il pettirosso si mette a
cantare... Il tempo di contare fino a quattro, e... Tout est blanc! tout est rose!
tout est vert!... Il y a DIEU! il y a Dieu... qui est le plus fort! 103.
Il 14 marzo 1800, mi correggo: il 23 ventôse dell‟anno VIII, perché
l‟era cristiana dal 22 settembre 1792 era da considerarsi seppellita per
decreto della neonata Repubblica francese – un calendario destinato a
morire impubere –, papa Pio risorgeva a Venezia. L‟unica differenza
una unità in piú: Pio VII invece che Pio VI. “La religione è eterna –
aveva detto il vecchio pontefice –, come esisteva prima di voi, esisterà
dopo di voi: il regno di Dio si perpetuerà sino alla fine dei secoli”.
103 Parole della scena IX della Santa Giovanna d‟Arco al rogo di P. CLAUDEL. Per chi ne
avesse bisogno, questa è la traduzione: Tutto è bianco! tutto è rosa! tutto è verde!... C‟è DIO!
c‟è Dio che è il piú forte!
58
CAPITOLO IV
IL FANCIULLO ASCOLTAVA
Le prime impressioni dell‟infanzia restano piú profondamente
radicate e hanno influenza piú potente sopra tutta la vita
dell‟uomo; né questo fa bisogno provare mostrandone la verità
un‟esperienza costante.
G. FRASSINETTI, Compendio di Teologia Dogmatica.
Le aspirazioni alla libertà, ingenite nell‟animo mio, s‟erano
alimentate dei ricordi di un periodo recente, quello delle
guerre repubblicane francesi, che suonavano spesso sulle
labbra di mio padre e dell‟amico nominato piú sopra [Andrea
Gambino]... e della lettura di alcuni vecchi giornali da me
trovati seminascosti dietro ai libri di medicina paterni, fra i
quali ricordo alcuni fascicoli della Chronique du mois
pubblicazione girondina dei primi tempi della Rivoluzione di
Francia.
G. MAZZINI, Note autobiografiche.
59
A Genova si erano vissuti momenti peggiori. Giuseppino fu uno degli
ultimi genovesi nati liberi in libera repubblica, anche se di mutato nome:
non piú “Repubblica di Genova”, ma “Repubblica Ligure”. Una libertà di
facciata, a sovranità limitata, e dai mesi contati. Un altro Giuseppe, della
confinante parrocchia di San Siro, famoso nei nostri libri di storia patria,
Mazzini, nascerà cittadino francese e suddito d‟imperatore. Due nascite cosí
vicine e due vite cosí diverse, l‟una e l‟altra influenzate dai racconti uditi in
casa nella loro prima infanzia.
Quando televisione e luce elettrica erano di là da venire, specie nelle case
dei poveri, le lunghe serate d‟inverno si trascorrevano radunati in cucina al
chiarore di una lucernetta ad olio e del riverbero della fiamma del focolare.
Era quello il loro soggiorno. Lí, mentre si aspettava che la cena fosse pronta,
dopo la recita del rosario con non pochi Pater ed Ave per i propri cari ed un
buon numero di Requiem per i defunti, si riempiva il resto del tempo
parlando di cose di casa e dei fatti del giorno, senza che le donne ristessero
dai loro lavori. Di tanto in tanto i grandi di casa tornavano per la millesima
volta, come il Renzo del Manzoni, sui fatti da loro visti e vissuti. Né è a dire
che a Genova, in quel principio di secolo, con tutto quel che vi era accaduto
dagli ultimi anni del Settecento, mancassero cose memorabili da raccontare
e tali da oscurare persino il “sasso” di Balilla. Alle imprese napoleoniche si
aggiungevano le prodezze del Gran Diavolo104. il brigante che per tanto
tempo aveva terrorizzato la Val di Bisagno e la vallata di Fontanabuona,
movendovisi da re. Da re la faceva Giuseppe Podestà nelle valli di Sturla e
Borzanasca, ed altri altrove105. “Diavolo”, il 24 aprile del 1801, aveva
avuto l‟ardimento di comandare un‟esecuzione sotto le stesse mura di
Genova col rito che usano gli eserciti in guerra. Il governo mise un taglia sul
suo capo, egli la mise sul capo del ministro di polizia e sul capo dei parroci
che dal pulpito avessero annunziata la taglia contro di lui. Un muoversi con
pari autorità e pari dignità. Ci vorranno tre anni e mezzo per riuscire a
104 Giuseppe Musso. Cfr. G. MISCOSI, Genova antica e dintorni, Genova 1974, p. 425;
C. PAGLIERI, Agostino Pareto – Un genovese tra Rivoluzione e Restaurazione, Genova 1989:
“Il paese scivola lentamente verso una totale anarchia, cui contribuivano in primo luogo i
numerosi briganti appostati sulle strade dell‟interno: a rendersene conto in prima persona fu il
generale Muller, cui una cinquantina di banditi diede il benvenuto alla Bocchetta, alla fine di
settembre 1800. Il nuovo comandante della Liguria, giunto a Genova notevolmente
alleggerito, sfuggí dopo circa un mese ad un proditorio colpo di fucile”, p. 41.
105 V. VITALE, Onofrio Scassi, Op. cit., p. 123.
60
catturarlo e fucilarlo alle Ulivette il 12 dicembre 1804. Aveva ventisei anni.
Morí rappacificato con Dio. Se in polizia ci fosse gente di spirito, “Diavolo”
avrebbe potuto far sua la risposta che diede ad Alessandro Magno il pirata
immortalato da sant‟ Agostino. Gli aveva chiesto se gli pareva cosa ben fatta
infestare i mari. Con nobile fierezza rispose eleganter et veraciter :
A me pare ciò che pare a te l‟infestare il mondo intero. Io lo faccio con una
piccola imbarcazione, e sono chiamato brigante; tu lo fai con grandi forze, e
sei chiamato imperatore.
I fatti di quegli anni inveravano l‟aneddoto e le riflessioni di Agostino. E
difatti:
Bandita la giustizia, cosa sono i regni se non grandi piraterie? E le
piraterie, del resto, altro non sono che piccoli regni: un pugno d‟uomini, uno
che comanda, un patto che li tiene stretti in società, bottini da ripartirsi a
norma di legge. Se questo flagello riesce a svilupparsi per l‟affluire di masse
d‟uomini perduti sí da impossessarsi di territori, fissare sedi, occupare città e
sottomettere popoli, è riconosciuto come regno, non perché siano cessate le
ruberie, ma per la loro sopravvenuta impunità106.
Latrocini e vessazioni quelli del brigante Diavolo, latrocini e vessazioni
quelli di Napoleone. Quelli perseguibili per legge, questi fonte di gloria. Il
racconto degli uni e la rievocazione degli altri furono il filtro attraverso il
quale ai fanciulli di casa Frassinetti pervennero le prime conoscenze della
storia e della cronaca. I fatti sono ciò che sono, ma diversi i modi in cui si
vivono e poi si rievocano. In casa Frassinetti quegli anni terribili erano
rievocati con l‟animo di chi se ne era sentito oppresso; in casa Mazzini, con
l‟animo di chi se ne era sentito protagonista e ne aveva sognato di piú
grandiosi.
Le scelte dell‟adolescenza sono strettamente legate alle prime lezioni di
storia che si recepirono attorno al focolare e dalle prime letture. Non esiste
uomo che sia mai riuscito a liberarsi dalle impressioni che ebbe incise nel
cuore negli anni della sua fanciullezza. Il Frassinetti ed il Mazzini non fanno
eccezione. In un catechismo al popolo, tenuto dal nostro Servo di Dio
l‟ultimo anno di vita, s‟avverte come in lui fossero ancora vive le
impressioni recepite dal suo cuore di fanciullo udendo dai suoi le angherie
subite da papa Pio VI e papa Pio VII:
106 AGOSTINO, De civitate Dei, libro IV, cap. IV.
61
Osservate bene che tutti i nemici della Chiesa di Cristo sono stati sempre
gli accaniti nemici del Papa e che, aspirando nella loro stolta empietà a
distruggere la Chiesa, sopra tutto si adoperarono per distruggere il Papato.
Non vi sono ingiurie, non contumelie, non calunnie che risparmiassero al
Papa, sempre sperando di farlo cadere nel discredito e nel dispregio del
popolo cristiano... Per non parlare di ciò che avviene al giorno d‟oggi,
parliamo di ciò che avveniva sul finire del secolo trascorso e sul cominciare
del secolo presente... Il Pontefice [Pio VI] fu tratto a forza in Francia dove
finí la vita. Anche il suo successore Pio VII, a forza strappato dalla sua Roma,
fu relegato per cinque anni in Savona, ma, nel viaggio di questi due Pontefici,
i popoli, dovunque potevano, mostravano loro la piú profonda venerazione.
Eppure erano tempi cosí cattivi, che l‟essere amici del Papa, era una specie di
delitto107.
Gli occhi di chi aveva narrato a lui bambino quei tempi cosí cattivi erano
pieni di visioni di sangue ed esprimevano l‟orrore per le dissacrazioni delle
cose piú sante che avevano dovuto vedere: chiese mutate in stalle, le
campane ammutolite o condannate a sonare per celebrare i fasti della
Rivoluzione, quando non erano state abbattute per farne cannoni; frati e
monache cacciati di convento108, dappertutto spie a caccia dell‟uomo
sospetto, ed il sospetto ritenuto delitto certo e, delitto dei delitti, il non
mostrare simpatia ed entusiasmo per i tempi nuovi. Continue le requisizioni
a mano armata casa per casa, continui i sequestri e le imposizioni di
“spontanei” contributi patriottici, e poi tasse, e ancora tasse – non era forse
107 G. FRASSINETTI, Opere edite ed inedite, Istruzioni catechistiche al popolo, vol. I,
Roma 1906, pp. 218-219.
108 “Sento dire tutto il giorno – tuonava la Gazzetta il 20 ottobre 1798 –: poveri frati! –
Perché poveri frati?... potranno abbandonare il convento; rientrare nella Società secolare...
Come? che dite mai? e i voti, la scomunica! Avete ragione: l‟istruzione pubblica non ha
ancora fatto il menomo progresso... La Legge però rispetta i vostri scrupoli... Dichiaro però,
in tutta purità del mio cuore, che s‟io vedrò in società una donna, un uomo vivere
onestamente... e sentirò dire «quello è un frate» e «quella è una monica», io non potrò
astenermi, malgrado i voti, l‟apostasia e la scomunica, di stimarli e rispettarli molto di piú,
che tante altre monache e tanti altri frati che hanno il velo o il cappuccio...”. Tace delle
spogliazioni e violenze che s‟usavano, anche contro vecchie monache, buttandole fuori dal
convento dove avevano passato una vita. Sempre la Gazzetta, l‟anno innanzi, s‟era
meravigliata dello stupore delle monache del monastero dello Spirito Santo nel sentirsi
chiamare Cittadine dai membri del governo che le dichiaravano libere nel mentre le
cacciavano dal loro convento prive di tutto. In G. MISCOSI, Op. cit, Genova 1974, pp. 385 e
381.
62
l‟Italia la loro vache à lait?109 –, mentre le belle navi immalinconivano nel
porto risognando i tempi in cui era tutto un attraccare ed un risalpare per i
piú lontani lidi. Peggiori ancora dei francesi i “giacobini” indigeni
raggruppati nei corpi volontari e nello squadrone volante dei patrioti, feccia
di gioventú, che il 22 maggio 1797, prima ancora che agli invasori facesse
piacere e comodo, avevano aperto loro le porte della città accogliendoli al
canto del Ça ira, ça ira, les aristocrates à la lanterne110.
La Repubblica di Genova, un povero vaso di coccio costretto a navigare
tra vasi di bronzo, era pur sempre la véritable clef de l‟Italie111. Fino a quei
giorni aveva cercato di tenere a bada i nemici di terra e di mare restando
neutrale e facendo assegnamento sulla “ancor notevole forza economica
della sua classe dirigente”112, una ricchezza agognata dalle varie forze in
campo, ma, non essendo ancora nessuna in grado di appropriarsene, tutte
cercavano d‟impedire che un altra vi riuscisse. C‟erano però i nemici interni:
la nobiltà caduta in miseria e la borghesia emergente che conferivano
consistenza e credibilità allo sparuto gruppo dei “giacobini genovesi”
manovrati dal ministro di Francia a Genova e dai Serra. Se neutralità ed
accortezza avevano assicurato alla città anni di relativa calma, la campagna
napoleonica dell‟anno 1796 era venuta a sconvolgere l‟equilibrio su cui
ancora si reggeva la Penisola. Superato il Colle di Cadibona e sbaragliati a
piú riprese gli austro-piemontesi, Napoleone puntò verso la Lombardia ed il
Veneto senza toccare Genova.
Per Genova furono mesi d‟agonia, pur conservando in cuore l‟illusione di
poter sopravvivere venendo a patti con il generale irresistibile che, da buon
politico, pareva volesse evitare di inimicarsi un popolo di mercanti
colpendoli nei loro interessi e, meno che meno, logorare le proprie forze in
109 Una mucca da latte. Cfr. V. VITALE, Un giornale della Repubblica Ligure: Il
redattore italiano e le sue vicende in Miscellanea storica, “Atti della Società Ligure di Storia
Patria”, vol. LXI, Genova 1933, p. 37.
ID., Onofrio Scassi, Op cit.:, p. 30.
110 G. SERRA, Memorie per la storia di Genova dagli ultimi anni del secolo XVIII alla
fine dell‟anno 1814, pubblicate a cura di P. NURRA in “Atti della Società Ligure di Storia
Patria”, vol. LVIII, Genova 1930, p. 64.
111 La vera chiave dell‟Italia, cfr. V. VITALE, Breviario della storia di Genova.
Lineamenti storici e orientamenti bibliografici, Genova, 1955, vol. I, p. 457.
112 C. PAGLIERI, Op. cit., p.19.
63
un lungo assedio di città ben fortificata. Ne aveva avuto già abbastanza in
quello di Mantova. Era la politica che a Napoleone imponeva attesa e
moderazione, e alla classe dirigente genovese il guardarsi da ogni passo
falso se voleva conservare intatto il suo potere economico, sia pure con delle
concessioni sulle forme. Un‟operazione gattopardesca, diremmo oggi. Ed
era appunto questo ciò che maggiormente temeva il partito giacobino,
composto, a giudizio di Gerolamo Serra, di uomini privi di seguito, di
ingegno, di credito e di pecunia113. Non restava perciò che giocare
d‟anticipo e si ebbero le giornate di maggio. Il Serra, testimone oculare, ci
riporta alcune particolarità di quei tristi giorni:
Al Ponte [reale] era il nerbo delle lor forze [dei patrioti], il loro quartier
generale; sulla piazzetta contigua alla darsena stava il già detto cannone... Un
giovanetto di piccola condizione fece l‟ardito disegno di corrervi sopra a ora
di pranzo, impadronendosene e smontarlo; ma fu prevenuto, e una palla
spaccogli il ventre. Accorse scapigliata la madre; io stesso la vidi spargere
torrenti di lacrime, io stesso udii i suoi gemiti inconsolabili: – O mio figlio,
mio figlio; o maledetta rivoluzione... – e copriva di baci il cadavere
insanguinato.
Nel rimanente del giorno non si fecero piú assalti, ma numerose pattuglie
per l‟una e l‟altra parte. Quelle de‟ rivoltosi miste di cisalpini e di qualche
francese giacobino, avevano per segno d‟ordine – libertà, eguaglianza, ovvero
Repubblica francese, – ma le pattuglie de‟ carbonari e facchini, cui si erano
aggiunti i venditori di commestibili e quasi tutti i bottegai, pigliarono per
segno d‟ordine quello di cinquant‟anni addietro: Viva Maria!114.
Giovambattista Frassinetti, il padre di Giuseppe, era anch‟egli un
bottegaio, ed è piú naturale pensarlo tra i “quasi tutti” che furono presenti,
che non tra i pochi che restarono a casa. Ma non valse che ad essi si unissero
anche i barcaroli. Non potevano non soccombere. Ma si trattò soltanto di
una tregua di soli tre mesi.
A settembre la sollevazione riesplose piú terribile. Se il ceto eminente
cercava di barcamenarsi per poi cavalcare la rivoluzione e salvare le
sostanze, quelli in basso, bottegai di Genova, carbonari della Val di Bisagno,
contadini d‟Albaro, di Val Polcevera e Fontanabuona, sostenuti dai parroci e
113 G. SERRA, Memorie..., p. 73; C. PAGLIERI, Op cit., p. 23.
114 Ivi, pp. 64.71.115-116. La rivolta di cinquant‟anni addietro è quella resa famosa
dall‟episodio di Balilla.
64
da tanta parte del patriziato, non temettero di sollevarsi ancora una volta al
grido di Viva Maria! Per tre giorni, dal quattro al sei, Genova tornò ad
essere loro e la paura mutò verso. Ancora una volta, a cinquant‟anni di
distanza, erano riusciti a cacciare gli invasori a furia di popolo ed al grido di
Viva Maria! La sollevazione fallí, ma il popolo ferito nei suoi sentimenti e
la nobiltà mercantile nel prestigio e negli interessi, fino a quei giorni
separati da un abisso, si scoprirono alleati contro la borghesia e tali
sarebbero rimasti fin nel secolo successivo. Erano spinti da motivi religiosi,
patrii ed economici alimentati ogni giorno piú dalle vessazioni degli invasori
e dalle ribalderie dei giacobini indigeni. Agli insulti e alla spietata
repressione degli insorti erano seguiti lo spogliamento dei conventi,
l‟imposizione di insopportabili balzelli e ruberie a non finire. Solo per
l‟approvvigionamento dell‟esercito d‟occupazione, 400 mila lire al mese;
per la spedizione in Egitto 60 bastimenti requisiti; i crediti che avevano in
tutt‟Europa – solo con la Francia 40 milioni – non piú esigibili, mentre loro,
i francesi, s‟erano ricordati d‟un antico credito di due milioni e ne
reclamavano il pagamento115.
L‟azione di repressione contro gli insorti fu terribile. Carceri piene di
contadini, nobili e clero. Non bastando, si riempirono le chiese. Tribunale
militare, vendette personali, fucilazioni alla batteria della Cava. Fra gli altri,
tre sacerdoti. Dall‟altra parte, il legionario delle truppe volontarie Giacomo
Mazzini, non ancora padre di Giuseppe, fu citato tra i bravi che s‟erano
distinti nella repressione116. Nel nostro dopoguerra l‟avremmo detto un
115 C. PAGLIERI, Op. cit., pp. 28.37.40.
116 Cfr. G. MISCOSI, Op. cit., pp. 368-371. Giacomo Mazzini ricoprí cariche importanti
sia nella Repubblica Democratica, sia nella Genova divenuta provincia dell‟impero
napoleonico. Ne aveva d‟avanzo per essere schedato tra i pessimi nel libro nero della
Restaurazione: Mazzini Giacomo. Medico di limitata reputazione. Appartiene ai
Rivoluzionari. Nella repubblica Democratica fu provveditore a Sestri Ponente. È per
l‟indipendenza. Non ostante una segnalazione cosí poco lusinghiera, non subí discriminazioni
e poté conservare la cattedra di medicina all‟Università di Genova, che tenne con onore, e fu
persino onorato da re Carlo Alberto con medaglia d‟oro a testimonianza di stima e di
riconoscenza per come s‟era prodigato durante il colera del 1835. Aveva studiato
all‟Università di Pavia, una roccaforte del giansenismo in Italia. Giansenista anche la moglie,
Maria Drago, che tanto influsso ebbe sul figlio Giuseppe, da lei affidato per i suoi studi a due
religiosi anch‟essi giansenisti. Cfr. V. VITALE, Informazioni di polizia sull‟ambiente Ligure
(1814-1815) in Miscellanea storica, “Atti della Società Ligure di Storia Patria”, vol. LXI,
Genova 1933, p. 452. Per maggiori notizie: V. VITALE, Onofrio Scassi, Op. cit., pp. 9, 29, 38,
65
collaborazionista, un quisling, e additato all‟obbrobrio; per i nostri storici
risorgimentali fu degno d‟encomio. Non mi sento d‟escludere che i bimbi
Frassinetti a tali racconti non sognassero d‟essere anche loro tra la folla,
sasso in mano, a gridare: Viva Maria! La sorella Paola ricordava il fratello
Giuseppe adolescente focosissimo.
Anche quando i tempi si potevano dire rasserenati, non erano rari i sogni
d‟incubo in cui si riviveva l‟inferno della primavera del 1800: gli inglesi sul
mare con i cannoni delle loro navi puntati contro la città, cannoni che a piú
riprese seminarono strage nell‟abitato; le truppe della coalizione
antifrancese intorno alle mura senza che riuscissero ad espugnarle; al loro
riparo, Massena e 15.000 francesi in città la facevano da padroni, incuranti
dei 120.000 genovesi che morivano di fame epidemia e bombe, a non
contare le frequenti fucilazioni da parte degli occupanti. Nel solo mese di
luglio, il piú nefasto, 2706 morti, in un anno 12.492, quelli potuti contare;
fino a cento al giorno nei periodi di maggiore moria. Uno su ogni nove dieci
abitanti! Si aggiungano i prezzi saliti alle stelle e le iene cui non pareva vero
di vivere una tale propizia stagione di arricchimento. A leggere il Botta
nasce il dubbio d‟aver sbagliato libro e che si stia leggendo in Tucidide la
peste d‟Atene:
Si mangiarono [i cibi] piú schifi e sozzi, non solo i cavalli ed i cani, ma
ancora i gatti, i sorci, i pipistrelli, i vermi, e beato chi ne avea... pensossi alle
erbe. I rómici, i lapazi, le malve, le bismalve, le cicorie selvatiche, i
raperonzoli diligentemente si ricercavano, e cupidamente, come piacevolezza
di gola, si mangiavano. Si vedevano lunghe file di genti, uomini d‟ogni
condizione, donne nobili e donne plebee, visitare ogni verde sito... per
cavarne quegli alimenti cui la natura ha solamente alle ruminanti bestie
destinati... furono viste donne e gentildonne nutrirsi di sozzi sorci... Fanciulli
abbandonati da parenti morti o da parenti disperati... razzolavano
quell‟innocenti creature bramosamente nei rivoletti delle contrade, nelle
fogne, negli sfoghi de‟ lavatoi, per vedere se qualche rimasuglio di bestia vi si
trovasse, e trovatone, se gli mangiavano117.
Girolamo Serra ci tramanda un‟altra particolarità di quei tristissimi
giorni:
62, 75, 101, 105-107, 110, 128, 139, 142, 147, 151, 177, 214, 225, 227s., 240, 262, 310, 326,
330.
117 C. BOTTA, Storia d‟Italia dal 1789 al 1814, vol. III, Torino 1852, p. 265.
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Un Conservatorio di velate zitelle, chiamate le Figlie del Rifugio, fa voto di
assistere all‟inferme negli Spedali. Ora infierendo le malattie ossidionali tanto
che, occupati per ogni banda i letti, moltissime giacevano sul pavimento
coperto di poca paglia, e il tempo era scarso a portarne via i cadaveri, le pie
assistenti cominciarono da principio a tremare per la propria salute; ma
ripreso tosto animo all‟esortazioni de‟ loro Direttori, che ne davan l‟esempio,
non vedevano l‟ora di esporsi alla contagione in guisa che ottanta sopra
dugento perirono nell‟esercizio del lor ministero118.
Un flagello immane, fame e peste, ma non per tutti. Se quei giorni furono
gravi anche al Foscolo, ufficiale napoleonico al servizio di Massena, lo
furono a causa della bella Luigia Pallavicini caduta da cavallo e sfiguratasi il
viso. Per lei la sua pena e le suppliche letterarie alle dee dell‟Ellade:
I balsami beati
Per te le Grazie apprestino,
Per te i lini odorati…
Or te piangan gli Amori,
Te fra le Dive liguri
Regina e Diva!....119.
Latona, Cinzia, Febo, Citerea... Altre in quei giorni le ansie del popolo
genovese. La storia del popolo è storia di lacrime. Massena, l‟eroe dell‟epica
difesa esaltata nei nostri testi scolastici, fu per la gente di Genova soltanto
l‟Ammassa-Zena, l‟ammazza-Genova. I Frassinetti erano gente del popolo,
ed il popolo era persuaso che quei mali si dovessero all‟empietà di quanti si
erano accaniti a travolgere la religione perdendo l‟ultimo senso di umanità.
Cosí, il tradizionale mugugno dei Genovesi assurgeva a visione religiosa
della storia. Come erano lontani i giorni della grande ubriacatura
democratica, di cortei ed inni, dei discorsi ripieni dei nomi di Bruto, di
Cassio, di Catone, di Scevola e degli Scipioni. I giorni del furore distruttivo
nel cancellare ogni segno che ricordasse le glorie dell‟antica Repubblica120.
118 G. SERRA, Op. cit., p. 115.
119 U. FOSCOLO, A Luigia Pallavicini caduta da cavallo.
120 La casa madre dell‟Opera dei Figli di Santa Maria Immacolata, l‟attuale Istituto
Piccardo, è il risultato di ampliamenti successivi d‟una delle tante ville che nei secoli passati
ricoprivano il colle di Carignano in Genova, all‟epoca fuori città. Sulla porta che dà nel
cortile, sopravvissuta a tutti i rifacimenti ed alle bombe della guerra, si nota uno stemma
gentilizio scalpellato dai giacobini. È fama che nella stessa villa si radunassero a congiurare
Mazzini e compagni.
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In cambio ovunque alberi della libertà. A celebrarli in versi s‟incaricò il
padre olivetano Luigi Serra:
Pianta felice
del dritto umano
riparatrice
nel suol di Giano!
e questo mentre frati, monaci e monache erano spogliati dei loro beni e
cacciati di convento. Neppure il seminario fu salvo, non ostante vi avessero
piantato l‟albero nel bel mezzo del cortile festeggiandolo con danze ed
un‟accademia: Il trionfo della Libertà. Rimarrà chiuso per quattro anni, ma,
per tornare ad essere un vero seminario, si dovrà aspettare il 1830 quando ne
prenderà la direzione il Cattaneo.
Ovunque circoli costituzionali, ognuno impegnato nell‟alta missione di
rieducare la plebe ottenebrata dalla superstizione. Il primo fu costituito nella
chiesa dissacrata dei santi Gerolamo e Francesco Saverio all‟Università. Il
Regolamento recitava tra l‟altro:
14. Si procurerà l‟intervento degli ecclesiastici, donne, fanciulli e d‟altre
persone bisognose d‟essere illuminate.
15. Saranno specialmente invitati con circolare l‟Arcivescovo e i Parroci a
intervenire e a condurvi i loro parrocchiani.
L‟arcivescovo ringraziò, ma era troppo vecchio per poter frequentare
quei corsi di rigenerazione, non cosí vari padri scolopi che nella bigoncia
del Circolo videro una cattedra piú prestigiosa di quelle delle aule dei loro
istituti. Si ha una descrizione non sospetta di quelle adunanze tumultuose in
questi versi dell‟ olivetano Luigi Serra pubblicati sulla Lanterna magica:
Quale m‟introna il timpano
intollerabil strepito:
Son tori che si scornano
o gente in società?...
Non mai tant‟odio
vomitò Clodio
dai rostri contro Tullio
quanto esala livor da queste bestie.
E gl‟imbroglion s‟imbrogliano,
i santi e Dio bestemmiano
e plauso lor si fa...
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In sordida gramaglia,
unta di lardo e zucchero.
per quarto un fra scolopio
presentasi costà.
È fra Assereto.
I ben degli ecclesiastici
rassegna al popolo.
Scribanis pseudo fisico
Massucco estemporaneo
membri del Calassanzio
parlano di libertà.
Ultimo sale il pulpito
il saltimbanco Cuneo
che naso bocca ed omeri
simmetricando va.
Basti per il momento di questi ecclesiastici, capitanati dal Degola, tutti
devoti di Giansenio, cui non pareva vero di servirsi della Rivoluzione per
sferrare un colpo mortale alla Chiesa di Roma, dovendo tornare
sull‟argomento quando tratteremo della persecuzione che la loro setta farà al
Frassinetti che ne combatteva la dottrina121. Nella sessione del 7 marzo
1799 la cittadina Paolina Bertolotto predicò dalla bigoncia le beatitudini
della nuova virtú e della nuova morale. Rieducare, rigenerare. Si istituí
persino la festa della Rigenerazione fissata per il 14 giugno122. Nel 1799 lo
scolopio Assarotti, fondatore dell‟Istituto dei Sordomuti, cui Genova ha
intitolato una della sue piú belle vie, scriveva:
La istruzione repubblicana deve farsi consistere nello instillare agli
studiosi giovanetti l‟amore della patria, la subordinazione alle leggi, il rispetto
alle autorità costituite, la cognizione e la pratica della cristiana virtú, l‟orrore
alla ingiustizia, alla violenza, all‟ozio, all‟egoismo ed ad ogni altra sorta di
vizii123.
121 Chi volesse saperne di piú, e fino a che punto i giansenisti furono l‟anima della
persecuzione religiosa, legga A. COLLETTI, La Chiesa durante la Repubblica Ligure, Genova
1950, p. 181, a cui qui mi rifaccio. Tratta dei Circoli costituzionali a pp. 24-27 con citazione
delle fonti.
122 Gazzetta di Genova del 15 giugno 1799.
123 MONACI, Storia dei Sordomuti, Genova 1901, p. 20; F. LUXARDO, Saggio di Storia
Eccl. Ligure, vol. I, Genova 1884, p. 103.
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Se non vi fosse sperduta nel mucchio la cognizione e la pratica della
cristiana virtú, lo diremmo il manifesto della morale laica. Un incipit vita
nova, buttando via quanto si pensava vecchio e superato. Non fu risparmiato
neppure il trono del doge in cattedrale in cornu evangelii. Veniva cosí
risolta la secolare guerra tra doge ed arcivescovo a chi dei due toccasse
avere il trono nella parte piú nobile del presbiterio. Un trionfo pieno per
l‟arcivescovo, se il suo trono, tornato al posto d‟onore e senza dirimpettaio
in cornu epistolæ, non fosse stato privato del baldacchino. Ma solo per
poco, perché, leggiamo nel Moroni, “[Il nuovo governo] dovette cedere alle
sode rimostranze dell‟arcivescovo cardinal Spina e permettergli il
baldacchino”124.
Bruciare ed abbattere. Eppure, quanta ridicola malcopia ed inconfessata
nostalgia dei vecchi riti religiosi in quelle loro carnevalate. Parodia delle
belle processioni le grandiose sfilate del 14 luglio del „98 e del „99. Un
ripercorrerne le strade: Piazza Nuova, Piazza S. Domenico, Strada Giulia,
Piazza Fontane Marose, Strada Nuova, scartando Via Balbi, un nome di
nobile e non ancora ribattezzata in Via del Popolo, Porta S. Tommaso,
Banchi,...– oggi diremmo: Piazza Matteotti, Piazza De Ferrari, Via XX
124 Ci viene da sorridere per questa guerra iniziata nel 1638 e che ricorda tanto quella
della Secchia rapita. L‟arcivescovo ragionava: Il doge non è né re né principe regnante, non
può quindi pretendere un tale onore per un misero incarico biennale, spesso non riuscito a
portare a termine. Il doge: Genova è padrona del regno di Corsica, perciò il doge deve
rivendicare a sé corona, scettro, manto reale e trono in cornu evangelii. Niente da fare. Se
voleva farsi incoronare, si facesse incoronare dall‟abate di Santa Caterina in Santa Caterina!
Fu l‟inizio d‟una guerra con alterne vicende, segnate dagli spostamenti dei due troni, fino a
ricorrere ad una rimozione notturna fatta fare dall‟arcivescovo Saporiti dai seminaristi ed dai
suoi servitori. Rimosso il trono e fattolo seppellire, pensò bene di porsi in salvo a Massa.
Tornò, ma in conu evangelii c‟era di nuovo il trono del doge. Non gli rimase che astenersi dal
celebrare pontificali, piuttosto che celebrarli da un trono in cornu epistolæ. Il suo successore,
il “cittadino arcivescovo” Lercari, uomo di pace, seppe ingoiare il sopruso. Cfr. G. MORONI,
Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, vol. XXVIII, Venezia 1844, pp. 321-323.
Però, a ripensarci, per quante questioni di poca o nessuna importanza anche oggi si combatte
come se da esse dipendesse la salvezza. Si pensi alle infinite pagine che sono state scritte per
sostenere che la particola consacrata va posta sulla mano e non sulla lingua, e viceversa,
dimenticando gli uni e gli altri di dire ai fedeli con che cuore ci si deve accostare all‟altare, e
che se il cuore è tutto di Dio, l‟uno o l‟altro modo nulla aggiunge e nulla toglie al dono di
grazia; né, se fossimo indegni, nessuno dei due modi ci salverebbe dal mangiare la nostra
condanna. Il Frassinetti non si perse in queste battaglie da Secchia rapita, mirando sempre
alla sostanza delle cose. Il Gianelli a Chiavari ebbe molto a patire per simili miserie.
70
Settembre,... Pammatone,... Via Garibaldi,... Porta Principe,... – per poi
raggiungere San Lorenzo per Piazza Giustiniani, ed ivi sciogliersi al canto
d‟un Te Deum intonato dal cittadino arcivescovo e sostenuto con fragore
dalle bande militari, dall‟organo e da spari d‟artiglierie:
Al versetto salvum fac populum tuum, Domine, si ripeterà lo sparo delle
artiglierie, si suoneranno tutte le campane, nel porto le navi alzeranno il gran
pavese. Quindi un energico discorso di un oratore ecclesiastico che in breve
mostrerà che i princípi della Libertà e dell‟Eguaglianza sono basati sul
Vangelo,
si leggeva nel decreto firmato da Carbonara, vice presidente, e da Lupi,
segretario, sostituitisi da se stessi ai prelati di curia nel dar ordini al clero.
Nella sfilata, aperta e chiusa da trecento soldati, erano passati cannoni,
artiglieri, carri allegorici e giovani in costume spartano. Il carro
dell‟Agricoltura era preceduto da sei vedove e sei zitelle, seguito da sei
vecchi e sei fanciulli, poi i rappresentanti delle arti, i professori
dell‟Università, ognuno con un ramoscello d‟olivo in mano o un‟asta con su
un berretto frigio, e bande, e tamburi, e trombettieri. Invitati anche quei
degni religiosi che vorranno concorrere a solennizzare il giorno. E di degni
religiosi inneggianti al nuovo ordine c‟era poi ricca rappresentanza. Bene in
mostra prete Cuneo e padre Laviosa125. L‟inno Sorridi amico Zefiro da
cantarsi nella sfilata era del ex padre olivetano Luigi Serra 126 che non poté
bearsi della gran giornata perché inchiodato a casa da un brutto mal d‟occhi.
Si consolò componendo il sonetto Occhi miei non vedete in ciel sorto con
una terzina di chiusa degna di passare alla storia:
Se il cittadin rinato in tal momento
Giunge de‟ Bruti ad emular l‟esempio:
Chiudetevi per sempre, io son contento.
125 Il padre somasco Bernardo Laviosa era nato a Palermo nel 1736 e morí a Genova il 4
aprile 1810.
126 Un ex frate focoso e violento che dirigeva e scriveva quasi tutto da solo il Flagello
dell‟impostura e della calunnia. Diceva di se stesso di essere uno che : “Benché recisamente
di genio francese non può dimenticarsi di essere italiano”, V. VITALE, Un giornale della
Repubblica Ligure, in Miscellanea storica, Genova 1933, p. 17. In Onofrio Scassi, Genova
1932, lo dice: focoso, p. 49, quella mala lingua, p. 84, autore mordacissimo di satire, p.87..
71
Nel „99, dopo il Te Deum in San Lorenzo, il patriottico discorso fu tenuto
dal cittadino Corvetto. Oltre tutto si era scoperto che fare il patriota rendeva
bene127, mentre a non stare alle ordinanze si rischiavano multe di 8.000
franchi.
CAPITOLO V
LE CITOYEN FRANÇAIS
JOSEPH FRASSINETTI
Con la stipulazione del Concordato tra la Santa Sede e la Francia e
l‟ascesa al trono di Napoleone, l‟uragano parve quietarsi e la vita riprendere,
anche se non era piú quella di prima, né poteva essere. Non vi fosse stato
altro, bastava l‟orgoglio ferito dei genovesi per la perduta indipendenza e
l‟inizio di una forte pressione di infranciosamento. Il quattro giugno del
1805, Gerolamo Durazzo, l‟ultimo dei dogi, s‟era dovuto recare a Milano
perché Talleyrand aveva voluto che presentasse a Napoleone, proprio in
quei giorni incoronato re d‟Italia, il voto nazionale del Corpo esecutivo della
Repubblica Ligure, arricchito delle firme dei cittadini genovesi che
contavano. Le firme erano state fatte raccogliere nelle parrocchie a delibera
già stesa e con la notificazione che le astensioni sarebbero state considerate
voti affermativi. La presenza del doge doveva servire à mettre dans une
grande évidence l‟assentiment de la magistrature et du peuple génois128.
L‟entusiasmo per un événement aussi heureux era soltanto nella retorica
ufficiale. La verità è rispecchiata dalle parole con cui il Saliceti, che aveva
teso le trame per la realizzazione dell‟annessione, ne riferiva al Talleyrand:
il y a beaucoup de résignation129, e da quelle del doge Durazzo: Gente mia,
come dobbiamo fare? Non restava che cedere alla forza. Cosí,
accompagnato dal cardinale arcivescovo Giuseppe Spina e da una
127 Quando prete Cuneo avanzò le sue brave pretese di ricompense per i servizi resi alla
patria, un tale gli mandò due sanguinacci perché si ripagasse di quello versato. Nel 1814 lo
troviamo bibliotecario a Napoli, allora sotto il Murat. Cfr. V. VITALE, Onofrio Scassi, Op. cit.,
p. 56, n. 3.
128 “A dare un grande risalto al consenso del governo e del popolo genovese”.
129 “C‟è tanta rassegnazione”.
72
rappresentanza del Senato, il 15 prairial, che poi era il 4 giugno, l‟ultimo
doge presentava le firme dei cittadini a chi stava per declassarlo a suo
prefetto. Le presentò con un bel discorso come l‟ora solenne richiedeva,
naturalmente in francese:
Portano i liguri legati ai piedi di Vostra Maestà Imperiale e Reale i voti
del senato e del popolo ligure. Prendendo il carico di rigenerar questo popolo,
voi vi addossate anche quello di farlo felice... Degnatevi, o Sire, udire
benignamente la voce d‟un popolo che nei tempi piú difficoltosi sempre si
mostrò affezionato alla Francia: unite all‟impero vostro questa Liguria...
Veuillez nous accorder le bonheur d‟être vos sujets. Votre Majesté n‟en
saurait avoir de plus dévoués, de plus fidèles130.
Napoleone accettò la supplica. Poteva mandare deluso il desiderio della
gente ligure cosí vogliosa di “riunirsi”131 alla Francia e di potersi sentire ed
essere francese? L‟immediato arrivo del ministro degli interni di Napoleone,
Champagny, stava a testimoniare la serietà con cui si voleva assolvere
l‟impegno di “rigenerare” quel popolo. Non erano passati due giorni che già
s‟era provveduto a riorganizzare alla francese il territorio dividendolo in
nuove circoscrizioni, chiedo venia: in nuovi arrondissements, declassando la
gloriosa Repubblica a départements dell‟Impero. A differenza di Torino, e
poi via via delle altre ex-capitali, la stretta striscia di territorio assegnata al
département di Genova, schiacciato tra quello di Montenotte con capitale
Savona e quello dell‟Appennino con capitale Chiavari, fu denominata dalla
città ed estesa oltre l‟Appennino fin dove il Po s‟ingrossa del Ticino. Il doge
si ritrovò prefetto, la Gazzetta Nazionale della Liguria divenne Gazzetta di
Genova. Il 22 prairial, l‟11 giugno per capirci, allo spuntar del sole, i
genovesi videro sventolare sui forti e sui pennoni delle navi in rada il
130 “Vogliate accordarci la felicità d‟essere vostri sudditi. Vostra maestà non ne potrebbe
avere di piú devotamente fedeli”. In C. BOTTA, Storia d‟Italia dal 1789 al 1814, tomo IV,
Torino 1852, pp. 17s. Nel rievocare questi fatti, oltre al BOTTA, ci rifacciamo, tra gli altri, a V.
VITALE, Onofrio Scassi, Genova 1932, e a G. MISCOSI, Genova antica e dintorni, Genova
1974.
131 Per l‟occasione era stata fatta coniare una medaglia con una donna con corona turrita
in capo accolta a braccia aperte da un Cesare coronato d‟alloro con la scritta: La Ligurie
réunie a la France MDCCCV. Mio il grassetto. Anche per la Toscana ed il Lazio, quando
verrà la loro volta, s‟userà la stessa espressione. Chi piú si rallegrò di questa réunion fu
l‟esiliato re di Sardegna, Vittorio Emanuele I. Il tempo lavorava per l‟ Inghilterra e, allo
sfascio dell‟impero napoleonico, Genova sarebbe stata piemontese.
73
tricolore di Francia. Per nove anni avrebbero dovuto mirare le vespe d‟oro
del vessillo di Napoleone e versare sangue alla sua ombra prima di rivedere
nel 1814, l‟anno delle speranze tradite, garrire al vento delle illusioni ancora
per qualche mese il loro bel drappo bianco con croce rossa. Il 3 messidor, 22
giugno 1805, alle sette del mattino nasceva Giuseppe Mazzini, cittadino
francese. Il 9 messidor, con decreto imperiale si scorporava da Genova la
Capraia per assegnarla alla Corsica, il poco che la repubblica era riuscita a
trattenere per sé nel cedere l‟isola alla Francia.
Una tale sgarberia, chiamiamola cosí, fresca d‟appena due giorni, non
raffreddò l‟entusiasmo dei genovesi quando giunsero in città i nuovi sovrani.
Alla porta della Lanterna il maire, Michelangelo Cambiaso, consegnò le
chiavi della città, “Spina, cardinal arcivescovo, sulla soglia della chiesa di
San Teodoro aspettandolo, col sacro turibolo lo incensava”132.
Il Corvetto, presidente del Consiglio Generale, dette il benvenuto in
francese, e poi tornò di nuovo a parlare senza risparmio d‟elogi: Vous êtes
plus grand que César! Non fu che l‟inizio delle manifestazioni di popolo. Ci
furono feste, luminarie, fuochi e ricevimenti da sogno, persino un gran ballo
in un tempio galleggiante in mezzo al mare con su un‟iscrizione del padre
Solari con cui si augurava l‟impero dei mari a chi già aveva l‟impero della
terra! Il 16 messidor, 5 luglio, solenne Te Deum in San Lorenzo – si noti
l‟importanza che questi miscredenti davano al Te Deum e continuò a darsi
anche durante tutto il nostro Risorgimento – e giuramento di fedeltà
dell‟arcivescovo, il cardinal Spina, del cardinal Caselli e degli altri vescovi
dei dipartimenti liguri:
Giuro e prometto a Dio sopra i santi Evangelii, di osservare obbedienza e
fedeltà al governo stabilito... Prometto di non avere alcuna pratica, di non
assistere ad alcun consiglio, di non fare accordo o lega alcuna, sia al di dentro
che al di fuori, che sia contraria alla tranquillità pubblica; e se nella mia
diocesi o altrove io venissi a sapere che si tramasse alcuna cosa in pregiudizio
dello stato, la farò nota al governo133.
132 C. BOTTA, Op. cit., p. 19.
133 Il giuramento è quello inserito nel Concordato. Mutata la repubblica in impero, fu
adattato al nuovo stato di cose. Cfr. M. HENRION, Storia universale della Chiesa, nella
traduzione di P. LAMPATO, vol. XII, Milano 1841, p. 370.
74
Lo stesso giorno larga distribuzione di nastri rossi con la stella della
Legion d‟onore: lo Spina e il Caselli furono tra i primi a vedersela appuntata
al petto dalle mani stesse dell‟imperatore. Buono anche l‟assegno annuo
fissato per il cardinale arcivescovo: 30.000 franchi, il doppio e il triplo di
quelli fissati per gli altri vescovi. Cinquantamila franchi, se vi si aggiungono
i ventimila annui della sorella dell‟imperatore, Paolina Bonaparte, che lo
aveva eletto a suo elemosiniere. Erano tanti, tantissimi, ma pochi per la
generosità del cardinal Spina, se, per poter dare a piene mani, arrivò ad
alienare anche parte del suo patrimonio134.
Troppe cose tutte insieme in quei giorni perché il cardinal Spina potesse
avvertire che s‟era impegnato con giuramento di essere il delatore dei suoi
fedeli. Anche a Genova, in ogni messa, all‟una cum famulo tuo Papa nostro
Pio et Antistite nostro Iosepho, si sarebbe aggiunto: et Imperatore nostro
Napoleone, e, nelle feste, a conclusione delle solenni ufficiature, il canto del
Domine, salvum fac Imperatorem nostrum Napoleonem.135 La menzione
durò finché durò l‟Impero, si direbbe non troppo ascoltata da Dio. Per il
momento “contento allo aver fatti servi e veduto comportarsi da servi i
Genovesi, se ne tornava Napoleone al suo imperial Parigi”.136
Scene pietose, vero? Sarebbe da pessimo storico voler giudicare le cose
di ieri basandosi sulle situazioni dell‟oggi. Quella era gente che aveva
veduto la religione travolta, dissacrate le cose piú sante, divine ed umane, e
andato perduto ogni senso di umanità, né il loro cuore s‟era ancora riavuto
dalla grande paura e dalle visioni di violenza e di sangue. Certo, il cardinal
Spina fu troppo ossequente con Napoleone: aveva esortato i marinai
genovesi ad arruolarsi, né gli aveva lesinato elogi. Era stato persino uno dei
134 Il cardinal Spina mi fa pensare ad Elisabetta II regina di Spagna. Molte e gravi le
critiche degli storici, ma ancora oggi è bene non azzardarsi ad esprimere un qualche appunto
sul suo conto avanti a suore spagnole tanto in loro è vivo il ricordo della sua carità.
135 La disposizione fu emanata il 18 giugno dell‟anno successivo: “Nel Canone della
Messa si metta il nome dell‟imperatore Napoleone: dopo le parole Pontifice Nostro Pio et
antistite nostro Josepho si deve dire et imperatore nostro Napoleone” (La settimana religiosa
di Genova, XXIV(1894), p. 602. A Milano, capitale del Regno d‟Italia, ci furono sacerdoti
che ne tralasciavano il nome. Il monsignor vicario intervenne. Non era bene che si potesse
equivocare per chi si alzava la prece, se per Napoleone o per il suo antecessore e rivale
Francesco II, l‟imperatore d‟Austria!
136 C. BOTTA, Op. cit. p. 22.
75
cardinali rossi137 presenti alla celebrazione del suo matrimonio religioso
con Maria Luigia, sacrilego per la Chiesa. Un atto di bigamia. Non
mancheranno di rinfacciarglielo. Ma le ripetute e solenni ritrattazioni da lui
fatte dopo la caduta del sovrano lasciarono sí viva impressione che, alla
distanza di centovent‟anni, quando io ero studente di ginnasio a Genova,
sentii ancora parlarne con ammirazione da anziani sacerdoti per il singolare
esempio di umiltà che seppe dare. Restò a lungo vivo il ricordo dell‟omelia
dal pulpito della cattedrale il giorno dell‟Immacolata in cui aveva dichiarato
essere egli trascorso sotto il passato governo francese oltre i giusti limiti
del proprio dovere in molti incontri, e segnatamente nell‟estensione d‟alcune
sue lettere pastorali, per aver in esse troppo efficacemente inculcato alla
patria gioventú d‟ubbidire a chi esigeva con inesorabile durezza tante odiose
e inique coscrizioni militari. Non aver potuto che piangere innanzi
all‟Altissimo sopra la strage desolatrice che si faceva del fiore de‟ cari suoi
figli, strage non solo de‟ corpi, ma quello che è piú delle anime, che sotto
l‟irreligioso sistema d‟allora andavano pressoché ad una manifesta
perdizione. Che vedeva l‟oggetto a quale miravano tante guerre
sanguinosissime e questo motivo l‟avrebbe dovuto ritrarre dall‟ aderire alle
quanto insidiose, altrettanto imperiose domande di chi allora, per
gl‟imperscrutabili giudizii di Dio, teneva sotto il giogo della piú dura servitú
il mondo intero; ma l‟amor suo pei diocesani gli rappresentava per una parte
l‟inutilità di sua opposizione, e per l‟altra gli dipingeva all‟agitata
immaginazione i tanti funestissimi mali che ne sarebbero piombati sui
genovesi. Se aveva dunque qualche volta trascorso in qualche tratto di
soverchia indulgenza, in verità poteva dire che non fu per alcun riguardo a
lui, ma piuttosto per forza di quell‟amore che lo legava al gregge, né dire tali
cose per mendicare da esso approvazioni. Essersi poi convinto che avrebbe
meglio provveduto all‟edificazione de‟ fedeli se, rimettendo alla divina
provvidenza le conseguenze, si fosse attenuto ad un costante sistema di
fortezza di cui in molti incontri ne avea sperimentati felici successi138.
137 Cosí chiamati in contrapposizione ai cardinali neri che si erano rifiutati di presenziare
alle sue nozze con Maria Luisa. Neri, perché, tra l‟altro, Napoleone aveva proibito d‟uscire
vestiti di rosso, soppressa la pensione e fatto sequestrare i beni. I tredici cardinali neri italiani
si videro per giunta confinati in piccole città della Francia.
138 G. MORONI, Op. cit., vol. LXVIII, Venezia 1854, pp. 283-284. – La ritrattazione dal
pergamo fece epoca. Trovo in un appunto di G. CAPURRO che in tale omelia, oltre al chiedere
perdono a Dio e agli uomini della troppa indulgenza usata col Gigante ultrapotente
soprattutto durante la prigionia del Papa, trattò pure dell‟infallibilità dottrinale del pontefice.
Nel Rapporto di polizia già citato si legge: “SPINA. Cardinale Arcivescovo di Genova.
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Non va poi dimenticato che proprio lui, il cardinale Spina, allora soltanto
vescovo titolare di Corinto, era rimasto a fianco del papa Pio VI prigioniero
in Francia riscotendone tanta fiducia da venir scelto come suo esecutore
testamentario. Fu lui ad amministrargli gli ultimi sacramenti, e sempre lui,
insieme con l‟allora padre Caselli, riuscí ad ottenere da Napoleone la salma
del Pontefice per riportarla a Roma. Nel riaccompagnarla fece sosta a
Genova dove gli furono celebrati solenni funerali. Ebbe pure parte precipua
nelle trattative per il Concordato.
Il cardinal Spina fu uno di quei che aveva avanti agli occhi il prima e il
dopo. Aveva vissuto la fine di tutto, e poi aveva rivisto ricelebrare le solenni
funzioni nelle chiese tornate affollate come ai bei tempi. Aveva persino
potuto riaprire il seminario. Ai suoi occhi, e non solo i suoi, Napoleone
appariva come il restauratore della religione e dell‟ordine. Rimanevano in
vigore, è vero, il matrimonio civile ed il divorzio, ma si poteva sperare che si
andasse verso il meglio, né si poteva pretendere tutto, e tutto in una volta.
Anche il Frassinetti, da studentello, non dovette guardarlo con occhi di
condanna se in una sua Selva Poetica trascrisse l‟Inno Trionfale –
Napoleone e la Pace. Per l‟anniversario del 15 Agosto [S. Napoleone]
1807, con in calce una nota di sua mano:
Questo componimento tradotto dal Francese, e scritto poco dopo il trattato
di Tilsit, presenta una rapida idea delle ultime battaglie ed indica lo scopo che
in esse sempre ebbe Napoleone, quello di dar la pace all‟Europa,
nota seguita da
accampamento139.
un
disegnino
a
penna
rappresentante
un
Al popolo tornava difficile mandar giú certe cose che gli toccava vedere,
come il solenne pontificale del cardinale arcivescovo il 15 agosto e la non
meno solenne processione in onore di san Napoleone in omaggio di chi
usurpava persino il giorno sacro a Maria Assunta. Cosí le ingiunzioni
Possede discreti talenti. È bastantemente conosciuto Napoleonista dai suoi sermoni. Dopo il
cambiamento politico fu obbligato dal Sommo Pontefice di ritrattarsi dal Pergamo di tutto ciò
che aveva detto in favore del cessato Governo. Indi fu condannato a celebrare la messa per
quaranta giorni consecutivi nelle catacombe di Roma. Subita la pena inflitta ritornò a Genova,
il primo del corrente Mese Agosto. Non ha per ciò cambiato sentimento. Appartiene
all‟Indipendenza”, pp. 450-451.
139 G. FRASSINETTI, Mans., vol. XXVII, Selva Poetica..., Napoleone e la Pace, pp. 88-91,
in AF. Mia la sottolineatura.
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dell‟imperatore ai vescovi come fossero suoi prefetti; l‟ingerirsi persino di
come si avessero a ridistribuire la candele; la chiusura di tanti oratori e
fissar lui a quali condizioni altri potessero restare aperti. Si aggiunga
l‟affermarsi dello spirito gallicano che pareva fare sempre piú presa sul
clero genovese. Il numero 15 della Gazzetta di Genova, in data 14 febbraio
1811, riportava una lettera del parroco di San Siro, R. Schellembrid, diretta
ai suoi preti:
Noi ecclesiastici, tutti sudditi siamo del Grande Imperatore Napoleone,
per conseguenza, come francesi, tutti professare dobbiamo la dottrina della
Chiesa Gallicana, che è la dottrina di Gesú Cristo, ed io parroco, se scorgessi
un solo sacerdote, che nella mia chiesa usasse una dottrina contraria alle
proposizioni della Chiesa Gallicana, ora per allora, neppure per un momento
permetterei che sedesse nei confessionarii della mia chiesa affidatami140.
Seguiva una postilla della Gazzetta di Genova: “Tali sono generalmente
i principii del clero di Genova”.
La perdita dell‟indipendenza bruciava, ma, a parte l‟orgoglio umiliato, i
genovesi capivano che non avevano altra scelta: meglio provincia francese
che essere trattati come terra di conquista. Anzi, non furono pochi quei che
in un primo momento videro avvicinarsi giorni di grande prosperità. Del
resto, nella realtà, Genova era da secoli indipendente quasi solo di nome e di
bandiera, benché Breznev fosse di là da venire con la sua teoria della
sovranità limitata. Avevano scoperto che all‟ombra, o della Spagna o della
Francia, si potevano realizzare affari d‟oro, e se ne realizzavano. Sapevano
che da soli non avrebbero potuto difendersi dalle scorrerie dei barbareschi,
né dalle pretese dei Savoia o degli Absburgo, che da sempre sognavano il
possesso d‟un porto nella Riviera, e che, anche potendolo fare, il costo della
difesa si sarebbe rimangiato le entrate del traffico. Una scelta antica, già
accettata prima di loro dai Fenici: far parte dell‟impero persiano significò
per essi avere l‟accesso ad un immenso mercato. Genova, divenuta francese,
acquisiva alle sue spalle uno spazio di mercato che si spingeva fin nel cuore
della Germania e i suoi banchieri avrebbero potuto investire con sicurezza i
loro capitali nella sconfinata Europa napoleonica; né c‟era piú da ingoiare
140 San Siro, la parrocchia del Mazzini. Vado debitore di questa notizie, come di altre del
genere riguardanti la Storia ecclesiastica di Genova, al padre Luigi Persoglio, gesuita, che con
la sigla P. L. P. curò per piú anni una rubrica di tal nome nell‟ultimo quarto del secolo scorso
su La settimana religiosa di Genova. Cfr. XXV(1895), n. 46, pp. 543s.
78
amaro, e far finta di nulla, di fronte alle prepotenze che l‟Inghilterra fino al
giorno innanzi aveva potuto impunemente infliggerle. Ancora una sconfitta
dell‟Austria, con la guerra che si avvertiva nell‟aria, e l‟ Inghilterra avrebbe
dovuto scendere a patti. Si sarebbero finalmente avuti decenni e decenni di
pace, e, con la pace, la prosperità. A tenere vive le speranze e le illusioni
pensava il prefetto Lebrun con i suoi bientôt, garantendo che presto
l‟Inghilterra avrebbe dovuto rinunciare alle sue ingiuste pretese ed allora
Genova avrebbe ritrovato il suo antico splendore divenendo ricca, opulenta e
brillante come mai era stata nel passato141. La stessa speranza alimentava la
Gazzetta di Genova con una quartina posta in testata:
Que nos stériles monts, théâtre de sa gloire
Que ce port trop désert attendent des bienfaits!
Et puisse l‟olivier de notre territoire
Devenir sur son front l‟olivier de la paix!142.
Eco di quelle speranze la nota dell‟adolescente Frassinetti su riportata,
legata, penso, ai giudizi sulla storia recente uditi dal suo parroco
napoleonista.
Quell‟autunno 1805 le speranze erano parse divenute certezza: 17 ottobre
Ulma, 2 dicembre Austerlitz. C‟era solo da aspettare il ritorno vittorioso
dalle acque dell‟Atlantico dei matelots genovesi ed il bel sogno di padre
Solari sarebbe divenuto realtà: all‟impero della terra s‟era aggiunto l‟impero
dei mari.
Quei matelots, cosí cari a Napoleone143, erano in gran numero genovesi
strappati dalla famiglia e trascinati in capo al mondo ad ammazzare e a farsi
14 V. VITALE, Onofrio Scassi, Op. cit. p. 199.
142 “Quanti benefici si aspettano i nostri aridi monti, teatro delle sue gloriose vittorie, e
questo nostro porto deserto! Possa l‟ulivo della nostra terra divenire ulivo di pace sulla sua
fronte!” V. VITALE, Op. cit. p. 171.
143 “Mes peuples de Gênes... fournissent aujourd‟hui un grand nombre de matelots à
mes escadres et lorsque mes amiraux m‟ont rendu compte du zèle et du bon esprit qui les
animaient, mon cœur a été vivement ému”, rivolgendosi il 10 marzo 1811 alla deputazione
del Collegio elettorale di Genova . Si può arguire il vero slancio con cui quei giovani si
arruolavano dal bisogno che il governo ebbe di ricorrere ai vescovi perché li spingessero a
farlo. Nella pastorale del vescovo di Noli si leggeva: “Un ordine pressante del governo mi
ingiunge...”. Cfr. V. VITALE, Op. cit., p. 194.
79
ammazzare. I giovani di Genova erano sempre andati lontano da casa, ma di
propria scelta, ma per i loro traffici, non per coscrizione obbligatoria, che
non avevano mai saputo cosa fosse, e con minaccia di corte marziale se
renitenti. Si sentiva gente nata per il commercio, non per la guerra. Mezzo
secolo innanzi avevano, sí, cacciato a furor di sassi gli austriaci, ma era stata
cosa genovese, una sollevazione spontanea, trasformata poi in epopea di
tutto un popolo nelle rievocazioni che se ne facevano, anche se nella realtà
s‟era trattato soltanto d‟una festa sassaiola che aveva fatto capire ai foresti
che Genova non sopportava tracotanze.
Dall‟Atlantico, invece dei matelots vittoriosi, venne la notizia della
giornata di Trafalgar. Quattro giorni dopo la giornata di Ulma la Francia
aveva perso flotta e speranze, Genova tanti dei suoi figli. Le scorrerie
sempre piú ardimentose degli inglesi fin sulle coste della Riviera creavano la
sensazione che si era all‟ inizio della fine. Questione di tempo.
Nell‟attesa della fine, per sopravvivere, dire SÍ e fare NO, e ci furono di
quei che non solo fecero NO, ma lo dissero pure, come i parroci che si
rifiutarono di consegnare al Maire i registri parrocchiali, incoraggiati, sia
detto a sua lode, dal napoleonista cardinal Spina. Le continue inadempienze
erano giustificate proprio da chi le avrebbe dovute impedire, il Maire
Agostino Pareto144. Un gioco cosí smaccatamente scoperto da trovarne la
migliore descrizione nelle relazioni del prefetto Bourdon al suo governo in
cui lamentava che tutte le riforme erano lettera morta: le scuole pubbliche
ignorate dai genitori, lo stato civile boicottato dai parroci, i defunti seppelliti
ancora nelle chiese invece che nei nuovi cimiteri fuori dell‟abitato... Una
resistenza passiva che rivelava come la città avvertiva la provvisorietà di
quel nuovo stato di cose e che, passata la bufera, tutto sarebbe tornato come
prima. C‟era solo da aspettare. E piú tempo passava, piú argomento si
aggiungeva ad argomento: il porto sempre piú deserto; i soldati che non
tornavano di Spagna; i racconti dei pochi che erano riusciti a fare ritorno di
come fossero indomabili quegli insorti nel nome di Maria; le continue leve
con diserzioni sempre piú massicce145; le numerose esecuzioni capitali146;
144 Una figura di primo piano nella Genova di quel primo decennio del secolo XIX. Cfr.
C. PAGLIERI, Agostino Pareto..., da cui, tra le altre fonti, si è piú volte attinto.
145 Accadeva di partire in mille e ritrovarsi neppure novecento ai centri di raduno per i
molti che si davano alla macchia pur conoscendo i rischi che correvano.
80
la pietà per il Papa tenuto prigioniero a tre passi da Genova con tutto quel
che si diceva gli facessero soffrire. Non si può sfidare impunemente Dio e le
scomuniche del suo Vicario. Non poteva durare.
Gli ultimi fatti Giuseppino non ebbe bisogno di sentirseli raccontare da
altri testimoni. Era già tanto grande da poterli vivere lui stesso. Alle notizie
di Spagna, ripetute a mezza voce, si aggiungevano quelle della Russia: “Il
freddo fa cadere i fucili di mano ai soldati..., pare che non torni nessuno...”.
Anch‟egli aveva sentito ripetere nei giorni dello strapotere la frase attribuita
a Napoleone: La scomunica non farà cadere i fucili dalla mano dei miei
soldati. Anche lui visse le speranze di quell‟aprile 1814: il generale Fresia
arreso a Lord Bentinck, la statua di Napoleone abbattuta a furor di popolo,
la Repubblica rinata secondo la Costituzione del 1576 e, finalmente, la
domenica primo maggio, la messa che tornava a concludersi con l‟Orate pro
Republica nostra. Ad intonarlo era il cardinal Spina che non riusciva a
contenere il suo giubilo:
Giunse pure una volta quel giorno tanto sospirato... nel quale voci di Pace
risuonano da ogni parte ed un nuovo ordine di cose ci preconizza il
risorgimento fra noi delle arti, del commercio e di tutte quelle sorgenti di
ricchezze che altre volte prospere resero e doviziose le nostre contrade... Sí,
figli dilettissimi, che grande è il Signore! Egli solo è il Re dei Regi ed arbitro
dell‟Universo. Egli fu che riuní i Potenti della terra147 a por fine ad una
guerra interminabile e desolatrice, e la sua onnipotente destra è quella che
guidò le armi vittoriose di Sua maestà Britannica, le quali, vinti i Nemici,
d‟altri trofei avidi non si mostrano se non di quelli de‟ nostri cuori,
annunziandoci Pace non solo, ma Libertà, Prosperità, Indipendenza... Il
generale Condottiero delle armi trionfatrici già stabilí per noi un Governo
Provvisorio dello Stato Genovese, ed egli stesso gli tracciò la via onde
sperare di poter ristabilire fra noi con basi piú solide e piú durevoli l‟antica ed
avita nostra libertà.
Le notizie si accavallavano: amnistia per gli imboscati, abolizione del
codice napoleonico e del matrimonio civile, riduzione delle imposte piú
odiose, riapertura del porto franco con l‟antico statuto del 1763... La
146 Un episodio che ci può rivelare cosa provasse la gente: il cardinale Spina fu costretto
a far lui da padrino di battesimo alla bimba del boia essendosi tutti rifiutati.
147 Allusione all‟ultima Coalizione antinapoleonica e alla “Battaglia delle Nazioni”
combattuta l‟anno innanzi a Lipsia.
81
Repubblica poteva accogliere trionfalmente il re Vittorio Emanuele I che
tornava dalla Sardegna a Torino e festeggiarlo per un‟intera settimana.
Nessuno poteva sospettare che il sette gennaio del nuovo anno Genova
sarebbe ridotta a provincia del Regno Sardo.
Un‟illusione di breve durata. Già quel proclama di Lord Bentinck che
avrebbe dovuto rassicurarli, con i suoi mille pare e mille sembra, sonava
falso. Era già tutto deciso. Le repubbliche non erano piú di moda. Invano il
Pareto gira l‟ Europa e scongiura di non fare dei genovesi gl‟iloti del
Piemonte e voler tener conto della antipatia insuperabile che avrebbe
impedito la fusione dei due stati. Se non si poteva far rivivere la repubblica,
né essere aggregati al Lombardo-Veneto, se ne facesse un principato legato
per parentela ad una grande potenza. Nulla da fare148. A febbraio Vittorio
Emanuele I tornava a Genova non per ricevere libero omaggio di cittadini
indipendenti, ma l‟ossequio di sudditanza dovuto a padrone. Ad accoglierlo
alla porta della cattedrale era il cardinal Spina.
Poi ci furono i Cento giorni. Il Papa si rifugiò a Genova dal 3 aprile al 18
maggio. Furono giorni di attesa e, nell‟attesa, ogni giorno un trionfo.
Alcune persone per baciare il piede a Pio VII si gettarono in mare,
occuparono il luogo vicino al tavolato aspettando il di lui passaggio,
immergendosi nell‟acqua fino alla gola; il Papa e gli altri ne restarono
inteneriti149.
Tutt‟altro che un fuggiasco impaurito di fronte al Murat invasore dei suoi
stati. Il Frassinetti, da vecchio, ne rievocherà il ricordo in un catechismo al
popolo:
Pio VII l‟ho veduto io stesso quando fu a Genova e fece i solenni
Pontificali nella vicina chiesa della SSma Annunziata, seduto su quella
medesima sedia, che ora sta in mezzo al nostro coro [di Santa Sabina], e certo
148 Cfr. C. PAGLIERI, Agostino Pareto..., Op. cit., capitoli: Potenze a congresso, Genova
all‟asta, Morire piemontesi, pp. 67-91.
149 G. MORONI, Op. cit., p. 329.
82
non è descrivibile la divozione che gli dimostrarono i genovesi. Io ero in età
di dieci anni e ricordo quanto fosse straordinaria e sorprendente..150
Si direbbe abbia scorto solo la figura del Papa. Non le luci mai viste
prima tante e cosí luminose, non i sedici cardinali ed i molti prelati che gli
facevano corona, non il re Vittorio Emanuele I, l‟ex-regina d‟Etruria con il
figlio, la duchessa di Modena, il principe Carlo Alberto, la principessa di
Galles... Solo il Papa!
Venne anche Waterloo, venne la Restaurazione e, a parte il disappunto di
vedersi ridotta a provincia dei Savoia, parve che per Genova i tristi giorni
fossero passati per sempre, soprattutto per la Chiesa. Il dopo, anzi, si
presentava molto migliore del prima: la Chiesa protetta dal trono con
principi che le erano ossequenti, guariti dalle varie forme di giuseppinismo,
ossia da quella mania d‟essere loro a dover fissare persino quante candele si
dovessero accendere all‟altare per le diverse funzioni, ed un clero che
pareva non piú infetto dalle tendenze gallicane, né piú voglioso di sottrarsi
dalla soggezione al Papa. Tutte cose seppellite. La rinata Compagnia di
Gesú lo stava a dimostrare.
Ma c‟era un male ben piú pernicioso e distruttivo, antecedente alla
Rivoluzione francese ed alle devastazioni napoleoniche, anzi, in gran parte,
loro causa: l‟ apostasia dalla cultura e dalla tradizione cristiana, soprattutto
cattolica. La cultura europea nella seconda metà del Settecento parlava
francese, il francese di Voltaire e degli enciclopedisti. Al dire di Manuel
Quintana, anche lui di quella stessa educazione, ma con cuore rimasto
spagnolo che ne fece il poeta della sollevazione antinapoleonica, un solo
poeta, José Iglesias de la Casa, era riuscito in tutta la Spagna a tenersi
immune dal contagio universale di parlare, scrivere, pensare in nessun altro
modo che non fosse il francese e ne dice il motivo: ne ignorava la lingua. Un
male senza rimedio perché chi no tiene lumbre en su casa, va por ella a la
del vecino. In altre parole, la luce che rischiarava l‟Europa veniva dalla
150 G. FRASSINETTI, Op. cit., p. 219. – Papa Pio VII, tornato a Roma, nell‟allocuzione del
15 luglio, “In niun modo però trapassar possiamo sotto silenzio i genovesi, presso dei quali
abbiamo dimorato piú a lungo, le cui esimie premure per la religione sono state per noi sí
veementi, che volentieri, e con tutta verità ripetiamo le parole di s. Bernardo, che loro
scriveva: in æternum non obliviscar tui, plebs devota, honorabilis gens, civitas illustris”. In
G. MORONI, Op. cit. pp. 331-332.
83
Francia: “Mangiavamo, vestivamo, ballavamo alla francese, tutto si
prendeva dalla Francia, tutto si imitava dalla Francia”151.
Se prima dei grandi sconvolgimenti tale cultura negatrice di quanto
sapeva di cattolico, o comunque si rifacesse a Roma, aveva interessato la
stretta cerchia dei letterati e dei pochi che si piccavano di filosofia, convinti
che ad essa si doveva l‟essersi liberati dalle tenebre del medioevo cattolico e
l‟essere entrati nel mondo dei lumi e della ragione, ora non c‟era persona,
che avesse aggiunto un qualche anno di studio alle elementari, che non se ne
facesse paladino.
Non si pensi che conoscessero quanto era stato scritto dai filosofi inglesi
e tedeschi, o la tesi sostenuta dal Sismondi nella Storia delle repubbliche
italiane. Erano paghi della pubblicistica francese, delle battute di Voltaire e
degli slogan che riassumevano le opere di Rousseau. Ne avevano davanzo
per credere con ferma fede che la fonte d‟ogni male, in Italia anche politico,
era la Chiesa di Roma, e nostra somma sventura non aver avuto un nostro
Lutero. A Waterloo tale avversario non aveva riportato un graffio.
Non so, se nei giorni che seguirono il crollo dell‟impero napoleonico, a
qualcuno tornò in mente la chiusa posta da Luca alle tentazioni del Signore:
“Il diavolo si allontanò da lui fino a tempo opportuno”152. Il diavolo aveva
solo perso una battaglia per errore di tattica avendo scelto l‟attacco frontale
e sacrilego. Non c‟era che da riprovare, ma per vie subdole che non
ingenerassero sospetto e spavento. Qui, in Italia, prima andava infuso un
senso di pace che addormentasse gli animi e li disarmasse, poi si sarebbe
trovato il modo di convincere il clero che per la Chiesa non v‟era missione
piú alta del porre la sua potente struttura a servizio del trionfo della civiltà,
del progresso e della causa nazionale, e cosí distrarla dal fine soprannaturale
per cui Cristo l‟aveva istituita. Ma senza negare nulla, bastando il silenzio a
porre tutto in dimenticanza. Trasferire l‟impegno religioso dei cattolici nel
politico per snaturare l‟essenza stessa della religione.
C‟era poi da ridare spirito e lena ai tanti di sicura fede anti-cristiana, ma
per il momento sbandati e abbattuti, nonché colti a volte, specie le notti di
151 Piú di sessant‟anni prima dell‟Inno a Satana del Carducci, aveva già celebrato il
nuovo dio in duplice redazione. M. J. QUINTANA, A la invención de la imprenta.
152 Lc 4,13.
84
cielo stellato, da un vago senso religioso. Grave errore era stato aver creduto
poterlo estirpare dal cuore dell‟uomo. Andava invece esaltato ed ordinato a
colmare il vuoto prodotto dall‟apostasia, convertendo gli animi alla religione
della Patria, dell‟ Umanità e del Progresso, con nessuna verità rivelata e
definita, nessun mistero, nessun precetto, nessun rito, nessun sacerdozio.
A svolgere la prima missione – s‟è già detto – si preparava un
seminarista torinese, Vincenzo Gioberti; alla seconda un adolescente
genovese, Giuseppe Mazzini, ma non in disaccordo. Avrebbero marciato
separati e colpito uniti153, come parve avverarsi negli anni 1848 e 1849.
Ma a Torino c‟erano anche don Lanteri, don Guala e don Cafasso
con i giovani del Convitto ecclesiastico; a Genova un professore di
“rettorica”, Antonio Maria Gianelli, ed “i ragazzi del Gianelli”, come
mi piace chiamarli. Uno il nostro Frassinetti154.
153 Falliti i moti di Genova e della Savoia, il Gioberti condannato all‟esilio, s‟era
staccato dal Mazzini. Il Mazzini scrive a Paolo Pallia, pensandolo a lui vicinissimo: “Perché il
Giob. non scrive egli qualche cosa pel popolo, che si diffonderebbe da noi? Perché non
indirizzar qualche scritto ai preti e avvalorar la crociata italiana anche fra loro?”. Un seme che
metterà spiga di lí ad un decennio, su cui dovremo trattenerci a lungo.
154 Con “i ragazzi del Gianelli” intendo indicare quel gruppo di alunni sui quali ebbe un
grande ascendente sant‟Antonio Maria Gianelli.
85
CAPITOLO VI
I RICOSTRUTTORI
Vade, igitur, et repara illam mihi... – Su, vai e rimettimi a nuovo la
Chiesa –, si sentí dire Francesco da Cristo in croce e, ad un tempo,
penetrarsi il cuore dal suo sguardo. Come aveva potuto non essersi accorto
che la chiesa di San Damiano, dove si recava cosí spesso a pregare, era lí per
crollargli addosso? In peggiore stato si presentava agli inizi dell‟Ottocento
la chiesa abbaziale di Saint Denis, cosí ricca di memorie di storia patria per
le tombe dei re di Francia, da re Dagoberto che la fece costruire nel lontano
626. Mi correggo: non Saint Denis, ma La Franciade, ché cosí la città era
stata rinominata in odio a tutto ciò che sapeva di sacro:
Saint-Denis è desolazione. Sosta di passo agli uccelli, erbacce tra rotti
marmi d‟altari, non i canti d‟un tempo, ma gocciolar d‟acqua piovana dalle
volte scoperchiate e caduta di pietre dai muri in rovina155,
155 F.-R. DE CHATEAUBRIAND, Le génie du christianisme, parte IV, libro II, cap. IX, fine.
L‟A. rimanda ad una nota di ben 27 pagine in corpo piccolo dove fa la cronistoria
particolareggiata dei giorni della dissacrazione e della spogliazione dei tesori dell‟abbazia. Fu
persino portato a Parigi alla Convenzione il piombo che ricopriva la volta. È raccontata
minutamente la violazione delle tombe dei re di Francia, da quella di Dagoberto e la sua sposa
Nantilde fino a quella dei figlioletti di Luigi XVI: Sofia Elena, morta di undici mesi ed il
fratellino Luigi Giuseppe Saverio, salutato erede della corona di Francia al suo nascere. Era
morto di anni sette, mesi sette, giorni tredici il 4 giugno di quel 1789, quaranta giorni prima
dell‟assalto alla Bastiglia, lasciando al fratellino il diritto alla corona ed una sorte piú triste
della sua. Anche i loro corpiccioli, come quelli di tutta la millenaria dinastia, furono buttati
86
lamentava Chateaubriand. E di Saint-Denis i giacobini avevano ripieno
l‟Europa. Centinaia e centinaia le chiese distrutte, bruciate o profanate per
farne bivacchi di soldati, depositi di materiali – la sorte toccata a Notre
Dame di Parigi! –, o addirittura stalle. Persino in epoca napoleonica, la bella
basilica romana di San Lorenzo in Damaso era stata ridotta a scuderia della
“Corte imperiale”. Una simile sorte era toccata alla chiesa di San Paolo
Vecchio in Genova tenuta dai Barnabiti, sita nella stessa stradetta dove di lí
a qualche anno sarebbe nato il nostro Servo di Dio.
Su, vai, Francesco, e rimettimi a nuovo la Chiesa. E Francesco andò. Ma
il Signore non aveva inteso la chiesetta dove egli pregava, bensí la Chiesa di
pietre vive. San Damiano non era che l‟immagine dell‟altra. Dio non si
scosta dalla sua pedagogia: preparare il cuore con un segno, figura della
realtà che intende attuare se trova in noi un briciolo di rispondenza.
Francesco non poteva in nessun modo supporre l‟esistenza del piano di Dio,
né quanto esso fosse grande, né che si sarebbe servito proprio di lui, di un
nessuno, per attuarlo. Neppure Maria, nella sua umiltà, poteva sospettare
d‟essere stata lei la prescelta a divenire la madre del Signore. È la storia dei
santi.
Ecco, faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia.
Non ve ne accorgete?156.
Ancora una volta Dio vuole servirsi di quei che sono nulla per ridurre al
nulla quei che credono di essere157, a confusione di chi credeva la sua
Chiesa fosse ridotta a mucchi di ruderi morti. Dio permette le distruzioni
nella calce viva d‟una fossa comune. Era il martedí 12 ottobre. Lo stesso giorno fu violata la
tomba di Enrico IV, il re che giusto due secoli prima, il 25 luglio 1593, in quella stessa
abbazia aveva abiurato il calvinismo ed ascoltato quella messa che l‟anno appresso gli
avrebbe aperto le porte di Parigi. Un corpo questo ben conservato, coi lineamenti
riconoscibili, finito anch‟esso nella calce della fossa comune. Il giorno dopo, a Parigi, la
madre di quei due bimbi, Maria Antonietta, saliva il palco della ghigliottina, mentre a SaintDenis si profanava il sepolcro di Luigi XV, finito anche lui nella calce della fossa comune.
Un accanimento bestiale, demoniaco, che neppure il fetore del liquame di tanti corpi in
putrefazione riuscí a fermare. Si accese polvere inzuppata d‟aceto, si spararono colpi di fucile,
nel vano tentativo di disappestare l‟aria, ma non si desisté finché non fu consumata la
macabra profanazione.
156 Is 43,19
157 1 Cor 1,28.
87
perché ha già pronto i piani di restauro, un lasciare ai nemici del nome di
Gesú Cristo il lavoro preliminare di sbancamento perché tutti, non escluso
l‟inferno, pieghino il ginocchio avanti a lui158 e lo servano. La giacobineria,
affannata a cancellare l‟ultimo segno della presenza cristiana, non si
accorgeva che il Signore si stava avvalendo del suo odio rabbioso per
ammodernare vecchie istituzioni resesi col tempo meno adatte alla
santificazione, ma a cui in tanti si sentivano legati piú che non fossero stati
alle loro tradizioni quei primi cristiani conosciuti col nome di
giudaizzanti159. Eppure quei giacobini, per la gran maggioranza, avevano
ricevuto una educazione cattolica e perciò avrebbero dovuto conoscere il
detto di san Paolo che tutto si risolve in bene per quei che temono il
Signore160, detto divenuto patrimonio del sentire cristiano. Ecco io faccio
158 Fil 2,10.
159 Negli anni Sessanta mi capitò di fare un viaggio in treno con un giovane americano.
Un treno locale che fermava a tutte le stazioncine. Ad ognuna il mio amico si affacciava e le
rimirava incantato: gli sembravano tutte cosí belle, tutte cosí fresche d‟intonaco ed aggraziate
da aiuole fiorite. Quelle degli Stati Uniti, a suo dire, erano invece vecchie brutte e mal ridotte.
Gli dissi, sorridendo, che erano cosí grazie appunto agli americani ed agli inglesi che avevano
ridotte le nostre vecchie stazioni a mucchi di macerie costringendoci a rifarle nuove e belle.
Io, per il raffronto, avevo avanti agli occhi, piú che le vecchie stazioni, Cassino e tutta la
regione all‟intorno come mi si erano presentate allo sguardo qualche mese dopo
l‟allontanamento del fronte. Non una casa intatta, non un albero con foglie verdi, ed era
luglio! Un‟impressione altrettanto desolata quella della cristianità agli inizi dell‟Ottocento.
160 Rm 8,28. L‟affermazione paolina venne cosí riespressa da sant‟Agostino: “Ed invero,
Dio onnipotente, per ammissione degli stessi infedeli – e qui cita VIRGILIO, Eneide X,100 –
essendo sommamente buono, in nessun modo permetterebbe la presenza d‟un qualche male
nelle sue opere, se non fosse di tale onnipotenza e di tale bontà da ritrarre il bene anche dal
male”, Enchiridion, 11. Con espressioni piú o meno uguali si ritrova nei teologi – san
Tommaso d‟Aquino dice che Dio sa ordinare il male ad un qualche bene di quello stesso che
lo ha commesso, a volte d‟altri, a volte di tutti “ come ordinò la colpa dei tiranni al bene dei
martiri”, Summa Theol. I-II, 79,4, ad primum – e nei catechismi, fino all‟ultimo, CCC 311313.324. È il pensiero dei santi: “Sta di buon animo, figlia mia, e non ti angustiare troppo per
quel che mi possa accadere quaggiú, perché non può accadere nulla che Dio non voglia, e
qualunque cosa Dio voglia, anche se a noi sembra male, è in realtà il meglio”, The English
Works of Sir Thomas More, London, 1557, p. 1454. Ignoro se il Manzoni fosse a conoscenza
di questa lettera del santo martire alla figlia Margherita quando scriveva: “[Dio] non turba
mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una piú certa e piú grande” (Promessi
sposi, cap. VIII, fine). Parole non dissimili in una lettera del Frassinetti nei mesi in cui fu
costretto a vivere nascosto. È un patrimonio comune della nostra fede.
88
tutto nuovo161. Il Signore permetteva che demolissero il vecchio avendo già
pronto il nuovo.
Agli occhi di non pochi, e tra questi l‟arcivescovo di Genova, Napoleone
era certo l‟uomo suscitato da Dio a porre riparo ai danni inferti alla sua
Chiesa. La presenza del papa alla sua incoronazione poté far credere che il
rivoluzionario di ieri si fosse convertito in buon cristiano e che trono ed
altare si fossero riappacificati ridivenendo l‟uno sostegno dell‟altro. In realtà
il ripristino delle cerimonie religiose era un puro atto politico. I fatti di
Vandea, le insurrezioni al grido di “Viva Maria” e la muta resistenza di tanta
parte del clero e del popolo avevano persuaso l‟uomo politico che non si
regna sicuri se manca il consenso dei sudditi, specie se si è privi di una
lunga ascendenza dinastica, e che i popoli erano ancora timorati di Dio ed
attaccati ai loro parroci. Perciò, invece che la stolta ed odiosa persecuzione
dei giacobini, conveniva concedere alla Chiesa quel po‟ di respiro che
bastasse a creare l‟impressione che lui era il nuovo Costantino inviato da
Dio a ridarle libertà e pace alla Chiesa. Papa Pio VII, pur di ottenere un
qualche respiro per i fedeli, aveva accettato l‟umiliazione.
Anche per Napoleone, come già per l‟ugonotto Enrico IV di Borbone,
Parigi valeva bene una messa. Ne aveva già dato un primo segno celebrando
la vittoria di Marengo con un solenne Te Deum nel Duomo di Milano. A Dio
il canto, a sé gli onori propri di un monarca: accoglienza all‟ingresso del
Duomo con tanto di baldacchino, incenso e trono in coro. A Genova l‟onore
del trono in coro ed il diritto al baldacchino avevano fatto parte di un lungo
contenzioso civile ecclesiastico: si potevano o non si potevano pretendere
dal doge onori riservati a principe regnante? Il vicario di Milano non si pose
tali domande per Napoleone.
Ma cosa avrebbero detto gli atei di Parigi? “Oggi – scriveva ai colleghi di
Consolato – dicano ciò che vogliono i nostri atei di Parigi, vado in gran
tenuta al Te Deum che si canta nella Metropolitana di Milano”. Era un fatto
politico, non religioso, che rientrava nel suo programma d‟asservimento del
clero alle proprie ambizioni. Bisognava essere padroni dei preti. Bisognava
tenerli con l‟interesse, bisognava che fossero pagati dallo Stato. In cambio
vedeva papa, vescovi e parroci divenuti tutti suoi obbedientissimi
funzionari, a cui mandare ordinanze come ai prefetti e, come dai prefetti,
161 Ap 21,5.
89
esigere obbedienza, pena la rimozione ed il confino. Ne lasciò candida
confessione:
Non disperavo – fu udito dire a Sant‟Elena, – di potere presto o tardi con
un mezzo o con l‟altro, arrivare ad avere la direzione del papa, ed allora di
quale influenza avrei potuto disporre, di quale leva della pubblica opinione
sopra il resto del mondo!
Se lo splendore del cerimoniale di corte avrebbe conferito prestigio alla
nuova dinastia, la venerazione religiosa dovuta all‟Oint du Seigneur,
all‟Unto del Signore, gli avrebbe assicurato la sottomissione dei sudditi per
il vincolo sacro che li obbligava ad obbedirgli sotto pena di peccato e di
dannazione eterna, nonché a pagar tasse ed ad affrontare la morte in
battaglia, come veniva insegnato in quel catechismo da lui fraudolentemente
rimanipolato su cui Giuseppe Frassinetti, cittadino francese, avrebbe dovuto
prepararsi per l‟ammissione ai sacramenti:
D. – Quali sono i doveri dei cristiani verso i principi che li
governano, e quali sono in particolare i nostri doveri verso
Napoleone primo, nostro imperatore?
R. – I cristiani devono ai principi che li governano, e noi in
particolare dobbiamo a Napoleone I, nostro imperatore,
l‟amore, il rispetto, l‟ubbidienza, la fedeltà, il servizio militare,
i tributi prescritti per la conservazione e la difesa dell‟impero e
del suo trono; gli dobbiamo inoltre ferventi preghiere per la sua
salvezza e per la prosperità spirituale e temporale dello Stato.
D. – Perché siamo tenuti a tutti questi doveri verso il nostro
imperatore?
R. – Anzitutto perché Dio, che crea gli imperi e li distribuisce
secondo la sua volontà, ricolmando il nostro imperatore di
doni, sia in pace, sia in guerra, l‟ha costituito nostro sovrano,
l‟ha reso ministro della sua potenza e sua immagine sulla terra.
Onorare e servire il nostro imperatore è dunque onorare e
servire Dio stesso. In secondo luogo, poiché nostro Signore
Gesú Cristo, con la sua dottrina come con i suoi esempi, ci ha
insegnato ciò che dobbiamo al nostro sovrano: egli è nato
ubbidendo all‟editto di Cesare Augusto; ha pagato l‟imposta
prescritta; e, mentre ha ordinato di rendere a Dio ciò che
appartiene a Dio, ha pure ordinato di rendere a Cesare ciò che
appartiene a Cesare.
D. – Non ci sono motivi particolari che ci debbono legare a
Napoleone primo, nostro imperatore?
90
R. – Sí: perché egli è colui che Dio ha suscitato nelle circostanze
difficili per ristabilire il culto pubblico della santa religione dei
nostri padri, e per esserne il protettore... egli è divenuto l‟Oint
du Seigneur, l‟Unto del Signore, per la consacrazione che ha
ricevuto dal sovrano pontefice, capo della chiesa universale.
D. – Che si deve pensare di quei che mancheranno al loro dovere
verso l‟imperatore?
R. – Secondo l‟apostolo san Paolo essi resisteranno all‟ordine
stabilito da Dio stesso, e si renderanno degni della dannazione
eterna162.
Un edificio costruito sulla sabbia. Non era Napoleone la persona su cui
Dio aveva posto gli occhi per ricostruire la sua Chiesa. Per altra via ed altri
modi andava preparando in quegli anni i suoi ricostruttori. Uno quel bimbo
genovese nato proprio nei giorni in cui il papa a Parigi si abbeverava di
umiliazioni. Ma, prima di parlare del nostro ricostruttore, perché non ci si
dimentichi che fu solo uno dei tanti nati in quel giro d‟anni su cui Dio pose
il suo sguardo, facciamo qualche altro nome a riprova di come il Signore usi
scegliere chi meno ci si aspetterebbe, dove vuole, quando vuole e come
vuole.
A due vandeani era nata una bimba nel nascondiglio dove erano riusciti a
scampare al massacro di cattolici perpetrato dai rivoluzionari. Passa la
rivoluzione, la bimba cresce e viene posta in collegio a Tours. Una monaca
sopravvissuta alla dispersione aveva riaperto in quella stessa città una casa
che offrisse un asilo alle ragazze che avevano già conosciuto il male e
volevano tirarsene fuori. La curiosità di sapere com‟era quell‟altro collegio,
e perché se ne parlasse sempre con tanto mistero, non dava riposo alla
fanciulla. Conoscerne lo scopo ed innamorarsi d‟un tale apostolato fu
tutt‟uno, né quietò finché non divenne anche lei una di quelle poche suore
dedicate alla redenzione delle giovani traviate. Ma non vi si sentiva a suo
agio. Si ripeteva per lei la parabola del vino nuovo posto in otri vecchi 163.
Quelle buone suore avevano fatto risorgere il monastero copia conforme del
vecchio, felici di fare un po‟ di bene al riparo delle sue mura. Tutto secondo
le norme ed i modi dei vecchi tempi. Lo sconquasso rivoluzionario era stato
162 Catéchisme à l‟usage de toutes les églises de l‟Empire Français, Paris 1806, pp. 58s.
Sono le domande e risposte della lezione settima sui doveri verso l‟autorità impostici dal
quarto comandamento.
163 Mt 9,17.
91
solo un brutto sogno. Ogni monastero che veniva riaperto tornava ad essere
in pratica una congregazione a sé stante, fedele alle antiche usanze e
gelosissimo della sua propria autonomia.
Quella fanciulla, nata nella bufera della persecuzione, aveva bisogno di
spazio. I suoi occhi guardavano lontano e sentiva il cuore prigioniero di
quelle mura. Non capiva quel doversi fare cosí perché da secoli s‟era sempre
fatto cosí. Il male aveva potuto dilagare, pensava, perché i nemici di Dio
avevano saputo unire le loro forze. Un giorno, per abbracciare il mondo
intero, sciamò dal vecchio convento e fondò opera nuova con nuovi criteri.
Alla sua morte i conventi da lei fondati erano 643 con 8.826 suore sparse in
ogni angolo della terra. La bimba vandeana, nata da genitori sopravvissuti
all‟eccidio, è sant‟Eufrasia Pelletier.
Un‟altra bimba, di qualche anno piú anziana, figlia di un bottaio, aveva
un fratello matto per lo studio e piú matto ancora nel pretendere di travasare
nella mente della cara sorellina, di undici anni piú piccola di lui, tutto quello
che egli andava studiando per divenire sacerdote pur continuando a vivere in
casa con i suoi. Arrestato per la sua fede, fu condotto alla Conciergerie, la
stessa prigione di dove sarebbe uscita la regina Maria Antonietta per andare
al patibolo. L‟appello giornaliero di quei che dovevano salire la carretta per
essere tradotti alla ghigliottina era diventato un rito. Ma il suo nome pareva
uno di quei numeri del lotto che mai si decidono ad uscire. A preparare la
lista era un prigioniero, anch‟egli in attesa del suo turno, che ogni giorno lo
rimandava alla lista del domani. Quando ormai il gioco non era piú
possibile, ci fu la caduta di Robespierre, e, con la sua fine, l‟apertura della
prigione. Tornato il maestro, per la fanciulla ricominciò la scuola. Scuola
sotto disciplina rigidissima che sapeva tanto di giansenismo164. Cosí, prima
dei vent‟anni, quando le ragazze sue compagne erano tutte beatamente
analfabete, per la stranezza d‟un fratello, Maddalena leggeva Omero in
greco e Virgilio in latino, nonché gli scrittori italiani e spagnoli nella loro
lingua, e sapeva persino di filosofia e di teologia.
A Dio serviva una grande educatrice e se la fece preparare dalla
stramberia di quel fratello. La fanciulla è santa Maddalena Sofia Barat, la
fondatrice della Società del Sacro Cuore di Gesú. Alla sua morte gli istituti
164 Si tratta di una deviazione religiosa che allontanava i fedeli dal Signore contro la
quale il Frassinetti combatté tutta la vita. Ne dovremo riparlare a lungo.
92
di educazione erano piú di cento e le suore piú di quattromila. Il nome Sacro
Cuore ci dice che di quel non so che di giansenismo, respirato in casa da
fanciulla, non era rimasta traccia. Tutt‟altro! Nel 1848 le Dame del Sacro
Cuore – questo il nome con cui erano conosciute – furono le piú prese di
mira, insieme ai gesuiti, da chi non sapeva perdonar loro la fedeltà alla
Chiesa ed il ripetere a tutti che Dio è amore e perdono. Sulle loro regole
santa Paola Frassinetti modellerà le sue. Di Paola e di altre sante donne, che
potremmo chiamare del gruppo Giuseppe Frassinetti, parleremo a suo luogo.
Un giovane montanaro, tardo d‟ingegno e disertore dell‟esercito
napoleonico, degno perciò di dannazione eterna, stando a quel tal
catechismo, fu un altro degli arruolati da Dio per l‟opera di ricostruzione. Il
Signore gli aveva preparato per la buon‟ora un disturbetto che gli facesse
perdere il contatto con il suo reparto in marcia alla volta della Spagna dove
avrebbe dovuto reprimere l‟insurrezione. Il sindaco del villaggio, invece di
denunciarlo, lo tenne nascosto. È la strana storia di san Giovanni Vianney,
noto con il nome di Santo Curato d‟Ars, che fu per la Francia ciò che al dire
di molti fu il Frassinetti per l‟Italia. In seminario aveva trovato un certo
Marcellino Champagnat, anche lui creduto poco adatto allo studio. Si
direbbe che il Signore provi gusto ad accaparrarsi la materia piú grezza e
grossolana. Ebbene Marcellino fonderà due congregazioni religiose: i
Fratelli Maristi e i Padri Maristi, che apriranno ogni dove centinaia e
centinaia di scuole-contravveleno alla scuola laica derivata da Napoleone, e
testimonieranno Cristo con larga profusione di sangue. Solo nella Spagna
degli anni Trenta ben 179 maristi furono uccisi per la fede! Il beato
Marcellino era nato da un mugnaio il 20 maggio 1789, due settimane dopo
l‟apertura degli Stati Generali, inizio della rivoluzione.
Ancora un nome, nostrano questo, di uno a cui tanto dovette il
Frassinetti, Antonio Maria Gianelli. Sospettato di essersi imboscato invece
che correre ad immortalarsi con Napoleone sui campi della gloria come
pretendeva quel tale catechismo, fu acciuffato e “con una fune al collo fu
condotto con altri disertori prima a Pontremoli, poi alla Spezia e infine alla
caserma di Carrodano”, scrive il Garofalo nella sua bella biografia165. La
fece franca. La grida del Maire, attaccata a tutti i cantoni, parlava chiaro:
165 S. GAROFALO, Sant‟Antonio Maria Gianelli, Cinisello Balsamo (MI) 1989, p. 33.
93
Empire Français... Il Signor Prefetto procederà irremissibilmente a
dichiarare refrattarj tutti li Coscritti, che non si saranno presentati, ed a farli
condannare dai Tribunali alla pena di cinque anni di detenzione nei depositi
militari, ed alla multa di mille e cinquecento franchi... I Padri e le Madri dei
condannati sono responsabili del pagamento della multa166.
Una cifra da sogno. Il Coscritto se la vide brutta ancora una seconda
volta, ma, per un ripetersi strano di circostanze, la fece di nuovo franca.
Pena ben piú gravosa della multa e dei cinque anni di detenzione nei
depositi militari non poter dire, sentendo rievocare le grandi battaglie: “Io
c‟ero!”.
In una lettera al Frassinetti don Revelli scriveva di lui: Uno le cui parole
erano saette. Una di quelle parole saette centrò il cuore dell‟alunno di
“rettorica” Giuseppe Frassinetti. Il professor Gianelli fu per lui ciò che per
Natanaele era stato l‟apostolo Filippo167, e non solo per lui, ma per lo
Sturla, il Cattaneo, il Magnasco, ed altri ed altri ancora, tutta gente amica
del Frassinetti che incontreremo nel corso di questo racconto. Mi fermo, ma
se ti capitassero fra mano le vite di san Vincenzo Pallotti, di san Gaspare del
Bufalo – questi due romani –, di san Giuseppe Cottolengo, di san Giovanni
Bosco, del cardinal Newman e di tanti altri ancora, guarda la data di nascita.
Proprio negli anni in cui tutto sembrava essere crollato, il Signore faceva
sorgere i suoi ricostruttori dove meno si sarebbe immaginato e, per vie e
modi diversi, li preparava al loro compito.
Una cosa ancora va notata: Gesú, venuto per la salvezza di tutti, parve
dare a soli dodici piú tempo che al resto dell‟umanità. È vero, purché si
aggiunga: in vista dei tutti. Li rese sale della terra, luce del mondo e lievito
dell‟universo pensando all‟ultimo uomo168. I nomi fin qui citati sono di
sacerdoti, moltiplicatori di sacerdoti, e di religiose che consacrarono la vita
per la salvezza dei fratelli.
Adombrato come meglio ho potuto il disegno di Dio nella sua grande
opera di ricostruzione, passo a narrare la storia d‟uno dei suoi operai, senza
166 È il manifesto bilingue, a sinistra il francese e a destra l‟italiano, firmato dal Maire
Agostino Pareto, con cui si diffidavano i renitenti alla leva del 1806.
167 Gv 1,45.
168 Mt 5,13s.; 13,33.
94
mai perdere di vista i suoi compagni di lavoro, sottolineando quel che
ciascuno diede all‟altro e dall‟altro ricevette. Incontreremo nomi noti, come
san Giovanni Bosco, santa Maria Domenica Mazzarello, santa Paola
Frassinetti, il Padre Santo,, sant‟Antonio Maria Gianelli, e nomi meno noti,
ma tutti degni di fargli corona in cielo, come don Luigi Sturla, il canonico
Giovan Battista Cattaneo, don Pestarino, due fratelli del Frassinetti: don
Giovanni e don Raffaele, il tipografo Pietro Olivari ed altri ed altri ancora,
parecchi dei quali, oltre i già nominati, saliti agli onori degli altari come
Rosa Gattorno, Eugenia Ravasco, l‟arcivescovo Tommaso Reggio o ne sono
sulla via come don Giacinto Bianchi… Una riprova che la storia della
Chiesa partecipa del mistero dell‟eucaristia che dei molti fa un corpo
solo169.
Forse al Lettore sarà parso esagerato lo spazio concesso a ricreare
un‟immagine dei tempi che il Servo di Dio trovò venendo al mondo ed in cui
visse la sua puerizia. Era necessario. Se Giuseppe Frassinetti non fu del
mondo, non lo fu a guisa d‟un monaco trappista che se ne apparta, ma di uno
che visse sempre nel mondo, senza neppure la pausa degli anni della
formazione nel chiuso di un seminario. Né il suo mondo fu un villaggetto
sperduto tra i campi come quello di Giovanni Bosco, ma Genova e nel suo
cuore. Si aggirò per le stesse strade e gli stessi carruggi per dove gli stessi
anni si aggirava il Mazzini.
Sugli anni dell‟infanzia e dell‟adolescenza ci fermeremo a lungo, fin
quasi a dare l‟impressione d‟eccedere la misura e non tener conto
dell‟economia del lavoro. Ben a ragione il Teologo consultore del quarto
“voto”, con cui esprimeva il suo giudizio favorevole sull‟eroicità delle virtú
del Servo di Dio, lamenta – è bene ripeterlo : “Dagli Atti della causa non
risulta quasi nulla su questi anni [dell‟adolescenza del Servo di Dio] che
sono, invece, a nostro parere, fondamentali per lo studio delle sue virtú
”170.
Sono gli anni delle grandi scelte che danno l‟indirizzo al resto della vita.
Le molte pagine vogliono essere un mio tentativo di colmare tale lacuna,
sperando di non essermi troppo illuso d‟aver gettato un po‟ di luce nel
silenzio di quegli umili appartamenti in affitto in cui il Frassinetti visse
169 1 Cor 10,17.
170 RV, p. 24.
95
un‟infanzia ed una giovinezza che ricordano gli anni del Signore nella
ancora piú umile e nascosta casetta di Nazaret.
CAPITOLO VII
LA FAMIGLIA FRASSINETTI
96
La famiglia di Giuseppe Frassinetti, si è visto, era originaria di Rivarolo
Ligure, una parrocchia della Val Polcevera a qualche miglio dalla cerchia di
mura della città di Genova. Francesco Giovan Battista, che d‟ora in poi
chiameremo anche noi con il suo secondo nome, il sabato 19 novembre del
1803 nella cattedrale metropolitana di San Lorenzo, parrocchia della sposa,
si era unito in matrimonio con Angela Viale, figlia di Paolo, un merciaio, e
di Angela Maria Caterina Cerisola171. Ventisette anni lui, sui diciotto la
sposa. La portò a vivere in casa dei suoi genitori che da qualche tempo non
abitavano piú nella parrocchia di San Donato, avendo traslocato in quella
delle Vigne in un appartamento al quarto piano di Casa Imperiale al n. 1298
di Vico dietro San Paolo Vecchio nei pressi di Campetto172. Angela trovò
nella nuova casa due sorelle del marito non ancora sposate: Francesca, ma
solo per qualche anno, e Annetta che visse nubile in casa del fratello fino al
171 Questo l‟atto matrimoniale che si legge nel Registro dei Matrimoni dell‟anno 1803,
foglio 107: “Die 19 dicti [mensis Novembris] Frassinetti Io[ann]es Bap[tis]ta Iosephi de
Parochia S. Mæ Vinearum, et Angela Maria Benedicta Viale Pauli de nostra, factis solitis
proclamationibus tribus diebus Festivis in utraque Parochiali, nempe diebus 30 Octobris pp
Prima et 6 currtis 9bris nulloque detecto ca[noni]co impedimento, servata in reliquis forma S.C.T.
per verba de presenti, Matrimonium contraxerunt coram Ptre Ferdinando Vassallo Ordnis
Eremit[itarum] B. M. V. de Monte Carmelo… præsentibus Revdo Frañco Flori q. Iosephi, et
Caietano Vassallo q. Iosephi testibus…”. Il padre della sposa, Paolo Viale di Angelo, di
professione merciaio, era nato a Marassi nel 1751. Il 9 febbraio 1777 aveva sposato Angela
Maria Caterina Cerisola di Giov. Battista della parrocchia di S. Siro, a lui sopravvissuta.
Paolo morí il 12 giugno 1812 nella parrocchia di S. Lorenzo e fu seppellito a S. Francesco
d‟Albaro. Il Capurro rinvenne negli archivi parrocchiali diverse famiglie “Viale” di buona
condizione sociale, ma senza poter affermare un rapporto di parentela con la madre del
Frassinetti. Giov. Battista Viale, fratello di Angela, lo vediamo censito in casa Frassinetti
negli anni 1824-1826. Poche le notizie degli altri parenti “Viale”. Ci sono pervenute quattro
lettere indirizzate al Priore dal cugino Antonio Giuseppe Viale residente a Lisbona: vi si fa
cenno di due sue sorelle, anch‟esse a Lisbona, una superiora di suore, e di un loro cugino
Giov. .Battista a Genova, padre d‟una ragazza di nome Giovannetta. Antonio Giuseppe
sembra di buona cultura, si propone di tradurre in portoghese un‟opera del cugino, gode
buona reputazione sociale, è informato di quanto avviene in Italia ed in Francia e gli parla
della situazione religiosa in Portogallo. Debbono essere gli stessi parenti per i quali nelle
lettere al padre Paola pone piú volte i saluti chiamandoli zio Viale, zia Manin, la cugina
Giovannetta. Zio Viale si alterna con zio Giobatta, zio Baciccin; Giovannetta con Giovannina.
Parenti quindi da parte di madre
172 Una traversa congiungente Campetto con vico Carlone “uno di quei vicoli nei quali i
raggi del sole vi penetrano, come suol dirsi, tre volte all‟anno”. La Settimana Religiosa,
Genova, XIV(1884), pp. 426s.
97
sabato 15 aprile del 1826, giorno in cui morí a soli quarant‟anni e fu
seppellita alla “Madonnetta” come già il padre. Annetta aveva tenuto a
battesimo santa Paola ed altri due nipotini morti nel primo anno di vita.
In quindici anni di matrimonio Angela dette alla luce undici figli. Sei
apparvero in terra giusto il tempo di ricevere il battesimo e qualcuno anche
d‟abbozzare un primo sorriso alla madre. Due di loro, Angelica e Camillo,
furono costretti a porli a balia in quel di Recco e lí seppellirli. Quei
morticini non avevano vagito in vano i loro pochi giorni di vita. Erano gli
angioletti della famiglia, a cui spesso andava il loro pensiero e spesso se ne
parlava. Nel suo cuore erano vivi al pari di quelli che le saltellavano attorno.
D‟ognuno la mamma aveva qualcosa da dire, d‟ognuno portava un segno
ed un ricordo nel suo corpo che formavano il suo calendario. Ogni fatto era
situato prima o dopo o durante l‟attesa di questo o quel figlio. Erano vivi e
presenti anche nella memoria dei fratelli sopravvissuti: la gioia del primo
vagito che annunciava l‟arrivo del fratellino o della sorellina – all‟epoca si
nasceva tutti in casa –; il battesimo prima che fossero trascorse le
ventiquattro ore per assicurare loro il paradiso, venendone cosí a
comprendere l‟importanza; l‟ansietà della mamma che non li vedeva
poppare come avrebbero dovuto, o perché non stavano bene, o perché il latte
era poco. Al loro ricordo restarono legati anche il primo incontro con il
mistero della morte ed i primi atti di fede: essendo stati battezzati, si
trovavano certamente in paradiso con gli angeli, e già vedevano Dio, la
Madonna e i santi. La loro morte, piú che timore, a quei piccoli ingenerava
un senso d‟invidia: erano in paradiso!
Dei cinque figli sopravvissuti, i quattro maschi diverranno tutti e quattro
santi sacerdoti, l‟unica bimba sarà la fondatrice delle suore di santa Dorotea
e conoscerà gli onori degli altari, santa Paola Frassinetti. Si direbbe che
mamma Angela insieme con il latte desse ai suoi figli anche vocazione
religiosa e tenero affetto per la Madre celeste, quasi presagisse doverli
presto lasciare a lei affidati per non dire di no agli altri figlioletti che la
reclamavano lassú con loro. Per questo, man mano che s‟avvicinavano ai sei
anni, li accompagnava sul colle di Carbonara al santuario della Madonnetta
per l‟atto d‟offerta del loro cuore a Maria secondo la bella usanza introdotta
il secolo innanzi da un monaco agostiniano, padre Giacinto. S‟è già visto
con che commozione il Servo di Dio rievocava a tanti anni di distanza la
cerimonia della sua consacrazione a Maria.
98
Da Paola sappiamo che mamma Angela ebbe anche un figlio di latte,
essendo andata incontro in carità cristiana ad una donna che ne aveva poco.
Anche quel bimbo diverrà sacerdote, come i suoi quattro maschi, e solo lui,
nota compiaciuta la Santa, d‟una decina di fratelli che erano173. Una nutrice
d‟anime consacrate e di angioletti di paradiso, mamma Angela. Tutte quelle
creature da tirare su spiegano la presenza in famiglia d‟una donna di servizio
per il disbrigo dei lavori pesanti, tanto piú che le tre donne, la nonna la
madre e la zia, avranno dovuto fare anche casa e bottega.
L‟ultimo nato se ne andò di cinque giorni a raggiungere quattro fratellini
in cielo, seguito di lí a due giorni dalla mamma. Era il 6 gennaio 1819.
Angela non aveva ancora 34 anni e lasciava il marito di 43 con sei bambini:
Giuseppe, il nostro venerabile, primogenito, di 14 anni, Francesco di 12,
Paola non ancora decenne, Giovanni di 6, Raffaele di 5 e Bartolomeo di
quattordici mesi, che l‟avrebbe raggiunta in cielo nel luglio di quello stesso
anno.
Il padre di questi bimbi non era ricco. Non possedette mai una casa
propria e dovette passare piú volte da casa in affitto a casa in affitto. Nel
1806 si spostò dalla casa nei pressi di Campetto in una casa della parrocchia
di Santo Stefano in rue de Perera (Cul de sac), al numero 930, come risulta
dai registri del censimento francese del 1808, ossia: Vico Perera, strada
cieca. Era situata a lato del seminario. Don Luigi Strata, curato della chiesa
di Santo Stefano, ce lo conferma e ci arricchisce le notizie dateci dal
Capurro:
Riguardo al luogo preciso dove nacque la serva di Dio Paola Frassinetti,
trovai che nell‟anno 1809 (e già prima) Essa abitava in Vico Perera (in latino
Pilaria)174… nomi derivati dalla professione di pelatori che una volta
esercitavano gli abitanti di quella via. La casa era di un unico piano al No.
930, ed è denominata Casa già di Piccardo. A questo Vico si accedeva da
Via Borgo Lanajuoli entrando prima in Salita S. Leonardo. Ora [1896] questo
Vico è scomparso per dar luogo alla nuova Via Fieschi. Tutto ciò risulta
173 Memorie intorno alla venerabile serva di Dio Paola Frassinetti ed all‟Istituto da lei
fondato, Roma 1908, p. 9. Le Due suore di Sa Dorotea figlie e contemporanee della ven.
Frassinetti autrici dell‟opera sono Teresa Sommariva e Marguerite Masyn.
174 Gli atti dello Stato civile erano redatti in francese, quelli della parrocchia in latino,
mentre la lingua d‟uso del popolo e del patriziato era il genovese.
99
chiaramente dal Libro dello Stato d‟anime di questa Parrocchia compilato nel
1809175.
La vecchia, casa era piú vicina a bottega, la nuova un po‟ piú distante, in
una via umile, di case ad un piano, di povera gente. Non fa quindi
meraviglia se la famiglia Frassinetti, che si permetteva di far studiare i figli
maschi, fosse ritenuta di condizione signorile176. Gente umile, ma devota
della Madre di Dio alla quale avevano innalzato a metà strada due edicole,
una a sinistra e l‟altra a destra, con le limosine... Date e raccolte dalla gente
pia della stradetta177. I Frassinetti l‟abitarono fino al 1815 ed in essa
nacquero Paola, Giovanni e Raffaele. Nel tardo autunno di quel 1815 si
trasferirono nella piccola parrocchia gentilizia di San Matteo per rimanervi
fino al 1823.
Proprio da quell‟anno ne era abate Anton Maria De Filippi di cui si è fatto
cenno nel capitolo secondo, quello che usava porre la mano sul capo del
fanciullo e predirne un santo avvenire. Di questa abitazione ignoriamo il
nome della via ed il numero civico178. Essendo la parrocchia gentilizia di
poca estensione, la casa doveva stare a ridosso della piazza san Domenico,
175 Lettera del Cto della parrocchia di S. Stefano, Luigi Strata, ad una Revda Signora che
gli aveva chiesto notizie di dove avevano abitato i Frassinetti. Archivio della Curia
generalizia delle Suore Dorotee, Roma.
176 Ivi.
177 P. LUIGI PERSOGLIO, SJ, in La Settimana Religiosa, XXXVIII(1908), Genova, p. 332,
nella rubrica Le vie di Genova: “VICO CHIUSO DI PERERA, in latino PELLERIA, cosí detta dai
venditori e conciatori di pelli. Fiancheggiava un lato del Seminario, perciò la forma attuale
[1908] deve averla presa nell‟erezione del secolo XVII. La popolazione di Pelleria era sotto la
parrocchia di Santo Stefano, solo nel 1890 passò a quella di S. Maria de‟ Servi. Ivi al n. 5, – il
n. 930 rinumerato col n. 5? – nel giorno 3 marzo 1809, nacque la Ven. serva di Dio Paola
Frassinetti. MADONNE: Misericordia. Statua di marmo a mezzo la via a destra a discendere.
Sotto è scritto: Maria Mater Dei. MDCLIIII. Madonna e Bambino. Statua in marmo della
Madonna col Bambino a sinistra a pochi passi. Questa statua è piuttosto grandetta. Sotto vi si
leggono questi versi scolpiti nel marmo: “L‟immagine che qui vedi di Maria / Di limosine si
fece a laude sua / Date e raccolte dalla gente Pia”. Vi era pure: “ARCHIVOLTO DI PERERA da
via Fieschi con due numeri di porte. Un brutto vicolo, che al pari dei vicini si prolungava a
Ponticello, e fu tagliato da Via Fieschi. Di notevole non ha che la luridezza”. Un quartiere di
povera gente che negli anni Trenta di questo secolo [1900] finirà d‟essere demolito per far
posto ai grattacieli di Piazza Dante.
178 In parrocchia si conservano i registri dei battezzati e dei defunti, non però quello
dello stato di famiglia dei parrocchiani.
100
oggi piazza De Ferrari, in una zona non toccata dalle successive
sistemazioni. Non cosí la piazza per la demolizione della chiesa di San
Domenico e la costruzione al suo posto, proprio in quegli anni, del teatro
Carlo Felice con grave scandalo dei Frassinetti. Di lí partiranno le nuove
strade verso est e verso nord, mentre gli altri due versanti furono risparmiati
del piccone.
Se si tiene conto dell‟età in cui all‟epoca si ammetteva alla prima
comunione, non avendo Giuseppe ancora compiuto gli undici anni, questa è
la parrocchia in cui deve averla ricevuta, cosí Paola e gli altri fratelli, con
qualche dubbio per il piú piccolo, Raffaele, che al ritorno nella parrocchia di
Santo Stefano era sui dieci anni. È anche la parrocchia dove dissero
l‟arrivederci in cielo alla mamma, alla nonna paterna, a due fratellini ed ad
una sorellina.
Nel 1824 li vediamo di nuovo nella parrocchia di santo Stefano, situati in
Rivotorbido al numero 80, l‟ultimo della strada, nei pressi di Ponticello dove
finiva Via Giulia, (divenuta con gli ampliamenti via XX Settembre), in un
appartamento al settimo piano sotto tetto non molto distante dalla vecchia
abitazione. Ce lo conferma lo Strata con un poscritto: “Nell‟anno 1830 si
trova che già abitavano al No. 80 piano ultimo, il settimo, del Brignole ai
quattro Canti di Portoria, e [poi] non si fa piú cenno di Francesco [Giov.
Battista] Frassinetti”179.
Il Servo di Dio, anche se nato nella parrocchia delle Vigne, dobbiamo
dirlo della parrocchia di Santo Stefano dove la famiglia si trasferí quando
egli aveva appena qualche anno e vi dimorò, salvo gli otto anni che stette in
quella di San Matteo, finché non andò parroco a Quinto. Parrocchia di Santo
Stefano o, se piú piace, Parrocchia del Sasso:
Cosí pare fosse chiamata dai popolani, specialmente del quartiere di
Portoria, gente bellicosa pronta alle armi e a venire alla mani, la Chiesa di
Santo Stefano, il qual santo è stato martirizzato a furia di sassate – ci informa
la Vassallo –. Alludendo dunque a tal sasso, la Madre nostra qualche volta in
ricreazione scherzando ci diceva che ci guardassimo ben bene da lei ed
atteggiando il viso a simulata fierezza: “Badate bene”, diceva, “che io sono
nata nella Parrocchia del Sasso”. E, vedete combinazione!, la sua casa era
posta non solo tra la Chiesa e l‟arco di S. Stefano col sasso in mano, ma
179 Lettera citata.
101
anche sulla via di Portoria180, in un punto della quale via era una lapide
ricordativa del sasso che nel 1746 ai 5 di dicembre il garzoncello Balilla
scagliò contro i nemici... 181.
Anche a pochi passi da questa nuova abitazione un‟immagine di Maria
ritratta insieme a san Giorgio in un grande affresco sulla facciata
dell‟oratorio di San Giorgin182. A questi ragazzi di Portoria per far
ginnastica non occorreva palestra, bastando i gradini di quei sette piani da
salire e scendere piú e piú volte al giorno.
Non si hanno notizie di altre abitazioni. Divenuto il Frassinetti parroco di
Santa Sabina, dopo un qualche tempo, il padre ed i fratelli sacerdoti
Giovanni e Raffaele andarono a stare con lui. La sorella da qualche anno
viveva con le sue suore, ed il fratello Francesco con i canonici
lateranensi183.
Tutt‟altro che ricco quel merciaio con bottega non molto distante dalle
successive abitazioni e ad un passo da San Lorenzo, il loro bel San Lorenzo
con la preziosa reliquia di san Giovanni Battista e i leoni di marmo a guardia
dell‟ingresso. Una botteguccia. Poca cosa. Commercio minuto. Una vita
180 Bastava attraversare Via Giulia da Vico Torbido all‟altezza del quadrivio e si era in
Portoria.
181 ELISA VASSALLO, Memorie intorno alla Vita della Serva di Dio Paola Frassinetti
Fondatrice Dell‟Istituto delle Suore di S. Dorotea, manoscritto di p. 411 steso a Roma nel
1894 – vivo ancora Giovanni, fratello della Santa. È conservato nell‟Archivio della Casa
generalizia delle Suore di S. Dorotea, Salita S. Onofrio al Gianicolo, 38, Roma. Il passo citato
si trova a pp. 115s. Madre Vassallo continua raccontando l‟insurrezione di tutto il popolo al
grido di Viva Maria.
182 La Settimana Religiosa, cit., XXXIX(1909), p. 464: “Via RIVOTORBIDO. Sestiere
Portoria. Parrocchia di S. Stefano. Dalla Piazza Ponticello a Via XX Settembre – all‟epoca
del Servo di Dio via Giulia che, allargata, divenne in seguito via XX Settembre –. Prende il
nome dalle acque che le passano sotto quando piove e perciò torbide. Queste acque
provengono da Via Assarotti, Palestro, Goito. Anticamente dovevano essere allo scoperto in
questa località attraversata dal ponte che diede il nome alla Piazza di Ponticello. In questi
ultimi anni [1909] fu allargata del doppio. Qui presso nell‟antica Via Giulia fino al 1862 era
un oratorio dedicato a S. Giorgio, detto S. Giorgin, sulla cui facciata era l‟immagine della
Madonna e del santo titolare in affresco grande”. Via anch‟essa oggi scomparsa.
183 Fu parroco di Coronata nell‟immediata periferia di Genova dal 1841 al 1885, anno
della sua morte.
102
dura, mai come allora con i mille balzelli di Napoleone, un porto morto ed
ogni anno la nascita d‟un figlio. Ma era una povertà cosí connaturata da
sembrare lo stato della prima beatitudine evangelica, il vero blasone della
famiglia Frassinetti184. Povertà, ma non miseria. Se non possedette una
casa sua, né fu in grado di costituire una dote per l‟ordinazione dei figli al
suddiaconato e a Paola per monacarsi, riuscí nondimeno a far studiare i
quattro maschi, sia pure con restrizioni e sacrifici. La povertà, la sofferenza
e le ripetute visite di sorella Morte furono le grandi maestre di vita per tutti e
cinque quei bimbi, con l‟aggiunta, per Paola, del dono della maternità,
perché le bambole delle bimbe d‟una famiglia povera e numerosa sono i
fratellini da accudire, soprattutto se la mamma viene a mancare cosí presto
come fu per Paola. E di amore ne dette senza misura a tutti e quattro,
soprattutto a Raffaellino, l‟ultimo dei sopravvissuti, cosí delicato, che
resterà per lei sempre Raffaellino, anche divenuto sacerdote e fatto vecchio.
Uno che da solo non sa districarsi.
Purtroppo della giovinezza del nostro Servo di Dio, cosí restio a parlare
scopertamente di sé e della famiglia, non si sa molto. Poche ed avare le
testimonianze che ci è dato leggere nei processi per la canonizzazione, rese
da persone che lo avevano conosciuto nella loro lontana giovinezza e da
altre che ne avevano sentito dire da chi ne tenne a lungo viva la memoria. Ci
soccorrono in parte le testimonianze raccolte nel processo per la
canonizzazione della sorella Paola, a cui di tanto in tanto piaceva riandare
agli anni della sua infanzia, non sempre però precisa nelle date. Fonte
preziosa sono anche le lettere che si conservano nell‟archivio delle sue
suore.
184 Cosa ben diversa la povertà di chi nacque e visse ricco fino al giorno in cui non ne
fece una scelta. Il ricco che si fa povero è sempre qualcuno: un san Luigi Gonzaga, da
principe fattosi accattone, nel bussare alle porte di Roma per chiedere elemosina, non poteva
non leggere negli occhi di chi gli dava il tozzo di pane: – E dire che è un principe! – Solo il
povero nato povero è un nessuno. Non per niente Gesú volle nascere povero poverissimo. Ciò
che il Frassinetti scriverà della famiglia di Rosina Pedemonte, poteva affermarlo della
famiglia di suo nonno, anch‟egli padre di famiglia numerosa e di professione cuoco in
Genova: “Una famiglia cosí numerosa non poteva vivere sul guadagno del padre di
professione cuoco, e sebbene le donne attendessero assiduamente a vari lavori, sentiva le
strettezze della povertà; tuttavia si conservava in condizione semi-civile”. G. FRASSINETTI, Il
modello della povera fanciulla Rosina Pedemonte, 1a ed. in Letture Cattoliche,
VIII(settembre 1860), fasc. VII, Torino, p. 10.
103
Del padre Giovan Battista sappiamo qualcosa da madre Elisa Vassallo,
una delle prime suore dorotee, eco di quanto aveva udito raccontare dalla
figlia Paola e, per via indiretta, da chi aveva avuto dimestichezza con la
famiglia del nostro Servo di Dio:
Giovan Battista Frassinetti, padre della Serva di Dio, per quanto ho
potuto concetturare dalle parole della benedetta figlia sua e Madre nostra, e
molto piú per quanto di lui scrisse l‟Emo Card. Placido M. Schiaffino (che
molto bene conosceva la famiglia Frassinetti avendo avuto nella sua
giovinezza a confessore e guida spirituale il R. D. Giuseppe– il nostro Servo
di Dio –), era uomo per indole austero e per vivo sentimento di religione
convinto che la presente vita non è convito né, molto meno, il paradiso, ma sí
una palestra nella quale colui raccoglie il premio che si addestra meglio a
vincere se stesso, e ad agire tenendo innanzi Iddio e la santa sua legge.
Conosceva la responsabilità grande che hanno i genitori di rendere a Dio, per
quanto è da loro, i propri figli ornati della santa sua grazia come da Lui li
hanno ricevuti nel S. Battesimo; ed i pericoli grandi che corre la loro
innocenza posta a contatto col mondo. Quindi ne derivava quella gelosissima
cura che pose nel custodire la sua Paolina e, proporzionatamente, anche gli
altri figli.
Per quante volte poi, e vivente ancora l‟amata consorte, e dopo la morte
della stessa, come piú volte l‟udii dalla Madre nostra, venisse in deliberazione
di fare istruire la sua figliuola conforme la propria condizione il richiedeva, o
mandandola a scuola sicura, o prendendole in casa persona fidata, che
l‟ammaestrasse, e si giungesse ancora piú volte ad averne fissato il giorno e
l‟ora, sempre però faceva nascere qualche contrattempo che mandava a monte
ogni cosa; e ciò solo perché, come chiaramente lo dava a conoscere, temeva
che qualche alito meno che puro venisse anche menomamente ad appannare il
bel candore della sua Paolina. Non è dunque a meravigliare se nella famiglia
Frassinetti di teatri e festini s‟ignorasse anche il nome185.
La Vassallo continua rifacendosi ad un manoscritto di don Raffaele,
l‟ultimo fratello della Serva di Dio. Si tratta di una lettera in risposta ad una
richiesta di notizie da parte di una Eccellenza Reverendissima che era stata
incaricata dalle suore dorotee di scrivere la vita della loro fondatrice.
L‟Eccellenza Reverendissima è il benedettino genovese Placido Maria
Schiaffino, sopra nominato, all‟epoca vescovo titolare di Nissa in
185 E. VASSALLO, Memorie..., pp. 81-83.
104
Cappadocia e di lí a due anni cardinale186. La testimonianza di don
Raffaele, in cui trapela come venivano educati i fratelli Frassinetti, è tale da
riportarsi per intero:
Eccellenza Reverendissima,
Godo e mi rallegro che abbia accettato l‟incarico di scrivere la vita della
mia cara Sorella; ma mi rincresce che le possa dare poche notizie della sua
infanzia. Paola Anna Maria di Giovanni Battista Frassinetti e Angela Viale
nacque il 3 Marzo 1809 alle ore sei di mattina e [fu] battezzata lo stesso
giorno nella Chiesa di S. Stefano. Da piccola fu sempre buona, ma non fu in
lei nulla di straordinario. Era ubbidiente non solo al padre e alla madre, ma
anche ai fratelli; umile, faceva con gusto gli uffici piú bassi di casa, ajutando
la inserviente. Non fu mai mandata a scuola, né a maestra; il padre e qualche
poco i fratelli le insegnarono a leggere e a scrivere. Il padre non la conduceva
mai ai divertimenti del mondo, ai teatri, perché di questi era nemicissimo, e
mi ricordo che quando fu fabbricato il teatro Carlo Felice, volendo un suo
amico condurlo a vederlo di giorno, disse: Non sarà mai che io ponga il piede
in un teatro, dove prima era una Chiesa, cioè S. Domenico. Era essa pure
aliena da ogni divertimento del mondo. Amava il ritiro, non ebbe compagne.
Usciva di casa generalmente alla Festa alla mattina per tempo, e si recava in
S. Stefano alla Spiegazione [e] ai SS. Sacramenti; nei giorni feriali alla
Messa, alla Comunione e alla sera alle novene. Nelle Domeniche insieme ai
fratelli la conduceva il Padre al Catechismo e dopo al passeggio nelle strade
meno frequentate, e alla state sui terrapieni del Bisagno, e alle ore
ventiquattro187 sempre in casa. Non fu amante del lusso, ma volle sempre
vestimenti umili, e di poco costo.
Cresciuta negli anni diceva spesso che voleva farsi Monaca, ne aveva un
desiderio ardente e pregava il Padre che assecondasse questa sua viva brama.
Era amante delle mortificazioni, non cercava mai i cibi delicati, digiunava al
Sabato in onore di Maria SS. e la Vigilia della Concessione (sic) faceva il
digiuno in pane ed acqua, essendo ascritta a S. Maria del Fulmine, obbligo
che avevano gli ascritti di tal digiuno in una delle principali feste di Maria. Io
186 Lo Schiaffino, creato cardinale di lí a due anni, morí il 23 settembre 1889 senza aver
portato a termine il lavoro. L‟incarico fu passato ad Augusto Guidi, arcivescovo titolare di
Nicea, anch‟egli morto senz‟averlo assolto, ed infine ad Alfonso Capecelatro, arcivescovo di
Capua e futuro cardinale, autore di un‟ampia biografia: A. CAPECELATRO, Vita della Serva di
Dio Paola Frassinetti, Roma-Tournay 1900, pp. 540.
187 Ossia un‟ora dopo il tramonto del sole, chiamata ventiquattrora, secondo l‟antico uso
di contare le ore da sera a sera, o anche ora di notte, ora in cui si sonavano l‟ultima volta le
campane e si diceva l‟Angelus.
105
non so che aggiungere di piú. Mio Fratello Rdo Giovanni sta bene,... Genova 9
Febbraio 1883188.
A proposito della profanazione del luogo sacro per avervi eretto il teatro
Carlo Felice, la Vassallo aggiunge:
Piú volte la Madre nostra raccontava di aver udito il padre lamentare, in
un coi buoni Genovesi, e riguardare come un triste presagio pel nuovo
governo, succeduto da poco a quello della repubblica, il cambiare in un teatro
un tempio sacro al Signore. E “comincia male.... dicevano: Carlo Felice
comincia male”. Si sbagliavano essi? Ai posteri l‟ardua sentenza!189
Chissà cosa avrebbero detto se fossero vissuti ancora fino ai
bombardamenti dell‟ultima guerra che ridussero in macerie l‟edificio...
sacrilego! Per Giovanni Battista Frassinetti era ancora vivo lo scandalo della
profanazione della Chiesa di San Paolo Vecchio, la chiesa con l‟ingresso
nello stesso vicolo dov‟egli abitava all‟epoca delle dissacrazioni operate
dalla Repubblica Ligure.
La morte della mamma e la supplenza che ne fecero la zia e la sorella
sono i ricordi d‟infanzia rimasti piú vivi nel cuore di quei ragazzi. Ne
troviamo testimonianza in alcune loro lettere alle suore dorotee che nei
giorni della scomparsa della fondatrice si erano rivolte ai tre fratelli ancora
in vita per avere notizie sulla fanciullezza della loro sorella.
Per quanto spinga lontano lontano la memoria – scriveva Giovanni – non
ricordo altro che, rimasti noi senza madre (io potea avere poco piú di sei
anni) la Sorella supplí assai bene alla mancanza e continuò fino a che non ci
lasciò. Alla mattina per tempo, o colla domestica o con taluno di noi in chiesa
a far le sue divozioni, anche nei giorni feriali, e poi tutto il giorno in casa a
sacrificarsi pei fratelli e pel Padre, in specie dopo la morte di una che nei
primi anni ci fece da madre – la zia Anna, sorella del padre –. La Sorella era
ragazza di anni, ma di giudizio maturo. La madre stessa non avrebbe potuto
fare di piú. Quanto conforto non fu pel Padre! Ripeto, si sacrificò tutta per
esso e per noi, meno la mezza ora circa che spendeva in chiesa la mattina... Il
Padre avea un po‟ di ragione di opporsi perché lasciasse affatto la casa. Ne
risentí esso assaissimo e noi altresí, perché una domestica mercenaria non ha
188 ACGSD, Roma. La lettera è conforme all‟originale, salvo alcuni ritocchi alla
punteggiatura.
189 E. VASSALLO, Memorie..., pp. 83s.
106
l‟affetto di una sorella. Povero nostro Padre! i suoi incomodi, la sordità in
specie, troppo gli resero dolorosa la perdita della Figlia. Le Suore gli siano
grate del gran sacrificio che ha fatto per esse. E quanto piú doloroso negli
ultimi anni della sua vecchiaia. È un debito di giustizia che pago alla buona
memoria di mio Padre, che Dio l‟abbia in gloria. Dica alla Revda Madre
Vicaria che [né] io né i miei fratelli – Francesco e Raffaele, Giuseppe era già
morto – ricordiamo altro di particolare 190.
Francesco, canonico lateranense e parroco di Coronata nell‟immediato
suburbio della città, non sa rievocare fatti particolari, ma ha vivo il ricordo
dell‟affetto che in quei lontani anni l‟aveva legato alla sorella di appena un
paio d‟anni piú giovane di lui:
Quando è morta la buona Mamà – era cosí che chiamavano la madre? –
avevo dodici anni e la sorella ne avrà avuto nove o dieci, ed è stata custodita
da una buona zia paterna... era buona in tutto il rigore del termine, e forse fra
tutti e quattro i fratelli mi prediligeva perché il primo [Giuseppe] dedito ai
studii era piú ritirato, e questa predilezione me l‟ha sempre mantenuta...191.
Una famiglia unitissima, e tale si mantenne finché i suoi membri furono
in vita.
190 Lettera di don Giovanni Frassinetti alla madre (Elisa Vassallo ?) in data 20 giugno
1882. ACGSD
191 Lettera di don Francesco Frassinetti alle dorotee in data 28 agosto 1882. ACGSD.
107
Appendice al capitolo VII
LA ZIA ANNETTA
Tu has donné jeunesse, liberté, avenir;
tu n‟es plus toi-même,
tu es celle qui n‟est plus, l‟épouse défunte, la
mère ensevelie;
tu es une vierge veuve, une religieuse sans voile,
une épouse sans droits, une mère sans nom.
Tu sacrifies tes jours e tes veilles à des enfants,
qui ne t‟appellent pas leur mère,
e tu has versé des larmes de mère
sur des tombeaux qui n‟étaient pas ceux de tes
enfants.
L. Veuillot192
La zia Annetta mi fa tanto pensare alla sorella pianta dal Veuillot, una di
quelle sante donne che sacrificano una vita per la famiglia, per figli non
suoi, nel silenzio, nulla mai chiedendo per sé, nulla aspettandosi, né nulla
192
L. VEUILLOT, Lettres.
108
tenendosi, neppure un letto tutto suo per dormire in pace la notte. Senza
nominarla, penso che il Frassinetti quando scriveva avesse presente la zia
Annetta:
Quasi da nessuno si bada al bene che fanno, all‟edificazione che danno,
queste pie fanciulle…, che vivono nel mondo nauseate e nemiche del
mondo... E poiché l‟amor di Dio, quando è vivo, è pure ardente di zelo,
queste povere fanciulle si prendono piú che materna cura delle piccole, o
parenti, o vicine… esercitano l‟ubbidienza tante volte con maggior sacrificio
che le religiose… Esercitano la povertà, soffrendone pazientemente gli effetti,
maggiori che non li soffrano le religiose… Conservano infine la castità, e la
conservano eminentemente pura in mezzo ai pericoli… Per il che dobbiamo
benedire la divina provvidenza che tutto ordina alla sua maggior gloria 193.
Mi piace pensare il santo non come un bel fiore in un vaso, ma fiore in
una aiuola che fa famiglia con altri fiori, nel caso Giusepe e Paola nella
famiglia Frassinetti. Non Paola da sola, né da solo Giuseppe, come
purtroppo il biografo, abbacinato dallo splendore del biografato, è spesso
portato a narrarlo. Quanto più belli il Figogna, Punta Martin ed il Fasce
nella corona appenninica, invece che giganti solitari in sconfinata pianura.
Non per niente Giovan Battista Frassinetti ed Angela Viale, lui merciaio lei
figlia di merciaio, il sabato 19 novembre del 1803, circondati da parenti ed
amici, si erano recati nella cattedrale metropolitana di San Lorenzo,
parrocchia della sposa, e nei cui pressi avevano il negozio, a far benedire le
proprie nozze perché fossero sante e feconde. E lo furono. Undici i figli.
Paola santa canonizzata, Giuseppe sulla via di esserlo, sei altri canonizzati
ex officio, perché volati al cielo prima che sapessero distinguere la destra
dalla sinistra, essendo di essi il regno dei cieli, parola del Signore. E
Francesco, Giovanni e Raffaele, tutti tre sacerdoti? Ed il papà e la mamma?
E la zia Annetta mai uscita di famiglia? rimasti tutti senz‟aureola? Oh, no!
Fanno parte della grande riserva per il giorno del trionfo finale del Cristo.
Quanti, il giorno della grande parata, rimarranno a bocca aperta nel
vedere gente che non hanno lasciato nessuna notizia di sé, posti in prima
fila, proprio ad un passo dal trono dell‟Altissimo. La suora portinaia innanzi
alla Fondatrice con tanto di diploma papale di santa canonizzata. Prova ad
mmaginare, Lettore, che una certa suor Teresa Martin non fosse stata
pregata dalla sorella superiora di raccontare la sua fanciullezza passata in
famiglia, né avesse scritto una lunga lettera ad una sua cugina suora nello
193
G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto.
109
stesso convento ed una relazione alla nuova superiora succeduta alla sorella.
Tre quadernetti. E che la sorella, di nuovo superiora, non li avesse dati alle
stampe con il titolo “Storia di un‟anima” ad edificazione degli altri
monasteri carmelitani. Chi mai avrebbe saputo nulla di Santa Teresa del
Bambino Gesù? Ma non sarebbe stata meno santa, e che santa, anche se
sconosciuta quaggiù. Una santa tenuta in serbo per la grande giornata. Così
penso gli altri componenti della famiglia Frassinetti, tutti, inclusa, non
occorre dirlo, la zia Annetta. Solo che per la zia Annetta ha bisogno di un
restauro. Un po‟ come tanti affreschi del Trecento su cui fu stesa una mano
di intonaco. Basta scrostarlo perché tornino a rifulgere. Chiedo venia se,
lavorando, lo scalpello fa povere e rumore.
Non è raro che nelle storie, senza averlo voluto e senza essersene accorti,
s‟infiltri qualche storiella. Le vite dei santi non ne vanno esenti, soprattutto
se si scrive basati sulla memoria senza troppo penare in riscontri d‟archivio.
Infortunio accaduto anche alle prime biografe di santa Paola Frassinetti in
cose che riguardano tutta la sua famiglia, quindi anche il fratello Giuseppe.
Alla morte della Santa, alcune suore si premurarono di scrivere i loro ricordi
e di aggiungervi quanto erano riuscite ad appurare dalle consorelle che le
erano vissute accanto194. Un lavoro diligente e minuzioso. Le due suore, per i
tempi in cui scrivevano. si possono dire suore istruite, non però fino a
sentire il bisogno di un vaglio critico delle notizie e di riscontri d‟archivio
all‟infuori di quelli di casa, di qualche parrocchia e di qualche curia.
Ignorano persino che la prima storia della fondazione delle Dorotee era stata
scritta dal fratello Giuseppe nel 1847 e data alle stampe nel 1857. Della zia
Annetta si anticipa la morte di cinque anni:
Paola poteva avere dodici anni – scrivono –, allorché passò a miglior vita
anche la zia e da quel punto il carico della casa si aggravò tutto sopra di lei;
ma i suoi fratelli lasciarono scritto che essa tenne assai bene per loro le veci
di madre195.
Il fratello è don Giovanni. Nella Vassallo troviamo riportata la lettera con
cui comunicava a madre Sommariva le notizie che gli erano state richieste
194
Memorie intorno alla venerabile serva di Dio Paola Frassinetti ed all'Istituto da lei
fondato, Roma 1908, p.12. Le “Due suore di S. Dorotea, figlie e contemporanee della ven.
Frassinetti”, autrici dell'opera, sono T. Sommariva - M. Masyn; E. VASSALLO, Memorie
intorno alla Vita della Serva di Dio Paola Frassinetti Fondatrice Dell'Istituto delle Suore di
S. Dorotea, Roma, manoscritto di pp. 411, conservato nell‟ACGSD (Archivio della casa
generalizia delle Suore Dorotee).
195
Memorie, Op. cit., p.12.
110
alla morte della santa sorella. Nel riportarla la Vassallo vi aggiunse un tre
che manca nell‟originale. Non certo per falsificare un documento, ma per
precisare, convintissima com‟era che la zia Annetta fosse morta tre anni
dopo della cognata. Né, peraltro, scriveva una storia critica, ma solo note
destinate alle novizie che non avevano avuto la fortuna di conoscere la
Madre. Ecco i due testi posti in sinossi:
Don Giovanni Frassinetti
Citazione di suor Elisa Vassallo
Rimasti noi senza Madre (io potevo
avere poco piú di sei anni) la sorella
supplí assai bene alla mancanza e
continuò fino a che non ci lasciò…
Tutto il giorno in casa a sacrificarsi pei
fratelli e pel padre in ispecie dopo la
morte di [mia zia] che nei primi anni ci
fece da madre196.
Rimasti noi senza madre, io potevo avere
poco piú di sei anni, la sorella supplí assai
bene alla mancanza e continuò <ad
assisterci> finché non ci lasciò… Tutto il
giorno <rimaneva> in casa a sacrificarsi pei
fratelli e pel padre in ispecie dopo la morte di
mia zia che nei primi <tre> anni ci fece da
madre197.
I dati fornitici dal nostro archivio, dagli archivi del comune di Genova e
da quelli delle varie parrocchie, dove la famiglia Frassinetti risedette, ci
consentono di fare correzioni ed integrazioni a quanto è stato pubblicato nel
passato, sia dalle Dorotee sia da noi. Angela Viale, la madre di quei
bambini, morí sí il giorno dell‟Epifania, non però del 1818, bensí del 1819.
Una settimana prima aveva partorito il suo undicesimo figlio, non il
decimo, che fu battezzato lo stesso giorno e volò al cielo due giorni prima
della madre198. Non lasciò cinque orfani – i cinque divenuti adulti –, ma sei.
Il sesto era un bimbetto di sedici mesi che la raggiungerà in cielo il 17 luglio
successivo199. Era ancora viva la suocera, che morrà di settant‟anni il 30
maggio 1820, mentre la cognata Annetta le sopravvivrà non tre anni, ma
sette anni e tre mesi, essendo morta di 41 anni il 15 aprile del 1826.
Per un buon secolo le Dorotee, e non solo loro, si sono intenerite
pensando questa fanciulla di dodici anni mandare avanti una casa cosí
numerosa, cinque uomini piú lei, e a far da mamma non solo ai due fratellini
196
ACGSD. Nell‟originale manca mia zia con cui avrebbe dovuto cominciare la seconda
pagina, omissione dovuta forse ad un momento di distrazione nel girare pagina.
197
E. VASSALLO, Memorie… p. 52s. Pongo in corsivo tra parentesi uncinate le aggiunte, solo
in corsivo le varianti di poco rilievo.
198
La causa della morte dovette perciò essere una qualche infezione puerperale.
199
Negli appunti del padre nasce il 23 ottobre 1817, nel registro parrocchiale 2 settembre.
Questo fa pensare che l‟appunto potrebbe essere stato preso a distanza di tempo.
111
piú piccoli, Giovanni e Raffaele, ma anche ai due piú grandi, Giuseppe e
Francesco200. All‟epoca non c‟erano elettrodomestici, l‟acqua si andava ad
attingere alla fontana sulla strada o in qualche pozzo vicino, e c‟era il bucato
da fare, almeno quello piccolo, ed il rammendo, e le calze per tutti…
Anch‟io ho provato tanta tenerezza per questa bimba, tenerezza congiunta a
pena: ma avrà avuto la forza di sollevare la pentola dal focolare senza
rovesciarsi addosso l‟acqua bollente? Ma che padre, però! A dir poco uno
sconsiderato! Tutto il contrario. Anche quando erano vive la moglie e la
madre, fin dal 1812, aveva alleggerito alle donne di casa il peso di quei
bambini assumendo una donna di servizio a tempo pieno201. Nel distaccarsi
da quei sei bimbi lo sguardo della madre fu certo consolato vedendoli
accanto al marito, alla suocera ed alla cognata – questa della sua stessa età,
trentaquattro anni – che avrebbero continuato a prendersi cura di loro con
piú amore di quanto non ne avessero già mostrato nel passato per non far
loro sentire la mancanza della madre.
Per quanto può essere serena l‟infanzia di orfani, quella di Paola e dei
suoi fratelli lo poté essere. Paola aiutò in casa fin da piccola, come si usava
a quei tempi nelle famiglie numerose, offrendo l‟aiuto che poteva dare una
fanciulla della sua età: piccoli piaceri e piccoli servizi, soprattutto badando
ai due fratellini piú piccoli, aiuto che per lo piú consisteva nel trastullarsi
con loro, soprattutto nel fare altarini e celebrare sacre funzioni come in suo
scritto ella stessa ricorda. Niente di straordinario e di impossibile. La vita di
tutti i Frassinetti non ebbe niente di straordinario. Fu la loro vita, per
valermi di una espressione cara a Giuseppe, una vita da potersi da tutti
imitare, e non una vita che si può solo ammirare. Come sarà nata dunque la
200
I cinque maschi potevano essere già sei per la presenza in famiglia d‟uno zio materno,
Giovanni Battista Viale, incluso negli stati di famiglia del 1825, anno in cui si trasferirono di
nuovo nella parrocchia di Santo Stefano, e nei due successivi. Non disponiamo degli stati di
famiglia dal 1815 al 1824, anni in cui abitarono nella parrocchia di San Matteo, anni nei quali
lo zio poteva essere già presente.
201
Geronima Costaguta, poi Teresa Malatesta, infine Tomasina Malatesta, ancora presente in
casa Frassinetti negli anni Cinquanta. Le Memorie, come pure il Capecelatro (A.
CAPECELATRO, Vita della Serva di Dio Paola Frassinetti, Roma, 1900) ed il Gremigni (G.
GREMIGNI, Vita della Beta Paola Frassinetti, Roma, 1930), che da loro acriticamente
dipendono, ignorano la presenza d‟una persona di servizio. Lo stesso la Rossetto (R.
ROSSETTO, Paola Frassinetti, Padova, 1984). Avrebbero potuto avvertirne la presenza dalla
lettera di don Giovanni Frassinetti riportata dalla Vassallo in Memorie…, p. 52, cosa che fa la
Neirotti : “Perduta anche questa [la zia] a dodici anni, governa la sua casa con l‟aiuto di una
inserviente”, M. NEIROTTI, Paola Frassinetti a Genova, Genova 1984, p. 12.
112
storiella? Non certo da Paola. Quando si rievoca in ricreazione qualche fatto
della lontana infanzia, non si fa una deposizione giurata e quindi non si sta
attenti a dire con assoluta precisione anno, mese giorno ed ora, ma, ridurre
diciassette anni a dodici, è troppo! Sono quindi le biografe delle Memorie
che, ponendo insieme vari discorsi uditi in vari tempi, li hanno variamente
confusi. Né mancano nel loro lavoro indizi di confusioni e di ricordi incerti:
“Venuta a morte, non sappiamo bene se la suddetta zia o una delle
nonne…”. Un‟ approssimazione che muta completamente ciò che vogliono
dimostrare riportando un episodio di cui si parlerà piú avanti. Un giorno
l‟avranno sentita dire: “Mamma morí che avevo nove anni ed era il giorno
dell‟Epifania”. Di qui argomentarono: essendo Paola nata nel 1809, la
madre morí nel 1818. Nove piú nove fanno diciotto. Nessun dubbio. Ma
Paola aveva in realtà nove anni e dieci mesi, quindi, andando con il
millesimo, si era già nel 1819202. In altra occasione, forse a distanza d‟anni,
udendo l‟episodio accadutole alla morte della nonna, sentono dirle che
aveva dodici anni. In realtà era nel dodicesimo, ma solo da un paio di mesi,
aveva quindi undici anni da poco compiuti. Imprecisioni di poco rilievo in
una conversazione. Di qui le biografe argomentano: tra le due morti
passarono tre anni. Poi, confondendo la morte della nonna con quella della
zia – vedi sopra –, le fanno cadere sulle spalle il governo della casa ad
un‟età in cui una fanciulla passa buona parte del tempo giocando a far da
mammina alla bambola e, nella rassegna dei santi, la passarono dal corteo
delle vergini a quello delle vergini e martiri203.
Parliamo un po‟ di questa zia a cui certo pensa il nipote Giuseppe quando
prova a rispondere alla difficoltà:
Ma perché Dio permette che [certe giovani] abbiano un cosí vivo e santo
desiderio [di entrare in monastero], che non dovrà essere soddisfatto
giammai?… perché non dispone che siano accontentate e che abbiano per tal
modo, non solo il merito, ma anche la realtà dello stato religioso?…
Ne trova il perché: si impedirebbe con ciò un bene poco osservato, ma
incalcolabile. Segue il passo citato all‟inizio che mi piace riportare di nuovo
202
Cfr. Registro dei defunti della parrocchia di S. Matteo e appunti del marito.
203 Riprova che Paola non fosse precisa nelle date si ha nel Documento addotto al processo
di canonizzazione dalla suora dorotea Elisa Vassallo, provinciale dell‟Istituto, che attesta
d‟averlo copiato da un autografo della fondatrice Paola Frassinetti. Cfr. Positio., Summ. add.,
Pars II, p. 40. Vi si afferma che il fratello, alla morte della mamma, era sui dodici anni,
mentre ne aveva già compiuto quattrodici.
113
tanto mi pare fondamentale vedendo in esso il ritratto della zia Annetta e, ad
un tempo, un tributo di commossa riconoscenza.
Quasi da nessuno si bada al bene che fanno, all‟edificazione che danno,
queste pie fanciulle, obbligate per la loro povertà a vivere in mezzo al secolo.
Esse, che vivono nel mondo nauseate e nemiche del mondo... E poiché l‟amor
di Dio, quando è vivo, è pure ardente di zelo, queste povere fanciulle si
prendono piú che materna cura delle piccole, o parenti, o vicine… esercitano
l‟ubbidienza tante volte con maggior sacrificio che le religiose… Esercitano
la povertà, soffrendone pazientemente gli effetti, maggiori che non li soffrano
le religiose… Conservano infine la castità, e la conservano eminentemente
pura in mezzo ai pericoli… Per il che dobbiamo benedire la divina
provvidenza che tutto ordina alla sua maggior gloria204.
Nella biografia di santa Angela Meríci il Frassinetti, parlando delle sue
virtú, le divide in imitabili e ammirabili205. In casa Frassinetti, si tratti di
Paola, si tratti di Giuseppe, si hanno solo virtú imitabili. Ammirabile il loro
insieme armonioso e la perseveranza con cui le seppero praticare dalla prima
giovinezza alla fine dei loro giorni. Ciò ad alcuni può sembrare sufficiente
per una santità ordinaria, non per una da altare, pensando connaturale in un
santo la presenza dello strepitoso. Rivelatrice di questo modo di concepire la
santità canonizzabile è la reazione di don Giovanni Frassinetti quando seppe
che le Dorotee volevano introdurre la causa per la canonizzazione della
sorella Paola. Nei pressi di Campetto, il cuore della vecchia Genova, in quel
formicolare di gente a tutte le ore del giorno, aggredí ad alta voce la madre
generale in pretto genovese: – A mæ sêu santa? A mæ sêu santa! –206. Che la
sorella fosse una santa suora nessun dubbio, e mai le aveva negato il suo
aiuto facendo la spola da Genova a Roma, ma non si capacitava di aver
potuto trattare per una vita con una santa da altare senza essersene accorto.
Mia sorella santa! Nelle biografe della Santa si avverte la tendenza a vedere
ammirabile il normale. Restando agli anni dell‟infanzia, raccontano della
bimba tre fatti ammirevoli, facendo pagare alla zia Annetta il di piú che
accreditano alla nipote.
Il gattone nero
204
G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto, Genova 186410, p.112-115.
G. FRASSINETTI, Vita ed Istituto di S. Angela Merici, Genova 1867, III ed., p. 72-99.
206
Un ricordo personale di quanto ci raccontava il padre generale Giacomo Bruzzone che da
chierico aveva conosciuto Giovanni Frassinetti. Se ne trova conferma nella Positio Servae Dei
Paulae Frassinetti, Animadversiones, p. 11.
205
114
Una volta, fra le altre, essendo ella ancor tanto piccina che per vestirla e
spogliarla la mettevano in piedi sulla seggiola, avvenne che la zia nel porla a
letto, non si sa perché, le disse in tono di rampogna: “Adesso, quando io me
ne vado, verrà un gattone nero a prenderti, perché sei stata cattiva”. E,
senz‟altro aggiungere, portò via il lume lasciando la fanciullina sola, la quale,
sebbene non ricordasse d‟aver fatto nessuna mancanza, pure credette alla
minaccia della zia e quindi nell‟angosciosa aspettativa di quel gattone,
cominciò a sudar freddo. Ma invece di piangere e strepitare come avrebbe
fatto qualunque altra bambina della sua età, soffocò in silenzio la paura che la
divorava, finché ad ora tarda andò a riposo l‟anzidetta zia che dormiva nella
sua stessa camera ed allora soltanto la fanciulla poté chiudere gli occhi al
sonno207.
Sono cose che il Capecelatro non ritiene degne d‟essere immortalate.
Con la Rossetto diventano Acta martyrum:
La zia faceva del suo meglio, ma non ostante la sua buona volontà, non aveva
quell‟intuito che le mamme hanno in abbondanza208. Paola le obbediva ed era
servizievole con lei, ma è da credere che abbia dovuto soffrire parecchio…
La zia per ottenere l‟obbedienza della nipotina ricorreva talvolta a minacce
che, all‟indole sensibilissima di lei, provocavano grande turbamento. Ma la
fanciulla non si lamentava209.
Un gratuito di piú. La Neirotti aggiunge altri gratuiti di piú:
C‟era in casa, o stabilmente o saltuariamente non si sa, la cognata ANNA – se
avesse fatto una piú accurata ricerca d‟archivio, avrebbe scoperto che la zia
Anna visse sempre in casa del fratello –, madrina della nostra santa, che era di
carattere “non tanto tenero” come dicono le testimonianze ai Processi 210. Se si
207
Memorie, Op. cit., p. 11s.
Ciò affermando, l‟intuito viene negato anche a Paola, a tutte le suore e a quanti non
abbiano avuto figli!
209
R. ROSSETTO, Op cit., p. 21s.
210
Rinvia a p. 101 del numero IV Super Dubio – Teste: M. Teresa Sommariva. Nella Positio
del 1906 non risulta. Ignoro se si riferisca a quella del 1927, Positio questa che non ho avuto
modo di consultare. Ecco quanto depose la Sommariva nella Positio del 1906; “Perdé la
madre, credo sotto i 7 anni, e quindi attese alla sua educazione, oltre il padre, uomo di molta
austerità, una zia paterna, da cui apprese a leggere alquanto, mentre a scrivere imparò da se
stessa coll‟imitare i quaderni dei fratelli nella scrittura”. Stando alla sintassi quel da cui si
riferisce alla zia e non al padre, e questo è un dato positivo circa la zia. Continua: “Cresciuta
negli anni e perduta anche la zia, forse quando era nei quattordici, essa dové assumere la cura
della casa, e fece da madre ai suoi fratelli con i quali fu sempre in grande armonia… Soleva
208
115
pensa che l‟episodio del “gattone nero” raccontato dalle Memorie dell‟Istituto
avvenne quando Paola era ancora tanto piccina che per vestirla e spogliarla la
mettevano in piedi sulla seggiola e che chi fece questa minaccia fu la zia che
dormiva con lei, si può anche pensare che la dolce Signora Angela ebbe forse
a soffrire di questa presenza cosí austera. Non sarebbe la prima volta che per
diversità di metodo nell‟educare, una madre bisognosa d‟aiuto per le continue
gravidanze, abbia avuto molto a soffrire…211. [Alla morte della moglie ] la
sorella Anna l‟aveva aiutato – bene o male – a tirare avanti la famiglia per un
triennio212.
Si noti l‟inciso – bene o male–! Viva la madre, è la zia che porta a
dormire la nipotina e le dorme accanto. Mi nasce un rimorso. Anni fa, ad
una piccina figlia di miei amici, con lunghi capelli neri, mostrandole la mia
testa calva, le chiesi se me ne dava dei suoi. Al suo no, la minacciai:
“Questa notte, a mezzanotte, quando dormi, verrò con un bel paio di
forbicioni, te li taglio tutti e me li metto io”. Avrà dormito? Ebbi l‟
impressione che mi ascoltasse divertita. Ma se Paola raccontava quella paura
a tanti anni di distanza vuol dire… Non vuol dire nulla.
Quando le suore di tanto in tanto raccontavano la paura di qualche
bimba, Paola, perché non se ne meravigliassero, ripeteva che anche lei da
bimba una volta ebbe tanta paura del gattone nero. Tutto qui. Il fratello
Giovanni, da vecchio, nella sua ultima lettera alla sorella, una settimana
prima che Paola morisse, le ricordava la bazara – uno spaventa bambini – e
anche nelle mattine andare spesso alla Messa accompagnata dalla donna di servizio –
particolare taciuto nelle Memorie di cui è coautrice – o dalla zia certo che sola non la
mandavano” (p. 38s.). Testimonianza in sostanza positiva. Si noti l‟incertezza sulle date. Ecco
quanto ancora si legge nella Positio sulla zia. Depone il fratello Giovanni che, per aver
vissuto i fatti, può parlare in prima persona: “Essendoci mancata la madre, [Paola ] rimase
con noi sotto la tutela di una nostra zia, anch‟essa persona pia e dabbene, la quale ci faceva da
madre”, (p. 43). Le due sorelle Pingiani, suore dorotee, Giuseppina e Teresa, avanzano un
dubbio per aver udito, ma senza dire da chi. Suor Giuseppina, nata a Roma nel 1832, accolta
dalla Frassinetti nel 1854, stette 12 anni con lei nella stessa casa: “Ho sentito dire, che,
rimasta orfana a dieci anni, sotto la direzione di una zia, che la occupava alla cura del padre e
dei fratelli, a quanto pare, anche piú di quello che comportassero le sue forze”, (p. 43). Suor
Teresa, nata a Roma nel 1836, conobbe Paola nel 1852 e stette in comunità con lei 21 mesi:
“Rimasta orfana di madre a nove anni incirca continuò a vivere in famiglia sotto la direzione
di una zia, la quale tuttoché la amasse, per inavvertenza le fece soffrire qualche privazione”
(p. 42). Tutto qui. Troppo poco per formulare giudizi cosí netti. Si noti la varietà delle date.
211
M. NEIROTTI, Op. cit., p. 81.
212
M. NEIROTTI, ivi. Non tre anni, ma un quarto di secolo, dai diciannove anni alla morte!
116
ne rideva213. Cosí Paola, raccontava del gattone nero e ne rideva. È proprio
da escludere che la zia, mentre le minacciava il gattone nero, l‟abbia
rimboccata, le abbia fatto una carezza e dato il bacio della buona notte,
lasciandola con un: “Ora dormi?”
Cura depurativa con acqua di mare
C‟è poi la storia dell‟acqua di mare data a bere come ricostituente.
Era stata prescritta alla fanciulla una cura depurativa consistente in un
bicchiere d‟acqua di mare, da bersi al mattino a digiuno. Or la zia paterna…
non riflettendo tanto per sottile, faceva fare una buona provvista d‟acqua
salsa, ed in un recipiente qualsiasi di cucina nella cucina stessa la conservava
ingiungendo alla nipote di prendere ogni mattina la dose prescritta. E la
buona fanciulla, senza mostrar ripugnanza, e senza farsi lecita la menoma
osservazione, ogni mattina era là a trangugiarsi il suo bicchierotto di
quell‟acqua resa fetida dal calore della cucina214.
La Rossetto aggiunge di suo: “La zia, per non dover andare tutti i giorni
ad attingerla… Era d‟estate”215. Come se la zia avesse avuto il mare pulito
sotto casa. È impensabile che, con tutti quei nipoti in casa da accudire,
potesse andare ad attingerla al mare tutte le mattine, dovendosi spingere
dalla parrocchia di S. Matteo, nel pieno centro della vecchia Genova, fin
verso Albaro, a piedi naturalmente, se voleva trovarla pulita, ché quella del
porto o della foce del Bisagno sarebbe stata da colera! Dove ha trovato Era
d‟estate? Che zia! E poi quel recipiente qualsiasi di cucina! Dove avrebbe
dovuta conservarla? Sarà stato qualche orciuolo, qualche fiasco o che so io.
Ne avrà potuto attingere, o fare attingere, un fiasco o due. Con tutti quei
bimbi sotto cura, la provvista non poteva durare troppo senza che se ne
facesse una nuova.
Da vecchi, ritrovandoci con qualche compagno di collegio, si attacca la
litania dei “Ti ricordi?”. Uno questo: “Ti ricordi quei cucchiaioni d‟olio di
213
Tornava dall‟avere fatto l‟ultima visita alla sorella: “Sono giunto felicemente alle ore tre e
un quarto [del mattino]… Alle ore sette ho detto Messa applicandola per te, e ne dirò alcuna
altra in seguito, perché, se pel meglio passi il tuo raffreddore. Il mio non è rincrudito, come
temevo, dovendo viaggiare tutta la notte, anzi mi sento bene, non ho che la voce fosca: da
ragazzi avremmo detto: Ha visto la bazara”. Qui, prendendo le parole come suonano, si può
pensare che Giovanni abbia scambiato per raffreddore la malattia mortale della sorella, mentre
da una lettera alla vicaria risulta che si rendeva ben conto di tutta la gravità.
214
Memorie, p. 12.
215
R. ROSSETTO, Op. cit., p. 22.
117
fegato di merluzzo e quei bicchieroni d‟olio di ricino?”. Che rievocazioni
sarebbero se non ci fosse un po‟ d‟abbellimento e di drammatizzazione?
L‟olio di ricino era la prima medicina che in collegio ci veniva propinata per
qualunque disturbo, vero o simulato, come quando si restava a letto perché
impreparati per la scuola. Però il “bicchierone” era un normale bicchiere.
D‟olio di ricino c‟era solo un ditino ed il resto era latte. Se poi ce lo portava
un nostro complice, finiva nel bagno. A Genova, all‟epoca di Paola, il
toccasana era un bicchiere d‟acqua di mare. Era una cura solo della zia, o
non piuttosto una cura di casa, anche ai tempi in cui viveva la madre? Ora,
come noi vecchi rievochiamo ridendo la dolcezza dell‟olio di fegato di
merluzzo e dell‟olio di ricino, cosí Paola in ricreazione avrà rievocato
ridendo la squisitezza di quell‟acqua, attribuendo la cura alla zia, vissuta piú
a lungo con lei, ma era stata anche il toccasana della mamma e della nonna,
a risalire fino ad Eva.
La veglia funebre
Piú di una volta nelle nostre comuni ricreazioni, venendo il discorso sulle
paure a cui vanno soggetti i bambini essa diceva che ne aveva molto sofferto,
ma per amor proprio non se ne faceva accorgere da nessuno… Venuta a
morte, non sappiamo bene se la suddetta zia o una delle nonne, fu mandata
Paola a sorvegliare chi era stata incaricata di vestir la defunta; la povera
fanciulla, padroneggiando se stessa obbedí; ma ebbe a subirne un‟impressione
cosí viva e penosa che anche da vecchia le pareva ancora di vedersi dinanzi
quella scena mortuaria216.
La Rossetto arricchisce di suo il racconto con un: non è che un
episodio217. Le ricerche d‟archivio ci dicono che con loro convisse solo la
nonna paterna. Se le biografe si riferiscono alla morte della nonna, Paola
aveva undici anni compiuti, se a quella della zia aveva oltrepassato i
diciassette. Una differenza che cambia radicalmente la situazione, perché
non sarebbe stata piú la zia ad imporle quella visione del cadavere. La
Vassallo parla della nonna e che a vestirla era la “becchina” 218. Qui le
biografe drammatizzano. All‟epoca si nasceva e si moriva in casa – e cosí
era ancora al mio paese durante la mia fanciullezza –. Fin dalla primissima
infanzia si era abituati a vedere i morti. In casa Frassinetti, Paola aveva già
visto piú persone sul letto di morte: una sorellina, due fratellini e la mamma.
216
Memorie, p. 12.
R. ROSSETTO, Op. cit., p. 21.
218
E. VASSALLO, Memorie, p. 25s.
217
118
Né solo i morti di casa, ma con ogni verosimiglianza anche dei vicini e dei
parenti. Se si tiene poi conto del forte senso di pudore che allora si aveva, è
difficile credere che fosse lasciata lí tutto il tempo che vestivano la morta. A
vestirla sarà stata la figlia con l‟aiuto di qualche vicina, non già la mano di
una “becchina” come precisa la Vassallo.
Tutto falso, allora? No, la zia, dopo aver composta la salma della madre e
disposte le sedie per i parenti e i vicini che venivano a dire il rosario e a
vegliarla, com‟era uso, in un momento in cui nella stanza c‟era una sola
persona, avrà detto alla nipote già grandicella, undici anni compiuti: “Perché
non vai pure tu a vegliare un po‟ la nonna e a pregare un po‟ per lei? C‟è
ancora la donna che m‟ha aiutato a vestirla”. La stanza appena rischiarata da
un paio di candele dovette farle impressione, specie se vi rimase qualche
momento da sola. Sono usi che possono piacere, possono non piacere, ma
cosí si usava, né ci è lecito giudicare le cose di ieri con la sensibilità d‟oggi,
ammesso che sia piú educativo tenere i fanciulli separati dalla realtà della
vita. Per esempio di come si può ricamare il nulla valga quanto si legge in
Gilla Gremigni:
Nulla di singolare [in Paola ], se non una incondizionata volontà di
sottomissione a chi le rappresentava il Signore. Ella si modellava sulla madre,
donna delicatissima di mente e di cuore… D‟ingegno elettissimo, da sua
madre apprese per tempo ogni genere di lavoro manuale, al quale,
riuscendovi mirabilmente, prendeva gusto piú che ai trastulli… A scuola non
la mandarono; i genitori e i fratelli maggiori furono i suoi maestri, e piú di
tutti le fu maestro Dio; sí che da grande ella non risentí affatto di questa
lacuna… Ma, nell‟Epifania del 1818, la madre muore… Non passan tre anni,
e la morte le strappa anche la zia… Paola è diventata il centro della piccola
casa… È la prima ad alzarsi e l‟ultima a concedersi un breve riposo: in moto
sempre come una piccola massaia modello. Con cinque uomini in casa non
c‟era infatti da stare in ozio…219.
Nulla di singolare una bimba d‟otto anni e dieci mesi, stando alle sue
date, già cosí compiutamente formata dalla madre in ogni genere di lavoro
manuale? È pensabile che una mamma “delicatissima di mente e di cuore”
abbia sottoposto ad un tale duro tirocinio una bambinetta da renderla esperta
in “ogni genere di lavoro manuale” ad otto anni e dieci mesi? Ed in tutto
questo il padre non ebbe nulla da obiettare? Paola fu certo ciò che afferma il
Gremigni, ma non ad otto anni e dieci mesi, bensí ai diciassette compiuti, e,
219
G. GREMIGNI, La beata Paola Frassinetti, Roma, 1930, p. 2-7, passim.
119
in questo, non per merito della mamma, bensí della zia. E quel peso d‟una
famiglia “con cinque uomini in casa” fin dai dodici anni, ignorando la
persona di servizio! Certo che non ci sarebbe stato “da stare in ozio”, ma, se,
stando cosí le cose, ciò non di meno, acquistò una cultura tale da non
risentire affatto la lacuna di non aver frequentato una scuola, non si può piú
affermare che in quella bimba non vi fu nulla di singolare! Ciò che le due
Pingiani deposero della zia, d‟averla occupata “anche piú di quello che
comportassero le sue forze”, andrebbe esteso prima ancora alla madre,
“delicatissima di mente e di cuore”, ed al padre. Ma si tratta solo di una
storiella che muta in singolarissimo il “nulla di singolare”, e, senza che lo
avverta, smentisce le lodi tributate alla madre.
Solo questo Paola ricordava della zia? Bastano questi episodi, anche a
prenderli nel senso piú odioso, per formulare giudizi cosí netti? La zia
austera, e di carattere non tanto tenero, la mamma dolce e delicatissima di
mente e di cuore. Della madre non ci è giunta nessuna particolare
testimonianza di dolcezza. Si può solo, e a ragione, presumere che fosse
dolce. La madre, dolce, avrebbe avuto molto a soffrire per l‟austerità della
cognata, ma non avrà piuttosto benedetto le mille volte Iddio d‟avere in casa
una santa donna che sosteneva gran parte del peso di quei bambini e,
morendo, ritenersi fortunata che a quei bimbi non sarebbero mancati affetto
e cure? In quindici anni ed un mese di matrimonio, aveva avuto ben undici
gravidanze220. Ecco in mesi la distanza da una nascita all‟altra: 22-11-17-1212-14-17-24-24-14. Tolti i tre figli vissuti pochi giorni, si aggiunga per gli
altri i mesi di allattamento, che, all‟epoca, se non era interrotto da una nuova
gravidanza, si protraeva oltre il primo anno d‟età. Essendo poi figlia d‟arte,
merciaio il padre e merciaio il marito, ed avendo trovato in casa due donne,
la suocera e la cognata, che da sempre si occupavano del suo andamento,
sarà stata spesso in negozio accanto al marito per dargli una mano, lasciando
che suocera e cognata, aiutate da una donna di servizio, continuassero ad
occuparsi dei lavori di casa e dei bambini. Il fratello Giovanni lasciò scritto
220
1. Paolo Giuseppe: 15.12.1804–2.1.1868, 2. Francesco: 22.10.1806–5.4.1885, 3. M. Anna
: 28.9.1807–23.7.1808, 4. Paula (sic) Maria: 3.3.1809–11.6.1882, 5. Anna M. Angelicchia:
2.3.1810–15.3.1810, a Recco ove era a balia, 6. GB Camillo : 24.3.1811– morto di sette mesi
a Recco, ove era a balia, 7. Giovanni M.: 7.5.1812–8.7.1897, 8. Giacomo M. [Raffaele ]:
24.10.1813–26.1.1891, 9. Anna M.: 28.10.1815–31.10.1815?, 10. Bartolomeo : 23.10.1817–
19.7.1819 (nel registro parrocchiale è posta la nascita al 2.9.1817), 11. Emanuello Camillo:
31.12.1818–4.1.1819 (nel registro parrocchiale è posta la nascita al 21.12.1818). Piú d‟uno di
loro fu conosciuto con il secondo nome, od altro, compreso il nostro venerabile. L‟abbiamo
riportato in grassetto.
120
che finché la zia visse fu lei e, se lei non poteva, la persona di servizio o
qualche altra persona di casa, che la mattina accompagnava la sorella in
chiesa anche nei giorni feriali, non permettendo il padre che la figlia uscisse
da sola.
Si è mai pensato alla solitudine d‟una donna nubile che spende tutta la
vita per figli non suoi senza lasciarsi un minuto per sé, neppure un letto dove
dormire sola ed in pace? E da escludere che la zia Anna avesse ricusato di
sposarsi per amore di quei nipotini? Non si capisce perché mai, per far
rifulgere le virtú di una, si debbano gettare ombre su di un‟altra. Stando alle
Memorie, Paola imparò a scrivere da sola, a fare anche i piú difficili lavori
da sola, tutto da sola. Da cosa si può arguire che questa zia, con la quale
Paola visse fino ai suoi diciassette anni passati, non sapesse infilare un
ago, fare un ricamino, stirare una gonna? Tutto fa pensare che abbia appreso
da lei a condurre una casa ed è verosimile che, avendo il fratello un negozio
di mercerie, mandasse dalla sorella chi gli chiedeva da chi farsi cucire una
camicetta o aggiustare una veste. Paola poté continuare poi da sola, appunto
perché questa zia l‟aveva bene introdotta nelle arti che la resero la donna
forte di cui parla la Scrittura221. Non mi meraviglierei se in cielo vedessi
quell‟umile zia accanto alla nipote, gradino piú giú, gradino piú su222.
221
Pr 31,10-31.
Per rettificare le imprecisioni dei biografi, sia di Paola sia del fratello, riporto qui i dati
d‟archivio sulla famiglia Frassinetti anzi Frascinetti, forma in uso fino ai primi dell‟Ottocento,
a mia disposizione. Il nonno di Giuseppe e di Paola, Carlo Giuseppe [19.4.1849–8.12.1804],
passò da Rivarolo Ligure, dove la famiglia era presente da piú secoli, a Genova a farvi il
cuoco, stabilendosi nella parrocchia di san Marcellino. Il 25.2.1772 sposò Angela Costa
[1750-30.5.1820] e passò ad abitare in Piazza Nuova nella parrocchia di San Donato al primo
appartamento di casa Morando. – La stessa casa dove troviamo le Dorotee ai loro inizi? – Il
figlio Francesco Giovan Battista [8.4.1776–10.2.1853], primo dei maschi, sposò il
19.11.1803 Angela Viale [1784–6.1.1819] della parrocchia di San Lorenzo, figlia d‟un
merciaio, Paolo Viale [1851–12.6.1812]. Che Giovan Battista sia stato messo lí da garzonetto
ad apprendere il mestiere e, cresciuto, il 19 novembre 1803 ne abbia sposato la figlia? La
sposa fu condotta in casa dei genitori dove trovò due cognate signorine, Francisca, chiamata
Cichetta, ed Anna – la zia Annetta di cui stiamo trattando, non ancora ventenne –. Nel 1803 li
troviamo censiti nella parrocchia delle Vigne, senza Angela non ancora andata sposa, con
indicazione non chiara dell‟ubicazione dell‟abitazione. Nel 1804 vi sono ignorati. Nel 1805,
sempre nei registri della parrocchia delle Vigne, li vediamo censiti in Vico dietro San Paolo
Vecchio in zona Campetto, con in piú, rispetto al 1803, la sposa e il bimbo Giuseppe, in meno
il nonno morto l‟otto dicembre 1804. Nella nuova dimora abitava con loro anche la vedova
Cecilia Picasso. Alla nascita di Giuseppe, 15 dicembre 1804, il trasloco doveva essere già
222
121
Di lí ad una trentina d‟anni Louis Veuillot perse la moglie giovanissima
che gli lasciava cinque bambine di pochissimi anni. Ecco con che occhi
vedeva la sorella Elisa che se ne assunse la cura di madre:
Tu hai donato, sorella, la tua giovinezza, la tua libertà, il tuo avvenire; tu non
sei piú te stessa, ti sei colei che non è piú, la mia sposa defunta, la madre nella
tomba; sei una vergine vedova, una suora senza velo, una sposa che non ha
diritti, una madre che non ne ha il nome. Tu sacrifichi i tuoi giorni e le tue
notti a bimbe che non ti chiamano mamma, tu hai versato lacrime di madre su
tombe che non erano quelle delle tue bambine223.
Parole che si sarebbero potuto incidere sulla pietra sepolcrale della zia
Annetta. Pio IX, anche se scherzosamente, ne faceva il vero ritratto
chiamando la sorella del Veuillot La monaca in casa! – che avesse letto
avvenuto. Dal 1806 al 1815 li troviamo in Vico Perera [Pelaroae], n. 930, piano unico,
parrocchia di Santo Stefano, nei pressi del Seminario dove è oggi via Fieschi. Nello stato di
famiglia piú non compaiono Francisca e la vedova Picasso. Qui, lo stesso anno, nacque
Francesco, e dal 1809 al 1813 gli altri tre figli che divennero adulti: Paola [ore sei del
mattino, battezzata lo stesso giorno da don Francesco Tagliafico, padrino il nonno materno,
madrina la zia Annetta], poi Giovanni e Raffaele. Dall‟autunno 1815 al 1823 abitarono nella
parrocchia di San Matteo. Si ignora strada e numero. Nel 1824 sono di nuovo nella parrocchia
di Santo Stefano, ma in vico Rivotorbido, casa Brignole n. 80, settimo piano sotto tetto. Il
certificato di leva di Giuseppe Frassinetti pone l‟abitazione in fondo a Via Giulia, l‟attuale via
XX Settembre allargata. Mancano la moglie e la madre, già defunte. Con loro vive il cognato
Giovan Battista Viale, d‟anni trentacinque, che troviamo presente fino al 1826. Fino al 1831,
ultimo di cui si hanno i dati, ed anno in cui Giuseppe andò parroco a Quinto chiamandovi la
sorella, non ci sono cambiamenti, eccetto l‟assenza di Francesco entrato dal 1828 tra i
Canonici lateranensi. Divenuto il Frassinetti parroco di Santa Sabina in Genova vediamo il
padre ed i due fratelli Giovanni e Raffaele vivere con lui. Dove furono dal 1831 all‟andata in
Santa Sabina? La teste Angela Pedemonte, nata intorno al 1834, depose di ricordare che il
padre del Frassinetti andava alle prediche del figlio venendo da via dei Giustiniani: “A quel
tempo abitava con la famiglia in via Giustiniani”, (Positio, p. 85). Questo fa pensare che andò
a stare con il figlio solo dopo qualche tempo dalla sua presa di possesso della parrocchia. La
prima lettera di Paola al padre al suo arrivo a Roma, 26 giugno 1841, è indirizzata Al Sig
P.rone Col.mo il Sig. Giobatta Frassinetti in S ta Sabina, Genova. Quindi già in Santa Sabina
con il figlio, anche se per il momento non v‟è certezza, avendola Paola potuta indirizzare ivi,
anche se non ancora vi ci si fosse trasferito, sapendo che vi andava di continuo.
Nell‟abitazione in via dei Giustiniani, Paola, richiamata a casa dal padre, dovette passare
l‟inverno 1835-1836.
223
Tre di quelle piccine morirono a poca distanza dalla mamma. L. Veuillot, Lettres, Torino,
1936, p. 217.
122
l‟opera del Frassinetti? il quale, scrivendola, mi piace pensare avesse negli
occhi e nel cuore il ricordo di quella santa zia monaca in casa.
Osservazioni conclusive
Le prime memorialiste, come pure il card. Capecelatro, che da loro
acriticamente dipende, e gli altri che di lei scrissero, non hanno pensato alla
profondità del “segno” del mistero eucaristico, segno efficace che produce
ciò che significa: molti i chicchi di grano, uno il pane; molti gli acini d‟uva,
uno il vino; cosí, per il mistero di quel cibo e di quella bevanda, i molti, che
di quel cibo si nutrono, diventano uno in lui. Parola dell‟Apostolo224. Non
Paola da sola, dunque, e neppure da solo il fratello Giuseppe, né loro due
soltanto, ma la santità della famiglia Frassinetti tutta intera, inclusa la zia
Annetta, pone in evidenza l‟efficacia di quel cibo: “Guarda, come si
amano!”. Vedendola nel gruppo familiare, Paola cessa d‟essere soltanto un
esempio di monaca santa modello a monache che vogliono farsi sante; il
fratello Giuseppe modello di santo sacerdote per sacerdoti, e diventano,
nella famiglia, modello di santa famiglia cristiana, oggi che la famiglia pare
vada a cocci e si riduca a fango.
Cosí uniti pesano molto di piú, perché dove trionfa il solista, per quanto
prestigioso, piú non si avverte il mistero di quel “segno”. Chi ha scritto di
Paola – ed è errore in cui i biografi cadano facilmente –, incantato dal suono
dello strumento da lei sonato, piú non ha avvertito che sonava in
un‟orchestra in armonioso concerto con altri strumenti, ed il Toscanini di
quell‟orchestra fu il fratello Giuseppe. La cosa si ripeterà per l‟origine del
suo istituto. Lo stesso errore, la stessa assenza di consultazione d‟archivi e
di critica, le stesse imprecisioni passate poi ai biografi che da loro
dipendono; lo stesso primo piano sull‟uno, invece che guardare Paola in
quell‟altra stupenda orchestra che fu la “Beato Leonardo”, ed anche di
questa il Toscanini è ancora e sempre Giuseppe. La Rossetto e la Neirotti
per farla rifulgere pare abbiano sentito il bisogno di toni cupi, e di calcarli.
La zia era buona, certo, ma… Si direbbe un “buona” posto lí a far da
passaporto ai “ma…”. Una zia grigia per dare risalto alle virtú della bimba
224
1 Cor 10,17.
* Di molte note d‟archivio vado debitore a don Giuseppe Capurro che, stimolato da padre
Antonio Piccardo, ne fece una diligente e disinteressata ricerca. A me il merito di aver preso
in considerazione nel nostro archivio i fogli, foglietti e fogliettini su cui il Capurro fissava le
ricerche, materiale prezioso sfuggito a quanti scrissero dei Frassinetti prima di me.
Annotazioni che mi hanno suggerito la via per altre ricerche.
123
fin dai suoi primi anni. Su cosa documentate? Sul nulla. Non riesco a
pensare che la zia Annetta sia stata solo questo nei ricordi di Paola. Quanto
piú vera nel ricordo del nipote Giovanni e di Giuseppe, se si può vedere il
suo ricordo nei brani sopra riportati.
CAPITOLO VIII
L‟EDUCAZIONE DEI FIGLI
124
Con tale famiglia non c‟è da meravigliarsi se il padre di questi ragazzi
verso il 1810, giunto Giuseppe all‟età scolare, si ponesse il problema di
dove mandare il figlio ad apprendere a leggere, scrivere e far di calcolo. In
bottega, per piccola che fosse, i conti uno doveva saperseli fare. Non certo
alle scuole degli atei, e tali ai suoi occhi erano le scuole pubbliche dove
innanzi tutto veniva inculcato il culto per Napoleone e vi si entrava cristiani
per uscirne miscredenti. L‟azione infranciosante si era fatta pesante, non
solo negli atti anagrafici, ormai redatti in francese, dove Giuseppe si era
visto mutato di autorità e d‟ufficio in Joseph, anche se, a differenza di Paola
e degli altri fratelli, aveva fatto in tempo a nascere... italiano, ma soprattutto
nella scuola. A Napoleone occorreva educare soldati che marciassero a suon
di tamburo pronti ad obbedire, combattere e morire per la gloria
dell‟imperatore senza chiedere o discutere i perché.
1809: Wagram. L‟Austria pare piegata per sempre. Il Papa spodestato e
tradotto prigioniero. Roma dichiarata terra francese. 1810: Napoleone si
imparenta con una Absburgo e l‟anno appresso ne avrà l‟erede, salutato in
fasce Re di Roma! C‟era solo da mettere il cuore in pace. Cos‟altro si
sarebbe potuto fare?, si era già chiesto l‟ultimo doge. Almeno negli atti
legali Giuseppe doveva rassegnarsi a sentirsi chiamare Joseph per tutta la
vita. A molti, anche del clero, non escluso l‟arcivescovo Spina, non
dispiaceva .
Ma o scio Baciccia, padre di Giuseppe, era popolo ed il popolo pareva
vaccinato contro ogni infranciosoneria e relative empietà. Francesi,
giacobini, figli portati a morire lontano, irreligione... all‟orecchio del popolo
non faceva differenza e, a ricordarglielo, non fossero bastate le vele
ammainate nel porto a causa del “Blocco”, c‟era ad un passo da Genova
Savona ove il papa Pio VII era tenuto prigioniero da Napoleone con tutto
quel che si raccontava gli facessero soffrire. Proibito anche poterlo andare a
vedere da lontano per riceverne la benedizione! Ora, stando cosí le cose, in
quale scuola mandare il bambino ad apprendere il leggere e lo scrivere senza
pericolo di traviamento?
Nel male un bene. Non si contavano i frati cacciati di convento dalle
leggi eversive dei rivoluzionari e dei conquistatori. Si aggiravano umili,
ritirati, viva testimonianza ad una vocazione, soprattutto per l‟accettazione
della miseria in cambio della povertà religiosa professata un dí in convento.
C‟era frate Angelico, già francescano dei minori osservanti, che s‟era messo
ad insegnare l‟abc ai pargoli ed i primi latinucci ai piú grandicelli. Dicevano
125
che fosse uno che di lettere se ne intendeva ed aveva nome di buon
predicatore225. Per cominciare andava bene.
Fu questa una scelta iniziale dei genitori o non dovuta piuttosto all‟aver
visto nei primi giorni di scuola pubblica il figlio tornare a casa turbato? In
una istruzione del Frassinetti ai fanciulli si ha l‟impressione che rievochi un
fatto della sua infanzia parlando di sé in terza persona e chiamandosi Pio:
Una volta [Pio] fu mandato a scuola da un maestro che era molto
accreditato pel suo sapere; ma era uno di que‟ maestri che non hanno
religione, e perciò spacciano cattive massime contro la pietà e divozione,
contro il rispetto che si deve ai superiori, ai ministri di Dio, e alle altre cose
sante. Or bene, fin dal primo giorno in cui sentí tali lezioni dal signor
maestro, ritornato a casa disse decisamente: A questa scuola non vado piú,
perché il maestro insegna ciò che non voglio imparare: quindi [il padre] gli
dovette cercare altra scuola. Egli nulla stimava un maestro molto dotto, se
non era anche timorato226.
Sanno anche di ricordi d‟infanzia i suggerimenti che dà ai parroci per
andare incontro alle vocazioni dei poveri:
Procuri [il buon parroco] di occupare nel servizio della Chiesa quei
giovanetti che mostrano maggior divozione – scriveva a don Americo Guerra
preoccupato della deficienza di clero in cura d‟anime –: loro dia l‟incarico di
apparare gli altari, di mantenerli puliti, gli adoperi nei servizi delle sacre
225 Si ricava dalla deposizione del teste Giuseppe Giovanni Chiola, commerciante, che
da giovane aveva conosciuto e frequentato il Frassinetti: “So che il Frassinetti cominciò i suoi
studi sotto il tirocinio di certo Padre Angelico, francescano secolarizzato, noto predicatore ai
suoi tempi. Io lo avvicinavo per avere qualche saggio di eloquenza e di letteratura. Soleva
lamentarsi dello scarso profitto di certi scolari, e mi pare che vi contrapponesse l‟esempio di
altri tra i quali il Frassinetti: e però ne arguisco che questi facesse nello studio molto profitto”,
POS.sV., p. 24. Essendo nato il Chiola il 4 febbraio 1849, non poté avere di simili interessi
prima dei tredici quattordici anni, ossia prima del 1863/1864. Se padre Angelico a
quest‟epoca era ancora vivo, e già sacerdote nel 1810, certo da poco, quando veniva
avvicinato dal Chiola sarà stato sulla settantina e forse piú. Del padre Angelico ci parla anche
il Fassiolo: “Primo suo maestro fu il P. Angelico, Minore Osservante, che faceva scuola
privata in tempo della soppressione”, Op. cit., pp. 15s. Maestro e scolaro avevano conservato
per tutta la vita una buona memoria l‟uno dell‟altro.
226 G. FRASSINETTI, Esercizi spirituali pei giovinetti d‟ambo i sessi, Genova 18654, pp.
97-98.
126
funzioni, regalandoli di qualche cosuccia, perché meglio si interessino delle
cose sacre. Sarà anche bene che promuova nelle famiglie l‟antica costumanza
di fare altarini pei fanciulli: innocentissimo divertimento che occupa assai i
loro pensieri e li dispone da piccoli ai servizi della Chiesa. Quando poi trovi
alcun giovinetto che già manifesta l‟intenzione o il desiderio di aspirare allo
stato ecclesiastico, si adoperi perché sia messo a fare gli studi opportuni e,
non essendovi altri che possa istruirlo, tolga sopra di sé quest‟incarico...227.
Che si rifaccia ai ricordi della sua infanzia ce lo dice l‟innocentissimo
divertimento di fare altarini, ricordo rimasto vivo anche nella sorella Paola:
“I suoi divertimenti ordinari era fare altarini... non uscendo mai di casa che
per recarsi alla Chiesa ed alla scuola”228. Ai ricordi dell‟infanzia ed alla
paziente bontà di padre Angelico nell‟insegnargli l‟abc ed i primi latinucci,
tornerà con il pensiero quando, ormai vecchio, suggerirà come andare
incontro a quanti vorrebbero diventare sacerdoti e non possono perché privi
di mezzi:
È molto da deplorare la perdita che fa la Chiesa di tanti giovani i quali ne
sarebbero poi buoni ed eccellenti ministri, se potessero avere istradamento
allo stato ecclesiastico nel luogo di loro nascita e di loro necessaria
abitazione. Non v‟ha dubbio che nelle località piú erme e montane sono
uomini di bellissimo ingegno... Io ho conosciuto molti sacerdoti, ora defunti,
che già occuparono, e molti ne conosco di viventi, che occupano posti
importanti nel clero, i quali se non avessero potuto studiare fuori dei
Seminarii, non avrebbero potuto aspirare al sacerdozio, e invece di operare
gran bene in mezzo al popolo cristiano, avrebbero dovuto consumare la vita
rompendo le zolle nei campi e tagliando legna nei boschi... Qualora dunque
un parroco, un confessore trovi un giovinetto di buona indole e pieghevole
alla pietà, deve mirare a coltivarne lo spirito con impegno speciale... Queste
cure poi sarebbero di ammaestrarli bene nelle cose della Religione e di
procurare che fossero istruiti nella grammatica latina; che se nel luogo non vi
fossero maestri capaci a ciò, potrebbero essi istradarli in tale studio. Un
parroco che fosse ben persuaso della necessità in cui si trova oggigiorno la
227 ID., Sulla deficienza delle vocazioni allo stato ecclesiastico – Lettera a don Americo
Guerra, 1a ed., Lucca 1867, p. 19. Il corsivo è mio. Della Lettera si ebbe un‟edizione postuma
arricchita con lunghe note, preparate dall‟Autore, che la portarono da 24 a 57 pagine.
228 POS.sV, SA 2, p. 34.
127
Chiesa, non vorrà rifiutarsi d‟incontrare qualche sacrificio di tempo e di
riposo…229.
Padre Angelico. Forse a padre Angelico fu anche affidato l‟incarico di
insegnargli il catechismo, quello antico, genuino, tutto distillato di vangelo,
che avevano studiato loro da ragazzi ed in gran parte già fatto apprendere
dai genitori ai loro bambini man mano che crescevano; non quello moderno
dei giacobini, convertiti a metà e per modo di dire, che si sarebbe dovuto
insegnare nelle parrocchie per ordine di Napoleone, presente la spia che
riferisse al governo se mai il parroco avesse omesso o postillato certe
domandine e le relative risposte230.
Si sarebbe dovuto, perché, grazie a Dio, non tutti i parroci furono fedeli
esecutori degli ordini di un imperatore, immagine di Dio in terra, che teneva
il Papa prigioniero, né mancava mai un padre Angelico che, insieme ai
genitori, facesse ai bimbi l‟anti-indottrinamento di stato. Ci furono persino
preti che nei giorni festivi, alla fine della messa grande, ardivano omettere
l‟Oremus pro imperatore nostro Napoleone! È vero, il suo parroco, don
Tagliafico231, godeva fama di Napoleonista, fama conservata anche dopo la
caduta di Napoleone, né doveva essere di senso molto acuto nell‟avvertire
odore di eresie232, ma non se ne può dedurre che seguisse in tutto il suo
Napoleone.
229 G. FRASSINETTI, Sulla deficienza..., pp. 7-8 e 6-7. Il corsivo è mio.
230 Che nelle parrocchie di Genova si facesse apprendere il catechismo napoleonico, di
cui si è parlato, si ricava dalla notizia riportata sul numero 65 della Gazzetta del 1807 che
riferiva avere il cardinale mandato a tutti i parroci copia dell‟autentica versione del
Catechismo per tutte le Chiese dell‟Impero al quale dovevano attenersi per l‟istruzione
religiosa del popolo. Cfr. La settimana religiosa, Genova, XXV(1895), n. 2, p. 16.
231 Aveva preso possesso della parrocchia nel 1811 e vi fu parroco per oltre vent‟anni.
Dal 1834 parroco di santo Stefano è don Ageno, preceduto da don Rolla per breve tempo. Il 5
ottobre 1832 il Frassinetti gli aveva indirizzato una lettera da Quinto. Era quindi ancor vivo.
Cfr. La settimana religiosa, Genova, I(1871), n. 35, p. 298.
232 V. VITALE, Informazioni di polizia..., Op. cit., p. 451. Cfr. pure in AF la lettera del
Frassinetti, già sacerdote, al Tagliafico per avvertirlo di non far cantare una canzoncina in
onore di san Giovanni Battista contenente una grossa eresia. Non saprei dire se fosse lo stesso
pre‟ Tagliafico che nel 1797 compose versi da cantarsi sull‟aria di Allons enfants de la patrie
in onore dei “cittadini” estinti nella rivoluzione ligure: Ombre oneste e care / Dei cittadini
estinti... Cfr.: La settimana religiosa, XXII(1892), Genova, p. 363.
128
A Giuseppe Mazzini, il vicino di casa, di mezz‟anno piú giovane del
nostro Giuseppe, mancò una tale vaccinazione. Non l‟umile padre Angelico,
frate costretto a vivere nel mondo, i sacerdoti dei suoi primi ricordi, ma un
parroco – s‟è visto – che, perché suddito del Grande Imperatore Napoleone,
si sentiva per conseguenza in dovere, come francese, di professare la
dottrina della Chiesa Gallicana fino a non tollerare neppure per un
momento che un solo sacerdote di dottrina contraria alle proposizioni della
Chiesa gallicana sedesse ne confessarii della chiesa a lui affidata. Di tale
fede il parroco. Per educatori il Mazzini ebbe severi ed ardenti giansenisti,
scelti tra quei santi dottori tanto apprezzati da una madre tutt‟orecchi agli
insegnamenti di un Eustachio Degola, prete giansenista, gran nemico della
corte di Roma233. Ne completava l‟educazione la biblioteca paterna piena
di scritti di Voltaire e Rousseau, i briseurs d‟idoles, e di vecchi giornali
dell‟epoca rivoluzionaria e napoleonica. La sorella Antonietta attribuiva
proprio a quelle letture giovanili la perversione religiosa del fratello234.
Vuol dire tanto avere avuto o non avere avuto nella fanciullezza santi
genitori ed essersi incontrati con un padre Angelico invece che con un
Giacomo De Gregori, un Degola o l‟abate Luca Agostino De Scalzi.
Non siamo in grado di dire quando Giuseppe Frassinetti abbia ricevuto la
prima comunione. Che vi si accostasse con grande devozione lo passiamo
arguire, fra l‟altro, dalla cura amorosa con cui conservò per tutta la vita una
coroncina che gli fu data in regalo. Conservò pure un‟immaginetta avuta in
dono dal padre nella sua primissima infanzia e a noi giunta. Vi è
rappresentata una fanciulla in ginocchio, circondata da croci, racchiusa in un
ovale cui fanno da cornice due rami di spine, con sotto la scritta su due
righe: Vous n‟avez pas encore résisté / jusqu‟à répandre votre sang 235. Nel
retro, sotto una preghiera, anch‟essa in francese, con le righe disposte in
forma di ovale, il Frassinetti, già parroco di Santa Sabina, scrisse: Dono
primo del mio Padre – Giuseppe Frassinetti Priore. Fu conservata con tanta
tenerezza perché ricordo del padre, certo, ma anche per quel che
rappresentava e quel che vi si leggeva. Chissà quante volte ne ripeté la
preghiera scritta nel retro. Si direbbe che in essa abbia trovato la prima
233 Cfr. E. GUGLIELMINO, Genova dal 1814 al 1849, Genova 1940, p. 20, n. 3.
234 G. OLMI, Autobiografia, Genova, 1907, p. 73s.
235 Non avete ancora resistito fino a spargere il vostro sangue. Parole prese dalla Lettera
agli Eb 12,4.
129
ispirazione di vedere in Gesú Cristo la sua regola di vita. Merita, quindi,
d‟essere riportata tradotta:
In mezzo agli strumenti del vostro supplizio, degnatevi, mio Dio, di
gettare su di me uno sguardo di misericordia. Tra le prove d‟una vita
travagliata, innalzerò ogni giorno a voi il mio cuore. Vegliate su di me
dall‟alto del cielo, allontanate da me il nemico della mia salvezza… Divino
Gesú, prostrato innanzi alla vostra Croce adorabile, io benedirò colui che mi
ha riscattato a prezzo del suo sangue prezioso… O mio Salvatore, che siete
stato crocifisso per me, io voglio sempre riporre la mia felicità e la mia gloria
nell‟imitarvi e rassomigliarvi236.
C‟è il condensato della sua spiritualità come l‟espose gli ultimi anni della
sua vita nel Religioso al secolo, avvalorandola, come era uso fare, con
l‟autorità d‟un santo, nel caso, di san Giovanni della Croce:
La via piú spedita per giungere a conseguire le disposizioni interne [di
distaccare il cuore da ogni bene del mondo per metterlo in Dio] ci viene
tracciata da san Giovanni della Croce nella Salita al Carmelo (Lib. I, cap. 5),
dove dice “che quell‟anima la quale altro non pretenderà se non osservare
perfettamente la legge di Dio e portar bene la croce, sarà vera arca che
conterrà in sé la vera manna, cioè Dio”. Il che vuol dire che quell‟anima
arriverà alla perfetta unione con Dio, cioè alla perfetta santità. Or quivi è
chiaro che il Santo vorrebbe per tal modo escluso dal cuore dell‟uomo
qualunque appetito e desiderio, eccettuato quello di osservare con tutta
esattezza e puntualità la legge di Dio, nella quale s‟intende compresa la legge
di S. Chiesa, che ci comanda per divina autorità, e quello di portare con piena
uniformità ai divini voleri la croce propria, cioè le tribolazioni e le angustie
della vita237.
Vous n‟avez pas encore résisté / jusqu‟à répandre votre sang, dovette
essere il suo ritornello quotidiano quando le mani piagate di geloni gli
impedivano di scrivere e quando ostilità e prevenzioni da parte di chi
avrebbe dovuto sostenerlo gli rendevano l‟aria di Genova irrespirabile. Al
vescovo di Albenga che lo invitava a passare nella sua diocesi offrendogli la
piú bella parrocchia, rispondeva:
236 AF. I puntini sono nell‟originale.
237 G. FRASSINETTI, Il religioso al secolo, Genova 1864, pp. 12s.
130
Non crederei bene di lasciare la mia Parrocchia e altre opere che ho alle
mani per sottrarmi a quella specie di persecuzione che non sono solo io a
soffrire. Tuttavia, se questa specie di persecuzione si facesse tale da
impedirmi veramente di fare quel poco di bene che posso, io ringrazio la
Divina Provvidenza che abbia ispirato a V. S. Illma e Revma quei sensi cosí
benevoli a mio riguardo, e in tal caso non farebbe bisogno di tanto quanto
sarebbe la parrocchia di Oneglia, per me basterebbe molto meno238.
Non aveva ancora resistito fino al sangue, poteva ancora durare, e durò il
resto della vita.
Della cresima invece conosciamo il giorno ed il vescovo che glie la
conferí. Non fu il cardinal Spina che, pur conservando la diocesi fino alla
rinuncia fatta nel settembre del 1819, dal dicembre del 1815, salvo uno
sporadico ritorno, non era piú in sede239. Gli fu conferita nella chiesa delle
Vigne il 9 aprile 1817 da monsignor Domenico Gentile, già vescovo di
Savona dal 1776 al 1804, che trascorreva a Genova gli anni della sua
vecchiaia240.
Frate Angelico di Giuseppino era contento. Non era come altri suoi
alunni senza nessuna voglia di studiare. “Pippo” era di quelli che s‟additano
ad esempio e lasciano nel maestro un ricordo che non si cancella. Un
giovanetto appassionato dello studio, tutto casa e chiesa, e passeggiate fuori
porta le domeniche e i dí di festa insieme ai genitori, i fratellini e la
sorellina. Una riservatezza tutta genovese. Rare le eccezioni che lo spinsero
a mescolarsi con la folla e con essa tripudiare, come quando, ritiratisi i
francesi, parvero tornati i vecchi tempi. Indimenticabili soprattutto quei 46
238 AF, Manoscritti, vol. 9.
239 Nel settembre del 1816 fu nominato legato pontificio di Forlí. Ebbe altri incarichi
nella diplomazia, tra i quali quello di rappresentare papa Pio VII ai congressi di Lubiana nel
1821 e di Verona nel 1822, congressi di cui si parla in tutte le storie del nostro Risorgimento.
Morí a Roma nel 1828.
240 Nel rapporto di polizia al governo sardo mons. Gentile è posto tra i “Soggetti per le
gran Croci” che si sarebbero dovute conferire per cattivarsi la simpatia dei genovesi divenuti
sudditi del monarca piemontese: “Per maggior influenza sul Clero, e per giustizia è
egualmente necessario, che sia accordata la Croce dei SS. Maurizio e Lazzaro al Vescovo
Domenico Gentile (in età d‟anni 82, mesi 4) in compenso della perduta abbazia di S. Stefano
di Romagnano”. V. VITALE, Op. cit., p 434. Morí di circa novant‟anni il 27 marzo 1822, cfr.
La settimana religiosa (XXVII), Genova 1897, p. 412.
131
giorni, dal 3 aprile al 18 maggio 1815, in cui Pio VII, avendo abbandonato
Roma per sottrarsi al Murat, aveva cercato rifugio in Genova. Furono giorni
di festa e di trionfi. Tra quella folla plaudente per le strade e nelle chiese
non mancò il nostro Frassinetti241, tenendo forse per mano Francesco e
Paola, i piú grandicelli, ché neppure loro avranno voluto restare in casa.
Questa l‟adolescenza del nostro Servo di Dio.
Un peccato metterlo in bottega, deve aver ripetuto chissà quante volte a
mo‟ di ritornello il padre Angelico. La sua inclinazione allo studio per farsi
sacerdote era evidente e andava quindi assecondata. Ormai gli aveva
insegnato quanto sapeva. Per la “rettorica”, la filosofia e la teologia
occorreva il seminario.
L‟Olivari242 ed il Capurro243 anticipano di due anni la scelta del
seminario facendoglielo frequentare fin dal corso di umanità, qualcosa come
il nostro vecchio ginnasio superiore, ma ad entrambi è sfuggito ciò che il
Frassinetti, parlando del seminario genovese, attesta di se stesso: “Io non
posso parlare dei secoli trascorsi; ma posso parlare dall‟anno 1820 [= anno
scolastico 1819-1820], nel quale sono andato nelle scuole del Seminario per
studiarvi Rettorica”244.
Resta quindi accertato che non frequentò le scuole del seminario prima di
tale data, non siamo però in grado di dire con chi abbia svolto privatamente
il corso di grammatica prima e seconda, detti pure grammatichetta e
grammatica, oltre tutto aggiunti ai corsi del seminario solo nel 1818, troppo
241 G. FRASSINETTI, OEI, vol. I, Istruzioni catechistiche, Roma 1906, p. 219.
242 C. OLIVARI, Vita del Servo di Dio Sac. Giuseppe Frassinetti, Roma 1928: “Per
l‟umanità minore e per la rettorica frequentò come alunno esterno le scuole del Seminario”, p.
20. Affermazione smentita dallo stesso Frassinetti.
243 G. CAPURRO Alcune memorie intorno alla Vita del Servo di Dio Priore di S. Sabina
Giuseppe Frassinetti, manoscritto conservato nell‟AF: “Quando andasse alle scuole del
Seminario non si sa di preciso. In esse studiò umanità minore sotto Paolo Rebuffo” (foglio
V). Il nome del Rebuffo deve averlo desunto dall‟insegnante dell‟epoca, essendo il Rebuffo
titolare di quella cattedra dall‟anno scolastico 1818-1819, lo stesso anno in cui il Frassinetti
avrebbe frequentato il secondo corso di umanità. No, cominciò a frequentare la scuola del
seminario dal corso biennale di “Rettorica” tenuto dal Gianelli, 1819-1821
244 G. FRASSINETTI, Sulla deficienza..., 2a ed. postuma con note dell‟Autore, Oneglia
1870, nota b) pp. 35.
132
tardi quindi perché il Frassinetti ne avesse potuto beneficiare, e con chi
svolto i corsi di umanità minore e maggiore prima di accedere alla scuola di
“Rettorica”. Tutto con padre Angelico? Passò da altri? Tenne il Rebuffo
anche scuola privata di umanità ed ebbe tra gli alunni il Frassinetti? Non se
ne ha memoria ed il silenzio del Fassiolo mi fa pensare che il padre
Angelico, l‟unico ricordato da lui e da altri, l‟abbia accompagnato dall‟abc
fino all‟ammissione alla scuola di retorica. Non erano pochi i sacerdoti che
in quei tempi assolvevano quest‟incarico nelle case dei benestanti o
ricevevano alunni nella propria.
Le difficoltà avanzate dal padre del Frassinetti per poterlo mandare in
seminario dovettero essere rimaste negli orecchi del ragazzo e da vecchio le
fa sue nella lettera sopra citata a don Americo Guerra:
Non si creda poi che, facilitando l‟entrata nei Seminari, portandone la
pensione a somma assai modica, si possa esigere con buoni risultati che i
giovani aspiranti al sacerdozio tutti vi si raccolgono. Certi poveri padri di
famiglia in città, e altri in villa, non possono assolutamente pagare neanche la
pensione assai modica; né possono sobbarcarsi alla spesa notevole degli abiti
che si richiedono per l‟uniforme d‟estate e d‟inverno, che devono portare,
altro in casa e altro fuori di casa, i seminaristi. È da osservare che debbono
essere provvisti anche di altri abiti per le vacanze autunnali, quando ritornano
alle loro famiglie. Questo è un fatto, che molti padri di famiglia dicono di non
poter mantenere in Seminario i loro figliuoli, neanche colla pensione
ribassata245.
245 Ivi. La pensione annua in seminario, compresa la scuola, ma non le altre spese, era di
£. 500. Una cifra enorme per un operaio o un contadino con poca terra o su terra altrui. Per la
famiglia Frassinetti, quattro figli in seminario, la pensione sarebbe salita a £.2.000! Chi
riusciva ad avere una borsa di studio se la vedeva ridotta a metà, come fu per il Gianelli: £.
250 il padre e £. 250 il cardinal Spina, ma il padre, per far fronte ad una tale spesa, dovette
vendere delle proprietà. Per l‟impossibilità di pagare una tale pensione Salvatore Magnasco, il
futuro arcivescovo di Genova, avrebbe dovuto smettere gli studi se a suo favore non fosse
intervenuto il Gianelli con una lettera all‟arcivescovo Lambruschini, allora nunzio a Parigi:
“Non posso credere che mentre tanti bambocci, e tanti assai dubbiosi (per non dire mal
disposti) e fino degli estranei, si godono i benefizi del Seminario, questo Diacono di cosí
grandi speranze, debba essere abbandonato alla sua sventura. Io non potrei sopportarlo che
con immenso dolore: e ne sia prova la disposizione in cui sono di concorrere io stesso di
proprio, per quanto le angustie dei miei piú stretti congiunti il sopporteranno...”. A. GIANELLI,
Lettere, Op. cit., vol. I, p. 5. Lo stipendio annuo del professor Gianelli era di £. 300!
133
Non solo, ma in seminario non sempre un fanciullo trovava una pietà piú
calda di quella respirata a casa sua:
È pure da osservare che i Seminari dove si prendono i giovanetti con
pensione molto modica – continua nella stessa lettera –, sono tosto pieni di
alunni di ogni vocazione, anche secolaresca. I genitori, anche se
mediocremente agiati, amano spendere sempre meno. Vedendo che la
pensione ecclesiastica è assai minore di quella di tutti i collegi secolari,
preferiscono di mandarli in Seminario, qualunque sia la vocazione dei loro
figliuoli246.
Una soluzione c‟era: mandarlo in seminario come esterno, solo per la
scuola. Richiedeva sacrificio, ma non era una spesa proibitiva. E fu la scelta
migliore anche per un altro motivo che il padre Angelico si sarà tenuto per
sé, benché di pubblica ragione, e che il giovanetto non avrebbe tardato a
conoscere dal racconto scandalizzato dei seminaristi interni di buono spirito.
Gli alunni esterni – è il caso del Frassinetti – dovevano pagare solo il “Minervale” per la
scuola consistente in 20 lire genovesi portate poi a 25 (rispettivamente franchi 16 e 20),
sempre annui. Perché ci si faccia un‟idea della enormità della spesa, riporto gli stipendi annui
del 1811-1812 dal “Registro Amministrativo” del Seminario di Genova: Medico Maglio per
suo onorario £. 50, Chirugo £. 55, Maestro di canto £. 100, Portinaio £. 96, Cuoco £. 144 – il
nonno del Frassinetti, anch‟egli cuoco, con una cifra piú o meno identica, dovette camparci
una numerosa famiglia! –. Sottocuoco £. 96. La stessa cifra ai camerieri. All‟Uomo grosso £.
36! Ai professori, s‟è visto, £. 300. Su 55 seminaristi 41 pagavano la pensione piena,
compresi due fratelli; due seminaristi £. 450; uno £. 300; otto la metà; uno £. 200; uno £. 125
ed uno £. 50. Perciò i beneficati erano veramente pochi. Devo le cifre alla raccolta di
documenti per la Causa di Canonizzazione di Antonio Gianelli. ACGSG, Notizie storiche
raccolte negli archivi..., primo periodo, pp. 75-77. Per i complessi creati dall‟uniforme
nell‟animo degli adolescenti si confronti il romanzo di G. RUFFINI, Lorenzo Benoni: “Infilai i
pantaloni nuovi di panno azzurro e la giacca della stessa stoffa coi bottoni d‟oro e la scritta
“Collegio Reale”, misi il berretto con la visiera... e seguii col cuore gonfio mio padre”. Il
Collegio Reale, tenuto dai somaschi, se lo potevano permettere solo i ricchi. Eppure, benché
ricchi, all‟uscire di collegio l‟avvocato Bernardo Ruffini non se la sentí di fare al figlio un
abito borghese: “Mio padre si rabbuiò... gli articoli di vestiario erano eccessivamente cari, e
due abiti erano di troppo. A che mi servivano due vestiti che l‟anno prossimo mi sarebbero
stati corti? Un abito nero per la festa, quando era bel tempo, bastava largamente. Quanto ai
giorni feriali, andava a meraviglia l‟uniforme del collegio opportunamente modificata. La mia
mortificazione fu enorme”. Cito dalla versione italiana di B. MAFFI, B.U.R., Milano 1952, p.
19.101.
246 G. FRASSINETTI, Sulla deficienza..., 2a ed. postuma, p. 35.
134
In quegli anni di sconquasso il seminario genovese aveva un internato in
piena decadenza. Ad essere interno c‟era piú da perdere che da guadagnare.
Il seminario sarà riportato su, e a grande splendore, da un compagno di studi
del nostro Giuseppe, il canonico Giovan Battista Cattaneo. Nella lettera su
citata il Frassinetti scrive:
Nella nostra diocesi, da due secoli che conta il nostro Seminario fino ad
alcuni anni sono, non si erano giammai costretti i chierici ad entrarvi, lasciati
tutti liberi a frequentarne le scuole convivendo con i propri parenti o in
qualche famiglia in pensione. Io non posso parlare dei secoli trascorsi; ma
posso parlare dall‟anno 1820, nel quale sono andato nelle scuole del
Seminario per studiarvi Rettorica, fino al 1854, epoca del cangiamento 247; e
non temo asserire che in questi trentaquattro anni, come riuscivano buoni
preti certi alunni del Seminario, riuscivano buoni preti tanti altri che soltanto
ne frequentavano le scuole; anzi non temo asserire, parlo ai viventi, ai
contemporanei i quali potrebbero dare una smentita, che la gran parte dei piú
cospicui del clero, non fu dei convittori del Seminario. Il che prova che Dio
aiuta i giovani di buona volontà, affinché, non potendo aver luogo in
Seminario, riescono buoni ecclesiastici, anche fuori di esso 248.
Oltre le difficoltà economiche e la poca buona fama goduta dall‟internato
del seminario, a determinare la scelta ci dovette essere anche un‟altra
ragione che si può arguire dalle date: il giovane Frassinetti si iscrisse a
“Rettorica”, qualcosa come il nostro liceo classico, nell‟autunno del 1819.
All‟inizio dell‟anno gli era morta la mamma. Lui, il primo, quattordici anni,
sei Raffaellino, il padre in bottega, la zia corri di qua e corri di là, la nonna
settantenne – morrà il 30 maggio del 1820 –, se fosse entrato convittore in
seminario chi avrebbe dato un sguardo ai tre fratelli minori ed alla sorellina
di dieci anni? Una scelta dettata dalle contingenze, ma che era nei disegni di
Dio sul giovinetto: educarlo al servizio pastorale offrendogli come tirocinio
l‟educazione dei fratelli e della sorella. Non solo, ma quel suo primo
247 Si noti la data in cui fu tolta la possibilità d‟essere seminarista esterno: 1854, ossia
l‟anno dopo la presa di possesso della diocesi da parte dell‟arcivescovo Charvaz, cosí poco
addentro alle cose di Genova. Una critica implicita da parte del Servo di Dio che vi vedeva
precluso il sacerdozio ai poveri? Si confronti pure P. TACCHINI, Sopra i documenti inseriti
nella “Notizia biografica volgarizzata di mons. Andrea Charvaz” – Nuove osservazioni al
can. Enrico Jorioz, Genova 1872, pp. 53-61, in cui si difende l‟antica usanza. Il Frassinetti
cercò di porvi rimedio dando inizio all‟Opera dei Figli di S. Maria Immacolata.
248 G. FRASSINETTI, Sulla deficienza..., 2a ed. Postuma, pp. 34s.
135
maestro, un sacerdote che viveva frate nel secolo perché impedito di vivere
frate in convento. La vita che egli stesso ed i suoi vissero in quella sua
famiglia-convento, e che gli rivelò con il fatto che i consigli evangelici si
possono vivere anche nel mondo, e persino in forma piú piena. Se ne
ricorderà da parroco quando si incontrerà con giovani e ragazze che
avrebbero abbracciato con gioia la vita religiosa se non ne fossero stati
impediti chi da una ragione chi da un‟altra. Se per entrare in convento erano
mille le difficoltà, non ne esistevano per vivere da religioso al secolo o da
monaca in casa249.
CAPITOLO IX
EDUCANDO I FRATELLI
EDUCAVA SE STESSO
Nelle famiglie numerose al primo figlio si dava di piú ed il meglio col
patto tacito che poi aiutasse il padre a tirare su i piú piccoli. La prima cosa
che in tali famiglie si apprendeva era che nessuno ha da vivere per sé,
perché ci sono anche gli altri, cominciando dal vestitino nuovo fatto al
primo da conservare nuovo fino a quando non gli sarebbe piú andato,
dovendolo passare ancora nuovo al secondo e questi al terzo, finché non
arrivava all‟ultimo rivoltato dalla madre, logoro sí, ma arricchito di calore.
Cosí i libri. Se ne ha conferma nei ricordi delle suore Dorotee della prima
249 Sono i titoli di due suoi libretti.
136
generazione, che narravano alle nuove arrivate le confidenze avute dalla
Fondatrice:
I quaderni vecchi, che dai fratelli venivano scartati, erano gli esemplari su
cui ella si modellava per addestrarsi a formar lettere... e a comporre in
maniera da lasciarsi addietro molte altre che hanno fatto studi regolari250.
Il piú ed il meglio era andato a Giuseppe, primogenito, perché facesse da
moltiplicatore. Si trovò cosí ad essere studente e, ad un tempo, guida dei
fratelli minori nei loro studi, ché anch‟essi volevano diventare sacerdoti
come lui. Nelle famiglie numerose l‟ascendente e l‟autorità del primo
fratello è enorme. Credete ad uno che è nato undicesimo a chiudere la serie.
Si vede in lui un quasi padre, e tale lui si sente. Aggiungasi che Giuseppe
era la persona istruita di casa, ascoltato e tenuto in considerazione anche dal
padre. Aveva, inoltre, qualcosa che vale piú dell‟istruzione: la santità.
Questa soprattutto suscitava l‟ammirazione e l‟emulazione dei fratelli.
Quattro fratelli ed una sola sorella. Tra il primo e l‟ultimo poco piú di
otto anni di differenza. Paola in mezzo, piú giovane di Giuseppe e
Francesco, piú anziana di Giovanni e Raffaellino. Con due fratellini piú
piccoli di lei non le occorrono bambole per immaginarsi mamma, e non solo
per gioco, specie quando, a suoi nove anni, la mamma se n‟era volata in
cielo. Di mandarla a scuola neppure a parlarne. Del resto, all‟epoca la scuola
per le fanciulle, ben distinta da quella per i maschietti, consisteva per lo piú
nell‟apprendimento del catechismo, lavori di ricamo, cucito e quant‟altro
occorreva per condurre bene la famiglia una volta andate a marito. A leggere
si insegnava a chi proprio lo richiedeva, e non si andava oltre il manuale di
pietà e le storie dei santi. Lo scrivere era un lusso di pochissime251.
250 E. VASSALLO, Memorie intorno..., Op. cit., p. 11.
251 Ci dà un‟idea di cosa si insegnava alle fanciulle l‟Avvertimento preliminare della
Relazione degli Esercizi che si praticano in Viterbo nelle Scuole destinate per istruire le
Fanciulle nella Dottrina Cristiana..., Roma 1718. Alle “Maestre Pie” della Venerini, che da
Viterbo s‟erano largamente diffuse a Roma e in tante altre parti d‟Italia, veniva ricordato che
erano state accolte nell‟Istituto “non solo per comunicare alle fanciulle... la necessaria notizia
de divini Misteri, ma anco per istruire le medesime ne‟ lavori manuali, cioè di far calzette,
cuscire (sic), merletti a piombino e simili... Che se alcuna delle Fanciulle di stato civile
bramasse d‟imparare a scrivere a buon fine, per esempio, di Monacarsi, o simile, non si
proibisce, in maniera però, che non risulti di disturbo alle altre; onde quella tale, preso
l‟esemplare, si pone in camera a parte separata dalla Scuola, per farlo”. Lo scrivere, nelle
137
All‟epoca non c‟erano moduli da riempire, non code da fare negli uffici, né
da scrivere al figlio soldato o a parenti lontani, sconosciute come erano
emigrazione e coscrizione obbligatoria, eccettuata la parentesi napoleonica.
Per la gente imbarcata non esisteva servizio postale. Si aspettava il ritorno o
qualche notizia da chi lo avesse incontrato lungo la rotta. L‟educazione era
ordinata alla vita che ai loro tempi le aspettava. Non per questo erano
ignoranti come si potrebbe credere. Ciò che non apprendevano con gli occhi,
l‟apprendevano con gli orecchi, ascoltando.
Paola a casa è tutt‟orecchi ai discorsi dei quattro fratelli che studiano, e
ciascuno ci tiene a far vedere quanto è bravo. Sui loro libri, e con un po‟
d‟aiuto or di questo ed or di quello, impara a leggere e a scrivere e,
soprattutto, non perde una parola delle loro dispute d‟alta teologia. Le stesse
suore, depositarie delle rievocazioni dell‟infanzia della santa fanciulla,
continuano a raccontarci:
Ma se la nostra Fondatrice non ricevette veruna cultura letteraria, ebbe
però agio d‟acquistare molte utili cognizioni ascoltando nel suo modesto
silenzio le conversazioni che avevano luogo ogni giorno a tavola tra il padre e
i fratelli, specialmente il maggiore [Giuseppe], il quale tutto immerso nei suoi
studi prediletti che dovevano farne un santo e dotto sacerdote, portava quasi
sempre il discorso sopra argomenti sacri di dommatica, di morale e simili. “Io
– raccontava la stessa Madre nostra – mi trovavo, sola donna, in mezzo a
cinque uomini, nei discorsi dei quali non mi era facile entrare: me ne stavo
adunque zitta ed ascoltavo con piacere ciò che dicevano, particolarmente mio
padre e il fratello maggiore; ed è cosí che ho imparato tante cose che non
avrei mai potuto sapere”252.
Fratello maggiore e maestro con tanto di abilitazione ad insegnare
conferitagli dal suo Gianelli. Il professor Gianelli o, come allora si diceva, il
“Lettore di Rettorica Pre‟ Antonio Gianelli”, usava dettare ai suoi alunni
quindicenni un Ristretto di Precetti Rettorici. Piú che regole per ben
comporre le diremmo un vero trattato di metodologia, arricchito di consigli
scuole delle fanciulle, era una materia speciale scelta da poche e di cui non si vedeva a che
servisse se non si mirava a diventare suora, o simile! Anche Paola imparò a scrivere su degli
esemplari, quelli di Giuseppe e forse di Francesco, ché gli altri due erano piú piccoli di lei.
252 E. VASSALLO, Memorie intorno..., Op. cit., p. 11. Se ne ha una conferma in una lettera
del fratello Raffaele: “Non fu mai mandata a scuola, né a maestra; il padre e qualche poco i
fratelli le insegnarono a leggere e a scrivere. “ ACGSD, Roma.
138
di come formarsi una buona cultura a cui attingere per il ministero della
parola e, divenuti che fossero sacerdoti, di come porgerla ai fedeli. Un
giorno il nostro professorino non poté non aguzzare l‟orecchio nel sentirsi
dettare:
Mi lusingo di non andar ingannato [affermando] che l‟insegnare è un
mezzo de‟ piú acconci a perfezionarci in qualunque arte o mestiere. Non
potendo insegnare bene agli altri quello che ignoriamo noi stessi, o che bene
non intendiamo, troppo è manifesta la necessità d‟impararlo. Facciamo allora
tutti gli sforzi per rendercene padroni assoluti; sgombriamo infiniti pregiudizi
e riscontriamo ben mille cose nella natura, che non troviamo nei libri. Non
posso tacervi che, delle cose onde io vi vado istruendo, la piú gran parte la
devo a voi. E ciò sia detto non perché tutti abbiate a fare il maestro, né perché
[senza] tale esercizio non possiate perfezionarvi, ma perché volontieri
sappiate accoglierlo se ve l‟offre la sorte... Non è sempre necessaria una
cattedra: co‟ parenti, cogli amici e co‟ poveri potete avere ben mille occasioni
di esercitarvi non meno con vostro che con loro vantaggio253.
A Giuseppe la sorte, meglio dire la Provvidenza, nella sorella e nei
fratelli aveva offerto la scolaresca per potervisi esercitare con suo e loro
vantaggio.
Che Paola fosse la sola donna in una casa di cinque uomini è vero e non
è vero. Morta la madre, ancora per un anno e mezzo visse con loro nonna
Angela, la madre del padre, e, fino al 15 aprile 1826, quando Paola aveva
ormai compiuto diciassette anni, la zia Anna. Dal 1812 ebbero sempre una
persona di servizio, prima Geronima Costaguta, poi Teresa Malatesta e poi,
dal 1827, Tomasina Malatesta che vi rimase anche quando Paola lasciò la
casa paterna per andare a stare con il fratello Giuseppe parroco a Quinto, di
dove, nel febbraio del 1835, scrivendo al fratello Giovanni, prossimo a
ricevere diaconato e presbiterato, lo pregava di salutarle Tomasina,
raccomandandosi alle sue preghiere e assicurandola delle proprie254.
Persona di famiglia, piú che donna di servizio.
È credibile invece che fosse la sola delle donne di casa che si interessasse
ai discorsi dei cinque uomini. Per le altre quei discorsi erano discorsi
d‟uomini istruiti, privi d‟interesse per una donna. L‟esempio del Signore che
253 A. GIANELLI, Ristretto dei Precetti Rettorici, p. 53. Manoscr. conservato in ACGSG.
254 P. FRASSINETTI, Lettere, Roma 1985, p. 1.
139
aveva fatto discepole di alta teologia la Samaritana e Maria di Betania 255
non era certo tra i piú additati all‟imitazione nelle prediche domenicali di
quei tempi. Anzi, pur ignorando l‟esistenza della Mishnah, dei Talmud e
quant‟altro avevano insegnato i famosi rabbi d‟Israele negli antichi tempi, la
pensavano piú o meno allo stesso modo di Rabbi Eliezer: “Tutta la saggezza
della donna è nel fuso”, la risposta data ad una donna che gli parve darsi aria
di saputa chiedendogli perché tutti quei che nel deserto avevano commesso
lo stesso peccato adorando il vitello d‟oro, non erano tutti morti alla stessa
maniera256. Che Paola a tavola stesse zitta e tutt‟orecchi ad ascoltare i
cinque uomini è ancora credibile, ma che, tornato il padre al negozio, un
padre a cui, già fondatrice, scrivendogli da Roma continuava a rivolgersi
con il “Lei”257, non ponesse mille domande al fratello, ne dubito.
All‟occorrenza non le mancavano le rispostine con un tantinello di
impertinenza, e, anziana, le rievocava compiaciuta alle sue suore:
Si levava di buon mattino per recarsi alla chiesa vicina e quivi ascoltare la
santa Messa – all‟epoca la prima messa si celebrava per lo piú alle sei – e
cibarsi con gran fervore del pane eucaristico... Chiestole un giorno dal fratello
maggiore [Giuseppe] per qual motivo si alzasse ella cosí di buon‟ora, non
sembrando a lui necessaria tanta sollecitudine, si ebbe in graziosa risposta: “E
non rammenti tu come solamente quelli che prevenivano il levar del sole
raccoglievano la manna?”258.
Paola vuole sapere, sapere e capire, capire chiaro. Che faticaccia per
Giuseppe far capire le parole difficili dei suoi testi latini e le non meno
difficili dell‟italiano tutto leccato che s‟usava a scuola come voleva lo stile
dell‟epoca. Ripetere a scuola quello che andava studiando non gli costava
gran che: la lingua con cui gli insegnavano era quella con cui riesponeva le
cose apprese. Un linguaggio tecnico, da iniziati, di preferenza latino.
Linguaggio di cui quella sorellina di purissima lingua genovese, sestiere
Portoria, non comprendeva una parola. Certo, non era pane per denti di
donne, e la zia e la nonna avranno anche mugugnato non poche volte che se
ne stesse lí tutta incantata invece che aiutarle a sfaccendare. Anche gli
apostoli si meravigliarono di Gesú che parlava di cose altissime con una
255 Gv 4,5-29; Lc 10,38-42.
256 Talmud Babilonese, 66b.
257 P. FRASSINETTI, Lettere, p. 2.
258 E. VASSALLO, Memorie intorno..., p. 11.
140
donna, la Samaritana, e pure Marta mugugnò forte contro quella sua sorella
Maria che, invece d‟aiutarla, se ne stava beatamente seduta ai piedi del
Signore259. Ma quella bimba aveva tanta fame delle cose di Dio! Ed ecco il
fratello, cosí legato a lei, impegnarsi a tradurre il suo latino in un italiano
latinoso a lei del pari incomprensibile, ed infine in un italiano da sembrare
quasi genovese, e non soltanto per la cadenza della voce. Un vocabolario
ridotto alle parole d‟uso comune. Elementare. Nessun barocchismo. Via tutti
i per se, i per accidens e i secundum quid. Paola non comprende ancora, e
lui a limare e limare finché il concetto non si fosse fatto chiaro e persuasivo,
senza nulla perdere della ricchezza di contenuto del testo latino. Non ne ha
consapevolezza, ma Paola e gli altri fratelli lo costringono a rendere chiaro a
se stesso quello che va studiando e a riesprimerlo con il tono con cui si
conversa con la propria gente delle cose del giorno. Un italiano che alla
gente del suo tempo pareva un po‟ sciatto, persino al suo vecchio professore
di lettere, ormai vescovo a Bobbio, scrivendogli il 10 febbraio 1845, gli
raccomandava: “Vi pregherei ad aver pazienza nello scriverla la storia
ecclesiastica onde limarla un poco piú”260.
Ed in una lettera del 26 febbraio 1843 al canonico Giovan Battista
Cattaneo, rettore del seminario di Genova, come fosse ancora in cattedra e
loro nei banchi il giorno della correzione dei temi, il Gianelli mette a
raffronto lo stile semplice del Frassinetti, a suo dire addirittura alquanto
trasandato, con quello tutto leccato del Barabino:
Sono rimasto contentissimo [delle bozze del Seminarista diretto],
edificantissimo, sebbene da principio un poco scandalizzato di trovare in
Barabino261 uno studio tanto leccato. E per dir vero io anche adesso lo
amerei un poco piú facile e piano, onde i Seminaristi tutti, anche i piú
piccoli, anche i piú grossolani (e sapete che non sono mai pochi) potessero
gustarlo e, soprattutto, intenderlo bene. Io, a cagion d‟esempio, non ne ho un
paio capaci di gustarne la bellezza dello stile e la metà, scommetterei, non lo
intendono per metà e non lo leggono. Per questa ragione non ne prenderò
molte copie; ma scrivetemene per una cinquantina onde concorrere alla
259 Gv 4,27; Lc 10,42.
260 A. GIANELLI, Lettere, vol. 5, Roma 1978, p. 7, n. 1035. Gli originali citati in questo
capitolo si custodiscono nell‟AF.
261 Uno dei “Ragazzi del Gianelli” con il quale ci incontreremo parlando della Beato
Leonardo, o “Circolo Frassinetti” che dir si voglia.
141
stampa. Ben immagino che il Barabino ha mirato ad allettarli pur con lo
stile; ma stimo che qui l‟abbia sbagliata perché, ripeto, i piú pei quali è
scritto, non che gustarlo, né anche l‟intenderanno. Per quelli che sono in
grado di gustarlo è una gioia, è una manna, è cosa carissima e preziosa... Mi
compiaccio che avremo in Barabino uno scrittore di cose purgatissime; ma
bisogna fargli trattare argomenti che le vogliano, come sarebbe stato questo,
se non avesse da servire per tabani la piú parte... voi che comandate direi
faceste in modo che Barabino si tenesse piú alla semplicità e candidezza del
Frassinetti se mai imprendesse a scrivere cose divote, e il Frassinetti
ritoccasse e ripurgasse un po‟ meglio le sue; oppure (e sarà la piú sicura) che
Barabino rivada ritoccandole. E fateglielo fare assolutamente se [il
262
Frassinetti] si accinge a pubblicare la storia ecclesiastica .
Cattaneo, Barabino e Frassinetti erano stati suoi alunni. Ad un secolo e
mezzo di distanza, mentre il Frassinetti si legge come avesse scritto ieri,
quei che all‟epoca godevano fama di buona penna e forbita eloquenza si
riescono a leggere solo se vi si è condannati per motivo di studio263.
Il Frassinetti già da allora non studiava piú per sé, per il bel voto o la
bella stima. Spesso le delusioni sono salutari. In quel primo anno di
“Rettorica” il suo Gianelli gli aveva assicurato la corona per il bel
262 A. GIANELLI, Op. cit., vol. IV, pp. 23-24,26. La storia ecclesiastica a cui attendeva il
Frassinetti, è a noi pervenuta e si conservata nell‟AF, Manoscritti, vol. 2, cm 21x31, pp. 739.
Si tratta di un primo abbozzo, che non va oltre il quarto secolo, con appunti e studi
preparatori su tutto il primo millennio.
263 Valga come esempio il primo periodo dell‟elogio funebre che gli tenne il canonico
Filippo Poggi, suo compagno di studi ed oratore di buona fama, già professore d‟italiano e
latino in seminario: “Se dopo la sentenza al peccatore Adamo intimata, inevitabil divenne la
dura necessità del morire, cotalché né gagliardia di complessione, né splendore di natali, né
copia di ricchezze, né eccellenza di ingegno, né vastità di sapere, né finalmente la stessa
santità di costumi siano valevoli od a sospendere il decreto, o ad indugiarne l‟esecuzione;
d‟onde vien mai, Ascoltatori prestantissimi, che nella morte di un uomo per virtú e dottrina
ragguardevole, tanti gemiti ascoltinsi e tanti sospiri, e tante si levino al cielo affannose
querele?”. Se continuassimo, avremmo una bella raccolta di perle: “Se piantando Giacobbe le
sue verghette scorzate in parte e in parte verdi nell‟abbeveratoio dell‟armento, n‟ebbe i parti e
vaiolati e molti...”. Passando poi a parlare dei suoi studi, ci fa incontrare col sofo di
Konisberga, da noi conosciuto con l‟umile nome di Kant. Cfr. F. POGGI, Della vita e degli
scritti di Giuseppe Frassinetti priore di Santa Sabina – Discorso nelle solenni rinnovate
esequie il dí 14 febbraio 1868, Genova, 1868. Un argomento, lo stile, su cui torneremo piú
avanti.
142
versificare latino. A quindici anni un‟alcaica! L‟ode latina gli fu pubblicata,
ma la corona andò ad un altro. Non sempre nell‟aggiudicare i premi il
consiglio dei professori guarda solo al merito, ed il Gianelli non poté
insistere. Qualcosa di simile era accaduto, proprio in quegli anni, anche a
Giovanni Ruffini, alunno del Collegio Reale tenuto dagli emiliani264.
Giuseppe ha capito che le cose non vanno fatte per se stessi, fosse pure in
vista di un semplice riconoscimento. Continuerà a studiare difficile per
ridonare ad altri in forme facili quel che va man mano conoscendo di Dio.
Solo se si hanno i concetti chiari, si può poi esporli con parole semplici e
naturali. Ma quanto san Tommaso, quanto pensiero dei santi padri, quanta
conoscenza dei grandi teologi e del magistero della Chiesa, a tacere della
Scrittura, si intravede in quel suo dire piano e colloquiale da chi ha una
qualche dimestichezza con quei testi! Se ne ha una riprova quando in una
lettera al suo vescovo giustificò un suo scritto con larga citazione di fonti.
C‟è gente che pare non avverta la presenza dell‟aria se non l‟investe il
vento.
Veicolo alla fede è la parola265, ma come si può percepire se essa suona
incomprensibile all‟orecchio? Un suono che si perde nell‟aria. In Paolo
apostolo si legge che se la tromba dà suono confuso, il soldato non sa come
entrare in battaglia. Il Frassinetti, aiutando i fratelli, ha scoperto che agli
altri non è sempre chiaro quello che a noi è chiarissimo266 Una volta
parroco non presumerà che tutti gli uditori capiscano l‟italiano fiorito ed
artificioso allora di moda sui pulpiti. Sa per esperienza che un buon numero
di genovesi comprende bene solo il genovese, perciò la domenica
pomeriggio farà i suoi catechismi al popolo in genovese267, nel genovese
delle erbivendole, sceneggiandoli: lui il maestro, il fratello don Giovanni
l‟ignorante. La natura burbera di questo fratello rendeva convincente la
264 G. RUFFINI, Lorenzo Benoni, cap. III. Torneremo su questo romanzo autobiografico
per conoscere meglio l‟ambiente studentesco della Genova degli anni Venti del secolo scorso.
265 Rm 10,17.
266 1 Cor 14,8s.
267 “Al dopo pranzo spiegava il catechismo serbando l‟uso di Genova, facendo cioè il
dialogo in dialetto... in modo fervoroso e pratico”, depose la teste Luigia Cosso, che da
giovanetta era stata una sua penitente”, Process. Ian. super fama sanctitatis, f. 956. Cfr. pure
G. FRASSINETTI, Manuale del parroco novello, Novara 1863: “Il parlare piú che è possibile in
dialetto è cosa di molta utilità, perché le persone idiote l‟intendono assai meglio che la lingua
colta cui non sono accostumate”, p. 96.
143
parte dello zoticone duro a capire268. Sparsa che se ne fu la voce, Santa
Sabina rigurgitò di gente d‟ogni parrocchia, mai stanca d‟ascoltarlo. Si
sarebbe fermata lí l‟intero pomeriggio a sentirlo, se il Priore non si fosse
ostinato a non oltrepassare mai la mezz‟ora! A far propaganda di casa in
casa a tali catechismi pensava un cappuccino frate cercatore, il “Padre
Santo”, che lo ha preceduto sugli altari: “Avete un parroco a S. Sabina, che è
la perla dei sacerdoti. Spiega il catechismo che è un amore. Lo farebbe
capire anche agli scemi”269. Tra gli uditori anche un bimbo aristocratico
accompagnato dalla nonna, Giovan Battista Lemoyne, il futuro biografo di
Don Bosco, che ne serberà cara memoria fino alla sua tarda vecchiaia270.
Questa dote di riuscire ad esprimere le verità piú alte in un linguaggio
semplice e piano, comprensibile anche ai fanciulli ed agli ignoranti, anche
agli scemi, proprio come desiderava il Gianelli, risale, ne sono piú che
convinto, al tirocinio fatto in casa per comunicare ai fratelli ed alla sorella
quello che andava scoprendo di Dio. In quegli anni fu a casa, piú che a
scuola, che apprese a parlare e a scrivere con un linguaggio comprensibile
persino ai tabani, agli idioti e agli scemi, già, perché anch‟essi sono
chiamati alla salvezza.
Abbiamo fermato l‟attenzione sulla sorellina avendone una testimonianza
nei suoi ricordi. Ma come lei, e con lei, non saranno stati da meno i tre
fratelli minori, ai quali, se non fece una scuola vera e propria come a lui il
padre Angelico, anche se non si può escludere, fece certo da ripetitore.
Questo lavoro con la sorella gli fa scoprire inoltre fin dalla prima
giovinezza quanto vale una donna e cosa una donna è capace di fare, se si
innamora di Dio. Cosí, mentre Don Bosco, tanto amico del Frassinetti, e
forse anche mosso dal suo esempio, si accorse solo da anziano dell‟aiuto
grande che potevano offrigli le donne nelle opere di ministero se avesse
avuto cura di dirigerle nello spirito, il nostro Servo di Dio si trovò già pronto
a tale apostolato fin dai primi anni del suo sacerdozio. Per Don Bosco
268 In realtà anche lui fece gemere la sua parte i torchi degli stampatori, come pure l‟altro
fratello Raffaele.
269 TEODOSIO DA VOLTRI,, S. Francesco Maria da Camporosso cappuccino, Roma 1962,
p. 185.
270 Cfr. le sue due lettere che si conservano nell‟AF e furono edite da M. FALASCA in
“Risonanze” 3(1990), pp. 9-12.
144
seminarista, privo di sorelle, la donna, eccettuata la madre, era un pericolo
per la vocazione; per il Frassinetti, seminarista esterno con una sorella ed
una zia in casa, le donne si chiamavano anche Paola e zia Annetta.
CAPITOLO X
145
COME A CASSICIACO
UNA CASA CONVENTO
Ma di che cosa disputavano quei “cinque uomini” seguiti con tanto
interesse da una fanciulla? La mente vola a Cassiciaco. Sono bimbi che
sembrano aver scoperto un gioco che potremmo chiamare: “A Cassiciaco”,
senza che sapessero ancora nulla di Agostino e di quei che tanti secoli
innanzi si erano ritirati con lui in una villa lungi dalla vita tumultuosa di
Milano. Confessioni, De vita beata... nomi mai uditi. Giuseppe forse sí, ma
non molto piú del nome. Eppure c‟è tanta rassomiglianza con il modo in cui
si viveva a casa Frassinetti. Lo riscontreremo anche agli inizi dell‟Istituto di
Santa Dorotea, fondato da Giuseppe e da Paola, nonché nella Congregazione
del Beato Leonardo da Porto Maurizio.
Ci aiuta a comprendere il serissimo passatempo di questi bimbi la
rilettura di qualche passo delle Confessioni in cui Agostino, parlando al
Signore, ci fa rivivere le giornate di Cassiciaco, e l‟aggiunta di un paio di
pagine del De vita beata ivi composto in quell‟autunno inverno 386-387:
Partii per la villa con tutti i miei. Che lavoro letterario vi svolgessi, ormai
tutto dedito al tuo servizio, lo attestano i libri che composi disputando con
quei che erano con me... Dove trovare il tempo per raccontare ad uno ad uno i
benefici che in quei mesi ci elargisti, avendo da parlare di beni ancora piú
grandi?271.
Quelle “dispute”, stenografate a mano a mano che si tenevano, ci
fotografano la vita di quella brigata di parenti ed amici che trascorreva il
tempo in discussioni di filosofia ripensata alla luce di Cristo, a recitare
salmi, a commentare Virgilio, a leggere il vangelo di Giovanni o le lettere di
Paolo. Isaia no, anche se consigliato da sant‟Ambrogio. Non trascuravano di
sorvegliare i lavori dei campi o di osservare i fenomeni della natura e
discuterne. All‟aperto, s‟era bel tempo; dentro casa, se inclemente.
Erano conversazioni aperte all‟intervento di tutti, anche del “fanciullo”
Adeodato, il figlio di Agostino, di soli quindici anni, ma d‟ingegno tale da
271 AGOSTINO, Confessioni, libro IX,4,1.
146
stupire gli adulti di molto studio ed impensierire il padre. C‟era Navigio,
fratello d‟Agostino, Alipio, l‟amico di sempre e fratello del cuore, purista:
mal detto di Cristo: Salvator; un brutto neologismo, in buon latino si doveva
dire: Servator. C‟erano i cugini Lastidiano e Rustico, i discepoli Trigezio,
già soldato, posato ed appassionato di storia, e Licenzio, preso da estro
poetico e tutt‟intento a comporre un poema.
Monnica272, la madre, donna di fede virile, senile gravità, cristiana pietà
e materna carità, mandava avanti la casa e, tra uno sfaccendare e l‟altro, si
fermava ad ascoltare e diceva la sua. Non aveva certo la cultura di quelle
sante donne romane amiche di Girolamo, eppure, benché priva di studi, il
figlio deve darle atto di far centro penetrando nella roccaforte della
sapienza. Uno stralcio delle belle dispute per darne un‟idea. Dal 13
novembre, compleanno di Agostino, si erano proposti d‟appurare in cosa
consistesse la vera felicità, la Vita beata.
Riaprii il discorso con una domanda:
– Si tende tutti alla felicità?
L‟assenso fu unanime.
– Vi pare felice uno che sia privo di quel che brama?
– No –, risposero tutti.
– Si può allora affermare felice chi possiede tutto ciò che brama?
Intervenne la madre:
– Se brama cose buone e le possiede, può dirsi felice; se desidera
invece cose cattive, anche le possedesse, è un povero
disgraziato.
La guardo e le dico sorridendo:
– Madre, sei penetrata nella fortezza delle filosofia. Ti sono
soltanto mancate le parole di Cicerone del secondo libro
dell‟Ortensio...
272 È la grafia sostenuta dal padre Antonio Casamassa, mio professore di venerata
memoria, uno dei piú profondi conoscitori di sant‟Agostino. Cfr. A. CASAMASSA, S. Agostino,
in Scritti Patristici vol. II, Roma 1956, p. 277: “I Maurini fanno notare che la madre di
Agostino si chiamava «Monnica». Del resto il nome «Monnica» ricorre spesso nell‟epigrafia
africana”. È la forma da lui usata nella voce Agostino per l‟Enciclopedia Italiana (Vol. I,
913s) e nella voce non firmata “Monnica (non Monica)” della stessa Enciclopedia (Vol.
XXIII, 680), forma adottata, sull‟autorità del Casamassa, anche da G. PAPINI, S. Agostino,
Firenze 19636, pp. 282.
147
Approvò la citazione con tali esclamazioni da darci l‟impressione
d‟avere accanto a noi un uomo famoso e non una donna, e
cercavo di indovinare a quale divina fonte ella si abbeverasse...
Su un punto furono tutti d‟accordo: nessuno può essere felice se non
possiede ciò che brama: gli scettici, per esempio, che cercano la verità e non
la trovano; ma neppure può esserlo chi disponga di tutto quel che vuole col
timore di poterlo perdere. Si giunse alla conclusione che può ritenersi felice
solo chi possiede tutto quel che brama, purché al riparo da ogni avversità.
– Ammettete che Dio sia un bene eterno e sempre presente?
– È cosa cosí certa – osservò Licenzio – che non occorre chiederlo.
Ne convennero tutti con pia devozione.
– Ne deriva che è felice chi possiede Dio…
– Non rimane dunque , io penso, che da investigare chi possieda
Dio.
– Chi vive bene – intervenne Licenzio.
– Chi compie in tutto la sua volontà – soggiunse Trigezio.
– Ben detto – confermò Lastidiano.
A questo punto intervenne il fanciullo:
– Possiede Dio chi ha l‟anima monda da impurità.
La Madre trovò buone tutte le risposte, ma nessuna come quella del
fanciullo.
– E tu Navigio?
– Faccio mia la risposta del fanciullo.
Rustico se ne stava zitto, non perché la questione non
l‟interessasse, ma per timidezza. Interrogato, convenne con
Trigezio...273.
Peccato che i fratelli Frassinetti in quel loro giocare “a Cassiciaco” non
pensassero di fissare sulla carta i vari interventi. Sarebbe stata una lettura
interessantissima ed anche spassosa. Oltre tutto vi avremmo ritrovato
argomenti non dissimili da quelli del saggio sopra riportato e risposte come
quella data da Paola al fratello Giuseppe, forte dell‟esempio degli ebrei che
avevano da alzarsi presto il mattino se volevano sfamarsi di manna. Anche
lei avrà dato piú di una volta al padre e ai fratelli l‟impressione che avessero
accanto a sé un uomo famoso e non una fanciulla, da far loro ripetere le
parole che Juan de Salinas, cosí prevenuto riguardo alle donne, scrisse al
grande teologo Bañez che gli aveva presentato Teresa d‟Avila: “Me habíais
273 AGOSTINO, De vita beata, 2,10-12.
148
engañado... diciéndome que... es una mujer; a fe mía, que es un hombre y de
los más dignos de llevar barba”274.
Riavvicinamenti cervellotici? Certo. Piú scusabile il processo inverso del
Titiro virgiliano che aveva creduto d‟essersi fatta un‟idea di Roma
ingigantendo il suo villaggio275, che non la mia pretesa di farmi un‟idea
delle dispute di quei fanciulli partendo dal De vita beata d‟Agostino,
eppure...
Qualcosa di simile anche alle origini delle Dorotee:
La Fondatrice aveva stabilito che per addestrarsi a parlare di cose
spirituali... dovessero tutte per turno giornaliero parlare or sopra questa or
sopra quella virtú... e ciò non solo in presenza della piccola comunità, suore
ed alunne, ma altresí assai di frequente in presenza del prevosto [suo
fratello]276.
Non una ricezione silenziosa e passiva dunque, ma attiva partecipazione.
C‟è di piú. L‟episodio del fratello Giuseppe che dice a Paola che non c‟è
bisogno di alzarsi cosí presto per andare a messa, ci fa da spia sui colloqui
che si tenevano tra le pareti domestiche di casa Frassinetti, ritrovandolo
rielaborato dal fratello ne La forza d‟un libretto in cui si attribuisce a
Virginia un episodio analogo. Basta sostituire a Virginia Paola; alla mamma,
già morta, il padre in vena di scherzare un poco sulla grande devozione della
figlia; alla nonna Giuseppe; alla zia di Virginia la zia Anna, e concedere allo
scrittore il pieno diritto d‟usare la variatio277. Il Frassinetti, scrivendo per
274 Mi avevate ingannato.. dicendomi che.. è una donna; in fede mia, è un uomo, e di
quelli piú degni di portar barba. Cfr P. SILVERIO DE S. TERESA, Vida de S. Teresa de Jesús, t.
II, Burgos 1935, p. 505.
275 VIRGILIO, Ecloga I, 19-25.
276 Memorie intorno.., Op. cit., p. 28.
277 Figura letteraria conosciuta dal Frassinetti a cui già ricorse negli anni di “Rettorica”
in un tema in versi sulla morte di Temistocle. Avendolo fatto morire di ferro suicida, invece
che di veleno, se ne giustifica in nota: “Si avverta che per poetica licenza si finge che non col
veleno, come scrivono certi storici, ma col ferro si sia ucciso; si dirà che sia licenza presa a
spese della storia, ed io nol niego”. G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. 19, Ascetica – Poesie e
frammenti, p. 594, in AF. È ciò che del resto fa anche Giovanni Ruffini in Lorenzo Benoni
attribuendo a sé fatti accaduti ai fratelli ed ad altri.
149
delle fanciulle e volendosi immedesimare in una fanciulla, tornò con il
pensiero all‟episodio della sorella e ce lo raccontò sessant‟anni prima che le
buone dorotee lo fissassero sulla carta:
Iersera – fa raccontare a Virginia – ne chiesi licenza a mamma [di andarmi
a confessare], che me l‟ha accordata. Si mostrò per altro sorpresa; e mi
domandò come mi lasciassi prendere da tanta divozione: prima, mi disse, vi
andavi appena ogni tre o quattro mesi: adesso, non ancora passato un mese,
e vuoi tornarvi?
Era questa la frequenza all‟eucaristia della comune dei buoni cristiani. Si
noti nella risposta il “lei” ai genitori come s‟usava in casa Frassinetti.
Se mel permettesse, le risposi, da qui avanti vorrei andarvi alquanto piú
spesso. Capisco, ripigliò, sarà la Nonna che vorrà farti una santocchia,
com‟essa è: se vuoi va pure: vi ti accompagnerà la zia. La chiamò tosto, e le
disse che osservasse bene di non farmi alzare troppo presto. Siccome non mi
assegnò l‟ora, credetti che non fosse troppo presto alzarmi alle cinque: mi
vestii in fretta, e andai cheta cheta alla stanza della zia, che già era in
ginocchio recitando le sue orazioni. Vedendomi già pronta per uscire, restò
sorpresa e mi disse: Cosí presto Virginia? se la mamma se ne avvede, griderà
forte. Si metta il velo, risposi; non mi pare troppo presto; tuttavia facciamo
zitto per non disturbare chi dorme...278.
Il problema di quelle due ragazze era da chi farsi accompagnare per
andare in chiesa anche nei giorni feriali, perché da sole neppure a parlarne, e
a quali astuzie ed argomenti ricorrere per convincere una la zia e l‟altra la
persona di servizio. Ora ecco cosa depone una teste nel processo di
canonizzazione di santa Paola: “Soleva anche nelle mattine andare spesso
alla Messa accompagnata dalla persona di servizio o dalla zia: certo che da
sola non la mandavano”279. Dalla persona di servizio, dalla zia o dai
fratelli: “Alla mattina per tempo – ci ha lasciato scritto il fratello Giovanni –
, o colla domestica o con taluno di noi in chiesa a far le sue divozioni, anche
278 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto,… pp. 76-77. Cfr. sotto la citazione completa.
279 POS.P., p. 40.
150
nei giorni feriali”280. Anche il dire le preghiere in ginocchio doveva essere
un‟usanza di casa Frassinetti.
Quando all‟inizio degli anni Quaranta il venerabile Servo di Dio
cominciò a pubblicare quei libretti di spiritualità indirizzati ai giovani ed
alla gente semplice per persuaderli che si è tutti chiamati alla santità, non
faceva che mettere per iscritto le argomentazioni che avevano tanto
interessato i fratelli e la sorella. Per il momento prendiamo in esame solo
quattro pubblicazioni tra le prime date alla luce. In esse possiamo cogliere
con molta verosimiglianza il tenore di quelle loro dispute di... alta teologia,
avendo il Frassinetti sempre scritto ciò che già aveva a lungo vissuto.
La santa verginità281. Un trattatello sull‟eccellenza della verginità
secondo la tradizione cara ai Padri della Chiesa, presentata con linguaggio
semplice e piano, non solo in quanto virtú amabile di per se stessa, ma quale
presupposto per esercitare con maggior dedizione le opere di religione e di
carità. In esso si dissipano i pregiudizi e si sciolgono le difficoltà che le
ragazze dei vari ceti sociali potevano addurre. No, non era essenziale entrare
in convento, anche se i monasteri sono
gli asili piú nobili e sicuri della S. Verginità, purché non vi sia entrata la
rilassatezza, giacché il chiudersi con compagne dissipate e inosservanti della
regola porterebbe molte inquietudini di spirito, per le quali si potrebbe
desiderare di essere rimasti nel secolo282.
280 Lettera di don Giovanni Frassinetti ad una madre dorotea (Elisa Vassallo ?) in data
20 giugno 1882. ACGSD.
281 G. FRASSINETTI, La santa verginità, Genova 1841. È un libretto di cm 7,5x10. In tutto
96 paginette, uscito anonimo. Ebbe un successo enorme, molte le ristampe, anche a cura di
Don Bosco nelle “Letture cattoliche”. Dalla seconda edizione uscí con il nome dell‟Autore ed
il titolo mutato in: La gemma delle fanciulle cristiane, ossia la santa verginità. L‟edizione del
1924, a 83 anni dalla prima, era la trentesima di quelle conosciute!
282 Il passo è citato dalla prima edizione, pp. 53-59. Nelle edizioni successive alla prima
lo troviamo cosí mitigato: perché è cosa piena di pericolo rinchiudersi con compagne
svagate e inosservanti delle regole del proprio istituto. Modificato perché suscitò
ammirazione in qualche pio lettore?
151
La forza d‟un libretto, dialoghetti283. Immagina che una ragazza,
Virginia, abbia trovato un esemplare mal ridotto de La Santa Verginità,
privo del primo paragrafo e dei paragrafi successivi all‟undicesimo del
capitolo quarto. Ne era rimasta cosí presa da parteciparne la lettura
all‟amica Elisa. È un modo per sbriciolare sotto forma di dialogo la sostanza
della prima pubblicazione che, per quanto esposta in forma piana ed
elementare, aveva pur sempre qualcosa del trattato. Il titolo dice tutto.
Questo libretto ci può ridare piú o meno il tono delle conversazioni in casa
Frassinetti e gli argomenti di spiritualità in essa trattati, non solo, ma anche i
risultati: la scelta della vita consacrata da parte di tutti e cinque i fratelli ed il
loro prodigarsi per innamorarne gli altri.
283 ID., La forza di un libretto, dialoghetti, cm 9x15, Genova 1841, pp. 180. Fu
pubblicato, anch‟esso anonimo, subito dopo il primo. Nell‟ultima edizione curata dall‟Autore,
avendo fatto delle aggiunte al libretto immaginato trovato da Virginia, ne fa arrivare la lettura
fino al paragrafo undicesimo del capitolo quinto.
152
Compendio della Teologia Dogmatica284. Ne dice lo scopo nella
prefazione:
Lo scopo che mi prefiggo in questo Compendio di Teologia Dogmatica è
quello di mettere nelle mani dei Chierici, i quali la insegnano ai fanciulli, una
breve ma distinta esposizione della verità di nostra SS. Religione; affinché
anche prima d‟avere studiato tutti i Trattati Teologici possano evitare quelli
errori, nei quali cadono, quasi necessariamente, parlando di certi dogmi sopra
i quali non hanno ancora fatto alcuno studio... Scrivo questo compendio in
italiano, perché secondariamente vorrei che fosse utile anche alle persone
secolari... – mia la sottolineatura –. Non toccherò quelle controversie le quali
richiedono nel lettore fondo d‟istruzione, e lunghi trattati....
A differenza dei catechismi della nostra infanzia, non è il maestro che
pone la domanda al discepolo per vedere se ricorda a memoria la rispostina
appresa a forza di ripeterla in coro, ma è il discepolo che pone domande al
maestro per soddisfare il suo desiderio di conoscere le cose di Dio. Una
catechesi attiva. Se il Frassinetti non ne ha il merito dell‟invenzione,
trovandosi già in san Roberto Bellarmino nella Dichiarazione piú copiosa
della dottrina cristiana per uso di quelli che insegnano ai fanciulli e alle
altre persone semplici, ha quello della scelta e della semplificazione del
linguaggio285. Tenuto conto della destinazione, viene da pensare che il
primo abbozzo debba risalire a quando, ancora chierico, andava a fare
catechismo e si intratteneva in casa su gli stessi argomenti per risolvere le
questioni dei fratelli e della sorella – debbono essere questi gli argomenti
284 ID., Compendio della Teologia Dogmatica, Genova 1842, pp. 239 dello stesso
formato. Nelle edizioni successive il titolo fu mutato nel piú modesto Catechismo dogmatico,
anche se il primo titolo si rifaceva a quelli di opere consimili del Gersone e del Canisio.
GERSONE (1362-1428), Compendium theologiæ breve et utile. Povero Gersone, mal gliene
incolse dai dottoroni dell‟epoca: aveva tradito la dignità della categoria scrivendo per i
fanciulli. Gersone si difese con il De parvulis ad Christum tradendis. L‟Opera di san Pietro
Canisio è troppo celebre perché si abbia ad illustrare, anch‟essa diretta ai catechisti e alle
persone colte. Il Catechismo dogmatico del Frassinetti ebbe molte edizioni e ristampe.
Piacque tanto al card. Manning da farlo tradurre in inglese e presentarlo lui stesso al
pubblico: A Dogmatic Catechism. From the Italian of Frassinetti. Revised and edited by
Oblate Father of St. Charles: With a Preface by… the Archbishop of Westminster – Enrico
Edoardo Manning non ancora cardinale –, London 1872[1871].
285 Ne La dottrina cristiana breve perché si possa imparare a mente del Bellarmino le
domande le fa il maestro.
153
sacri di dommatica, di morale e simili nei ricordi della Santa – ed avviare
anch‟essi all‟apostolato catechetico. Questa la ragione, del resto espressa,
d‟averlo steso in italiano per prevenire l‟accusa d‟aver offeso la dignità
dell‟argomento.
Il conforto dell‟anima divota286. Un classico della spiritualità,
ristampato infinite volte e tradotto in varie lingue287. Nei primi capitoli di
quest‟opera mi pare di scorgere uno dei temi piú dibattuti nelle dispute dei
nostri teologi in erba: Chi sono i santi? Dalle prediche udite in chiesa si
sarebbero detti degli esseri privilegiatissimi che Dio fa nascere di tanto in
tanto per dimostrare tutta la sua potenza facendoli vivere in modo
inimitabile: estasi, profezie, continui prodigi, penitenze spaventose, fino a
rifiutare, alcuni, ancora in fasce, il latte materno nei giorni di penitenza.
Persone non di questa terra né della comune dei mortali.
Ma se Dio pone anche in noi un vivo desiderio di santità è chiaro che
anche noi siamo chiamati a divenire santi. Dio non è certo uno che inizia
un‟opera e poi non riesce a portarla a termine288. Ma i miracoli? Ma
l‟assenza d‟ogni umana miseria?... Verrebbe quasi da dire che il desiderio di
286 G. FRASSINETTI, Il conforto dell‟anima divota. Purtroppo non ci è pervenuta la prima
edizione. Il Capurro, seguito dal Renzi, la poneva al 1852. Riuscii ad accertare che era
anteriore di ben otto anni, perché recensita con grandi lodi nel numero maggio-giugno 1844
degli “Annali di scienze religiose” che il futuro cardinale ANTONIO DE LUCA pubblicava a
Roma, non solo, ma se ne parla in piú lettere scritte in quell‟anno al Frassinetti. Dalla stessa
recensione si apprende che era di 190 pagine in -8°. Cfr. M. FALASCA, Il Frassinetti in giro
per il mondo in “Risonanze” LIX (1984) n. 4, p. 16-18.
287 In inglese da LADY GEORGIANA CHATTERTON, un‟anglicana accolta nella Chiesa dal
Newman. Scrittrice di poemi, romanzi ed opere che ebbero buona diffusione e le lodi del
Newman, tutt‟altro che prodigo nel darle. Traduttrice di Platone ed Aristotele dal greco, era
stata tormentata da dubbi sulla fede fino ad un anno dalla morte. Il marito pubblicò postuma
la traduzione dell‟opera del Frassinetti: The Consolation of the Devout Soul, London 1876, e
ne mandò copia al Newman. Nella prefazione diceva che era il frutto della certezza di fede
che la moglie aveva raggiunto nel suo ultimo anno di vita. Il Newman, ringraziando, definisce
la pubblicazione un indovinato e giusto monumento della cara Lady Chatterton ed aggiunge:
Io sono molto contento d‟averlo avuto. Cfr. J. H. NEWMAN, The letters and Diaries, To Mrs
Ferrers, v. XXVIII 1876 to 1878, p. 172. Un grazie ai Padri dell‟Oratorio di Birmingham di
avermi favorito una fotocopia del volume inviato al Newman. Nella bibliografia parleremo
delle altre traduzioni.
288 Lc 14.28-33; Fil 1,6; 2,13.
154
divenire santo debba per forza risolversi in una non medicabile tristezza, o,
peggio, in una fonte di scrupoli che cambiano la vita in un inferno. Lo stato
dell‟uomo sub lege, per dirla con sant‟Agostino, in cui si vede il bene e non
si riesce a farlo, e non sub gratia, quando l‟impossibile si fa possibile. A
quei dibattiti deve risalire il primo enuclearsi di risposte del Conforto
dell‟anima divota. Ne ritrascrivo il testo in forma di dialogo. Le parole poste
in bocca a Giuseppe sono riportate alla lettera:
GIUSEPPE: – La santità cristiana consiste nella carità, cioè
nell‟adempimento della volontà divina; sicché un‟anima che
eseguisce la divina volontà è un‟anima santa...
I FRATELLI E LA SORELLA (sovrapponendo le voci): – Vale per tutti?
anche per me? anche per zia? anche per Caterina che vende le
castagne di porta in porta?289.
GIUSEPPE: – Se procura di eseguire il volere di Dio, è santa, e
quanto piú s‟impegna ad eseguirlo con perfezione, tanto è
maggiormente santa.
PAOLA (pensierosa): – Cosa si richiede per adempire il santo volere
di Dio?
GIUSEPPE: – Niente piú, niente meno che l‟osservanza dei
comandamenti della legge di Dio e della Chiesa. Ecco, bisogna
distinguere due sorta di santità: la semplice che consiste nel
possedere la grazia santificante, e questa l‟hanno tutte le anime
che sono monde da peccato mortale; la perfezionata che
consiste nella perfetta unione della nostra volontà alla volontà
di Dio, sicché l‟anima aborrisca non solo il peccato mortale, ma
aborrisca anche il peccato veniale avvertito, e sia pronta ad
eseguire ciò che chiaramente conosce essere di maggior gusto
del Signore, anche nelle cose che non sono espressamente
comandate.
Si sostituisca santità a vita beata e si ha l‟impressione di leggere una
variante del brano della disputa agostiniana su riportata.
289 Nel 1863, ne La missione delle fanciulle cristiane, tra gli esempi di vita santa di
persone vive, il Frassinetti adduce quello di una giovane sui vent‟anni, rivendugliola di porta
in porta, monaca in casa delle Figlie di Maria Immacolata, che operava un bene immenso
giungendo dove nessun sacerdote avrebbe mai osato porre piede. G. CAPURRO, curatore delle
Opere edite ed inedite, vol IV, Tip. Vaticana, 1912, pp. 503-505, ce ne dà il nome: Maria
Carbone.
155
I FRATELLI (in coro): – Ma come è possibile evitare anche i peccati
veniali?
GIUSEPPE: – Dovete notare che altri sono i peccati veniali
pienamente avvertiti, quelli cioè che si commettono ad occhi
aperti conoscendo chiaramente che si fa male nel momento che
si commettono... Altri poi sono peccati veniali non bene
avvertiti che si commettono piú per debolezza che per malizia...
UNO DEI FRATELLI: – Se uno si distrae mentre prega?
GIUSEPPE: – Se accade per debolezza senza che sia voluto, è di
questa categoria.
UN ALTRO: – Se uno dice una bugia per scusarsi sapendo che è
bugia?
GIUSEPPE: – Questo è della categoria di quelli che dispiacciono al
Signore.
PAOLA (festosa): – Se è cosí: Volontà di Dio, tu sei il paradiso
mio!
Un ritornello udito ripetere con tanta frequenza dalle labbra di Paola 290.
Tutta lí la santità. Cosí anche per il fratello, il quale, già vecchio, dovendo
quei sei giovani seminaristi dell‟incipiente Opera dei Figli di Santa Maria
Immacolata traslocare, non potendoli piú contenere la canonica di Santa
Sabina, non trovò di meglio che affidarli a san Quodvultdeus, san Ciò-cheDio-vuole. La cronaca di quel trasloco ci è cosí raccontata da Don Bernardo
Rosina, uno di quei ragazzi:
Venne la solennità di San Giuseppe di quel 1866 ed io feci la mia entrata
nella nuova casa dei Figli di Santa Maria di proprietà di don Montebruno 291.
Era questa la grande soffitta del palazzo degli Artigianelli. Un grande vano
nel mezzo serviva da sala ed aveva per soffitto il tetto medesimo. Tutto
intorno erano otto o dieci camerette ciascuna delle quali riceveva luce da un
lucernario. Il giorno 17 maggio seguente anche gli altri Figli di Maria si
trasferivano dalla casa di Santa Sabina alla nuova casa. Io aiutai per il
trasporto dei mobili che consistevano nei letti, in qualche baule e pochi arnesi
di cucina. L‟unico oggetto che venne posto nella sala fu un quadro ad olio
rappresentante un vescovo che da una scritta in un angolo era detto
Quodvultdeus292.
290 Memorie intorno.. p. 305.
291 Il Servo di Dio don Francesco Montebruno, legatissimo al Frassinetti.
292 Il quadro era stato commissionato a un pittore squattrinato. Un modo d‟aiutare senza
umiliare. Non si era però d‟accordo se su commissione del Frassinetti o dello Sturla. Sia stato
156
Di tale devozione si ha una conferma nella vita di un‟angelica giovinetta
del popolo, Rosa Cordone, una figlia di Maria Immacolata, scritta dal
Frassinetti subito dopo la sua morte e ristampata a pochi mesi di distanza, e
poi altre volte ancora. Vi si legge:
Le raccomandò anche [il suo direttore spirituale, – leggi: il Frassinetti] la
divozione a un santo generalmente sconosciuto, Vescovo di Cartagine, che
soffrí per la fede sotto Genserico, ed aveva il piú bel nome che possa aversi al
mondo, cioè Quodvultdeus, che significa ciò che vuole Iddio, ed esprime
perciò la piú bella disposizione che possa avere l‟umana volontà. La sua festa
cade ai 26 di Ottobre293.
Una vecchia devozione di famiglia, “Volontà di Dio paradiso mio”.
Stando cosí le cose, quei cinque fratelli altro non avevano da fare che porsi
in gara a chi dava “maggior gusto a Dio”.
l‟uno, sia stato l‟altro, non muta nulla essendo i due vissuti in perfetta simbiosi. Resta il fatto
che fu il Frassinetti a farne dono ai suoi aspirantini al sacerdozio e non mancò certo
d‟accompagnare il dono con un bel sermoncino, come l‟occasione richiedeva, prendendo
spunto da quel nome cosí strano: San Ciò-che-Dio-vuole! Un quadro compendio di tutta la
santità. Il Frassinetti deve esserne venuto a conoscenza, leggendo le lettere 221-224
dell‟Epistolario agostiniano. Nella 221 il diacono Quodvultdeus chiede ad Agostino una
sintesi di tutte le eresie. Nella 222 Agostino gli dice dei tentativi già fatti e delle difficoltà che
il lavoro presenta. Nella 223 il Diacono insiste. Agostino promette di farla se troverà tempo.
Nel 437 Quodvultdeus fu eletto vescovo di Cartagine, ma ne fu espulso all‟arrivo dei Vandali.
Trovò rifugio in Italia, in Campagna.
293 G. FRASSINETTI, La rosa senza spine.., Op. cit. Cito dalla 5a ed., l‟ultima curata
dall‟Autore, – cinque in otto anni! –, Genova 1867, pp. 87.
157
CAPITOLO XI
FRATELLI IN GARA
A CHI DÀ MAGGIOR GUSTO A DIO
Dite al Signore che vi conceda la grazia di non essere piú
buona a nulla fuor che a dar gusto a Lui; beati noi se
perdessimo tutte le altre abilità e ci restasse questa sola di dar
sempre notte e giorno e continuamente gusto a Dio!
G. Frassinetti, Lettera a Carlotta Gibelli
Torniamo in quella santa casa. I quattro fratelli e la sorella sentivano tutti
vivo il desiderio di consacrarsi a Dio con consacrazione totale. Per Paola
sembrava un desiderio condannato a restare desiderio, perché mai avrebbe
potuto disporre di una dote e, senza dote, non si entrava in convento. Anche
per i fratelli nell‟ accedere al suddiaconato si richiedeva un titulus
sustentationis a garanzia di un‟esistenza decorosa, ma, per essi, se privi di
158
un loro patrimonium, c‟era pur sempre il beneficium ecclesiasticum con
l‟obbligo di prestare alcuni servizi294.
Perché, si chiedeva Paola, far nascere nel cuore di una ragazza povera un
tale desiderio, sapendo Dio che in nessun modo si sarebbe potuto realizzare?
Il fratello non poteva non fare sua la domanda: “Ma perché Dio permette
che [delle fanciulle] abbiano un cosí vivo e santo desiderio, che non dovrà
essere soddisfatto giammai?”295. Chissà quante volte e in quanti modi
Giuseppe dovette cercare di consolare la sorella, senza mai riuscire a
persuaderla con nessuna risposta per quanto teologicamente ineccepibile.
Torniamo a sceneggiare le argomentazioni dei libretti su citati
distribuendone le parti tra Giuseppe e Paola nel rispetto letterale del testo:
GIUSEPPE – Ecco il perché: Dio permette quella brama vivissima
da non soddisfarsi mai, affinché abbiano il merito della vita
religiosa, sebbene siano obbligate a restare in mezzo al mondo.
Non basta infatti davanti a Dio un desiderio sincero per avere il
merito dell‟opera santa, quando questa non si può fare? Lo
vediamo dal contrario. È chiaro che l‟uomo, il quale desidera di
rubare e non ruba perché non può, è reo della malizia del furto:
cosí queste fanciulle...296.
294 Archivio della Curia Arcivescovile di Genova, Filze Patrimonii, Canonici Tituli
1825-1827. Al N. 95: “Si è pubblicato nel giorno di S. Giuseppe il titolo del patrimonio del
Rdo Chierico Giuseppe Frassinetti di Gio. Battista, costituito dal R do parroco di Santo Stefano
di una cappellania da sperimentarsi sul frutto di due appartamenti spettanti alla sudta Chiesa
coll‟onere di celebrare o far celebrare tante messe giornali (sic) quanto ne porta il frutto
annuo di detti due appti, che sono lire 450. Detti appartamenti sono situati in cima alla Salita
delle Religiose Battistine... Si è egualmente pubblicato, che chi sapesse non essere vero o in
tutto, o in parte il sovra esposto; o che detto Chierico non avesse costumi tali da meritarsi di
essere promosso al sacro Ordine del Suddiaconato, lo dinunzi, quanto prima, sotto pena di
grave peccato. In fede”. – 1827, 23 Marzo: “Faccio fede non essersi presentato alcuno a
dinunziare né contro del suddetto Chierico, né contro i suddetti appartamenti. In fede G. Batta
Rolla, prevosto coadre a Sto Stefano”. Documenti simili si hanno per Giovanni Frassinetti,
anno 1834 N. 67, e Raffaele Frassinetti, anno 1836, N. 52. Non si hanno per Francesco
Frassinetti essendo religioso dei Canonici Lateranensi.
295 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto, Genova 186410, p. 112.
296 Cito dall‟edizione 26a, “Letture cattoliche”, Torino 1903, p. 50. In questo secolo si
ebbero ancora numerose ristampe con l‟indicazione generica di “Nuova edizione” o con
nessuna indicazione.
159
A scuola di filosofia il professore Valentini ne sarebbe rimasto incantato
e ne avrebbe elogiato la perspicacia, ma non la sorella.
PAOLA – Ma perché Dio permette che [delle fanciulle] abbiano un
cosí vivo e santo desiderio, che non dovrà essere soddisfatto
giammai?
Il fratello ha un bell‟affannarsi a difendere Dio e la Chiesa, storia alla
mano:
GIUSEPPE – Sempre si pensò a formare degli istituti religiosi, nei
quali le fanciulle potessero essere accolte senza alcuna dote:
frattanto o queste fondazioni non si poterono effettuare, o,
effettuate, non durarono secondo il primo divisamento di
ricevere le povere gratuitamente; sicché dappertutto... si esige
una dote, modica tante volte per se stessa, ma ciò non ostante
sempre eccessiva per chi non ha nulla...297. Frattanto, tolte
alcune pochissime [fanciulle] che arrivano ad ottenere in
limosina la somma richiesta, restano tutte col loro desiderio
vuoto di effetto...298.
Risposta buona nelle dispute scolastiche, non per Paola, per la quale
valeva il fatto che lei, pur ardentemente desiderandolo, non poteva entrare in
convento. La risposta non convinceva abbastanza neppure lui stesso.
Anch‟egli da un pezzo si chiedeva: “Ma perché Dio permette che abbiano un
cosí vivo e santo desiderio, che non dovrà essere soddisfatto giammai?...
perché non dispone che siano accontentate e che abbiano per tal modo, non
solo il merito, ma anche la realtà dello stato religioso?”. Finalmente ha
trovato!
GIUSEPPE – Ecco il perché: s‟impedirebbe con ciò un bene poco
osservato, ma incalcolabile. Quasi da nessuno si bada al bene
che fanno, all‟edificazione che dànno, queste pie fanciulle,
obbligate per la loro povertà a vivere in mezzo al secolo. – Gli
andava il pensiero alla zia Anna? – Esse, che vivono nel mondo
nauseate e nemiche del mondo, delle sue malizie e vanità,
297 Alle Figlie di Maria Immacolata come le aveva volute il Frassinetti, divenute Figlie di
Maria Ausiliatrice, dopo la sua morte, Don Bosco stabilirà per regola almeno MILLE lire di
dote ed una pensione di 30 lire al mese per un anno e mezzo, in tempi in cui la paga d‟un
operaio s‟aggirava su una o due lire al giorno, quando lavorava! Va detto che era contemplata
anche una riduzione.
298 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto, p. 49.
160
menano una vita la piú casta ed innocente... non amano che
Dio, non odiano che il peccato: sono vivi esempi di virtú in
mezzo al popolo cristiano. E poiché l‟amore di Dio, quando è
vivo, è pure ardente di zelo per la salute delle anime, queste
povere fanciulle si prendono piú che materna cura delle
piccole, o parenti, – ancora il pensiero a ciò che per loro era
stata in casa la zia Anna? – o vicine trascurate dai loro genitori,
per avviarle ai Sacramenti e alla dottrina cristiana; instillano
nelle loro anime i sentimenti della divozione e della pietà e,
quando sia duopo, con santa industria le salvano dai pericoli e
le ritirano dal peccato... tante volte, parlando per esse lo spirito
di Dio, con dotta semplicità confondono e fanno arrossire gli
stessi bestemmiatori e miscredenti... In piú luoghi sono esse il
lievito piú potente e salutare della divozione nella massa del
popolo ed una vera benedizione di Dio per la città, per le terre
e le famiglie in cui vivono. Quindi non deve far meraviglia, se
Dio, che vuole da esse questo gran bene ad edificazione del
cieco mondo, non permette che secondo i loro desideri se ne
possano separare299.
La risposta cominciava a convincere, ma si poteva negare che senza i
santi voti di povertà castità ed ubbidienza l‟anima non ne restasse
danneggiata?
GIUSEPPE – Si vorrà ancora sospettare che queste fanciulle, non
potendo emettere i voti della professione religiosa, ne abbiano
un danno spirituale e mancanza di merito per la vita eterna?
Giova qui riportare le enfatiche parole di S. Caterina da
Genova, con le quali obbligò al silenzio quel religioso che le
aveva detto, essere da abbracciare la stato della religione da
chiunque vuole arrivare alla perfezione. Se credessi ciò che voi
dite, rispose la santa, vi strapperei tosto di dosso questo abito
che portate, per rivestirmene. La grazia può supplire per tutti i
voti, e per gli abiti, e per le clausure. E vedete come ad esse
non manca il merito della materia dei voti e tante volte con
maggior sacrificio che non le religiose, dovendo ubbidire a
capricciosi parenti e indiscreti padroni. Esercitare la povertà,
soffrendone pazientemente gli effetti, piú che non li soffrano le
religiose, per le quali sarebbe caso stranissimo il patire la fame
e il freddo e di cibarsi di cattivi alimenti: caso che non è strano
299 Ivi, pp. 51-52.
161
per le fanciulle povere che vivono in mezzo al mondo 300.
Conservano infine la castità, e la conservano eminentemente
pura in mezzo ai pericoli; ed inoltre facilmente, col permesso
dei loro direttori, ne possono emettere il voto, siccome fanno
molte di loro. Quindi non è a meravigliare se si trovino tra le
fanciulle povere coltivatrici della santa purità, anime di virtú
segnalata, che si potrebbero invidiare da molte religiose. Per il
che dobbiamo benedire la divina provvidenza che tutto ordina
alla sua maggior gloria301.
Giuseppe, fatta la grande scoperta, è divenuto eloquente e a Paola sembra
che il fratello abbia spiccato il volo. Non che non accetti le sue
argomentazioni, ma le pensa buone per i tempi iniqui o per chi, non potendo
ottenere l‟ottimo, mette il cuore in pace ed accetta il passabile. Rimane
dell‟idea di ciò che il fratello aveva detto prima di questa perorazione:
“Sebbene anche in mezzo al mondo si possa conservare la esimia virtú della
verginità, non v‟ha dubbio che gli asili piú nobili e piú sicuri per essa sono i
monasteri”302. Il pensiero di Paola si può cogliere nel commento che ne fa
Virginia ne La forza d‟un libretto:
VIRGINIA-PAOLA: – Si vede che questo libretto fu scritto in tempo
di qualche persecuzione di monache. Questo tratto ha del
patetico; viene da un animo commosso e addolorato303.
Che si potesse essere ancora piú sante fuori convento che non dentro
quelle sacre mura, aveva dell‟incredibile. Giuseppe fa un bel passo indietro
per poterne poi fare quattro avanti:
GIUSEPPE: – Sono i Monasteri gli asili piú nobili e sicuri della S.
Verginità. Quelli d‟ambo i sessi, i quali si vollero
maggiormente assicurare questo tesoro, quivi in tutti i tempi si
ritrassero dai pericoli del mondo, e quivi, facendone solenne
perpetuo voto, avendo per regole di loro vita tutti i mezzi piú
opportuni a difenderlo e a custodirlo...304.
300 Freddo e mangiar male, la sua penitenza per l‟intera vita.
301 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto, pp. 52-53. Argomentazioni che saranno
riprese e sviluppate di lí a vent‟anni nella Monica in casa.
302 Ivi, p. 46.
303 Ivi, p. 108.
304 Ivi, p. 99.
162
Continua a lungo a tessere gli elogi di quei sacri ritiri, per poi piazzare
alla fine la sua riserva:
GIUSEPPE: – Ma soltanto alcuno tra quelli nei quali è vigore di
disciplina e piena osservanza delle regole, giacché il chiudersi
con compagne dissipate e inosservanti della regola porterebbe
molte inquietudini di spirito, per le quali si potrebbe desiderare
di essere rimaste al secolo305.
Giuseppe aveva avanti agli occhi il disagio in cui si trovavano i suoi
compagni di scuola che vivevano da interni in un seminario in piena
decadenza, divenuto ammirazione ai buoni cristiani, e tale sarebbe rimasto
fino a quando non l‟avrebbe radicalmente trasformato il suo compagno di
studi, e non senza il suo appoggio, Giovan Battista Cattaneo. Piú chiare
queste cose alla sorella non le poteva dire. Eppure, a piú d‟uno
l‟affermazione dovette sembrare blasfema, o quasi, se il passo, da me posto
in corsivo, fu poi mutato in: “perché è cosa piena di pericolo rinchiudersi
con compagne svagate e inosservanti delle regole del proprio istituto”, ma
il Frassinetti fu sempre legato a ciò che è, non a ciò che dovrebbe essere.
Non si meravigli il lettore. In quegli anni faceva già tanta notizia quel tal
monastero di Monza e la sua Monica di cui si parla nei Promessi sposi, e si
discuteva se il Manzoni avesse fatto bene o male a raccontarla. Non sono in
grado di dire se il Frassinetti abbia letto o no la prima edizione del romanzo
uscita nel 1827, ma certo non aveva non potuto udire parlare della Monica
di Monza. Ma, piú che il disordine di quel monastero, a spingerlo a scrivere,
e quasi con le stesse parole, era il suo Liguori:
Innanzi tutto il confessore ponderi bene in quale religiosa famiglia uno pensa
di entrare, perché, qualora si trattasse d‟un istituto rilassato, sarebbe cosa
migliore restarne fuori. Entrandovi finirebbe col comportarsi come gli altri e,
come suole accadere, cesserebbe di fare quel poco di bene che prima
faceva306.
305 Ivi, p. 102. La sottolineatura è mia.
306 A. DE‟ LIGUORI, Pratica del confessore per ben esercitare il suo ministero, Napoli
1755. Opera poi tradotta in latino con il titolo: Praxis confessarii, dalla quale ho ritradotto. Il
passo è al n. 92. Tutto cosí compendiato nella Theologia moralis del Santo: “[Confessarius]
dissuadeat ingressum in ordinem relaxatum” (Vol. IV, Romae 1912, p. 578). Consiglio che il
giovane Frassinetti trovava avvalorato dall‟esperienza del Liguori nella lettera del 13 aprile
1764 da Sant‟Agata dei Goti: “Ho inteso con molta mia pena che in cotesto monastero al
presente l‟osservanza è andata a terra... faccia sapere alle monache il mio desiderio e volontà,
163
Il Manzoni, dalla stesura del Fermo e Lucia a l‟ultima dei Promessi
sposi, del 1842, aveva sottoposto l‟episodio a non pochi tagli, ma non in
misura da appagare Don Bosco307. Meglio non insistervi, dunque, ed
edificare la sorella con l‟esempio di santa Rosa da Viterbo, sperando di
convincerla di come una ragazza può farsi santa anche se non le riesce
d‟entrare in convento.
ELISA-GIUSEPPE: – Come consola questo esempio le povere
fanciulle che non possono monacarsi!... Dirò di piú: non è
eziandio consolante per quelle zitelle che, pur potendo, non
volessero monacarsi? Egli è evidente che possono esservi
fanciulle buone e sante anche vivendo nel secolo; che perciò
non può esservi necessità di racchiudersi nei monasteri... Si può
fare del bene anche in mezzo al mondo, ed anche maggior
bene, come accenna lo stesso libretto nel paragrafo
antecedente, osservando che Dio non permette a molti di
serrarsi in chiostro, affinché facciano un bene maggiore
restando fuora.
VIRGINIA-PAOLA: – Elisa, a mio giudizio, tu cammini, anzi voli un
po‟ troppo; né io ardirei seguitarti in questa serie di
conseguenze... Io penso pertanto che gli ultimi due paragrafi...
non possano intendersi, né debbano riuscire di consolazione se
non a quelle fanciulle le quali, o per povertà, o per qualunque
altro motivo, non possano monacarsi...308.
Paola rimase di questo convincimento. Accettò, sí, di restare monica
nella casa paterna fino ai ventidue anni, e poi fino ai venticinque monica
nella canonica del fratello parroco, operando quanto bene poteva in
che nel nuovo triennio si muti la superiora e si mettano le regole in osservanza... se le regole
non si osservano, sarà meglio che le monache stiano sciolte senza voti e libere di tornarsene
alle loro case. Che serve tenere in diocesi un altro serraglio di femmine carcerate ed inquiete,
che poco amano Dio e danno poca edificazione al pubblico? Aspetto la risposta distinta di
ogni cosa”.
307 Nel profilo del Manzoni nel Corso della storia d‟Italia raccontato alla gioventú da‟
suoi primi abitatori ai nostri giorni, elogiato il romanzo, Don Bosco continuava: “La stima
che abbiamo di quest‟opera non ci tratterà tuttavia di biasimare altamente il ritratto che ci
porge di D. Abbondio e quello della sgraziata Gertrude. Il Manzoni, che voleva dare all‟Italia
un libro veramente morale ed ispirato a sentimento cattolico, poteva, certo presentarci
migliori caratteri” (G. BOSCO, Corso di storia..., Torino 188215, p. 486. Cfr. pure G. B.
LEMOYNE, Memorie biografiche…, vol. V, Torino 1905, p. 502).
308 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto, Genova 186410, p. 118-119.
164
parrocchia, ma con il pensiero alle monache di convento. Nella seconda
parte vedremo come realizzato.
CAPITOLO XII
COS‟È CHE TI DÀ MAGGIOR GUSTO, O
DIO?
Dare gusto a Dio, tutta qui la santità. Ma come sapere cosa è di suo gusto
e cosa lo disgusta? Enrico Fermi si dette giovanissimo allo studio della
matematica, perché, esserne padrone, era la condizione per padroneggiare la
fisica, il suo campo. I ragazzi Frassinetti studieranno le cose di Dio perché
hanno intuito che tale studio è condizione necessaria per sapere come si
165
deve vivere per piacere a Dio. Era fuori del loro pensiero che si potesse
studiare religione per appagamento intellettuale o per motivo di cultura,
perché, ignorarla, è vergogna. Non uno studio senza impegni, ma uno studio
ordinato a rimodellare su di esso la vita. La scienza di Dio è ordinata a
vivere secondo Dio, da figli di Dio che si sforzano di compiacerlo in terra
per poi potersi beare di lui nel suo regno. Una scienza che mira a produrre
santità, non gonfiori intellettuali309. Annuncio della parola, piena adesione
a ciò che si è ascoltato e vivere secondo Dio sono un tutto inscindibile. Per
vivere secondo Dio non c‟è di meglio che catechismo ed esempi di chi seppe
già viverci, i santi canonizzati. Leggiamo nel Frassinetti:
Ci avvisa l‟Apostolo che senza la fede è impossibile piacere a Dio; e che
la cognizione delle cose della Fede si comunica all‟anima mediante l‟udito.
Da questo possiamo conoscere che nessun bene reale e sufficiente si potrebbe
fare a‟ fanciulli cristiani quando nella loro cultura non c‟impegnassimo
d‟istruirli bene nella Santa Fede, giacché non potrebbero diversamente
piacere a Dio... Ma i fanciulli come prenderanno cognizione delle cose della
Fede se loro non si insegneranno? fides ex auditu...310. L‟infanzia e
l‟adolescenza è il tempo piú adatto per instillare nelle loro menti le verità
della fede. Se le prime cognizioni che loro si danno quando cominciano ad
usar di ragione sono quelle che formano il cristiano, i fanciulli si troveranno
formati tali senza avvedersene, quasi nati e non fatti. Le prime impressioni
dell‟infanzia restano piú profondamente radicate e hanno influenza piú
potente sopra tutta la vita dell‟uomo; né questo fa bisogno provare
mostrandone la verità un‟esperienza costante311.
A base della pietà e della vita secondo Dio non può non porsi la
conoscenza di Dio, conoscenza che ci viene da Dio stesso:
L‟umana ragione da sé sola non basta a farci conoscere tutte le verità che
ci sono necessarie per una giusta cognizione di Dio... Nessuno dei filosofi che
parlarono di Dio e dei suoi attributi col solo lume della ragione naturale
arrivò a dare una giusta idea di questo Essere Supremo... Inoltre da sé sola [la
ragione] non è valevole a determinare tutte le leggi della retta morale...
309 1 Cor 8,1.
310 Rm 10,18.
311 G. FRASSINETTI, Compendio della Teologia Dogmatica, Genova 1842, pp. 225s.
Conserviamo l‟ortografia della prima edizione.
166
Quando [esse] furono lasciate in mano de‟ filosofi piegarono sempre o per un
verso o per l‟altro all‟ingiustizia e alla turpitudine....312.
La pietà cristiana, non è vera pietà cristiana, se non si è lasciata
illuminare dalla luce della dottrina della Chiesa, e, perché Dio fosse onorato
come a lui piace di essere onorato, il Frassinetti compose un manuale di
preghiere intitolato La divozione illuminata e ne giustificò cosí la
pubblicazione:
Sono innumerevoli i libri di divozione, che vanno per le mani dei fedeli;
ve ne sono per ogni gusto, d‟ogni forma e d‟ogni mole, pregevoli assai, che
danno buono e gradito pascolo alla cristiana pietà. Tuttavia resta forse ancora
a desiderare un manuale di preghiera, il quale per il suo volume e tenue costo
possa andare per le mani di tutti, che illumini la mente del cristiano, mentre
ne pasce il cuore. Generalmente tali libri non sono altro che raccolte di
orazioni, se vuoi, belle e divote, ma che suppongono nel cristiano che le
recita quella istruzione che spesse volte gli manca e gli sarebbe tanto utile,
affinché la sua pietà addivenendo illuminata, gli riuscisse eziandio di maggior
frutto alla spirito... Con l‟aiuto di Dio ho compilato questo Manuale della
Preghiera in piccolo volume, perché sia di poco costo, in cui non mancando
ciò che maggiormente può conferire al pascolo spirituale del cuore, si trovino
pure istruzioni adatte ad illuminare l‟intelletto, affinché cosí possa a ragione
chiamarsi libro di divozione illuminata.
Frattanto niuno voglia sospettare che i lumi dei quali voglio rischiarata
questa mia operetta siano i lumi del nostro secolo, filosofici e razionalisti,
alieni dalla semplicità della fede: questi lumi saranno unicamente quelli che ci
somministra la sacra teologia, che è quanto dire, la dottrina della Chiesa,
quale ci viene esposta dai SS. Padri e Dottori313.
Parole scritte nel 1867, l‟ultimo anno della sua vita, ma questo insistere
negli anni maturi sulla necessità di informare la vita di pietà, ossia
l‟impegno di piacere a Dio quanto piú fosse possibile, alla luce che ci irradia
la Chiesa, altro non era se non un convalidare con l‟esperienza di
quarant‟anni di ministero quanto aveva intuito da giovane: non potersi
servire Dio come a lui piace se non lo si conosce, ed appunto per essere
guida illuminata delle anime aveva fin dalla prima giovinezza dedicato allo
studio delle cose di Dio tutto il suo tempo:
312 Ivi, pp. 11s.
313 ID., La divozione illuminata – Manuale di preghiera, Genova 1867. Cito dalla 3a ed.,
Genova 1877, pp. 7-9.
167
Fa bisogno tuttavia che [il direttore di anime] abbia la conveniente
istruzione, perché l‟ignorante è un cieco; e chi è cieco, ha bisogno di guida
egli stesso, né mai può guidar gli altri senza pericolo di trarli seco a cader
nella fossa,314
scriveva nel 1864, ed era un ripetere quanto aveva scritto un quarto di secolo
prima nel 1839 dichiarando di proporre ai chierici la propria esperienza, un
rifarsi quindi agli anni in cui si preparava al sacerdozio:
Debb‟egli adunque [il chierico] dirigere ogni sua cura, e in modo
particolare i suoi studii, al conseguimento del suo fine, che è d‟esser un buon
ecclesiastico. Dico: in modo particolare i suoi studii; perché la scienza è cosí
annessa all‟idea di ecclesiastico, da non potersi concepire l‟idea di un
ecclesiastico ignorante, che come idea mostruosa. Quali sono le principali
doti, che si richiedono in un ecclesiastico, dopo la divina vocazione? Fede
pura, costumi integerrimi, scienza de‟ propri doveri e degli altrui, e pietà che
lo renda zelante per la gloria di Dio e per la salute de‟ suoi prossimi. A tutto
ciò vi vuole istruzione; l‟ignoranza non è un buon mezzo per veruno di questi
fini. Questa istruzione però, questa scienza non debb‟essere di quella che
gonfia lo scienziato e lo rende superbo, ma di quella, che, mediante la carità,
lo rende umile... Il dotto superbo sa distruggere, il dotto umile sa edificare. La
carità dunque dee invitare l‟ecclesiastico a‟ suoi studii, e l‟umiltà dirigerlo ne‟
medesimi315.
Perciò catechismo, perché è per suo mezzo che la pietà, da assai confusa
ed inesatta, e fors‟anche falsa, può mutarsi in pietà illuminata:
Molti cristiani hanno un‟idea assai confusa ed anche falsa, o, per lo meno,
inesatta della Divozione. La vera idea della divozione ce la dà S. Tommaso
d‟Aquino, dove dice: Devotio nihil aliud esse videtur quam voluntas quædam
prompte tradendi se ad ea quæ pertinent ad Dei famulatum316. La vera
divozione pertanto sta in questo, che l‟uomo sia pronto ad eseguire tutte le
cose che appartengono al divino servizio. Quindi colui che ha la sua volontà
pronta ad eseguire le cose che sono di servizio di Dio, che è quanto dire, una
volontà pronta ad operare tutto ciò che Dio vuole da lui, egli è il vero divoto;
e chi a far ciò ha maggior prontezza di volontà, è maggiormente divoto. Sono
314 ID., Il religioso al secolo, Genova 1864, p. 123.
315 ID., Osservazioni sopra gli studii ecclesiastici proposte ai chierici, Genova 1839, pp.
2s.
316 TOMMASO D‟AQUINO,, Summa theologica, 2. 2. q. 82. a. 1. O.
168
adunque in inganno coloro i quali pensano che la divozione consista
nell‟esercizio delle opere di pietà e colui sia divoto che piú ne fa; cioè quello
il quale ascolta maggior numero di Messe, recita piú Rosarii, fa maggior
numero di Novene, piú frequenta i SS. Sacramenti ecc. Costui, anche facendo
tutte queste cose, se non avesse una volontà pronta ad operare ciò che Dio
vuole da lui, non sarebbe divoto317.
Catechismo dunque, e da insegnarsi ai fanciulli fin dal loro primo aprirsi
dell‟intelligenza. Non poteva qui non rifarsi alla sua esperienza giovanile
acquistata in casa con i fratellini e con i fanciulli del catechismo nella
parrocchia di S. Stefano. In base a quella sua esperienza di chierico
catechista può indicare come il catechismo debba essere insegnato se si
vuole che i fanciulli, una volta cresciuti, abbiano l‟impressione d‟essere nati
cristiani, non fatti cristiani:
Le persone che non sono istruite nella teologia... si contentino di
insegnare il catechismo come sta senza sminuzzarlo e spiegarlo, perché,
mancanti delle opportune cognizioni teologiche, insegnerebbero alle volte dei
gravi errori; chi poi è istruito sufficientemente, procuri di sminuzzarlo e di
spiegarlo secondo la capacità de‟ fanciulli, affinché meglio lo comprendano e
le verità che vi si contengono facciano piú viva impressione nei loro animi.
Ma qui si avverta di non credere sempre cosa facile ed opportuna lo
sminuzzare molto sottilmente ai fanciulli le verità della Dottrina Cristiana;
ella non è sempre cosí facile, perché nei misteri della Fede non si può sapere
tutto ciò che si vorrebbe, ma soltanto quello che dei medesimi Dio ha voluto
manifestare318.
Ma, sia gli uni che gli altri, debbono insegnarlo in modo da renderlo un
apprendimento piacevole ed amoroso:
L‟insegnamento della Dottrina Cristiana non dev‟essere un insegnamento
nudo e secco delle verità della Fede, come sarebbe: vi è Dio, vi è l‟inferno, vi
è il Paradiso, i Sacramenti sono sette ecc., ma dev‟essere un insegnamento
sugoso il quale, mentre illumina la mente, formi anche il cuore319.
317 G. FRASSINETTI, La divozione illuminata, pp. 11s.
318 ID., Compendio. della Teologia. Dogmatica, Op. cit., pp. 228s.
319 Ivi, p. 231-234 e continua suggerendo come fare.
169
Del suo zelo, nel fare catechismo unendo in sé con bello connubio
dottrina, pietà ed esempio, ce ne dà conferma il Luxardo:
Alla dottrina uní sempre [il Frassinetti] con bello connubio la pietà.
Resosi chierico, ne esercitò gli ufficii nella Basilica di santo Stefano [la sua
parrocchia]... Qui assisteva assiduo alle sacre funzioni, qui insegnava il
catechismo ai fanciulli, qui spesso confessavasi e riceveva Gesú Cristo in
Sacramento320.
Che ad insegnare la dottrina si preparasse con amore ce lo testimoniano i
molti catechismi al popolo sotto forma di domande da parte del cristiano
ignorante che vuole istruirsi, parte sostenuta da suo fratello don Giovanni, e
le risposte del parroco, lui, scritti in italiano, ma recitati in genovese. Non li
scrisse per darli alle stampe, ma tutti quei manoscritti con note, aggiunte e
correzioni sono lí a testimoniarci con quale amore li preparava concertando
con il fratello domande e risposte. Se nei catechismi domenicali in
parrocchia le domande gli venivano poste dal fratello don Giovanni, nei
catechismi ai fanciulli se le faceva porre dagli stessi fanciulli, lo stesso
faceva nelle adunanze delle sue varie associazioni:
Conobbi personalmente e avvicinai piú volte Giuseppe Frassinetti nel
biennio 1864-1866 – depose il teste Vincenzo Stronello –. Ero Figlio di
Maria e intervenivo alla Domenica alle conferenze spirituali che egli teneva
nella Canonica di Santa Sabina ai Congregati. Erano specie di conversazioni
famigliari, in cui ognuno era libero di rivolgergli domande alle quali egli dava
schiarimenti e risposte321.
Il bisogno di spiegare il catechismo ai fanciulli della parrocchia e di
rispondere alle loro mille domande, come pure alle domande dei fratelli e
della sorella, soprattutto a loro che aspiravano a divenire anch‟essi
catechisti, stimolavano lo studente di teologia a quella trasposizione del
linguaggio scolastico, cosí spesso arida catena di sillogismi latini, in un
linguaggio chiaro, piano e sugoso di cui ci ha dato saggio nel suo
Compendio della Teologia Dogmatica, divenuto poi Catechismo dogmatico.
320 F. LUXARDO, Giuseppe Frassinetti, pastore d‟anime, autore di religiose istituzioni,
scrittore di opere sacre, in AA. VV., Saggio di Storia Ecclesiastica Ligure, ossia vite di
alcuni Santi e di altri uomini illustri, Vol. IV, Genova, Tip. Cristoforo Colombo 1884, p.
176.
321 POS,sV, S, p. 21.
170
Per andare incontro all‟avidità dei suoi di casa di voler conoscere sempre
piú Dio per meglio servirlo di tutto cuore, Giuseppe, senza avvedersene, ha
trasformato la famiglia in accademia di studi ecclesiastici, un abbozzo di
quella che giovane sacerdote fonderà in seno alla “Beato Leonardo” ed è in
quest‟accademia familiare che Paola si formò quella cultura che tanto
stupiva le sue suore sapendola non essere mai andata a scuola322. Il giovane
teologo, che in parrocchia si dava da fare per portare i fanciulli alla
conoscenza di Dio e, ad un tempo, invogliarli a vivere secondo la sua santa
legge, tornato a casa, trovava nei fratelli e nella sorella un pubblico mai
sazio d‟ascoltarlo parlare di Dio. Come già gli apostoli e Maria di Betania,
non contenti di quanto avevano ascoltato in pubblico dal Maestro, gli
chiedevano a parte istruzioni supplementari, cosí quei fanciulli. Intanto,
questo lavoro di ricerca e di presentazione del dogma in forma elementare,
ma sicura, lo preparava a rendersi utile ai chierici catechisti digiuni di studi
di teologia, indicando cosa insegnare ed i modi come insegnarlo:
Si dirà che abbiamo molti compendi della Dottrina Cristiana, il che è
verissimo; non saprei però se tutti uniscano le due qualità delle quali desidero
fornito questo mio: cioè somma brevità, e universalità di tutte le materie
dogmatiche piú necessarie e piú utili... Scrivo questo Compendio in italiano,
perché secondariamente vorrei che fosse utile anche alle persone secolari le
quali, quanto meglio conoscono la propria religione, vi hanno piú
attaccamento e le fanno piú onore coi loro costumi323.
Una conoscenza delle cose di Dio ordinata a dare il tono alla vita.
Evangelizzazione quindi, non sfoggio di cultura, perciò:
Non toccherò quelle controversie le quali richiedono nel lettore fondo d‟
istruzione e lunghi trattati, ma le sole verità dogmatiche e quelle che,
quantunque non siano espressamente definite di fede, sono però
maggiormente conformi al comune insegnamento dei Teologi324.
Come lui in quel catechismo aveva trattato solo ciò che potesse giovare
ai catechisti, guardandosi dal mettere in mostra la molta scienza che pure
aveva, cosí si comportassero loro con i fanciulli:
322 E. VASSALLO, Memorie..., p 11. Uno stupore simile a quello dei giudei nei riguardi di
Gesú. Gv 7,15.
323 G. FRASSINETTI, Compendio. della Teologia. Dogmatica, Op. cit., p. 7.
324 Ivi, p. 8.
171
Ai fanciulli si devono dare quelle cognizioni che sono importanti a sapersi
per tutti, e con la possibile chiarezza e semplicità: essi non devono confutare
gli eretici o salire le cattedre. Questa avvertenza è necessaria ai chierici
studenti, i quali alle volte vorrebbero insegnare ai fanciulli tutto ciò che essi
vanno imparando nelle scuole325.
Ai fratelli e alla sorella, divenuti a loro volta catechisti, non pareva vero
d‟aver in casa il fratello bravo a cui ricorrere per aiuto. A chi, se non a lui, al
fratello bravo, riferire le domande a sorpresa che li avevano posti in
imbarazzo? Non è inverosimile che, mentre s‟affannavano a spiegare che
purissimo spirito
vuol dire che Dio non ha corpo come abbiamo noi; perciò non ce lo
possiamo figurare né alto, né basso, né largo, né stretto; non si può toccare
con le mani, non si può vedere con gli occhi materiali del corpo,
qualche piccino se ne uscisse con un: Ma dunque è niente!326.
Come rispondere? E alle domande sulla predestinazione?, e se in
paradiso ci fosse invidia da parte di chi gode di meno nel vedere santi che
godono di piú?, e sulla sorte dei bambini non battezzati?... I loro fratellini e
le loro sorelline erano in paradiso perché erano stati tutti battezzati, ma i
bimbi che non s‟era fatto in tempo a battezzare? e se fossero nati morti? e gli
infedeli che mai avevano sentito parlare di Cristo?
325 Ivi, p. 230. Osservazione necessaria non solo per i chierici studenti d‟un secolo e
mezzo fa, ma anche oggi per i professori di corsi di teologia per i laici in vista di farne
insegnanti di religione nelle scuole medie. Le persone che frequentano questi corsi sono per
lo piú insegnanti di scuola media inferiore, ragazze con diploma di ragioneria, maestre
elementari e persino maestre d‟asilo. Non di rado si vedono mettere in mano dispense che
altro non sono se non aridi riassunti di quelle preparate per i seminaristi dei corsi accademici:
una sequenza d‟opinioni legate a nomi ostrogoti, senza chiedersi cosa ci possano capire
persone non preparate e quale giovamento possano ritrarne per il loro insegnamento a
fanciulli della scuola d‟obbligo. Il bel voto d‟esame, per aver ripetuto cose non comprese,
persuade non pochi di loro d‟essere... teologi! A tali docenti il Frassinetti ripeterebbe: “Non
toccare quelle obbiezioni alle quali non si può dare una risposta che appieno soddisfi il grosso
ingegno dei fanciulli, né quelle difficoltà che non si possono appianare con ragioni palpabili,
e quasi direi materiali, delle quali soltanto è capace la loro mente” (Ivi, p. 129). Non sono
poche le persone che si iscrivono a questi corsi di teologia per laici con fede serena e ne
escono con fede turbata.
326 Ivi, p. 50.
172
Se Giuseppe ha una risposta che possa convincere ed appagare la loro
intelligenza, glie la sminuzza, come fa, per esempio, in questa pagina intorno
alla visione beatifica, che mi piace rivificare in una conversazione sulle cose
del cielo, attribuendo le domande a questo e a quello del gruppetto familiare,
senza aggiungere virgola al testo del Servo di Dio:
RAFFAELLINO – I Santi in cielo vedono Dio?
GIUSEPPE – Lo vedono intuitivamente, cioè lo vedono in sé stesso
realmente come è.
PAOLA – Non dice la Scrittura che Dio è invisibile e che niuno mai
lo vide?
GIUSEPPE – Dice che Dio è invisibile e che niuno mai lo vide in
questa vita... Ma nell‟altra vita è verità di Fede che vedremo
Dio, e il vedremo come è, secondo l‟espressione della Scrittura
(1 Gv. 3,2).
RAFFAELLINO – Dopo la Risurrezione vedremo Dio con gli occhi
del nostro corpo?
GIUSEPPE – Con gli occhi del corpo non lo vedremo mai piú,
perché Dio è semplicissimo, e gli occhi del corpo sono
materiali, e saranno materiali anche dopo la nostra
Risurrezione: ora è certo che le cose materiali non possono
vedere cose spirituali. Ma vedremo Dio col nostro intelletto
illuminato dal lume della gloria.
GIOVANNI – Che cosa è questo lume della gloria?
GIUSEPPE – È un abito soprannaturale col quale la mente, o
dell‟uomo o dell‟Angelo, viene disposta compitamente a veder
Dio.
GIOVANNI – Senza questo lume della gloria non si vedrebbe Dio
nemmeno in Cielo?
GIUSEPPE – Certamente non si vedrebbe, come noi con gli occhi
corporali anche sanissimi senza l‟aiuto della luce non
potremmo vedere nemmeno una montagna, per quanto fosse
alla nostra presenza e a noi vicina.
PAOLA – Cosa vedremo di Dio?
GIUSEPPE – Vedremo la sua divina sostanza con le sue divine
perfezioni, le quali però non sono in realtà che la medesima
semplicissima sostanza divina – qui rinviava a quanto s‟era
detto parlando di Dio –, il mistero della SS. Trinità, ed anche le
creature come effetti nella loro causa.
FRANCESCO – Vorrei sapere se in Cielo, vedendo Dio chiaramente,
lo comprenderemo?
173
GIUSEPPE – Per comprendere Iddio non basta vedere Iddio
chiaramente: per comprenderlo bisognerebbe arrivare a
conoscerlo con quella perfezione con cui Dio conosce sé stesso
con la sua scienza infinita, la qual cosa è impossibile ad ogni
creatura...
GIOVANNI – Intenderemo in Cielo tutti i misteri della S. Fede che
ora dobbiamo credere ciecamente?
GIUSEPPE – Nessuno ha mai dubitato che in Cielo si veda
chiaramente tutto ciò che crediamo in terra; è perciò che i santi
non hanno in cielo la virtú della fede, la quale serve a farci
credere ciò che non vediamo.
PAOLA – I Santi in Cielo vedranno Dio tutti ugualmente?
GIUSEPPE – È articolo di fede che la visione beatifica non sarà in
Cielo uguale per tutti, ma proporzionata ai loro meriti, o
maggiori o minori. Questa diversità nasce dal maggiore o
minore lume di gloria che avranno i santi, misurato dalla
maggiore o minore carità di che arderanno in cielo.
GIOVANNI – Questa diversità non sarà disgustosa ai Santi?
GIUSEPPE – Non sono piú capaci d‟invidia; godono del bene altrui
come del proprio, e la felicità di chi è in Cielo fra i minori è
tanto grande e commensurata alla capacità che hanno di godere,
che nulla resta loro a desiderare. Questa parità vi dilucidi il
vero. Un uomo e un fanciullo arrivano assetati alla sponda di un
gran fiume: l‟uomo beve e beve il fanciullo; credete voi che il
fanciullo potendo bever meno per la minore capacità del suo
stomaco, invidi la maggior quantità che ne beve l‟uomo? Il
fanciullo è contento di poter bere quanto vuole e quanto
può327.
La lunga citazione, fedele alla virgola, salvo l‟arbitrio di attribuire le
domande ad uno dei fratelli o alla sorella, e l‟omissione dei rinvii ai
documenti del Magistero e a san Tommaso, ci dà un saggio di come
sminuzzava la dottrina cristiana. Si volti tutto in genovese, si aggiunga alla
parola la loquela degli occhi, sia suoi sia di quelli che da lui pendevano, e si
ha un‟idea piú vicina al vero di ciò che erano in casa Frassinetti le
conversazioni a tavola o intorno al fuoco. Chissà, Lettore, che questo
ragionare sulla visione beatifica non abbia ingenerato anche in te un po‟ di
desiderio di cielo.
327 Ivi, pp. 66-69.
174
La lunga citazione vuole essere anche un tributo di gratitudine.
Giovanetto di terzo ginnasio ebbi per caso tra mano questo suo Catechismo
dogmatico ed il Sillabario del cristianesimo di monsignor Olgiati. Ad essi
va gran parte del merito se la mia pietà da affettiva divenne illuminata,
senza che la luce ne raffreddasse il calore. Studente di teologia
all‟Università Urbaniana, alla scuola del prestigioso monsignor Parente,
divenuto poi cardinale, gli orizzonti mi si allargarono e grande fu
l‟approfondimento, ma in nulla dovetti correggere quei due libri o sorridere
di qualche loro pagina.
Se poi la risposta non avesse appagato l‟intelligenza, anzi, invece che
rimuovere una difficoltà, avesse ingenerato dubbi, Giuseppe non evitava di
rispondere, non negava la difficoltà, ma si guardava bene dal dare risposte
che avrebbero creato altri dubbi, e meno che meno mascherava la sua
incapacità a rispondere con un polverone di parole. Ne prendeva occasione
per dire che nelle cose di Dio c‟è “un di piú" che l‟uomo non può afferrare
perché limitato: il mistero. Valga come esempio la risposta sul destino di chi
incolpevolmente muore senza battesimo e l‟altra sulla predestinazione:
Le Scritture sante, i Padri, e il sentimento di tutta la Chiesa bastantemente
ci assicurano che Dio vuole la salvezza di tutte le anime, e perciò anche di
quelle di tali fanciulli; se poi noi troviamo difficoltà nell‟intendere il modo
come lo voglia, non per questo possiamo dire il contrario. Nelle cose della
nostra Santa Religione non è solo vero ciò che intendiamo, ma molte cose che
bisogna credere senza capirle, e questa è una di quelle... Troviamo dei misteri
insolubili nella condotta degli uomini, che sono cosí limitati, e ci
meravigliamo di trovarne nelle disposizione della Divina sapienza?... Vi basti
sapere che Dio vi ama piú di quello che voi amate voi stessi, che Dio vuole la
vostra salute piú di quello che voi la vogliate, che Dio non vi escluderà dal
suo Regno purché voi deliberatamente nol ricusiate... abbiate questa speranza;
essa è quella che non confonde.328.
La chiarezza dell‟esposizione a nulla giova se ad un tempo non forma il
cuore:
328 Ivi, p. 60 e 62.
175
L‟insegnamento della Dottrina Cristiana non dev‟essere un insegnamento
nudo e secco delle verità della Fede... dev‟essere un insegnamento sugoso il
quale, mentre illumina la mente, formi anche il cuore329.
Perché sia tale, Giuseppe s‟è fatto una ricchissima raccolta di belle storie
di santi che mostrano come la dottrina vada vissuta. Tali storie di santi e di
sante infervoravano ad imitarli e a mettersi in gara con loro nel dar gusto a
Dio. Specie Raffaellino, ormai sui dieci anni, non si stancava mai
d‟ascoltare quegli esempi edificanti, attinti, oltre che dalla Bibbia, dal
Bartoli e dal Segneri il Giovane. Raffaellino cominciò anch‟egli a farne una
raccolta. Divenuto sacerdote, al Priore don Giuseppe non parve vero di
affidargli la cura dei bambini, tanto li sapeva tenere incantati con quelle
belle storie ed innamorarli della preghiera e d‟ogni cosa bella. Facevano
tanto bene quegli esempi edificanti e i brevi commenti, che pensò di darli
alle stampe. Non faceva lo stesso il fratello? Uno di quei libretti, Giardino
di Divozione pei Giovinetti, centesimi 25, ebbe un successo strepitoso: in un
trent‟anni venti edizioni330.
In queste pubblicazioni destinate ai fanciulli ed ai giovanetti ci è dato
cogliere come il Servo di Dio ordinasse la scienza delle cose divine alla
pietà e ad una Divozione illuminata fin dalle prime manifestazioni
dell‟intelligenza. Sa Iddio se debbono piú gratitudine i fratelli minori e la
sorella al fratello grande per tutte le belle cose che diceva loro ed i bei
esempi che offriva, o il fratello grande a loro per il tirocinio che essi gli
procurarono.
329 Ivi, p. 231.
330 R. FRASSINETTI, Giardino di divozione pei Giovinetti, Oneglia 18546, pp. 3-6.
176
CAPITOLO XIII
BRUCIAMI, SIGNORA, IL CUORE
COL FUOCO DEL TUO AMORE
Se le prime cognizioni che si danno [ai
fanciulli] quando cominciano ad usare di
ragione sono quelle che formano il cristiano, i
fanciulli si troveranno formati tali senza
avvedersene, quasi nati e non fatti. Le prime
impressioni dell‟infanzia restano piú
profondamente radicate e hanno influenza piú
potente sopra tutta la vita dell‟uomo; né questo
fa bisogno provare mostrandone le verità
un‟esperienza costante.
G. FRASSINETTI, Compendio della Teologia Dogmatica.
Esperienza validissima come quella fatta da lui e dai suoi fratelli, che si
ritrovarono formati cristiani senza avvedersene, quasi nati e non fatti.
177
Scrivendo per i fanciulli, sia lui sia il fratello don Raffaele, non fanno che
tornare alle prime impressioni dell‟infanzia [che] restano piú
profondamente radicate e hanno influenza piú potente sopra tutta la vita.
Una casa, quella dei Frassinetti, in cui l‟anima respirava Dio come i polmoni
respiravano aria. Se ne trova conferma nelle numerose pubblicazioni che il
santo Priore ed il fratello don Raffaele destinarono ai fanciulli ed ai
giovanetti, sia maschi che femminucce. In queste pagine si avvertono le
impressioni della loro infanzia rimaste vive nel loro cuore e da esse
possiamo arguire quale sia stata la loro vita di pietà negli anni della loro
fanciullezza:
Io che sono tutto tenero d‟affetto per voi – dice don Raffaele ai fanciulli a cui
dedica il suo Giardinetto di divozione –, e che mi sono sempre occupato di
voi, e che finché avrò vita mi occuperò piú di voi che di altri, poiché vedo che
si può far tanto bene... e indirizzarvi tutti nel retto sentiero che mena a virtú, e
farvi amare solo pietà e devozione, e aborrir vizio e peccato, e innamorarvi
tutti di Dio, pensate quanto volentieri mi occupai del piccolo lavoro
giudicando di far cosa a voi graditissima ed anche di non piccola utilità... In
ultimo (e questa sarà la cosa a voi piú che graditissima ed utilissima, e che
non troverete forse in altro libro di divozione) avrete molti esempi di Santi,
che io trassi da autori accreditati... Io so che i giovinetti non altro ascoltano
piú volentieri che gli esempi dei Santi. Se ascoltano una predica, ci
vorrebbero l‟esempio di un santo, se un discorso l‟esempio di in santo, se il
catechismo l‟esempio di qualche Santo, e se leggono un libro devoto, ci
vorrebbero sempre incontrare l‟esempio di qualche Santo. Ve ne avrete anche
molti di Santi giovinetti... vi avrete moltissimo di che imparare e prendere
quel santo impegno e zelo che avevano costoro per la gloria di Dio e la
salvezza della loro anima331.
In quel libretto si avverte un eco di come mamma Angela usava
instillare ai figli piú grandicelli la vita cristiana, e questi poi, alla sua
morte, insieme alla zia Anna, l‟instillarono a lui lasciato cosí piccolo.
Un linguaggio semplicissimo con tanti esempi di santi:
Dio è un gran elemosiniero, e se egli tanto raccomanda la limosina agli
uomini, molto piú la dee far Egli il quale è sí ricco, e di natura sí liberale, e sí
buono. Perciò presentatevi sempre davanti a Dio siccome poverelli che non
avete in voi niente di bene, miserabili, bisognosi di tutto, e Iddio volgerà
benigno lo sguardo sopra di voi... Di chi sentirà pietà e compassione se non
331
6.
RAFFAELE FRASSINETTI, Giardino di divozione pei Giovinetti, VI ed., Oneglia 1854, pp. 3-
178
del poverello?...332.
Le preghiere, il tono con cui le raccomanda ed i consigli che vi
aggiunge, tenuto pur conto dell‟esperienza pastorale fatta alla scuola
del fratello Giuseppe, sanno tanto di ciò che si sentiva dire lui
fanciullo dalla mamma mentre lo vestiva o lo poneva a letto, e poi, lei
morta, dalla nonna, dalla zia e dalla sorella:
Appena svegliati, segnatevi col segno della santa Croce e dite: Mio Dio vi
amo sopra ogni cosa e vi dono il mio cuore. Maria Santissima, beneditemi.
Non state oziosi a letto, vincete la pigrizia, alzatevi subito. Ancorché siate
solo nella vostra stanza, vestitevi con tutta modestia, pensando che Dio vi
vede, e che siete sotto gli occhi del vostro Angelo Custode. S. Francesco di
Sales... osservava uguale compostezza. Quindi dite in ginocchio...333.
Que‟ giovani che si accostano frequentemente alla comunione non cadono
mai, o quasi mai in peccato; que‟ giovani che stanno lontani dalla comunione
fanno le piú miserabili cadute. Questo si sa per esperienza... Quei giudiziosi
giovinetti che incominciano dalla prima comunione a cibarsi frequentemente
di questa manna di Paradiso e continuano poi sempre, si conservano sempre
buoni ed immacolati, e vivono quasi da angioli in questo mondo una vita la
piú allegra e contenta, perché, se si può avere pace e maggiore consolazione
qui in terra, si ha solo con lo starsi maggiormente uniti al Signore. Dunque...
anche tutte le domeniche e le feste del Signore e della Madonna accostatevi a
questo Divinissimo Sacramento...334.
Con lo stesso tono li prepara alla confessione, all‟ascolto della messa,
propone dieci meditazioni sulle verità eterne, suggerisce la visita al
Santissimo e a Maria, spiega come dire il rosario e fare la Via crucis. Ed
ogni cosa è corroborata da tanti esempi di santi. Se il libretto fosse anonimo,
lo penseremmo scritto dal fratello Priore. Ecco un brano da un‟opera di
Giuseppe anch‟essa profumata di ricordi d‟infanzia:
Qualche volta [a Pio] furono presentati libri e stampe cattive, perché
s‟istruisse, o si divertisse leggendovi le tante belle cose, e diremo meglio,
brutte cose che vi si trovavano... Se li conosceva a prima vista, faceva come
fareste voi se vi venisse presentato un ferro infuocato, oppure una qualche
immondezza; per non iscottarvi toccando quello, né sporcarvi toccando
questa. Per quanta grazia adoperassero nel presentargli quei libri e stampe
nulla mai ottennero perché egli sempre ritirava dispettosamente le mani, e
332
Ivi, p. 8.
Ivi, p. 9.
334
Ivi, pp. 29-30.
333
179
diceva franco: Di questa merce io non tocco. Che se non li conosceva per
libri e stampe cattive, ma aveva qualche motivo di dubitarne, li portava tosto
al suo confessore, o ad altro buon sacerdote di sua conoscenza, e sentendo
che erano scritti cattivi o pericolosi non li riportava piú a casa, se non
talvolta, avendone il permesso, per fare un falò, del quale molto si dilettava
pensando come in fiamme, faville e fumo se ne andasse all‟aria tutta l‟iniquità
e la sporcizia che stava in quelle carte.
Tuttavia accadeva sovente che, mostrandosi cosí cauto, e insieme cosí franco
nell‟adempiere ai suoi doveri, era burlato, proverbiato, trattato da scrupoloso
e bigotto da gl‟impertinenti e scandalosi che restavano da lui mortificati. E
che conto faceva di que‟ motteggi e disprezzi? Il conto che fa la luna dei cani
quando le abbaiano. I cani alle volte abbaiano fortemente alla luna quando se
ne scorre tranquilla per il sereno del cielo nel silenzio della notte; forse la
luna se ne disturba, s‟intimidisce, ritorna indietro? La luna lascia che abbaino,
e tira avanti senza badarvi. Cosí faceva Pio, anzi faceva qualche cosa di piú;
perché non solo lasciava dire, ma rideva di quei motteggi, e pregava il
Signore che illuminasse quei ciechi che lo disprezzavano335.
Si cancelli Pio e si scriva Giuseppe o uno dei suoi fratelli e si ha una bella
fotografia dei fanciulli di casa Frassinetti.
Se voi aveste conosciuto Pio, avreste veduto un giovinetto vispo, spiritoso,
disinvolto, franco, coraggioso; ma insieme sempre timoroso di far peccato:
quindi sempre vigilante sopra sé stesso per custodire gli occhi, le orecchie, la
lingua, le mani; perché nessuna cosa gli fosse occasione di commettere
peccato; e altrettanta cautela usava a riguardo dei pensieri: qualora il demonio
gli metteva in capo qualche pensiero che non fosse puro come i pensieri degli
angeli, diceva subito nel suo cuore, GESÚ, MARIA, e non voleva badarvi
neppure per un momento. Il timore di far peccato non lo lasciava mai né di
giorno né di notte336.
Questo Pio è in tutto somigliante al ritratto che santa Paola ci ha lasciato del
fratello, ritratto che riporteremo completo piú sotto:
Ebbe da natura un carattere focosissimo,… neppure scusava o copriva le
mancanze che commetteva a causa della sua grande vivacità... dai primi suoi
anni mostrò di avere grande orrore non solo al peccato, ma anche alle piú
piccole bugie, che mai disse,... diceva [a chi di loro fosse disposto a dir cose
che la mamma non voleva si dicessero]: Sta zitto, fai peccato perché
disobbedisci a mamma.
335
336
G. FRASSINETTI, Esercizi spirituali pei giovinetti d‟ambo i sessi, Genova 18654, pp. 95-97.
Ivi, pp. 98-99.
180
Ancora qualche pennellata di questo Pio in cui si intravede Giuseppe
quand‟era piccolo:
Ma, dunque, direte voi, questo giovinetto avrà fatto una vita infelice, triste,
malinconica, sempre afflitta e conturbata dalla paura. Eppure no: come vi
diceva, egli era un giovinetto vispo, spiritoso e disinvolto, franco, coraggioso,
l‟ immagine dell‟allegria e del buon umore: egli era sempre contento ed era
un piacere a vederlo... Il timore di cui vi parlo è il principio della sapienza
che riempie l‟ anima di consolazione, perciò chi possiede questo
preziosissimo timor di Dio, non può essere afflitto e malinconico... Pio lo
possedeva ed era il piú allegro giovinetto del mondo 337.
La morte della mamma per i piú grandicelli segnò un prima e un dopo. In
un anno e mezzo quattro bare. Il fratellino Camillo di pochi giorni, la
mamma a meno di una settimana di distanza, di lí a sei mesi Bartolomeo, il
piú piccolo degli orfanelli, che aveva appena cominciato a sgambettare e a
chiamare mamma chi mamma non gli era e su cui si riversava tutta la
tenerezza dei fratelli. L‟anno appresso la nonna. Il padre, già di per se stesso
austero, ridere e scherzare in quegli anni l‟avranno visto poco, e come la
mamma cui tocca fare anche da padre è troppo mamma, cosí il padre cui
tocca fare da mamma è troppo padre. La paura di non avere per i figli la
custodia che avrebbe avuto la loro mamma, senza che egli se ne avvedesse,
lo faceva essere piú rigido di quanto non occorresse e che per natura ed
educazione fosse portato.
Ma il padre era tutto il giorno fuori in bottega, in casa rimaneva la zia, e
la zia... era zia, e si sa, le zie non sposate sono sempre state, chi piú chi
meno, arrendevoli con i nipoti. Non sanno esigere quel che sa esigere una
madre, né l‟occhio d‟una zia giunge dove giunge l‟occhio della mamma.
Cosí, quei cinque nipotini in gara a chi dava piú gusto a Dio riuscivano a
mascherare con disinvoltura le loro intemperanze. Se la mamma fosse
vissuta, avrebbe certo moderato quel desiderio di imitare i santi e la fretta di
farsi anch‟essi presto santi, impedendo a Paola i molti e prolungati digiuni e
proteggendo le mani di Giuseppe dal freddo.
Casa e chiesa, quei ragazzi, ci dicono i testimoni chiamati a deporre ai
due processi di canonizzazione. Una casa trasformata in chiesa con i loro
altarini e sacre immagini, e celebrazioni di messe, novene, benedizioni, con
tanto di latino in bocca dell‟officiante, latino comprensibile solo alle
orecchie del Signore, e prediche, e processioni di stanza in stanza, cantando
337
Ivi, pp. 99-100.
181
tutte le canzoncine apprese in chiesa. Don Giuseppe sacerdote e parroco non
si stancherà di far cantare i giovani, e, per il canto, scriverà una infinità di
strofe devote, mettendo a servizio della pietà l‟arte poetica appresa alla
scuola del Gianelli, seguendo anche in questo il suo maestro sant‟Alfonso:
legare le verità della santa fede alla melodia del verso e del canto:
La musica ha una dolce e forte attrattiva di modo che si trae dietro i cuori
anche meno sensibili... Procura adunque che specialmente la gioventú impari
a cantare buone e pie canzoncine... Un santo Vescovo dell‟antichità, vedendo
il suo rozzo popolo molto restio ad ascoltare le verità della fede, le riduceva
in versi e le cantava a capo d‟un ponte dove era gran passaggio. Attratte dal
canto si fermavano quelle genti ad ascoltare la salutare dottrina che non
volevano ascoltare altrimenti338.
Scrivendo queste raccomandazioni per i giovanetti sarà tornato a quei
lontani anni ed alla sua casa in Ponticello:
Dove lavori, dove studi, o in qualunque luogo stai quotidianamente, metti
un‟immagine divota che tu abbia a vedere anche soltanto che alzi gli occhi.
Questa immagine sia di Gesú o di Maria, e, meglio, di Gesú e di Maria
insieme; ma sia veramente divota, cosicché al solo mirarla ti nascano in cuore
divoti pensieri....339.
L‟immagine di Maria vi ricorda che Ella dal cielo vi vede e vi tiene sopra
gli amorosi suoi occhi, discacciando il demonio lontano da voi... Una divota
immagine di Maria... vi concilia lo spirito della preghiera, vi ravviva nel suo
amore e nel desiderio di poterla vedere e contemplare, quando che sia, bella e
gloriosa... Un‟immagine di Maria mettete pure nella vostra stanza per meglio
ricordarvi che siete sotto i purissimi suoi sguardi; e ogni volta che vi entrate o
ne uscite, salutatela con le parole Ave Maria dandole intanto un riverente
bacio figliale. Che se questa non fosse in comoda posizione, potreste tenervi
una sua immagine affissa alla porta della vostra stanza... Ben custodita quella
porta alla cui guardia siede Maria!340.
Le giaculatorie sono brevi orazioni e quasi sospiri del cuor divoto... le anime
pie che procurano di tenere il loro cuore unito a Dio, fanno frequentemente di
queste brevi orazioni... Voi procurate di farne spesso, indirizzandone pure in
buon numero anche a Maria, particolarmente quando vedete alcuna sua
immagine...
338
ID., Industrie spirituali, “Letture cattoliche”, Torino 1860. Cito dalla 3 a ed., Genova 1864,
pp. 43-44 e p. 7.
339
Ivi pp. 68-69.
340
ID, Avviamento dei giovinetti nella divozione di Maria Santissima, Roma 1846, pp. 12-13.
182
Negli esempi suggerisce, tra le altre altre giaculatorie, una di san
Bonaventura: “Bruciami, Signora, il cuore col fuoco dell‟amor tuo”341.
Era tanta l‟importanza che dava alla pietà dei fanciulli, da raccomandare
agli adulti di ricorrere alle loro preghiere per ottenere le piú belle grazie dal
cielo:
La S. Chiesa fin dai primi secoli riconosceva una virtú particolare nelle
preghiere dei fanciulli, e perciò voleva che essi specialmente pregassero nella
liturgia della S. Messa. E S. Giovanni Crisostomo predicava: Giacché gli
adulti hanno offeso Dio e provocato ad iracondia, lo plachino i fanciulli
innocenti colle loro preghiere. Per la qual cosa, qualora tu abbia da ottenere
qualche grazia, specialmente se sia di molta importanza, fa pregare i
fanciulli...342.
La Chiesa parrocchiale dei Frassinetti era Santo Stefano, parroco don
Francesco Tagliafico, uno dei nove preti diocesani che abbiamo trovato
schedato nel rapporto di polizia al governo piemontese nei giorni in cui la
Liguria veniva assegnata dal Congresso di Vienna ai Savoia:
“TAGLIAFICO. Parroco di S. Stefano. Ha mediocri talenti. È Napoleonista
ed appartiene all‟indipendenza”343. Troppo poco per dedurne che anche in
lui, al pari d‟altri ecclesiastici genovesi che avevano simpatizzato per il
nuovo ordine, ci fosse una qualche tendenza al rigorismo giansenistico e
fosse un sacerdote piú preso dalla politica e dalle cose dette serie, le nugæ
maiorum, che dalla cura dei fanciulli. Potrebbe farlo pensare di tendenze
rigoriste una lettera che gli scrisse il Frassinetti, già parroco a Quinto, che
s‟apre con le parole: “Perdonerebbe uno scrupolo... a un liguorista?...”344.
Quel “Perdonerebbe… a un liguorista” si riferiva certo all‟opinione che
il suo parroco aveva di lui. All‟epoca in Genova non era un encomio, non
condividendo il clero anziano le opinioni morali di sant‟Alfonso Maria de‟
Liguori giudicate troppo benigne, se non addirittura scandalose. C‟è di piú,
da ciò che dicono le due ragazze ne La forza d‟un libretto, era normale per
le fanciulle confessarsi una volta l‟anno e, se un po‟ piú devote, ogni quattro
cinque mesi. Una maggiore frequenza le faceva passare per santocchie. Il
grosso problema che quelle due amiche dovettero risolvere, quando decisero
di incamminarsi per una via di maggior perfezione, fu quello di riuscire a
341
Ivi, pp. 25.30.
G. FRASSINETTI, Industrie spirituali, Genova 18643, pp. 43s.
343
V. VITALE, Informazioni di polizia…, pp. 451.
344
Lettera del 5 ottobre 1832 conservata nell‟AF.
342
183
trovare un confessore che le ascoltasse con interesse e ne favorisse con
prudenza la pietà. L‟istruzione religiosa che si dava ai fanciulli era poca e
poco frequentata. Imparaticcio di formule a memoria e attestati d‟essersi
confessati nei tempi prescritti, se richiesti dalla scuola. La predicazione dal
pulpito e dall‟altare li ignorava. A Santo Stefano, una parrocchia di
quindicimila anime, ci riferisce il Frassinetti nella vita del suo amico don
Sturla, andavano a catechismo una quarantina di ragazzi. Quando
cominciarono ad occuparsene lo Sturla ed il Frassinetti salirono a
settecento!345. Non mancavano i ragazzi, mancava chi se ne prendesse cura.
Queste considerazioni sono necessarie perché non ci si meravigli se in
casa Frassinetti troviamo qualche cosa che un prudente direttore di anime
avrebbe saputo moderare senza spegnere lo slancio generoso di quei
fanciulli. Non credo che ci sia stato santo che, specie in gioventú, non abbia
avuto il suo quarto di pazzia, almeno nel giudizio della gente che sa vivere:
“Tu sragioni, Paolo, il troppo studio t‟ha dato al cervello!”, l‟impressione
che dell‟apostolo Paolo ebbe il procuratore Festo, uno che sapeva vivere 346.
Si può ora leggere per intero la testimonianza lasciataci dalla sorella, dove
pongo in corsivo le cose che ci possono destare stupore:
Giuseppe Frassinetti ebbe da natura un carattere focosissimo, ma sempre
inclinato alla pietà. Anche dai primi suoi anni mostrò di avere grande orrore
non solo al peccato ma anche alle piú piccole bugie, che mai disse, e neppure
scusava o copriva le mancanze che commetteva a causa della sua grande
vivacità. Se alle volte mostrava qualche curiosità domandando ai fratelli
piccoli cosa si era fatto in casa in tempo di sua assenza, e quelli
rispondevano: “Mamma non vuole che lo diciamo”, non voleva piú sapere
altro, e se vedeva qualcuno disposto a soddisfare alla sua domanda, non
voleva sentirlo, e gli diceva: “Sta zitto, fai peccato perché disobbedisci a
mamma”. Era ubbidiente ai genitori in tutto; solo quando volevan vestirlo con
abiti fini e fatti alquanto alla moda non vi si poteva indurre, né volle mai
camicie inamidate e stirate bene. I suoi divertimenti ordinari era fare altarini.
Dopo la morte della madre che lo lasciò di circa dodici anni – in realtà ne
aveva compiuto da poco quattordici – si diede piú che mai allo studio ed al
ritiramento: non uscendo mai di casa che per recarsi alla Chiesa ed alla
scuola: e quando rimaneva in casa si trovava sempre in camera a studiare.
Dormiva assai poco, e dallo stare tante ore nell‟inverno a tavolino a studiare
soffriva molto freddo e gli si coprivano le mani ed i piedi di geloni talmente
345
G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla vita del Sac. Luigi Sturla, Opera postuma, Genova
1871, pp. 12-14.
346
At 26,24.
184
che gli facevano piaga, con tutto ciò non volle mai adoperare fuoco, né in
altro modo coprirsi onde diminuire o liberarsi da quel dolore incomodo347.
Non solo non mangiava mai fuori pasto, ma neanche si sarebbe messo in
bocca la piú piccola cosa come sarebbe un acino d‟uva, un confettino o
simili. Crescendo negli anni cresceva in lui lo spirito di mortificazione e
cominciò ad usare catenelle e disciplina. I suoi discorsi in famiglia erano
sempre diretti ad infondere nel cuore il disprezzo e l‟aborrimento a tutto ciò
che è vanità e che è amato dal mondo, e stima ed amore per la virtú anche la
piú sublime348.
Uguale spirito di penitenza ed abnegazione nella sorella, come si ricava
dalla deposizione di suor Elisa Vassallo al processo:
[Paola] divenne cagionevole di salute per le sue mortificazioni frequenti.
Oltre i digiuni prescritti dalla Chiesa, che ella osservava anche prima
d‟esservi obbligata, – anche in questo passo le sottolineature sono mie –
digiunava pure tutti i sabati, come si ricava dalla suddetta lettera del fratello,
e nella vigilia dell‟ Immacolata Concezione in pane ed acqua. Concedeva
poco al sonno poiché doveva attendere a tutte le faccende domestiche e nulla
voleva togliere ai suoi esercizi di pietà, ed inoltre si alzava prestissimo
perché si era assunta l‟incarico di destare i fratelli quando dovevano mettersi
allo studio di buon‟ora, perciò andava a riposare vestita e col busto molto
stretto onde avere un sonno irrequieto e destarsi facilmente. Tante fatiche e
mortificazioni la indebolirono nella sua salute e fu presa da una tosse
ostinata che le faceva emettere dalla bocca molto sangue ed era ridotta a
tale estremo che i medici le concedevano appena una quindicina di giorni 349.
Si direbbe un ricalco del fratello. Quasi in parallelo, trent‟anni prima che
fossero scritte queste Memorie su Paola, il Fassiolo scriveva del Fratello:
Buon tempo ancora [consacrava da studente] negli esercizi di pietà al
mattino e alla sera. E lo scrivente può attestare che una volta in un discorso
famigliare con due o tre giovani studenti, disse francamente che egli da
giovane non mai tralasciò un giorno d‟assistere al santo Sacrificio della
Messa...
Da chierico cominciò a digiunare ogni Sabato in onore di Maria, ed ogni anno
alla vigilia di N. S. Immacolata in pane ed acqua... i quali digiuni continuò
347
Continuò cosí fino alla tarda età come ci risulta da una lettera al vescovo di Albenga in cui
si scusa non avergli risposto prima perché impedito dai geloni alle mani. AF.
348
Documento addotto al processo dalla suora dorotea Maria Elisa Vassallo, provinciale
dell‟Istituto, che attesta d‟averlo copiato da un autografo della fondatrice Paola Frassinetti.
Cfr. Poss., Summ. add., Pars II, p. 40.
349
POS.PF, pp. 35s.
185
per alcuni anni essendo Parroco a Quinto, ma, considerando che potevano
recar danno alla salute, dovendo specialmente il Sabato confessar molto e la
Domenica predicare piú volte, si contentò di una sola mortificazione... Non fu
mai solito mangiare fuori di pasto...350.
Per la comunione all‟epoca c‟era l‟obbligo del digiuno assoluto, neppure un
sorso d‟acqua fin dopo la messa di mezzogiorno. Né da meno era la sorella:
Ma Paola nascondeva con disinvoltura quanto soffriva, sí perché non voleva
affliggere i suoi cari, sí anche perché era contenta di patire qualche cosa in
silenzio per amore del suo Dio. E sapeva far cosí bene che, sedendo a mensa
col padre e coi fratelli niuno di essi accorgevasi che il suo pasto, già cosí
misurato, era ormai divenuto scarsissimo351.
Peccato che nella testimonianza sulle sue penitenze eccessive,
pregiudizievoli alla salute, non siano precisati i tempi, se prima o dopo della
morte della zia. Le suore che stesero le Memorie provarono a darci una
spiegazione che fa pensare all‟Ape ingegnosa descritta dal fratello:
Quando voleva mortificarsi nel mangiare, diceva che non ne aveva voglia che
equivale a volontà; e veramente, non volendo mangiare, non aveva questa
volontà...352.
Le cose cambiarono quando il fratello prese Paola con sé a Quinto, dove la
vediamo rifiorire, il che fa pensare che l‟ape ingegnosa non riesce piú a
mascherare i suoi digiuni ad un fratello esperto nella stessa arte.
Conosciamo altre notizie di Paola che fanno pensare ad un suo conformarsi
a quanto vedeva fare dal fratello. Ci fa da spia quella suo rifarsi a
350
DOMENICO FASSIOLO, Memorie storiche intorno alla vita del Sac. Giuseppe Frassinetti
Priore a S. Sabina Genova, 1879, pp. 17 e 116s. Tali pratiche in onore della Madonna sono
passate ai Figli di Maria, una mortificazione il sabato, digiuno e astinenza la vigilia
dell‟Immacolata.
351
Memorie..., pp. 13.
352
G. FRASSINETTI, Industrie..., p. 88. Molti comportamenti di quell‟Ape fanno pensare a
ricordi di casa legati alla sorella. Come quello nella pagina successiva, sostituendo all‟amica
lui, Giuseppe: “Una volta, desiderando fare una correzione ad una sua parente dalla quale
temeva che fosse mal ricevuta, pregò una sua amica che alla presenza della parente le facesse
una forte correzione su quella mancanza come se l‟avesse commessa ella stessa, avvisandola
però a misurare le parole in modo da non dire bugia. L‟amica la serví giusta il suo desiderio;
ed essa la ringraziò e le promise che per l‟avvenire si sarebbe guardata dal commettere piú tali
mancanze. La parente, senza sospettare dell‟arte, restò edificata della sua umiltà nel ricevere
la correzione e capí frattanto che avrebbe dovuto essa stessa emendarsi”.
186
Sant‟Alfonso, il santo che si era scelto a maestro il fratello. Depose suor
Marianna Danero:
Siccome [Paola] amava la solitudine, ne‟ giorni di festa, finite le funzioni in
chiesa, il fratello mi diceva: “Andate con mia sorella a divagarvi un poco,
cosí ci recavamo al bosco vicino ed allora ella prendeva a parlarmi di qualche
tratto della vita di qualche santo o santa, specialmente di S. Maria Maddalena
de‟ Pazzi, dell‟amore che Gesú Cristo ci porta nel Santissimo Sacramento, di
cui era sommamente devota,... Venuto il Giovedí Santo di quel primo anno, in
cui ci conoscemmo, mi pregò di accompagnarla nella visita dei santi sepolcri
nelle parrocchie circonvicine di Nervi, di Quarto etc. ed in quella circostanza
non fece che parlarmi della Passione di Gesú Cristo con molto fervore e mi
ricordo che teneva seco due libri di S. Alfonso, cioè la Pratica di amare Gesú
Cristo e le Visite al SS. Sacramento. Contemporaneamente ella cominciò
l‟opera di carità verso le fanciulle povere... Insegnava il catechismo... Si
accostava ogni giorno alla sacra Mensa353.
I santi di cui era devota Paola sono gli stessi di cui era devoto Giuseppe:
Era pure divotissima degli angeli e dei santi, e spesso si dilettava a farne
argomento delle sue conversazioni. S. Alfonso Maria de‟ Liguori, S. Ignazio
di Loyola, S. Maria Maddalena de‟ Pazzi... erano quelli i cui nomi le
venivano piú frequentemente sulle labbra354.
In una pagellina, di cui dal 1839 al 1847 si diffusero 40.000 copie, il
fratello aveva scritto:
Dimandiamo anime a Gesú, diceva S.ta Maria M[addalena] de‟ Pazzi alle
monache sue compagne, dimandiamone tante, quanti passi facciamo pel
monastero; dimandiamone tante, quante parole recitiamo nel Divino
Ufficio355.
Su santa Maria Maddalena de‟ Pazzi il Frassinetti tornò a piú riprese: nel
1853 pubblicò Le amicizie spirituali... stimolo allo zelo per la salute delle
anime da santa Maria Maddalena de‟ Pazzi; nel 1855: Tre sacri gioielli della
serafica del Carmelo S. Maria Maddalena de‟ Pazzi. Nei manoscritti a noi
353
POS.PF., Summarium, pp. 2s.
Memorie intorno..., pp. 501s.
355
G. FRASSINETTI, Culto perpetuo ad onore del SS. Sacramento. Si trrattava d‟una pagella a
noi non pervenuta ma riprodotta nelle Memorie intorno alla Congregazione del B. Leonardo
da Porto Maurizio, Genova 1857, pp. 154-156. Questa forma di culto fu “stabilito nella
Parrocchia di Quinto la prima volta nell‟anno 1833 o 1834” (ivi p. 45). La data ci dice che è
l‟epoca che ha con sé la sorella in canonica.
354
187
pervenuti troviamo anche Estratti dalla vita di S. Maria Maddalena de‟ Pazzi
del Puccini356.
La Vassallo ci conferma che Paola leggeva libri spirituali,
particolarmente le opere ascetiche di S. Alfonso357. Queste testimonianze ci
dicono che in casa Frassinetti, durante gli anni del chiericato di Giuseppe ed
i primi del suo sacerdozio, si leggevano vite di santi, venivano tutti
addestrati all‟insegnamento del catechismo, non solo i fratelli chierici, ma
anche Paola, e che di tutti era maestro di spiritualità il beato Alfonso Maria
de‟ Liguori, la grande scoperta fatta in quegli anni dal nostro Servo di Dio.
Queste testimonianze sono inoltre una conferma a quanto sopra si è
argomentato: a monte d‟ogni libro del Frassinetti c‟è la sua vita vissuta e, in
non pochi di essi, un ritorno agli anni della sua gioventú e ai discorsi avuti
in famiglia con la sorella e con i fratelli.
Nel 1837, ancora parroco a Quinto, scriveva:
Se mi fosse chiesto di quali opere, tra l‟altre molte, si dovrebbe
particolarmente promuovere la lettura, io direi delle opere del B. Alfonso
Maria de Liguori. Queste servono pel dotto egualmente che per l‟ignorante,
essendosi egli fatto tutto a tutti; vi trovi una purità di dottrina che nulla puoi
desiderarne di piú, un fervore di spirito che difficilmente ti verrà fatto
riscontrarne maggiore in altra scrittura di uomo; una semplicità che,
quantunque spesso rozza e disadorna, ti piace e ti tocca fortemente il
cuore...358. Il libricciuolo delle sue Massime eterne per me vale un tesoro, e
vorrei sapere se altro ne esista piú adatto per addestrare i rozzi
all‟importantissimo esercizio della meditazione sopra i novissimi, sopra la
passione di Gesú Cristo, e sopra le altre fondamentali verità della nostra S.
Fede. Deh esso fosse nelle mani di tutti quelli che arrivano a saper leggere e
ne leggerssero qualche tratto ogni dí! Nella Pratica d‟amar Gesú Cristo
parmi trovar raccolto il fiore dei libri buoni: e chi lo potrà mai leggere da
capo a fondo, senza trovarsi sforzato ad anatematizzare coll‟Apostolo
chiunque tra gli uomini non ama Gesú Cristo?359.
356
AF, Man., vol IV, pp. 515-531.
E. VASSALLO, Memorie..., pp. 33s.
358
G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici, Genova 1838, pp. 20-21. Cito dalla
terza edizione, rarissima. La prima del 1837 e la seconda (un‟edizione pirata stampata a
Milano) non ci sono purtroppo pervenute.
359
Ivi, nella nota 9. Il nome del Liguori agli occhi dei rigoristi era peggio del panno rosso agli
occhi del toro, e fu causa non ultima delle ire suscitate contro il nostro Servo di Dio, ire
357
188
Se la mia ipotesi, che ne La forza di un libretto v‟è un eco dei discorsi
tenuti in casa dal Frassinetti quando era seminarista e giovane sacerdote, ha
un fondamento, avremmo la conferma che il fratello grande nutriva
spiritualmente i fratelli minori servendosi soprattutto delle opere di sant‟
Alfonso:
VIRGINIA-PAOLA – L‟ora è già tarda... va a prepararti per uscire. Chiamami
Dominica che vo‟ sapere se mi ha comprato certi libri.
ELISA – Quai libri ti fai comprare?
VIRGINIA-PAOLA – Me li suggerí il Confessore [supposta vera la mia ipotesi,
leggi: mio fratello Giuseppe]: La pratica di amare Gesú Cristo e le opere
spirituali di S. Alfonso gran Vescovo e gran Santo, come mi disse, di
questi ultimi tempi.
ELISA – Me li mostrerai dimani, e anch‟io me li farò comprare...
VIRGINIA-PAOLA – Vedrai che S. Alfonso ne tratta: ho trovato che nelle opere
spirituali vi sono le meditazioni per tutti giorni della settimana, e il
Confessore mi disse che adesso ne leggessi attentamente una per giorno, che
quindi la prima volta che sarei tornata da lui mi avrebbe meglio istruito sul
modo di farla.
Sant‟Alfonso diventa il loro testo:
ELISA – Alle sei mi alzerò anch‟io e farò quindi mezz‟ora di meditazione sulla
norma datami oggi dal Confessore; fa tu lo stesso.
VIRGINIA-PAOLA – Oggi ti ha dunque istruita sul modo di farla; riserbava a me
quest‟istruzione per la prima volta che vi sarei tornata.
ELISA – Sentendo che andava in villa, non ha potuto differire; però è cosa
semplicissima; ho veduto che in poche parole S. Alfonso, prima delle
meditazioni sulle massime eterne, accenna il modo di farla, e per ora ti
sarà di regola finché non torni a confessarti.
Innamoratesi delle opere di sant‟Alfonso, si mettono ad escogitare i modi
per conquistare le compagne che già hanno avvertito in loro un
cambiamento e sono attirate dal loro esempio:
VIRGINIA-PAOLA – Quando [esse] siano nel giardino, lascerò cadermi dal
balcone le opere spirituali di S. Alfonso avvolte in un fassoletto (sic) e
scenderò tosto a prenderle. Quindi loro le mostrerò dimandando se le
conoscono: pensa se le conosceranno! Comincerò a dire come mi
ancora vive dieci anni appresso nel Gesuita moderno del Gioberti. In questa nota, una delle
19 apposte alla terza edizione delle Riflessioni, il Frassinetti si difendeva dalla critica d‟aver
suggerito le opere dell‟ancora beato Alfonso Maria de‟ Liguori.
189
piacciano...360.
Prima di chiudere il capitolo piace giustapporre alle parole del Frassinetti
quelle che un letterato, don Giuseppe De Luca, avrebbe scritto ad un secolo
di distanza:
Uno piú bello dell‟altro, mio caro lettore, [la Pratica di amare Gesú Cristo, la
Passione di Nostro Signore Gesú Cristo e altri Opuscoli sull‟Amore Divino].
Limpide, piane, ardenti pagine, che sono tutta una preghiera e una preghiera
intessuta come nel parlare dei Padri di espressi o taciti brani di Sacra
Scrittura; tutte gremite di fatti e di voci dei piú cari e dei piú alti Santi. Pagine
senza presunzioni di grandi pensieri, senza impennature di vedute nuove,
senza leccature di stile e lenocini di grazie letterarie; e tuttavia vive e calde
come dolce focolare, mormoranti e suadenti come una pura vena d‟acqua
preziosa. Pagine nelle quali il Santo non si distacca un attimo dai piedi
sanguinanti di Cristo, e ripete al suo Amore crocifisso, senza mai venir meno,
le sue parole d‟amore e di dedizione totale361.
Palato buono il nostro Giuseppe, e “gustosa” e nutriente la cucina
napoletana che la sorella ed i fratelli assaporavano alla sua mensa. La
spiritualità di Paola, come evince dal processo di canonizzazione, è tutta
informata su quella del fratello, da cui aveva largamente attinto negli anni
giovanili vissuti insieme. Quando si separarono continuò a formare le sue
suore e le sue educande sulle opere di Sant‟Alfonso e su i ricordi di quella
scuola domestica i cui insegnamenti ritrovava nei libretti che il fratello
andava scrivendo ed essa distribuiva a centinaia di copie.
360
G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto, pp. 119.128.165.167s. Mi sono permesso qualche
piccolo ritocco all‟ortografia.
361
G. DE LUCA, Piano... con Sant‟Alfonso!, in “L‟Avvenire d‟Italia” del 19 settembre 1934.
190
CAPITOLO XIV
MIRA QUANT‟È BELLO
ESSERE FRATELLI E VIVERE UNITI362
362 Cfr. Sal 133(132),1.
191
Un versetto, quest‟attacco del salmo 133, che si direbbe scritto dal
salmista mentr‟era preso da ammirazione di come i fratelli Frassinetti
fossero uniti tra loro e come si volessero bene. Prima di passare a parlare
degli studi di Giuseppe in preparazione al sacerdozio, fermiamoci ancora un
poco sulla sua vita di famiglia, anticipando le relazioni che tra loro si
protrassero per tutto il tempo che vissero. Ce ne offrono ricca materia le
lettere della sorella al padre ed ai fratelli, soprattutto a Giuseppe.
Ce ne sono pervenute 28 al padre, 40 a Giuseppe, 8 a Giovanni, una a
Raffaele, nessuna a Francesco, in tutto 77. Francesco e Raffaele, al pari di
lei, dovevano essere soliti non conservare le lettere, cosí pure Giovanni,
salvo qualche eccezione. Che ci fosse anche con loro uno scambio di lettere
si ricava dagli accenni che si incontrano nelle altre a noi pervenute.
Oltre alle lettere non conservate o andate smarrite, ci furono anche delle
lettere al fratello Giuseppe che dovettero essere intercettate alla posta. La
sorella glie ne esprime il dubbio in una lettera del 4 agosto 1853:
Io non so che cosa succeda delle lettere che scrivo a te; a chiunque scrivo,
le lettere vanno e le tue si perdono, forse te le prendono? Da qui in avanti le
indirizzerò a[l nostro fratello] Prete Giovanni per vedere se sono piú
sicure363.
Nelle lettere al padre si nota un grande rispetto, ma un rispetto che non la
blocca minimamente dall‟aprirgli il cuore e parlargli di sé, del suo lavoro,
delle cose sue e delle cose della congregazione, un continuare per lettera
quel che aveva usato a casa ogni sera al suo ritorno dal negozio riferendogli
su questo e su quello. Giovan Battista è un padre che vuol sapere, che ha
diritto a saper tutto per approvare, consigliare, incoraggiare e fare le sue
osservazioni. Viva la moglie, come alla maggior parte dei padri, gli bastava
venire informato sulle cose d‟un qualche rilievo; rimasto solo, dovette
cominciare ad occuparsi anche dei piú piccoli bisogni di quelle sue creature
e quindi a voler sapere tutto di loro. Scomparse anche la nonna e la zia di
quei ragazzi, fu Paola a prenderne il posto: – Papà, oggi Raffaellino... Papà,
a Giuseppe ho stirato bene la camicia ma non c‟è verso di fargliela mettere,
non vuol proprio saperne di vestirsi con un po‟ piú di ricercatezza in modo
da non far brutta figura tra i suoi compagni. A comparire non ci tiene
363 P. FRASSINETTI, Lettere, Roma 1985, p. 50.
192
proprio per nulla... –. Discorsi simili si dovettero ripetere ad ogni ritorno del
padre a casa.
Giovan Battista si era talmente abituato a quella figlia, che gli riempiva i
vuoti che gli si erano creati in casa, da non accorgersi che Paola era
cresciuta e che aveva un suo sogno che l‟attirava lontano. Rimandiamo alla
seconda parte la storia del suo distacco dal padre e dalla famiglia per seguire
la sua vocazione. Lo strappo fu doloroso, ma data la sua benedizione, gli
bastava che Paola continuasse ad aprirgli il cuore con le sue lettere senza
tacergli nulla. Cominciamo dalle due ultime:
Nella sua ultima quasi si lagnava che io non Le diedi notizia del risultato
di Bologna – gli scriveva il 6 gennaio 1853, poco piú di un mese prima che
egli morisse –; ha ragione e rimedio adesso alla mancanza. Quando partii da
Bologna le cose stavano ancora a mal partito, ma, ritornata a Roma, in
pochissimo tempo tutto si accomodò, per la parte che ne prese il Santo Padre,
il Cardinal Vicario ed il Cardinal Prefetto della Sacra Congregazione dei
Vescovi e Religiosi, per cui adesso stiamo in perfetta calma; il Cardinale
Arcivescovo di costà vede volentieri la nuova fondazione e le Suore. Il
Legato del S. Padre, Monsignor Grassellini, è tutto impegnato per noi e ha già
dato una elemosina di scudi trecento... Mi aiuti, caro Padre, a ringraziare
Iddio di tanta grazia e gli domandi per me la necessaria corrispondenza... Mi
benedica e nell‟atto che le bacio la paterna mano, mi confermo con tutta fretta
Di V. S. Stim. Aff.ma Figlia Suor Paola364.
Gli scrive ancora di lí ad una settimana e non pensava certo che quella
lettera sarebbe stata l‟ultima:
Carissimo Padre, sono stata pregata da persona a cui molto devo, di farle
venire di costí quaranta palmi di velluto in seta della migliore qualità. Ho
scritto per ciò a Suor Antonietta, ma non mi ha inteso, per cui mi rivolgo a
Lei. Lei conosce quel negoziante che sta in fondo alla Scurreria o altri; può
pregare la zia Manní ad andarci a suo nome... Il colore del velluto dev‟essere
nero... Quel che mi raccomando è che mi faccia buona spesa... In quanto al
prezzo può arrivare ed anche passare, però di poco, mezzo scudo romano al
palmo, ma che sia buono... Perdoni, Padre mio, l‟incomodo, mi saluti i fratelli
ed i parenti, mi benedica e nell‟atto che nuovamente mi raccomando per la
364 P. FRASSINETTI, Lettere, p. 95.
193
sollecitudine e buona spesa, passo a segnarmi, Di V. S. Stim. Aff.ma Figlia
Suor Paola365.
Il padre è il suo grande commissionario. La figlia sa di poter sempre
ricorrere a lui con piú certezza che alle sue stesse suore. Faccia grazia di
dire al fratello Giovanni..., Dica pure al Don Raffaellino..., Dica a mio
fratello Francesco..., Dica a mio fratello Priore sono espressioni ricorrenti.
Il nome Padre sempre con la maiuscola, come troviamo anche negli scritti
dei suoi fratelli. Il “Lei” e la maiuscola sono una distinzione riservata al solo
genitore, con qualche eccezione per il Fratello Priore che indica ora con il
fratello Priore ora con il Sig. Priore, eccetto qualche rara volta in cui le
sfugge di chiamarlo Pippo, il nome con cui era stato forse chiamato in casa
prima che salisse l‟altare.
Per gli altri fratelli basta la minuscola ed il vezzeggiativo per i piú
giovani di lei, una volta per Giovanni, in modo quasi abituale per Raffaele:
Raffaellino, il piccolo di casa, che lei aveva vestito, lavato, divertito,
sgridato e fattigli dire le sue prime preghiere. Ai suoi occhi continuava ad
essere sempre piccolo, poco importa se già faceva gemere i torchi con
fortunate pubblicazioni per i fanciulli, e piccolo rimarrà anche quando avrà
oltrepassato la cinquantina, e persino vicino ai settanta: uno incapace di
cavarsela da solo, uno a cui bisognava stare sempre appresso come quando
era bimbo perché non sapeva neppure aver cura della sua salute. Una salute
cosí delicata da far stare gli altri in pensiero. In quel tono protettivo avverti
rimprovero, apprensione e tenerezza di madre:
Dica anche al Raffaellino, che desiderei vedere i suoi caratteri366.
Al Raffaellino poi non dico niente perché lui non mi ha dato incombenze
[pur sapendo che andavo a Napoli], né mi ha fatto promesse; le (sic) dica solo
che mi raccomandi al Signore e stia bene367.
Dica pure a Don Raffaellino che in circa sette anni che sto in Roma già ho
avuto una sua di pochissime righe, che non abusi tanto nello scrivere, ché non
è secondo la perfezione religiosa, che perciò si moderi...
365 Ivi, p. 96.
366 Ivi, p. 10.
367 Ivi, p. 68.
194
P.S. Quando avevo già scritto la presente, ricevei una di Don Raffaele
unita a quattro dei suoi libretti, perciò mi disdico di quanto ho detto a suo
riguardo e lo ringrazio368.
L‟undici febbraio 1870, scrivendo al fratello Giovanni:
Ho piacere che a P[rete] Raffaele non pregiudichi il freddo della mattina,
e che cominci a farsi un poco piú uomo; veramente è un poco tardi – aveva 57
anni! –, ma è meglio tardi che mai369.
Un‟unica lettera a noi pervenuta delle dirette a Raffaele, datata 5 maggio
1877:
Sono contenta che prendi il consiglio del medico; desidero che tu faccia
quello che ti giova e non quello che ti può nuocere; sta tranquillo, bada di
nutrirti quanto piú puoi, anche per quiete di P[rete] Giovanni [nostro fratello],
al quale dirai, a mio nome, che se il fratello Francesco non viene, venga egli
come ha fatto sempre... Sto meglio, come vedi, ma ancora non posso scrivere
di seguito; la mano non mi sta ferma370.
Della maggior confidenza con Francesco, con cui da fanciulla avrà riso e
scherzato prendendosi spesso benevolmente in giro, si trova traccia in due
lettere al padre quando la sua congregazione si andava affermando anche a
Roma ed ella era ormai di casa in Vaticano. In una del 26 febbraio 1848,
giorni in cui per tutt‟Italia risonava un sol grido: “Viva Pio IX!”:
Dica anche al Sig. Canonico Lateranense e Parroco di Coronata
[Francesco] che non piú gli ho scritto perché ancora non ho potuto ultimare
l‟affare suo del gran Cappello rosso che sí ardentemete desidera; che si faccia
però cuore che nell‟ultimo Concistoro, che fu fatto per l‟elezione di certi
Cardinali che furono fatti, Sua Santità se ne serbò uno in petto per pubblicarlo
a suo tempo, e chi sa che non sia lui; che speri dunque e si prepari; io però sto
con forte timore che, se è vero che sia lui il rimasto in petto a Sua Santità,
cosí piccolo e magro che è, non gli sia di nessuna gravezza e che perciò si
368 Ivi, pp. 42s.
369 Ivi, p. 551.
370 Ivi, p. 1167.
195
dimentichi d‟avercelo e non lo pubblichi mai piú; tolto questo, gli dica che io
ho le migliori speranze che possa essere consolato371.
Di lí a due anni da Napoli torna a stuzzicarlo con la storia del Cappello.
Vi si era recata per aprire una casa ed era stata accolta benissimo dal re e
dalla regina perché informati di noi dal Santo Padre [Pio IX] stesso:
Dica al fratello Francesco che si è preso collera perché piú non gli ho
scritto niente del Cappello. Non è che me ne sia scordata, ma bisogna che
aspetti che li facciano nuovi perché i vecchi li hanno buttati al fiume, perciò si
calmi372.
Si vede che Francesco, scrivendo alla sorella, si divertiva a fare richieste
scherzose: – Giacché sei a Roma e di casa in Vaticano... Tu cosí in amicizia
col Papa...–. Non diventerà cardinale, ma padre abate sí, e non pare che ne
provasse troppo piacere:
P.S. Mio fratello, Parroco di Coronata, – scriveva la sorella a madre
Vassallo – è stato chiamato qui dal suo Generale; si è trattenuto pochi giorni
ed è ripartito Padre Abate e non piú Parroco; ha sentito molto il cambiamento
di vita, ma ha dovuto abbassare il capo. Lo pregai che venisse a trovarvi
[passando per Bologna], ma credo che non abbia avuto tempo373.
Giovanni è il fratello su cui Paola può contare. Una persona versata nel
disbrigo degli affari, senza che ne scapitasse il suo ministero. Uno a cui, fin
da piccolo, ad ogni emergenza tutti si saranno rivolti: Giovanni, avrei
bisogno...; Giovanni, dovresti andare...; Giovanni, dovresti fare... E
Giovanni accorreva, andava, faceva, e quel che piú conta, metteva tutto a
posto.
Anche Giuseppe scaricherà su di lui l‟economia della parrocchia e della
casa. Cosí, quando Paola, che prima di allora mai era uscita di casa senza
che uno l‟accompagnasse anche per andare in chiesa, nel 1841 dovette
imbarcarsi per l‟estero, Roma, il padre e il fratello Giuseppe l‟affidarono a
Giovanni. Fu solo il primo dei molti viaggi ed il piú avventuroso. Genova
371 Ivi, p. 42.
372 Ivi, p. 68. Lettera del 2 aprile 1850. Pio IX era ancora profugo nel Regno delle Due
Sicilie ospite dei Borboni.
373 Ivi, p. 890.
196
Livorno tutto bene, per mare si intende!, e s‟affrettarono a rassicurare il
fratello Giuseppe:
8 Maggio 1841
Caro Fratello ,
Anticipo la lettera per darti notizia del felicissimo viaggio che abbiamo
fatto onde nessuno abbiate a stare in anzietà (sic): nessuna delle Suore né io
abbiamo sofferto, anzi se non fosse stato il fracasso del vapore non ci
credevamo nemmeno essere in mare. Questa mattina alle 5 arrivammo a
Livorno, dopo due ore sbarcammo in terra, e abbiamo trovato subito il Signor
Palau Salvatore (un mio amico in Genova) che ci menò in sua casa, ivi
facemmo colazione e pranzeremo. Dopo pranzo alle tre saremo di partenza.
Mia sorella brama che faccia avvisate le Suore di questo felicissimo viaggio.
A Civitavecchia non so se avrò tempo di scrivere, se no, scriveremo quando
saremo giunti a Roma. Saluta il Padre, per parte di mia Sorella e di me. Sono
il tuo aff. Fratello.
Il Polluce, nel viaggio di ritorno a Genova, fu speronato dal Mongibello
mentre tutti erano immersi nel sonno ed andò a fondo. Ci fu un morto, e
Giovanni:
da quanto egli stesso ci narrò, – raccontano le suore – sommerso già nel
mare... non mostrava piú che le estremità delle mani a fior d‟acqua per
aggrapparsi a qualche cosa, ma inutilmente. I marinai, estenuati per la fatica,
e pur tentando di afferrare il naufrago, andavano gridando: Se non si aiuta da
sé, noi non abbiamo piú modo di aiutarla. Già già la morte stava per dare
l‟ultima stretta alla preda, quando questa, in modo al tutto prodigioso, le
venne strappata dalle fauci. D. Giovanni poneva piede sul Mongibello e il
Polluce scompariva tra i flutti... La Vergine Santissima aveva salvato il nostro
benefattore374.
L‟acqua salata dell‟Elba dovette sembrargli di sapore ben piú disgustoso
dell‟acqua che a casa facevano bere ai piccoli come cura depurativa se,
anche vecchio, dopo ben cinquantacinque anni raccappricciava ancora al
solo rammentare quel momento375. L‟amore per la sorella fu più forte della
repulsione per l‟acqua marina ed il ricordo del naufragio non lo trattenne dal
374 E. VASSALLO, Memorie..., p. 55.
375 Ivi.
197
tornare a risalire sui vapori e riprendere il mare ad ogni sua chiamata fino a
quando non poté servirsi della ferrovia.
La prima lettera dell‟epistolario di Paola Frassinetti, febbraio 1835 da
Quinto, fu per questo suo fratello alla vigilia d‟essere ordinato diacono e
presbitero. Lei, quasi ventisei anni e da sei mesi superiora d‟una mezza
dozzina di suore, anzi: madre fondatrice; lui, non ancora compiuti i ventitre.
Vi si sente la sorella maggiore che parla. Giustifica il suo non scrivere in
nome d‟una scelta di perfezione con un tono che sa di meraviglia ed anche
di rimprovero: uno che ha studiato teologia, alla vigilia d‟essere ordinato
sacerdote, che non sa quanto importi distaccarsi dalle persone e dalle cose se
si vuol seguire il Signore!
La sorella-maestra, che gli aveva fatto apprendere la dottrinetta quando
era bimbo e l‟aveva preparato alla comunione, si sente ancora maestra e in
dovere di indicare al teologo come ha da vivere la sua vita di sacerdote e
ricevere degnamente il sacramento. Un ricordo di come aveva visto
prepararvisi il fratello Giuseppe? Ma anche sorella-mamma che si sente
toccata nel sentirsi accusare di aver trascurato di fargli le calze. No, la colpa
è di quella sua pretesa nel volerle cosí lunghe.
Non è vero che mi sia dimenticato di te, ma ti prego a compatirmi perché
sono occupata e poi essendo io desiderosa che i miei parenti si sovvengano di
me solo quando pregano, io procuro di fare lo stesso…. Ti raccomando di
prepararti bene al S. Sacerdozio… tenendo sempre fisse nella mente quelle
parole dette a S. Pietro da Gesú: “Se mi ami salva (sic) le mie pecorelle”…
La pace sia con te. Tua sorella Paola Frassinetti376.
Morti il padre e Giuseppe, Giovanni prenderà il loro posto nel tenere i
contatti con gli altri fratelli. In una lettera del 1877 o 1878:
Io seguito a star benino anzi potrei dire benone; il braccio mi si va
sciogliendo; solo la mano non vuol star ferma quando ha la penna nelle dita;
ma del resto già faccio la calza e qualche altra cosetta. E il nostro Raffaellino
come sta, si è ristabilito? E tu come stai? Il Parroco di Coronata [il fratello
376 P. FRASSINETTI, Lettere, p. 1. L‟originale nell‟ACAG.
198
Francesco] non mi ha scritto, come il suo solito; non te ne prendere. Di‟ tante
cose a tutti... in particolare ai fratelli, Catarinin [la domestica]...377.
IL 26 gennaio 1878 scrive:
... Ora sto benino, senza dir nessuna bugia. Te lo credi? se no vieni a
vedermi. Ho piacere che stiate tutti bene e che il Parroco di Coronata si sia
rimesso come prima... Scrivo in breve perché la mano si raffredda, oggi in
specie che nevica e che fa tempo molto brutto e rigido. Papà – il papa Pio IX
che sarebbe morto di lí a due settimane e che era stato per lei un vero padre –
seguita benino, ci ha mandato di nuovo fiori e frutti378.
Il 23 febbraio 1878 ancora al carissimo fratello Giovanni:
Di salute sto benissimo, solo il freddo forte mi tiene intorpidita la mano,
come vedrai anche dallo scritto, ma del resto, ripeto, sto bene, senza bugia.
Adesso bisogna che [tu] pensi davvero a venire dal nuovo Papa – Leone XIII
eletto da tre giorni –; di‟ a Caterina [la domestica] che ti prepari la valigia e
vieni presto... ricevi i saluti dalle nipoti – suore ed educande che lo
chiamavano zio –...379.
Sebbene di carattere un po‟ tendente al burbero380, per usare
un‟espressione della Vassallo, al sentirsi chiamare dalle suore e dalle
educande “Zio”, al buon vecchio si scioglieva il cuore fino a lasciar Roma
alla chetichella non reggendo alle scene di addio ed alle manifestazione
d‟affetto delle suore e delle educande.
Senza dir nessuna bugia. Te lo credi? se no vieni a vedermi... ripeto, sto
bene, senza bugia. Giovanni non ci crede. Il freddo forte aveva sempre
coabitato coi Frassinetti ed avevano scoperto che era un meraviglioso
strumento di penitenza. Quelle mani fredde per rifiuto di riscaldamento,
proprio come le mani di Giuseppe tutto l‟inverno sfigurate dai geloni fino a
non poter scrivere, e quel suo ostinarsi a non voler sapere di un po‟ di fuoco.
Fin dagli anni della prima adolescenza. Paola non ha mai dimenticato quelle
mani coperte di geloni:
377 Ivi, p. 1185. L‟orig. nell‟ACAG.
378 Ivi, pp. 1186s. L‟orig. nell‟ACAG.
379 Ivi, p. 1186. L‟orig. nell‟ACAG.
380 E. VASSALLO, Memorie, p. 43.
199
Dallo stare [il fratello Giuseppe] tante ore nell‟inverno a tavolino a
studiare soffriva molto freddo e gli si coprivano le mani ed i piedi di geloni
talmente che gli facevano piaga, con tutto ciò non volle mai adoperare fuoco,
né in altro modo coprirsi onde diminuire o liberarsi da quel dolore
incomodo381.
Anche questa forma di penitenza, che può scambiarsi con i comuni mali
di stagione, Paola l‟ha presa dal fratello e, come lui, l‟ha continuata a
praticare fino agli ultimi anni382. Quanta parte di Giuseppe si ritrova
trasfuso in Paola!
Paola aveva già avuto un primo attacco di paralisi e Giovanni, benché
sulla settantina, continua ad andare su e giú. L‟ultimo viaggio a Roma lo
fece una settimana prima che la sorella se ne volasse al cielo. Appena
tornato a Genova, le scrisse la sua ultima lettera datata 6 Giugno 1882,
l‟unica che ci sia pervenuta, non usando, al dire delle suore, Paola
conservarle:
Carissima Sorella
Sono arrivato felicemente alle ore tre e un quarto [del mattino]: Subito
sono andato a riposare e mi sono ristorato ben bene con qualche ora di sonno.
Alle ore sette ho detto Messa, applicandola per te e ne dirò alcuna altra in
seguito, perché, se pel meglio, passi presto il tuo raffreddore. Il mio non è
rincrudito, come temevo dovendo viaggiare tutta la notte, anzi mi sento bene,
non ho che voce fosca: da ragazzi avremmo detto: ha visto la bazara...
Incarico Suor Vasallo (sic), o altra per essa, a far le mie scuse colle Suore,
Novizie e Alunne pel modo tenuto da me nella partenza, ne avranno
compreso la ragione, non volevo dar motivo a scene... P[rete] Giovanni383.
La bazara, un ricordo di quei lontani spauracchi di cui si erano serviti i
grandi per tenerli buoni quando erano bambini. Quante volte il fratellino si
era stretto alla sorella grande che aveva fama di non avere paura, neppure
del buio, mentre ne moriva. Quando la sera c‟era da andare a prendere
381 Da un documento addotto al processo dalla teste E. Vassallo, la stessa delle Memorie,
che attesta averlo copiato da un autografo di Paola Frassinetti. Cfr POS.sV.SA, p. 40.
382 Ci risulta da una lettera al vescovo di Albenga, mons Biale, in cui il Frassinetti si
scusa di non avergli risposto prima perché impedito dai geloni alle mani. L‟originale nell‟AF.
383 L‟originale nell‟ACGSD.
200
qualche cosa nelle altre stanze, o questo o quello ripeteva il ritornello: Ci va
Paolina che non ha paura! Se non fosse bastata la bazara c‟era il gattone
nero.
Giovanni sapeva bene che non si trattava di raffreddore, perciò il 10
Giugno insisteva con la Mto Riv. Suora d‟essere avvertito per telegrafo se la
sorella si fosse aggravata in modo da esserle accanto nel momento del
trapasso:
Ricevuta appena la sua del 9 corte mi portai subito in Albaro per
interpellare Suor Giuseppina e Lucenti se dovessi ripartire per assisterla
qualora Iddio disegnasse di chiamarla. Me ne hanno dissuaso e ne deposi il
pensiero. Se le Assistenti di costí fossero d‟avviso contrario, non hanno che a
telegrafarmi e partirò subito384.
Fa tenerezza vedere questo vecchio, di fama cosí burbero, dimentico
degli anni, della stanchezza e del suo raffreddore, correre ad Albaro per
avere notizie fresche, pronto a ripartire per Roma per non far mancare alla
sorella la sua assistenza. Ne aveva assistito tanti di malati a ben morire,
figurarsi se poteva essere lontano da Paola. Anche fosse ripartito, coi treni
dell‟epoca non sarebbe arrivato in tempo. Paola morí il giorno dopo e chissà
quante volte Giovanni si sarà rammaricato di non essere rimasto a Roma. Il
16 scriveva:
... Ho avuto il piacere di vederla prima del suo passaggio e di parlarle, e
se, come avrei bramato, non ebbi il bene di assisterla fino all‟ultimo, ciò avrà
disposto Iddio per il meglio di Essa e di me. I ripetuti assalti della malattia
che la colpí mi tenevano in pena da anni che una volta o l‟altra ne
sopravvenisse uno piú violento, che non laciasse tempo ai Sacramenti. Iddio
che dispone tutto bene, questo dispiacere lo ha risparmiato anche a me. Ne sia
benedetto. Anche io, quanto le Suore, ho tutta la fiducia che sia già in gloria e
spero pregherà per me. Offrendole questo suffragio non posso finire senza
raccomandarmele che non abbia per sempre da essere disgiunto da Essa.
Spero questa grazia me la impetrerà, e finché sarò vivo tutti i giorni la
chiederò a Dio e alla Madonna per averla, demeritandola io, almeno per
riguardo di mia Sorella e del Fratello [Giuseppe] che a quest‟ ora certo sono
insieme con Dio. Lei, le Suore tutte e anche le novizie e le Alunne per
384 L‟originale nell‟ACGSD.
201
l‟amore che portavano alla Madre non dimentichino il povero zio, come si
compiacciono di chiamarmi....385
L‟addio alla sorella era anche l‟addio a Roma non avendo in essa piú
nulla che l‟attirasse dopo la morte di Pio IX e dell‟amata sorella386.
È difficile dire se era piú il tenero amore per la sorella o il desiderio di
vedere ancora una volta il papa che l‟aveva attirato cosí spesso a Roma.
Ogni andata un‟udienza. Ogni udienza benedizioni da riportare a questo e
quello. Quando anch‟egli aveva cominciato a far gemere i torchi – amore al
papa e dare libri alle stampe per fare un po‟ di bene fu un po‟ il marchio di
casa Frassinetti –, la prima copia dei suoi grossi volumi di predicabili fu
mandata alla sorella perché la presentasse a papa Pio IX.
Ma Giovanni era genovese d‟antico stampo, generoso quando c‟era da
vestire un nudo o dar da mangiare ad un affamato, e Paola lo sapeva per sua
esperienza, ma restio a spendere anche una sola palanca in piú del
necessario in raffinatezze, sprechi di cui avrebbe dovuto rendere conto a
Dio, aveva perciò fatto rilegare quel suo libro cosí alla buona, senza
preoccuparsi della non bella figura a cui esponeva la sorella:
Non sono ancora 24 ore che il tuo libro è stato presentato al S. Padre... –
gli scriveva la sorella in data 26 ottobre 1873 –. Quando il S. P. si avvicinò a
me, gli presentai in tuo nome il libro, il quale prese con la sua solita amabilità
e se lo accostò al petto domandandomi se era del fratello [Giuseppe] morto;
io gli risposi di no, che era del Sacerdote al quale Egli piú volte si era degnato
di accordare l‟udienza; non mi lasciò finire la parola e soggiunse: “È quello
che venne l‟altro ieri?”; io gli risposi di no ed Egli: “Ma dunque quanti ne
avete?”. Io gli risposi: ne ho ancora tre, ed Esso: “Noi eravamo nove, e vi
sono piú io solo, ma sono veccio veccio e andava avanti; si rivoltò mesto e
compassionevole: “Vi hanno detto ancora niente?”, io gli risposi: “Siamo in
nota, ma non abbiamo ancora veduto nessuno”. “Ringraziamo Dio”, rispose e
non disse altro...
Non ti dico niente del fratello [Francesco] perché a quest‟ora l‟avrai certo
veduto e saprai tutto; se ti ha detto che mi ha lasciato a letto, sto meglio, sono
stata due giorni in riposo piú per riguardo che per bisogno.
385 L‟originale nell‟ACGSD.
386 E. VASSALLO, Memorie..., p. 47.
202
Ritornando al libro per il S. P., ho fatto legare il secondo che hai mandato
perché quello legato cosí è meschino assai e la seta sembra sporca; io l‟ho
fatto legare in pelle bianca che sembrava d‟avorio con le sue dorature [...]; è
riuscito bellino molto. Non mi posso piú trattenere. Mi raccomando di star
tranquillo sul mio conto tanto per la salute che pel nostro destino, siamo in
buone mani, non vi è da temere. Addio, tante cose a tutti. Tua Sorella
Paola387.
Era tutt‟altro che avaro pre‟ Giovanni. Racconta la Vassallo:
Non ricco di beni di fortuna e, come gli altri fratelli, non punto interessato
ad averne, D. Giovanni faceva larga parte del suo ai poverelli di Gesú Cristo
non sapendo rimandare sconsolato chi alla sua carità avesse fatto ricorso. Di
questa cosa ebbi a convincermi di mia propria esperienza.
Nel 1885, rimasta io a capo della nostra Provincia di Genova, seppi avere
la casa di Albaro un debito col R. D. Giovanni Frassinetti di circa lire
duemila388 che egli aveva imprestato a chi mi aveva preceduta nell‟ufficio e
di piú che era del tutto passato il tempo fissato alla restituzione senza che
alcuno, o fosse dimenticanza od altro, glie ne avesse piú fatta parola. Confusa
per quel fatto ed angustiata per la ristretteza in cui allora eravamo, mi recai
tosto a trovarlo per dimandargli col perdono altra di nuovo dilazione al
pagamento. Ma non ebbi appena esposta la mia pena ed il motivo di quella
visita, che egli mi rassicurò pienamente non volendo che a quel debito si
pensasse mai piú e riguardassimo quel denaro come cosa tutta
dell‟Istituto389.
In nota aggiunge che la madre Carlotta Stanchi diceva che, specie nei
primi tempi, D. Giovanni aiutò spesso la sorella con mezzi pecuniari.
Don Giovanni in una lettera in data 22 agosto 1869 a suor Giuseppina
Pingiani, dorotea in Brasile, che aveva avuto un pensiero per lui, scriveva:
... Io sono confuso e non so che dirle. Accetto non per altro titolo, che per
questo d‟essere fratello della Madre Generale ciò che Ella mi manda... E in
prova del mio gradimento le fo vedere che uso del diritto acquistato
sull‟oggetto della donazione. Ho scritto adunque alla mia Sorella, che anche
io per la indicata somma concorro alla fabbrica della nuova Chiesa
387 P. FRASSINETTI, Lettere, pp. 886s.
388 All‟epoca un bracciante guadagnava una lira al giorno!
389 E. VASSALLO, Memorie..., pp. 43-45.
203
dell‟Istituto in Roma. Che ne pare a Lei? non è meglio impiegata? Non
lascerò per questo, piacendo a Dio, di far qualche corsa a Roma per eseguire
le incombenze che Ella mi dà... Se io sono lo Zio, confido che vorrà far dire
[alle suore e alle ragazze] una Ave per me... onde possiamo tutti rivederci in
Cielo, ove spero già si trovi il mio compianto fratello [Giuseppe]... 390.
Non era solo Giovanni a dare generosi aiuti alla sorella, ma anche il
padre e Giuseppe, e prete Sturla, uno che per Giuseppe fu piú che fratello, e
perciò fratello anche a Paola, la Carissima sorella in Gesú Cristo. Di tanto
in tanto nelle lettere di Paola compaiono ringraziamenti per i soldi che le
hanno spedito. Lo Sturla, non solo al pari di Giovanni correva a Roma se
chiamato, ma ogni anno le passava parte del reddito dei beni di famiglia,
anche negli anni tempestosi in cui aveva dovuto rifugiarsi ad Aden in
Arabia. Da laggiù:
Carissima Sorella in Gesú Cristo... In quella lettera – le scriveva
preoccupato – vi dicevo che avevo saputo da mio fratello che non vi aveva
pagato perché non sapeva come... se il Sig Rempicci è in Roma... recategli la
lettera [qui acclusa] e, se egli non volesse fare la tratta a mio fratello, vi metto
anche qui dentro un ordine di franchi Duecento che potete mandare a vostro
Fratello in Genova e farlo esigere da lui... Quanto ai frutti del mio patrimonio,
se se ne potranno esigere come vedrete dalla lettera del Sig Rempicci, gli do
ordini di pagarli a voi e voi, se ne avete bisogno, servitevene pure che io per
adesso non ne ho bisogno...391.
Altri nomi dei tanti amici fraterni di Giuseppe andrebbero aggiunti a
quello dello Sturla, amici su cui Paola può contare come sui fratelli e ai
quali spesso si rivolge: i gesuiti padre Gualchierani, suo confessore, padre
Bresciani ed il celebre moralista padre Ballerini; don Filippo Storace, il
canonico Barabino, i servi di Dio don Luca dei conti Passi e don Francesco
Montebruno,... Tutto ciò che era di Giuseppe era di Paola, e Paola sapeva di
poter disporre delle cose di Giuseppe come se fossero cose sue:
Sono diversi mesi che D. Marconi mi sta appresso perché ti scriva che gli
mandi una ventina di libretti intitolati La Gemma delle fanciulle, ma di quelli
con l‟immagine al principio; e dieci o quindici intitolati Conforto dell‟anima
divota, con diversi altri di quelli piccoli con poche pagine. Mi disse il
suddetto di farteli pagare da suo fratello, al quale manderà l‟ordine; io ti
390 L‟originale nell‟ACGSD.
391 In data 10 marzo 1849. L‟originale nell‟ACGSD.
204
prego però di mandarglieli gratis perché egli si presta per noi ed io non so
come compensarlo.
Per farmi avere sicuri detti libretti, con altri che spero vi aggiungerai per
me, mandali al vapore... Giacché fai il pacco, fallo bello grosso e pensa che
oltre le cinquanta educande che abbiamo a S. Onofrio, scuole, dottrine, ecc.,
abbiamo avuto un altro luogo pio con 90 giovani, le quali hanno bisogno di
buoni libri...392.
Anche questa volta il dono superò la richiesta. Dovette trattarsi
addirittura d‟una cassa:
Ieri ebbi gli ultimi libri del pacco che mi hai mandato. Il buon Console
[francese di Civitavecchia] a cui era raccomandato, per farmi avere detti libri
senza nessun impiccio di dogana ecc., me li mandò un poco per volta nel
sacco dell‟Ambasciata; non li ha mandati tutti insieme perché il pacco era
troppo grosso... Questa volta sei stato proprio generoso393.
Ci manca un anche: anche questa volta, tanto piú se si tiene presente che
il Frassinetti dalle sue pubblicazioni ricavava poco o nulla, usando
rinunciare ai diritti d‟autore per tenere il prezzo basso quanto piú fosse
possibile. Né il padre, né i fratelli, né lo Sturla fecero mai mancare a Paola il
loro aiuto. In cambio avrebbero desiderato che scrivesse piú spesso.
Specialmente il padre che mal sopportava i lunghi ritardi fino ad insinuare in
una sua lettera che non gli scrivesse per non spendere qualche grosso in
francobolli:
Ho ricevuta la sua carissima nella quale mi accenna di non aver ricevuto
la mia e mi dice che fu per mancanza di affrancatura; ciò non è vero, perché
detti il grossetto come il solito, ma siccome qui fa caldo assai, quel poverino
che andiede ad impostarla avrà avuto sete e avrà speso il grosso per bere394.
Ma il padre doveva essere rimasto con qualche dubbio se la figlia, a
distanza di due anni, tornò sull‟argomento:
La ringrazio della somma che mandò... Non si creda che le scrivo cosí di
rado per risparmio di spesa, ma piuttosto per pigrizia ed anche per non avere
392 P. FRASSINETTI, Lettere, pp.237s.
393 Ivi, pp. 242s.
394 Ivi, p. 36.
205
cose nuove; ma adesso però mi emenderò e le scriverò piú di frequente... per i
fiori della Signora Giovannetta ho dovuto spendere tre scudi fra dazio, porto
e bollette... ho dovuto anche pagare assai per quel vasetto del Cardinale... che
volevano pesarlo [alla dogana] con tutto il vasetto pieno di terra e farmelo
pagare pure tre scudi come se fossero stati tutti fiori, oppure cavarli dal
vasetto che era lo stesso che rovinarli...395.
Come si poteva non aiutarla con tutte quelle spese!
La ringrazio Lei ed il fratello dei cento franchi... Non si prenda però pena
a questo riguardo che, grazie a Dio, non mi manca il necessario396.
La prego anche – è sempre al padre che si rivolge – di dire ai fratelli che
sono stata costretta ad ordinare un quadro di S. Dorotea, che ancora non ce
l‟avevamo, e che mi costerà circa 50 scudi. Io non gli ho... che perciò mi
raccomando a loro che mi aiutino a pagarlo, che Santa Dorotea li
compenserà397.
Scrive al fratello Giuseppe:
I libri che mi mandasti pel R. Montebruno [Il servo di Dio Francesco
Montebruno]... Quelli che mi dici, nella lettera di Prete Giovanni [il fratello],
che avrei ricevuto per mezzo del Padre Ballerini [il grande moralista amico
ed estimatore del Frassinetti], nei primi di marzo ancora non li ho
veduti...398.
Dacché hai stampati... certi tuoi Esercizi per i fanciulli, i quali io non
conosco, ho spesso domandato detti; perché non me ne mandi? Sento che
fanno molto bene – erano stati recensiti con grande lode dalla Civiltà
cattolica399 – e che sono tanto ricercati. Anche il Sig. Conte Vimercati,
propagatore di tutti i libri buoni, me ne ha domandato una copia, e forse per
farli ristampare... Il suddetto Sig. Conte ha voluto da me una copia di tutti i
tuoi libretti per fare una scelta dei piú utili e farli ristampare....400.
Il Priore l‟ha fatta grossa: dimenticarsi di mandare alla sorella un po‟ di
copie d‟un libro che va a ruba ed è grandemente lodato! Si noti con quale
395 Ivi, p. 42.
396 Ivi, p. 51.
397 Ivi, p. 93.
398 Ivi, p. 273.
399 “Civiltà catt.”, 1860, serie IV, vol. IV pp. 596-599.
400 Ivi, p. 203.
206
candore parli delle edizioni pirata che se ne andavano facendo, e non solo a
Roma. Benché genovesi, pare che tutti i Frassinetti ignorino l‟esistenza dei
diritti d‟autore. Quei libretti sono stati scritti per far conoscere Dio, ora che
li ristampino con lo stesso spirito, come sembra voglia fare questo signor
conte Vimercati, oppure li ristampino abusivamente per trarne guadagno, il
Frassinetti non ha nulla da dire, anzi se ne rallegra. La pensa come
l‟apostolo Paolo:
Ci sono [qui a Roma] di quelli che annunciano Cristo spinti da invidia e
rivalità, altri con retta intenzione... e con ciò? Purché Cristo sia fatto
conoscere secondo verità... io me ne rallegro e continuerò a
rallegrarmene401.
In quei libretti Paola ritrova l‟anima del fratello e le molte conversazioni
avute con lui nei tanti anni di vita vissuta una accanto all‟altro, se ne
continua a nutrire e ne nutre le sue suore e le educande. Le richieste di quei
libretti sono continue, fin dalla prima lettera al fratello Giuseppe scritta da
Roma in data 13 ottobre 1841, la quarta dell‟epistolario, gli parla dei libretti
ricevuti da consegnare al gesuita padre Gualchierani e da darne alle
giovani402.
Paola ha ancora negli occhi le visioni di Quinto dove, parroco suo
fratello, sembrava che in paese fosse missione tutto l‟anno, e Genova con la
sua Beato Leonardo, ossia lo zelo e la santità di quel gruppo di sacerdoti
radunati intorno al fratello. Quel fratello cosí lontano e cosí presente, e cosí
punto di riferimento. Giunta a Roma, Paola non si era sentita una
sconosciuta. Era la sorella di Giuseppe Frassinetti. Quante porte le apriva
quel nome Frassinetti! Sí, era parente di Giuseppe Frassinetti, la sorella, e
l‟opera l‟aveva cominciata con lui. Quei libretti le servivano da credenziali
anche con chi mai aveva sentito il nome Frassinetti, come traspare da questa
sua lettera del 31 ottobre 1842:
Nell‟ultima mia ti scrissi se potevi piú mandare dei libri intitolati: “La
forza di un libretto” e quanto costavano perché vi erano di chi ne avrebbe
comprato; adesso poi ti dico che forse (e anzi ne sono stata assicurata) si
stamperanno qui, atteso che è stato giudicato un libro utilissimo per la
gioventú e si chiama da certi Cardinali “Libro d‟oro”. (Me ne rallegro e
401 Fil 1,15-18.
402 P. FRASSINETTI, Lettere, p. 4.
207
congratulo teco – qui deve aver avuto paura che il fratello peccasse
d‟orgoglio e s‟affretta a rettificare –, cioè ringrazio il Signore che si serva di
te per la sua gloria e vantaggio delle anime)... Autore che si conoscesse da
persone grandi un tal libro fu un ottimo Sacerdote, il quale per segno di
gratitudine verso di me che gli ho fatto conoscere detto libro e di te che l‟hai
fatto, ci ha offerto il S. Sacrificio della Messa. Mi pare che a detto Sacerdote
gli scrivessi una letterina di ringraziamento. Il suo indirizzo: Abate Barola,
Professore di Filosofia Morale nel Collegio Urbano 403-
Ci basti questo per ora per farci un‟idea di ciò che fu Giuseppe per Paola.
Un fratello affettuoso come Francesco, Giovanni e Raffaele, ma con
qualcosa di piú e di unico. Scrive la Vassallo:
È questi il fratello maggiore della Madre nostra, D. Giuseppe Frassinetti,
che già da fanciullo, come già in parte vedemmo, co‟ suoi esempi ottimi, co‟
suoi consigli e poscia con la sua dottrina, contribuí non poco alla santità della
sua degna sorella, sia fra le domestiche mura, sia nella Canonica di Quinto…
sia infine nell‟ardua impresa della fondazione dell‟Istituto. E quantunque di
soli cinque anni la superasse in età e passasse fra loro quell‟intimità che nasce
per comunanza d‟affetti e di ispirazioni, non pur tra fratelli ma fra gli estranei
ancora, la Madre nostra lo riguardava con una deferenza e rispetto, sarei per
dire filiale, come rilevasi dalle sue parole e piú ancora vedesi in varie sue
lettere404.
La sottolineatura è mia. Torneremo sui rapporti intercorsi tra i due
quando tratteremo dei primi anni di parrocato del Servo di Dio. Quella
sorella, da lui formata, gli fa capire, benché fosse ancora cosí giovane, quale
aiuto poteva venire ad un parroco se avesse saputo servirsi di donne ripiene
dello spirito di Dio.
Don Bosco estenderà il suo zelo alle fanciulle quando era ormai già
vicino ai sessant‟anni e cominciò servendosi di ragazze di Mornese formate
da don Domenico Pestarino il quale s‟era formato alla scuola del Frassinetti
e le nutriva con pane impastato con farina del Frassinetti e cotto nel forno
del Frassinetti. Di piú, fu nella canonica del Frassinetti che Don Bosco
conobbe il Pestarino e, forse, furono ancora quei libretti del Frassinetti
403 Ivi, p. 17. L‟ottimo Sacerdote è l‟abate Paolo Barola, autore di saggi e recensioni di
storia e filosofia negli “Annali delle Scienze Religiose”, rivista bimestrale di cultura diretta da
monsignor Antonio De Luca, futuro cardinale.
404 E. VASSALLO, Memorie..., pp. 89s.
208
scritti per le Letture Cattoliche in cui, a pochi mesi dalla loro morte, narrava
la vita di due ragazze Figlie di S. Maria Immacolata405, che dovettero finire
di persuaderlo del bene grande che si può fare alle fanciulle se ci si sa
servire di altre fanciulle che si sono sapute riempire dello spirito di Dio. Ma
di questo a suo tempo.
Non si pensi però che Giuseppe e Paola siano stati sempre d‟un sol
pensiero, vedremo nella seconda parte che non mancarono differenze di
veduta di come il bene andava fatto.
CAPITOLO XV
“I RAGAZZI DEL GIANELLI”
È qua il Cristo; no, è là!406. Anche il martire Giustino lo cercava senza
sapere chi cercasse e dove cercarlo. Sentiva una forza in sé che lo spingeva a
cercare. Andò prima da un peripatetico, ma si incontrò con uno che vendeva
chiacchiere a caro prezzo. Chissà se un pitagorico..., ma il pitagorico non
accettava alunni che non fossero all‟altezza del suo sublime insegnamento.
Si rivolse perciò ad un platonico e ne ebbe qualche seme di verità. Barlumi,
finché un giorno non incontrò lungo la riva del mare un vegliardo misterioso
che lo indirizzò ai profeti. Questi gli aprirono la strada a Cristo407. Non
405 Il 26 novembre 1858 era morta una ragazza genovese di ventisette anni, Rosa
Cordone, figlia spirituale del Frassinetti che ne scrisse la vita a spoglie non ancora
raffreddate: La rosa senza spine ossia memorie sulla vita della pia zitella Rosa Cordone,
morta a Genova ai 26 Nov. 1858, “Letture cattoliche”, Torino 1859.
406 Mt 24,24.
407 GIUSTINO, Dialogo con Trifone, capp. 2-8.
209
meno faticoso l‟itinerario d‟ Agostino prima di quel tolle et lege che segnò il
suo incontro con l‟apostolo Paolo e la sua resa definitiva alla grazia408.
È una storia antica. Ebbe inizio quando un gruppo di amici pescatori
udirono parlare d‟un certo Giovanni che predicava sulle rive del Giordano.
No, non era lui il Cristo, ma colui che li avrebbe indirizzati al Cristo.
L‟incontrarono verso le quattro del pomeriggio. Se ne stettero con lui tutta
la serata, né piú se ne separarono409.
Giuseppe Frassinetti ebbe da muoversi meno. Incontrò il suo “vegliardo”
o, se si vuol dare importanza all‟età, il suo Giovanni Battista, l‟uno e l‟altro
di circa anni trenta, in seminario, a scuola di “Rettorica”, qualcosa come il
nostro liceo classico, e, alla scuola del Gianelli, incontrò pure un gruppo di
ragazzi che, divenuti anch‟essi sacerdoti, combatteranno con lui la santa
battaglia. Incontri di quelli che decidono una vita.
E Dio disse ad Elia: – Rifai la tua strada verso Damasco... ed ungimi
profeta Eliseo, il figlio di Sciafat da Abel-Mecola –... Ed Elia si partí
[dall‟Oreb], trovò Eliseo che arava... gli si accostò e gettò su di lui il suo
mantello... e lo spirito di Elia si travasò in Eliseo410.
Nel 1816 sarà il cardinal Spina a far tornare il Gianelli su i suoi passi e a
farlo fermare a Genova nel seminario. In realtà era stato il Signore che ve lo
aveva chiamato perché travasasse il suo spirito in un gruppo di adolescenti
che mi piace chiamare “I ragazzi del Gianelli”.
Lo confesso, mi convince poco il sistema invalso da qualche tempo di
affidare il reclutamento delle vocazioni a dei professionisti. Quei ragazzi mi
paiono pulcini nati in incubatrice, non dal calore d‟una chioccia come natura
vorrebbe. Il giorno della creazione le piante si trovarono tutte in cuore un
seme vivo per riprodursi in foresta411. Cosí dovrebbe essere di ogni
ministro di Dio. Lo fu di Elia per Eliseo, di Giovanni l‟Evangelista per
Policarpo, di Policarpo per Ireneo. Gente che non si partí da questa terra
senza prima essersi riprodotta in altri, avere avvampato altri. Ascoltiamo
408 AGOSTINO, Confessioni, l. VIII,12.
409 Gv 1,10.
410 1 Re 19,15-16.
411 Gen 1,11s.
210
Ireneo rievocare da vecchio chi negli anni giovani lo avvampò con la sua
parola:
Io ti conobbi da Policarpo nell‟Asia Minore che ero ancora ragazzo –
scrive a Florino –..., le cose di allora me le ritrovo in mente meglio di quelle
di poco fa, perché quel che si apprese da fanciulli cresce con noi e si fonde in
un tutt‟uno con la vita. Potrei perciò ancora indicarti il luogo dove il beato
Policarpo si sedeva a predicare, come usava introdursi [in argomento] e come
lo sviluppasse, quale era il suo stile di vita, che aspetto aveva la sua persona,
ripeterti i discorsi che teneva al popolo, parlarti della stretta familiarità che
diceva aver avuto con [l‟apostolo] Giovanni e con gli altri che avevano visto
il Signore, e come ci ripeteva a memoria i loro discorsi e narrava i fatti del
Signore appresi dalla loro viva voce, ed i suoi miracoli, ed i suoi
insegnamenti. Tutte queste cose Policarpo le aveva apprese dai testimoni
oculari del Verbo della vita e le ripeteva in piena armonia con le Sacre
Scritture. Quei discorsi, che, per grazia di Dio, ascoltai ragazzo con tanta
attenzione, non me li appuntavo sulla carta, ma me li imprimevo nella
memoria e nell‟intimo del cuore e, grazie a Dio, non ho mai cessato di
ripensarli con amore.
Non solo ne conservava vivo il ricordo, ma, tornando con il pensiero a
Policarpo, si sentiva di poter affermare con certezza ciò che egli avrebbe
fatto e detto se fosse stato testimone del tralignamento di Florino:
Io posso assicurare davanti al Signore che se quel venerabile presbitero,
successore degli Apostoli, avesse inteso i tuoi discorsi, si sarebbe turato le
orecchie ed avrebbe gridato come era solito fare: “Buon Dio, a che tempi mi
hai serbato!”, e se gli fosse occorso d‟udire tali discorsi, poco importa se si
trovasse seduto o in piedi, sarebbe fuggito via da dove si facevano412.
Come Policarpo il Gianelli, Parola-saetta. Né gli mancò, accanto ai suoi
Irenei, un Florino che si sarebbe acquistato fama vaneggiando413.
Pre‟ Antonio Gianelli fu di tale ascendente sui suoi giovani che, anche
non piú professore ed assente, restò per loro la norma di come comportarsi,
consigliere e punto di riferimento. In seminario insegnò lettere. Per breve
tempo fu pure direttore di disciplina dei seminaristi interni ai quali un sesto
senso aveva fatto intuire che il direttore di disciplina aveva le spalle
412 IRENEO, Epistola ad Florinum in EUSEBIO, Hist. Eccl. V,20,5-7. MG 7,1225.
413 Cristoforo Bonavino, di cui si parlerà a lungo nella seconda parte. .
211
scoperte, che i prefetti erano in combutta con i seminaristi e che il rettore,
un debole afflitto da gelosia senile, mal sopportava questo giovane
sacerdote, già suo alunno, che riteneva gli stesse togliendo parte della sua
autorità e del suo prestigio. La disciplina nell‟internato rimase piú o meno
quella che era. Un disastro, diciamola la parola. Ma il seme era stato gettato.
Il Frassinetti, per sua fortuna, era alunno esterno, potendosi a Genova essere
seminaristi col solo frequentare le scuole del seminario e partecipare ad
alcune funzioni e conferenze a loro riservate.
Nulla di speciale la scuola di “Rettorica”. Svolgimento del programma:
composizioni italiane e latine, in prosa ed in versi, familiarità con i vari
metri e generi letterari, grande uso della Regia parnassi. Mitologia, gli eroi
di Plutarco visti con gli occhi del Metastasio, anacreontiche popolate di
pastorelle e, perché seminario, escursioni nel mondo biblico e santorale.
C‟era quanto poteva bastare ad un “abate” del Settecento per acquistarsi
fama in dettare epigrafi, comporre poemetti per monacazioni, nozze, nascite
e comunioni, nonché canzonette sacre e profane, o tessere discorsi per le
varie circostanze e darli poi alle stampe. Una seconda occupazione che in
non pochi diventava la prima, se non addirittura la sola. Se poi la natura non
fosse stata avara dei suoi doni, quell‟educazione base poteva essere il punto
da cui partire per innalzarsi molto piú in alto, come era stato d‟un Muratori,
d‟un Forcellini, d‟un Parini o d‟un Galiani.
Lingua morta il latino, lingua tenuta in letargo l‟italiano per ricordarsene
solo nelle grandi occasioni, ed appresa anch‟essa artificiosamente a scuola
sui modelli classici del bello scrivere, né piú né meno di come si apprendeva
il latino, privilegiando il modello Segneri se si sognava di calcare i pulpiti. Il
piú del tempo era per il latino, meno per l‟italiano, e questo da ricalcare su
quello, se voleva essere degno di far gemere i torchi d‟una tipografia. Non
c‟era poi studente che non avesse imparato a memoria passi senza fine
dell‟una e dell‟altra lingua e non tenesse i suoi bravi quadernetti e silvæ in
cui raccoglieva perle rare ed esotici fiori di lingua per impreziosire i propri
lavori. Unica lingua viva per tutti, professori ed alunni, era il dialetto
212
genovese, né valse averne proibito l‟uso l‟arcivescovo Lambruschini414. Il
comma VII del Regolamento di disciplina recitava:
È prescritto l‟uso della Lingua Italiana nel Seminario. I Chierici
Seminaristi dovranno parlarla abitualmente non solo nelle scuole rispettive,
ma eziandio nella conversazione, e nel passeggio... Coloro che vi
contravvenissero, e si permettessero di parlare nella conversazione il Dialetto
Genovese – si notino le maiuscole –, che resta da Noi proibito pe‟
Seminaristi, dopo due avvisi, occorrendo la terza mancanza, verranno puniti
ad arbitrio del Direttore di disciplina415.
L‟ordinanza produsse l‟effetto che avevano prodotto le gride di cui di lí a
qualche anno avrebbe parlato il Manzoni nel suo romanzo. Né poteva essere
altrimenti. Proprio gli addetti a tutelarne l‟osservanza e a comminare la
triplice diffida, i prefetti, non erano padroni d‟altra lingua d‟uso se non di
quella appresa dalle labbra materne, né capivano perché mai si dovesse
violentare la natura.
Della scuola del Gianelli siamo in grado di dire qualche cosa di piú
servendoci dei quaderni del Frassinetti a noi pervenuti, di documenti
manoscritti dello stesso Gianelli, delle pubblicazioni con i resoconti delle
accademie che vi si tennero sotto la sua direzione ed attingendo a ciò che ne
dissero i suoi alunni Barabino e Luxardo. Cominciamo da questi ultimi. Il
Barabino:
Nel fare scuola [il Gianelli] s‟era proposto di procacciare il maggior
avanzamento dei suoi discepoli, e, per riuscirvi, nulla lasciava intentato.
Facea gustare gli esempi de‟ classici sí latini che italiani, ed incitava i giovani
all‟imitazione. Gli esercitava a comporre sí in prosa che in verso... Grave
insieme ed affabile, si conciliava ad un tempo il rispetto e l‟amore de‟ suoi
414 Non ancora cardinale. Lo sarà dal 30 settembre 1831, quando da piú d‟un anno aveva
rinunciato alla diocesi di Genova. Dal 1836 alla morte di papa Gregorio XVI fu segretario di
Stato. Sestri Levante 16.V.1776 – Roma 12.V.1854.
415 Storia del Seminario, Regolamento per il Sig. Direttore di Disciplina da osservarsi
nel Nostro Arcivescovile Seminario di Genova, firmato da Luigi [Lambruschini] Vescovo, in
data 10 Novembre 1822. ASAG. Cart. n. 13 – Anni dal 1811 al 1824.
213
allievi... Né solo ad istruire la mente degli scolari, ma piú ancora a formare il
cuore intendeva416.
Il Luxardo conferma quanto ci ha ora detto il Barabino e ci dice inoltre
l‟importanza che si dava allo studio della storia:
Il suo primo pensiero era quello di far conoscere i classici autori della
italiana e latina favella... Commentava e analizzava gli storici, i prosatori, i
poeti principali e ne faceva notare le piú riposte bellezze. Cominciava dalla
Storia Sacra... Non dimenticava la storia greca e romana; e poi, man mano, le
altre del Medio Evo e dei tempi e de‟ popoli a noi piú vicini...417.
Nella copia della stessa vita fatta da don Giuseppe Daneri , uscita a
puntate sul settimanale La Liguria, leggiamo:
Avea un grande trasporto all‟arte della declamazione e... volle che si
apprendesse pure dai suoi bene amati discepoli. Per lo che, oltre i precetti che
ne scrisse... un giorno della settimana ci faceva recitare dalla cattedra, dalla
quale egli allora ne discendeva, i piú eloquenti brani dei classici, confortando
di lode e di premio i piú valorosi... Inoltre istituí un‟accademia che
chiamavasi Accademia degli ingenui e che teneva due volte ogni mese le sue
tornate... Ciascuno dei soci era tenuto a leggervi un proprio componimento,
ma di tema assegnato... Dal che si vede che il disegno suo principalissimo (e
tal fu veramente) era di promuovere le facoltà dello ingegno perché potessero
divenire non solo scrittori, ma autori. Quindi se volea che bene apprendessero
416 N. BARABINO, Vita di mons. Antonio Gianelli, manoscritto inedito, 1847, p. 348.
ACGSG. Già alunno del Gianelli, gli fu molto vicino, peccato non abbia potuto completare
l‟opera per la morte immatura.
417 F. LUXARDO, Istoria della vita di Mons. Antonio Gianelli, Genova 1882. Si noti
l‟insistere sull‟importanza che in seminario si dava alla storia fin dagli anni di retorica. Studio
molto curato anche negli altri istituti genovesi, come s‟apprende dal passo del Ruffini citato
piú sotto in questo capitolo. L‟insistenza del Luxardo era anche una implicita difesa del
seminario contro l‟accusa del segretario dell‟arcivescovo Charvaz, il savoiardo Jorioz, che,
per celebrare l‟opera del suo biografato, aveva parlato delle condizioni pietose in cui
versavano le scuole alla sua presa di possesso della diocesi e come, per suo merito, mutò tutto
in men che non si dica. Fu confutato dal Tacchini, nell‟opera sopra citata, p. 49, e dal
Campanella, che, tra l‟altro, notavano l‟abolizione della cattedra di storia ecclesiastica voluta
dal nuovo arcivescovo. A. Campanella, Lettera Seconda al Rev. Sig. Enrico Jorioz, Autore
della Biografia di Sua Ecc. Mons. Andrea Charvaz Genova 1871, pp. 31. 36-45. Si tornerà su
questi documenti nella seconda parte della vita del nostro Servo di Dio.
214
gli ammaestramenti dell‟arte oratoria e poetica, e bene recassero a memoria le
lezioni, molto piú esigeva che s‟adoprassero nel comporre i propri lavori...
Se mostravasi tanto sollecito coltivando lo ingegno de‟ suoi discepoli,
molto piú si studiava a coltivarne il cuore. Onde proponea loro a modelli
scrittori sí di prosa sí di verso che alla grandezza dei concetti e alla bontà
della favella accoppiassero sempre la piú pura morale. Ci ricordiamo che
parlavasi spesso del Grisostomo e del primo Segneri e, siccome molto
ammiravali e molto si dilettava in essi, cosí desiderava che del pari i suoi
alunni, specialmente se chierici, ne facessero il loro pascolo prediletto...
sebbene innamorato de‟ due su mentovati, inculcavaci a leggere anche gli
altri... No, non crediamo che altri abbia mai sostenuto siffatta carica tanto
santamente quanto il nostro Gianelli.
L‟anno 1826 fu l‟ultimo che fece scuola di rettorica nel seminario di
Genova, durante il quale noi siamo stati discepoli di lui418.
Un aiuto prezioso ci viene dagli elaborati scolastici del Frassinetti
studente di retorica419. Composizioni, tutte in versi, su fatti e personaggi
della storia greco-romana420 e d‟argomento mitologico421 insieme a temi
religiosi o tratti dalla storia della Chiesa422. Non mancano, va da sé, i temi
418 ACGSG, pp. 41- 48.
419 AF, Manoscritti, vol. 19. Una miscellanea che racchiude, legati insieme e con unica
numerazione, quaderni vari e fogli sparsi. Il quaderno delle poesie va da p. 508 a p. 553.
Nelle pagine bianche in fondo, 554-556, furono incollati alcuni fogli con il sonetto contro
Renan e poesie religiose di epoca posteriore.
420 Socrate minacciato – Sonetto, p. 537; Temistocle forzato dal re di Persia a portare la
guerra in Grecia, s‟uccide – Sonetto, p. 534; Guerriero italico entrato in un ameno giardino
mentre i barbari depredavano l‟Italia (45 endecasillabi) Sciolti, pp. 529s.; Fingesi che dopo
la distruzione di Cartagine un Affricano profetizzi la caduta di Roma (7 ottave di
endecasillabi rimati ABABABCC), pp. 513-515; Camillo scaccia i Galli da Roma – (73
endecasillabi Sciolti), pp. 517-519; Il Pireo distrutto da Lisandro – Terzine (100
endecasillabi in terza rima), pp. 520-523; Leonida alle Termopili (143 endecasillabi) Sciolti,
pp. 524-528; Rimorsi e terrori di Nerone – Parlata tragica (61 endecasillabi sciolti), pp. 531533.
421 Invocazione a Febo (sonetto) p. 510; Alcide unisce il Mediterraneo all‟Oceano (64
endecasillabi sciolti), pp. 511-513.
422 Sfogo amoroso di S. Luigi innanzi al Crocifisso (5 quartine di endecasillabi a rime
incrociate ABBA), p. 546; Morte d‟Erode – Sonetto, p. 537; Invettiva contro Caifas che dice
aver bestemmiato il Redentore affermando d‟essere figlio di Dio – Terzine (73 endecasillabi
215
cari all‟Arcadia423. La Parlata d‟un disperato ci fa da spia che a quei
ragazzi non doveva essere del tutto estranea la letteratura che si rifaceva
all‟Ossian, allora cosí in voga424.
Allo Sfogo amoroso di S. Luigi innanzi al Crocifisso... il ragazzo che,
stando alla sorella santa, non sapeva dire bugie, neppure piccole, appose una
nota: “Questo sonetto di S. Luigi, per essere stato recitato in pubblica
accademia425, fu rivisto ed emendato dal professor di Rettorica il molto
Revdo Antonio Gianelli”. Lo stesso scrupolo per la verità gli fa apporre una
nota al sonetto sulla morte di Temistocle:
Si avverta che per poetica licenza si finge che non col veleno, come
scrivono certi storici, ma col ferro si sia ucciso. Si dirà che sia licenza presa a
spese della storia, ed io nol niego.
Povero poeta, se, cantando la storia, non avesse potuto servirsi della
variatio! All‟alunno Frassinetti era ben nota la seconda ottava del primo
canto della Gerusalemme liberata del Tasso in cui è codificato come da un
poeta va trattata la storia:
O Musa,...
tu rischiara il mio canto, e tu perdona
s‟intesso fregi al ver, se adorno in parte
d‟altri diletti, che de‟ tuoi, le carte.
Alla scuola del Gianelli il Tasso, Cicerone, Virgilio, Orazio, Dante,
Petrarca e Segneri erano di casa:
in terza rima), pp. 547-549; Vanità delle cose umane – Terzine (104 endecasillabi in terza
rima), pp. 538-541.
423 La Primavera – Follia Poetica (sonetto), pp. 533s.; L‟Inverno – Anacreontica (12
quartine di versi settenari, il primo ed il terzo sdruccioli, il secondo ed il quarto piani e rimati)
pp. 535s.; La Primavera – Anacreontica (11 quartine di versi quinari, il primo ed il terzo
sdruccioli, il secondo ed il quarto piani e rimati), pp. 516s.; Tempesta di mare (21
endecasillabi) Sciolti, pp. 530s.; Sonetto: Ferma il pie‟, ferma il pie‟ mia pecorella..., p. 545.
424 Parlata d‟un disperato (16 endecasillabi in terza rima), pp. 515s.
425 Non in quella del 1821 di cui ci sono pervenute tutte le declamazioni con il nome di
chi ne era stato l‟autore e di chi le aveva recitate. Che sia quella dell‟anno successivo di cui,
ch‟io sappia, nulla ci è pervenuto?
216
Non vi stancate di leggere, studiare ed imitar Cicerone, per l‟eloquenza
latina, Segneri per l‟italiana; per la poetica non vi dipartite da Orazio e da
Virgilio fra i latini, e da Tasso per gli epici italiani...
Oltre a tutto questo convien provvedere un buon capitale di esemplari e
averlo pronto alla mano, vuo‟ dire imparare a memoria i piú bei squarci e le
migliori sentenze degli ottimi autori, massime di Virgilio, Orazio e Cicerone
fra i latini, di Dante, Petrarca, Tasso, Segneri fra gli italiani...
Curarono tanto [la chiarezza], che furono pronti a sacrificar tutto per
conservarla Demostene... Cicerone... Omero... Tasso e Virgilio... e mostrano
col fatto, che quello che non è luce, è tenebra, e perciò vizioso....
Potrete molto avvantaggiarvi colla lettura dei classici piú armoniosi, come
Cicerone, Virgilio, Casa, Segneri e Tasso426.
L‟Ariosto no, valendo alla scuola del Gianelli il principio: Maxima
debetur puero reverentia427.
Due composizioni non sono temi assegnati: “Al Rdo Professor di
Rettorica Antonio Gianelli” in occasione d‟essere stato deluso nella
speranza del premio a cui aveva atteso428, e, già in filosofia, un capitolo
sulla morte di Pio VII429. Ne scrisse qualche altra anche da teologo – lo fa
pensare il trovarle in fondo al volume d‟appunti di teologia morale –430.
426 A. GIANELLI, Ristretto di Precetti Rettorici, manoscritto, pp. 32,45,12,19 in ACGSG,.
427 N. BARABINO, Vita di mons. Antonio Gianelli, cit., p. 13.
428 Terzine (118 endecasillabi in terza rima), pp. 541-545.
429 In Morte di Pio VII, Pont. Mass. – Capitolo: Sciogliete il freno, o Sacre Muse, al
pianto... (88 endecasillabi in terza rima), pp. 550-553.
430 AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol XVIII, pp. 625-631. Le agonie e la morte di
Voltaire (91 endecasillabi in terza rima) pp. 625-527; Si persuade un amico a non lasciarsi
adescare dall‟ozio e dall‟amore (nove sestine di versi settenari, rimati abcbdd, il primo e il
terzo sdruccioli, gli altri piani): Fuggi, Signor, dell‟ozio / Fuggi d‟amor le cure... p. 628; un
sonetto sulla battaglia di Trafalgar: Là su quel lido il non mai vinto inglese... p. 629, ed
un‟ode saffica alla maggiore celebrità ligure del Parnaso, il Chiabrera: Qual nuova luce del
Letimbro in riva... (14 strofe di tre endecasillabi ed un adonio, rimati ABAb) pp. 629-631.
C‟è anche un distico in greco alla Provvidenza con traduzione latina p. 629 ed una mezza
pagina in prosa latina sostenuta: Quid cœlos metiri juvat... quid absconditas rerum caussas
inquirere, legesque queis omnia obtemperant...? p. 631. Si noti l‟arcaico queis per quibus. Il
latino l‟aveva appreso bene e poteva servirsene con padronanza, anche in metro. Al comparire
del primo volume del suo Compendio di teologia morale, la Civiltà cattolica trovò un solo
217
La conoscenza delle regole del bello scrivere procurò al Frassinetti
premi, bei voti, la pubblicazione d‟un‟alcaica in latino – aveva solo sedici
anni – e stima grande in casa:
Fervere nostro pectore quis neget
Munus supernum? quo sacra Virginum
Pindi colamus, fert decorum
Nos studium, et rapiens in artes...431.
Premi e delusioni. La storia di quel premio mancato l‟aveva buttato giú.
Ne sfoga l‟amarezza in terza rima al suo professore, il Gianelli, che gli
aveva fatto sperare la corona che poi vide involarsi sul capo di un altro432.
Centoventuno versi, in cui mostra i suoi nobili sentimenti. La stima e
l‟affetto che nutriva per il suo professore, ci dicono cosa per lui e per i suoi
compagni era il Gianelli dal quale si fa dettare le norme di vita a cui
attenersi. Sono versi d‟un alunno diligente in cui si possono avvertire
risonanze dantesche dei primi canti dell‟Inferno e qualche rispondenza con
il carme manzoniano In morte di Carlo Imbonati, che poteva essere già
giunto a sua conoscenza. Mi sono astenuto da tagli che l‟avrebbero
migliorato, perché il lettore si faccia una giusta idea di ciò che sentiva
questo ragazzo di sedici anni e come lo esprimeva. Lo riporto intero anche
per un‟altra ragione, anzi soprattutto per essa: mostrare l‟ascendente che il
Gianelli aveva su quegli adolescenti, un Gianelli canonizzato ancor vivo da
un suo alunno centotrent‟anni prima che lo fosse da papa Pio XII:
appunto da fargli: averlo scritto in italiano, un vero peccato! (Civ. catt., XVI(1865) vol. IV,
serie VI, p. 728). In realtà il Frassinetti aveva steso il suo lavoro in latino e poi se l‟era
tradotto in italiano sapendo, checché se ne pensasse alla Civiltà cattolica, che da non pochi
preti, eccetto quello d‟obbligo, sermo latinus non legitur. Lo strepitoso successo editoriale –
la prima edizione esaurita nel giro di qualche mese – fece ricredere il censore della Civiltà:
(Civ. catt. XVII(1866), vol. VI, serie VI, p. 596). Si noti la diversa posizione del Frassinetti e
del padre gesuita recensore: il primo è pronto a sacrificare il bel latino alla buona formazione
del confessore, il secondo vuole servirsi dei testi di morale scritti in latino per costringere il
clero allo studio della lingua.
431 “Chi può negare che un divin dono ci avvampa in petto? con cui onorare il sacrario
delle Vergini del Pindo (= le muse). Nobile passione ci muove e spinge alle arti belle...”.
432 Di ingiustizie simili, vere o supposte, si lamenta anche il Ruffini nel Lorenzo Benoni.
Op. cit., pp. 30-31. Anche se il Lambruschini insiste sulla massima imparzialità, un
seminarista interno era pur sempre qualcosa di piú rispetto ad uno esterno, ed un blasone, per
quanto la Rivoluzione si fosse accanita a farne scempio e a scalpellarli per cancellarne persino
la memoria, continuava ancora a fare un po‟ di premio a chi ne era adorno.
218
Sotto il bel giogo433, u‟ ogni alma grande e pia
Sale animosa come onor la sprona
fuor della vil turma profana e ria
5
A cingere la viride corona
Che la gloria immortale solo comparte
Ai degni abitator dell‟Elicona,
Ai pii cultori d‟ogni nobil arte,
A quei che meritar diadema e soglio,
Ai degni figli del temuto Marte,
10
15
Scemo di vizio e di nefando orgoglio,
Stuolo diletto al Ciel, stuolo beato,
Da ogni delitto preservato e spoglio,
Io m‟aggirava; e in vagheggiar434 l‟aurato
Seggio di gloria e d‟adamante il tempio
Su ricche basi risplendente alzato,
U‟ non ricovra mortal triste ed empio,
U‟ non sale il livor, la fera possa
Non perviene del tempo e il crudo scempio,
20
Sentimmi al cor irresistibil scossa
E di nobil desire il core acceso
E mia interna virtú svegliata e mossa:
Ed oh! – dicea – felice quei che asceso
Sull‟alto giogo la mortal giornata
Passa ed è poco dalla morte offeso,
25
Che sol la salma esangue al suol calcata
Dall‟indomito pie‟, sua fama altera
Resta e si spande eterna ed onorata.
E invan d‟oblio la nube invida e nera
Tenta oscurarne il bel chiaror e il die
433 Da collegarsi con Io m‟aggirava del verso 13. Per facilitare la lettura ho posto le due
parole in grassetto.
434 e in vagheggiar… Sentimmi al cor del verso 19 in corsivo per facilitare la lettura. Il
Frassinetti, da studente, si mostra alunno tutt‟altro che di fiato corto nel periodare, e vi riesce
senza inciampare lasciando periodi in sospeso! Sacerdote, quando scrive per il popolo, i suoi
periodi si fanno brevissimi, per paratassi. Si direbbe sullo stile dei vangeli.
219
30
A cui non giungerà torbida sera.
Chi mai m‟additerà le dolci vie
Del nobil giogo, e qual pietosa aita
Fia che m‟adduca all‟alme degne e pie?
35
Oh quanto allor la nostra mortal vita
Grata mi fora! e amabile e diletta
Di che ognun teme l‟ultima partita!
Dissi, e fin là sulla gloriosa vetta
Volò la prece umil, ossequïosa,
Dalle bell‟alme non sdegnata e accetta.
40
45
Una fra tutte nobile e pietosa
Alzossi e scese a me che intento e fiso
Vagheggiava la schiera gloriosa.
A lui mi volsi e un placido sorriso
Vidi brillargli in volto, onde mia speme
Crebbe e mostrossi sull‟accenso viso.
A me, diceva, “Amabili e serene
Aure spira di vita e, saggio e pio,
Non ti venga a turbar ombra di pene.
50
Or può esser pago il nobil desio,
Se a salir giungerai l‟altero monte
U‟ il seggio stassi ed il soggiorno mio.
Serena leva – ah non temer! – la fronte
Spera e seconda del tuo cuor i moti
Ché d‟essi al par fian le bell‟opre pronte.
55
60
Gianel son io. Già udi‟ di molti i voti
E colà su gli addussi in vero a gloria,
A bella gloria e vera, e a te son noti.
Or tu dell‟ardua via spera vittoria,
Seguimi e non temer, tutto potrai
Se i miei detti avrai fermi in la memoria».
Disse, e sí vivi scintillar suoi rai
Che di fiducia accesimi, ed in core
Ardimento simil destossi mai.
65
I‟ mossi i primi passi, ed il mio ardore
Vieppiú s‟accrebbe, e alla mia scorta dietro,
Dell‟ardua via neppur guardai l‟orrore
220
D‟amoroso fanciul tenendo il metro
Quando a trastulli suoi da alcun s‟adduce
Che pur non volge i rai brillanti indietro.
70
75
Ma quella via, che all‟alto fin conduce,
Tanto è ristretta in sul principio e oscura
Cui rado scende pio raggio di luce
E tal fatica vuolsi e somma cura
Onde non rovinar, che io mi ristetti
E tutto a un tratto mi prese paura.
I‟ vidi intanto fieri e crudi aspetti
Di bruti e di dragoni. Egli s‟avvide
Del mio timor e sí riprese i detti
80
“Figlio – dice – che temi? – e poi sorride:
– Ove è l‟ardir? Spera e mi segui, o figlio.
Non ve‟ chi ti conforti e chi t‟affide?”
E in lui fissando l‟atterrito ciglio
Qualche scintilla pur d‟ardir destosse
E mi arresi di nuovo al pio consiglio.
85
90
Ma tal nuovo terror il cuor mi scosse,
Tanto temei sicché m‟appresi a un sasso
Né piue al bel suo dir speme mi mosse.
Ei consigliava ed imponeva, ma, ahi lasso,
A muovermi non valse, e immoto e pallido
Piú all‟insú non potei drizzare il passo.
Il nobile desio rimase invalido,
Giacque la speme quasi a non piú sorgere.
A ridestarmi ardir piú non fui valido
95
E allor fu vano dolce aiuto il porgere
Dell‟amoroso maestro, e piú non valse
Il ricaduto ardir a far risorgere.
Molto del mio destin fero lo calse.
Cercò di consolarmi, ed egli intanto
Sul giogo glorioso allor risalse,
100
Mentre io pur miro altrui, che il nobil vanto
Ha di salir per sua mano il colle
E di vestirsi del suo superbo manto
Di fama e gloria, ed io di sudor molle
221
105
Pur ancor tento continuar la via
Che a vera pace e a vero onor estolle,
Sperando ancor ora felice e pia
Che mi ridesti ardir, e amica mano
Che nuova aita a risalir mi dia.
110
Ma, oimè, che temo che il sperar sia vano
Se non riuscivvi il mio duce amoroso.
Ahi, forse spero e mi lusingo invano!
A te pertanto, che il dolce riposo
Hai nel bel tempio, offrir il canto mio
Oso. L‟accetta, o mastro mio pietoso.
115
A te sorrida il ciel sereno e pio,
Lungi il livor da te, lungi lo stuolo
Al ben oprar nemico infame e rio,
Mentr‟io mi giaccio ancor sul basso suolo.
Occhi vivi e scintillanti, brillanti rai, il suo “Gianel”, e parole saette. Il
discepolo seguirà il maestro, non per cingere alloro in Elicona, ma per
cingere ben altra corona su ben piú alta montagna. A casa non credo che
Paola, anche se orgogliosa di tanta bravura del fratello, apprezzasse troppo
tali finezze poetiche e quella sua dimestichezza con dei e dee dell‟Olimpo.
Merito del Gianelli, il buon livello della scuola, ma anche
dell‟arcivescovo di Genova, Luigi Lambruschini, che aveva saputo suscitare
nei giovani tanta emulazione e tanto amore per lo studio. Chiamato a
presiedere le accademie e le premiazioni dei somaschi e degli scolopi, non
avrebbe potuto sopportare che in quelle del seminario, le sue, non si fosse
all‟altezza delle altre, ed anche un po‟ piú in su. Lo vediamo quindi
incentivare a piú riprese l‟emulazione e gli studi dei giovani studenti:
La sapienza ha certamente un prezzo inestimabile, ed il conseguimento di
lei offre per se stesso (non vi ha dubbio) il migliore dei premi... L‟esperienza
ciò non pertanto ha fatto… toccare con mano, che certi eccitamenti, porti
opportunamente a‟ Giovani studiosi, servono non poco ad accrescere il loro
coraggio nel letterario stadio… Tra questi eccitamenti... tengono senza fallo
uno dei primi luoghi gli onorati premi, quando questi siano distribuiti... con
giustizia secondo la sola ragione del merito. A tale effetto Noi abbiamo
ordinato l‟incisione di una medaglia d‟onore... per eccitare la virtuosa vostra
emulazione, premiare nel modo che possiamo i letterari e scientifici vostri
sudori...
222
C‟era davvero da sudare per conquistare la medaglia d‟argento dorato di
una sufficiente grandezza, con l‟effigie di san Siro nel diritto e della
Religione nel verso e, rispettivamente, le scritte Patrono Ecclesiæ
Janunensi-Seminarium Januense e Religioni et Studio-Aloisius
Lambruschini Archiepiscopus! Per il secondo classificato ce n‟era una di
solo argento.
Tutti i Giovani, che noi abiliteremo al concorso, dovranno subire un
esame particolare per ottenere il premio sovra indicato... Agli Scolari di
Rettorica daremo... un tema in prosa, e un altro in verso – in una successiva
notifica precisa: e l‟altro in versi segnatamente latini – sui quali dovranno i
Concorrenti formare ciascuno un doppio componimento... nello spazio di ore
6, essendo questo il tempo che Noi accordiamo, ma resta a tutti severamente,
e indistintamente interdetto l‟uso di qualunque libro, e di qualsivoglia
scritto... Sarà nostra cura di farli esaminare, e esaminarli Noi stessi, con la
massima diligenza, ed imparzialità... Verrà da Noi intimato il giorno per la
formale distribuzione dei premi anzidetti, che faremo Noi medesimi colla piú
grande solennità nel Salone del nostro Seminario, dove sarà pure letto e
distribuito il foglio... nel quale... si troveranno stampati i nomi di coloro, che
saranno riusciti gloriosi nel letterario, e scientifico cimento435.
Alla fine di quell‟anno scolastico 1820-1821, secondo del corso di
“Rettorica”, negli elenchi a stampa, a noi pervenuti, dei riusciti gloriosi nel
letterario, e scientifico cimento, vediamo il Frassinetti insieme al
marchesino Giovan Battista Cattaneo: “1821, idibus Augusti (13 agosto)...
librorum dona elargita iis omnibus, qui in hoc solemni periculo laude digni
judicati sunt Ioannes Baptista Cattaneo, Ioseph Frassinetti”.
Al Lambruschini la preparazione dei chierici stava veramente a cuore. A
lui si deve il corso di canto gregoriano obbligatorio per tutti quelli che non
ne fossero stati esclusi perché “inabili, perché mancanti di voce, o di petto, o
d‟orecchio”. Chi ne aveva le doti, ed il Frassinetti era di questi, doveva
studiarlo con serietà “avvegnacché questo dove sia ben eseguito riesca di
435 Una notifica del 19 giugno 1820. Un attacco solenne, da enciclica papale: Luigi
Lambruschini... per la grazia di Dio, e della Sede Apostolica Arcivescovo di Genova, Abate
perpetuo di S. Siro, Legato Transmarino,... Ai nostri dilettissimi Chierici del Seminario
Arcivescovile, e a tutti gli ottimi Giovani che ne frequentano le Scuole, Spirito di sincera
pietà, aumento del Timor Santo di Dio, e benedizione nel Signore. La stessa solennità
nell‟altra del 16 aprile 1823 citata nell‟inciso. ASAG, Seminario Maggiore di Genova, Storia
del Seminario, Cart. n. 13 – Anni 1811-1824.
223
non poco vantaggio ai fedeli per assistere con divozione, e fruttuosamente
alla celebrazione dei divini Misteri”. Si dedicasse, perciò,
il tempo necessario nel solfeggio, e nel conoscere il preciso valore delle
chiavi, e dei rispettivi segni, che formano come l‟alfabeto del Canto stesso, ed
insegnano ad inflettere, e modulare la voce in guisa che tutti i Cantanti
tendono all‟unisono, donde ne deriva quella che chiamasi dolce armonia...
Ed avvertiva i seminaristi cantori:
Noi daremo tutto il peso alla Censura del loro abile Maestro, ma
formeremo altresí il Nostro giudizio sul maggiore, o minor profitto sulle
prove che eglino medesimi ce ne daranno nell‟assistere, e prender parte colla
loro voce al canto dei divini Uffiicj nel Coro della Chiesa Metropolitana,
dove spesso ci accorgiamo che molti de‟ giovani cantano bensí, ma in modo
da farci temere, che non pochi di essi siano pressoché affatto digiuni della
scienza delle note436.
Altra novità fu l‟introduzione d‟un corso biennale di greco, non solo per i
giovani di umanità maggiore (piú o meno il nostro ginnasio superiore) e per
quei di retorica, ma anche per quei che già si trovavano in filosofia e
teologia.
Il Professore della Classe Superiore compilerà, e pubblicherà il piú presto
possibile colle stampe una raccolta di squarci tratti da diversi Classici Greci,
per l‟uso dell‟una e dell‟altra Scuola. Finché questa raccolta non venga alla
luce, nella Classe degli Elementi si potrà spiegare l‟Evangelo di S. Luca,
nell‟altra gli Atti Apostolici, e le Epistole di San Paolo, etc. 437.
Il Frassinetti, già in filosofia, seguí il corso con grande onore:
1823, XVII Kalendas Septembris (16 agosto)... e secunda schola Græcæ
linguæ – svolse quindi il programma di due anni in uno, essendo iniziata la
scuola di greco il 10 novembre dell‟anno antecedente – laudatus amplissimis
verbis Joseph Frassinetti.
Lode sudata. Si batterono per ben sei ore:
436 Notifica del 19 febbraio 1823. Stessa cartella.
437 Notifica del 14 novembre 1822. Stessa cartella.
224
Certatum est horis sex a singulis classibus. Auditoribus linguæ Græcæ
Novi Testamenti pars, sorti ducta, quae sine interprete latine redderetur,
singulorum verborum origine, et Græcæ linguæ syntaxeos ratione explicata.
Giacché siamo in argomento, aggiungiamo di seguito gli altri attestati a
noi pervenuti, anche se non piú del corso di retorica. Il 16 luglio 1824 lodi
per il profitto in teologia dogmatica ed ancor piú, verbis amplissimis,
insieme al Cattaneo, per la teologia morale. L‟otto agosto 1825 di nuovo
grandi lodi per la dogmatica. Solo per un pelo gli sfuggí il primo premio in
teologia morale: Huic [Gualco Dominico – seminarista interno –] cum
proxime accesserit, Frassinetti Joseph tulit secundum premium438.
Frassinetti, Gualco, Cattaneo, li continueremo a vedere tutta la vita uno a
fianco dell‟altro.
Come oggi i pulcini delle grandi squadre di calcio giocano anch‟essi un
loro torneo, cosí quegli adolescenti avevano una loro accademia, l‟Arcadia
degli Ingenui439, con tanto di tornate e stampa dei lavori che vi si
declamavano. Era distinta in tre classi. Nella prima, cui apparteneva il
Frassinetti, potevano esservi ascritti
tutti coloro che, senza traccia e senza libri, saranno capaci di fare un
discreto componimento in versi Latini, o Italiani, o almeno in prosa esatta e
robusta... Dovranno essere amanti dello studio ed esemplari nella propria
condotta, sí pubblica che privata; e verranno cancellati ogniqualvolta si
avranno prove in contrario. La prima classe avrà un Principe, un Segretario,
un Intendente, un Procuratore, due Censori, un capo Consigliere, quattro
Consiglieri Maggiori e quattro Minori... Sarà cura del Principe, non solo di
invigilare al buon ordine ed ai progressi generali, ma tutti eccitare alla
saviezza ed allo studio coll‟esempio, coll‟insinuazione e collo zelo... Gli
Arcadi ascritti, passando a un‟altra scuola, non perderanno il diritto
dell‟Arcadia... e potranno aver parte nelle pubbliche Accademie440.
Tra i dignitari dell‟Accademia nell‟anno 1820-1821 troviamo il
Frassinetti col titolo di secondo censore, e l‟anno successivo di intendente.
Due i censori, uno l‟intendente. La prima carica fa pensare ai probi viri dei
438 Le citazioni di questi due paragrafi le ho attinte dagli appunti di GIUSEPPE CAPURRO
conservati nell‟Archivio Frassinettiano.
439 Cfr. Memorie dell‟Arcadia degli Ingenui, in ASAG.
440 ACGSG.
225
partiti, mentre “l‟intendente proporrà i temi da trattarsi nelle Accademie o
esercizi, combinerà ed assegnerà i diversi argomenti, dopo averli consultati
col Principe e col Maestro...”. La carica piú alta era quella di Principe,
ricoperta nei due anni dal Cattaneo. Tra i Consiglieri troviamo il nome dello
Sturla, del Poggi e di Girolamo Campanella, tutti nomi che ritroveremo
spesso nel corso della storia. Nell‟anno 1821-1822 colpisce vedere successo
al Frassinetti nella carica di censore, anzi di primo censore, Federico
Campanella. Di lí a due anni l‟Università di Genova lo sospenderà per un
mese dalle lezioni perché s‟era permesso “di disturbare l‟ordine e la
disciplina degli studenti nella scuola di fisica”441 e, per di piú, “avanzare
delle massime contrarie alla Religione ed all‟autenticità dei libri Santi”442 e
mostrare “disprezzo per le pratiche ecclesiastiche”443. All‟Università s‟era
incontrato con il Mazzini e ne divenne il compagno di tutti i moti e di tutte
le congiure. Fu l‟uno del “piccolo gruppo di scelti giovani, di intelletto
indipendente, anelante a cose nuove” che era ancora “rimasto a combattere
per l‟antico programma”444. Capo della massoneria italiana, riuscí nel 1869
ad unificarne le cento scuole445.
441 AUG, Documenti universitari, Registro delle deliberazioni, n. 5, 18 febbraio 1824,
citato da A. CODIGNOLA, I Fratelli Ruffini, vol. I, cit., p. XXXIX.
442 AUG, Docum.univ., Reg., .5, 11 marzo 1824. Delitto che aveva prolungato la
sospensione sine die. Severità piú apparente che reale, trovandosi sempre il modo di
vanificarla. Nel caso, per essere riammesso alla lezioni bastò una supplica in cui si chiedeva
“a non voler interpretare in mala parte dette questioni, protestando aver ciò fatto
accademicamente per solo esercizio d‟argomentazione e non già per non essere persuaso delle
verità sante insegnate ne‟ sacri libri, delle quali si protesta umile e sincero credente” (Cfr.
AUG, Documenti scolastici, F. Campanella, cit. da A. CODIGNOLA, ivi).
443 Rapporto del prefetto agli Studi Gerolamo Bertora, 5 marzo 1824, p. XXXVIII.
444 G. MAZZINI, Scritti Editi e Inediti, vol. I, Note autobiografiche, cap. I.
445 Dizionario del Risorgimento Nazionale, vol. II, Le persone, Milano 1930, p. 500. Se
la cosa all‟epoca non fosse stata tutt‟altro che rara, potrebbe suscitare meraviglia saperlo zio
materno della beata Rosa Gattorno, fondatrice delle suore di S. Anna, dopo di essere stata una
Figlia di Maria della Pia Unione che faceva capo al Frassinetti. Fallito il moto mazziniano del
1833, il Campanella trovò rifugio nella casa della sorella e fu fatto fuggire in Francia dove
pose in salvo la vita. Rientrato in Italia nel 1848, ebbe un influsso funesto sul nipote
Federico, fratello di Rosa Gattorno, che ne rinnovava il nome. Sempre a Genova, Nino Bixio
aveva un fratello gesuita; Antonietta Mazzini fu una pia cattolica e tutt‟altro che fiera del
fratello Giuseppe, fino a pregarlo di non venire quando voleva passare a confortarla per la
226
Anima dell‟accademia era il Gianelli, sostenuto dall‟arcivescovo
Lambruschini. In quella del 1821, “La Religione e le Lettere”, il Frassinetti
recitò un componimento di 108 versi in terza rima scritto dal suo compagno
Sciallero, mentre la sua alcaica Litterarum prestigium, di cui abbiamo
riportato alcuni versi, fu letta dal Cattaneo. Ci furono ben trentasette
declamazioni. Un vero florilegio di generi letterari in latino, greco, italiano e
genovese446. Tra i partecipanti si riscontra piú d‟un nome che rivedremo
nella nostra storia: Lorenzo Revelli e Filippo Poggi, ciascuno con un
sonetto, Girolamo Campanella, fratello del piú giovane Antonio, il
battagliero giornalista del Cattolico, anch‟egli sacerdote, con un epigramma
latino447. Luigi Sturla con un detto greco. Vi partecipò anche Federico
Campanella, con uno scherzo in genovese e un‟ode448. Non mancò la
musica, ed in musica anche il ringraziamento finale.
Queste accademie, presiedute dall‟arcivescovo, presenti le autorità, i
familiari degli alunni e scelti invitati, come pure le solenni premiazioni di
fine anno, erano la messa in mostra del valore della scuola e la gran giornata
degli alunni piú bravi. Ce se ne può fare un‟idea leggendo la descrizione
della premiazione di fine anno al Collegio Reale dei somaschi nel Lorenzo
Benoni di Giovanni Ruffini:
La distribuzione dei premi ebbe luogo, come al solito, nella chiesa del
collegio. In tali occasioni, l‟altar maggiore era trasformato in un anfiteatro di
panche a gradinata sulle quali stavamo seduti come in trono, in cravatta
bianca e guanti di cotone pure bianchi. Gli spettatori, perlopiú genitori e
amici degli allievi, erano tutti raccolti nella navata, e i posti d‟onore erano
occupati dall‟arcivescovo, dal governatore militare e dal presidente del
senato.
morte del marito “a causa dei suoi principi e per riguardo al presunto desiderio del defunto
marito” (G. MAZZINI, Scritti editi ed inediti, Ed. Naz:, vol 91, pp. 324s.).
446 La Religione e le Lettere, un opuscolo pubblicato nel 1821 in Genova da Bonaudo,
“Stampatore Arcivescovile”. Ce ne è pervenuta una copia a mano del Frassinetti. 139 pagine
di cm 14x15. Vi si riportano i componimenti del trattenimento accademico dato in seminario
a conclusione dell‟anno scolastico 1820-1821. Il componimento del Frassinetti, sedicenne,
letto dal compagno G. B. Cattaneo, futuro rettore del seminario, si trova a pagina 57.
447 Non saprei dire se erano imparentati con Federico Campanella e la Gattorno.
448 Le lettere vendicate e La Religione e le Lettere. Cfr. pure A. CODIGNOLA, I fratelli
Ruffini, vol. I, Genova 1925, p. XXXVIII, n. 87.
227
La cantata fu un vero successo, e il pubblico ne chiamò due volte alla
ribalta gli esecutori. Anche il mio inno alla Provvidenza in versi sciolti,
declamato con molto impeto, riscosse grandi applausi. Infine vennero
pronunciati i nomi degli alunni premiati, cominciando dalle classi inferiori.
Giunti alla classe di retorica: «Primo premio in versificazione latina, al signor
Lorenzo». Scesi dal mio banco e ricevetti dalle mani dell‟arcivescovo una
corona di alloro e qualche libro, mentre il pubblico... scoppiava in applausi
fragorosi.
Lorenzo, ossia Giovanni Ruffini , fece il pieno: primo premio in poesia
italiana, premio di geometria, premio di disegno.
L‟entusiasmo che si scatenò è indescrivibile. Ultimo veniva il premio di
eloquenza, o di prosa latina, ch‟era il piú importante e portava il nome di
“Massimo primo premio di tutta la distribuzione”. Distribuiti tutti i premi
salvo questo, subentrò una pausa; poi l‟orchestra attaccò un motivo, finito il
quale, vi fu un minuto di vibrante attesa, di silenzio profondo, di orecchie
tese... “Il massimo primo premio di tutta la distribuzione, al signor Lorenzo!”.
Chi può descrivere l‟eccitazione che si impadroní del pubblico a
quest‟annuncio? Il padre rettore si alzò, mi venne incontro e mi si gettò nelle
braccia piangendo. Il povero signor Lanzi – in realtà Giacomo Lari,
professore di greco e di latino, di grande ascendente sui giovani –
singhiozzava addirittura...
Dopo la distribuzione passammo al refettorio, dove ci attendeva un pranzo
di gala con la partecipazione dei parenti dei premiati... Quando la cena fu
finita,... vacillando sotto una caterva di libri e di corone, lasciai il
collegio449.
Gioia simile avrebbe vissuto il nostro Frassinetti se non fosse stata
appannata dall‟amarezza del primo premio datogli per sicuro e visto
assegnato ad altri.
Il ricordo della sua bravura a scuola, e soprattutto di quell‟ode latina, era
rimasto cosí vivo negli antichi compagni di retorica, da ricordarsene a
quarantasette anni di distanza nelle commemorazioni che fecero alla sua
morte:
Applicato per tempo agli studi nel nostro ven. Seminario Arcivescovile, le
cui scuole erano a que‟ giorni le piú frequentate della città,... suscitò nei
449 G. RUFFINI, Op. cit., pp. 99s.
228
professori e nei compagni ottime speranze di futuro sacerdozio, come colui
che sapeva innalzarsi tra i primi allievi nelle esercitazioni letterarie...450.
Il canonico Filippo Poggi, uno che a quell‟accademia aveva preso parte
con un sonetto e 94 endecasillabi, ricordava con prosa preziosa
l‟ammirazione che avevano suscitato i versi latini del Frassinetti:
Forse non gli sconverrebbe la lode dei divini Proverbi: Viæ eius, viæ
pulchræ. La quale sentenza si avvera ancor piú, se per poco il miriate nel
primo stadio della carriera scolastica. Dischiudi pur le tue sale al nostro buon
garzoncello, o venerabile Seminario genovese; e poiché desti, e dai tuttodí,
cultori devoti alle muse e alle scienze, ecclesiastiche singolarmente, accogli
pure costui, perché in crine ancor biondo nasconde senno alto e maturo451. Il
nome di lui suona incremento: filius accrescens Joseph, filius accrescens;
epperò crescerà rinomanza alla tua Accademia, al tuo Perípato, non che alla
palestra delle teologiche discipline. Eccol difatti, primo tra i primi acquista
seggio in Arcadia, e in picciol tempo ne tiene i sommi gradi. La stampa già
divulga la fama di un‟ode sua latinamente dettata nel difficile metro d‟Alceo,
ove toglie a celebrare il prestigio delle umane lettere, e in trattenimento
accademico ne coglie i vivi applausi dalla dotta e numerosa adunanza452.
Chissà se il Frassinetti, da poco piú d‟un mese in paradiso, tutto intento a
saziarsi gli occhi di quelle infinite meraviglie, fece caso alla prosa leccata
dell‟antico compagno ed amico, cosí lontana dalla semplicità della sua, e ne
sorrise con il Gianelli.
Nei titoli dei temi che venivano assegnati a quei giovani v‟è certo del
paradossale. In pieno clima di restaurazione e dura repressione, di
assolutismo regio – sono gli anni di Carlo Felice –, di rigorosa censura e di
felice connubio di trono e altare, nei seminari, come nelle altre scuole
anch‟esse tenute dal clero, si tifava repubblica e libertà. Lo nota Giovanni
Ruffini nel romanzo autobiografico:
450 Un necrologio anonimo comparso l‟8 gennaio 1868 sul periodico genovese
Stendardo Cattolico. Cfr. pp. 6s. Un estratto di 16 pagine, tirato a parte, si conserva nell‟AF.
451 Questo fa pensare che il Frassinetti da giovane fosse biondo.
452 CAN. F. POGGI, Della vita e degli scritti di Giuseppe Frassinetti priore di Santa
Sabina – Discorso nelle solenni rinnovate esequie il dí 14 febbraio 1868, Genova 1868, p. 7.
Cfr. pure D. FASSIOLO, Op. cit., p. 16.
229
Incredibile ma vero, in Piemonte453 – cioè nella parte d‟Italia forse piú
dispoticamente governata a quei tempi – l‟istruzione pubblica era del tutto
repubblicana. La storia di Grecia e di Roma, sola cosa che ci fosse insegnata
con cura, era, per la luce nella quale era messa, poco meno di un continuo
libello antimonarchico e di un panegirico della forma di governo
repubblicano... La grandezza e la potenza di Roma risalivano al momento in
cui aveva espulso i Tarquini, mentre la grande repubblica che aveva
conquistato il mondo era impallidita nelle mani di Cesare... Si direbbe che
l‟odio dei tiranni e l‟entusiasmo per il loro assassinio fossero coltivati in noi
di proposito. I temi assegnatici in classe si muovevano tutti in quell‟orbita:
una volta ci si chiedeva di lanciare i fulmini della nostra eloquenza latina su
Cesare in atto di passare il Rubicone, e mostrare, in un‟orazione in tre parti
con esordio e perorazione, ch‟era il gesto d‟un figlio snaturato per soffocar la
repubblica sua madre; un‟altra eravamo chiamati a divinizzare i due Bruti,
Muzio Scevola, Catone eccetera. Cosí fin dai piú teneri anni, ci si inspiravano
idee e sentimenti che erano in completa antitesi con quelli che avremmo
dovuto portare nella vita pratica, e un cieco entusiasmo per atti e virtú la cui
imitazione sarebbe stata condannata e punita come un delitto dalla società in
cui dovevamo vivere454
Istituire repubbliche era uno dei giochi che piú li divertiva in cortile. Non
sul modello di quella di Genova, come a Genova, ancora umiliata per essere
stata ridotta a provincia, ci si potrebbe aspettare, ma di quella romana con
contaminazioni della francese dei tempi della Rivoluzione. Un darsi da fare
a costruire corazze elmi e scudi per celebrarne i trionfi con tanto di littori e
fasci e bandiere con nel centro stemmi di mani intrecciate e scritte:
Repubblica – Fraternità. Le acclamazioni però non erano quelle riportate da
Svetonio impregnate d‟olezzo di caserma, ma odorose d‟incenso: Dio salvi
la Repubblica, risonanza della vecchia invocazione udita per secoli alla fine
della messa festiva nelle chiese delle due Riviere. Una bella commistione,
non c‟è che dire. L‟articolo 3° d‟una rinata “Repubblica” nel “Collegio
Reale”(!) sonava:
453 Qui sta per Regno di Sardegna, quindi anche a Genova dove egli aveva fatto i suoi
studi al Collegio Reale.
454 G. RUFFINI, op. cit., p. 76.
230
Il potere nazionale risiede nell‟intera camerata, e, a maggioranza di voti, è
delegato ai due consoli, investiti dell‟amministrazione della giustizia e della
conservazione della libertà455.
Sono titoli ed atteggiamenti che ci fanno sorridere, ma erano secondo i
programmi in uso, poco importa se in cattedra sedevano somaschi scolopi
gesuiti o clero diocesano. Cesare Cabella, alunno del De Gregori e
compagno del Mazzini, agli esami di Magistero per accedere all‟Università,
dovette svolgere per l‟italiano il tema: Amilcare obbliga il suo figlio
Annibale a giurare odio ai Romani; per il latino: In Brutum Cæsaris
interfectorem – Oratio456. In seminario, la scuola piú frequentata di
Genova ed aperta anche a chi non aveva mai pensato di ricevere gli ordini,
cambiavano i sonatori, non cambiava lo spartito. Del resto, basta una scorsa
alle poesie di quanti poetarono sui destini d‟Italia per farsi un‟idea di come
questo retoricume libresco, infarcito di Bruti Deci Scipioni Gracchi e
Catoni, fosse divenuto sostanza del loro dire. Ancora ai tempi della mia
infanzia Annibale e Scipione continuavano a combattersi nelle nostre aule di
ginnasio, metà cartaginesi e metà romani, schierati in campo, anche se
armati di verbi nomi e date invece che di giavellotti.
Se si eccettuano le terzine al Gianelli per il premio non conferitogli e
poche altre composte quando era già studente di filosofia e teologia, questi
componimenti del Frassinetti ci dicono quello che possono dirci i compiti
d‟un giovanetto studioso e diligente. Temi scolastici svolti in versi.
Padronanza della meccanica del verso. Ci sono le rime, esatto il ritmo,
dipendenza dai modelli, assente l‟ispirazione. Poeta nascitur. A parte le
continue incertezze ortografiche per colpa di quelle consonanti doppie e di
quella zeta, non esistenti in genovese, che, per paura di non metterle giuste
dove occorrevano, spesso si poneva anche dove non andavano, tenendo
conto dell‟età acerba, non mancano dei bei versi.
Nei suoi manoscritti troviamo versi in gran numero, ma non piú
altisonanti come quelli del quaderno di scuola, né piú vi si incontra una sola
divinità dell‟Olimpo o eroe della storia antica. Sono strofette devote,
destinate al canto per rendere belle le funzioni o da ricanticchiare durante il
giorno a modo di giaculatorie. Vi si avverte la commozione d‟un animo che
455Ivi p. 77.
456 AUG, Documenti scolastici.
231
crede, un Frassinetti alunno di sant‟Alfonso Maria de‟ Liguori piú che del
Gianelli. Si direbbero una sua trovata per distendersi dagli studi seri senza
cessare di essere un pastore che vuole dare un qualche confettino alle sue
pecorelle, o gustarsi lui stesso piú a lungo la bellezza d‟un salmo col
parafrasarselo in versi italiani. Ma quando nel 1863 uscí la Vie de Jésus del
Renan, apparsa lo stesso anno a Milano tradotta in italiano con un proemio
riboccante d‟astio anticattolico457, il mite Priore, benché sui sessant‟anni, si
risvegliò adolescente focosissimo, e fece della penna stiletto:
Renan
In questo dí che non ha mane o sera,
Ti generai dalla sostanza mia.
Ti assidi alla mia destra e regna e impera
Sopra il ciel, sulla terra e sulla ria
Congrega della gente sozza e altera.
Lo scettro tuo sí luminoso fia
Che sarà sol della suprema sfera
Dove luce ed amor ogni alma india.
Cosí l‟Eterno al Figlio suo diletto,
Fatto Gesú perché figliuolo a Lei
Che fece al serpente antico il gran dispetto.
E a Lui per contro un vile verme grida,
Ti traggo al suol che un pari mio tu sei!
Schiacciate il verme blasfemo deicida.
Al Lettore non saranno sfuggite le rispondenze coi salmi 2 e 110(109) ed
il verso finale che pare una risonanza della chiusa del salmo 137(136),
salmo già da lui tradotto in versi settenari. Nel rovescio di una lettera spedita
dalla sorella Paola al fratello don Giovanni in data 8 ottobre 1863 troviamo
un altro sonetto del Priore con cui depreca la Vie de Jésus di Ernesto Renan.
Al suo demone un dí chiedeva Ernesto:
Io son vago di fama e di moneta,
457 Ne era traduttore un prete apostata, don Filippo De Boni, uno che nel „48 aveva
furoreggiato a Genova. Si vantava di essere liberale prima e sovra tutto. Da liberale si fece
mazziniano e massone. Dopo una vita di turbolenze venne seppellito a San Miniato in Firenze
con le insegne della setta. Cfr. A. COLLETTI, Ausonio Franchi e i suoi tempi, Torino, 1925, pp.
61.70.
232
Dimmi qual mezzo mi saria piú presto
A conseguir la desiata meta.
Mio re, mio padre, sai che io non mi arresto
Per orror di delitto, or, se tu lieta
farai mia brama ardente, io mi protesto
Ardito a compier quanto il ciel mi vieta.
Dolce amico e figliuol, oro ed onore
L‟illuminato secolo profonde
Ove nequizia e frode havvi maggiore.
Mesci da sofo bestemmie e argomenti
Contro di Cristo il nome, risponde,
E vedrai tosto i tuoi desir contenti .458
Figlio di pace il Frassinetti, ma non malato d‟irenismo, come non può
esserlo chi ha contratto dimestichezza con la Scrittura ed i padri della Chiesa
e si è preso Gesú Cristo come regola del suo sacerdozio. Ad apertura di un
corso di storia ecclesiastica, non portato a termine e rimastoci manoscritto,
aveva posto una lunga dissertazione in cui critica le congetture usate dagli
“eruditi” nel vagliare i fatti dei tempi antichi in base alle quali li accettavano
per veri o rigettavano per falsi, invece che limitarsi a dichiararli dubbi per
insufficienza di documentazione:
Ci sorprende ugualmente che i nostri eruditi – continua –, molti dei quali
non serbano tutta la moderazione e tutto il buon garbo nelle pacifiche
controversie cogli avversarii delle loro opinioni, pretendano una moderazione
cosí inalterabile da‟ santi Martiri negli interrogatori che sostenevano in mezzo
ai tormenti da sospettare che siano finti o sí vero adulterati quegli atti che
riferiscono le vive e forti parole di che ricambiavano gli‟immanissimi
persecutori… Ma orvia, giú gli scrupoli delle risentite parole, non pianga
Baillet il cattivo esempio lasciato alla posterità dai santi Taraco Probo ed
Andronico, posciaché di parole risentite noi [ne] troviamo abbastanza nelle
stesse Divine Scritture proferite dai santi Maccabei contro Antioco, da S.
Giovanni Battista e dallo stesso Divino Maestro contro de‟ Farisei. Ella è
virtú una placida mansuetudine, ma è pure virtú un‟ira ardente, né questa a
quella si oppone come insegna S. Tommaso (Parte III q. 15 a. 9)459.
458 ACGSD.
459 G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. 2, AF, pp. 57s. Un lavoro di 739 pagine cm
21.5x30,8, non portato a termine, né furono trascritte in pulito le parti svolte, eccetto la
233
CAPITOLO XVI
L‟ADOLESCENTE FOCOSISSIMO
Dissertazione sulla Critica riguardante i primi secoli della Storia Ecclesiastica, pp.1-82, da
cui abbiamo preso il passo. Nell‟articolo della Summa a cui rinvia, san Tommaso si pone la
domanda Utrum in Chisto fuerit ira, se in Cristo ci fu ira, e risponde che l‟ira del Signore
proveniva dallo zelo e si fa forte di Giovanni 2,17, che richiama il Salmo 69(68),10, con il
commento che ne fece Agostino (Commento al Vangelo di Giovanni X,9): “È divorato dallo
zelo della casa di Dio chi vuol correggere tutte le cose perverse che vede e, se non può, le
tollera gemendo”.
234
Un jour une de mes maîtresses de l‟Abbaye me demanda ce
que je faisais les jours de congé lorsque j‟étais seule. Je lui
répondis que j‟aillais derrière mon lit dans un espace vide qui
s‟y trouvait et qu‟il m‟était facile de fermer avec le rideau et
que là «je pensais». – Mais a quoi pensez-vous? me dit-elle. –
Je pense au bon Dieu, à la vie... à l‟ÉTERNITÉ, enfin je
pense!... La bonne religieuse rit beaucoup de moi, plus tard
elle aimait à me rappeler le temps où je pensais, me
demandant si je pensais encore... Je comprends maintenant
que je faisais oraison sans le savoir et que déjà le Bon Dieu
m‟instruisait en secret.
Sainte Thérèse de l‟Enfant-Jésus460
Se la cara Santina non ci avesse lasciato i suoi manoscritti, nessuno
avrebbe pensato di fare d‟una bimba di otto anni una Qohelet che già pensa
al tempo che passa e alle vanità di questa terra, alle quali non vale proprio la
pena d‟attaccarsi avendoci Iddio creati per lassú. Di lei, supposto che la
memoria avesse varcato le mura del chiostro, avremmo saputo che era stata
una santa suora, una di quelle su cui si sarebbe potuta riscrivere, se per caso
fosse andata smarrita, la regola mirando a come lei l‟aveva vissuta. Eppure,
sono proprio i pensieri e le scelte di quei primi anni che fanno il santo.
Anche chi ebbe una gioventú dissipata, a guardar bene, trova che la
conversione si riattacca ad un qualche suo sí degli anni della fanciullezza.
Il Frassinetti ci viene presentato dai suoi biografi già sacerdote,
dicendoci poco o nulla della sua infanzia e della sua adolescenza. Una
giovinezza, quella del Frassinetti, pari al percorrere in treno le Riviere della
sua terra: una lunga galleria rotta di tanto in tanto da squarci di cielo e di
mare azzurrissimi, visioni di un attimo che ti lasciano il rammarico di non
poterti godere l‟incanto di quell‟ azzurro. Tre o quattro paginette il Fassiolo,
una pagina la sorella. Quel che si può dire d‟ogni santo fanciullo:
obbedienza ai genitori, spirito di preghiera e di mortificazione, orrore
460 “Un giorno una maestra dell‟abbazia mi chiese come passassi i giorni di vacanza
quando mi trovavo sola. Risposi che andavo in un angolino libero ch‟era dietro il mio letto,
tiravo la tenda senza difficoltà e lí «pensavo» – Ma che pensi? mi chiese – Penso al buon Dio,
a la vita... a l‟ETERNITÀ, penso, ecco tutto!... La buona religiosa rise molto della risposta.
Passato del tempo, le piaceva ricordarmi il tempo in cui pensavo e mi chiedeva se pensavo
ancora... Ora mi rendo conto che facevo orazione senza saperlo e che il Buon Dio
m‟ammaestrava nel segreto. Manuscrits autobiographiques, Ms A, folio 33vo.
235
d‟offendere comunque il Signore. Apprezzamenti generici, sprazzi di luce
che ti fanno sentire di quanto tu sia stato derubato.
Sorprende non poco il focosissimo rimasto cosí vivo nella memoria della
sorella. Il Fassiolo e l‟Olivari non poterono conoscere la deposizione di
Giovanna Sanguineti461 al Processo: “[da] ragazzo ho sentito dire che fosse
piuttosto vivace: egli stesso lo confessava, soggiungendo però che, purché si
voglia, si può divenire miti come agnelli”, ma, se avessero guardato meglio
in quel suo quaderno di poesie da lui composte nei due anni di “Rettorica”
ed in un altro della stessa epoca, intitolato Selva Poetica, dove ne aveva
trascritte in buon numero prese da varie fonti, avrebbero trovato la conferma
che Giuseppe fu veramente un focosissimo adolescente come lo ricordava la
sorella. A quell‟età, anche se non si parla di sé, anche se si svolgono temi
generici, è impossibile non scoprire lembi del proprio animo senza che ce se
ne accorga.
Proviamo a farla noi questa lettura e non ci mancheranno sorprese, se di
lui, leggendo le sue opere, ed è il mio caso, ci si era fatta un‟immagine cosí
simile all‟aura carezzevole che sul Carmelo ristorò il profeta Elia 462, tanto il
suo eloquio è piano e scende dolce al cuore. Mite l‟eloquio, mite l‟uomo,
cresciuto, si direbbe, tra rose e fiori, in un giardino simile a quello che egli
stesso ci canta:
Questo di Flora amabile soggiorno
A Zefiro diletto, ah, quanto è bello!
Quanto ave in sé de‟ doni di Primavera:
Serbata la gentil rosa d‟Aprile
Vedesi a Giugno, e la violetta ascosa
Celando sua beltà bella si mira.
Qui il Gelsomin s‟innalza, e i torti rami
Attorno stende, biancicante, e manda
Gratissimo l‟odor...
Fortunato cultor che i lieti giorni
461 Da ragazza era stata assidua alle conferenze del santo Priore per un buon numero
d‟anni ed aveva conosciuto bene i suoi amici ed i suoi familiari. Cfr. POS.sV., p. 120. Né il
Fassiolo, né l‟Olivari poterono servirsi della sua deposizione al Processo diocesano essendone
stati pubblicati gli atti il 21 settembre 1934.
462 1 Re 19,12s.
236
Qui passi amico a Zefiro e Pammona
De li cui doni l‟orticel fa pompa...463.
Viene da pensare che la sera, quando dal mare s‟alzava la brezza, il
Signore se ne scendesse anch‟egli a passeggiarvi per intrattenersi un‟ora in
compagnia del giovinetto464, compiaciuto del giardino e del ragazzo che vi
aveva posto a coltivarlo, vedendo che ciò che aveva fatto era cosa buona465.
Il canto continua con la descrizione di piante provenienti d‟ogni parte del
globo, riportate, si direbbero, dai marinai appunto per abbellire quest‟angolo
di paradiso ad un adolescente mite e dolce, non certo focossimo come
vorrebbe la sorella.
Inaspettatamente il tono del carme cambia e ci si accorge che il cantore è
un rude guerriero italico degli antichi tempi che sferza amaro i nipoti
invigliacchiti fra le delizie che offre la natura mentre il barbaro li spoglia
delle loro ricchezze:
... Italia mia,
che non rigetti ancor tai doni e invece
D‟arme ti cingi e impallidir gl‟audaci
Rapitori non fai di tue ricchezze?
Ove è gito il valor, la possa antica?
Chi ormai piú trema sol di Roma al nome?
Ahi che sprezzata vilipesa e serva
Della mollezza il fio pagar ti veggio
Né ancor ti scuoti, e addormenta e vile,
Sono i deliri tuoi di fiori e frutta466.
Sembra si sia fatto prestare inchiostro e penna da Giovenale:
Nam qui dabat olim
imperium, fasces, legiones, omnia, nunc se
463 AF, G. FRASSINETTI, Mns., vol. XIX, Guerriero italico entrato in un ameno giardino
mentre i barbari depredavano l‟Italia (45 endecasillabi) Sciolti, pp. 529s.
464 Gen 3,8.
465 Gen 1, 4.10.12.18.21.25.31.
466 AF, G. Frassinetti, ivi.
237
continet atque duas tantum res anxius optat,
panem et circenses...467.
Focosissimo e tutto fremiti d‟amor di Patria. Ci sono echi della
canzone Italia mia, benché „l parlar sia indarno, che trovo trascritta
nella sua Selva Poetica, pur possedendo una pregevole edizione
cinquecentina del Petrarca, ma vi si avverte pure l‟aria che si respirava
dai giovani studenti in quel 1820-1821468. A Genova piú che altrove.
Carlo Felice ebbe tanta paura delle chiassate che essi fecero in quel
marzo 1821 – lo stesso marzo cantato dal Manzoni: Soffermati sull‟arida
sponda, / volto i guardi al varcato Ticino... – da fare dell‟Università un
bivacco di soldati e tenerla serrata per tre anni e mezzo!
In certi momenti della storia si è come soggetti ad una psicologia di
categoria e di massa da cui sembra non ci si possa sottrarre. Anche chi
non partecipa alle dimostrazioni chiassose e si astiene dalle violenze,
non può in cuor suo non simpatizzare per l‟idea per cui si combatte. I
moti del „21, suscitati dai carbonari, divennero presto cosa degli
studenti delle scuole superiori. Giuseppe Frassinetti era della categoria.
Non affrontò il 21, 22 e 23 marzo i cavalleggeri in Sottoripa, bastone in
mano come il Mazzini, né si presentò al governatore Des Geneys a
chiedergli imperioso se era schiavo o era uomo, ma anche egli sognò
fosse giunta l‟ora del riscatto: non piú suddito del Piemonte, bensí
cittadino d‟Italia469.
467 GIOVENALE, Saturae, X, 78-81. "Chi un tempo assegnava comandi, fasci, legioni,
tutto, ora sol di due cose si preoccupa: mangiare e divertirsi”.
468 Cfr. pure G. LEOPARDI, All‟Italia e Sopra il monumento di Dante che si preparava a
Firenze, ambedue composti nel 1818.
469 Cfr. i Ricordi del Mazzini raccolti da PIETRO CIRONI: “La rivoluzione del 1821 fu il
primo avvenimento politico che mi scuotesse, ed io era ragazzo, con gli studenti che armati di
bastone si portarono dal Governatore Desgenays (sic) per intimargli la proclamazione della
Costituzione, e ricordo sempre come cominciò l‟oratore il suo discorso: «Siamo schiavi noi o
siamo uomini?». Eravamo tutti in bastone ed il Governatore ci rimandò trattandoci da ragazzi.
Io era Sotto Ripa, quando fu ordinato alla Cavalleria di dare la carica, per cui, entrati i cavalli
sotto quella volta cosí bassa, tutti gli uomini si rovinarono”. Citato. da A. CODIGNOLA, I
fratelli Ruffini, vol. I, p. XXIII, n. 40. Al Desgeneys, la settimana innanzi, gli ammutinati
della cittadella di Torino avevano ucciso il fratello colonnello che ne era a capo. Il 23, preso
dagli insorti, trascinato per strada e maltrattato, fu salvato dall‟intervento dell‟arcivescovo
Lambruschini che risparmiò a Genova di vedersi rioccupata dagli austriaci guidati da Bubna.
Cosí, il giovedí 26 aprile in tutte le chiese di Genova si poté cantare il Te Deum in
238
È vero, nel „21, i seminaristi, a differenza di quando ci fu la calata
dei francesi un quarto di secolo prima, e di quel che si verificherà nel
1848-1849, non parteciparono attivamente al moto. Ce lo assicura la
relazione del Cattaneo:
Nel marzo di quell‟anno [1821] accadde la rivoluzione in città per la
Costituzione, ma il Seminario non ne risentí né punto né poco: tutto fu sempre
tranquillo, né vi fu il menomo disturbo, solo per due o tre giorni furono
sospese le scuole470.
Il Cattaneo parla dei seminaristi interni, ma sia questi che gli esterni,
se non parteciparono alle chiassate ed alle violenze, non vuol dire che
non sentissero nulla in cuore. Di ciò che sentisse il Frassinetti ci fa da
spia l‟Ode civica Al Regno di Napoli de Il signor Rosetti (sic) Napoletano
trascritta in quella sua Selva Poetica non oltre la metà del febbraio del
„21, quando si era ormai fatto evidente il tradimento di re Ferdinando
di Borbone e le simpatie si andavano spostando sul principe Carlo
Alberto. Nell‟ode egli ritrova i sentimenti che in quei due anni furono
sentimenti comuni:
Il rampollo d‟Errico e di Carlo471,
E che ad ambo cotanto somiglia
Oggi estese la propria famiglia
E non servi, ma figli bramò.
Volontario distese la mano
Sul volume de‟ patti segnati
E „l volume de‟ patti giurati
Della patria sull‟ara posò...
E fratelli si strinser la mano
Dauno, Irpino, Lucano, Sannita,
Non estinta, ma solo sopita
Era in loro l‟antica virtú...
Rivolto quindi agli stranieri:
ringraziamento dell‟ordine ristabilito. Il Des Geneys era di idee conservatrici, ma d‟animo
generoso, ne è prova non aver posto ostacoli all‟afflusso dei patrioti in città per imbarcarsi ed
espatriare, tolleranza che gli costò il posto. Cfr. “Gazzetta di Genova”, 9 giugno 1821, n. 46,
p. 190. Cfr. pure V. VITALE, Onofrio Scassi, Genova 1932, pp. 251-258.
470 La relazione sarà riportata ampiamente nel capitolo successivo.
471 Ferdinando di Borbone, re delle Due Sicilie, discendeva di Enrico IV di Navarra ed
era figlio di Carlo III.
239
Se verrete, le vostre consorti,
Imprecando i vessilli funesti,
Si preparin le funeree vesti
Che per esse speranza non v‟ha.
Sazierete la fame de‟ corvi
Mercenarie falangi di schiavi,
in chi pugna pe‟ dritti degl‟avi
Divien cruda la stessa pietà...472.
Non fu certo una poesia assegnatagli dal Gianelli da apprendere a
memoria. Anzi, si pone il problema di come gli sia giunta con i controlli
severissimi posti alle frontiere da Vittorio Emanuele I per impedire l‟entrata
di stampa estera sospetta o che fosse priva di regolare permesso d‟ingresso.
Il Fassiolo ci dice che il giovane Frassinetti occupava “molto tempo nello
studiare in casa come nelle biblioteche della città, dove andava
frequentemente”473. In biblioteca, come a scuola, non era difficile che un
compagno gli passasse una rivista o un giornale giunto fino a lui per le vie
piú impensate. Ma, piú che nelle biblioteche474, era nelle botteghe dei
librai, ad un tempo edicole e gabinetti di lettura, che studenti ed insegnanti
si ritrovavano ed avevano modo di leggere la stampa estera e
clandestina475.
Se l‟autore del Quadro caratteristico dei principali individui dello Stato
Ligure ne avesse curato una edizione aggiornata al 1821, sulla falsariga del
Tagliafico, steso cinque anni prima, avrebbe forse scritto: “GIUSEPPE
472 AF, Mns., vol XXVII, Selva Poetica Di Giuseppe Frassinetti, Anno 1821, Ode civica
Al Regno di Napoli de Il signor Rosetti (sic) Napoletano, p.-66-70.
473 D. FASSIOLO, Op. cit., pp. 16s.
474 Oltre la Fransoniana, erano frequentate le biblioteche dell‟Università e quella del
Seminario, alle quali in quegli anni si aggiunse la Berio, dal nome del raccoglitore, l‟abate
Vespasiano Berio, donata dagli eredi a Vittorio Emanuele I nel 1817 e da questi alla città.
475 Negli anni Venti divennero famose, di non buona fama politica, la bottega del libraio
Ferdinando Ricci e quella di Antonio Doria. Vi si sarebbero potuti leggere oltre l‟ufficiosa
“Gazzetta di Genova” e il “Corriere Mercantile”, che trattava solo di commercio, anche fogli
letterari e scientifici. La polizia sospettava che “le teste calde” vi trovassero da leggere anche
novità politiche, per questo sorvegliava e, di tanto in tanto, passava a perquisire. Nel 1826 si
aggiunse il “Giornale Ligustico” di padre Spotorno, acre difensore del classicismo in
letteratura, di cui avremo modo di parlare. Di lí poco il gruppo Mazzini mutò in breve
l‟“Indicatore genovese” da foglio commerciale in foglio letterario e politico dei romantici.
240
FRASCINETTI, Studente povero. Ha del talento. È ferdinandista ed
appartiene all‟ indipendenza”476. Del giovane Frassinetti non avrebbe
potuto dire: "Ha mediocri talenti" come aveva detto del suo parroco. Per
crederlo “napoleonista” gli sarebbe bastato aver sfogliato quella sua Selva
Poetica e trovarvi trascritto l‟Inno Trionfale – Napoleone e la Pace. Per
l‟anniversario del 15 Agosto [S. Napoleone] 1807, con in calce questa nota
di sua mano:
Questo componimento tradotto dal Francese, e scritto poco dopo il trattato
di Tilsit, presenta una rapida idea delle ultime battaglie ed indica lo scopo che
in esse sempre ebbe Napoleone, quello di dar la pace all‟Europa,
nota seguita da un disegnino a penna rappresentante un accampamento.
Vi si legge:
S‟aggirava deposto il suo brando
Buonaparte (sic) la pace cercando,
E la pace l‟Eroe Bonaparte
D‟ogni parte s‟udiva invocar.
Ma una mano di bronzo ponea
Loro in mezzo il superbo Britanno
E ad entrambi la via nascondea
Coll‟inganno, coll‟oro e „l livor477.
Anche questo non è certo un Inno assegnatogli a scuola dal Gianelli
perché l‟apprendesse a memoria478, ma, comunque gli sia pervenuto – dal
476 FRIZZI, Quadro..., copia dall‟Archivio di Stato di Milano in Museo risorgimentale di
Genova, n. 3323, riportato da V. VITALE, Informazioni di polizia sull‟ambiente ligure, Op.
cit., p. 451.
477 AF, Mns., vol. XXVII, Selva Poetica..., Napoleone e la Pace, pp. 88-91.
478 Anche lo studente Gianelli non era rimasto del tutto insensibile al fascino di
Napoleone, se, giovane di vent‟anni, nell‟accademia tenutasi in seminario nel 1809,
celebrando le Arti liberali e civili, vi pose anche quella della guerra:
Arte augusta deh vieni! A te pur anco
qui si prepara il meritato omaggio.
Tu nutristi alla Gloria il forte franco,
illeso tu il serbasti d‟ogni oltraggio:
e te custode del suo trono a fianco
versa sull‟orbe fecondante raggio:
241
suo parroco Napoleonista o da vecchi ritagli di giornali –, appunto perché
gli piacque tanto da trascriverselo, ci rivela quale era la rilettura del recente
passato che in quegli anni andavano facendo i giovani studenti, e non solo
quelli che provenivano dalla borghesia umiliata e castigata dalla
Restaurazione, ma anche i figli di nobili ultraconservatori ed i figli del
popolo che frequentavano le scuole superiori. Per il solo fatto di
frequentarle, erano in certo qual modo immessi nel loro ceto.
Era un fenomeno generale. Mentre il tempo andava sbiadendo il ricordo
dei mille guai passati sotto la dominazione di Bonaparte, si avvertiva, specie
dai giovani, il peso dei mali presenti legati alla grettezza dei restauratori che
demonizzavano il nuovo solo perché nuovo, illudendosi di poter riportare la
storia indietro d‟un mezzo secolo e tenervela bloccata.
Illuminante il caso del Leopardi, di famiglia nobile. Nel 1815,
diciassettenne, nell‟Orazione agli italiani in occasione della liberazione
del Piceno, aveva esaltato la vittoria degli austriaci sul Murat 479, nel
1818 componeva i canti All‟Italia e Sopra il monumento di Dante che si
preparava a Firenze. Non poteva certo illudersi il Leopardi d‟essere atto
ad imbracciare armi quando gridava:
L‟armi, qua l‟armi: io solo
Combatterò, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
Agl‟italici petti il sangue mio,
né era uomo da congiura. Nel Frassinetti troviamo espressioni
leopardiane. È difficile che ne sia stato a conoscenza, anche se non
impossibile. Ciò che li lega è la comune dipendenza scolastica dal Petrarca
e, soprattutto, l‟aria che essi respiravano. Né l‟uno né l‟altro sono nati per la
guerra, ma quale adolescente, prima che cinema e televisione si mettessero a
fantasticare per loro, non si è immaginato d‟essere primo tra i primi tra quei
che difendono una causa ritenuta santa? Un giorno hanno sognato d‟essere
per te l‟Europa attonita lo mira
e in lui tutta si muove e in lui respira.
Si direbbe avesse già dimenticato le disavventure del coscritto. Forse il ”Forte franco”, al
non troppo ispirato poeta, avrebbe preferito un eroe caduto sul campo dell‟onore.
479 Al quale aveva guardato pieno di speranze anche il Manzoni. Cfr. il frammento del
Proclama di Rimini in cui inneggia al tentativo del Murat di unificare l‟Italia.
242
con i trecento di Leonida alle Termopili, un altro, sotto l‟influsso d‟altre
letture, compagni di Colombo alla ricerca di terre ignote, un altro si sono
visti lapidati con Paolo a Listri o, intrepidi difensori della loro fede, bruciati
vivi con Policarpo, condannati a bere cicuta con Socrate…
Per i giovani genovesi si aggiungeva l‟umiliazione della perduta
indipendenza e la politica del nuovo signore che sembrava favorire
l‟agricoltura e gli interessi dei piemontesi a danno dei loro commerci. Si era
al punto del si stava meglio quando si stava peggio. A ripensarci, non era
stato tutto cosí nefando. Si erano avute anche delle belle realizzazioni: le
strade, la camera di commercio... Napoleone voleva la pace, e, nella pace, il
porto di Genova avrebbe goduto d‟un retroterra che si sarebbe spinto fino al
centro dell‟Europa. Le guerre non le avrebbe volute, gli venivano imposte
dal “superbo Britanno” per impedire che prendesse consistenza l‟unione
europea. I piemontesi, in cambio, come non fossero bastati gli 8.600 militari
di guarnigione in una città di soli 80.000 abitanti, avevano costruito in
Genova i forti di Castelletto e di San Giorgio, posti a minaccia della città se
mai avesse voluto scrollarsi di dosso la loro presenza, in nulla migliorando il
potente sistema difensivo verso l‟esterno480. Aggiungasi l‟enorme
pressione fiscale, l‟aver ristabilito le barriere doganali, valorizzato Savona e
Spezia a loro danno... Avanti cosí, da mercanti e marinai, si sarebbero
risvegliati zappaterra e soldati pronti ad ubbidire tacendo e tacendo morir,
mentre a Genova esisteva
una tradizione di indipendenza e di opposizione contro ogni forma di
governo monarchico assoluto, che, aggiunta all‟avversione antica verso il
Piemonte, non potevano certo favorire un accordo sincero con questo. Inoltre
i Genovesi, negli anni torbidi della Rivoluzione e dell‟Impero, erano usciti
dal loro isolamento, si erano maggiormente aperti alla cultura, avevano
fondato scuole e accademie.
Ora si sentivano superiori moralmente ed intellettualmente ai Piemontesi,
giudicati rozzi e ignoranti; e questa superiorità fu piú volte messa in evidenza
ed ostentata, sia pure velatamente, anche negli anni prossimi al „48, negli
ambienti intellettuali genovesi. L‟amore per la casa regnante poi, cosí vivo in
Piemonte, non poteva essere sentito a Genova, ed anzi, date le tendenze
480 E. GUGLIELMINO, Genova dal 1814 al 1848, p. 55.
243
democratiche di questa, doveva essere considerato come indice di mentalità
inferiore481.
Il genovese Vincenzo Ricci, che rincontreremo nella polemica
Frassinetti-Gioberti, usa mano ancora piú pesante: “[Credevano i genovesi]
il Piemonte un paese barbaro, come lo dimostravano la sua legislazione,
molti usi, un sentimento di sudditanza illimitato...”482. Aveva visto giusto il
Pareto preconizzando che nello stato sardo i genovesi sarebbero diventati
“gl‟iloti del Piemonte!” e che la “antipatia insuperabile” che divideva i due
popoli non avrebbe mai permesso che si fondessero felicemente! Se “les
Républiques n‟étaient plus d‟usage”, né era pensabile una città anseatica o
un principato legato per sangue ad una qualche potenza come erano
Toscana, Parma e Modena, meglio vedersi uniti alla Lombardia483.
Questa la sostanza del sordo mugugno di buona parte dei genovesi
quando l‟estate 1820 giunse la notizia che a Napoli re Ferdinando aveva
concesso la costituzione. Fu un risorgere delle speranze frustrate nel 18141815 quando sognarono chi Napoleone tornato dall‟Elba per farsi sovrano di
un rinato Impero romano484, chi la risorta Repubblica. Se ora anche a loro
fosse stata concessa la costituzione, sarebbero stati essi a decidere delle cose
loro, non solo, ma, portando il movimento all‟unificazione d‟Italia, Genova
diventava il porto naturale d‟un vastissimo retroterra, e, in quest‟Italia,
sarebbe cessata l‟umiliazione di sentirsi colonia piemontese. Si faceva
concreta la realizzazione del piano, sia pure piú contenuto, che aveva fatto
sperare Napoleone.
Le due poesie, che piacquero tanto al giovane Frassinetti da
trascriversele nella Selva Poetica, ci dicono che anch‟egli pensava quel che
pensavano gli altri studenti e tanta parte della popolazione. Per una
settimana anch‟egli si illuse prestando fede a Carlo Alberto, e non senza
fondamento. Nei pochi giorni di reggenza aveva nominato una giunta
provvisoria per esserne coadiuvato in attesa della convocazione del
481 Ivi, p. 22.
482 V. RICCI, Appunti politici, mns. in M. Ris. di Genova, Carte Ricci, n. 2780.
483 C. PAGLIERI, Agostino Pareto, pp. 70-72.86.
484 E. GUGLIELMINO, ivi, p. 12, n. 2.
244
parlamento nazionale e, tra i convocati, Agostino Pareto e Gerolamo Serra,
figure di primo piano dell‟epoca francese485.
Due cose vanno distinte in quel marzo 1821: le speranze e i moti di
piazza. Il Frassinetti condivise le speranze e la ribellione intellettuale alla
pretesa che nulla si dovesse cambiare, ma non fu tra gli armati di bastone a
Sottoripa. Questo suo sentire civile, una volta sacerdote, diverrà sentire
ecclesiastico. Come l‟ordinamento politico poteva essere migliorato senza
sovvertire lo Stato, ed era lecito desiderarlo con tutto il cuore, cosí nella
Chiesa c‟era spazio per progettare ed intraprendere cose nuove in armonia
con la tradizione, senza curarsi dell‟ opposizione al nuovo, solo perché
nuovo, da parte degli idolatri del vecchio, solo perché vecchio.
Si è insistito sulle differenze tra la psiche d‟un genovese e quella di un
piemontese dell‟epoca, dovendo tornarci nella seconda parte della storia
quando si porrà in parallelo Don Bosco e il Frassinetti, cosí amici e cosí
ugualmente impegnati nell‟opera di santificazione, eppure cosí diversi, l‟uno
restato piemontese, l‟altro genovese.
Anche il Frassinetti, dunque, ebbe i suoi sogni, non senza un vivo
desiderio di porli in atto, con il rincrescimento di non essersi trovato a
vivere a volta a volta nel luogo giusto al momento giusto. Il disappunto della
bimba Teresa d‟Avila di non vivere nella terra dei mori per lasciarsi
descabezar per la fede, quando scoprí che era la via piú facile per comprarsi
muy barato el ir a gozar Dios. Era tale il desiderio di ir a gozar Dios
facendosi troncare il capo da una scimitarra – deseava yo mucho morir ansí
– che convinse il fratellino Rodrigo, d‟uno o due anni piú grande, a fuggire
per la terra dei mori.486. Se quel loro zio non li avesse raggiunti e riportati a
casa, accanto alla basilica innalzata ai fanciulli martiri Vicente e le sue
sorelle Cristina e Sabina, in Avila ne sarebbe sorta una seconda dedicata ai
fratellini martiri Teresa e Rodrigo.487 Sogni di bimba. Ma alla bimba, oltre
le storie dei martiri, piacevano los libros de caballería di cui la madre
andava pazza. Anziana scriverà: Parecíame no era malo, con gastar muchas
horas del día y de la noche en tan vano ejercicio... si no tenía libro nuevo,
485 C. PAGLIERI, Ivi, p. 88.
486 SANTA TERESA DE JESÚS, Obras Completas, I, Vida, c. 1,5, BAC, Madrid, 1951, p.
597.
487 M. AUCLAIR, La vie de sainte Thérèse d‟Avila, Éd. du Seuil, Paris 1960, p. 23.
245
no me parese tenía contento.488 Sui quindici anni ne lesse a decine, ne
risognò in proprio le avventure, ne fantasticò uno lei stessa e lo stese sulla
carta con l‟aiuto di Rodrigo: El Caballero de Abila por Teresa y Rodrigo de
Cepeda489. Anche qui l‟impronta del genio. Via con i prestiti franco
britanni nella scelta del protagonista, ma un eroe della sua terra, Muños Gil,
uno di Avila, la città dei guerrieri490.
Il Signore rideva di questa bimba. Aveva bisogno d‟un‟eroina pronta ad
affrontare le mille avventure e lasciava che si esaltasse con Amadís,
Florisandro e Tristán; la voleva scrittrice, e le fa apprendere l‟arte dello
scrivere sui libri di cavalleria. Che disdetta essere nata donna! Quante volte
sospirò: Si fuera lícito que las mujeres... Ogni suo sogno le si avvererà
moltiplicato per mille. Non piú Muños Gil, ma lei stessa protagonista de Las
fundaciones e del poema de la Vida, e scrittrice classica tra i classici del
Siglo de oro. Il Signore ha avuto sempre in simpatia i giovani ricchi di
desideri, fino all‟ardimento di voler penetrare il segreto dei suoi pensieri,
come già Daniele491. Se chiedono cento, dà loro cento mila, salvo qualche
488 SANTA TERESA DE JESÚS, Op. cit., c. 2,1. pp. 599s.: “Mi pareva che non ci fosse nulla
di male a sciupare futilmente tante ore del giorno e della notte... quando non riuscivo a
procacciarmi un libro nuovo mi sentivo scontenta”.
489 EFRÉN DE LA M. DE DIOS – O. STEGGINK, Tiempo y vida de santa Teresa, BAC,
Madrid 1967, p. 44. Cita padre FRANCISCO DE RIBERA, SJ, La Vida de la madre Teresa de
Jesús..., 1, c. 5: “dentro de pocos meses, ella y su hermano compusieron un libro de
caballerías con sus aventuras y ficciones”. Una nota marginale riporta la dichiarazione del
padre Gracián: “La misma [Teresa] lo contó a mí”. C‟è stato chi ha creduto individuarlo in un
poema uscito a Saragozza nel 1623 per le feste della beatificazione: El caballero de Avila, por
la Santa Madre Teresa de Jesús... (MARQUES DE SAN JUAN DE PIEDRAS ALBAS , Elogio de
Santa Teresa de Jesús, Avila 1922, pp. 27ss.). Piú vicino alla verità il giudizio del padre
Efrén: “della fine di questo libro non si sa nulla. Dovette subito strapparlo la stessa Santa”
(ivi).
490 Se llama Avilés en esta tierra / El que más avil es para la guerra. I suoi nove fratelli
maschi, hidalgos avileses de limpia sangre, tolto uno fattosi frate domenicano e morto
giovane novizio, sognarono tutti di portare la fede di Cristo con la punta della spada in terra
pagana o in terra dei mori. Uno morí in Africa, sette partirono per las Indias, Rodrigo e
Antonio caddero combattendo da eroi.
491 Dn 9,23;10,11.19. Nessuno oggi piú interpreta „jish-hamudôt con la Vulgata vir
desideriorum. San Girolamo conosceva i due valori della radice ebraica, l‟uno, quello della
Septuaginta: anèr epithymôn, fatto suo, e quello di Simmaco seguito poi dal Diodati (uomo
gradito) e dalle versioni moderne (uomo prediletto, l‟homme des prédilections, carísimo...).
246
leggera modifica. Andrà Teresa a gozar Dios, ma comprandosi tale felicità a
prezzo muy caro, non muy barato; non con il mezzo minuto necessario alla
scimitarra di reciderle il capo, ma con il martirio d‟una vita.
Sono tante le affinità tra il Frassinetti e la sua Teresa fin dai suoi
giovanissimi anni. Questi versi che pone in bocca a san Luigi in quel suo
sonetto rivisto dal Gianelli sanno già di Teresa492:
O Piaghe, o spine, o sangue, o lumi spenti,
Deh voi piú vivo in me destate amore...
Ma no, cessate, ché tutto arde il core.
Sei dolce, amor, ma strali hai troppo ardenti!
Deh, perché al mio Gesú, cari tormenti,
Nel commento al versetto 9,23 cosí Girolamo giustifica la scelta: “perché sei l‟uomo dei
desideri, cioè amabile e degno dell‟amore di Dio” (PL 25, c 544), ed al versetto 10,11: "il
nome uomo dei desideri è bene appropriato per quella sua brama di conoscere le cose future,
insistendo [presso Dio] con preci incessanti, penitenze corporali e duri digiuni. Simmaco, in
vece che uomo dei desideri, interpreta, uomo desiderabile. Ed invero ogni santo è amato da
Dio per la bellezza della sua anima” (PL, ivi, c. 555). Mi piace far mia la scelta di Girolamo.
Amato da Dio per la sua sete d‟infinito.
492 Non penso fosse già a conoscenza del famoso carme teresiano e lo avesse presente
nel comporre il suo Sfogo amoroso di S. Luigi innanzi al Crocifisso. L‟avesse avuto presente,
lo avrebbe ricalcato piú da vicino. Ingenita affinità, base della futura simpatia. Riporto due
strofe del canto della Santa con una mia traduzione a lato:
¡Ay, qué larga es esta vida,
Com‟è lunga questa vita,
Qué duros estos destierros,
Quest‟esilio pien di pene,
Esta cárcel, estos hierros
Che galera e che catene
En que el alma está metida!
Allo spirito ferita!
Sólo esperar la salida
Solo attenderne l‟uscita
Me causa dolor tan fiero
Reca al cuor dolor tremendo
Que muero porque no muero.
Sí che muoio non morendo.
Aquella vida de arriba,
Lassú solo in quella riva
Que es la vida verdadera,
Sempiterna è vita vera;
Hasta que esta vida muera
Finché questa d‟or non pèra,
No se goza estando viva.
Non si gode qui da viva.
Muerte, no me seas esquiva:
Oh, non far, Morte, la schiva
Viva muriendo primero,
Fa ch‟io viva premorendo
Que muero porque no muero.
Perché muoio non morendo.
Il testo originale dell‟intero carme in SANTA TERESA DE JESÚS, Obras Completas, II, BAC,
Madrid, 1954, pp. 955-957.
247
Non mi unite e s‟accresce il mio dolore?
Fuggi, se il cuor non basta, anima, fuore,
O pena ed ama, e non metter lamenti.
Tanto è piú dolce amor, quanto è piú vivo.
E sí dolce è per me d‟amor la pena,
Che ogni delizia avanza, ogni tesoro.
Onde io, che sol d‟amor mi pasco e vivo,
Son lieto perché a morte amor mi mena,
E vivendo d‟amor, d‟amor io moro 493.
Come Teresa fantasticava martíri quando leggeva vidas de santos, o
avventure passando la notte a leggere libros de caballería al lume di
candela, cosí anche il nostro Giuseppe ebbe la sua stagione di dolce sognare.
Scorrendo i suoi elaborati scolastici ci è dato rifantasticare le sue
fantasticherie494. I titoli ci rivelano le letture che si facevano a scuola, lo
svolgimento ci scopre come il giovane le recepiva. Non si passano ore ed
ore sui testi di storia senza riviverne i grandi fatti sognando ad occhi aperti,
di quella greca soprattutto. Eccolo oplita tra gli opliti, con i trecento di
Leonida alle Termopili:
Di furor pregno, minaccioso il guardo
Dardeggiava sull‟oste, e si struggea
che del sangue di Serse ancor digiuna
l‟asta brandiva...
Rivolto a‟ suoi, fiero d‟aspetto e truce:
“Prodi – dicea – di Greca patria degni
Meco venite ad affrontar la morte,
Morir si dee, Delfo l‟impose, e giova
Di Grecia alla salute. Invendicati
cader dovremo? Ah, no! Cadiam, ma sia
La morte nostra terrore e spavento
Dell‟aborrito Perso. Ite, miei prodi!
Ogni braccio sia fulmine, ogni voce
Sia rauco tuon assordator. Là dentro
Alla gemmata barbaresca tenda,
Che il mortale piú perfido racchiude,
Tutti tendete. Quel superbo core
Albergo d‟ogni colpa, ah, gli strappate!...
Venite, prodi miei, del sol dimane
493 AF, Mns., vol. 19, Sfogo amoroso di S. Luigi innanzi al Crocifisso p. 546.
494 Ivi, pp. 508-553.
248
Piú non si dee veder la luce. È questo
il dí prefisso alla partita estrema.
Strage meniam, e tutti assiem raccolti
Varcherem l‟onda bruna dell‟Acheronte" 495.
No, non sono reminiscenze carducciane: “Diman da sera i nostri morti
avranno / una dolce novella in purgatorio: / e la rechi pur io!” 496. Carducci
non era ancora nato. Passa quindi a descrivere la strage operata intorno
intorno da quel pugno d‟eroi ed i mille atti di valore disperato come può
farlo solo un sopravvissuto suo malgrado al massacro, come poté l‟Enea del
secondo libro virgiliano o Giuseppe Flavio alla caduta della fortezza di
Iotapata497.
Sembra che anche il giovane Frassinetti, come già Euripide e
Virgilio,498 stia col cuore dalla parte dei vinti. Nessun disagio nei panni
d‟un “Affricano” seduto sulle macerie della sua Cartagine ridotta a mucchio
di sassi:
Barbaro Scipio, ormai deponi il brando,
Alfin la cruda sanguinosa sete
Sazia sarà. Or di vittoria alzando
Il canto insulta all‟anime che in Lete
Spinse il tuo ferro perfido e nefando.
Le ciglia ormai mostra serene e liete,
Cartago cadde e ad innalzar non torna
Contro di Roma le temute corna...
Ahi, fiera Roma, quando deporrai
Il sanguinoso barbaro talento?
Il Ciel sordo non è ai giusti lai
delle oppresse region...
Veggo da‟ sette gelidi trioni
Infuriar genti barbaresche e strane,
Odo delle lor trombe i fieri suoni...
495 Ivi, Leonida alle Termopili (endecasillabi) Sciolti, pp. 524-528.
496 G. CARDUCCI, Il Parlamento.
497 Piuttosto che arrendesi a Vespasiano, la guarnigione scelse il suicidio collettivo
uccidendosi l‟un l‟altro. Rimasti in due, Giuseppe ed un altro, accettarono d‟aver salva la vita.
Una prova generale di ciò che accadrà a Masada, ultima rocca della resistenza ebraica.
Giuseppe Flavio, La guerra giuadaica, libro III,8,6s e VII,9,1.
498 VIRGILIO, Eneide; EURIPIDE, Ecuba, Andromaca, Troadi.
249
S‟alza il Danubio dal profondo letto
Si riversa, si spande, Italia inonda,
A Roma mostra il suo feroce aspetto.
Ogni altro fiume l‟ira sua seconda
E tutti i lor furor han qui diretto.
A tanti flutti non si trova sponda.
Immersa è Roma già nella gran piena
Che a ruina crudel tosto la mena...
Ecco del mondo la fatal reina
Cade, ché veglia in ciel giusta e possente
l‟oppresso a vendicar superna Mente499.
Anche Socrate l‟affascina:
“Fino a quando mi sarà dato di respirare, non mi riposerò; filosoferò e non
desisterò dall‟esortare ancor voi, né cesserò dall‟ammaestrare chiunque di voi
io abbia ad incontrare, ripetendogli il discorso di sempre: «O nobile cittadino
di Atene,... vergognati: mentre ti preoccupi delle ricchezze, di acquistarne piú
che puoi, e t‟affanni a conseguire gloria e cariche, della saggezza, invece, e
della verità e dell‟anima, perché sia buona piú che può, non hai cura, né ti dai
pensiero... »”500.
E per obbedire al “dio” che gli imponeva di parlare affrontò sereno la
morte. Se anche lui come Socrate!
Suoni sul capo mio folgore o tuono,
grandine, nembo, torrida procella,
Pallido rege in barbaresco trono
Armi contro di me la sua man fella.
Sorte mi lasci in misero abbandono
Che io la natia benedirò mia stella.
Perché a temer avrò, se giusto sono,
Odii, fame, furor, morbi o quadrella?
Se giusto son sprezzo dolor, ritorte,
Né l‟alma di timor sarà capace
Lottando alfin coll‟invincibil morte.
Volgerà contro me l‟ira e il furore
499 Ivi, Fingesi che dopo la distruzione di Cartagine un Affricano Profetizzi la caduta di
Roma, pp. 513-515.
500 PLATONE, Apologia di Socrate, c. 17.
250
Ogni cieco mortal, ma in cheta pace
Un sol non rimarrassi attico errore501.
Di lí a qualche anno, entrato in teologia, vedrà con maggior chiarezza
quale patire l‟attende e perché e da parte di chi: “Mi trovo aperta una porta
grande e ricca di prospettive, ma molti i nemici”502, scriveva ad apertura
della Theologia moralis di sant‟Alfonso, aggiungendo alle parole
dell‟Apostolo una riflessione di san Giovanni Crisostomo: “Ciò succede
tuttavia a chi ha molto zelo, ed opere grandi per le mani”. Nella misura che
gli si fa chiara la strada che dovrà percorrere, ha spostato lo sguardo da
Socrate a Paolo di Tarso, a Giovanni Crisostomo e ad Alfonso Maria de‟
Liguori. Se immani sono le forze avverse, ha con sé Iddio e potrà quindi
accingersi a cose ancora piú prodigiose di quelle che in un suo canto fa
compiere ad Alcide, il Figlio del Tonante:
Alto di Calpe sulla vetta assiso
Stavasi Alcide, onde sovran lo sguardo
Su‟ due mari mettea. Quinci stendeasi
Il torbido Oceàno, e senza fondo,
E quindi il mar delle Affricane arene,
Allor sol note. I flutti accavallati
dell‟un de‟ mar gli altri affrontar pareano,
Ma la turrita Berecinzia in mezzo
A lor stendea scoglioso braccio, e vane
Fea le lor posse, e raffrenava l‟onde
sdegnose di ritegno. Acceso in petto
D‟ardor di gloria: “Che si vieta al forte?
Che mai – gridò – che mai non puote Alcide?
Basso mortal le dure imprese ammiri,
né in queste si cimenti. Il figlio, il figlio
Che non potrà del Dio tonante?...
La destra
D‟Alcide tutto può”, dice, e giú scende
Di smisurata mazza il braccio armato.
Una mazzata e l‟istmo vola in schegge
Che tremò Spagna, Affrica, Italia e tutto
Ne sentí il Mondo orribile rimbombo.
501 AF, Mns., vol. 19, Socrate minacciato – Sonetto, p. 537.
502 1 Cor, 16,9.
251
Il Tridentato Dio s‟alzò dall‟onde
il portento a mirar, tremonne Pluto
E l‟ombre di Cocito e Flegetonte...
Nettuno arrise alla grand‟opra...503.
Alcide frantumò l‟istmo che impediva alle acque dell‟Atlantico di
riversarsi nel Mediterraneo, lui farà cosa piú prodigiosa: frantumerà la
barriera che i giansenisti frapponevano alla grazia perché si riversasse
nell‟anima dei fedeli: “Mi trovo aperta innanzi una porta grande e ricca di
prospettive...”, aveva scritto.
Non numerabili le prospettive nel cuore d‟un giovane di accesa fantasia
prima che la voce di Dio gli si faccia chiara! Anche quella di farsi un nome
tra i poeti:
Scendi dal bel soggiorno d‟Elicona,
O dolce Dio del nobil Ipocrene,
Al vago ardir, o dolce Dio, perdona
con che un umil mortal a te ne viene.
Porgi tua destra a me, non m‟abbandona
nell‟ardua strada, e avviva tu mia speme,
Arrida pur d‟Apollinar corona,
Degna de‟ figli delle pie Camene.
Inspira tu il mio cor di foco ardente,
Foco trasportator, che l‟alme accende,
che di sé investe e tutta bea la mente.
Vincitor foco dell‟oscuro oblio,
Alla cui possa, e terra, e Ciel s‟arrende,
Fuoco che rende l‟uom simil a un Dio504.
E qualche velleità dovette nutrirla se anche negli anni della teologia non
sa trattenersi dallo scrivere ancora versi per evocare l‟ombra del Chiabrera e
fargli chiedere ad Apollo di non desistere dal suscitare estro poetico in cuori
genovesi:
Qual nuova luce del Letimbro in riva
Brillò repente e tutto irradia intorno
Questo ad Apollo e alla Cecropia Diva
Sacro soggiorno.
503 AF, Mns., vol. 19, Alcide unisce il Mediterraneo all‟Oceano, pp. 511-513.
504 Ivi, Invocazione a Febo, p. 510.
252
Qual per le selve dei sabazi allori
Qual suono echeggia e spandesi per l‟etra?
Chi desta a‟ carmi de l‟ascrei pastori
L‟arguta cetra?
Ma tremar veggo del modesto avello
E aprisi il sasso che sul fral si chiuse
Di lui che un giorno Pindaro novello
Nomar le Muse.
Torna ei questa aura a respirar di vita
E già le corde dell‟eburnea lira
Tende. Sul ciglio ha l‟anima rapita
Febo l‟inspira…
Salve bell‟astro dell‟ausonio cielo,
Forier tu splendi di propizi eventi!
Sorgesti, e sgombro delle nubi è il cielo,
Tacquero i venti.
Salve! S‟allegra al tuo fulgor natura,
Plaude Appennino, della Dora l‟onda
Ride al tuo raggio e piú tranquilla e pura
Lambe la sponda.
Alto sui colli che di te fai lieti
fervido s‟alza della gioia il grido
A cui risponde dalla sarda Teti
Il curvo lido.
L‟Alpe s‟ammanta di splendor, l‟austera
Fronte solleva il gran padre Eridano,
In te s‟affisa la superba e spera
Figlia di Giano.
Ma qui, bel Sole, tua vital favilla,
Qui ove ebbi cuna piú gentil balena
E schiudi all‟estro che di te scintilla
Celeste vena....505.
La stagione dei sogni è fatta per sognare come i giorni dello sposo son
fatti per stare in allegria506, poi l‟ora delle scelte, ed il nostro giovane ne
farà una sola e radicale:
505 AF, Mns., vol. 18, Qual nuova luce del Letimbro in riva..., pp. 629-631.
506 Mt 9,15.
253
Bisogna che l‟ecclesiastico si consideri tutto tale e si contenti di non
essere altro che ecclesiastico... l‟ecclesiastico che non si considera tutto tale, e
non è contento di non essere altro che ecclesiastico, non sarà buono.
Debb‟egli adunque dirigere ogni sua cura, e in modo particolare i suoi
studii, al conseguimento del suo fine, che si è d‟essere buon ecclesiastico.
Dico: in modo particolare i suoi studii; perché la scienza è cosí annessa
all‟idea di ecclesiastico, da non potersi concepire l‟idea di un ecclesiastico
ignorante, che come idea mostruosa...
Questa istruzione però, questa scienza non debb‟essere di quella che
gonfia lo scienziato e lo rende superbo, ma di quella che, mediante la carità,
lo rende umile; giacché un ecclesiastico superbo sarebbe peggiore che un
ecclesiastico ignorante, non potendosi temere da cento ecclesiastici ignoranti
que‟ danni che si debbono temere da un ecclesiastico superbo. Il dotto
superbo sa distruggere, il dotto umile sa edificare. La carità dunque deve
invitare l‟ecclesiastico a‟ suoi studii e l‟umiltà dirigerlo ne‟ medesimi507.
Fatta la sua scelta, poeterà ancora, ma alla sant‟Alfonso: strofette e
cantici spirituali. I romantici per un verso, lui per un altro, la chiudono per
sempre con dei e dee, Olimpo ed Elicona.
Le tante persone care scomparse in cosí breve tempo, la caducità delle
cose che ha avvertito nello studio della storia, tutto lo porta ad agganciarsi a
ciò che dura eterno. Quel pensiero dell‟eternità che teneva occupata la
mente della bimba di Lisieux e, prima di lei, i due bimbi di Avila, Terera e
Rodrigo, tornando su ciò che avevano letto sull‟eternità della pena e della
gloria: ¡Para siempre, siempre, siempre, Rodrigo!; Para siempre, siempre,
siempre, Teresa! ripetuti in alternanza l‟una a l‟altro fino a quando non si
asciugava loro la saliva in bocca. Per sempre! “Cosí – commenta la Santa –
il Signore in quelle bambinate mi lasciava impressa la via della verità”508.
Si ripeteva ancora una volta il “Ti lodo, o Padre, Signore del cielo e della
terra, che celasti queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le rivelasti ai
bimbi”509. Per sempre! Quel suo quaderno degli anni di retorica ci dice
come anche il nostro ragazzo restasse colpito dalla labilità delle cose umane,
dall‟insicurezza di chi si sente sicuro e dall‟eterno delle cose di Dio, come
già la bimba d‟Avila e, prima ancora, i profeti e Qohelet. In 73 versi sciolti
507 G. FRASSINETTI, Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici proposte ai chierici,
Genova 1839, pp. 1-3.
508 SANTA TERESA DE JESÚS, Vida, c. 1,5, p. 598.
509 Mt 11,25; Lc 10,21.
254
canta la rivalsa di Camillo su Brenno e in cento versi in terza rima la
distruzione del Pireo per opera di Lisandro. Ogni esaltazione ha una fine,
tutto è vanità, tutto finisce e muore. Il suo sognare lo ha portato alla scoperta
del vanitas vanitatum della Scrittura510.
Miser chi speme in cosa mortal pone!
Viene l‟uomo alla luce e poi repente
Finisce in spazio di breve stagione.
Viene l‟invida morte e ciecamente,
Del paro abbatte ella gli imbelli e i forti
E allegrezza al mortal non acconsente.
Ella è che guida le terrene sorti;
Ella è solo invincibile e sicura,
Né vi è chi contra lei vittoria porti.
L‟uman consiglio o il delirar non cura,
Cangia a sua possa i popoli ed i regni
Ed il magnifico aspetto della natura.
Di potenza e valor non restar segni,
Svanisce ogni splendor ed ogni gloria
U‟ il crudo suo furor avvien che regni.
E degli uomini sol nella memoria
Lascia la rimembranza e „l fiero orrore
Dell‟alta sua terribile vittoria.
Tutto quaggiú, tutto quaggiú finisce e muore...
Or chi si fida in la terrena sorte,
U‟ non è certa speme, u‟ tutto è un‟ombra
E fumo che pel ciel aquilo porte? 511
Questa larva di ben che gli occhi adombra
Ahi quanto ingannò i miseri mortali!
Di qual nebbia d‟errori il cuore ingombra!
I celesti desiri ed immortali
Spegne e dell‟uomo l‟animo sublime
lega di fango a vani oggetti e frali.
Ivi di terra a vili cose ed ime
Il tien onde pel ciel non sciolga i vanni
E al suo altissimo fine non si sublime,
U‟ sgombreranno tutti i mali e affanni,
U‟ sol sperar puote contento e pace,
510 Qo 1,2.
511 Cfr. DANTE, Purgatorio XXXI, 43 (Beatrice a Dante). Tuttavia perché mo vergogna
porte / del tuo errore, e perché altra volta / udendo le sirene sie piú forte...
255
U‟ piú non giungeran di morte i danni...
E fida speme a non temer c‟invita
Di morte...
Siccome512 morte miglior vita dona...
D‟odio degna non è, ma sol d‟amore.513
Un giovinetto tutt‟altro che asettico, focosissimo, proprio come era rimasto
vivo nei ricordi della sorella, che seppe lasciare il caduco per tendere verso
le eterne cose.
CAPITOLO XVII
IL SEMINARIO DI GENOVA
PRIMA DEL RETTORE CATTANEO
Hace cosa de un mes que he sido admitido en una
congregación de Eclesiásticos bajo la invocación de María
SS., de los Apóstoles y del Bto Leonardo da Porto Maurizio...
El zelo con que intervienen en esta academia cuasi todo el
clero joven es inesplicable... Si vieses estos colegiales,
imaginarías Angelos del Cielo. En paseo, en procesión
superan en la modestia a los novicios de la religión más
observante. Los admiten [in seminario] pequeñitos y
permanesen hasta que son Sacerdotes. La dulzura con que los
tratan sus Maestros y superiores hace que reine en nuestra
casa un contento y un amor mútuo que pasa toda ponderación.
512 Mi si perdoni quel siccome posto da me per legare i versi stralciati con cui riassumo il
pensiero dell‟ultima parte.
513 AF, Mns., vol. 19, Vanità delle cose umane – Terzine, pp. 538-541.
256
Tal vez creerías que estas cosas son exageradas, pero te
aseguro que no te digo tanto quando (sic) ello es en sí 514.
Francisco Cabrera
Quel resto d‟Israele raggruppato intorno al Gianelli si potrebbe pensare
cresciuto in serra come i fiori della Riviera. No, anche avanti a quei giovani,
per quanto sante fossero le loro famiglie, erano aperte le due vie di cui ci
parla la Didaché: “Esistono due vie, quella della vita e quella della morte.
Grande è la differenza tra l‟una e l‟altra via”515. Per convincercene basta
dare una scorsa alle relazioni che ci descrivono l‟ambiente studentesco della
Genova di quegli anni e le miserande condizioni in cui era precipitato
l‟internato del seminario che ci ha fatto affermare: “Il Frassinetti, per sua
fortuna, era alunno esterno”. Cominciamo dal seminario.
Il contatto quotidiano con gli studenti secolari che frequentavano le
scuole del seminario, aumentati di numero nel biennio 1821-1823 per la
chiusura dell‟Università dovuta ai torbidi carbonari, poteva indurre i
seminaristi “esterni” a contrarre amicizie e a lasciarsi anch‟essi adescare
dalla sirena Mazzini, non alunno del Seminario, ma certamente conosciuto,
né la familiarità con i seminaristi “interni” era esente da pericoli. Ciò spiega
questo nostro indugiare a lungo sullo stato del seminario genovese negli
anni in cui fu frequentato dal Frassinetti come esterno e la ricerca che ne
facciamo delle cause.
Si preferirebbe non parlarne, ma il silenzio falsificherebbe il valore della
scelta fatta dal giovane Frassinetti e dai suoi compagni potendo anch‟essi
divenire sacerdoti privi di spirito, come non pochi seminaristi loro
compagni516 o confluire nelle varie sette tutte avverse alla Chiesa. Diamo
514 J. DE OLEZA, Un Español del siglo XIX – Vida, empresas y escritos de Monsiñor D.
Francisco Iñigo Cabrera y Aguillar, cap. IX, p. 1. Per la cortesia del padre teatino Francisco
Andreu ho potuto consultare la copia dattiloscritta dell‟originale di 955 pagine rimasto
inedito. In ogni capitolo la numerazione ricomincia da 1. La traduzione dei passi citati, anche
se si tratta dI uno spagnolo cosí... italiano da potercene dispensare, si trova nel corso del
capitolo.
515 Didaché, I,1.
516 Nell‟Archivio A. Charvaz, Moûtiers (Savoia), dossier IV, Gênes, fasc. II, 1854-1855,
si ha una relazione sullo Stato della Diocesi [di Genova] quando l‟Arcivescovo ne prese
possesso [nel] 1853. Ad un quadro statistico – 460.000 anime, 1723 sacerdoti diocesani e
554 religiosi delle varie congregazioni – segue un elenco d‟una trentina di sacerdoti che si
257
pure alle famiglie tutto il merito che è giusto sia loro riconosciuto, ma resta
pur sempre vero che quei giovani ebbero davanti a sé aperte le due vie. C‟è
pure un‟altra ragione che vieta il silenzio: non potremmo apprezzare in
giusta misura l‟opera di risanamento del seminario compiuta appunto da
quei “Ragazzi del Gianelli” da quando ne assunse la direzione il Cattaneo –
e dire Cattaneo è dire Cattaneo + Frassinetti + Sturla + membri tutti della
Beato Leonardo –, se non conoscessimo cosa il seminario era stato prima
della sua elezione a rettore. È ciò che fa san Paolo scrivendo ai corinzi:
anche alcuni di loro erano stati ciò che non ha cittadinanza in cielo, ma la
grazia li aveva astersi da tutta quella lordura e fatti santi517. Fa una
descrizione del prima perché rifulga il dopo, cosí provo a fare per il
seminario di Genova divenuto con il Cattaneo il modello dei seminari.
Il tentativo del Gianelli di creare disciplina nel seminario genovese, di
cui sopra si diceva, s‟era risolto in un fallimento, ma il seme era stato gettato
ed aveva trovato il suo buon terreno in quel gruppetto dei suoi alunni di
“Rettorica”: Cattaneo, Magnasco, Frassinetti, Sturla, Barabino... Un seme,
gettato in terra buona, per il germe di vita che ha in sé, poco importa se chi
ve lo gettò poi “dorma o stia desto... germina... Come, egli non sa”518. Ma,
per vedere il primo filo di verde rompere il terreno, si dovette prima toccare
il fondo durante gli anni dell‟assenza dell‟arcivescovo Lambruschini, nunzio
a Parigi, ed aspettare l‟ inizio del luglio del 1830, quando il Lambruschini,
non potendo essere l‟una e l‟altra cosa, rinunziò alla diocesi.
Il nuovo arcivescovo, già stato vescovo a Savona, l‟Airenti, che,
nell‟assenza del Lambruschini, aveva ordinato le ultime leve di sacerdoti
genovesi, incluso il nostro Frassinetti, era un domenicano, già professore di
teologia a Parma e rettore dell‟Università di Genova. Sedette in cattedra solo
diceva dessero scandalo ai fedeli. Altri, non nominati, darebbero “poco buon odore di sé”. La
relazione va presa con le molle dovendo provenire dalla fazione liberaleggiante del clero che
ha da ridire sul Vicario generale perché “alla Camera ha esternato le sue opinioni, ha
combattuto tutte le leggi che si proponevano contro la Chiesa ed ha parlato alla Camera
contro la Repubblica Romana, quando si voleva che il Governo Piemontese la riconoscesse”,
né si ferma qui con le sue considerazioni antiromane. Non avverte l‟informatore che, se erano
di scandalo quei sacerdoti cosí chiacchierati, potesse essere di scandalo anche questa sua
animosità contro Roma. Ma di questa parte di clero cosí povera di formazione e di spirito
ecclesiale diremo piú distesamente trattando dell‟infatuazione giobertiana.
517 1 Cor 6,9-11.
518 Mc 4,26-29.
258
un dieci mesi. Nell‟ attesa della sua presa di possesso, il Capitolo esonerò il
rettore del seminario e nominò il nuovo nella persona di Giovan Battista
Cattaneo, con non poche riserve e disapprovazioni da parte dei canonici. E
ce n‟era motivo: un venticinquenne da appena due anni sacerdote! Il
seminario, e nelle condizioni in cui era, in mano ad un ragazzo! Il nuovo
vescovo confermò la scelta del Capitolo, conferma rinnovata dal suo
successore, il futuro cardinal Tadini.
La data del 15 luglio 1830, presa di possesso del nuovo rettore, andrebbe
scritta a caratteri d‟oro sul portale del seminario genovese. Nello stesso
periodo troviamo il Gianelli prefetto degli studi nell‟altro seminario
diocesano, eretto da appena quattro anni e sito a Chiavari, allora parte della
diocesi di Genova. Da alcune lettere del Gianelli veniamo a conoscere un
meraviglioso lavoro svolto in parallelo dal maestro e dall‟antico scolaro,
l‟uno a Chiavari e l‟altro a Genova. Non è da escludere che sia stato proprio
il Gianelli a rassicurare i nuovi vescovi, se mai avessero avuto un qualche
dubbio, sull‟opportunità di confermare nella carica rettore “ragazzo”.
Sulle condizioni pietose in cui era caduto il seminario dal 1797 al 1830,
ci sono pervenute due relazioni, una breve una lunga, stese entrambe dallo
stesso Cattaneo nel 1840519. Testimonianze di grande valore, essendo
passato il Cattaneo, quasi senza discontinuità, da seminarista interno,
scandalizzato da ciò che gli toccava vedere, a quella di rettore. Nel 1840 il
seminario stava vivendo da un decennio i suoi anni d‟oro e continuò a
viverli fino a quando l‟infatuazione giobertiana causò la destituzione e
l‟esilio del rettore condannandolo a vedere il suo seminario precipitato nelle
condizioni del 1797! Ne morrà di crepacuore neppure cinquantenne520.
519 CATTANEO, GB., Breve notizia dell‟andamento del Seminario di Genova dal 1797 al
1840 in circa, in AF.
ID., Cronaca del Seminario dal 1803 al 1848. Una copia di pp. 103 in AF.
ID., Relazione dello stato del Seminario data per gli Scienziati 1846, p. 5, in AF. In
quest‟ultima si danno i nudi dati storici del Seminario richiesti dal Congresso degli Scienziati
tenuto in quell‟anno a Genova. In realtà si trattò d‟un congresso politico, preludio dei fatti del
Quarantotto.
520 Ci è pervenuto un quasi diario di quel tristissimo periodo compilato da un prefetto
del seminario, don Luigi Persoglio, fattosi poi gesuita. Di questo periodo avremo modo di
parlarne a lungo nella seconda parte.
259
Siccome la storia del prima del Cattaneo sono righe amare, ho premesso
in apertura di capitolo un anticipo del dopo riportando nella lingua originale
le impressioni di Francisco Cabrera, che qui ripeto in traduzione:
È da un mese – scrive alla sorella suora rimasta in Spagna – che
sono stato ammesso in una congregazione di ecclesiastici sotto la
protezione di Maria SS., degli Apostoli e del Beato Leonardo da Porto
Maurizio... Lo zelo con cui quasi tutto il clero giovane interviene
all‟accademia è inspiegabile... Se tu vedessi questi collegiali [studenti
di teologia] crederesti di vedere Angeli del Cielo. Al passeggio, in
processione superano in modestia i novizi della congregazione piú
osservante. Vengono accolti [in seminario] ancora fanciulli e vi
restano fino al sacerdozio. La dolcezza con cui sono trattati dai loro
maestri e superiori fa sí che in questa casa – il seminario, la Beato
Leonardo, o l‟uno e l‟altra? – regni una contentezza ed un reciproco
amore che sorpassa ogni considerazione. Forse penserai che sto
esagerando, ma ti assicuro che t‟ho detto meno di quanto realmente
è521.
Diamo ora la parola allo stesso Cattaneo. Cito dalla relazione breve:
Fin dal tempo della rivoluzione, cioè dal 1797, il Seminario
presenta l‟idea di un Collegio il piú disordinato522. Fu in quell‟anno
che, uniti insieme la maggior parte dei professori e Seminaristi,
521 J. DE OLEZA, Un Español del siglo XIX , Op. cit. Di nobilissima famiglia, Francisco
Cabrera, non ancora sacerdote, s‟era potuto salvare dalla matanza de los frailes del 1835 con
una fuga avventurosa: Cordoba, Gibilterra, Malta, Roma. Dopo una lunga sosta a Roma, dove
fu ordinato sacerdote e fatto monsignore, nel giugno del 1839 passò a Genova e rimase subito
colpito dallo zelo e santità del giovane clero e dei chierici del seminario. Era appunto il frutto
delle varie organizzazioni promosse da “I ragazzi del Gianelli” o, se piú piace, dal “Circolo
Frassinetti”. Il giovane monsignore ne rimase cosí colpito che chiese di far parte della “Beato
Leonardo” e vi presiedette per qualche tempo le tornate settimanali di Scrittura
nell‟Accademia. Fu anche scelto come confessore dei seminaristi. Il passo citato è tolto da
una lettera scritta il 29 giugno 1840 ad una sorella suora rimasta in Spagna, ancora preso
dallo stupore di cose che non gli parevano di questa terra. Per il Cabrera si confronti pure: M.
FALASCA, Rapporti di Francisco Cabrera con G. Frassinetti e M. Sureda, in “Verbum Dei”
XL (Roma 1984) n. 110, pp. 431-446. Torneremo a parlare del Cabrera nella seconda parte.
522 Cfr. A. COLLETTI, La Chiesa durante la Repubblica Ligure, Genova 1950, pp. 1318.119.124.
260
obbligarono il Rettore a partirsene... fu alzato l‟albero della libertà
nella piazza interna intorno al quale i Seminaristi, uniti ad altri
Cittadini, pazzamente danzavano...523. Dopo ciò il Seminario stette
chiuso per alcuni anni, il Cardinale Spina lo riaperse [nel 1803].
Capitolazione del Seminario Nazionale:
Libertà
Uguaglianza
I.– Sia licenziato sul momento il cittadino Rettore524.
II. – Seguano la stessa sorte i due cittadini prefetti525.
III. – Invece di questi saranno eletti dalla Comunità due chierici da cangiarsi
di due mesi in due mesi.
IV. – Il cittadino Gerolamo De Gregori, Lettore di teologia, come sospetto di
aristocratismo e fomentatore della superbia del cittadino rettore, debba
quanto prima abbandonare il Seminario con la cattedra di teologia.
V. – Avendo ora Genova la bella sorte di godere del governo democratico,
vogliono questo ancora in Seminario. Il Regolatore del Seminario sarà un
Vice Presidente in persona dei Maestri, uno per mese, dovendosi riputare
e tenere per Presidente il cittadino Arcivescovo...
X. – Il cittadino Arcivescovo eleggerà un Lettore di teologia, avendo però
riguardo che non sia infetto di aristocraticismo, dovendo anch‟egli
coprire, in giro, la carica di Vice Presidente526.
XI. – Giovedí 20 sarà in Seminario un gran pranzo democratico: si pianterà
l‟Albero della Libertà... Si pregheranno di intervenire al pranzo il
cittadino abate Cuneo...527. Uno studente del Seminario avrà l‟incarico di
comporre un inno patriottico per la solennità del giorno e un altro sarà
incaricato dell‟arringa.
XII. – Il governo politico [del Seminario] sia in mano dei Maestri, alla
dipendenza dell‟Arcivescovo, senza riconoscere in niente nessuna
persona, eccettuata la Comunità in corpo.
523 Vi si tenne pure un‟accademia sul “Trionfo della Libertà”.
524 Don Francesco Piana.
525 Don Michele Delle Piane e don G. B. Casassa.
526 Fu imposto Stefano De Gregori, alunno del Molinelli, giansenista di chiara fama, da
non confondere con l‟abate Giacomo De Gregori, anch‟egli severo giansenista, a cui sarà
affidata dalla madre del Mazzini l‟educazione del figlio.
527 È il prete Cuneo di cui s‟è parlato nel capitolo IV, fattosi capopopolo, avendo
avanzato pretese di ricompense per i servizi resi alla patria, ricevette da un cittadino due
sanguinacci perché si ripagasse del sangue versato.
261
XIII. – I Chierici si riserbano di presentare al cittadino Arcivescovo altre
proposizioni, che la velocità del tempo loro vieta di esporre al presente.
XIV. – Ogni mese si dovranno rivedere i conti del Vice Presidente, che
terminerà, da due chierici eletti dalla Comunità... Salute e fratellanza
Il cittadino Arcivescovo approva quanto sopra
+ Gio. Arcivescovo528
Come non bastasse, la Municipalità pretese che fosse modificato il
comma XII in “Il Governo politico sia in mano dei Maestri alla dipendenza
dell‟Arcivescovo, senza riconoscere in niente nessuna persona, eccettuata la
Comunità in corpo e le autorità costituite”529, il che poneva la direzione
del seminario alla mercé d‟un gruppo di giacobini mossi dal Degola, prete
giansenista, cattivo, gran nemico della corte di Roma530. Nello stesso
codicillo si ingiungeva che l‟arringa fosse tenuta dal cittadino Cuneo.
Gli effetti immediati? In una nota dell‟Archivio del seminario si legge:
“Al tempo che tutti, anche i confessori, avevano il titolo di cittadino, di
quarantasei chierici se ne comunicarono tre”531. Si aggiunga che vigeva
l‟ordinanza: “I cittadini Vescovi sono invitati a non promuovere agli Ordini
528 ASAG, Filza Cose varie, n. 9, riportato da A. COLLETTI, Op. cit.., pp. 13s. Non si
meravigli il Lettore piú che tanto di questa invadenza. Ancora in epoca cavourriana – quando
avrebbe dovuto vigere il tanto conclamato principio: Libera Chiesa in libero Stato – un
decreto del luogotenente delle ex-province napoletane in data 17 febbraio 1861, vivo quindi il
Cavour, oltre alla soppressione degli ordini religiosi nelle terre recentemente annesse,
riesumava le vecchie norme che regolavano le ordinazioni sacerdotali. I dubbi per
l‟applicazione provocarono due circolari da parte del Ministero di Grazia e Giustizia e di
quello degli Affari ecclesiastici, una del 10 agosto e l‟altra del 7 dicembre dello stesso anno,
che richiamavano in vigore il dispaccio reale del 21 giugno 1777 – del Borbone Ferdinando
IV! – e del decreto murattiano del 19 novembre 1810. In grazia di tale invasione del potere
statale in campo ecclesiastico san Gabriele dell‟Addolorata morí chierico e non sacerdote.
Cfr. B. Ceci, C. P, Scritti di S. Gabriele dell‟Addolorata, Isola del Gran Sasso (TE) 1963, pp.
393-395.
529 ASAG, Filza Cose varie, n. 9, riportato da A. COLLETTI,Op cit.., ivi.
530 E. GUGLIELMINO, Genova dal 1814 al 1849, Op. cit., p. 20, n. 3 con rinvio a A.
SEGRE, Il primo anno del ministero Vallesa: Informazioni di polizia sull‟ambiente genovese,
in “Biblioteca di Storia Italiana recente”, vol. X, Appendice III, Torino 1928, pp. 363ss.
531 ASAG, Filza cose varie, n. 1bis.
262
sacri alcuno dei cittadini... quando non vi concorra la preventiva intelligenza
e permissione del Governo provvisorio”532. Il “Cittadino Arcivescovo”,
relegato a Noli, era stato costretto ad accettare come vicario generale un
prete devoto “alla sana dottrina”, G. B. Moscino. Anima delle riforme era il
su citato Degola, l‟arcigiacobino della Repubblica Ligure. Si giunse a
tentare la costituzione civile del clero e poco mancò che non venisse accolto
in San Lorenzo come arcivescovo scismatico l‟ex-lazzarista Felice Calleri,
già fautore del Sinodo pistoiese. Per fortuna i tre vescovi convocati dal
Governo provvisorio per consacrarlo – tra i quali il chiavarese Benedetto
Solari, vescovo di Savona e Noli, di idee liberali e giansenistiche – si
rifiutarono.
Al 20 gennaio 1799, tra esiliati o relegati, si contavano due vescovi, 51
parroci e ben 120 sacerdoti533. Situazione da tenersi presente nel riprendere
a leggere le relazioni del Cattaneo sulla condizione del seminario alla sua
riapertura da parte del cardinal Spina:
Non si raccoglievano nel Seminario che quei giovani i quali non volevano
aver parte alle glorie di Napoleone. Per fuggire la guerra si faceano preti,
toltini alcuni pochi... disciplina non ve n‟era. Il Rettore ottuagenario... non la
poteva stabilire. Cessato il pericolo della guerra... sarebbe stata quella l‟epoca
piú opportuna per richiamare l‟ordine..., ma l‟ordine non si rimise534. Fra
quei pochi chierici – 25 nel 1818 – erano i maliziosi che facevano osceni
discorsi nauseanti e cercavano di sedurre gli innocenti. Di anno in anno andò
crescendo il numero degli Alunni finché giunse ad oltrepassare i settanta, ma
anche il disordine [si] moltiplicava, le oscenità che si commettevano di giorno
e di notte non si possono dire senza ribrezzo, la scostumatezza era pressoché
generale. Quando poi i Chierici andarono la prima volta alla villeggiatura, nel
1822, [si] ruppe ogni freno, lo scandalo divenne pubblico... L‟anno scolastico
successivo i Seminaristi divennero la favola di tutta Genova, non potevano
passeggiare per le strade senza sentirsi scagliare contro i motti piú ingiuriosi e
532 L. P[ERSOGLIO], Mons. Giovanni Lercari, ne La Settimana Religiosa, Genova,
XXI(1891), p. 244. Cfr. pure A. COLLETTI, La Chiesa durante la Repubblica Ligure, Genova
1950, pp. 119.124. Si rinvia a questo lavoro per una conoscenza piú completa della situazione
della Chiesa genovese di quei torbidi anni.
533 Ivi, 181.
534 La piaga durò a lungo. Il Gianelli nella lettera del 28-11-1830, 71a della raccolta
citata (vol I, p. 74), diretta al nuovo arcivescovo, chiama tali candidati al sacerdozio:
schivazappe e schivaschioppi.
263
chiamare coi nomi piú infami. L‟Arcivescovo [Lambruschini] ne sentí dolore
e, parlandone col R. Gianelli, gli disse: “Caro Gianelli, sono obbligato a
chiudere il Seminario”... Ciascuno aveva in camera la sua cucina... in qualche
camera quattro o cinque Seminaristi giocavano tutta la notte... I Professori
non erano risparmiati... satire, sarcasmi or contro l‟uno or contro l‟altro si
leggevano scritte sulle muraglie e quel che è peggio la scostumatezza era tale
che quelli soli la possono credere che ne furono testimoni... guai se uno fosse
caduto in sospetto di delatore, gli toccava ben altro che di parole.... L‟eccesso
di tanto disordine giunse alle orecchie dell‟Arcivescovo che era allora
[nunzio] a Parigi. Ricorse egli tosto al rimedio unico di escludere i cattivi e
sedici furono licenziati....
Nella relazione piú ampia:
L‟Arcivescovo, sommamente afflitto per lo spiacevole andamento del
Seminario, cercò di porvi riparo con istabilire un Direttore di Disciplina ed
elesse a questo uffizio il M. R. Gianelli, allora Professore di Rettorica. Egli si
adoperò con tutto lo zelo, ma non era aiutato dai Prefetti. Inoltre le sue
attribuzioni non erano distinte da quelle del Rettore... Il Rettore, cui non era
stata ristretta la giurisdizione, soleva usare di tutto il potere... e voleva agire
come prima, quindi nascevano spesso delle contestazioni e degli urti. I
Seminaristi si accorgevano del conflitto e questo bastava a togliere efficacia
all‟autorità... con tutto ciò le cose andavano un po‟ meglio. Nell‟anno
scolastico 1823-1824... riuscí il rettore a liberarsi della soggezione del
Direttore di disciplina [Antonio Gianelli]....
Il Gianelli, dopo le dimissioni da prefetto di disciplina, continuò ad
insegnare lettere ancora per due anni prima di passare parroco a Chiavari.
L‟anno scolastico 1827-1828 – continua la relazione – fu veramente fatale
al Seminario. Converrebbe tirare un velo su questo infame periodo e
seppellire la triste memoria. Ma non dovendo questi brevi cenni servire che
per coloro che ne sono alla direzione sarà ben dire alcuna cosa in iscorcio ed
accennar le cagioni dei disordini allora accaduti onde si possano piú
facilmente impedire e che mai piú si rinnovino quelle disgust[os]issime
luttuose vicende.
Erano già da varii anni come abbiamo notato di sopra che la disciplina era
manomessa... Il Rettore, egregio Ecclesiastico... nei primi anni usava piú
rigore che dolcezza e i chierici se non altro lo temevano, ma poi pensò
tenergli piú in ordine e guadagnarsene il cuore usando piú assai dolcezza che
rigore... ma i Seminaristi di quel tempo erano troppo perversi e della bontà
264
del Rettore abusavano e prendevano sempre maggior baldanza [e]
imperversavano sempre piú.
I Prefetti erano miserabili e spesso erano cangiati, e quelli che venivano
erano peggiori di quelli che se ne andavano, niuna abilità, niun talento a
dirigire li distingueva; perciò nessuna stima né amore né rispetto potevano
conciliarsi dai Seminaristi... Oltre i Prefetti generali ogni camerata aveva due
Prefetti Seminaristi i quali spesso profittavano della maggior libertà... si
trattenevano parte della notte in qualche camera a giocare... portavano le
rispettive camerate nelle osterie ove si giocava e si mangiava all‟uso dei
facchini... Lo spirito di pietà era estinto affatto, i Sacramenti pochissimo
frequentati... in cappella si leggevano i libri piú osceni. Erano tra i Seminaristi
partiti, dissenzioni, inimicizie dichiarate. Quei pochi che non prendevano
parte al disordine eran l‟oggetto dell‟avversione comune tenuti quali spie e
spesso maltrattati con parole e con fatti... a uno di questi fu sparata una
pistola carica a palla [ma solo di polvere] ma che bastò per altro a mettergli
tanta paura che cadde in deliquio, ad un altro minacciarono di gettarlo giú da
una finestra e già tolto di peso mostravano di volerlo effettuare. Forse non
l‟avrebbero fatto, ma se non era un Ruben pietoso che li dissuase chi sa come
sarebbe finita la scena535.
Talora i Prefetti entrando in Refettorio venivano accolti con urla e
fischiate; al Rettore medesimo non si aveva maggior rispetto; uno gli disse in
faccia imprecazioni e bestemmie esecrande; un altro a cui si avvicinava per
obbligarlo ad entrare in camera gli intimò di scostarsi mostrandogli il coltello
e levatosi con un insulto il collarino lo butto dalla finestra. Della
scostumatezza non è mestieri parlare giacché da tutto il detto fin qui si può
argomentare facilmente quanta fosse.
Sono cose che non si riescono a credere, né si crederebbero, se non ci
fossero altre testimonianze che suonano la stessa musica. Ecco, per esempio,
come ricordava il seminario di quegli anni don Angelo Remondini, uno dei
sacerdoti piú colti di Genova, anch‟egli del circolo Frassinetti536. Sono
rievocazioni fatte a quarant‟anni di distanza:
535 Si allude all‟episodio biblico in cui Ruben impedisce che venga ucciso il fratello
Giuseppe, Gen 37,12-36.
536 I fratelli Angelo (1815-1892) e Marcello (1821-1887) Remondini, eruditissimi di
cose genovesi, scrissero tra l‟altro in collaborazione Parrocchie dell‟archidiocesi di Genova
265
Il Cattaneo venne rettore in Seminario nel 1831 – in realtà per l‟anno
scolastico 1830-1831 –, ove io mi trovava da qualche anno. Il Seminario
allora non era certo il luogo piú attraente per un giovanetto, il quale,
all‟entrare novello, vi doveva sostenere il cosí detto noviziato, che io tuttavia
con orrore ricordo. Oh che pena per un fanciullo sottostare per mesi e mesi a
persecuzioni, insulti, percosse continue di una mano di sfrenati fanciulli, di
cui non sapresti dove prendere riscontro neppure in un carcere, invano
reclamante il prefetto dei seminaristi poco pratico di gioventú. Venne il
Cattaneo, e in breve tempo i giovanetti, staccati dalle dolcezze della famiglia,
vi portavano e vi conservavano il loro consueto sorriso e la giovialità,
ritrovando altrettanti fratelli quanti erano i compagni. Ricorderanno i chierici
adulti di allora le cosí dette congiure, i sassi rotolati tra i piedi ai prefetti nelle
corsie, i colpi di pistola e simili e peggiori disordini, che assomigliavano il
Seminario ad un ergastolo; venne il Cattaneo, e in pochi anni l‟amore e la
carità tra i giovani chierici, il rispetto e l‟obbedienza ai superiori, la disciplina
e la regolare condotta meritarono gli elogi di molti vescovi e delle pubbliche
effemeridi e il Seminario di Genova il nome di Modello dei Seminari537.
Un eco anche in un manoscritto del Frassinetti:
I chierici, dai quali si doveva aspettare una novella generazione di
sacerdoti, altra cultura non avevano se non la materiale delle scuole, giacchè
per essi non era alcuna congregazione, se tolgasi quella dei Franzoniani, ossia
Operarii Evangelici, la quale faceva poco piú di avviarli nella istruzione dei
fanciulli e ne coltivava poco numero come portano le sue regole, dovendo
essere dieci i chierici di congregazione. Sebbene il pio Abate Franzoni abbia
istituito accademie per tutti gli ecclesiastici... nondimeno per molti anni
furono trascurate. Nello stesso Seminario Arcivescovile era molta
dissipazione che diede molto disgusto all‟Emmo Lambruschini. Per la qual
cosa generalmente i chierici crescevano poco colti nello spirito ecclesiastico,
e moltissimi cominciavano a comprendere che cosa fosse lo stato
ecclesiastico e le disposizioni che si richiedono per abbracciarlo quando si
ritiravano appresso i Signori della Missione a Fassolo per fare gli Esercizi
Spirituali in preparazione al Suddiaconato538.
in 15 volumi. Appartenevano ad una famiglia di 17 fratelli. A loro dobbiamo l‟esserci
pervenuti vari documenti che riguardano il Frassinetti.
537 Giornale degli studiosi, vol. I, Genova 1871, pp. 30s.
538 I due brani qui riportati, questo e quello del prossimo paragrafo, si leggono nel
volume V dei manoscritti di G. FRASSINETTI, Istituti e Documenti, conservati nell‟Archivio
Frassinettiano. Il volume V è una miscellanea di scritti del Servo di Dio, tra i quali: Memorie
266
Né è a dire che i seminaristi potessero formarsi un‟idea di ciò che
dev‟essere il sacerdote rifacendosi agli esempi che avevano sotto i loro
occhi, perché, pur essendovene in buon numero di buono spirito e santa vita,
la loro attenzione era richiamata da altri piú chiassosi e di vita tutt‟altro che
edificante. Leggiamo sempre nel Frassinetti immediatamente prima della
pagina citata:
Sebbene il Clero di Genova siasi sempre segnalato in sapere zelo e pietà
come non solo consta a noi, ma come porta l‟opinione universale in tutta
l‟Italia, nondimeno aveva sofferto alcunché delle vicende dei tristi tempi
scorsi sul cadere dell‟ultimo secolo e sul cominciare del presente. Molti
ecclesiastici o in tutto o in parte avevano dimesso l‟abito clericale (al quale
disordine rimediò l‟Em. Lambruschini quando fu nostro Arcivescovo
dovendo però soffrire amare opposizioni), molti coltivavano il gioco delle
carte e avventuravano somme considerevoli attesa la povertà del clero; alcuni,
anche tra i piú notevoli beneficiati, giocavano pubblicamente al pallone, [e
avvenne che l‟Emmo Spina fece una graziosa osservazione ad uno di costoro
che ebbe a presentarglisi con un occhio molto offeso da un colpo di pallone.
Si coltivava uno spirito di buffoneria che faceva trascorrere a burle pericolose
e al tutto incongrue. Ad un sacerdote si bruciò molto solfo nella stanza mentre
dormiva, altra volta gli si sparò un mortaretto soto il letto…]. Per tanto la
della Congregazione del B. Leonardo finite di scrivere nel luglio 1847. Per i nostri brani cfr.
nell‟ordine f2r e f1r e v., nella numerazione continua rispettivamente le pp. 420 e 418-419.
Nel 1857 furono pubblicate in Oneglia a cura di don Luigi Bottaro, in realtà dello stesso
Frassinetti, con l‟aggiunta di altri documenti: Memorie intorno alla Congregazione del B.
Leonardo da Porto Maurizio, pp. 171. La revisione per l‟edizione di Oneglia espunse le parti
qui riportate in corsivo: "Frattanto i Chierici, dai quali si doveva aspettare una novella
generazione di sacerdoti, si può dire che non avessero altra coltura se non la scientifica delle
scuole. Non era per essi alcuna apposita Congregazione che ne coltivasse lo spirito; la
massima parte vivevano sparsi per la città presso ignote persone, la minima parte nel
Seminario Arcivescovile alcuni pochi nelle proprie famiglie. Crescevano generalmente poco
illuminati sui loro doveri, e taluni cominciavano a comprendere che fosse lo stato
ecclesiastico e le disposizioni che si ricercano per abbracciarlo, quando si ritiravano presso i
Signori della Missione a Fassolo per fare gli Esercizi Spirituali in preparazione del
Suddiaconato", pp. 5s.– in una seconda stesura manoscritta di questo stesso 1857 si legge:
"Quando io studiava teologia erano circa novanta i chierici esterni addetti a questa scuola e
non arrivavano a venti gli interni. Tali chierici esterni cosí vicini al sacerdozio, che vivevano
in piena balia di sé stessi... crescevano...”, (Manoscritti, vol. V p. 2) –. Le Memorie furono
ristampate nel 1912 nel vol. XIII dell‟edizione vaticana delle Opere edite ed inedite (pp. 519562) con il titolo: Notizia della Congregazione di ecclesiastici... del B. Leonardo da Porto
Maurizio.
267
dissipazione aveva molto progredito nel Clero e tante volte non si poteva
parlare di certe pratiche divote, per es. della meditazione, senza mettersi a
pericolo di essere burlati. Con questo non si vuol dire che non vi fossero
buoni Ecclesiastici, che anzi erano in numero ben considerevole e diedero
prove non dubbie di zelo, di pietà, di attaccamento ai sani principii nelle
persecuzioni che soffrí la religione dai cosí detti giansenisti, rivoluzionarii e
da Napoleone. Anzi è da notare che per Divina Provvidenza molti di essi
erano forte sostegno alla religione del popolo in que‟ pericoli mediante la
forte e vigorosa predicazione per la quale parecchi dovettero soffrire la
deportazione e l‟esilio, e bisogna confessare che morti quelli non risorsero
altri, almeno in ugual numero, da supplire alla loro mancanza539.
Non dissimili, e forse peggiori, gli internati degli altri istituti genovesi,
quello del Collegio Reale tenuto dai Somaschi, per esempio, la cui
descrizione, s‟è visto, occupa buona parte del romanzo Lorenzo Benoni di
Giovanni Ruffini. Un romanzo che, come vedremo nel prossimo capitolo,
ben setacciato, può darci un‟idea dell‟ambiente studentesco della Genova di
quegli anni Venti. L‟iter scolastico dei fratelli Ruffini non fu gran che
dissimile da quello del Frassinetti. Anche essi ebbero per primo precettore
un ecclesiastico, lo zio Carlo, fratello del padre, poi alunni dei Somaschi;
uno, Jacopo, frequentò esterno filosofia in seminario negli stessi anni e corsi
del nostro.
539 Pongo in parentesi quadre la parte omessa nell‟edizione vaticana, benché il curatore,
don G. Capurro, affermi in nota: "Pubblicate... nel 1857 alquanto mutilate, noi le diamo per
intiero, avendo alle mani il manoscritto autografo". Cfr. pp. 52s. Non confonda il lettore
questi ecclesiastici che giocavano a pallone per puro divertimento personale con quei degli
oratori di Don Bosco che lo facevano per animare le ricreazioni dei ragazzi. Nell‟edizione di
Oneglia il testo era stato cosí modificato. "Sebbene il Clero di Genova siasi sempre segnalato
in sapere, zelo e pietà, come non solo consta a noi, ma è pure opinione universale in Italia;
nondimeno aveva sofferto alcunché per le vicende dei tristi tempi che erano scorsi sul cadere
dell‟ultimo secolo e sul cominciare del presente. In fatti venuto al regime di questa
Arcidiocesi il zelantissimo Arcivescovo, poi Cardinale Lambruschini, si dovette adoperare per
correggere vari abusi che si erano introdotti nel Clero, né vi riuscí senza incontrare qualche
contraddizione ed amarezza”.
268
CAPITOLO XVIII
I “RAGAZZACCI”
MAZZINI E COMPAGNI
Ma voi non vi comporterete cosí.
Luca 22,26.
Il modo piú conveniente e opportuno [di comportarsi] io credo
che debba impararsi da‟ nostri nemici, fissandoci per regola di
fare il contrario di ciò che essi fanno.
G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici.
Non pochi seminaristi etiopici, venuti nel passato a completare gli
studi a Roma, quando ancora imperversava la tubercolosi, vi
soggiacquero. La causa, si diceva, essere il loro paese immune da tale
flagello, perciò privi di quegli anticorpi che in noi si erano formati nel
sangue a forza di respirare aria satura di bacilli. “I ragazzi del
Gianelli”, vivendo a contatto di gomito con i mazziniani in erba,
n‟ebbero una vaccinazione naturale. Vale la pena conoscere piú da
vicino questi loro giovani coetanei dai quali essi si seppero differenziare.
Non mi meraviglio se sentire chiamare Mazzini e compagni
“ragazzacci” susciti all‟orecchio di qualche Lettore la ripulsa che
produce nel mio ogni bestemmia contro Dio la Vergine e i santi. A
chiamarli cosí fu lo storico Carlo Botta per gli articoli che i
“ragazzacci” scrivevano su l‟Indicatore genovese540. Se fosse stato a
540 CARLO BOTTA, purista, autore della Storia della guerra dell‟indipendenza degli Stati
Uniti d‟America (1809) e della Storia d‟Italia dal 1789 al 1814, edita nel 1824. La Storia
d‟Italia continuata da quella del Guicciardini uscirà solo nel 1832. Opere di grande successo
editoriale. Il Botta in due lettere, nell‟Antologia del 1826 e nel Giornale arcadico del 1828, si
era scagliato contro i romantici. All‟epiteto “ragazzacci” se ne aggiungevano altri ben piú
269
conoscenza anche delle manganellature del ‟21 in quel vicolaio alle
spalle di Sottoripa in Genova e dei provvedimenti scolastici presi a loro
carico, forse li avrebbe chiamati “banda”. “Ragazzacci”, ma d‟ingegno.
“Ragazzacci”, ma giovani che pensavano. Il Frassinetti camminerà in
direzione opposta alla loro, ma li studia per poter difendere il popolo
cristiano dalle loro insidie, e colpisce giusto, non a vuoto541, mettendo a
servizio del bene, secondo il suggerimento del vangelo, l‟avvedutezza
che essi ponevano a servizio del male542.
Una delle massime che piú mi rimasero impresse – depose Giovanna
Schiaffino – era che i figli delle tenebre sono molto piú prudenti dei figli della
luce e che, se noi impiegassimo da parte nostra tutto l‟impegno che essi
impiegano nelle cose loro, saremmo tutti santi543.
Mazzini fu tra le prime persone da me conosciute bambino ex auditu.
A quei ricordi lontani è legata la pena sofferta sapendolo braccato e
condannato alla fame. Lo immaginavo nascosto in una grotta buia,
rischiarata da un lumicino spargitore di ombre piú che di luce, di quelle
di cui mi avevano parlato nelle fiabe popolate da orchi e da streghe. A
volte mi ritrovavo a guardare il mio piatto di bambino povero, ma non
di fame, e a vuotarlo con gli occhi fino a lasciarvi solo qualche boccone
per farmi un‟idea di come doveva essere vuoto quello del povero
Mazzini; e poi quel viso esangue, a muscoli tirati, su una redingote nera
d‟uno ch‟abbia vegliato un morto e torni dall‟averlo seppellito.
Immagini di fanciullo dure a cancellarsi. La storia è diversa, e bastò che
al Meeting di Rimini del 1990 il Messori ed il cardinal Palazzini
pesanti: “vili schiavi d‟idee forestiere e traditori della patria”. Le idee forestiere erano le
critiche dei “ragazzacci” ad una letteratura “suono di musica fuggitivo, che ti molce
l‟orecchio e trapassa”, invece che farne “una interprete eloquente degli affetti, delle idee, dei
bisogni, e del movimento sociale”, come si legge nell‟articolo di replica del Mazzini
sull‟Indicatore genovese. Nella replica il Botta arrivò a definire i Promessi sposi “un tessuto
di sciocchezze”. La lunga nota perché del Botta si occuperà anche il nostro Frassinetti nella
polemica con il Gioberti e con giudizio negativo, come già il Mazzini, anche se per motivi
diversi. Ne riparleremo a suo luogo. Qui basti notare come il Frassinetti fosse a conoscenza di
quanto si andava pubblicando.
541 1 Cor 9,26.
542 Lc 18,8.
543 CPP, vol. I, f.409rv. La Sanguineti è una teste oculare che dai tredici ai diciotto anni
aveva fatto parte delle associazioni che il Priore aveva stabilito in Santa Sabina.
270
tirassero fuori qualche falangetta di scheletro dagli armadi della storia
patria, perché tutte le prèfiche del Risorgimento insorgessero con alti
lai contro “un cardinale uscito di senno” e l‟ ignoranza dell‟altro544.
Dante, Garibaldi, Mazzini e Cavour, nell‟ordine, erano i santi laici di
mio padre. Erano l‟Italia. Ad ogni figlio maschio che gli nasceva, la
gioia d‟essergli nato un figlio maschio gli veniva rabbuiata dalla lotta
dovuta sostenere per riuscire a chiamarli con uno di quei santi nomi.
Gli andò bene solo per Dante. Per gli altri ci fu sollevazione e dovette
ripiegare su Giuseppe, Arturo e Mario. Io, ultimo degli undici che
venimmo ad allietargli la mensa, invece che Paolo, mi ritrovo Manfredo
Paolo. In casa dovevano averci preso gusto a contraddirlo. Le figlie non
crearono problema. Ognuna ebbe il suo bel nome.
Eppure, quei santi padri della patria, tolto Dante, erano stati
tutt‟altro che propizi alla sua famiglia. Il fratello della nonna paterna,
Pietro Troiano, farmacista nel paese vicino, fedele al suo re, il primo
d‟aprile 1861, forse non ancora a conoscenza della caduta di Civitella
del Tronto, l‟ultimo baluardo dei Borboni, aveva capeggiato la
sollevazione contro i rappresentanti del nuovo governo e i galantuomini
che s‟erano affrettati a salire sul carro degli invasori. Cruenta la
sollevazione, barbara la repressione. La casa data alle fiamme; due
figlie riuscirono a salvarsi fuggendo in un paese vicino; lui, tre figli – 27,
23 e 20 anni – ed altri diciannove insorti vennero passati per le armi
nella piana di San Rocco. Il secondo dei tre figli, giovane maresciallo
dell‟esercito sbandato, non era caduto. Fu ucciso a bruciapelo, fucile
alla tempia. Pochi minuti in piú di vita per esprimere l‟orrore dello
scempio che gli si parava avanti agli occhi: "Ohi, che barbarie!". Si
arrivò ad impedire ad un sacerdote di poterli avvicinare per confessarli.
Sessantaquattro i “tradotti nelle prigioni distrettuali” che saranno
condannati chi a morte545, chi a trenta e chi a venti anni di lavori
forzati. E furono solo i primi. Il maggiore della Guardia Nazionale,
Silvio Ciccarone, poteva telegrafare al Governatore della provincia:
“L‟ordine è ristabilito”. E dire che un fratello di don Pietro Troiano,
don Michelangelo, nel „48 era stato processato per discorsi pubblici
544 C‟era stata la presentazione del libro di VITTORIO MESSORI, Un italiano serio, il
beato Francesco Faà di Bruno, Cinisello Balsamo (MI) 1990, p. 213.
545 Pena poi commutata con quella dei lavori forzati.
271
tendenti a spargere il malcontento contro la Sacra persona del Re N. S.!
[Ferdinando di Borbone]546.
Era mio padre che mi raccontava questi fatti, ma non credo che
abbia mai posto un rapporto tra gli eroi del Risorgimento e quella
strage, ed io, come soffrivo per Mazzini ramingo braccato ed affamato,
soffrivo per quei miei prozii barbaramente trucidati. Nel cuore di mio
padre, e per riflesso nel mio, mito e realtà vivevano in pace uno accanto
all‟altro. Non doveva essere stato cosí per donna Anna Maria Troiano,
la mia bisnonna. Lei sapeva solo che gente piovuta dal Nord le aveva
distrutto la famiglia. Crescendo, mentre la scuola e le letture mi
ingigantivano il mito, il tempo ammorzava la realtà fatta di stragi fame
e migrazioni oltreoceano, fino a spegnerla. Poi venne la guerra, vennero
i bombardamenti, l‟Italia sconvolta a metro a metro, la mancanza di
tutto, odi e vendette, e la scoperta delle pagine della storia che grondano
lacrime e sangue, pagine ignorate da tutti i vincitori e dalla scuola, ma
le piú vere.
Il Risorgimento fu diverso da come lo studiammo sul Morgen, sul
Silva o il Rodolico, diverso da come si sognò leggendo Da Quarto al
Volturno dell‟Abba o Il tamburino sardo del De Amicis. Agli occhi del
Frassinetti, e di tanti suoi contemporanei, quei “patrioti” ebbero il volto
di quei tali che lo aggredirono per strada pretendendo che gridasse:
“Viva Gioberti!” e lo costrinsero a vivere nascosto lontano dalla
parrocchia per piú di un anno547. Squadristi, li diremmo oggi.
Ebbe il volto con cui dal 1850 veniva presentato di quindici giorni in
quindici giorni dalle cronache della Civiltà cattolica e con cui lo
ricordava la mia bisnonna: prepotenza, violenza, dissacrazione ed
emigrazione oltre oceano alla ricerca d‟un pane. Per comprendere i
tempi non si può ignorare la cronaca.
546 Nel libro parrocchiale dei defunti di Castiglione Messer Marino, Chieti, si legge:
“Dominus Petrus Troiano Pharmacopola, annorum octo et quinquaginta... ob delicta in prima
die Aprilis perpetrata, gladio iustitiæ perculsus die[m] obiit supremum in loco qui vulgo
dicitur planitiæ Sancti Rochi. Ob id nullum sacramentum recepit, eius cadaver fuit repositum
in eodem loco”. Formula ripetuta ventitré volte. Eodem loco, cioè in una fossa comune senza
bare nel luogo dove erano stati fucilati. La pietà dei paesani vi pianterà ventitré pioppi. Cfr.
D. LITTERIO, Padri – Castiglione Messer Marino e la sua gente, Vasto 1979, pp. 143-146.
547 Per la documentazione si rinvia alla seconda parte dove si tratterà della polemica
Frassinetti-Gioberti.
272
Torniamo nella Genova degli anni Venti del secolo scorso. Per la
quasi totalità i giovani che si radunavano intorno al Mazzini
appartenevano alla classe medio alta, benestante e ricca, sí da poter
vivere di rendita in patria e, se esuli, non male anche all‟estero, né privi,
come fu del Mazzini, di qualche anima gentile che li consolasse. Chi li
conobbe da vicino, non ravvisò sempre in loro gli eroi puri e
senz‟ombra di macchia. Per convincersene basta leggere qualche
stralcio di ciò che l‟uno di loro diceva e scriveva dell‟altro, e si sorriderà
dello scandalo suscitato dalle pagine del Messori e dall‟intervento del
cardinal Palazzini. Cito, per sgombrarmi il passo, un sol giudizio sul
Mazzini tratto da una lettera del Gioberti a Giuseppe Massari in data
metà ottobre 1833 da Brusselle, com‟egli italianizzava il nome della
città belga:
Noi almeno, se non abbiamo potuto fare alcun bene, non avremo alcun
rimorso per aver fatto il male, laddove la G. I. (= Giovine Italia) se avesse un
granello di sale in zucca non dovrebbe dormir tranquilla, perché ha piú fatto
del male sola alla comune patria di tutti i despoti che la travagliano. Finora io
fui disposto a perdonare molto alla sconsideratezza e alla fanciullaggine di
quei paladini, ma, poiché veggo che l‟insania dura, comincio a mutar parere;
e non esito a dirvi, dopo gli ultimi tentativi stupidissimi e scelleratissimi, il
Mazzini o è un matto disperato da rinchiudersi in un manicomio o pizzica del
ribaldo; che ribaldo è un uomo che, per ottenere uno scopo impossibile,
sacrifica, dopo tante esperienze atte a farlo ricredere, gli sconsigliati che
dànno retta alle sue parole, e fa indietreggiare di piú lustri la civiltà della
nazione548.
Gioberti non condanna d‟immoralità l‟azione del Mazzini, ma i modi
e i tempi che avevano causato il fallimento dell‟impresa, le numerose
condanne a morte, dodici delle quali eseguite, il suicidio di Jacopo
Ruffini ed il proprio recente esilio. Don Bosco prescinde dall‟esito
favorevole o disastroso di quelle congiure, anzi, piú che alle congiure,
pensa agli scritti: Giuseppe Mazzini, genovese... fece statuti veramente
diabolici alla Giovine Italia549.
548 V. GIOBERTI, Epistolario, Ediz. Naz. a cura di G. GENTILE e G. BALSAMO-CRIVELLI,
vol. IV, Vallecchi Firenze 1928, pp. 342s.
549 G. BOSCO, La storia d‟Italia, Torino 1887. ed. 18a, n. a p. 403. A pp. 422s. torna a
parlare di quest‟uomo singolare, divenuto nel 1849 triunviro della Repubblica Romana,
fermandosi sulle vessazioni, ruberie e violenze perpetrate dal suo governo: “Impose tributi,
273
Non meno raschiante la penna del Mazzini scrivendo del Gioberti:
No; Gioberti, il grande sacerdote della setta [dei moderati], non era
filosofo; e l‟essere egli stato generalmente riconosciuto siccome tale
dimostrerà a quali poveri termini fossero ridotti in Italia gli studi filosofici...
L‟uomo che esordí dalle dottrine di Giordano Bruno per sommergersi in un
concetto neo guelfo di primato per mezzo del papato – che salutò
d‟entusiasmo la formula Dio e Popolo [della Giovine Italia] per rinnegarla
poi a profitto d‟un cattolicesimo rintonacato – che dopo d‟avere fulminato
dall‟altezza d‟una coscienza filosofica gli artifici del gesuitismo, li adottò
cardine de‟ suoi disegni, appena entrato sull‟arena della politica pratica –…
che diceva a me nel 1847 in Parigi: Io so che differiamo in fatto di religione;
ma, Dio buono! il mio cattolicesismo è tanto elastico che potete inserirvi ciò
che volete – non fu né filosofo né credente. Ingegno facile, rapido,
trasmutabile, fornito d‟una erudizione copiosa ma di seconda mano... Gioberti
rivestí di sembianze filosofiche l‟immorale dottrina dell‟opportunità e
mascherò da idea l‟irriverenza alle idee. E fu il primo – biasimo assai piú
grave – che introducesse nel campo della libertà l‟arme atroce della calunnia
politica... I fatti del 1848 e del 1849 sono commento alle cose ch‟io
dico....550.
Un bell‟epitaffio per chi si ritenne filosofo e fu acclamato profeta
della nuova Italia. Ed è solo un piccolo saggio. Poco su aveva scritto, con
il pensiero al Gioberti, idolo dei moderati:
Una profonda immoralità è infatti radice a tutte le teoriche e al metodo dei
moderati. L‟eterno vero è da essi perennemente sagrificato alla misera realtà
d‟un breve periodo; l‟avvenire al presente; il culto dei principii all‟utile
presunto della giornata... Le forti credenze, i forti affetti, i forti sdegni non
allignano in quelle anime fiacche, arrendevoli, tentennanti fra Machiavelli e
Loiola, mute a ogni vasto concetto, vuote d‟ogni profonda dottrina, abborrenti
dalla vita dritta, impastate di ripieghi, di transazioni, di finzioni, d‟ipocrisia.
Noi li udimmo, i capi della fazione, a dirci... È necessità dei tempi, ma in
sostanza lavoriamo per voi. Li vedemmo... stringere or col popolo ora collo
poi ordinò un prestito forzato… Si appropriarono i beni della chiesa, gli oggetti d‟oro,
d‟argento… calici, pissidi, ostensori ed altri vasi sacri… Che orrore sarebbe mai il raccontarvi
le barbarie commesse in quel tempo! Monache e religiosi spogliati o cacciati dai loro chiostri;
preti e frati trucidati… parecchi de‟ migliori cittadini, non di altro colpevoli di non voler
essere ribelli, furono privati de‟ loro averi, imprigionati e sgozzati”, e rinvia a G. AUDISIO,
Orrori della repubblica Romana.
550 G. MAZZINI, Note autobiografiche, c. XIX, ediz. BUR, pp. 339s.
274
straniero, a propiziarsi l‟uno e l‟altro, patti che intendevano di non mantenere;
dichiararsi riverenti al papa pur cercando modo di scavargli la fossa....551.
Diciotto anni prima il Frassinetti aveva scritto:
[Gioberti] per fermo ha una carità verso Roma e la S. Sede che fa
trasecolare; ma peccato che non abbia insieme altrettanto di rispetto per lei!...
Che cosa è mai pel Gioberti questa S. Sede? La crede forse una scema
fanciulla cui vuole la carità si tolga anche a forza un‟arma di mano quando se
ne trastulla inesperta con gran suo pericolo?... Ma non sa l‟eruditissimo Abate
che la S. Sede è ben altra cosa?... Or via, Signor Gioberti, meno carità per la
S. Sede e un po‟ piú di rispetto552.
Era gente che si conosceva. Proviamo a conoscerli piú da vicino
anche noi per meglio comprendere i tempi del Frassinetti ed il valore
della sua scelta.
Negli anni Venti dell‟Ottocento Genova si aggirava sugli ottantamila
abitanti. Quasi tutti i ragazzi, dopo qualche anno di elementari, o erano
imbarcati come mozzi o posti a bottega ad imparare un‟arte.
Relativamente pochi, e da potersi contare, quelli che intraprendevano
gli studi umanistici per poi accedere all‟università. Chi non poteva
permettersi il lusso di precettori privati, per lo piú sacerdoti,
frequentava le scuole tenute da religiosi: gesuiti, somaschi e scolopi, o
quelle del seminario, anche se non aspirava al sacerdozio. Questi
giovani, ai quali non si può negare la presenza d‟una forte religiosità ed
un anelito di divino, pur germogliati in uno stesso campo, si riveleranno
col tempo parte grano buono e parte loglio553.
Ciò che faceva differenza non era la scuola o il metodo
d‟insegnamento, l‟uno non differendo gran che dall‟altro, ma la
famiglia e, forse ancor piú, il professore che era riuscito a guadagnarsi
la fiducia di questi giovani con il suo ascendente. Altra cosa pendere
dalla parola di un Gianelli, altra cosa dalla parola di un De Gregori,
prete giansenista e liberale; altra cosa un insegnamento che li apriva
alla vita rafforzandoli nella fede, altra cosa lasciare i banchi con
551 Ivi, pp. 338s.
552 [G. FRASSINETTI], Saggio intorno alla dialettica e alla religione di Vincenzo Gioberti,
Genova maggio 1846, pp. 70-73.
553 Mt 13,24-30.
275
l‟impressione che la religione dell‟infanzia era inconciliabile con la
religione della libertà e del progresso, e questa essere tale a cui s‟aveva
da sacrificare ogni altra cosa.
Per non pochi di quei giovani il primo incontro con Cristo s‟era
riassunto in minacce d‟inferno. Un Dio terribilmente giusto e rigido
esattore che non condona uno spicciolo, che non ammette nel suo regno
se non chi abbia gareggiato con gli angeli in purità di cuore, e, per un
privilegiato che si salva, mille i precipitati senza pietà nel fuoco eterno.
Si aggiungano le confessioni tortura, le assoluzioni negate, l‟eucaristia
rimorso d‟averla profanata ricevendola quelle rarissime volte non
abbastanza degnamente. In seminario era additato ad esempio di pietà
chi si comunicava nei dí di precetto! Una religione timore con poca o
nessuna speranza di salvezza.
Pochi di quei giovani erano irreligiosi per natura – scriverà uno di loro,
Federico Campanella –. L‟idea di Dio, il culto interno della divinità era
profondamente radicato negli animi loro e i piú d‟essi l‟han conservato e
conservano vivo tuttavia. Quanto alle forme non si discuteva in allora.
Digiuni e non vaghi di scienze teologiche avrebbero accettato qualunque
forma ed anche il cattolicismo, se il cattolicismo fosse paruto accettabile.
Anzi, colla scorta della Bibbia, il cui studio andava di pari passo con quello
di Dante, s‟ingegnavano di conciliare – ed alcuni scritti della “Giovine Italia”
(giornale) ne fan fede – due cose impossibili: cattolicismo e libertà554.
L‟avere imboccata l‟una o l‟altra strada dipese spesso da un nulla:
l‟ascendente di questo o quel professore, un libro, l‟incontro con questo o
quel compagno, il volto con cui la religione era stata loro presentata.
Antonietta Mazzini attribuiva la rovina del fratello Giuseppe alle letture
fatte durante una malattia che l‟incolse nell‟adolescenza.
A Genova, – racconta don Gaspare Olmi – ho conosciuto la sorella del
Mazzini, vedova del medico Massuccone (sic). Per degli anni la vedevo quasi
tutte le mattine, quando mi trovavo in città, alla Libreria Arcivescovile 555
ove veniva a prendere il Cittadino. Era una donna santa, che piangeva sempre
sopra il suo disgraziato fratello, per convertire il quale s‟era adoperata, ma
invano, col suo marito, che il Mazzini stimava tanto. Mi diceva questa donna,
554 F. CAMPANELLA, cit., in “Italia e Popolo” del 1855 e ricitato da A. CODIGNOLA, I
fratelli Ruffini, vol. I, p. L, nota 6.
555 Ne era direttore Pietro Olivari di cui parleremo trattando dei Figli di Maria.
276
che suo fratello cominciò a guastarsi in una malattia che ebbe, nel tempo della
quale fece delle letture, da cui attinse la quintessenza dello spirito
rivoluzionario....556.
Sui sei anni, si è detto, anche lui era avanzato in processione nel
santuario della “Madonnetta” tenendo in mano un cuoricino d‟argento ed
una candela per consacrarsi a Maria557. A parte le letture, di cui parla la
sorella, e egli stesso558, aveva avuto una madre di pietà giansenista che gli
aveva scelto per maestri i sacerdoti Luca Agostino De Scalzi e Giacomo De
Gregori, anch‟essi giansenisti e liberali.
In nome d‟una religione piú pura, il giansenismo alienava gli animi da
Dio e per tanti divenne anticamera d‟una miscredenza congiunta
immancabilmente a rabbioso anticlericalismo. Nella traccia d‟un poemetto
vagheggiato da studente, Mazzini ci rivela come fin da allora la sua crisi
religiosa d‟adolescente si fosse risolta in miscredenza. In quella traccia
descrive un naufragio a cui una donna assiste da terra:
Un grido si innalza dalle onde... un grido di rivolta dell‟uomo disperato
contro Iddio. A questo grido succede un tremendo silenzio... mattino sereno,
limpidissimo... come se Iddio avesse imposto alla natura di rallegrarsi, per
556 Stando all‟Olmi, – valga la notizia quel che valga, anche se la cosa era tutt‟altro che
rara – al Mazzini sul letto di morte si sarebbe fatto prepotente il desiderio di chiudere la vita
nella religione della sua infanzia: “Mazzini morí a Pisa. Davanti alla morte si spaventò e
chiese il prete. I massoni che lo assistevano,... lo lusingarono, dicendogli che lo avrebbero
chiamato, ma non ne fecero nulla. Uno di questi massoni, conosceva la sorella inferma d‟un
avvocato, che vive ancora qui in Genova. Io qualche volta la visitavo, e da lei seppi che il
massone le raccontò, che Mazzini non solo chiese il prete, ma piangeva, perché vedevasi
tradito dai suoi”. G. OLMI, Autobiografia, Genova, 1907, pp. 73s. Cfr. pure D. MACK SMITH,
Mazzini, Milano 1993, p. 315 con rinvio all‟Edizione Nazionale delle opere, vol. 91, pp.
324s: “Mazzini tornò a vivere dai Nathan, a Lugano, dal settembre di quell‟anno [1871] al
febbraio del 1872. Si offrí di andare a Genova a confortare Antonietta, la sua pia sorella
cattolica, che aveva perso il marito, e rimase sconvolto quando lei lo pregò di non venire, “a
causa dei suoi princípi e per riguardo alla memoria e al presunto desiderio del defunto
marito”. Cfr. pure: A. COLETTI, Giuseppe Mazzini – l‟uomo – L‟opera, Genova 1905. In una
nota a p. 5 afferma di sapere positivamente che alla morte di Antonietta fu fatto scomparire un
grosso fascio di lettere del Mazzini alla sorella.
557 A. BRESCIANI, L‟Ebreo di Verona in Civiltà catt. II, IV, pp. 266-268.
558 G. MAZZINI, Op. cit., c. I, p. 52.
277
insultare l‟uomo. Descrivere i rottami della nave, gli avanzi, i corpi morti. Il
mare muto, il lido muto... Si può nella descrizione della tempesta dire che si
ode portata dal vento una preghiera dei naviganti e torne occasione per
parlare di Dio: invano pregate: il cielo è di bronzo al compianto degli infelici:
Iddio guarda dall‟alto sulle angoscie de‟ mortali e sorride...559.
Lasciamo stare l‟arte, inesistente. Il tema dell‟indifferenza della natura per le
sciagure umane era già presente nel poema Temora attribuito all‟Ossian, già tradotto
da un mezzo secolo da Melchiorre Cesarotti, come in questa scena dove il guerriero
Càrilo, ascoltato e non visto da Ossian, si rivolge al Sole:
– Ma dimmi, o Sole, sino a quando ancora
Vorrai tu rischiarar battaglie e stragi
Con la tua luce?....
– Càrilo, a che vaneggi? al Sole aggiunge
Forse tristezza? Inviolato e puro
Sempre è il suo corso...560.
Lo stesso tema lo rincontreremo nei canti piú disperati del Leopardi. Il
Mazzini qui non nega Dio, lo fa cattivo, lo demonizza, uno che gode delle
nostre sciagure. Torniamo allo Zibaldone:
Chi facesse un componimento materialista sui sepolcri... bisognerebbe
sostituire all‟idea dell‟immortalità qualche altra cosa... per es. l‟idea di uno
che vede spuntare sulla tomba della sua donna una rosa e la coltiva
amorosamente561.
Non piú l‟immortalità legata alla risurrezione di Cristo, bensí ristretta al
ricordo di chi sopravvive, come nei Sepolcri del Foscolo, e, prima ancora
che nel Foscolo, già nel Sallustio: “Giacché la vita è di breve durata, mi
sembra saggio prolungarne il ricordo piú che possiamo”562. Un raggio di
luce che continua ancora un poco a colpire le cose a stella ormai spenta, non
certo oltre l‟esistere delle cose. Un sopravvivere non noi, ma la memoria di
noi in un non-noi. Un tornare a monte di Cristo. Sono qui evidenti gli effetti
559 ID., Zibaldone, n. 3267, Museo Risorgimentale di Genova, pp. 382 e 373.
560 JAMES MACPHERSON, Temora, canto II, vv. 519-521.525-528.
561 G. MAZZINI,.Zibaldone, p. 365.
562 SALLUSTIO, De coniuratione Catilinæ, I.
278
delle letture degli enciclopedisti e dei filosofi del secolo precedente,
testimoniate negli appunti dei suoi zibaldoni.
Nel materialismo democratico del Rousseau e nell‟ateismo volteriano, il
giovinetto trovava una conferma a tutta l‟ideologia democratica e giansenista
a cui s‟era ispirata l‟educazione materna; ma esse gli apparivano illuminate da
uno splendore di modernità ben altrimenti affascinante e ben piú rispondente
alle sue intime esigenze di quello che non fossero i dogmi del cattolicismo
tradizionale563.
Superato il materialismo, una “credenza fredda, scoraggiante ed
individuale” che “inaridisce il fiore dell‟amore”564, nel Mazzini ci fu un
ritorno prepotente di religiosità intrisa di rigore giansenistico, non però a
favore del cattolicesimo che, secondo lui, aveva esaurita la sua missione. Si
illuse di colmarne il vuoto con l‟idea di un Dio umanitario postulato dalla
vita concepita come somma di doveri da compiere:
Ricordo che allora, nel primo bollore del suo pensiero critico e inconscio,
negava Dio: ma non finí quella nostra corrispondenza ch‟egli consentí meco e
mi ringraziò – scriverà l‟amico di gioventú Giuseppe Benza attribuendo a sé
il ritorno alla fede del Mazzini – L‟indole del suo ingegno artistico lo
spingeva a cercare l‟ideale, anche nella politica, ed il lungo studio e il forte
amore d‟Italia e di Libertà a cercarne il compimento in un predestinato
progresso indefinito: quindi l‟idea di un Dio umanitario, astraendo quasi del
resto dall‟universo e dalla natura565.
Anche per il Benza, un altro del gruppo, che sarà poi rimproverato dal
Mazzini d‟essersi col tempo isterilito negli agi della vita domestica, il Dio
dei teologi è da sostituire con qualcosa di diverso. Vecchio confesserà:
Io non so di Dio che egli sia; so ciò che egli non è. So che non è, né
irascibile, né vendicativo, né superbo, né vanaglorioso, né ingiusto, né
imbecille come le religioni lo hanno fatto a similitudine dell‟uomo... Io non
posso amare, e perciò non posso credere a un Dio che ha creato l‟uomo, pur
563 A. CODIGNOLA, Op. cit.., pp. XIs.
564 F. SCIACCA, Il pensiero italiano nell‟età del Risorgimento, Milano 19632, pp. 252s.
565 A. CODIGNOLA, Op. cit., p. XXVIII, nota 56, con rinvio a Note autobiografiche in
Carte Benza, Museo Risorg. di Genova, n. 179.
279
sapendo che di mille si salverebbe uno e mezzo e novecento novantanove e
piú sarebbero dannati eternamente...566.
Il Benza era stato in collegio dagli scolopi a Carcare per sei anni, 18171823, alunno del padre Buccelli, tornato ad occupare la cattedra in cui era
stato sostituito per un anno dal Gianelli567. Negli attestati scolastici lo
troviamo dichiarato modello di religiosità568.
Erano giovani che si conoscevano un po‟ tutti, o perché compagni di
scuola, o perché si erano ritrovati insieme in biblioteca e nelle librerie, o a
prendere fresco all‟Acquasola, o a far coda per farsi firmare l‟attestato di
essersi confessati ed aver assolto i loro doveri religiosi, come richiedevano
tutte le scuole, anche se per lo piú si trattava d‟una pura formalità. Il parroco
di S. Agnese, Stefano Bottaro569, amico di casa Mazzini, era generoso
firmaiolo d‟attestati, si fossero non si fossero confessati.
566 Ivi., pp. XXXs., nota 61, con rinvio a Carte Benza da lui conservate.
567 S. GAROFALO, Sant‟Antonio Maria Gianelli, Roma 1989, pp. 45-48
568 Il Benza conservò buona memoria del Buccelli con cui si mantenne in corrispondenza
e ne fece un alto elogio nell‟anniversario della morte. Il Buccelli era stato alunno
dell‟Assarotti. Godette ottima fama d‟educatore. A. CODIGNOLA, Op. e luogo cit.
569 A. CODIGNOLA, I Fratelli Ruffini, vol I, Genova 1925, p. XXVIII, nota 55. Non si
confonda Stefano Bottaro con prete [Bartolomeo] Bottaro “il salmista che non può per
interdetto celebrare” a cui Maria Mazzini morendo lasciò una modesta somma nel suo
testamento (ivi). Nel 1849 aveva pubblicato Raccolta di salmi popolari, ch‟ebbe una seconda
edizione nel 1851, entrambe da Dagnino, Genova, in cui si esaltava la rivoluzione, Pio IX e
Gioberti, salmi colmi d‟amor patrio, di aspirazioni religiose e di odio a gesuiti e tedeschi.
Gioberti li ritenne pieni di sensi nobili e italiani. Roma li pose all‟Indice. Non essendosi
sottomesso, venne sospeso a divinis. Dimorò per alcuni anni presso il Santuario di N. S. della
Vittoria. Il 23 agosto 1853, dopo aver ingoiato del veleno – cosí si credette –, si trascinò in
chiesa per un ultimo saluto alla Madonna. Tornato a casa, si chiuse in camera. Il giorno dopo
lo trovarono morto. Cfr. A. COLLETTI, Ausonio Franchi..., pp. 68s. Il 26 settembre successivo
la Civiltà cattolica ne dava cosí la notizia: “Il Bottaro fu un povero prete di testa assai calda...
che la diè giú a capo chino nel turbine della rivoluzione e scrisse salmi da furibondo, e si
trasse addosso le censure ecclesiastiche... Morí di repente avvelenato... Fu seppellito con
onori poco inferiori ai renduti alla madre del Mazzini, e le società operaie di Genova ne
vogliono eternare la memoria con un monumento”, p. 110. Tutt‟altra cosa prete LUIGI
BOTTARO che nel 1857 curò la pubblicazione del manoscritto di G. FRASSINETTI, Memorie
intorno alla Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio. Erano i tre d‟una stessa
280
I giovani studenti avevano cominciato a ravvisare nel Mazzini il duce
della scolaresca fin dal giorno della festa di san Luigi del 1820. Quel giorno
c‟era stato uno scontro nella chiesa dell‟università tra gli studenti delle varie
scuole circa i posti da occupare. Per quella chiassata il Mazzini, insieme al
Gastaldi, fu arrestato per qualche giorno. Quando
le porte del carcere s‟apersero, i due prigionieri furono trionfalmente
scortati alle loro case. Da quell‟istante la scolaresca ebbe Mazzini a suo duce;
ed ei, raggruppati a sé intorno i giovani piú spericolati, audaci e magnanimi,
cominciò quell‟apostolato di libertà a cui non venne meno giammai570.
Altri giovani si aggiunsero in seguito: – un piccolo gruppo di scelti
giovani, d‟intelletto indipendente, si raggruppava intorno a me –571 tutti
educati, come lo stesso Mazzini, da precettori ecclesiastici o in istituti
religiosi.
Se l‟amicizia col Benza, che li avrebbe fatti compagni di congiure,
nacque in una di quelle attese per procurarsi l‟attestato di confessione,
quella con i Ruffini è riallacciata da Giovanni nel Lorenzo Benoni ad un
episodio occorso ad una dozzina di studenti con un gendarme mentre una
calda sera d‟estate si godevano il fresco all‟Acquasola. Nessuno meglio del
Mazzini per andare a fare le rimostranze al comando. Anche a distanza
d‟anni dalla rottura tra i due, si sente ancora il fascino che quel giovane
esercitava sui suoi coetanei:
[Si] creò fra me e Fantasio – il nome dato al Mazzini nel romanzo –
un‟unità di sentimenti che contribuí al rapido sviluppo della nostra amicizia...
Fantasio ed io ci eravamo giurati amicizia per la vita e per la morte... Ogni
mattina senza fallo andavo a casa di Fantasio, e ogni sera Fantasio veniva da
noi. Mia madre e i miei fratelli, specialmente Cesare [= Jacopo] ne erano
affascinati. E, in verità, mai ho conosciuto giovane piú affascinante... Parlava
bene e fluido; e quando si animava, c‟era qualcosa di affascinante nei suoi
occhi, nei gesti, nella voce, in tutto il suo contegno, al quale era difficile
resistere. Conduceva una vita di solitudine e di studio; gli svaghi dei giovani
parentela? La lunga nota per dare un‟idea di come nella Genova del Frassinetti anche dal
clero si potesse camminare per vie cosí diverse.
570 E. CELESIA, Storia dell‟Università di Genova, in continuazione di quella dell‟Isnardi,
Genova 1881, citato da A. CODIGNOLA, Op. cit., p. XXII.
571 G. MAZZINI, Op. cit., c. I, p. 54.
281
della sua età non avevano per lui nessuna attrattiva... qualche passeggiata
ogni tanto, raramente di giorno e sempre in luoghi deserti... nel suo orrore per
i colletti vistosi [forse c‟era] un che di esagerato...
A lui devo se ho letto e gustato Dante... Fantasio mi insegnò a cercarvi la
cultura e l‟affinamento delle mie facoltà. Da allora, mi abbeverai a questa
sorgente di pensieri profondi e di emozioni generose... Il commento di
Fantasio era piú brillante che profondo, ma io ero in un‟età nella quale tutto
ciò che è brillante ha un fascino irresistibile, e colma ogni altra lacuna...572.
Non saranno sfuggiti al Lettore i tratti comuni al Mazzini e al Frassinetti.
Abbiamo visto nei ricordi della sorella il suo amore per la vita ritirata, la
scelta delle strade meno frequentate, la passione per lo studio che lo teneva
inchiodato in camera sui libri incurante del freddo e dei geloni, il rifiuto
ostinato di vestire alla moda e di indossare camicie inamidate e ben stirate.
Filippo Poggi, suo compagno di classe, ricordava nell‟elogio funebre il loro
passeggiare
leggendo per diletto i dolci versi del Lirico che dopo i giorni perduti e le
notti spese vaneggiando, volse al Padre del ciel le dolenti rime”, come gli
paresse ancora di udirlo e vederlo mentre argomentava con dialettica
stringente: “meditato o improvvisato, non abbandona l‟arena se non
vincitore”573.
Il Luxardo conferma questo suo ascendente sui compagni che “parlarono
[di lui] in ogni tempo con amore e venerazione”574.
Di Jacopo Ruffini, per l‟anno di filosofia frequentato nel seminario di
Genova insieme con il Frassinetti, si legge un giudizio lusinghiero: optimis
moribus non dubia præbuit studiique specimina. Di Federico Campanella,
anche lui alunno di filosofia in seminario, membro col Frassinetti
dell‟Arcadia degli Ingenui e con lo stesso uno dei partecipanti
all‟Accademia Le Lettere e la Religione, s‟è già detto. Il provvedimento
disciplinare dell‟università perché s‟era permesso di avanzare delle
massime contrarie alla Religione ed all‟autenticità dei libri santi575,
essendo poco credibile aver potuto fare tali affermazioni per studi personali,
572 G. RUFFINI, Op. cit., pp. 141-143.
573 F. POGGI, Della vita e degli scritti di Giuseppe Frassinetti..., Genova 1868, pp. 7s.
574 F. LUXARDO, Giuseppe Frassinetti, Genova 1884, cap. I.
575 Registro delle deliberazioni dell‟Università di Genova, n. 5, 11-1824.
282
– nel passo su citato dice: digiuni e non vaghi di scienze teologiche – ci fa
pensare che si stesse già nutrendo alla mensa di Voltaire e degli
enciclopedisti. La stessa a cui si era nutrito il Mazzini fin dalla prima
adolescenza.
Avanti all‟adolescente Giuseppe Frassinetti e ai suoi compagni erano
dunque aperte le due strade, quella della religione e quella della irreligione,
quella del bene e quella del male con le loro varianti atte a soddisfare sia la
turma profana, sia chi si sentisse alma grande impaziente di salire animosa
come onor la sprona.
Uno della turma profana non aveva da fare proprio nulla, bastando
prendere la vita come veniva. Fu la scelta di tanti suoi compagni di
seminario. In quegli anni – si è visto nel capitolo precedente – si esigeva
cosí poco per accedere agli ordini: bastava partecipare, se seminaristi
esterni, ad alcune conferenze, esibire attestati del parroco raramente negati,
fare qualche giorno di esercizi alla vigilia di riceverli 576,
Se poi uno si fosse sentito alma grande... che sale animosa come onor la
sprona / fuor della vil turma profana e ria, per dirla con due dei versi del
nostro Servo di Dio, e avesse concepito la vita come missione, aveva avanti
a sé il sacerdozio santamente vissuto, ma anche l‟occasione d‟incontrarsi
con un Mazzini, o altri, che se lo accattivasse con il prestito di libri
introvabili nelle librerie e lo affascinasse con l‟esca della cultura
infiammandolo per altri ideali. È cosí facile a quell‟età passare dall‟uno
all‟altro ideale, dall‟uno all‟altro sogno, o illudersi di poterli assommare e
conciliare.
Uno di questi fu appunto Giovanni Ruffini. Prima di restare ammaliato
dal Mazzini, lo era stato dalla lettura della Vita del beato fra Martino di
Lisbona577. Vi aveva riscontrato tanti casi simili alla sua e provò a
comportarsi com‟egli si era comportato, specie con un compagno che lo
angariava. “Diventare io stesso un santo, andare in Cina e affrontare il
martirio come il santo frate!”. Una sera, all‟Ave Maria, entrò nella chiesa di
San Barnaba:
576 G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. 5, Memorie della Congregazione del B. Leonardo,
p. 420.
577 Di questo beato non sono riuscito a trovare nulla. Che sia invenzione del Ruffini?
283
Una mezza dozzina di novizi erano inginocchiati sul pavimento di pietra,
cantando salmi... Una voce interna sembrava dirmi: “Ecco quel che cerchi!”.
Pregai a lungo con fervore...
Ci fu un periodo di preghiere, mortificazioni, penitenze... Non ne fu
nulla, ma quante vocazioni sono iniziate cosí e come vicini l‟uno all‟altro
l‟imbocco delle due strade!578.
Questi giovani trovarono nel Mazzini un linguaggio di fede. Anch‟essi
parlano un linguaggio di fede e vivono votati ad una causa. Nei loro scritti
non si contano espressioni e brani su Dio e la religione da raccogliere in
antologia. Dicono sí Dio, ma intendono ora la Patria, ora il Progresso, ora
l‟Umanità, ora la Ragione, ora la Filosofia, ora la Scienza, ora la Libertà, ora
altro, a volte una mescolanza di tutto, mai il vero Dio, e meno che meno il
Dio annunciato dai sacerdoti cattolici nelle loro chiese, anzi, di questo Dio
ne andava cancellata la memoria, se si voleva che la nuova religione si
affermasse.
Si trattò solo d‟una delle infinite varianti di quel processo di sostituzione
di contenuti suggerito a Cristo da Satana nel deserto: sostituire la missione
avuta dal Padre con qualunque altra cosa, facendosi, perché no?, anche
mago e giocoliere sbalorditore di folle579. Ma Cristo era venuto a salvare il
mondo, non a stupirlo ubriacandolo di nulla. Satana ci avrebbe riprovato
ancora, mutando la tentazione da grossolana in sottile, servendosi d‟una
persona insospettabile, di Pietro, a qualche minuto da quando era stato
dichiarato la roccia su cui sarebbe stata fondatala Chiesa 580. Ci riprovò il
giorno dell‟ingresso trionfale in Gerusalemme nella speranza di riuscire a
declassarlo da salvatore del mondo in re d‟Israele581. Il demonio ha sempre
una via piú saggia da suggerire, piú ragionevole, anche a Cristo: mettesse il
religioso a servizio del politico in vista di una corona582. A questi giovani
insinua di aggiornare la religione di Cristo all‟era dei lumi svuotandola di
ciò che eccede la ragione e le facoltà dell‟uomo. Sí ad una vaga religiosità,
no al soprannatura. Una variante di tale tentazione possiamo chiamarla
578 G. RUFFINI, Lorenzo Benoni, Op. cit., pp. 109-118.
579 Mt 4,1-11; Lc 4,1-13.
580 Mt 16,22s.
581 Mc 11,9; Lc 19,38; Gv 12,13.
582 Gv 6,15.
284
“tentazione Mazzini” ed in essa caddero non pochi giovani generosi 583. Per
quei che erano trattenuti da questa scelta radicale, verrà Félicité de
Lamennais ad illuderli con il suo vago cattolicesimo ordinato ad altrettante
vaghe aspirazioni sociali:
Giovane soldato, dove vai?
Vado a combattere in nome di Dio e degli altari della patria.
Giovane soldato, dove vai?
Vado a combattere per la giustizia, per la santa causa dei popoli, per i diritti
sacri del genere umano.
Che le tue armi siano benedette. Giovane soldato!
Giovane soldato, dove vai?
Vado a combattere per liberare i miei fratelli dall‟oppressione, per spezzare le
loro catene e le catene del mondo.
Che le tue armi siano benedette. Giovane soldato!
Giovane soldato, dove vai?
Vado a combattere gli uomini iniqui in nome di coloro che essi calpestano,
contro i padroni in nome degli schiavi, contro i tiranni in nome della libertà.
Che le tue armi siano benedette. Giovane soldato!...
Diffidate degli uomini che si mettono fra Dio e voi perché la loro ombra
ve lo nasconde: sono uomini che tramano cattivi progetti.
Perché è da Dio che proviene la forza che libera, perché è da Dio che
proviene l‟amore che unisce...
La legge di giustizia insegna che tutti sono eguali davanti al padre loro
che è Dio e davanti al loro signore che è Cristo... 584 .
“Un autentico pamphlet politico in forma mistica”, definí queste Parole
d‟un credente l‟abate Luigi Bautain, dove
la politica diventa la misura di tutte le cose e bisogna che tutto vi si
adegui; letteratura, arti, scienze, morale, filosofia e persino la parola sacra,
583 Una storia che si sta ripetendo ai nostri giorni: la Chiesa, se vuol essere credibile,
deve rinnovare il suo contenuto, ponendo il sociale in luogo del soprannatura. Una delle tante
varianti, ma ogni altra andrebbe ugualmente bene, purché elimini il piano salvifico di Dio, la
divinità di Cristo e il soprannatura. A Satana non è mai mancato un qualcosa di meglio, di piú
razionale e adeguato ai tempi da suggerire in cambio.
584 FÉLICITÉ ROBERT DE LAMENNAIS, Parole d‟un credente, trad. di M. G. MERIGGI,
MILANO, 1991, pp. 143.147s.
285
persino la religione di Gesú Cristo che fra le sue mani diventa uno strumento
a questo fine585.
Furono tanti a non percepire l‟insidia di questa politica fatta religione, e
religione di transizione alla non-religione. Non cosí il Frassinetti che la
individuò chiaramente nella sua prima opera data alle stampe, Riflessioni
agli ecclesiastici, uscita in prima edizione nel 1837:
È necessario a tutti, ma piú specialmente al Clero, il por mente ai nuovi
mezzi d‟attacco, che adopera a‟ dí nostri la sedicente filosofia contro la
Chiesa. Conosciuti per esperienza i pericoli, e la poca probabilità di successo
di una guerra dichiarata ed aperta, si è indotta a cangiar metodo, e dare una
nuova forma e direzione ai suoi colpi. – Se l‟ateismo, cosí leggeasi non ha
molto nella Revue des Deux Mondes Tom. prem. deux. ser. 107, se l‟ateismo
è il risultato dei lumi, andiamo pure ad esso, ma passiamo per la religione,
poiché questa ci è necessaria per giungere all‟ateismo. Ecco perché quasi ad
ogni pagina delle moderne produzioni avvien di leggere qualche violenta
scritta contro la filosofia materialista ed incredula di Voltaire e di Helvetius ...
Scorrete però per poco quei libri, e troverete, che tutta la religione poi
finalmente riducesi a un sentimento vago, indeterminato, indefinibile, che non
raffrena gli intelletti, che non muove le coscienze, che non imbriglia le
passioni. Una religione senza pratiche di culto, una fede senza misteri, una
morale senza precetti, ecco tutto: i rigori poi di penitenza cristiana, autorità di
leggi ecclesiastiche, severità di divini giudizi, eternità delle pene dell‟inferno,
sono vecchie e rancide fole, pregiudizi di stupide donnicciuole e di fanciulli
inesperti, invenzioni adattate ai secoli d‟ignoranza e barbarie, e non ad una
religione di progresso, che solo parla il linguaggio di beneficenza e di amore,
qual si conviene ad un‟epoca di perfezionamento, di civilizzazione e di lumi,
come la nostra...
Spogliate quei pomposi elogi sí a larga mano prodigati talvolta al
cattolicesimo di tutto il loro misterioso involucro di parole e di frasi, e
scorgerete senz‟altro che tutti gli encomi o son volti a celebrare i suoi
materiali vantaggi [apportati dal cattolicesimo alla società], o, quel che è
peggio, a dichiararlo con isfacciata menzogna solidario e fautore dei deliri e
delle passioni del tempo. Cosí con sottile artifizio e malignità senza pari si
mesce all‟antidoto il rio veleno, la verità si confonde insieme coll‟errore, e a
585 Nella Risposta di un Cristiano alle Parole di un credente, Derivaux 1834, Ivi, pp.
173.172.
286
furia di millantar religione, si propaga piú sempre e si stabilisce il regno
dell‟empietà586.
Torniamo ancora a quei giovani che meritar diadema per essersi votati
ad una causa. Troviamo in essi caratteristiche comuni. Una la creta dei vasi.
A differenziarli è la destinazione, se è lecito appropriarsi d‟un paragone
biblico587. Tutti hanno la stessa formazione base, sono tutti presi da un
forte ideale, tutti sono portati a far proseliti e a formare gruppo. Parte li
vediamo riuniti intorno al Mazzini, con alle spalle due donne: Maria
Mazzini Drago, madre del Mazzini, ed Eleonora Ruffini Curlo, madre dei
fratelli Ruffini, “le sante madri”, mentre i loro mariti, giacobini da giovani,
s‟erano con gli anni calmati, paghi di pascere i figli coi loro gloriosi ricordi;
parte li vediamo conquistati dal fascino d‟un giovane professore, il Gianelli.
Rivedremo questi studenti negli anni Trenta, chi sacerdote chi
professionista, formare ancora gruppo: il gruppo Mazzini nella Giovine
Italia, di cui era fondatore ed anima lo stesso Mazzini, luglio 1831; “I
Ragazzi del Gianelli” nella Congregazione del Beato Leonardo da Porto
Maurizio, di cui era fondatore – confondatore, stando alla sua relazione in
cui pone se stesso in ombra per far rifulgere l‟operato dell‟amico Sturla – ed
anima il Frassinetti, febbraio 1831. Si notino le date: il Frassinetti un
mezz‟anno prima del Mazzini, ma l‟approvazione della Curia genovese è
dello stesso mese, 2 luglio 1831.
586 G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici, Genova 18373, pp. 7s. Il passo
è dato come Nota dell‟editore. Di questa pubblicazione si tratterà a lungo nella seconda parte.
Ad un secolo di distanza, nei commenti ai vangeli festivi su L‟Osservatore Romano, raccolti
poi in volume, don Giuseppe De Luca scriverà: “[Il] sottilissimo e cauto Renan fu maestro a
tutta una generazione, non tanto delle materie che insegnò e di cui scrisse, quanto d‟una
gentilissima cautela di espressioni accoppiata con una intransigenza feroce di negazioni”, ed
ancora: “Del brano evangelico odierno [XIV Domenica dopo Pentecoste, Mt 6.24-33] molto
spesso ci soffermiamo ad ammirare la bellezza lirica e il sentimento. Ora, non che codeste
ammirazioni siano cattive, ma insomma sono un po‟ insipide, quando non sono perfide.
Nessuna storia di Gesú ne è tanto piena, come la vita che di Gesú scrisse Renan; e come quel
genere letterario apparve già allora, agli uomini di gusto solido, equivoco, anzi fradicio, cosí
troppe volte codeste ammirazioni non sono altro che il fumo di chi ha tutto bruciato o tutto
vuol bruciare”. G. DE LUCA, Commento al Vangelo festivo, Roma 1968, vol I, p. 161; vol. II
pp. 425s.
587 Sap 15,7
287
Gli uni e gli altri sono in atteggiamento critico rispetto a quel che s‟era
fatto fino ad allora o non fatto. Occorreva quindi fare, azione, con modi
nuovi e programma nuovo, pensiero. Il Mazzini si contrappone alla
carboneria, alle pastoie dei suoi misteri ed al suo non sapere cosa veramente
volesse, predicando dai tetti il programma della Giovine Italia, un
programma in chiaro.
Non meno privo di misteri è il programma della “Beato Leonardo”:
conoscere Dio per vivere ed insegnare a vivere secondo Dio. Anche qui, in
fondo, troviamo pensiero e azione: una conoscenza ordinata alla vita
cristianamente vissuta. Non solo il programma era chiaro: ma, a differenza
della Giovine Italia, anche l‟organizzazione ed i quadri sono sotto la luce
del sole. Tra loro nessun bisogno di pseudonimi, dimenticati con tutte le
pastorellerie nell‟Arcadia degli Ingenui.
Programmi antitetici, ma uguale la persuasione: bisognava fare tentando
vie nuove per riuscire dove altri avevano fallito o per neghittosità o per
dispersione di energie o per assenza d‟un chiaro programma e d‟inventiva.
L‟uno e l‟altro puntano sui giovani. Studenti e professionisti il Mazzini;
teologi e giovani sacerdoti il Frassinetti. Uguale il destinatario ultimo, il
popolo, ma, mentre per il Mazzini, prigioniero del suo ceto borghese e
vissuto sempre all‟estero, popolo è parola vuota, per il Frassinetti, figlio del
popolo, sono la gente umile del suo stesso ceto con cui ogni giorno si
rimescola in chiesa e fuori. L‟uno e l‟altro faranno della penna e della
stampa le loro armi, antecedendo in questo il Mazzini al Frassinetti. Uguale
la parola d‟ordine: l‟unione fa la forza, convincimento che resterà
consacrato nel nostro inno nazionale588.
Alle spalle dei primi ancora le due “sante madri” e le loro borse. La
Mazzini, che scrivendo al figlio sputerà sprezzo contro il Frassinetti, e la
Ruffini. Alle spalle dei secondi ancora il Gianelli, o, meglio, la sua ombra,
perché non piú a Genova. Del Mazzini si afferma che alla fine della vita
nulla aveva cambiato del programma degli anni Trenta; del Frassinetti si può
affermare la stessa cosa. Scelta la loro via, l‟uno e l‟altro, uomini d‟un sol
libro, la percossero in opposte direzioni fino in fondo con dedizione totale,
588 G. MAMELI: Fratelli d‟Italia (Noi siamo da secoli / calpesti e divisi / perché non siam
popolo / perché siam divisi/... Uniamoci, uniamoci / l‟unione e l‟amore / rivelano ai popoli /
le vie del Signore /... nei ritornelli troviamo martellato : Stringiamoci a coorte).
288
senza mai un ripensamento, salvo agli inizi la tempesta del dubbio nel
Mazzini, e, nel Frassinetti, se convenisse a lui giovane parroco di ventotto
anni prendersi cura delle ragazze associandosele al ministero e se non fosse
stato piú proficuo unirsi in congregazione religiosa con statuto approvato
dalla Chiesa, ma, mentre al Frassinetti gli antichi compagni rimasero uniti
quanta fu lunga la loro vita, ed oltre la vita, il Mazzini dovrà confessare:
Di quel nucleo, la cui memoria dura tuttavia nel mio core come ricordo
d‟una promessa inandempita nessuno è rimasto a combattere per l‟antico
programma, da Federico Campanella in fuori... morti gli uni, disertori gli
altri589.
Implicitamente il Frassinetti ammette l‟influsso che ebbe dal Mazzini,
perché, se in positivo sua regola e punto di riferimento fu Gesú Cristo 590, in
negativo si dette per regola di fare il contrario dei nemici della religione:
Il modo piú conveniente e opportuno [di comportarsi] io credo che debba
impararsi da‟ nostri nemici, fissandoci per regola di fare il contrario di ciò
che essi fanno591.
Nella sua concretezza tutta genovese questi nemici non potevano non
avere un volto conosciuto e un nome: Giuseppe Mazzini, i fratelli Ruffini,
Federico Campanella... Il Frassinetti non fu di loro, ma visse accanto a loro,
in quello stesso mondo che ci è descritto da Giovanni Ruffini nel romanzo
Lorenzo Benoni592.
589 G. MAZZINI, Scritti, S. E. I., I,16.
590 Titolo di un suo libro, Gesú Cristo regola del sacerdote, piú volte menzionato,
tradotto persino in armeno, spagnolo, francese, inglese e tedesco e, forse, in rumeno.
591 G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici, Genova 18383, p. 11
592 Un romanzo che, ben setacciato, s‟è visto, ci dà un‟idea dell‟ambiente studentesco
della Genova degli anni Venti. A parte l‟assommare nella propria persona fatti che in realtà
ebbero per protagonisti anche i suoi fratelli Jacopo ed Agostino ed altri compagni, e colorirli
mutando dei topini in elefanti, il Ruffini aveva da dimostrare una tesi che sapeva sarebbe stata
musica agli orecchi del pubblico inglese per cui scriveva nella loro lingua: la colpa dei mali
d‟Italia è la Chiesa cattolica che ha diseducato il popolo. Basti, come esempio, la fantasiosa
descrizione di una borsa delle messe da celebrare situata in Genova accanto alla borsa delle
valute, dove una folla di ecclesiastici quotano contrattano comprano e vendono intenzioni di
messe. Il romanzo fu pubblicato nel 1853, quando era ancora viva l‟impressione delle famose
289
Se si è indugiato nella descrizione di quel mondo è stato per mettere in
risalto il merito del Frassinetti e dei suoi compagni nell‟aver dato ascolto ad
una voce invece che ad un‟altra, né questo merito per il Frassinetti è
diminuito dall‟avere avuto una santa famiglia, essendo l‟epoca
risorgimentale ricca d‟esempi dell‟In quella notte di due in uno stesso letto
uno sarà accolto [nel regno] e l‟altro no593. Massimo d‟Azeglio fu fratello
d‟un gesuita, cosí il Bixio – vite tutt‟altro che edificanti, sia quella del
politico sia quella del garibaldino –. Un fratello gesuita anche il Pellico,
tornato in carcere alla fede. San Gabriele dell‟Addolorata fu fratello d‟un
massone suicida e d‟un altro perito volontario alla difesa di Venezia. Lo
stesso Mazzini, si è visto, ebbe una sorella suora ed un‟altra pia cattolica per
lettere del luglio 1851 scritte dal Gladstone a lord Aberdeen in cui il governo borbonico era
bollato come la negazione di Dio eretta a sistema, affermazione che i nostri testi scolastici
avrebbero resa piú vera del vangelo. S‟aggiunga che erano anche gli anni in cui in Inghilterra
la gente letterata penava su l‟infanzia infelice raccontata dai romanzi del Dickens. Le
avventure di Oliver Twist andavano a ruba da tre lustri, cosí pure il quasi fresco di stampa
David di Copperfield. Il Ruffini si mette in quel filone e racconta, calcando i toni, la sua
infanzia tribolata per colpa d‟uno zio canonico, suo primo maestro, la sua perpetua ed un
padre duro, cui si andarono poi ad aggiungere i preti del collegio. Infanzia martoriata dai
preti in un‟Italia retrograda per colpa dei preti. Tali ingredienti non potevano non suscitare
simpatia per questo scrittore che da un paese cattolico veniva a confermare nella loro lingua le
storie del Dickens con la variante anticlericale e rivelava agli inglesi la vera causa dei mali
che avevano suscitato a sdegno il Gladstone. Che poi nessuno si chiedesse come mai il
Gladstone, cosí bene informato delle cose di Napoli, nulla sapesse di quanto accadeva in
quegli anni nella vicina Irlanda o nelle miniere di carbone della sua stessa Inghilterra, o di che
paese fosse mai quel tal Acton che aveva incoraggiato il Borbone nonno dell‟attuale ad
impiccare, si spiega con il male di Cavalcante, che fa vedere chiare le cose lontane e nulla di
quel che si ha sotto i propri occhi. Un male vecchio e senza rimedio. Ma il guaio è che in
Italia, mentre all‟insulto del Lamartine: “Italia terra dei morti”, si era replicato con duelli e
versi, le lettere del Gladstone trovarono subito la loro cassa di risonanza nella pubblicistica
risorgimentale che mutò il giudizio insulto sul Borbone in storia d‟un regno. Cosí, giustificati
dalla sentenza di tanto giudice, la sfacciata violazione d‟ogni diritto venne gabellata per
crociata contro la barbarie e, nel dizionario degli insulti, l‟aggettivo borbonico andò a far
coppia con gesuitico. Chiedo venia per la lunga nota, ma serve a ricreare il clima che si era
condannati a respirare. Una riprova che il Ruffini calcasse i toni in odio alla Chiesa si ha nel
diverso giudizio che di quello zio canonico danno i suoi fratelli e lui stesso nelle lettere
familiari.
593 Lc 17,34.
290
nulla infatuata d‟un tanto fratello.594 Nessun santo è frutto di natura, ma
generosa risposta alla voce di Dio.
CAPITOLO XIX
GLI INTERESSI CULTURALI
Se il Frassinetti fosse stato un seminarista interno e, divenuto sacerdote,
solo un santo parroco, sí da essere pienamente espresso nell‟epiteto di
Secondo Curato d‟Ars, dei suoi studi avremmo già detto anche troppo, piú
per soddisfare una nostra curiosità che per reale bisogno d‟approfondirne la
conoscenza. Ma il Frassinetti fu uomo di studio, fondatore ed anima di una
accademia di studi ecclesiastici, un‟autorità in campo della teologia morale,
autore di libri di spiritualità che ben figurano tra i classici della materia, non
solo, ma fu pure cultore di storia ed efficace polemista. Non si è polemista
efficace se non si ha piena conoscenza del campo avverso, né sarebbe stato
594 Delle tre sorelle del Mazzini, Rosa, la primogenita (1797-1824), fu monaca nel
monastero delle Turchine in Genova; Antonietta (1800-1883) sposò Francesco Massuccone,
impiegato al Monte di Pietà – l‟Olmi, su riportato, lo dice medico –; l‟ultima, Francesca
(1809-1838), Cicchina nelle lettere dei Ruffini, “esile e mal reggentesi sulla persona, ma di
bel cuore, di nobili spiriti e d‟acuto ingegno, che il fratello Giuseppe amava assai”. Cfr. Pure:
A. BRESCIANI, SJ, L‟Ebreo da Verona, cap, XLVII.
291
in grado d‟avvertire l‟insidia della cultura laica vestita di panni cristiani, –
Chateaubriand, Lamennais, Gioberti... – se non ne avesse letto con
attenzione ed intese le opere:
È necessario a tutti, ma specialmente al Clero – leggiamo nelle Riflessioni
agli ecclesiastici –, il por mente ai nuovi mezzi di attacco, che adopera a‟
nostri dí la sedicente filosofia contro la Chiesa. Conosciuti per esperienza i
pericoli e la poca probabilità di successo di una guerra dichiarata ed aperta, si
è indotta a cangiar metodo, e a dare una nuova forma e direzione ai suoi
colpi...595.
Nel comunicare ai chierici la propria esperienza, affermava:
Voglio confidare che alcune avvertenze intorno agli studi ecclesiastici, le
quali ho provato di qualche utilità per me, possano riuscire di qualche utilità
ancora per voi,... la scienza è cosí annessa all‟idea di ecclesiastico, da non
potersi concepire l‟idea di un ecclesiastico ignorante, che come idea
mostruosa596.
Piú che utile, mi pare necessario quindi un approfondimento degli
interessi culturali dei giovani nati all‟inizio dell‟Ottocento, che si formarono
nei tre lustri che vanno dalla caduta di Napoleone alla Rivoluzione parigina
del luglio 1830.
Dai titoli dei temi a suo luogo menzionati, si direbbe che le scuole, sia
quelle del seminario, sia quelle degli altri istituti, vivessero fuori del tempo
in una delle Isole Fortunate, dove non fosse giunta voce di tutto il finimondo
che aveva sconvolto l‟Europa, né si avvertisse la rivoluzione politica e
letteraria che in quegli anni esplodeva. Una scuola di metà Settecento per
“pulcini” dell‟Arcadia in attesa di poterne far parte come membri effettivi,
tutta paga di portare gli alunni ad esprimersi con padronanza in prosa e in
verso, sia in italiano che in latino, preoccupata piú delle forme che dei
contenuti, sognando l‟applauso legato a versi letti e stampati per
monacazioni e nozze. Un Settecento duro a morire.
595 G. FRASSINETTI, Riflessioni agli ecclesiastici, Genova 1837. Cito dalla terza edizione,
1838, pp. 7s. nota 1, attribuita all‟Editore.
596 G. FRASSINETTI, Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici proposte ai Chierici,
Genova 1839, pp. VII e 2.
292
Sarebbe però errato credere che quei giovani si sentissero appagati di
quanto si svolgeva a scuola. Un esempio l‟abbiamo in questo nostro secolo.
M‟è capitata tra mano la terza edizione della Breve storia della letteratura
italiana di Eugenio Donadoni rivista da Francesco Flora, due nomi di tutto
rispetto. Bella nella sua concisione, ma, ancora nel 1948, non si spingeva
oltre i “tre poeti”: Carducci, Pascoli e D‟Annunzio! Gli altri in una pagina.
Un‟altra pagina per i narratori, mezza per il Croce, due righe per il
Pirandello, non una sugli stranieri. Non se ne può però dedurre che i giovani
dell‟epoca abbiano ignorato le correnti letterarie che si sono succedute ed i
problemi dibattuti nelle riviste culturali, né mai udito parlare di Tolstoi,
Cechov, Rilke, Unamuno, Kafka, Mann, Garcia Lorca, Ungaretti, Rebora,
Maritain... paghi di recitare: Settembre, è tempo di migrare… La vera scuola
d‟un giovane appassionato per lo studio sono sempre state le biblioteche, le
riviste e le infinite dispute con i propri compagni di studio.
Fu cosí per il Frassinetti. Che fosse di casa nelle biblioteche ce lo dice il
suo primo biografo: “Egli si aveva prefisso una regola di vita sicché potea
occupare molto tempo nello studiare in casa come nelle biblioteche della
città, dove andava frequentemente”597. Che non si restringesse al dettato
della scuola lo rievocò il condiscepolo canonico Poggi nel tessergli l‟elogio
funebre. Che leggesse le riviste lo si ricava da appunti con l‟indicazione
della fonte. La biblioteca genovese piú frequentata penso debba essere stata
la Fransoniana fondata nel Settecento dall‟abate Girolamo Fransoni, zio di
Paolo fondatore degli Operai evangelici per la predicazione del Vangelo ai
poveri, conosciuti col nome di Fransoniani, ai quali vedremo ascritto anche
il nostro Servo di Dio. Biblioteca ricca di volumi e riviste, dotata di pingue
lascito per poter essere continuamente aggiornata, aperta con il preciso
scopo di favorire la cultura del clero598. Brutta malattia, i libri, ed il
Frassinetti non ne guarirà mai. Libri dappertutto:
Essendo io parroco a Quinto – leggiamo in un suo scritto – mi sveglio una
mattina e sento cantare Don Sturla,... era venuto a notte assai inoltrata, gli
597 D. FASSIOLO, Op. cit., pp. 16s. La testimonianza del Fassiolo concorda con quella
della sorella Paola già riportata: quando rimaneva in casa si trovava sempre in camera a
studiare.
598 Quando lo Stato se la incamerò, contava 22.000 volumi.
293
aveva aperto la domestica cui aveva ordinato di starsi cheta... si era coricato
sulla tavola del desinare con due libri sotto il capo trovati lí per caso...599.
Un materasso no, ma due grossi tomi in folio erano a portata di mano.
Cosa vi era a monte di quella generazione di giovani in epoca in cui
sembrava esserci piú pace tra i vivi che non nei cimiteri? Proprio in quegli
anni si andava operando una rivoluzione nel campo della letteratura. Non
piú l‟otium dei pochi fortunati che possono goderselo, ma arma messa al
servizio di una causa, qui, in Italia, a servizio del movimento risorgimentale.
Con il Romanticismo le lettere si fanno azione, la lingua ne è l‟arma, e, se
arma, deve incidere e penetrare, deve perciò essere da tutti compresa. Via
dei e dee, via i periodi modellati su Cicerone e su Boccaccio. Cittadinanza
piena alla lingua parlata, lotta al purismo. Non fu lavoro del solo Manzoni.
Manzoni a livello d‟arte, Mazzini nei giornali, senza che riesca a spogliarsi
dell‟enfasi oratoria, il Frassinetti nell‟annuncio della parola di Dio, dal
pulpito e negli scritti. Non furono i soli, inutile dirlo.
Sono gli anni in cui gli studenti rivolgevano l‟animo all‟Alfieri, al
Foscolo, al Parini, che si accaloravano per Chateaubriand, Byron, Berchet,
Manzoni, Leopardi, Goethe, Lamennais, Joseph de Maistre, Lamartine,
Kant..., anche se a nessuno di tali scrittori erano ancora state aperte le porte
della scuola che s‟ostinava ad attardare gli alunni sul Metastasio, il
Chiabrera ed il Frugoni. Sono anche gli anni in cui diventa opinione
assodata l‟affermazione che tutti i mali d‟Italia, e la sua supposta
arretratezza, si debbono addebitare alla Chiesa, ai papi e al non aver avuto
noi la riforma ch‟ebbero i paesi protestanti.
Del 1816 la Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliuolo, del
Berchet, il piú efficace manifesto del Romanticismo italiano. Dal 3
settembre 1818 al 17 ottobre 1819, il giovedí e la domenica esce a Milano Il
conciliatore, foglio scientifico letterario. Quattro pagine in carta azzurrina,
478 pagine l‟intera raccolta, appena settecento copie la tiratura, lire 18
l‟abbonamento annuo. Poca cosa vien da dire, ma grande fu l‟innovazione
prodotta nel mondo delle lettere. Nel foglio, con cui il primo luglio se ne
annunziava l‟uscita, si leggeva:
599 G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla vita del sac. Luigi Sturla – Opera postuma,
Genova 1871, p. 27.
294
Già tempo, il vero sapere era proprietà riservata ad alcuni pochi che di
tanto in tanto ne facevano parte ai meno dotti di loro… I dotti e i letterati di
professione sparsi ne‟ chiostri e ne‟ licei applaudivano fra di loro alle opere
dei loro colleghi, o le biasimavano; ed al pubblico non curante ne giungeva
appena una debole voce… Tanti solenni avvenimenti della nostra età, tante
lezioni della sventura, tante funeste esperienze di mutamenti sociali, hanno
svegliato il pubblico col pungolo del dolore; e riscosso una volta il
sentimento, hanno essi per necessaria conseguenza imparato a pensare. Le
gare arcadiche, le dispute meramente grammaticali, infine la letteratura di
nude parole, annoja ora la dio (sic) mercé gran numero di persone che non
professano gli studj, ma che cercano però nella cultura dell‟animo una
urbanità, un fiore di eleganza veramente degno dell‟uomo. Pare a noi… che
una sí felice disposizione degli animi non venga bastantemente consultata e
messa a profitto dai nostri scrittori di cose morali e letterarie… L‟utilità
generale debb‟essere senza dubbio il primo scopo di chiunque vuole in
qualsiasi modo dedicare i suoi pensieri al servizio del Pubblico; e quindi i
libri e gli scritti di ogni sorta, se dalla utilità vanno scompagnati, possono
meritatamente assomigliarsi a belle e frondose piante che non portano frutto.
Partendo da questo principio parve agli estensori del CONCILIATORE che due
cose fossero da farsi nella scelta delle materie: Preferire in prima quelle, le
quali sono immediatamente riconosciute utili dal maggior numero…
Via tutte le pastorellerie dell‟Arcadia, le dispute meramente
grammaticali. I richiami ai grandi romani. La letteratura deve rendere un
servizio al pubblico. È gente che ha assistito a tutti i sovvertimenti della
Rivoluzione francese e dell‟epoca napoleonica, perciò non teme di crearne
nel mondo delle lettere.
Non diversa l‟impostazione programmatica di Frassinetti scrittore, se non
nella scelta del campo. Non quello letterario, politico e scientifico, ma il
religioso. Scrivere per rendere un servizio al pubblico, il piú largo possibile,
nel modo piú comprensibile che si possa, senza timore di avanzare soluzioni
nuove o soggezione per forme venerande, né rispetto riverenziale di sorta
per l‟opinione dei grandi nomi fino a rimanerne bloccato600. Scrive nei
Rischiarimenti:
Forse parrà troppa arroganza che un giovine sacerdote aspirasse a
provvedere a un bisogno di sí alta sfera. Io sottopongo il mio parere ai piú
600 Si è già visto con quale sufficienza furono trattati il Mazzini ed i suoi compagni dal
Botta: Ragazzacci!
295
saggi, ma se ho da dire quel che ne penso, mi pare un pregiudizio.
Primieramente perché Dio è padrone di servirsi di chi vuole nelle sue opere, e
volendo può servirsi d‟un sacerdote novello per cose anche di maggiore
importanza… Secondo me l‟arroganza sta nel voler fare il bene, non solo
grande, ma anche piccolo, colle proprie forze. Se io mi sentissi inspirato a
fare altrettanto di quanto hanno fatto i piú grandi uomini che abbiano
illustrato la Chiesa di Dio, e frattanto fossi ben persuaso di non essere per me
stesso capace di nulla,… io vorrei avere la bella arroganza d‟intraprendere
quanto hanno intrapreso i piú segnalati servi di Dio…601.
Lui, giovane, osa cose nuove, e male gli incoglierà quando comincerà a
scrivere in modo nuovo i suoi librettucci mingherlini rivolti all‟utilità
spirituale del piú vasto pubblico, invece che grossi tomi o squisitezze per i
membri di un‟arcadia.
Torniamo a quel quindicennio. Nel 1818 Jean-Charles-Leonard Simonde
de Sismondi portava a termine la sua Histoire des républiques italiennes du
Moyen-Age602. La storia vi è concepita per un verso come libero sviluppo,
per un altro verso come determinata dai governi e dalle istituzioni. L‟Italia
fu grande quando era organizzata in libere repubbliche; decadde quando
prevalsero la Chiesa cattolica e i principati, la Chiesa cattolica soprattutto.
Un‟opera da prendere in considerazione non tanto per il valore in sé, quanto
per l‟enorme influsso esercitato sulla letteratura risorgimentale ed il
sostegno dato agli anticlericali.
Nell‟ultimo capitolo della Storia delle repubbliche italiane, il CXXVII,
del sedicesimo ed ultimo volume, – cito dall‟edizione italiana –, il Sismondi
si chiede quali sono le cause che hanno mutato il carattere degli italiani
dopo che erano state ridotte in servitú le loro repubbliche e, pur
raggruppandole in quattro serie, in realtà le riduce ad una sola: colpa dei
papi e del cattolicesimo. Quel capitolo diverrà dogma indiscusso per tanta
parte della letteratura e della pubblicistica risorgimentale. Ancora oggi,
l‟aver avuto l‟Italia il Concilio di Trento, invece d‟un suo Lutero, è il grande
rammarico della cultura laica e di quelle frange della cultura che, pur
dicendosi cattolica, soffre verso di essa di una somma di insanabili
601 G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. V, p. 3. AF.
602 I primi quattro volumi erano usciti a Zurigo nel 1807-1808, i rimanenti dodici
uscirono a Parigi. La traduzione italiana si ebbe nel 1831-1832, anch‟essa in sedici volumi, a
Capolago.
296
complessi; né è servito che il De Sanctis abbia fatto del Machiavelli il nostro
Lutero, anzi piú che Lutero, vedendo in lui, a differenza di Lutero, il rigetto
radicale d‟ogni soprannatura. I paesi protestanti, per costoro, rimangono
sempre quelli di piú avanzata civiltà. Al Sismondi rispose il Manzoni nel
1819 con le Osservazioni sulla morale cattolica, offrendo un modello nuovo
di apologetica: rispetto per l‟uomo, demolizione, pietra dopo pietra, di
quanto contro la Chiesa il Sismondi aveva affermato. Una logica stringente,
una morsa. L‟opera del Manzoni suscitò la curiosità di conoscere meglio le
tesi del calvinista ginevrino ivi confutate, poco importa se l‟opera era stata
pubblicata in francese e non ancora tradotta in italiano – lo sarà nel 1832 –,
essendo un po‟ tutti padroni d‟una lingua che nel recente passato
napoleonico era stata addirittura ufficiale in non poca parte d‟Italia603.
Ci sono altri scrittori francesi che non possono essere ignorati. Primo
François-René de Chateaubriand. Nel 1802, il 14 aprile, quattro giorni prima
della solenne promulgazione del Concordato napoleonico con la Santa Sede,
firmato l‟anno antecedente, usciva il suo Génie du Christianisme. Si
riaprivano le chiese, tornava la religione con i suoi riti, dopo dieci anni di
silenzio si riudiva risuonare il campanone di Notre Dame. Merito del nuovo
Costantino – cosí da molti fu visto Napoleone –. L‟opera dello
Chateaubriand veniva ad annunziare un capovolgimento di mentalità e ne
era ad un tempo causa. Non piú Voltaire e gli enciclopedisti facevano moda,
moda ghigliottina per chiunque avesse voluto cimentarsi nel mondo delle
lettere o della pubblicistica. Con Chateaubriand la moda letteraria era
capovolta. Si era creato spazio, e che spazio, alla cultura cattolica. Il
Moniteur de Lois, quel 18 aprile 1802, giorno di Pasqua, non solo
pubblicava il Concordato, ma recensiva anche la nuova pubblicazione. Si
sarebbe detto una cosa combinata. Il nuovo Costantino aveva trovato il suo
Eusebio?604.
603 L‟epistolario dei fratelli Ruffini, per esempio, salvo pochissime lettere, è tutto in
francese. Molti di quei che fecero l‟Italia si tennero in comunicazione usando tale lingua,
l‟unica forse di cui si sentivano veramente padroni.
604 L‟idillio non durò a lungo. Fosse ambizione delusa, fosse esecrazione per l‟uccisione
del duca d‟Enghien, Chateaubriand si irrigidí nell‟opposizione e Napoleone cessò di essere
l‟uomo potente che ci ha tratti dall‟abisso, cosí chiamato nella prima edizione, e l‟uomo
provvidenziale, nella seconda.
297
La fortuna fu grande, e provvidenziale, ma si trattava d‟un cristianesimo
ispiratore delle arti e delle lettere, a cui l‟Europa doveva la sua grandezza.
Come dire, senza religione cattolica non avremmo avuto grande cultura e
mirabili opere d‟arte. Piú che il cristiano, era l‟esteta che scriveva. Ma
l‟effetto fu positivo ed enorme, cominciando dal capovolgimento di giudizio
sul medioevo cristiano: non piú l‟età buia e barbara degli illuministi, ma la
fonte della civiltà a cui uno scrittore od artista avrebbe dovuto ispirarsi. Un
cristianesimo estetico, esteriore, superficiale. Non ne penetra l‟anima. Il
Frassinetti l‟avvertí. Quando lo Spotorno con la sua supponenza si farà forte
di un tanto nome, gli replicherà:
Noterei qui di passaggio che nel numero dei pii e religiosi dotti
meritamente lodati dal Ch. Autore [lo Spotorno] dell‟articolo non pare
doversi mettere il Visc[onte] di Chateaubriand, la cui opera Essai sur la
littérature anglaise et considérations etc., (1836, p. 203) doveva come
recentissima essergli sconosciuta. Di fatto non si può dire che professi
incorrotta pietà chi scrive cosí: “Oggidí i protestanti niente piú che i cattolici
non sono piú quelli che già furono: i primi anzi hanno guadagnato in
immaginazione, in poesia, in eloquenza, in ragione, in libertà, in vera pietà
ciò che i secondi hanno perduto. Le antipatie tra le diverse comunioni non
esistono piú; i figli del Cristo di qualunque razza provengano si sono stretti ai
piedi del Calvario stipite comune della famiglia… La religione cristiana entra
in un‟era novella; come le istituzioni e i costumi, ella subisce la terza
trasformazione”. Questo tratto tradotto a verbo dall‟originale, valga come
saggio dei molti errori che in esso si incontrano605.
Osservazione rispettosissima nella forma, ma da stendere a terra un toro.
Il grande Spotorno non si tiene aggiornato a differenza di certo parroco
Frassinetti di campagna, come con compatimento la madre del Mazzini ne
scriveva al figlio606. Si direbbe stato a scuola del Manzoni e da lui appresa
l‟arte del confutare. Avremo occasione di riparlarne nella seconda parte
605 G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici, Genova 1838, p. 38.
606 “Certo parroco Frassinetti di campagna mesi fa – scriveva Maria Mazzini al figlio –,
faceva una stampa che era proprio una sciocchezza in ogni guisa contro i giansenisti… scrivea
d‟ordine del De Maistre e C… Però il P. Spotorno mise un cenno sulla nostra Gazzetta,
confutando quello sciocco… che ora ritorna alla carica con maggiore pasticcio dell‟altro” e,
nella lettera successiva al figlio che ne vuole sapere di piú: “Sentirò il giudizio dei miei Santi
dottori”. A. LUZIO, La Madre di G. Mazzini. Carteggio del 1834-1839, Torino 1919, pp.
210.213
298
trattando del polemista. Nessuno può però contestare a Chateaubriand il
merito che egli si rivendica nella prefazione per l‟edizione del 1828:
Ce fut, pour ainsi dire, au milieu des débris de nos temples que je publiai
le Génie du Christianisme, pour rappeler dans ces temples les pompes du
culte et les serviteurs des autels. On avait alors, après les événement de la
Révolution, un besoin de foi, une avidité de consolations religieuses qui
venaient de la privation même de ces consolations depuis de longues
années607.
Per merito suo, o almeno anche per merito suo, si potevano liberamente
scrivere inni sacri, trarre dal mondo cristiano argomento per tragedie e
romanzi, come ne aveva egli stesso indicato la strada con Les Martyrs.
Nessuno gli poteva negare ch‟era stato l‟incantatore di una generazione.
Nel 1815 il Manzoni ha già pubblicato i primi quattro Inni sacri, nel‟20
esce Il Conte di Carmagnola, nel‟21 il Cinque maggio, nel‟22 l‟Adelchi e
La Pentecoste, nel‟27 la prima edizione de I Promessi Sposi. Degli stessi
anni le Operette morali del Leopardi ed un buon numero dei suoi Idilli e di
Canti. Nel‟19 uscí Du Pape del de Maistre, e, postumo nel‟21, Les soirées
de Saint-Pétersbourg. I piú saputi tra i giovani studenti conoscevano il
Childe Harold‟s Pilgrimage del Byron, le Méditations del Lamartine,
l‟Essai sur l‟indifférence en matière de religion del Lamennais, e Shelley, e
Scott, e la Staël, e Hugo ed altri ancora. Si disputava sulle “tre unità di luogo
di tempo e d‟azione”, e se non fosse giunta ormai l‟ora di farla finita con gli
dei e le dee dell‟Olimpo, con buona pace di Vincenzo Monti, e richiamare a
vita il mondo cristiano come aveva additato Chateaubriand, o le saghe del
Medioevo sull‟esempio dell‟Ossian. Un nome, questo, che ai nostri giovani
d‟oggi non dice nulla, ma
quando comparve Ossian – scrive il De Sanctis – girò la testa a tutti: tanto
erano sazi di classicismo. Il bardo scozzese fu per qualche tempo in moda, e
Omero stesso si vide minacciato il suo trono. Si sentiva che il vecchio
contenuto se ne andava con la vecchia società, e in quel vuoto ogni novità era
607 Fu proprio tra i ruderi di quei templi [profanati] che, per cosí dire, pubblicai il Genio
del Cristianesimo per ricordare lo splendore dei riti che vi si celebravano ed i ministri che
servivano all‟altare. Dopo quanto era accaduto con la rivoluzione si sentiva un bisogno di
fede, una forte fame di conforti religiosi, fame nata proprio dalla privazione per cosí lungo
tempo di tali conforti.
299
la ben venuta. Quei versi armoniosi e liquidi in tanto cozzo di spade
scintillanti tra le nebbie fecero dimenticare i Frugoni, gli Algarotti e i
Bettinelli. Cominciava una reazione contro l‟idillio, espressione d‟una società
sonnolenta e annoiata in grembo a Galatea e a Clori, e piacevano quei figli
della spada, quelle nebbie e quelle selve, e quei signori de‟ brandi e quelle
vergini della neve608.
Questi gli argomenti, frammisti a quelli politici, che all‟epoca agitavano i
giovani studenti e formavano l‟oggetto delle loro dispute e dei loro
entusiasmi, privi com‟erano del Giro d‟Italia, del campionato di calcio, di
film e discoteche. Questioni che un giovane appassionato per lo studio
poteva far proprie o no, ma non poteva ignorare. Nessuna sorpresa se ne
rinveniamo tracce nel Frassinetti, anch‟egli studente del suo tempo, né
poteva essere diverso per chi pareva avere per seconda casa la biblioteca e
cominciato a mutare in biblioteca la propria:
Piú volte entrato nella sua camera di studio, abbastanza grande –
ricordava il Lemoyne –, vidi volumi di teologia morale antichi e moderni,
grossi e piccoli, i quali aperti occupavano tutte le sedie, i tavolini e il sofà e i
loro margini erano pieni di note da lui scritte609.
Quadro confermato da un appunto del Fassiolo che gli visse accanto: “La
sua libreria [era] assai provvista di libri, ma in stato piuttosto logoro” 610.
Per conciliare povertà e amore del libro, sacrifica la legatura al numero e al
contenuto. Quel piuttosto logoro la dice lunga. Non erano tenuti lí ad
impolverarsi.
Non solo testi di teologia. Il Botta, per esempio, che abbiamo visto
attaccato dal Mazzini, sarà criticato per motivi diversi anche dal Frassinetti,
il che presuppone la conoscenza delle sue opere. Cosí, quando confuta i
Prolegomeni del Gioberti, mostra di conoscere anche le altre opere dello
scrittore torinese. Avremo modo di citarne altri, italiani e stranieri, parlando
608 F. DE SANCTIS, Storia della letteratura italiana, cap. 20. Nell‟edizione
dell‟Universale Feltrinelli curata da M. T. LANZA, Milano 1970, p. 785.
609 AF. Da una lettera del 18 giugno 1911 al padre Antonio Piccardo da padre Giovan
Battista Lemoyne, l‟autore della monumentale biografia di san Giovanni Bosco.
610 AF, Documenta, XIII: Memorie e note [inedite] intorno alla vita del Priore G.
Frassinetti. Da copia di appunti di DOMENICO FASSIOLO autentificata.
300
del polemista. Qui basti aggiungere la testimonianza del suo condiscepolo, il
canonico Filippo Poggi:
Ripudiata la scuola Ossianesca, si gitta con tutta l‟anima ai classici greci,
latini, italiani... Passeggiavam condiscepoli nell‟atrio che mette alle scuole e
leggevam per diletto i dolci versi del Lirico che, dopo i giorni perduti e le
notti spese vaneggiando, volse al Padre del cielo le dolenti rime. Il mio
guardare s‟incontra in pagine listate di nerissimo inchiostro... Ho cancellato,
disse, alcune coserelle, acciò questo libro non pervenga maligno a teneri
menti inesperte. Era l‟esemplare una pregievole edizione veneta antica,
nitidissima: i tre sonetti Fiamma dal ciel... L‟avara Babilonia... Fontana di
dolore... e le annotazioni in calce. Tanto di riverenza lo strinse, tuttoché laico
e studente, al Pontifical soglio Apostolico....611.
Opere integrali, edizioni ottime. Lette. Del Petrarca una cinquecentina!
Non dimentica però il giovane studente che quei tre sonetti, con cui il
Petrarca aggredisce ed insulta la curia papale in Avignone, avrebbero potuto
recare turbamento ai fratellini e alla sorella. Lui stesso, cosí attaccato alla
Sede di Pietro, mal sopportava tra i dolci versi quelle invettive pesanti come
bestemmie, e le espunge. Quante altre opere lesse per diletto oltre il
Canzoniere del Petrarca? Si sa solo di alcune che compaiono citate nei suoi
scritti, come la Divina Commedia, il Paradiso perduto di Milton nella
traduzione di Lazzaro Papi...
Nessuna intenzione da parte mia di comporre qui un saggio di letteratura.
Per comprendere i tempi dello studente Frassinetti aggiungerò solo: Félicité
de Lamennais e Joseph de Maistre, l‟uno e l‟altro da lui citati.
S‟è visto sopra che la madre del Mazzini pensa che il vero autore, o
almeno l‟ispiratore delle Riflessioni, non sia il parroco di campagna
Frassinetti, ma Joseph de Maistre, ignorando che era già morto da anni. Altri
pensavano i gesuiti. Anche allora non mancavano esperti ed esperte in
dietrologia. Joseph de Maistre, Félicité de Lamennais, due estremi, l‟uno il
negativo dell‟altro, e l‟uno e l‟altro ottimi scrittori. Scriveva il Barone
d‟Eckstein su La France catholique il 17 maggio 1834:
611 F. POGGI, Della vita e degli scritti di Giuseppe Frassinetti... Discorso nelle solenni
rinnovate esequie il dí 14 febbraio 1868, Genova 1868, pp. 7s.
301
Possiamo considerare quest‟opera [Paroles d‟un croyant] come un AntiMaistre, una sublime esagerazione contrapposta ad un‟altra sublime
esagerazione, due metà d‟una verità assoluta di cui rappresentano le due parti
estreme e squilibrate… Le due opere di Lamennais e di de Maistre, si
contraddicono e si completano”612.
Notevole l‟influsso del Lamennais sul Mazzini, ed il Frassinetti trova piú
volte conferma al suo dire nel de Maistre. Qui basta avere accennato ai due
dovendo riparlarne nella seconda parte. Questo il mondo da cui il Frassinetti
attinse con processo ora di assimilazione e ora di dissimilazione e rigetto.
S‟è già notato come il Servo di Dio fin dai suoi giovani anni si fosse scelto
Gesú Cristo per stella su cui orientare la navigazione. In negativo, gli fu
regola il voi non cosí613 del vangelo. Una controregola, se cosí piace
chiamarla. Trovò nell‟esempio dei figli di questo mondo, per suggerimento
dello stesso Signore614, lo stimolo ad operare con zelo e avvedutezza. E i
figli di questo mondo, per genovese tutto concretezza altro volto non
potevano avere se non quello dei suoi coetanei andati a far gruppo col
Mazzini, alcuni dei quali erano stati persino suoi condiscepoli in seminario a
scuola di filosofia.
612 In F. R. LAMENNAIS, Parole d‟un credente, Milano 1991, pp. 177.182.
613 Mt 20,26; Mc 10,43; Lc 22,26.
614 Lc 16,8.
302
CAPITOLO XX
LO STUDENTE DI FILOSOFIA
Debb‟egli adunque [il chierico] dirigere ogni sua cura, e in
modo particolare i suoi studii, al conseguimento del suo fine,
che si è d‟esser buon ecclesiastico. Dico; in modo particolare i
suoi studii; perché la scienza è cosí annessa all‟idea di
ecclesiastico, da non potersi concepire l‟idea di un
ecclesiastico ignorante, che come idea mostruosa. Quali sono
le principali doti, che si richieggono in un ecclesiastico, dopo
la divina vocazione? Fede pura, costumi integerrimi, scienza
de‟ propri doveri e degli altrui, e pietà che lo renda zelante per
la gloria di Dio e per la salute de‟ suoi prossimi. A tutto ciò vi
vuole istruzione: l‟ignoranza non è buon mezzo per veruno di
questi fini.
303
G. FRASSINETTI, Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici615
Ci sono pervenuti raccolti in volumi i quaderni con il dettato delle lezioni
di filosofia e di teologia dei corsi tenuti nel seminario arcivescovile di
Genova e seguiti dal giovane chierico dal 1822 al 1827. Sono tutti scritti in
latino, lingua con cui si sono generalmente insegnate filosofia e teologia nei
seminari fino a qualche decennio fa. Ogni volume si apre con un bel
frontespizio. Il primo:
Annus Imus
Philosophiæ Curriculi
Josephi Frassinetti
auditoris Philosophiæ in Seminario Archiepiscopali Januensi
anno Domini MDCCCXXII
Lectore
Reverendo, Præstantissimoque Viro
Hieronimo De Valentini616
A pagina 392 del primo volume troviamo l‟Index rerum e un altro colophon:
Hæc sunt Logicæ Metaphisicæque
Mementa
quæ viva voce explicata, illustrata,
corroborata
dictabat in Seminario
Archiepiscopali Januensi
Philosophiæ lector
V. Reverendus, præstantissimusque vir
Hieronimus de Valentini
615 G. FRASSINETTI, Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici proposte ai Chierici,
Genova 1839, pp. 2s.
616 Don Girolamo Valentini era nato a Genova il 21.5.1791 da padre svizzero e da Teresa
Alimonda, quindi di due anni piú giovane del Gianelli, e l‟uno e l‟altro in quel 1822 erano
sulla trentina. Orfano in tenera età, di ricca famiglia, fu educato prima dai Signori della
Missione in Savona, poi di lí passò nel seminario arcivescovile di Genova. Nel 1820 gli fu
affidata la cattedra di filosofia in seminario che tenne fino al 1824, ANTONIO DRAGO,
Necrologia del sacerdote Girolamo Valentini, professore di Logica e Metafisica nella R.
Università di Genova, Genova 27 agosto 1848). Don Paolo Rebuffo dettò quest‟epitaffio:
ALLA MEMORIA – DI GIROLAMO VALENTINI PRETE – PROF. ORTODOSSO E PERITISSIMO – DI
METAFISICA – BUON TEOLOGO BUON CANONISTA – CARO A QUANTI LO CONOBBERO – NEMICI DI
ADULAZIONE – VISSUTO SOLI LVII ANNI – SINO AL XIX AGOSTO MDCCCXLVIII. OH SIANO MEN RARI E
PIU‟ PREGIATI – QUELLI CHE LO SOMIGLIANO.
304
anno Domini
MDCCCXXII
Sono quaderni che per noi hanno il valore che potrebbero avere i testi
scolastici. Se ci dicono cosa si insegnava, non ci dicono come il professore
vivificava l‟insegnamento e come dal giovane veniva recepito.
Presentandosi i quaderni cosí nitidi, cosí ordinati, sí da potersi passare in
tipografia per la stampa senza mutar virgola, ci fanno arguire con quanta
diligenza il Frassinetti seguisse quei corsi. Si studiava filosofia, non storia
della filosofia. La storia della filosofia rientrava dalla finestra nelle
confutazioni delle tesi che non si allineavano con quelle sostenute
dall‟insegnante. Uno studio che comprendeva la logica, l‟ontologia, la
cosmologia – ed in questa rientrava anche ciò che oggi si studia nei corsi di
scienze naturali –, la psicologia – che comprendeva anche anatomia e
fisiologia umana –, nonché la zoologia, ed infine la teologia naturale. Tutto
in latino, naturalmente, anche le scienze naturali con dimostrazioni piene di
sillogismi in BARBARA. Un latino piano, dignitoso, si direbbe persino
elegante. Non si dimentichi che sono ragazzi sui diciotto anni. Le lezioni
erano ripetute nella stessa lingua, cercando di non sfigurare con il professore
nell‟uso che ne facevano. Nella Sectio III, Caput X, troviamo trattato De
sanguinis circulatione:
Experimenta vero, non modo edocent sanguinem e sinistro cordis
ventriculo per arterias ad dexteras corporis partes delatum esse, sed etiam
perspicuum reddunt ex iis ad cor per venas regredi, idque est quod sanguinis
circulationem vocant...
Se di fisiologia c‟è pochino in paragone a ciò che si trova nei manuali
odierni, in cambio c‟è del bel latino che ci riporta a prima di Galileo quando
era la sola lingua adoperata nello studio delle scienze617. Filosofia e
scienze, certo, ma per studenti che hanno già una certa dimestichezza con i
classici latini, quindi non scarseggiano citazioni del Venusinus, come piace
chiamare Orazio, di Virgilio, di Marziale, di Giovenale e di Ovidio sparse
qua e là come le ciliegine che fanno bella una torta. Tullius invece, che poi
sarebbe Cicerone, è chiamato spesso a sostegno delle dimostrazioni
riportandone lunghi passi dalle opere filosofiche, cosí Seneca, specie
nell‟etica. Ma non mancano ripetute citazioni di Lucrezio e
dell‟Antilucretius di Melchiorre di Polignac, e poi Giuseppe Flavio,
617 Il grande matematico Giuseppe Peano (1858-1932) ne deprecò l‟abbandono e pensò
poterlo reintrodurre semplificato in latino sine flexione.
305
Quintilliano, Plinio, Lattanzio, Agostino, sempre virgolettati. Un angoletto
anche a Cornelio Nepote! Il Valentini era sí un umanista, ma un umanista
aperto a ciò che si pensava e si scriveva ai suoi tempi, e senza un anno zero,
perciò nelle citazioni troviamo frammisti nomi di filosofi, di scienziati e di
poeti. Riporto alla rinfusa: Dante, Cartesio, Bacone, Bossuet, Fenelon,
Copernico, Galileo, Newton, Pascal, Fontenelle, Montaigne, Montesquieu,
Metastasio, Muratori, Locke. Stando all‟elogio funebre del Poggi, in quella
scuola si espose anche il pensiero di Malebranche, Leibniz, Condillac,
Tracy, Bayle, Spinoza e Hobbes. Kant soltanto sfiorato618. Né mancano le
sorprese: per gli Egiziani si rimanda all‟articolo della Encyclopédie! Il Civis
Geneviensis, quanto dire Gian Giacomo Rousseau, merita una menzione
speciale per i numerosi passi riportati, soprattutto dall‟Émile, cui segue a
ruota il somasco padre Soave. Nutrita la schiera dei gesuiti: il Petavio, il
Comes Roberti, il Granelli, il Muzzarelli,... Anche Voltaire, ma per
confutarne le dissacrazioni. E san Tommaso? Anche san Tommaso ha
l‟onore d‟una citazione dalla IIa IIae, q. 64, a. 5 ad V per dirci che il suicidio
di Razis, presentato con parole di ammirazione nei Maccabei619, ha le
apparenze della fortezza, ma non è vera fortezza. Veramente pochino, a dire
il vero, da parte d‟un professore di cui alla morte si ricordava la “quotidiana
lettura delle opere di san Tommaso protratta per tutta la vita”!620. Il trattato
di logica si chiude con un esametro virgiliano: Claudite jam rivos, pueri, sat
prata biberunt621; l‟intero corso del primo anno con due esametri di
Orazio: Pro anni scolastici complemento sit demum satis. Concludamus cum
Venusino:
Vive, vale, si quid novisti rectius istis
Candidus imperti, si non, his utere mecum622.
Per il second‟anno sono ripetuti frontespizio e colophon come nel primo,
salvo data e numerazione: IIus MDCCCXXIII. In realtà 1823-1824.
618 F. POGGI, Della vita e degli scritti di G. Frassinetti..., Genova 1868, p. 8.
619 2 Mac 14,37-46.
620 A. DRAGO, Necrologia del sacerdote Girolamo Valentinii…, Genova 27 agosto 1848.
621 VIRGILIO,. Ecloga 3,111.
622 ORAZIO, Epistola I,6,67s. “Sta sano, ti saluto, se hai di meglio, fammene parte, se non
hai, usa con me queste”. Il testo critico Teubneriano ha inperti, si nil.
306
Ci incontriamo
subito con una
sorpresa: il
Frassinetti sapeva
anche disegnare a
penna. Ci si era
già incontrati con
fiorellini ed
arabeschi
disseminati nei
quaderni degli
anni del corso di
“Rettorica”, ma in
queste sue
dispense,
chiamiamole cosí,
troviamo ben 52
disegni di
Fig. 29: Sistema eliocentrico623
precisione con cui
si illustrano
fenomeni fisici ed astronomici o teoremi geometrici.
Gran parte di quel secondo anno fu consacrata allo studio della fisica. Ad
apertura del corso il “lettore” espose la teoria boscovichiana: De summis
theoriæ Boscovichianæ capitibus. Il Valentini s‟era formato sul meglio
dell‟epoca, e quel meglio lo portava nella scuola. Per la comune dei mortali
623 Pp. 161. A pp. 150 c‟è la figura 25 con un bel disegno del sistema tolemaico. Il
giovane Frassinetti non poteva essere a conoscenza d‟un inedito di colui che sarebbe
diventato il suo modello, sant‟Alfonso, in cui si mostra appassionato d‟astronomia: “Il Santo,
del quale onoriamo il [secondo] centenario della nascita, apprezzò quelle cognizioni [dei
fenomeni celesti] fino al punto da redigere di sua propria mano, su pergamena, un disegno
accurato esprimente al vivo la Sfera Armillare destinata ai giovani della sua Congregazione,
dei quali curava l‟ammaestramento. Il prezioso cimelio, conservato con somma cura tra le
carte del santo, molto opportunamente in questa avventurata solennità vede la luce. Per entro
al quadro un apposito scritto dell‟anno 1796 attesta che il disegno fu eseguito da mano del
Ven. Mons. D. Alfonso de‟ Liguori in Santa Maria della Consolazione l‟anno 1746”, G. LAIS,
La sfera armillare disegnata da sant‟Alfonso, Nel secondo centenario dalla nascita di
sant‟Alfonso M. De‟ Liguori, Roma 1896, p. 34. Si direbbe che Tra i due sia esistita una certa
qual congenialità.
307
il ragusano Ruggero Giuseppe Boscovich oggi è solo un nome da cercare
sulle enciclopedie sperando di trovarvi una qualche riga. Ai suoi tempi fu
una celebrità, anzi un genio in mille campi: poeta latino, storico,
diplomatico, architetto, astronomo, cartografo, fisico, matematico, idraulico
e grande precursore in diversi campi delle scienze624. Delle molte opere
pubblicate, ebbe fra tutte piú cara Theoria Philosophiæ Naturalis redacta ad
unicam legem virium in natura existentium, pubblicata a Venezia nel 1763.
Vi tratta l‟ipotesi atomistica dell‟universo, ipotesi a monte dell‟attuale fisica
atomica. È la teoria che il Valentini espone ai suoi allievi all‟inizio del
secondo anno di filosofia. Ma è solo una delle novità.
Nello stesso corso tratta in lungo ed in largo la fisica astronomica
seguendo il sistema “Copernico-Newtoniano”. Sistema censurato
dall‟Inquisizione, è vero, e Galileo dovette systema ipsum ejurare, perché
ritenuto in contrasto con la Bibbia, ma Scripturam in allatis testimoniis
litterali sensu accipiendam non esse, sed prout spectatori apparet loquitur
sacer historicus. La Scrittura parla delle cose come esse appaiono ai nostri
occhi e fa suo il nostro modo di dire. “Difatti, gli stessi astronomi, non
esclusi Copernico e i Newtoniani, nel parlare comune, dicono che il sole è
sorto, o che è tramontato, senza per questo ripudiare la loro teoria”. La
soluzione è nella stessa Bibbia, nel suo primo capitolo, dove dice: “Dio fece
due grandi luminari, il luminare maggiore per governare il giorno, il
luminare minore per governare la notte”625, e nessuno pensa che la luna sia
piú grande delle stelle. Fa la rassegna dei passi biblici che presi alla lettera
paiono contraddire la teoria626, li spiega e, giunto al famoso: “Fermati,
sole!”, riporta un brano dell‟astronomo Lalande:
Parmi che vi abbia della stranezza a pretendere che un generale d‟armata
qual era Giosuè nel momento in cui si trattava di mostrare ai suoi soldati la
624 Era nato nella repubblica di Ragusa sull‟Adriatico il 1711. Fattosi gesuita, appena
terminati gli studi di teologia, gli fu affidata la cattedra di matematica al Collegio Romano. A
lui si ricorre per controllare la stabilità della cupola di San Pietro, per la misurazione dell‟arco
di meridiano da Rimini a Roma, per la sistemazione delle acque. Sciolta la Compagnia, lo
vediamo professore a Pavia. Suo è il disegno e la realizzazione dell‟osservatorio di Brema. Da
Pavia a Parigi quale direttore d‟ottica a servizio della marina francese. Morí a Milano nel
1787.
625 Gen 1,16.
626 Ecclesiaste (Qohelet) 1,4; Sal 104(103),5: 1 Paralipomeni (1 Cr) 16,30; Gs 10,13.
308
gloria e la potenza di Dio per mezzo d‟una compiuta vittoria, dovesse dar loro
una lezione di astronomia.
Cosa pensare allora del decreto dell‟Inquisizione?
Fu cosa saggissima, perché a quei tempi c‟erano da temere inconvenienti
interpretando cosí la Scrittura,… in appresso, avvaloratasi l‟ipotesi sí da
potersi ritenere del tutto sicura, non c‟è piú pericolo di sorta per la religione e
perciò il decreto dell‟Inquisizione nulla prova sul moto della terra.
Troppo lungo il compendio di questa lezione, ma mi è parso opportuno
perché ci dà un saggio dell‟apertura di mente con cui insegnava il Valentini
ed abituava gli allievi a ragionare, anche sulla Scrittura. Potrà quindi un
giorno il Frassinetti ridiscutere questa e quella opinione del Liguori. Il
Valentini non poteva ignorare che sottobanco circolavano le opere di
Voltaire. Un suo alunno, Federico Campanella, passato all‟Università regia,
s‟è visto, fu sospeso perché s‟era permesso di avanzare delle massime
contrarie alla Religione ed all‟autenticità dei libri santi627. Essendo poco
credibile aver fare tali affermazioni per studi personali, fa penso che si
stesse già nutrendo alla mensa di Voltaire e degli enciclopedisti. Meglio
discutere in pubblica classe i fatti impugnati che mostrarne paura.
In seminario non tutti condividevano la sua apertura, né il modo in cui
trattava gli argomenti e l‟opportunità di trattarli. Nel Prolegomenon di
questo corso il Valentini si dilunga nel dichiarare l‟importanza dello studio
della fisica e non si trattiene dall‟offrire agli allievi argomenti per
rimbeccare blaterationes illorum qui physicas institutiones Ecclesiastico
viro velut inutiles vel optimæ juvenum educationi contrarias quoque
traducunt. Il primo criticone dell‟eccessiva importanza data a tale studio
doveva essere il rettore del seminario, il canonico Parodi, già titolare della
stessa cattedra.
In quell‟anno scolatico 1823-1824 il Valentini dedicò alla fisica ben 394
pagine, naturalmente tutte in latino, con il rammarico di doverne troncare la
trattazione per non sacrificare lo studio dell‟etica. Il Frassinetti annota:
Cum anni scholastici finis jam prope immineret, cumque eticæ
praestantiam, necessitatemque Præstmus Rev.dusque Lector dignosceret, hinc
627 Registro delle deliberazioni dell‟Università di Genova, n. 5, 11-1824.
309
nil aliud de physica speciali tradendum, sed eticæ elementa adeunda esse ipse
censuit.
Il vero motivo di troncare la fisica e passare subito all‟etica dovette
essere un altro. Il rettore si vedeva diminuito. In seminario gli faceva ombra
l‟ascendente che si andava acquistando il Gianelli, fatto dal Lambruschini
direttore di disciplina perché vi ristabilisse l‟ordine non saputo tenere dal
rettore; nella scuola di filosofia, cattedra che era stata già sua, doveva fargli
ombra il Valentini il quale non sapeva trattenersi da qualche battuta che gli
veniva regolarmente riferita. Cosí, durante quell‟anno scolastico 1823-1824,
prima rinunciò all‟incarico il Gianelli, “avendo veduto che nel modo in cui
erano sistemate le cose non poteva conseguire nessun intento”, poi il
Valentini seguito dal Rebuffo.
A nulla era servito al Gianelli alzare anche la voce. Racconta il nipote
don Giacomo che una sera, nell‟attesa d‟essere ricevuto dallo zio, udí
un forte litigio tra il Gianelli e quel Rettore, dicendo l‟uno che quel
governo non era buono e che non lo voleva, sostenendolo l‟altro per buono,
savio e conveniente... Alla fine il contraddittore, vedendo di non poterla
vincere, gli disse: “Tacete che un po‟ di filosofia ve l‟ho insegnata io stesso”.
Allora il Gianelli: “Eh, signor Rettore, se non avessi imparato altro che la sua
filosofia, ne saprei ben poca!” e dietro questi detti fecero una gran risata e
s‟augurarono la felice notte628.
Il Valentini, dunque, in quello stesso 1824 aveva deciso di lasciare
l‟insegnamento, per contrasti col rettore, senz‟aspettare la fine dell‟anno
scolastico, ma non voleva privare gli alunni dello svolgimento d‟un trattato
cosí importante per allievi indirizzati al sacerdozio com‟è l‟etica
sacrificando a questa disciplina il resto della fisica. Che spiegazione si desse
il Frassinetti di quel che succedeva vedendo il Valentini lasciare
l‟insegnamento senza completare l‟anno, lo si può argomentare da ciò che
scriverà il Cattaneo, suo compagno di corso, nella Cronaca piú volte citata:
Il Lettore di Filosofia Valentini lasciò la cattedra prima che finisse l‟anno
scolastico. Non si conobbe chiaro il motivo di questa risoluzione, ma dicono
che l‟Arcivescovo fosse disgustato di lui, altri credevano, e forse con maggior
fondamento, che il Rettore offeso dalle maniere piú franche assai che
628 G. GIANELLI, Osservazioni particolari intorno alla vita di mons. Gianelli scritta da
Fedele Luxardo, n. 59.
310
rispettose che usava il Lettore suddetto a suo riguardo, non avendo né anche il
riserbo di screditarlo presso i Seminaristi, l‟abbia fatto cadere dall‟affetto e
dalla stima dell‟ Arcivescovo, del che, avvedutosi il Lettore, domandò ed
ebbe la sua dimissione. In quel tempo che restava a terminare l‟anno supplí
alla scuola il Rettore... Nelle vacanze successive domandò la sua dimissione il
Professore Rebuffo629.
Non furono le uniche voci. Ne circolavano altre e tali da lasciare il segno
nel cuore dei giovani. Essi, i “ragazzi del Gianelli”, saranno diversi. Li
rivedremo nella “Beato Leonardo da Porto Maurizio” formare un cuore solo
e un‟anima sola, ignari di cosa sia gelosia o invidia. Già, perché non ci si
forma solo per assimilazione: “Anch‟io cosí”, ma ci si forma anche per
dissimilazione: “Io non cosí”. Stando alla Necrologia di don Antonio Drago
– pubblicata vivo il Lambruschini – la cosa dovette essere ben piú grave,
essendosi arrivato a denunciare l‟insegnamento del Valentini non conforme
alla sana dottrina.
Tanto merito e tanto nome – l‟aver conseguito il Valentini le lauree di
teologia, filosofia, diritto canonico e civile, aver fatto studi seri di
matematica, fisica e scienze naturali... – non gli valsero però a porlo in salvo
dall‟assalto di alcuni invidiosi, di quelli forse a cui sapeva troppo amaro che
egli, sebben non volendolo, avesse posto in chiaro la meschinità del loro
insegnamento, traendo colla sua fama dalle loro alla sua scuola la studiosa
gioventú. Per fargli danno colsero tempo di porlo in sospetto circa il metodo
d‟insegnamento all‟arcivescovo Lambruschini... Era il Lambruschini, come
ognun sa, assai dotto e vigilante prelato, ma forse nel zelo eccedeva, il quale
eccesso porta cieca fede al delatore: ondeché, senza informarsi altrimenti,
intimò al Valentini di riformare i suoi trattati. Questi glieli presentava da
leggere pregando gli esaminasse, e ove gli paresse trovar principj non sinceri,
lo convincesse di lor falsità, ch‟ei gli avrebbe tosto e volentieri mutati, se no,
il lasciasse libero d‟insegnare a suo modo.
La cosa sembrava appianata,
ma venutagli agli orecchi una parola detta dal Valentini in difesa d‟un
parroco che trattava una causa dinanzi a lui con manifesto suo disfavore,
bastò perché divampasse di fiero sdegno contro del Valentini, e lui che
cercava di purgarsene non ammetteva alle scuse... per lo che il Valentini, non
sapendo acconciare il generoso animo a modi cosí discortesi, si dispose tosto
a lasciare il seminario e la cattedra.
629 B. CATTANEO, Cronaca del Seminario dal 1803 al 1847.
311
Per le scuole del seminario fu una perdita. Valentini era professore di
valore, di mente aperta e di larghi interessi culturali. Apprendiamo sempre
dal Drago:
Con ben altro intendimento che d‟ozio, tenendosi lontano dai pubblici
impieghi – sacerdote novello aveva ricusato una parrocchia e un canonicato
offertigli dal cardinal Spina, suo arcivescovo, come pure incarichi a Roma
propostigli dal cardinal Ugo Spinola – intese a dar perfezione ai teologici e
filosofici suoi studi... Dopo profonda cognizione dei biblici volumi,
procacciatasi colla scorta d‟ottimi interpreti, e dopo un meditato studio dei
santi padri e dei dottori della Chiesa, gli rimasero in tanto amore S. Agostino
e S. Tommaso che ne prescrisse a se stesso quotidiana lettura per tutta la
vita... Ma sopra ogni altra scienza – aveva detto dei suoi studi di matematica,
fisica, scienze naturali – lo traevano a sé potentemente la Logica e la
Metafisica. Senza risparmio a spesa o a fatica aveva raccolti quanti piú gli
rinvenne di trovare libri di filosofi antichi e moderni con assidua meditazione
confrontando i sistemi di tutti, approvando que‟ che ponean fondamenti piú
stabili al vero e facendone poi base all‟edifizio che meditava, poté comporne
tanti trattati e dissertazioni da finirne un bel corso di studi.
Non poteva in nessun modo immaginare il Valentini che, di lí ad un
secolo, il suo corso di filosofia, che il Lambruschini s‟era rifiutato di
esaminare, l‟avrebbero esaminato a Roma fior di teologi della
Congregazioni dei Santi nella copia che ne aveva fatto il Frassinetti, teologi
ai quali non sfugge eresia e perfino parola che possa sonare male piis
auribus, a pie orecchie. Il sesto teologo censore, cui fu demandato il
compito di rivedere questi manoscritti, annota:
Innanzi tutto è chiaro che i volumi manoscritti 20 e 21 (Corso di filosofia)
e 22, 23 e 24 (Corso di teologia) non sono del sacerdote Giuseppe Frassinetti,
ma dei suoi maestri i cui nomi sono ivi riportati. Del resto, è cosa evidente
che degli adolescenti non possano riportare le lezioni con tanta precisione
avendole soltanto udite. Erano quindi lezioni trascritte con comodo630.
630 POS. Summ: ex Officio, pp. 22.24. Sul primo corso osserva: “L‟autore non fa
neppure un accenno circa la forma sostanziale dell‟anima rispetto al corpo, benché mostri il
loro reciproco influsso. A pp. 225-226 insegna che tutte le idee dell‟anima provengono dalla
fantasia, sicché, quando l‟anima è separata dal corpo, le idee sono rappresentate da Dio (sic)”.
Sul secondo corso, p. 388, si afferma che l‟evangelista Giovanni non fa parola dell‟ora della
morte di nostro Signore, mentre vi accenna nel cap. 19 . Da queste osservazioni si può
312
Le osservazioni, quindi, vanno riferite al Valentini per la filosofia e al
Decotto per la teologia. Il settimo teologo censore afferma che, premesso il
giuramento, ha fatto una lettura diligente dei volumi dategli in esame. Fa un
paio di osservazioni sul primo corso di filosofia ed è poco convinto della
teoria “boscovichiana” del secondo corso. Quisquilie631.
Il Valentini non restò a lungo senza cattedra. Di lí a qualche tempo, fu
chiamato ad insegnare logica e metafisica nella Regia Università di Genova.
D‟insegnare teneva questi modi: spiegava chiaramente la sua dottrina...
udiva volentieri le obiezioni che a chicchessia fosse piaciuto di fare e con
adeguate risposte le ribatteva. Dei diversi sistemi esponeva la storia, e amava
che gli studiosi vi ragionassero sopra con gli appresi principj, o approvandoli,
o rifiutandoli...
Chiunque da giovane ha amato lo studio ricorda cosa significò per lui
aver un avuto un professore di vasta cultura e lo stimolo che ne ricevette. Il
Frassinetti, e chi gli era stato compagno, da vecchi, parlando con i giovani
chierici per invogliarli a studiare, dovevano di tanto in tanto rievocare il
Valentini ed il Decotto – di quest‟ultimo diremo nel prossimo capitolo –
come si può arguire da una pagina della biografia del Fassiolo, il chierico
che era stato accolto in casa dal santo Priore e ne aveva ricevuto l‟ultimo
respiro:
La filosofia che ha per fine di indagare col semplice aiuto naturale le
ragioni ultime delle cose, fermando le sue ricerche sopra Dio, l‟uomo e il
mondo, è certo necessaria preparazione per lo studio di quella scienza piú
nobile, che è la sacra Teologia. Compreso da questa verità il giovane
Frassinetti entrò di buon animo nel difficile arringo dei filosofici studi. In ciò
gli fu maestro il professore Gerolamo Valentini, sacerdote che assai di
frequente ebbe a lodarsi di lui, ed ammirare sua prontezza nel rispondere,
argomentare con quale diligenza furono rivisti tutti i suoi scritti. Mi sia lecito fare una piccola
censura al censore: non a pagina 388 del corso del secondo anno, bensí del primo, dove parla
della storicità dei vangeli, e, minuzia per minuzia, Giovanni in 19,14 fissa l‟ora in cui Pilato
emanò la sentenza della crocifissione, non quella della morte: “piú o meno mezzogiorno”. Sul
secondo corso nulla da eccepire.
631 Critica il riporre l‟essenza di Dio nella sua eternità, ma, nel prosieguo dell‟esame,
trova la definizione giusta: ens a se. Vorrebbe piú chiarezza sul perché l‟anima umana non
può non essere immortale e, nell‟etica, non ristretto a mali della stessa specie il principio che
tra due mali si ha da scegliere sempre il minore. Ivi, pp-27.30-31.
313
l‟ordine delle idee, l‟attività dell‟ingegno. Attesta chi gli fu compagno – è
chiaro che torna col pensiero alle dispute scolastiche – che non mai avvenne
che restasse sopraffatto alle proposte difficoltà. Non abbandonò mai l‟arena
se non vincitore. Approfondiva di tratto il nodo della quistione, e con
modestia, e buona maniera ne esponeva la soluzione.
Se non che ogni suo desiderio era rivolto alla scienza delle divine cose; a
questa parea che anelasse con tutto il fervore dell‟animo; a questa non potea a
meno di non consacrare qualche ora anche prima di entrare in teologia. Ad
un‟anima piena dello spirito di Dio piace di certo il sentirsi parlare di tutto ciò
che la può condurre a Dio; ma allorché di Dio stesso le parla, e le rivela in
quel modo che si può le adorabili perfezioni, allora si accende tuttavia meglio
nell‟amore divino, e all‟udire quelli accenti dolcemente si acquietano le sue
brame. Questo dovette avvenire al Frassinetti, il quale, se agli studi della
filosofia attese con ogni alacrità e ne riportò lode e ammirazione dai maestri,
tuttavia nello studio delle teologiche discipline si applicò, quasi direi, anima e
corpo. Imperocché, a proporzione che egli si inoltrava nell‟imparare la
scienza di Dio, si avvicinava al sacerdozio al quale tenea rivolte le brame e da
gran tempo lo sospirava. Imperò non è a dire come egli si applicasse a questi
studi e, nello stesso tempo, il piacere che provava l‟innocente sua anima in
quelle investigazioni dell‟essere e dei misteri di Dio. Basti dire che egli non si
contentò alle semplici lezioni che giornalmente danno i maestri, le quali
studiava, ritenea e poi manifestava con tutta precisione, ma correa alle
biblioteche e sopra i grandi volumi dei teologi e dei padri spendeva lunghe
ore pensando e meditando senza risparmiare fatica alcuna. La qual cosa egli
facea sempre, ma specialmente nei giorni di vacanza, nei quali tutto il suo
ricreamento era una passeggiata insieme con un compagno di studio632 .
632 D. FASSIOLO, op. cit., pp. 19s.
314
CAPITOLO XXI
COSA STUDIARE
E
CON QUALE SPIRITO PENSANDO
ALLA‟ALTARE
La scienza, anche se delle cose di Dio, senza la carità, gonfia e
nuoce. È meglio non sapere, piuttosto che essere nell‟errore;
meglio però sapere che non sapere.
Se ci riusciamo, rendiamone grazie a Dio. Se poi non
riuscissimo a raggiungere la verità, guardiamoci dal cadere
nell‟errore. Amatela la scienza, ma anteponetele la carità. La
scienza gonfia, se ne è priva; ma la carità, perché edifica, non
permette alla scienza di gonfiarsi. Lí, dunque, la scienza
gonfia, dove è assente la carità che edifica, ma dove edifica, ha
solide basi.
Non c‟è gonfiore, dove questa roccia fa da fondamento.
AGOSTINO633
Cosa studiasse, e con quale spirito studiasse, il Frassinetti ce lo dice
lui stesso nelle Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici proposte ai
Chierici, che altro non sono se non il frutto della sua esperienza
personale. Lo dichiara esplicitamente nella prefazione634. Una scelta
633 I rinvii alle fonti nel corpo del capitolo.
634 G. FRASSINETTI, Osservazioni..., p. VII: “Ciascuno facilmente si persuade poter tornar
utile altrui ciò che prova utile per se stesso. Pertanto voglio confidare che alcune avvertenze
intorno agli studi ecclesiastici, le quali ho provato di qualche utilità per me, possano riuscire
di qualche utilità ancora per voi, o Chierici studiosi...”.
315
netta. “L‟ecclesiastico che non si considera tutto tale, e non è contento
di non esser altro che ecclesiastico, non sarà buono”. In nota aggiunge:
Chiederà alcuno, se con questo si voglia proibire agli ecclesiastici ogni altra
occupazione fuor delle sacre, come sarebbe l‟attendere alla letteratura, alle
matematiche, alla fisica, ecc. Se a qualcuno venisse tal dubbio, osservi egli
che, potendosi dirigere questi studii ed occupazioni alla maggior gloria di
Dio, come ve li diressero tanti ecclesiastici anche celebri per distinta santità,
non si dee dire che siano a un ecclesiastico disdicevoli, anzi noi li direm
convenienti. Vuolsi soltanto far notare, che ad essere buon ecclesiastico non
giova essere dotto letterato, dotto matematico ecc., se non si dirigono tali
studii ed occupazioni al gran fine dell‟ecclesiastico. Chi però ve li dirige,
aspirando ad essere letterato, matematico ecc., non attenderà ad altro che
essere ecclesiastico, e sarà buono, anzi, generalmente parlando, migliore di
quelli che non vi aspirano, perché, oltre tutti gli altri mezzi, avrà anche questi
atti a conseguire il suo fine. Se si parla poi di altre occupazioni, come negozii,
fattorie ecc., si vede chiaro che, chi vi attende, con qualunque pretesto voglia
giustificarsi, non può essere buon ecclesiastico635.
Anche la letteratura, certo. Pensava al Gianelli? Anche la fisica e la
matematica, certo. Pensava al Valentini? purché ordinate all‟unico fine
di “procurare l‟onor di Dio e la salvezza de‟ prossimi”636. Continuando
la lettura troviamo con quale spirito e purezza di intenzione ci dice si
debba studiare:
Questa istruzione [dell‟ecclesiastico] però, questa scienza non debb‟essere di
quella che gonfia lo scienziato e lo rende superbo, ma di quella che, mediante
la carità, lo rende umile; giacché un ecclesiastico superbo sarebbe peggiore
che un ecclesiastico ignorante, non potendosi temere da cento ecclesiastici
ignoranti que‟ danni che si debbono temere da un ecclesiastico superbo. Il
dotto superbo sa distruggere, il dotto umile sa edificare. La carità dunque dee
invitare l‟ecclesiastico a‟ suoi studii e l‟umiltà dirigerlo ne‟ medesimi637.
Posto il principio generale, passa ad esaminare i motivi esponendoli
sotto forma di domanda e risposta:
– Io sono ecclesiastico: quale sprone avrò allo studio? L‟onore, la
gloria, la fama?
635 ID., Ivi, p. 2 nota 1.
636 ID., Ivi, p. 5.
637 ID., Ivi, p. 3.
316
– Povero me! Non conosco il mio fine. Questo è l‟onore e la gloria di
Dio, non la mia. Non debbo cercare che vada per la bocca degli uomini il
meschino mio nome, ma quel gran Nome, nel quale soltanto ci può essere
salute638. Mi dice l‟amor proprio che si può ottenere l‟uno e l‟altro di
questi fini co‟ mezzi stessi; che posso cercare l‟onore e la gloria di Dio e
insieme procurarmi le giuste lodi e approvazioni degli uomini, le quali
alla mia scienza ben adoperata sono dovute. Non niego il principio, ma
vorrei sapere, prima di fidarmene, se alcuno abbia mai saputo camminar
bene per questa strada delle due intenzioni e se l‟amor proprio, che in
noi è sí forte, messo per via di costa all‟amor divino, che in noi è spesso sí
debole, siasi sempre contentato di stargli alla sinistra e alquanto indietro,
come conviene, o se invece per lo piú non abbia preteso di andare un
passo avanti alla dritta. Non me ne fiderò, perché questo senza dubbio è
un andare sconosciuto a tutti quelli che camminarono bene certamente,
quali sono gli ecclesiastici santi... [che] pare non conoscessero la teorica
delle due intenzioni ed io non voglio essere piú spregiudicato e piú
illuminato di quel ch‟essi furono.
– Quale altro sprone avrò allo studio? L‟interesse?
– Povero me! Se mi prefiggo un tal fine, avrò coraggio a
manifestarlo? No, avrei rossore che si dicesse. Dunque non dirò già solo:
non è da ecclesiastico, non è da cristiano; ma dovrò dire: non è da uomo
prefiggersi un fine che non si manifesterebbe senza arrossirne.
– Quale altro sprone avrò allo studio? Il passatempo?
– Povero me! Sarò tanto stupido da persuadermi che Dio mi conceda
tempo d‟avanzo ond‟abbia a cercar modo di occuparlo per non sentirne
il tedio? Qual differenza poi vi è tra perdere il tempo e studiare per
passatempo? Lo studio che si fa per passatempo è uno studio cosí
leggiero, inconcludente, che non lascia cognizioni se non inesatte,
sconnesse e confuse, le quali sono piú dannose dell‟ignoranza, perché è
sempre da preferirsi il non sapere al saper male639. Or non sarebbe un
638 At 4, 12.
639 AGOSTINO, Sermo 27. [Completo la citazione: de versiculis Psalmi 95: Melior est enim
fidelis ignorantia, quam temeraria scientia (meglio l‟ignoranza che una scienza temeraria –
affermazione chiarita da altra piú sotto riportata)]. Suppongo che il Frassinetti si sia servito
della terza edizione maurina. Il Migne era ancora di là da venire, essendosi cominciata la
stampa dei suoi volumi a metà degli anni Quaranta. Per il Frassinetti la raccolta degli scritti
agostiniani piú completa e piú reperibile dovette essere appunto la terza edizione dei Maurini
di Venezia stampata dal Remondini a Bassano nel 1797, lo stesso anno della fine della
gloriosa repubblica, quel Remondini a cui anche sant‟Alfonso aveva affidato la pubblicazione
delle sue opere. La presente citatazione è nel tom. VII, c. 144 C. Dalla stessa edizione sono
prese le citazioni riportate piú avanti.
317
gravissimo disordine abusare degli studii ecclesiastici per perdere il
tempo con tanto danno?
– Ma dunque quale altro sprone avrò allo studio?
– La carità. Ella è la sola che debba invitar l‟ecclesiastico a‟ suoi studii.
L‟amor di Dio, l‟amor de‟ prossimi lo debbono occupare tutto quanto, ed
eziandio tutte le sue operazioni, perché l‟unico suo fine è quello di procurare
l‟onor di Dio e la salvezza de‟ prossimi. Dunque la sola carità deve invitare
l‟ecclesiastico allo studio, e l‟ecclesiastico che studierà mosso dalla sola
carità, sarà il solo che negli studii riuscirà a perfezione... se negli studii sarò
mosso da tutt‟altro, fuorché dall‟amor di Dio e del prossimo, non potrò con
questi l‟onor di Dio e la salute dei prossimi procurare. Ove si prende la mira
là dirigesi il dardo, e sarebbe miracolo se andasse a finire in altra parte.
Quanto è ingegnoso l‟amore nei ritrovati! Osservate, di grazia, un
appassionato per qualche oggetto: non gli sfugge mai punto di ciò che possa
favorire l‟oggetto amato. Cento cose sfuggiranno a voi che lo andate
distintamente esaminando bensí, ma a cuor freddo. Tutte invece egli le nota in
un‟occhiata. Similmente se voi vi darete agli studii ecclesiastici spronati
soltanto da carità, imparerete ciò che potrà maggiormente conferire alla gloria
di Dio e alla salute de‟ prossimi quasi di slancio; mossi invece da altro fine,
non vi basteranno le piú diuturne considerazioni sulle scienze medesime,
perché ne abbiate una cognizione sufficiente. Per questo è che molti santi,
sebbene abbiano passato la loro vita in immense fatiche, lasciarono tanti
scritti eccellenti per procurare la gloria di Dio e la salvezza de‟ prossimi;
mentre tant‟altri, consumandosi nella polvere delle lor biblioteche senza far
altro, o nulla lasciarono o cosí poco, che solo prova la sterilità del loro
ingegno. La differenza procede da ciò: che quegli appassionati e caldi di
amore studiavano le cose sante, questi invece freddi ed intirizziti640.
Qui il Frassinetti, senza pensarci, ci dava la risposta alla meraviglia
che suscita in noi la sua vita: come poté essere due in uno, pastore cosí
preso dalla cura delle anime che si fa difficoltà a pensare trovasse
tempo di stare seduto a tavolino un quarto d‟ora per scrivere una
lettera, e scrittore cosí preso dai suoi studi da avere sí e no tempo di dire
messa e breviario. Ma completiamo queste pagine che ci rivelano con
che animo egli studiasse.
Si osservi frattanto che chi ama Dio ama la Chiesa, e l‟ama perché è
la sposa di Gesú Cristo, perché è l‟arca della nostra salvezza, nella quale
sola si può sperare lo scampo dall‟universale naufragio... Io l‟amo, io
l‟amo, io ne sono pazzo, dicea san Giovanni Grisostomo. E chi non si
640 G. FRASSINETTI, Osservazioni..., pp. 3-7.
318
sentirà trasportato da altrettanto affetto verso di lei? Chi si sentisse
alquanto freddo in questo amore, l‟accenda. L‟avvivi, ché troppo è
necessario, onde riescano vantaggiosi gli studii ecclesiastici. Giova
ripeterlo: nessuno poter rilevare sí bene le bellezze di un qualche oggetto,
quanto chi n‟è appassionato... E quando nomino la santa Chiesa, non
intendo parlare di una chiesa astratta, immaginaria, divisa e confusa,
senza centro, come la immaginarono certi infelici: intendo... quella che
dura da Gesú Cristo fino a noi, quella che ha Pietro per capo, al cui
governo Pietro sempre vive nella serie non interrotta de‟ Pontefici suoi
successori, quella che è Una, Santa, Cattolica, Apostolica, Romana.
Chiamati cosí agli studii ecclesiastici dalla carità che edifica 641,
bisogna che in essi ci lasciamo guidare dall‟umiltà. Che cosa è l‟uomo se
si abbandona al suo ingegno e a‟ suoi lumi? È una nave senza timone in
mare tempestoso e pieno di scogli. Egli è molto inferiore all‟ignorante, e
quanto piú nello studio s‟immerge, altrettanto piú sotto l‟ignorante
sprofonda. Vi fu difatti giammai tra gl‟ignoranti chi arrivasse a
persuadersi e ad insegnare errori cosí palpabili e mostruosi, quali
insegnaronli molti letterati e scienziati che si abbandonarono al proprio
ingegno senza voler altra guida? Poca lettura di storia tanto ecclesiastica,
come profana, basta a mostrarci che gli spropositi piú sorprendenti non
uscirono di bocca agli ignoranti, ma sí ai dotti superbi.
Vi vuol dunque umiltà, tanto piú che gli studii ecclesiastici, molto avendo di
soprannaturale, s‟innalzano sopra la sfera dell‟umano intendimento, e perciò
il volere soltanto servirsi dei propri lumi nel loro corso, sarebbe lo stesso
come volersi servire delle braccia per volare. Ciascuno dee dubitare dei
propri lumi, e persuadersi d‟aver gran bisogno de‟ lumi altrui, e nelle materie
ecclesiastiche de‟ lumi della chiesa. Le decisioni, le approvazioni o
disapprovazioni, espresse o tacite di lei, ci somministreranno que‟ lumi dietro
i quali non si può errare642.
Il Frassinetti, nelle opere indirizzate alla santificazione dei fedeli,
scriveva per edificare e non per fare opera scientifica. Nessuna
meraviglia che sia molto parco di citazioni per non appesantire il
dettato aumentando pagine e prezzo. Le citazioni esplicite sono poca
cosa rispetto a quelle omesse, come in questi consigli ai giovani chierici,
in cui troviamo un solo rinvio ad un sermone di sant‟Agostino, mentre
per tutto il discorso non fa che sviluppare pensieri del santo dottore.
Sarebbe uno studio interessantissimo rileggere le opere del Frassinetti
641 1 Cor 8,1.
642 G. FRASSINETTI, Osservazioni..., pp. 7-9.
319
cercando di individuare le fonti non citate da cui attingeva e scoprire a
quale mensa si nutriva per nutrire. Se uno si incuriosisce e le va a
ricercare, scopre che quel suo dire, che sa tanto di conversazione, era
basato su una rilevante ricchezza di letture. Oltre al magistero della
Chiesa, sant‟Alfonso, san Tommaso d‟Aquino, santa Teresa d‟Avila,
san Giovanni della Croce, v‟è una massiccia presenza di santi padri e
dei sommi della teologia.
Perché cosí parco nel citare? Perché non si rifà anche in questo al
suo maestro sant‟Alfonso? Trovo la risposta in me stesso. Alunno del
ginnasio inferiore ero ai miei primi latinucci quando mi capitò fra mano
Le glorie di Maria di sant‟Alfonso. Le lessi con amore, piacere e
curiosità, peccato che le molte citazioni me ne inceppassero la lettura.
Ho voluto controllare se l‟impressione che me ne era rimasta fosse vera.
Nell‟edizione Marietti del 1845, primo volume, cm 14x22, nelle prime
due pagine a doppia colonna, vedo citati sant‟Atanagio (sic), san
Bernardino, sant‟Arnoldo, Ruperto abate , di nuovo san Bernardino,
Guernico abate, il beato Alberto Magno, Seneca, due volte, san
Tommaso, un salmo, san Bonaventura, e continua poi con l‟arcivescovo
di Praga Ernesto, di nuovo san Bonaventura, Alberto Magno... Di
ciascuno riporta un corsivo in latino per un totale di 42 righe! Anche se
non manca di darne la traduzione, o almeno il senso, resta pur sempre
zona di mistero senza risposta per chi ignora la lingua, inutile per chi,
come nel mio caso, già aveva cominciato a masticarlo.
Il Frassinetti scriveva per giungere al cuore dei semplici. Come egli
non si sentiva defraudato dalle molte edizioni pirata che si facevano
delle sue opere, anzi se ne rallegrava, vedendo penetrare in piú largo
raggio la parola di salvezza, cosí non si preoccupava piú di tanto di
indicare ogni volta a quale padre o santo dottore andava debitore di
questo e quel pensiero inzeppando la pagina di citazioni che avrebbero
distolto dalla lettura. In fondo non faceva altro che attenersi
all‟esortazione dell‟Apostolo di esaminare tutto e di servirsi di ciò che si
giudica buono643 e, sulla sua parola, ne dispone da padrone per sé ed i
suoi fedeli: perché
è tutto vostro – dice l‟Apostolo – quel che è di Paolo, o di Apollo, o di Cefa,
e il mondo e la vita e la morte, sia le cose presenti come le future, tutto è
643 1 Ts 5,21.
320
vostro, e voi di Cristo, e Cristo di Dio!644 provenendo tutto dallo stesso ed
unico Spirito645.
Perché si abbia un‟idea di cosa il Frassinetti facesse fin da giovane nelle
lunghe ore passate in biblioteca e di come poi ripresentasse la sostanza
delle sue letture – in questo caso di Agostino – attinta dai molti volumi
in folio, do io un saggio di queste fonti agostiniane non citate che ci
mostrano come il Frassinetti segua da vicino il sermone ventunesimo
tenuto da sant‟Agostino il 27 luglio 413, nona domenica di Pentecoste,
commentando i versetti 5,20-23 del vangelo di Giovanni:
È meglio infatti non sapere, piuttosto che essere nell‟errore; meglio però
sapere che non sapere. Se ci riusciamo, rendiamone grazie a Dio. Se poi non
644 1 Cor 3, 22s.
645 Ivi, 12,11. Il pensiero di Paolo dovette essere anche il modo di pensare di sant‟Ambrogio,
uno che non rifuggiva dal reperire cibo sano in terra greca per nutrire i fedeli del mondo
latino, suscitando scandalo in san Girolamo. Nei suoi tre libri su lo Spirito Santo Ambrogio si
era fatto bello con farina del sacco di Didimo il Cieco! Perché i latini se ne potessero rendere
conto, Girolamo ne fece lui una sua versione che cosí presentava a Paolino: “Io ho preferito
farmi traduttore d‟opera altrui, piuttosto che, come altri – leggi Ambrogio –, mostruosa
cornacchietta, farmi bello delle penne di un pavone”. Chi leggerà la sua traduzione
“conoscerà i furti dei latini – leggi ancora Ambrogio – e, cominciato che abbia ad attingere
alle fonti, disprezzerà i rigagnoli” (PL 23,103s.). Girolamo era uomo di biblioteca, anzi lui
stesso una biblioteca; Ambrogio pastore d‟anime. Non si creda però che Girolamo non
stimasse Ambrogio, tutt‟altro! Vero è che nel De viris illustribus dice di non volerne parlare
perché, essendo ancora vivo, teme di peccare contro la verità o di adulazione (PL 23,711s.), e
nelle lettere non tralascia di far notare le dipendenze di Ambrogio dai greci Orígene, Ippolito
e Basilio, ma, nelle sue addizioni al Chonicon d‟Eusebio, ci dice che, divenuto Ambrogio
vescovo di Milano, “tutta l‟Italia tornò alla retta fede” (PL 27,697); ad Eustochio consiglia la
lettura del nostro Ambrogio, cosí eloquente nei suoi trattati sulla verginità da aver saputo
ricercare, ordinare ed esporre quanto delle vergini è possibile dire (PL 22,409). Lo stesso
consiglio da a Pammachio: lege Ambrogium, e gli anticipa una citazione di ben 23 righe (PL
22,393.504s.508). I due si erano conosciuti a Roma al tempo del Sinodo romano convocato
da papa Damaso. Molte le affinità che li univano, oltre al loro amore per la verginità
consacrata ed il culto a Maria. Giudizio di letterato, dunque, quello di Girolamo, cui però era
sfuggita la libertà con cui Ambrogio ritratta la materia e la completa. Certo, aveva attinto da
Didimo, ma psa attingere e far suo un genio! Aveva quindi il Frassinetti un buon
predecessore, né ci si meravigli se i suoi amici, scrivendo di lui scrittore, possano non sempre
aver tutto condiviso. Ancora una cosa mi fa riavvicinare il nostro Frassinetti a sant‟Ambrogio:
il non pubblicare scritto senza primo averlo sottoposto al giudizio di amici competenti,
Ambrogio al vescovo Sabino (PL 16, Ep. 47 e 48).
321
riuscissimo a raggiungere la verità, guardiamoci dal cadere nell‟errore 646.
Continuando la ricerca, si scopre che è ancora di Agostino quel
concepire lo studio frutto della carità nutrita d‟umiltà.
Come fu affermato che la carne non giova a nulla647 allo stesso modo
[l‟Apostolo affermò] che la scienza gonfia648. Dobbiamo dunque odiare la
scienza? Dio liberi! Cosa vuol dire dunque: La scienza gonfia? Gonfia se
è sola, senza la carità. Per questo l‟Apostolo aggiunse: Ma la carità
edifica. Aggiungi dunque alla scienza la carità, e ne fai cosa utile, non per
se stessa, ma per la carità. Cosí qui: La carne non giova a nulla, non
giova da sola, ma vi acceda lo spirito, come la carità alla scienza, ed ecco
che giova assai649.
La scienza, dice l‟Apostolo, gonfia650. Dobbiamo dedurne che dovete
fuggirla e preferire d‟essere ignoranti piuttosto che gonfiarsi? Ma perché
sto qui a parlarvi se è meglio l‟ignoranza che la scienza? Perché star qui
a disputare con voi e far distinzioni? Perché mai ricordarvi le cose che
già sapete e dirvi quelle che ignorate, se la scienza è da fuggire perché
non ci gonfi? No, amatela la scienza, ma anteponetele la carità. La
scienza gonfia se ne è priva, ma la carità, perché edifica, non permette
alla scienza di gonfiarsi. Lí, dunque, la scienza gonfia, dove è assente la
carità che edifica, ma dove edifica, ha solide basi. Non c‟è gonfiore dove
questa roccia fa da fondamento651.
Cosa dice l‟Apostolo di coloro che amano gloriarsi della propria
giustizia? “Riconosco che hanno zelo per Dio” 652. Dunque, parlando dei
giudei, l‟Apostolo riconosce che hanno zelo per Dio, ma uno zelo non di
buona scienza. Cosa vuol dire zelo non di buona scienza? Quale è la
646 AGOSTINO, Tractatus in Iohannis evangelium, XXI, tom. IV. c. 604B: Melius est enim
nescire, quam errare, sed scire est melius quam nescire. Itaque ante omnia conari debemus
ut sciamus, si potuerimus, Deo gratias. Si autem non potuerimus interim pervenire ad
veritatem, non eamus ad fallaciam.
647 Gv 6,64.
648 1 Cor 8,1.
649 AGOSTINO, Tractatus in Iohannis evangelium, XXI, tom. IV., c. 467C.
650 1 Cor 8,1.
651 AGOSTINO, Sermo 354 ad continentes, tom VII, c. 1377.EF.
652 Rm 10,2.
322
scienza buona che tu raccomandi? Quella che da sola gonfia e che, non
accompagnata dalla carità, non edifica? Certo che no, bensí la scienza
congiunta a carità, maestra d‟umiltà...653.
Cosa dice [il Signore] ai malati perché, ricuperata la vista, possano in
un qualche modo pervenire al Verbo per cui tutto è stato creato?
Prendete il mio giogo su di voi ed imparate da me che sono mite e umile di
cuore654. Cosa dichiara agli uditori il maestro Figlio di Dio, la Sapienza
di Dio, per cui tutto è stato fatto?... Imparate come ho fatto i cieli e tutto
il resto?... No, ma innanzi tutto che egli è mite ed umile di cuore. È
questo che dovete comprendere, fratelli. Una cosa da poco. Aspiriamo a
cose grandi, comprendiamo le piccole e saremo grandi. Vuoi pervenire
all‟altezza di Dio? Afferra prima l‟umiltà di Dio... Fai tua dunque
l‟umiltà di Cristo, impara ad essere umile, non insuperbire. Fatta tua la
sua umiltà, con lui t‟innalzi... Osservate l‟albero, per estollersi in alto,
cerca il profondo,... Tu vorresti comprendere le cose eccelse senza la
carità? Un innalzarti all‟aria senza radici? Questo non è crescere, ma
franare. Se per la fede Cristo abita nei vostri cuori, affondate le radici
nella carità, su di essa ponete le fondamenta e vi riempirete di tutta la
pienezza di Dio655.
Pertanto anche tu, caro [Gennaro],... sia che legga, sia che studi,
ricorda la grande verità: La scienza gonfia, la carità edifica... La carità
non è invidiosa,... non si gonfia656. Si usi la scienza come una macchina
che faccia innalzare la struttura della carità che rimane in eterno, anche
quando la scienza sarà distrutta. Se la scienza non ha per fine la carità,
non solo è superflua, ma persino perniciosa...657.
Colui che siede sopra i cherubini... Quei che conoscono la lingua
ebraica... ci dicono che i cherubini sono la pienezza della scienza.
Siccome Dio è al di sopra d‟ogni scienza, ne viene che siede sopra la
pienezza della scienza. Sii pure tu ripieno di scienza, e tu pure sarai sede
di Dio. Vedo che stai per chiedermi: – Quando sarà in me la pienezza
della scienza? – Voglio credere che tu non pensi che Dio voglia che noi si
653 AGOSTINO, Enarratio in Psalmum 142, Sermo ad populum, tom VI, c. 1039s.
654 Mt 11,29.
655 AGOSTINO, Sermo 118 de verbis Evangelii Iohannis “In principio erat Verbum...”, tom.
VII, c. 589B.
656 1 Cor 8,1; 1 Cor13,4.
657 AGOSTINO, Ad inquisitiones Ianuarii, seu Epistola 55, liber II, cap. 21 ¶ 39. tom. II, c.
190B.
323
conosca il numero delle stelle o quanti sono i granelli, non dico
dell‟arena, ma del frumento, o quante mele pendano dall‟albero...
Diversa è la scienza di cui da noi vuole la conoscenza... si tratta della
scienza che riguarda la legge di Dio. Dirai: – E chi può conoscere cosí
bene la legge da averne la pienezza della conoscenza e dirsi sede di Dio ?
– Non volerti spaventare. Ti dico in breve cosa devi avere per possedere
la pienezza della scienza ed essere sede di Dio. Dice l‟Apostolo “Pienezza
della legge è la carità”658. Capito? Non hai piú scuse. Interroga il tuo
cuore e vedi se c‟è carità. Se c‟è carità, c‟è la pienezza della legge, e già in
te abita Dio, sei già sede di Dio659.
[Dicendo l‟Apostolo] “La lettera uccide, lo spirito vivifica” 660, pare che
condanni l‟una e lodi l‟altro. Ma dicendo “la lettera uccide”, intende la lettera
da sola, priva della grazia. Rifacciamoci all‟altra espressione “La scienza
gonfia”661. Condannata qui la scienza? Difatti se gonfia, è meglio restare
incolti. Ma, poiché aggiunge: La carità invece edifica, ci dà ad intendere che
la lettera uccide se è senza lo spirito, se con lo spirito vivifica e ci rende
osservanti della lettera. Cosí la scienza: senza la carità gonfia, con la carità
edifica662.
I brani sopra riportati ce li compendia in una sola riga lo stesso
Agostino: “Scientia, quamvis ad legem Dei pertineat, si in aliquo sine
caritate fuerit, inflat et nocet”663.
Ho riportato di proposito un buon numero di passi agostiniani, e
potrà sembrare si sia esagerato, per giustificare una mia conclusione: i
consigli del Frassinetti ai giovani chierici, già fatti suoi, sono un
distillato del pensiero di Agostino, ma lo stile è del Frassinetti, il che sta
a dire che non solo aveva letto i passi, ma li aveva tanto ripensati da
assimilarseli fino a farli sostanza del suo stesso pensiero, fino al punto
658 Rm 13,10.
659 AGOSTINO, Enarratio in Psalmum 98, Sermo ad plebem tom. VI, c. 340D.
660 Rm 4,15.
661 1 Cor 8,1;13,4.
662 AGOSTINO, Sermo in die Pentecostes, tom. VII, c. 1099B.
663 ID., Contra Cresconium donatistam, Liber I, cap. 25, § 30, tom. XII c. 511AB: “La
scienza, anche se riguarda la legge di Dio, in chi è privo di carità, gonfia e nuoce”.
324
che, se non si ha fresca la lettura d‟Agostino, non se ne avverte
minimamente la dipendenza.
Prima di chiudere il capitolo, un ultimo consiglio del Frassinetti ai
giovani, oggi non privo di attualità, parendo non degno d‟essere letto un
libro che in copertina non porti l‟indicazione di nuovo o, se si tratta di
commenti biblici, la locandina non ci prometta una nuova chiave di
lettura. Nessuna condanna del nuovo, per carità!, ma un po‟ piú di
modestia e d‟umiltà, per restare ai consigli di sant‟Agostino, non
dispiacerebbe. Almeno, nell‟avanzare un‟ipotesi, lasciare l‟impressione
che è solo un‟ipotesi, e non certezza.
Soprattutto però, chi si dà agli studii ecclesiastici tema la novità, la quale fu
sempre, rispetto alle materie ecclesiastiche, la primogenita della superbia.
Ciascuno ama i propri ritrovati e li vorrebbe vedere accolti. Nelle materie
profane il danno sarà poco importante, com‟esse sono; ma in quelle, delle
quali parliamo, sarà di gran conseguenza, come son esse. Per recare cose
nuove alla Chiesa vi vuole una speciale missione di Dio e sarebbe cosa troppo
pericolosa il supporre di averla664.
Questi consigli, che abbiamo preferito mantenere uniti, ci servano di
introduzione agli studi di teologia del nostro Servo di Dio.
CAPITOLO XXII
LO STUDENTE DI TEOLOGIA
664 G. FRASSINETTI, Ivi, pp. 5-9. Si metta a raffronto quest‟ultimo paragrafo con la pagina che
il Newman scriverà di lí ad un quarto di secolo e da noi riportata nel capitolo introduttivo p.
XVIII.
325
Prospetto del corso degli studi del Frassinetti
Anno
±1811-1815
±1815-1817
±1817-1819
Corso
Elementari
I e II grammatica
I e II umanità
Insegnanti
P. Angelico [Non si sa se ebbe anche altri insegnanti. Don
Paolo Rebuffo per umanità?665. Se sí, privatamente, non in
1819-1820
1820-1821
1821-1822
1822-1823
1823-1824
1824-1825
I rettorica
II rettorica
I filosofia
II filosofia
I teologia
II teologia
seminario]
Sant‟Antonio M. Gianelli
Sant‟Antonio M. Gianelli
Can. Girolamo Valentini
Can. Girolamo Valentini
Can. Marco Decotto | [Gaetano De Albertis]
Can. Marco Decotto | Can. Giuseppe Massa
1825-1826
1826-1827
III teologia
IV teologia
Can. Decotto - Can. Gir. Bolasco | Can. Massa
Can Girolamo Bolasco | Can. Giuseppe. Massa
Prima di passare a parlare della scuola di teologia è bene avere presente
il prospetto del corso degli studi del Frassinetti. È qui dato completo dal suo
primo sillabare alla conclusione degli studi666.
665 C. OLIVARI, Il Servo di Dio G. Frassinetti..., p. 22; G. Capurro, Alcune memorie...,
manoscr., p. V, lo fanno alunno del Rebuffo. Ma all‟uno e all‟altro è sfuggito il passo dove il
Frassinetti afferma di essere andato in seminario il 1820 [=1819-1820] per la “Rettorica”. Cfr.
nota seguente. Avendolo creduto andato a studiare “Umanità” in seminario, insegnata dal
Rebuffo, dedussero che fu suo scolaro. Il Rebuffo fu buon letterato, professore all‟università
e, con don Antonio Bacigalupo, direttore del Giornale Ligustico, ma solo nominalmente,
essendo direttore di fatto, nonché redattore, lo Spotorno.
666 Il prospetto sembra contraddire quanto il Frassinetti dichiara di se stesso: “Posso
parlare del [seminario] dall‟anno 1820 nel quale anno sono andato a studiarvi Rettorica” – G.
FRASSINETTI, Sulla deficienza delle vocazioni allo stato ecclesiastico, Genova 18702, p. 35 –
data che pare confermata dagli elenchi degli alunni di “Rettorica” membri dell‟Accademia
degli Ingenui. Con un‟affermazione cosí esplicita è facile cadere in errore, come io stesso vi
sarei caduto, se non ne fossi stato corretto dallo stesso Frassinetti che, nella raccolta delle
lezioni del terzo anno di teologia, pone la morte del Decotto nel gennaio del 1826, quindi era
l‟anno scolastico 1825-1826, e non il successivo, come sarebbe stato se avesse iniziato
“Rettorica” nel 1820. Perciò la data di questa raccolta di lezioni va letta:1825-1826, anche se
vi troviamo scritto solo 1826. Allo stesso modo quel 1820 va letto: anno scolastico 18191820. Che cosí vadano lette le altre date che troviamo nel frontespizio e nel colophon delle
altre raccolte di lezioni, ce lo conferma una sua nota nell‟ultima pagina dell‟Ordo ad divina
officia dell‟archidiocesi di Genova del 1827, l‟anno della sua ordinazione, in cui memorizza
le date della sua ascesa all‟altare: “Ego Joseph Frassinetti... anno Domini 1824 die 11 ma
326
Si è parlato a lungo dell‟internato del seminario, della scuola di
“Rettorica” e di filosofia, ma non ancora di ciò che fa del seminario la sua
ragione di essere: la scuola di teologia. Se la disciplina e la formazione che
si dava nell‟internato del seminario genovese era quello che abbiamo visto
che era, la scuola era buona, specie quella di teologia. Merito del cardinal
Spina.
È facile dare un giudizio non equo d‟un uomo se non se ne considerano
tutte le sfaccettature. Se il cardinal Spina fosse vissuto un quarto di secolo
prima avrebbe lasciato memoria di gran signore, di buon diplomatico, buon
pastore, ma soprattutto lo ricorderemmo grande per la sua inesauribile
carità. Si trovò invece a vivere nel turbine della Rivoluzione francese senza
avere il cuore d‟un Ambrogio di Milano, d‟un Atanasio o d‟un Giovanni
Crisostomo. Con Napoleone fu debole, troppo debole, ma è pur vero che
seppe riversare il frutto della sua arrendevolezza a favore della chiesa
genovese, come è pur vero che, non ancora cardinale, era riuscito ad
ottenere la salma di papa Pio VI, che aveva seguito in esilio e ne aveva
raccolto l‟ultimo respiro, e portarla a Roma. Appena fatto pastore
dell‟archidiocesi genovese, riuscí pure, col favore di Napoleone, a riaprire il
seminario667 e a riorganizzarne le scuole affidando la cattedra di teologia ad
un ex gesuita, Antonio Signorotti, ex per essere stata sciolta la compagnia.
All‟epoca il “lettore” di teologia insegnava tutta la teologia, sia dogmatica
Aprilis... habitum clericalem indui... theologiæ curriculi anno 1mo sub Lectore Marco
Decotto”, quindi quel MDCCCXXIV della raccolta delle lezioni dell‟Annus 1mus Curriculi
Theologiæ Dogmaticæ va letto 1823-1824. Sempre nella stessa nota: “Anno 1827... die 31
Martii ad sacrum Subdiaconatus Ordinem promotus fui... anno IV curriculi sub lectore
Hieronimo Bulasco”. Frequentò quindi anche il quarto anno di teologia – non sempre e non a
tutti era richiesto – nel 1826-1827. In quel 1827 sarà pure ordinato sacerdote il 22 settembre.
667 Lo Spina si serví del seminario anche per imboscarvi non pochi giovani per niente
vogliosi di andare ad immortalarsi sui campi di battaglia, avendo concesso Napoleone
l‟esenzione dal servizio militare ad un dato numero di seminaristi, numero che veniva fissato
dal governo. Quando il seminarista Gianelli si rivolse al suo vescovo per esservi incluso, le
esenzioni disponibili erano già state tutte assegnate a giovani di Genova. Cfr. G. GIANELLI,
nipote del Santo, nel manoscritto Osservazioni intorno alla Vita di Mons. Antonio Gianelli
scritta da don Fedele Luxardo, pp. 388 (ACGSG). Lo stesso Spina della famosa pastorale in
cui aveva esortato i giovani ad arruolarsi,come il Pareto, anche lui e tanti altri, diceva sí e, se
poteva, faceva volentieri no. La presenza in seminario di questi schivaschioppo, per usare un
vocabolo del Gianelli, spiega, per la sua parte, il poco spirito ecclesiastico che vi si era
instaurato: Maiora premebant!
327
che morale ed il quanto bastava delle altre discipline che si facevano
rientrare o nell‟una o nell‟altra.
Uno studio meno profondo delle singole materie, certo, alcune appena
accennate, altre del tutto ignorate. In cambio v‟era unità d‟insegnamento. Un
sol professore che, se nella morale mostrava il peccato, nei trattati della
grazia e dei sacramenti mostrava i mezzi per ottenerne la purificazione e per
non ricadervi; in quello d‟ascetica l‟invito ad una maggior perfezione... Non
sempre oggi, con la moltiplicazione delle cattedre, s‟incontra un professore
che ricomponga ad unità le varie discipline, né ogni alunno è capace di
operare da sé la grande sintesi.
La scelta fu felicissima, soprattutto se si pensa cosa era stato quell‟
insegnamento nel decennio precedente, prima ancora che calassero i
francesi. A Genova il movimento giansenista era già ben radicato. Al Degola
e al Molinelli, per citare due dei maggiori, s‟era aggiunto il Palmieri, dovuto
fuggire di Toscana, uno dei piú attivi nel Sinodo di Pistoia e nell‟Assemblea
di Firenze. Il vescovo di Colle Val d‟Elsa, il senese Nicolò Sciarelli,
scriveva il 4 novembre 1793 al Degola:
Non sono le sue le prime consolanti nuove dei progressi che la verità fa in
questa fortunata città. I Molinelli e i Degola sembrano i forti atleti suscitati in
questi giorni di combattimento per difenderla. Io invidio queste felici diocesi,
dove almeno la verità non è incatenata e tenuta in silenzio e schiava668.
Dal 1784 al 1792 la cattedra di Teologia era stata tenuta da
Giovambattista Lambruschini669, di dottrina buona e sicura. In quegli anni il
668 Per questa, e per altre citazioni di cui non si dà la fonte, si intende rinviare a A.
COLLETTI, La Chiesa durante le Repubblica Ligure, Genova 1950, da cui a p. 9 si attinge
questa citazione.
669 Non si confonda col il fratello minore Luigi, barnabita, (1776-1854), arcivescovo di
Genova, nunzio a Parigi, cardinale segretario di Stato di papa Gregorio XVI dal 1836 al 1846,
e tra i papabili nel conclave in cui venne eletto Pio IX (ebbe 15 voti al primo scrutinio, ma
alla sua elezione s‟oppose il gruppo capeggiato dal card. Giovambattista Bernetti (17551827). Giovambattista Lambruschini aveva pubblicato in Genova due riassunti di morale
(1788) e un trattato sulla grazia (1789), destando allarme nel governo repubblicano per le tesi
contrarie al Sinodo pistoiese. Fatto vescovo di Orvieto nel 1807, preferí l‟esilio piuttosto che
prestare giuramento a Napoleone. Altri due fratelli sacerdoti non fecero notizia, cosí due
sorelle suore e altre due non sposate che convissero con i fratelli sacerdoti. Raffaello
Lambruschini (1788-1873), anche lui sacerdote, a cui i nostri testi di filosofia e di pedagogia
non mancano di consacrare un paragrafo o di farne almeno un cenno, fu nipote dei precedenti,
328
giansenismo non ebbe accesso in seminario. Nel 1792, divenuto il
Lambruschini priore delle Vigne, il vescovo Lercari affidò la cattedra di
teologia a Stefano de Gregori, uno dei piú bei nomi del giansenismo
genovese e già alunno del Molinelli. Subito cessarono le battaglie
antigiansenistiche che nei tempi del Lambruschini avevano avuto
ripercussioni anche in città. Il non parlarne era la via scelta per favorirlo.
Con Stefano de Gregori l‟eresia stava prendendo tanto piede che il vescovo
Lercari nel 1795, al riaprirsi delle scuole, cercò di porvi riparo licenziandolo
e chiamando a succedergli Gerolamo de Gregori, già alunno del
Lambruschini, non ancora sacerdote, perciò detto con disprezzo il bambolo!
Alla calata dei francesi per i giansenisti cominciarono i tempi d‟oro. Subito
pretesero il richiamo di Stefano de Gregori e l‟ottennero, ma non riuscí a
portare a termine l‟anno scolastico. Intanto gli eventi precipitarono, il
seminario fu dovuto chiudere e cosí rimase fino al 1803, quando fu potuto
riaprire dallo Spina670.
Da buon diplomatico, lo Spina evitò di urtare i giansenisti
prendendoli di petto, anzi sembrò prestar loro una qualche simpatia,
ma senza affidar loro incarichi di sorta671. Per la teologia, per esempio,
non convocò Stefano de Gregori, bensí un ex gesuita, il Signorotti, il
quale, anche se non tenne a lungo la cattedra, restò punto di
nato dal loro fratello Pasquale, l‟unico sposato dei nove. Raffaello fu l‟antitesi dello zio piú
famoso e viene da chiedersi se, almeno in cuore, non sia stato piú protestante che cattolico.
670 Dovendo trattare ampiamente del giansenismo nella seconda parte, qui mi limito a
rinviare al COLLETTI su citato, pp. 9-18, da cui ho sunteggiato e dove si hanno i rinvii alle
fonti.
671 Il nipote del Gianelli, nelle sue Osservazioni intorno alla vita dello zio scritta dal
Luxardo, su citate, a p. 417 postilla l‟affermazione a p. 57 sui parteggiani della eresia
gianseniana (sic) con una nota rivelatrice: “[Il Gianelli] piú di una volta ricordò co‟ suoi
commensali Borgone e Molinari di codesti settari assai scaltri e diceva che il Card. Spina li
conosceva benissimo come accorto, prudente e fino che egli era, e che a questi non diede mai
nessun beneficio per minimo che ei fosse, né pure una sola parola o complimento.
Aggiungeva inoltre, che quando il celebre Palmieri trovavasi all‟udienza del Cardinale,
bisognava che tutti quelli che desideravano di parlargli aspettassero delle ore e che tanti e
tanti, annoiati da sí lunga anticamera, se ne partivano, come una volta fece egli stesso,
dicendo: “Oh! Se vi è lui, possiamo andarcene”. Sembrava proprio, ei diceva, che il Cardinale
non avesse altro da fare, giacché tanto e poi tanto lo intratteneva colle sue belle parole,
maravigliandone molti assai, ma non cosí quelli ch‟erano a giorno della faccenda o arte del
Cardinale medesimo”.
329
riferimento a non pochi ecclesiastici genovesi per un buon mezzo
secolo.
I primi professori, che meritarono tanto applauso e salirono in tanta fama,
– leggiamo in un manoscritto del Colletti - furono l‟ex gesuita abate Antonio
Signorotti, don Gerolamo Bolasco, l‟ex carmelitano, canonico teologo della
Metropolitana, Marco Decotto e il rettore di S. Marco Felice Levrero672.
Il Signorotti tenne la cattedra di teologia dal 1803 al 1805, anno in cui
venne sdoppiata. A lui rimase quella di dogmatica, quella di morale fu
assegnata al Decotto. Alla morte del Signorotti, 1809, la cattedra di
dogmatica fu affidata a Girolamo Gavino Bolasco, che nel 1811, piuttosto
che prestare il giuramento di sostenere le tesi gallicane, preferí abbandonare
l‟insegnamento673. La dogmatica venne assegnata al Decotto, che la tenne
fino alla morte avvenuta il 29 gennaio 1826; la morale al Levrero, che la
tenne fino al 1821. Morto il Decotto, fu richiamato il Bolasco ad insegnare
dogmatica e tenne la cattedra fino al 1852. A morale, dopo un triennio con
Gaetano De Albertis, troviamo dal 1824 al 1842 Giuseppe Massa.
Il nostro Frassinetti avrà il Decotto ed il Bolasco per la dogmatica ed il
Massa per la morale. Se la morale si studiava fin dall‟inizio del corso
teologico, per un anno ebbe anche Gaetano De Albertis. Torniamo al
manoscritto del Colletti:
672 A. COLLETTI, Storia ecclesiastica genovese del sec. XIX, manoscritto conservato
nell‟ASG, cap. III, p. 2. Nella pagina precedente leggiamo : “Il Tagliafico – il parroco di
Santo Stefano napoleonista? –, lo Sconnio e il Ferreri lodano il Card. Spina d‟aver dato ai
giovani, come aveva promesso, maestri dotti, prudenti e religiosissimi”.
673 Questa la sostanza dei quattro articoli della Declaratio Cleri Gallicani del 1682: 1. Si
riconosce, almeno formalmente, la piena autorità del papa in campo spirituale, ma si rigetta
ogni suo intervento, anche indiretto, in campo temporale. 2. La piena autorità del papa nello
spirituale va intesa nel modo in cui fu dichiarata dal Concilio di Costanza – con questo
richiamo si riconosceva la validità di quel concilio negata dalla Chiesa e si affermava la
superiorità d‟un concilio sul papa –. 3. Le consuetudini ecclesiastiche sono inviolabili, e con
ciò si negava al papa, non ostante la piena autorità che gli si riconosceva nello spirituale, di
interferire nella chiesa di Francia. 4. Per ciò che riguarda le cose di fede la parte principale
tocca al papa, ma, per essere irriformabile ed obbligante, deve avere il consenso della Chiesa,
quanto dire dell‟autorità civile. Napoleone inserí furtivamente questi quattro articoli negli
articoli organici abusivamente aggiunti al Concordato del 1801 e ne pretese il giuramento da
chiunque ricevesse un incarico ecclesiastico o un grado accademico in teologia.
330
Questi nomi [Signorotti, Bolasco, Decotto, Levrero] debbono essere
pronunciati con riverenza, perché non solo tolsero il Seminario dalla passata
abiezione, ma vi iniziarono una tradizione splendida e incorrotta di studi
sacri, che tuttavia dura, e formarono uomini egregi che furono l‟onore e la
difesa della chiesa genovese.
Ma sovra tutti s‟innalza l‟abate Signorotti. Nessuno come lui meritò gli
insulti del partito giansenista, nessuno piú di lui fu da essi odiato. A lui
spettano i primi onori nell‟ultima battaglia e nella finale vittoria che i buoni
riportarono in Genova sul giansenismo...674.
Da principio ebbe l‟insegnamento dell‟intera teologia, dogmatica e
morale. I suoi trattati675, specialmente i dogmatici, sono veramente esimi per
eleganza di stile, chiarezza di esposizione, profondità di dottrina ed
erudizione vastissima. La Santa Scrittura, i Padri, i Dottori, i Santi e la Storia
ecclesiastica vi sono usati con tale perizia ed abbondanza che in un manuale
674 Detto in modo cosí assoluto, si potrebbe restare con l‟impressione che in Genova il
giansenismo fosse stato spento fin dagli inizi del secolo, come purtroppo non fu. Dovremo
riparlarne a lungo nella seconda parte per le lotte sostenute dal nostro Frassinetti, lotte
tutt‟altro che di poco conto. Se ne ha una riprova nel misero concorso degli Stati Sardi nella
raccolta di fondi per la causa di canonizzazione del beato Alfonso Maria de‟ Liguori. Il
cardinale Carlo Odescalchi, penitenziere maggiore, in data 21 novembre 1828, aveva inviato
una lettera circolare a tutti i vescovi a tale scopo. Questo il risultato secondo una lettera del
redentorista p. Mautone al p. Loggero degli oblati del Lanteri in data 6 luglio 1829: “Io non
ho avuto altra elemosina da questo Regno [Sardo: Savoia, Piemonte, Nizzardo e Liguria] che
quelle partite favoritemi da lei nella somma di scudi 170. Dal Teologo Guala... scudi 83,52.
Dal Vescovo di Acqui, Carlo Giuseppe Sappa di scudi 12,00, e finalmente dal Vescovo di
Sardegna di sc. 45,00 e di Ogliastro anche in Sardegna, Serafino Carchero, di sc. 25”. Cfr. P.
CALLIARI, Carteggio del Ven. P. Pio Brunone Lanteri (1750-1830), vol. V, Torino 1975, pp.
284s. La pochezza di queste offerte non dimostrano un grande interesse per la glorificazione
del Beato Alfonso da parte dei vescovi.
Nel 1840 le cose non erano gran che cambiate. Il 4 aprile di quell‟anno il Gianelli, già
vescovo di Bobbio, scriveva da Torino al Frassinetti: “Non ho perduto di vista la vostra
esortazione di mettermi cioè in relazione con altri vescovi e vedere di andare d‟accordo nel
modo di fare il bene. Non vi dico essere questa la cosa piú facile, perché, quantunque tutti lo
vogliano, il modo stesso sempre non piace a tutti. Qui vi è tanta maggior difficoltà in quanto
le dottrine di S. Alfonso non sono ancora vedute di buon occhio, non solo dai giansenisti che
qui abbondano, ma anche dai buoni cattolici, perché tutti formati sulla sesta del rigorismo.
Aggiungete che per la Santa Sede, tutti ne voglion ben poco: Affezionati sí, ma sicut in
quantum (mio il grassetto). Spero che molto potrà giovare ed influire la presenza del Nunzio
Apostolico. AF, Lettere del Gianelli. Si noti l‟alunno che consiglia chi gli fu maestro.
675 Anche il Signorotti dettava le lezioni. Il Colletti, mentre scriveva, aveva “sul tavolo
alcuni dei suoi trattati”.
331
di scuola piú non si può desiderare. V‟è un‟ampiezza di respiro che conforta,
una sicurezza di dottrina che allieta, un‟energia placida e contenuta che
riposa. Di piú l‟autore è pieno d‟amore e di venerazione a S. Tommaso che
assai spesso interroga ed ascolta...
La gran stima che suscitò il suo insegnamento, a dire del Prof. Fedele
Luxardo, che fu contemporaneo di ciò che narra676, fu tanta che i professori
successivi per un cinquant‟anni lo tennero quale testo di scuola, e questi sono
il sac. Gerolamo Bolasco, il canonico Decotto, il canonico Gerolamo
Vanneses e il Magnasco...
Poi, nel turbamento che produssero in Genova le agitazioni politiche a
metà del secolo, e lo stesso governo del savoiardo mons. Andrea Charvaz, il
Signorotti fu abbandonato e cadde in oblio... eppure il Signorotti avanza di
gran lunga tanti manuali che si adottarono in seguito... Se il Signorotti avesse
dato alle stampe il suo manuale!
Stando alle affermazioni del Colletti, appoggiate su l‟autorità del
Luxardo, dovremmo concludere che le lezioni raccolte dal Frassinetti dalla
bocca del Decotto erano le stesse che aveva dettato il Signorotti. Per poterlo
affermare dovremmo poter disporre dei trattati del Signorotti che possedeva
il Colletti e raffrontarli. Stento a crederlo, perché il Decotto non avrebbe
dettato come cosa propria ciò che in realtà era del Signorotti. Propino invece
a credere che vi fossero non poche copie del Signorotti in giro e che il
Decotto ed il Bolasco, come in seguito il Magnasco, lo seguissero da vicino
e vi rinviassero gli alunni. Il Magnasco il suo corso lo darà alle stampe677.
Se il Frassinetti poté servirsi del Decotto, ed è da crederlo, avremmo
individuato la persona che forse piú di tutti lo armò per la lotta al
giansenismo. Difatti continua il Colletti:
Il savio maestro premunisce di tutto punto gli alunni contro le insidie e le
seduzioni del giansenismo... ne ribatte diligentemente i sofismi, non lascia
nulla di quel tenebroso sistema che non disveli.
Il Signorotti lasciò l‟insegnamento nel 1809, ottantenne, e moriva due
anni appresso il 12 gennaio. Nel ritirarsi aveva indicato a succedergli il suo
migliore alunno, Gerolamo Bolasco, un giovane di 26 anni che aveva appena
terminato gli studi. Ma fu tale e tanta la lotta suscitatagli contro dai
giansenisti che non poté tenere la cattedra piú di due anni senza scendere a
676 Fedele Luxardo 1808-1887, poco piú giovane del Frassinetti.
677 S. MAGNASCO, Institutiones Theologiæ Dogmatico-scolasticæ, tom. I: De vera
religione - De Christi Ecclesia; tom. II: De Deo Uno e Trino; tom, III: De Gratia et de Verbo
Incarnato, tom. IV: De sacramentis, Genova 1876-1880, pp. XIV-375, 422, 448, 521.
332
compromessi con la sua coscienza. Il prefetto napoleonico Bourdon, messo
su dai giansenisti – il Degola era suo amico e “fratello”! –, lo pose
nell‟alternativa: o insegnare le proposizioni gallicane o rinunciare
all‟insegnamento. Rinunciò.
Dal 1816 al 1826 lo vediamo prima coadiutore e poi prevosto d‟una
parrocchietta d‟un mille anime, San Michele di Pagana, sita tra Rapallo e
Santa Margherita. Alla morte del Decotto, che gli era succeduto nella
cattedra, vi fu richiamato. Fu restio a riprendere l‟insegnamento, ma poi
accettò e lo tenne fino ai suoi 87 anni. Morí due anni appresso il 27 gennaio
1872678. A pagina 133 della terza raccolta di lezioni del Frassinetti di quel
1825-1826 troviamo la nota:
Hucusque Lector noster Marcus Decotto, morte correptus, absolvere non
potuit huius anni lectiones. Obiit anno ætatis suæ 87, die 29 Januarii, anno
Domini 1826. Sequitur tractatus ab ispo exaratus.
Il Decotto aveva fatto scuola fino a tre giorni prima di morire, sempre
con la stessa regolarità del primo giorno. Il Bolasco completò il trattato del
Decotto sul matrimonio. Poi iniziò il suo sui luoghi teologici, come fa
intendere un‟altra nota del Frassinetti a p. 224:
Finis dissertationis Matrimonii et tractatuum quos habuimus a Lectore
nostro Revmo et Præstmo Cañcus Theologo Metropolitanæ S. Laurentii Marco
Decotto. Sequuntur Lectiones Præstmi Lectoris Hieronimi Bulasco (sic).
Torniamo al manoscritto del Colletti:
Marco Decotto nacque a Genova il 29 gennaio 1740 – deve trattarsi d‟un
errore per 1739, essendo da diverse fonti affermata l‟età di anni 87 al giorno
della sua morte, lo stesso della sua nascita: 29 genn. 1826 –. A quindici anni
vestí l‟abito carmelitano scalzo679. Compiuto... il corso degli studi... fu fatto
lettore. Soppressa nel 1773 la Compagnia di Gesú, concorse alla cattedra di
teologia dogmatica all‟Università, ma, invece di lui, fu eletto professore Fr.
Benedetto Solari che nel 1778 divenne Vescovo di Noli680. Nel 1777 fu
678 A. e M. REMONDINI, Parrocchie dell‟Arch. Di Genova, Regione III, Genova 1887,
p.202. “La settimana religiosa”, II(1872), p. 38.
679 Si deve a lui, ex carmelitano scalzo passato al clero diocesano per le leggi eversive, il
primo incontro del Frassinetti con la spiritualità carmelitana?
680 Un giansenista di cui s‟è già parlato quando nel 1798 partecipò al tentativo di
eleggere in Genova un vescovo scismatico, naturalmente giansenista.
333
nominato professore di logica e metafisica all‟Università e venne aggregato al
Collegio Teologico di S. Tommaso... Nel 1791 succedette al P. Cirillo
Capozza, Carmelitano scalzo, nell‟insegnamento della dogmatica. Nel 1797
fu colto dalla tempesta rivoluzionaria, ma non ne fu travolto e non venne,
come altri, privato della scuola.
Soppressi gli ordini religiosi, depose l‟abito carmelitano... Unita Genova
alla Francia, la facoltà di Teologia fu soppressa in forza della legge del 4
luglio 1805... il Decotto, col nuovo anno scolastico, passò ad insegnare
morale in seminario... Nel settembre dell‟anno precedente era stato eletto
canonico teologo della cattedrale... Il Decotto riscosse fama di profondo
teologo e, averlo avuto esperto maestro, era un onore; e, perché egli godeva la
stima e l‟amore universale, nessuno osava dire di lui una mala parola.
Parlando di Marco Decotto, non ci si può non porre una domanda a cui io
non sono in grado di dare una risposta: prestò quel giuramento che il
Bolasco aveva rifiutato di fare? Oppure il giuramento fu solo un pretesto per
allontanare dalla cattedra una persona invisa ai giansenisti e, ottenuto quel
che si voleva, per un successore non inviso si scordarono di pretenderlo?
Avrà anche lui saputo pagare un piccolo tributo, quale poté essere quella sua
proposizione sulle indulgenze che collimava con quella del Sinodo di
Pistoia? Poteva bastare per sentirsi dire: “Lasciate fare, troverem modo di
far credere che abbiate giurato e vi dispensiamo da questa gravosa
cerimonia”?681. Giocò a suo favore la propizia assenza del prefetto Bourdon
da metà marzo al primo giugno di quel 1811?
681 Pio Brunone Lanteri, in una lunga lettera del 12 gennaio 1814 con cui cerca di
dissuadere un nipote fittizio che avrebbe dovuto prestare il giuramento se avesse voluto
conseguire il grado di baccelliere in teologia, ci dà un esempio di come pacificavano la
coscienza quei che lo avevano prestato e degli argomenti ed astuzie con cui cercavano di
convincere altri a prestarlo: “Non vi lasciate per pietà ingannare né dalla moltitudine, né
dall‟autorità degli Avversarj… Se l‟argomento del numero senza la ragione valesse, avrebbe
dovuto Elia piegar le ginocchia innanzi a Baal...”. Non solo non deve giurare, ma neppure
ricorrere a quelle astuzie con cui si pensava di salvare carriera e coscienza: “I vostri teologi,
per conciliare il rispetto all‟Autorità pontificia e il desiderio o dell‟onore dei gradi, o del
favore dei Superiori... [vi] dicono: potete inserire due delle proposizioni Gallicane nelle tesi –
potete farlo con parole ambigue – (ed osservate di scegliere quelle che danno meno
nell‟occhio); sicuramente gli Argomentanti... non vi interrogheranno su questo punto, né voi
sarete per conseguenza astratto a difenderle; ed ecco che salvate la capra e i cavoli; contentate
chi ha da passare le vostre tesi, non andate contro il Sommo Pontefice, che proibisce il
difenderle, e quanto a sottoscriverle, lasciate fare, troverem modo di far credere che abbiate
giurato e vi dispensiamo da questa gravosa cerimonia”. E poi “le tesi gallicane erano
334
Nei trattati raccolti dal Frassinetti alla sua scuola appare che il Decotto
non rigettasse l‟ultima virgola del Sinodo pistoiese, né andasse del tutto
immune da ombre di dottrine non consone con la tradizione cattolica. Lo
notano i teologi revisori degli scritti raccolti dal Servo di Dio. Il sesto
teologo censore osserva che l‟insegnamento del Decotto sulle indulgenze
plenarie non è conforme alla dottrina della Chiesa per troppa rigorosità
(Vol. XXIV, pp. 341 e 388). Nota pure la tesi che il potere civile, di propria
autorità, può fissare impedimenti dirimenti al matrimonio civile, purché non
contrari al diritto di natura (Vol. XXIV p. 214) 682. Anche il settimo teologo
censore critica due volte la definizione di indulgenza (Vol. XXIV, pp.
303.307) ed aggiunge che tale definizione ripete la proposizione 40 del
Sinodo pistoiese condannata da Pio VI con la costituzione Auctorem fidei683.
Cosa avvertita dalla stesso Frassinetti, benché alunno del primo anno di
teologia, se in fondo allo stesso volume XXIV, a chiusura del trattato sulle
indulgenze, pag. 393, sente il bisogno d‟aggiungere una nota firmata
auditor, di cui do la traduzione:
È da notarsi che quella definizione “L‟indulgenza altro non è se non la
remissione della pena ingiunta” non si può tenere essendo stata condannata
con la bolla Auctorem Fidei la proposizione 40 del Sinodo di Pistoia. La
proposizione del Sinodo infatti suona cosí: “L‟indulgenza, secondo la sua
precisa natura, altro non può essere se non la remissione al peccatore di parte
della penitenza fissata dai canoni”. Questa proposizione è stata condannata
“come se l‟indulgenza, fuori della pura remissione della pena canonica, non
sia in grado di rimettere anche la pena temporale dovuta alla divina giustizia
per i peccati attuali”, [io], uditore, ho visto la questione in modo diverso [dal
professore]684.
riprovate, ma non espressamente condannate”. Cfr. P. CALLIARI, Carteggio..., vol. V, Torino
1975, pp. 421-428.
682 POS.SV.SS, p. 24.
683 Ivi.
684 Penso debba cosí sciogliersi l‟espressione concisa: Hoc alias animadverti auditor.
Questa nota ci offre l‟occasione per dare un saggio dell‟evoluzione del pensiero del
Frassinetti. Tornerà a parlare delle indulgenze nel suo Compendio della teologia dogmatica,
Genova 1842, pp. 216-219. La definizione diventa: “[L‟indulgenza] è una remissione della
pena temporale che resta a scontarsi perdonata la colpa, la quale si fa fuori del Sacramento da
chi ha la facoltà di dispensare il tesoro spirituale della Chiesa”. Spiega parola per parola la
definizione e poi continua: “[Le indulgenze] altre sono plenarie, ed altre parziali. Le plenarie
rimettono ogni pena temporale dovuta alla Divina Giustizia;... le parziali ne rimettono una
parte corrispondente o a 40 giorni, o a 7 anni ecc. di pena ingiunta” e passa a spiegare cos‟è la
335
Né è l‟unico punto in cui l‟alunno prende le distanze dal professore,
l‟auditor dal lector. Alla proposizione 111 del vol. XXII, pp. 91-95, in cui si
afferma che Dio non offre di fatto alcuni aiuti della grazia interiore
sufficiente a tutti i reprobi, appone una sua noticina: “Bisogna ritenere fuori
d‟ogni dubbio che Dio offre di fatto a tutti gli uomini senza eccezione le
grazie necessarie per la salvezza” e rinvia al trattato De Deo, purtroppo a noi
non pervenuto685. Osservazioni che ci rivelano un Frassinetti non ricettore
passivo della parola del maestro. Nel manoscritto del Colletti abbiamo letto:
Nel 1797 [il Decotto] fu colto dalla tempesta rivoluzionaria, ma non ne fu
travolto e non venne, come altri, privato della scuola... cosa singolare, i
giansenisti non lo fecero oggetto dei loro sarcasmi, come solevano fare coi
loro nemici.
È da pensare che i giansenisti, non potendo mettere su quella cattedra
uno dei loro, avranno pensato l‟ex carmelitano un minor male, ed il Decotto
a sua volta avrà evitato di farseli nemici attaccandoli frontalmente come
avevano fatto il Lambruschini, il Signorotti ed il Bolasco. Né dovette darsi
cura di smentire le voci che circolavano sulle sue simpatie per le cose
nuove, se nell‟Informazione di polizia sull‟ambiente ligure (1814-1816), alla
voce: Preti, leggiamo: “Decotto. Canonico, Teologo di S. Lorenzo. Era
monaco Carmelitano. È del partito democratico ed appartiene
all‟Indipendenza”686.
pena ingiunta: “Anticamente i canoni stabilivano per molti peccati una penitenza o di giorni o
di anni... queste penitenze si chiamavano pene ingiunte. Adesso non si prescrivono piú, ma
quando si dà un‟indulgenza di 40 giorni, di 7 anni, ecc., si rimette tanta pena temporale
quanta ne sarebbe stata rimessa al penitente se avesse adempiuto una pena ingiunta di 40
giorni, di 7 anni, ecc.”. Nell‟ultima edizione da lui curata (VI, 1865 – dalla II col titolo di
Catechismo dogmatico – pp. 292-295), non muta parola. L‟anno dopo, pubblicò la seconda
parte del suo Compendio di Teologia morale dove tratta delle indulgenze da p. 211 a p. 216.
La definizione è cosí mutata: “L‟indulgenza è una grazia colla quale, mediante
l‟adempimento di un‟opera prescritta, si rimette la pena temporale dovuta ai peccati.
L‟indulgenza si conferisce ai sudditi a modo di assoluzione; e ai defunti a modo di suffragio...
L‟indulgenza parziale libera da una parte della pena dovuta; la plenaria libera da tutta la
pena...”. Definizione rimasta inalterata anche nelle edizioni successive da lui curate, né piú si
parla di giorni, di anni e di pene ingiunte.
685 Ci è pervenuto un quaderno, deturpato dai topi, intitolato De Deo, ma non suo, per la
data 1830-1831 e la diversa calligrafia. Del fratello Giovanni?.
686 In Miscellanea storica, già cit., V. VITALE, Informazione..., Genova 1933, p. 451.
336
Il nostro Frassinetti ebbe quindi due professori di dogmatica, prima
Marco Decotto, fino a tutto il primo trimestre del terz‟anno, poi Geronimo
Bolasco, i due che tennero la cattedra di dogmatica per un buon
sessantennio. A questi vanno aggiunti i professori di morale. Due, se le
lezioni gli vennero impartite per l‟intero corso: il primo anno Gaetano De
Albertis, negli altri tre Giuseppe Massa, che tenne la cattedra dal 1824 alla
morte (1788-1842).
Del Massa sappiamo dal Colletti che il Lambruschini, nell‟affidargli la
cattedra, gli aveva raccomandato di non discostarsi da san Tommaso 687. Lo
Spotorno nell‟elogio funebre vide trasfuso in lui lo spirito di sant‟Alfonso,
ma dovette avvertire di aver esagerato, se poi soggiunse in quel suo italiano
leccato che lo faceva cosí famoso:
Or giunto a quest‟ultimo punto del mio favellare, parmi udir voce, non già
nimica, né oltraggiosa, ma pur voce di modesta querela, ed è che il Massa ne‟
suoi principi di morale Teologia pendesse al rigido opinare anziché al
benigno... Ardirei io profferir parola di biasimo contr‟ad una o contr‟ad altra
delle scuole cattoliche, le quali il Maestro supremo dei fedeli non ha mai
riprovate?... Egli era austero nelle sue istituzioni (e ciò consigliano i saggi
trattandosi di porre i fondamenti delle discipline), era buono e retto di cuore e
scorto nell‟operare dalla carità evangelica688.
L‟autore di morale, a cui un po‟ tutti si rifacevano, era l‟Antoine 689. Ci
può fare luce su questa scelta ciò che accadeva alla facoltà di teologia
dell‟università di Torino in quegli stessi anni in cui il Frassinetti seguiva i
corsi di teologia a Genova. La cattedra torinese di teologia morale dal 1817
al 1829 fu tenuta dal sacerdote sardo Giovanni Maria Dettori, amico ed
estimatore dei giansenisti genovesi Degola e Palmieri, e come loro anch‟egli
giansenista. Un suo alunno fu il Gioberti. Tra il 1823 e il 1827 il Dettori
aveva pubblicato a Torino le Theologiæ Moralis Institutiones in sei volumi
in cui criticava aspramente il probabilismo, la teologia del Liguori ed il
Convitto ecclesiastico del Guala. Né dalla cattedra risparmiava l‟infame
probabilistarum pecus. Il testo delle Institutiones fu mandato alla
687 A. COLLETTI, Ausonio Franchi e i suoi tempi, Genova, 1925, pp. 17-19.
688 GIOV. BATTISTA SPOTORNO, Nelle solenni esequie del M. R. D. Giacomo Giuseppe
Massa prof. di Teologia Morale, Novi Ligure 1842, pp. 15-17.
689 Padre Luigi Persoglio, che agli inizi degli anni Cinquanta del secolo scorso era
studente di teologia nel seminario di Genova, afferma in una sua testimonianza: “Ben pochi
seguivano sant‟Alfonso, in parte [seguivano], specie i vecchi, l‟Antoine”.
337
Congregazione dell‟Indice – si pensò che fosse stata la regina Maria
Cristina, nemica dei giansenisti e fautrice di sant‟Alfonso –. La
Congregazione dell‟Indice non lo allontanò dalla cattedra, ma gli impose di
“cancellare dalla sua opera tutto ciò che per inavvertenza potesse esservi
trascorso di dispiacere alla stessa santità Sua” e di adottare un altro autore
“piú moderato” invece del proprio testo. Il Dettori si sottomise, anche se
solo in apparenza, adottò l‟Antoine, giudicato da sant‟Alfonso valde rigidus,
ma in pratica continuò a commentare il suo proprio testo. Il primo marzo
1829 il re Carlo Felice lo destitui assegnandogli la pensione annua di 1400
franchi690.
La destituzione andò incontro al desiderio del Guala, e forse anche del
Lanteri, ma non fu digerita dal Gioberti, che di lí a vent‟anni tornerà
sull‟accaduto per esaltare il Dettori e difenderlo691, né dal professore piú
prestigioso dell‟università torinese, l‟abate Amedeo Peyron, avversissimo ai
gesuiti e con tendenze gianseniste e gallicane (che sapeva abilmente
nascondere)692, da cui apprendiamo che ciò che valeva per Torino valeva
690 All‟epoca – si è visto – i professori del seminario di Genova percepivano lo stipendio
di 300 franchi annui piú la pensione in seminario.
691 V. GIOBERTI, Il Gesuita moderno, Vigevano, 2a edizione sulla prima di Losanna
1848, vol. II, cap. V, pp. 326-332; vol. IV, p. 269 nota; vol. VI, pp. 23-28.
692 P. CALLIARI, Carteggio..., vol. III, Torino 1976, p. 163. Don Bosco, nella Storia
d‟Italia, Torino, 188718, gli dedicò un ampio ritratto tra gli uomini celebri dell‟Ottocento.
Non è male, di tanto in tanto, dare uno sguardo fuori della finestra per vedere cosa accade nel
vicinato, per esempio, chi ai tempi del Frassinetti era considerato uomo celebre nell‟ambiente
cattolico piemontese, cosí vicino a quello genovese. Don Bosco, in questa sua opera, lui vivo
ristampata 18 volte, dedica al Peyron ben 4 pagine (480-484), contro le 3 per il Manzoni, le
4½ per il Canova ed il card. Mezzofanti, le 6 per il Monti ed il Pellico!, le 2 per il Denina,
Carlo Boucheron ed il Rosmini, le 2½ per il Cesari ed il de Maistre, le 3 per Alessandro
Paravia, nomi che per una metà non ci dicono piú nulla. Del Peyron si limita ad illustrare i
meriti scientifici e di docente disenteressato. Si noti l‟inclusione del Rosmini in un momento
in cui non si risparmiavano articolesse contro il brutto sistema filosofico del prete di
Rovereto, buon sofista – sono solo alcuni dei giudizi gentili che si leggono nell‟annata del
1885 della Civ. catt.–. Don Bosco invece: “La filosofia… ebbe un grande cultore nell‟Abate
Antonio Rosmini… fornito di acutissimo intelletto… coltivò gli studi piú severi… studiò i
principali sistemi di filosofia che correvano in quei tempi… e disgustato di tutti, gli era già
balenato quell‟uno (corsivo nel testo) che stringe insieme la religione e la fede… pubblicò
diverse opere di filosofia… Alessandro Manzoni…, quando ebbe letto quei lavori senza aver
[ancora] mai conosciuto l‟autore, ebbe a dire: Un grande uomo il cielo ha dato all‟Italia e
alla Chiesa nell‟autore di questo libro…”. Né Don Bosco mancò di additare all‟ammirazione
338
per tutte le scuole dello stato sabaudo, quindi anche per Genova, dove, al
tempo del cardinal Tadini, i professori di teologia del seminario erano gli
stessi della facoltà di teologia dell‟università ed i corsi si tenevano per tutti
in seminario, piú per evitare la presenza del vescovo nell‟università, da cui
dipendevano tutti gli studi teologici, che per eliminare un doppione693 Basti
questo stralcio d‟una lettera del Peyron alla Congregazione dell‟Indice nel
1828:
In Piemonte le regie costituzioni dell‟università prescrivono che nel
pubblico insegnamento si seguiti la dottrina di S. Tommaso e della sua
scuola, e per assicurare vieppiú l‟uniformità di dottrina in tutto il regno, i
dottori di teologia debbono giurare di conformarsi a tale scuola
nell‟insegnamento. Quindi le scuole regie di questi stati sono tomistiche, e
nella morale seguono il probabiliorismo discreto dell‟Antoine per norma
(nostra la sottolineatura); ed ecco tolto ogni fomite di scandalo tra scuola e
scuola; ed ecco armonia nel pratico ministero del confessionale. Ciò posto, se
un vescovo... volesse costringere il regio professore di teologia ad insegnare
il molinismo ed il probabilismo... rovinerebbe tutto il sistema d‟uniformità nel
regno, introdurrebbe dissidi e guai tra il clero...Un vescovo per amore di parte
la pronta sottomissione del Rosmini al giudizio della Chiesa quando fra la moltitudine delle
sue opere… alcuna venne riprovata dalla Chiesa e messa all‟indice dei libri proibiti. A due
religiosi che lo pregarono di togliere l‟elogio al Rosmini nelle successive ristampe, rispose
con un secco rifiuto dicendo di aver scritto secondo coscienza. Vedi: G. ROSSI, Antonio
Rosmini, vol. II, Rovereto 1959, p. 632 n. 101.
693 Leggiamo per il 1836-1837 nella già citata relazione del Cattaneo: “Già da qualche
tempo correa voce dovessero rimettersi in piedi la cattedra di Teologia dell‟Università a
norma dei regolamenti regi e che i professori non dovessero fare la scuola nel Palazzo
dell‟Università, ma bensí in Seminario... Il canonico Bolasco Geronimo fu nominato
Professore di Dogmatica, il Rdo Massa Giuseppe di Morale, il Rdo Magnasco Salvatore Profe
di Speculativa ed il Rdo Oliva Giuse Profe di S. Scrittura. L‟Arcivescovo fece un
regolamento... Gli scolari furono obbligati ad intervenire per tutto il corso intero alle scuole di
Dogmatica e Speculativa e di piú i primi due anni alla Morale, gli ultimi due alla Sacra
Scrittura e a questa solo un anno i seminaristi. Questa innovazione recò un vantaggio assai
notabile al Seminario, quanto all‟economico, non dovendo piú corrispondere onorario ai
Professori di Teologia; se poi altrettanto sia l‟utile quanto al profitto letterario dei giovani non
è cosí facile il giudicarlo. Certo che, la molteplicità e varietà delle materie, imbarazza piú
d‟uno e molti, comecché d‟ottime istruzioni e impegnati per lo studio, protestano di non poter
attendere a tante scuole insieme. Il Cañco Bolasco domandò di continuare a vivere in
Seminario pagando l‟annua pensione di L(nuove) 500, al che l‟Arcivescovo accondiscese”.
Abbiamo quindi un aumento di cattedre. In seguito si aggiungerà anche quella di storia che
sarà soppressa alla venuta dello Charvaz! Se ne riparlerà nella seconda parte.
339
vorrà spegnere il tomismo ed il probabiliorismo? Sarebbe massima
imprudenza. Eppure questo è lo scopo a cui tende sordamente un pio partito
dominante in Piemonte. Si stampa il Liguori e perché sia piú probabilista di
quello che egli esser volle, si ricusa di inserirvi le sue ritrattazioni. Chi per la
frequente comunione si attiene alla nota regola di S. Francesco di Sales,
costui è un giansenista. Nell‟attrizione si procaccia di spegnere ogni scintilla
d‟amore...694.
Non c‟è dunque da meravigliarsi dell‟autorità che l‟Antoine godette a
Genova fino a metà dell‟Ottocento, specie tra i vecchi695.
Facciamo ora un breve esame della raccolta di lezioni di teologia fatta
dal giovane Frassinetti. Ci sono giunti quattro volumi: tre indubbiamente
suoi, e da lui stesso rilegati, XXII, XXII e XXIV della raccolta dei
694 In P. CALLIARI, Carteggio..., luogo citato, e vol. V, Torino 1975, pp. 26-29.49-51.
695 PAOLO GABRIELE ANTOINE, S.J., (1678-1743), Theologia moralis universa
complectens omnia morum præcepta et principia decisionum omnium casuum conscientiæ,
Nancy 1725. Ne furono fatte innumerevoli edizioni nei principali centri intellettuali d‟Europa.
Metodico, pratico, chiaro, dottrinalmente preciso. Un gesuita avverso al probabilismo, ma,
benché l‟avesse combattuto, i giansenisti riuscirono a trovare sentenze lassiste anche nelle sue
opere e nel 1768 l‟incriminarono negli Extraits des assertions dangereuses et pernicieuses.
Sant‟Alfonso ne stimò la cultura e il metodo, ma lo disse valde rigidus. Dello stesso:
Theologia universa speculativa et dogmatica ad usum theologiæ. candidatorum accomodata,
Nancy, 1725. Un classico diffusissimo. Cfr. DHGE Antoine, n. 293, c. 823.
Un altro autore di morale, che godeva ancora d‟una qualche fama negli Stati Sardi nella
prima metà del secolo scorso, senza oltrepassarne i confini, fu il professore di... geometria (!)
all‟università torinese – qualifica messa bene in evidenza nel titolo della sua morale –
GIUSEPPE ANTONIO ALASIA (1731-1812), Commentaria Theologiæ Moralis... in 10 volumi,
Torino, 1793-1809, riedita nel 1830-1831. Se ne fece un compendio in 4 volumi, sempre a
Torino, nel 1834-1835, funditus rifatto dal canonico Lorenzo Gastaldi, il futuro arcivescovo
di Torino, che lo adattò alle leggi albertine ed alla dottrina di sant‟Alfonso. Invano se ne
cercherebbe oggi il nome sui grandi repertori. I giudizi non sono concordi. Alcuni lo tacciano
di giansenismo (il Rinieri), altri lo elogiano, pur avvertendo la sua tendenza al rigorismo, per
esempio il Lanteri in una lettera dell‟ottobre del 1807 a Cesare d‟Azeglio: “La teologia
morale del nostro Alasia è delle migliori tra le moderne, [ma] non lascia d‟avere molti difetti,
e vi è anche del rigore, ma è tanto piú moderata delle altre, onde si può promuovere, massime
in queste parti”. Quando nel 1814 il Guala – cor unum et anima una con il Lanteri – fu
nominato direttore di una delle conferenze morali per il giovane clero torinese, insegnava la
morale secondo sant‟Alfonso, ma il testo era quello dell‟Alasia, forse perché ne erano già in
possesso essendo il testo adottato all‟Università prima del caso Dettori. Cfr. P. CALLIARI,
Carteggio..., vol. II, Torino 1975, p. 222; vol. III, Torino 1976, pp. 162.362; vol. IV, Torino
1975, pp. 51.256
340
manoscritti; un quarto, il XVIII, a differenza degli altri tre volumi del corso
teologico e i due del corso filosofico, ci pone diversi problemi. Cominciamo
dall‟esame di quest‟ultimo.
Il volume XVIII è composto di quaderni cuciti insieme senza curarne
l‟ordine, alcuni certamente del Frassinetti, altri ci lasciano dubbiosi. In ogni
modo, non mostrano la stessa diligenza. Vi sono inoltre inseriti anche fogli
con soluzioni di casi di morale, qualche vecchio lavoretto del corso di
filosofia, non che 99 versi in terza rima sulla morte di Voltaire e qualche
altra poesia. I quaderni che riportano le lezioni, gli unici che qui ci
interessano, dovettero essere scritti in classe sotto dettatura e poi non
trascritti a casa in bella.
Il primo quaderno, 34 pagine, contiene il tesario delle lezioni di tutto il
corso teologico che il Decotto dictabat ad memoriæ opus ut arguendi
exercitium facilius excolatur. Da pagina 35 a 86 – la numerazione è posta da
chi legò insieme i quaderni – troviamo la seconda parte, o terza?, del trattato
sulla visione beatifica, che il raccoglitore avrebbe dovuto porre dopo le
pagine 231-298 di cui sono una continuazione. Ma la pagina 231 comincia
con un hominum vidit, senza dubbio continuazione di pagine precedenti –
quante? –. La scrittura la direi ancora sua, ma come di chi scrive in fretta
sotto dettatura. Da pagina 87 a pagina 230, che termina con un ex, indice di
perdita di pagine, il trattato De Trinitate. Da pagina 299 a pagina 404 c‟è
una raccolta di solutiones obiectionum che si possono avanzare circa i sette
sacramenti. Da pagina 406 a pagina 536 – numerazione del raccoglitore –
cominciano le lezioni di morale, primo e secondo precetto, ma le pagine
511-536 vanno anteposte alla pagina 406. È la parte peggio scritta fino a
dover dubitare sia uscita dalla sua penna. Mancano i comandamenti dal
terzo al settimo. Da pagina 511 a 581 si ha l‟ottavo comandamento ed una
appendix sul digiuno.
Questa raccolta, non curata da lui, a differenza delle altre, non ci dice gli
anni in cui le lezioni furono tenute e da chi. Dal Bolasco il De Trinitate il
quarto anno? E la morale? Gli fu impartita in tutti e quattro gli anni o solo
negli ultimi? Se solo negli ultimi, non avrebbe avuto per docente il De
Albertis. La grande differenza che si nota tra le pagine di morale e quelle di
dogmatica dei primi anni del corso teologico fa pensare che l‟insegnamento
della morale sia stato rimandato agli ultimi anni.
Gli altri tre volumi non presentano difficoltà. Il XXII di pagine 347 ed il
XXIII di pagine 394, (primo e secondo anno di teologia) hanno il loro
frontespizio ed il loro colophon sul modello di quello di filosofia, con
341
l‟indicazione dell‟anno e del professore, Marco Decotto, ed alla fine, il
numero delle lezioni: 133 il primo anno, 137 il secondo. Il volume XXIV di
pagine 606 è privo di frontespizio e di colophon, ma al numero delle lezioni
dell‟anno affianca la somma dei tre anni, rispettivamente 136 e 406.
Il primo anno studiò i trattati De carne Christi (=De Verbo incarnato), De
gratia, De sacramentis in genere e De baptismo in specie; il secondo anno
continuò lo studio dei sacramenti in specie: De baptismo, De confirmatione,
De eucharistia, de poenitentia et indulgentiis, De exstrema unctione; il
terz‟anno, ancora col Decotto, De sacramento ordinis e de sacramento
matrimonio; col Bolasco: De locis theologicis, ossia: De Scriptura sacra, De
divinis traditionibus, De Christi Ecclesia, De Romano Pontifice, De
auctoritate patrum et doctorum scholasticorum. Il De Trinitate dovette farlo
il quarto anno col Bolasco.
Studio della dogmatica, della sacramentaria e della morale in cui
rientrava anche il diritto canonico, e il resto? Le 14 pagine di patrologia e le
64 di Sacra Scrittura sono proprio pochine, anche se se ne è fatto grande uso
a sostegno delle tesi dei vari trattati. E la storia ecclesiastica?
La situazione dei seminari italiani, in quanto a cultura, non differisce
gran che da quella dei seminari francesi degli inizi dell‟Ottocento:
Le materie insegnate – scrive il Rops – sono miserucce; la Sacra Scrittura
ridotta a pii commentari, e la storia della Chiesa ignorata dai programmi in
settantacinque case su ottanta! Si insiste di piú sulla formazione morale... sul
buon contegno – comincia a divenire obbligatorio l‟uso della veste talare –...
Si va cosí preparando un clero infinitamente rispettabile, ma che intenderà la
sua missione in modo limitativo...696.
Per il Frassinetti ci fu però un “Fuori ed oltre la scuola”. È ciò che
vedremo nei prossimi capitoli dove ci faremo dire da lui stesso cosa un
ecclesiastico deve studiare e con quali criteri, ed esamineremo i suoi appunti
di esegesi ed un suo manuale di storia ecclesiastica.
696 D. ROPS, Storia della Chiesa del Cristo, vol VI: La Chiesa delle rivoluzioni,
traduzione di N. BEGHIN, Torino 1958, pp. 145s.
342
CAPITOLO XXIII
OLTRE LA SCUOLA
I
La memoria del passato deve essere per ogni uomo, che non
odia la patria e se stesso, il piú forte stimolo per amare il
presente.
Vincenzo Cuoco697
O Italiani, io vi esorto alla storie, perché niun popolo piú di
voi può mostrare né piú calamità da compiangere, né piú
errori da evitare, né piú virtú che vi facciano rispettare, né piú
grandi anime degne di essere liberate dalla oblivione da
chiunque di noi sa che si deve amare e difendere ed onorare la
terra che fu nutrice ai nostri padri ed a noi... Prostratevi sui
697 Saggio storico sulla Rivoluzione di Napoli, ultimo capitolo, conclusione.
343
loro sepolcri, interrogateli come furono grandi e infelici, e
come l‟amor della patria, della gloria e del vero accrebbe la
costanza del loro cuore, la forza del loro coraggio e i loro
benefici verso di noi.
Ugo Foscolo698
La storia ecclesiastica è un quadro vivo che ci rappresenta la
Chiesa. Chi vuol conoscere bene la Chiesa deve fissare questo
quadro.
Giuseppe Frassinetti699
Agli orecchi dei giovani studenti di quegli anni Venti del secolo scorso
giungeva con insistenza l‟invito di rifarsi alla storia. Alla scuola del
Gianelli, si è visto, la storia aveva occupato un posto d‟onore, non cosí nel
corso di teologia, ma la storia appresa con il Gianelli era stata cosa troppo
universale e generica, da scuola media, perché potesse aver dato a quei
giovani un quadro vivo della Chiesa. Se i suoi coetanei avevano raccolto la
voce del Cuoco e del Foscolo e mettevano lo studio della storia a servizio
della causa dell‟indipendenza, il Frassinetti non sarebbe stato da meno per la
causa della religione. Nel suo cuore si agitavano sentimenti non diversi da
quelli che sul finire del secolo avrebbero agitato il cuore di santa Teresa del
Bambino Gesú:
Otto giorni dopo la presa del velo ci furono le nozze di [mia cugina]
Giovanna... da lei appresi le attenzioni che una sposa deve usare allo sposo...
l‟ascoltavo con avidità... non volendo far io di meno per il mio Gesú di quel
che Giovanna faceva per il suo Francesco... 700.
A questa ragione se ne aggiungeva una seconda: se i nemici della Chiesa
ne studiavano la storia per vituperarla – in quegli anni, si è visto, faceva
notizia La storia delle repubbliche italiane del Sismondi –, era suo dovere
studiarla per farla rifulgere.
Uno studio serio. Delle 112 pagine delle sue Osservazioni sopra gli
studii ecclesiastici, su citate e di cui ci stiamo servendo, ben 60 trattano
dell‟importanza dello studio della storia ecclesiastica. Cosí importante che
698 Dell‟origine e dell‟ufficio della letteratura, paragrafo XV.
699 Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici, Genova 1839, p. 42.
700 SAINTE THERESE DE
autobiographiques, 1987, p. 190.
L‟ENFANT
JESUS,
Histoire
d‟une
âme,
manuscrits
344
nell‟Accademia della “Beato Leonardo”, istituita nel 1833 o 1834, le
assegnerà un posto d‟onore e terrà per sé la direzione di questa disciplina,
mentre ci si sarebbe aspettato di vederlo direttore dei corsi di teologia
morale, e, sempre in quegli anni, accarezzerà a lungo l‟idea di scriverne egli
stesso un trattato.
Nel 1834, in una conferenza della “Beato Leonardo”, lo studio della
storia era stato affidato al Frassinetti per un lavoro di piú ampio respiro; al
Cattaneo, per un compendio. Il Frassinetti era d‟altro parere e lo manifesta
allo Sturla:
In tal modo... io non aiuterò lui, ne esso me... e perciò si vengono a fare
due lavori isolati sulla stessa materia... Poi è idea troppo piccola, che noi ci
mettiamo a lavorare per i seminaristi di Genova, dei quali chi sa quanti
vorranno studiare, quanti potranno e quanti intenderanno...”.
Si servano dei compendi esistenti con l‟aggiunta di osservazioni.
Infinite sono le ragioni... che mi persuadono della... inutilità del lavoro,
qualora [il Cattaneo] non volesse riguardare al suo particolare profitto di
avere un‟occasione per istruirsi; ma le idee del bene privato devono stare
lontane da noi quanto il peccato… L‟idea di prendere cattedre per noi è idea
alquanto piccola e ci rovinerebbe in gran parte, perché ci legherebbe a fare
studj troppo scolastici... sarà nostro impegno formare degli adattati [sacerdoti
capaci d‟insegnare?], piú che esserlo noi.
Per il momento non si debbono disperdere in molte discipline, ma
puntare su storia e filosofia, studi piú urgenti per i bisogni della Chiesa, e ne
suggerisce il metodo. Due squadre di quattro. La prima: tre ricerchino il
materiale da fornire mese per mese, il quarto avrà il compito della stesura,
che sarà poi non solo rivista dagli altri tre del loro gruppo, ma anche dai
quattro del gruppo di filosofia che possono aggiungervi note e osservazioni.
Lo stesso metodo per il gruppo impegnato nella filosofia.
Terminato lo studio della filosofia, se ne intraprenda un altro “quale
meglio si stimerà”. Si noti l‟idea cosí moderna del lavoro a squadre.
Continua pregandolo di passare la lettera agli altri e di far presto “perché
vorrei che piú non si differisse, se piace a Dio”. Se gli altri non
condividessero
Io sono il primo ad arrendermi; adesso piú che il lavoro mal fatto, mi
spiace differire... Preghiamo il Signore che ci faccia santi, e noi sforziamoci
345
di divenir tali piú presto che sia possibile, altrimenti non riusciremo che a far
ridere il demonio e a perdere tempo....
La proposta non fu accolta ed egli si arrese.
Il contenuto dei suoi primi lavori è tale da far supporre un lungo
ripensamento di letture fatte in biblioteca, prima quindi del 1831, anno in
cui lasciò Genova per andare parroco a Quinto. È poco credibile che il figlio
d‟un piccolo merciaio di condizione modesta, con tre fratelli ancora agli
studi, potesse già disporre in meno di quattro anni di sacerdozio dei mezzi
per procurarsi i molti volumi, di cui s‟avverte una lettura attenta e critica, sí
da potersene servire senz‟uscire di casa.
Anche nella canonica di Quinto non mancavano libri, s‟è visto, ma non
poteva ancora trattarsi d‟un gran che. La premessa alle Osservazioni,
pubblicate nel 1839, ma solo dopo una lunga e laboriosa gestazione701, ci
701 Il manoscritto ci è pervenuto in ben tre redazioni: la prima manca dei capitoli IV e V
(Sopra lo studio della Sacra Scrittura e Sopra lo studio della storia) e dell‟Appendice sopra
lo studio della filosofia e della eloquenza –; la seconda e la terza, scritte in bella scrittura, ma
solo in parte vi si ravvisa quella del Servo di Dio, portano correzioni dell‟Autore. Nella terza
v‟è pure un buon numero di note di ampio sviluppo, tutte di sua mano, ma solo in parte
passate alla stampa. Diamo un prospetto dei manoscritti e del libro stampato per offrire un
saggio di come il Venerabile lavorasse. Si noti la rielaborazione a cui fu sottoposto il capitolo
sulla storia ecclesiastica. Tutte e tre le copie presentano numerose revisioni e ripensamenti.
L‟assenza dei capitoli Scrittura e Storia ecclesiastica nel manoscritto “A” potrebbe essere
dovuta allo smarrimento di quinterni, essendo fascicoli raccolti in volume da chi ereditò le
carte del Servo di Dio. L‟Appendice ha un paragrafo in meno per la soppressione del terzo. Il
libro stampato ha inoltre note in piú ed in meno di quelle apposte al manoscritto C, cosa che
rileveremo a suo luogo. Manca il manoscritto passato in tipografia.
Capitoli
Manoscr.
A
Manoscr.
B
Manoscr.
Libro
C
L‟Autore ai Chierici
I Osservazioni generali
II Su la dogmatica
III Su la morale
IV Su la Scrittura.
V Su la storia ecclesiastica
––
§§ 12
§§ 13
§§ 10
––
––
––
§§ 12
§§ 13
§§ 10
§§ 10
§§ 27
––
§§ 12
§§ 13
§§ 10
§§ 10
§§ 28
§1
§§ 11
§§ 14
§§ 10
§§ 10
§§ 38
VI Sul gius canonico
§§ 4
§§ 4
§§ 4
§§ 4
*
346
conferma che fin d‟allora le letture erano già state molte e serie. L‟Autore
cosí vi si confessa ai chierici studiosi:
Non crediate però che io ve le presenti [queste Osservazioni] come cose
nuove: non ho il merito della loro invenzione: si ritrovano già in altri luoghi.
Se può avere qualche merito questa operetta, altro non è fuorché quello di
racchiudere in poche pagine ciò che trovasi sparso in varii libri e di fare in tal
modo vedere quasi in un colpo d‟occhio alcune cose per imparar le quali ci
vorrebbe non già lungo e profondo studio, ché tale non fu il mio, ma qualche
fatica di piú.
Spogliato il discorso della modestia con cui il Frassinetti suole presentare
le sue cose, rifuggendo per natura dal porsi in vetrina, i varii libri diventano
i molti libri e lo studio lungo, perché non c‟è chiara sintesi là dove manca
ripensamento profondo.
In queste Osservazioni, poi, tra riga e riga, avverti il disappunto di chi
nella scuola non ha trovato le discipline di cui aveva sentito tanto bisogno, o
non gli erano state trattate come si sarebbe dovuto, e vive ancora sotto
quella giovanile impressione e vuol porvi rimedio. La lettura dei varii libri
penso si debba perciò porre in quei tre lustri che vanno dall‟inizio dei corsi
universitari a passata di qualche anno la trentina, nei quali un uomo di studio
suol porre le basi della sua formazione intellettuale, ossia negli anni in cui,
studente e giovane sacerdote,
correa alle biblioteche e sopra i grandi volumi dei teologi e dei Padri
spendeva lunghe ore pensando e meditando senza risparmiare fatica alcuna.
La qual cosa egli facea sempre, ma specialmente nei giorni di vacanza702.
Ap. Su filos. e eloquenza
§§ 9
§§ 9
§§ 8
§§ 8
* Il capitolo V Sopra lo studio della storia è ripreso e sviluppato come dissertazione nella
Storia ecclesiastica non portata a termine, ed in due versioni: Manoscritti, vol. II, p. 1-82;83150. Di questa storia ci è pervenuto un abbozzo di 739 pagine in foglio, cm 21x31, con 38-40
righe in minuta scrittura per foglio.
Su le Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici e sulla precedente pubblicazione
Riflessioni proposte agli ecclesiastici, ambedue inviate dai giansenisti alla Congregazione del
Santo Ufficio perché fossero poste all‟Indice dei libri proibiti, abbiamo giudizi entusiasti di
sant‟Antonio Maria Gianelli, giudizi che riporteremo nella seconda parte.
702 D. FASSIIOLO, Op. cit., p. 20. Miei i corsivi.
347
Prima di passare in rassegna in che modo il Frassinetti ci confessa aver
studiato le varie discipline, riportando ampi stralci del suo lavoro – anche
per dare un primo saggio dei suoi scritti –, penso necessarie alcune
considerazioni onde evitare equivoci.
Agli inizi della vita pubblica del Signore i sinottici pongono il racconto
delle tentazioni, quanto dire della scelta. Satana gli suggerisce il suo meglio.
Premio, il consenso delle moltitudini o, per usare un termine oggi in voga,
un indice di gradimento come nessuno ebbe mai e, con tale allettamento,
distrarre ad altre cose la sua potenza salvifica per cui si era incarnato. Ma il
Signore era venuto per rappacificarci con Dio scegliendo lo scandalo della
croce e la stoltezza della predicazione, non per sentirsi applaudito dalle
folle703.
L‟apostolo Paolo, pur essendo stato discepolo di Gamaliele 704 e fornito
di tutti i numeri per muoversi libero e sicuro nel ginepraio dei cento e cento
precetti rabbinici con buona speranza di divenire anch‟egli maestro
autorevole in Israele, fece anche egli la stessa scelta.
Il discepolo non è piú del maestro705, perciò non c‟è stato sacerdote
santo che nella sua adolescenza non si sia trovato di fronte al prendere o
lasciare. Per i santi non è mai esistito l‟accomodamento, una terza via.
Tertium non datur, per dirla con i nostri vecchi maestri di filosofia.
Anche il nostro giovane teologo sui diciotto anni fece la sua scelta:
“Bisogna che l‟ecclesiastico si consideri tutto tale e si contenti di non essere
altro che ecclesiastico”. Via quindi i sogni che poterono per qualche ora
accarezzare la sua vanità: sacerdote di cui tutti avrebbero parlato per i suoi
bei versi, come del Frugoni, all‟epoca ancora celebre, o emulare per cultura
lo Spotorno, l‟Ipse dixit di color che sanno di quegli anni, o, perché no,
divenire oratore di gran fama, un nuovo Segneri… A scuola era bravo,
primo tra i primi.
703 Cfr. Mt 4,1-11; Mc 1,12s; Lc 4,1-13; 1 Cor 1,18-25.
704 At 22,3.
705 Mt 10,24; Lc 6,40.
348
Anche egli scelse, e fu scelta radicale, non diversa da quella di Paolo, sí
che avrebbe potuto ripetere alle anime che gli erano state affidate le parole
dell‟Apostolo ai corinzi, parole che qui mi piace parafrasare:
Venni tra voi non per stupirvi con sfoggio di cultura ed elevata oratoria,
ma ad annunciarvi Cristo crocifisso, ché altro io non so, né desidero sapere,
volendo che la vostra fede non sia fondata su ragionari umani ma sulla
potenza di Dio706.
Il suo fu uno studio tutto ordinato alla propria e all‟altrui santificazione,
non studio di erudito o di cattedratico che, studiando Omero, si chiede se è
veramente esistito e, se esistito, fu lui a scrivere i due poemi, o non furono
in due o in cento, e se dalla loro penna uscirono come sono a noi pervenuti
oppure passarono per una lunga serie di redazioni; e quante, e quali; e come
doveva essere il codice archetipo prima degli sconci operati dai copisti. Uno
studio anatomia di parole morte. No, il Nostro legge le parole della Scrittura
e se ne incanta, e poi le ripete incantando; legge la storia della Chiesa e se
ne commuove, e poi ripete i begli esempi commovendo.
Ad Agostino, pastore, importava poco o nulla determinare se la pianta
alla cui ombra Giona trovò refrigerio fosse una zucca o un‟edera 707;
importava molto invece servirsene per far comprendere alle anime
desiderose di conoscere Dio quanto smisurata era la sua misericordia. I
biblisti di oggi ci dicono in coro che anche Girolamo sbagliava dovendosi
trattare d‟una pianta di ricino!708. Stringi stringi, in queste Osservazioni, il
Frassinetti chiede all‟esperto di chiara fama un po‟ piú d‟umiltà e fa suo il
sospetto espresso da Agostino a Girolamo: etiam nobis videtur aliquando te
quoque in nonnullis falli potuisse709. Prima di iniziare la lettura di ampi
706 Cfr. 2 Cor 2,1-5.
707 Gn 4,6-10.
708 Il vescovo di Oea, città della Tripolitania, aveva fatto leggere in chiesa la storia di
Giona nella nuova versione fatta da Girolamo. A sentir parlare d‟edera invece che di zucca, il
popolo insorse contro la falsificazione, come esso credeva, tanto piú che per difenderla aveva
chiesto agli ebrei il senso esatto. Questi, racconta Agostino, vuoi per ignoranza, vuoi per
malizia – utrum imperitia an malitia – dettero ragione a Girolamo. Per non rimanere senza
popolo il vescovo dovette tornare alle foglie di zucca.
709 AGOSTINO, Epistola 71,3. Sí, anche Girolamo in qualche cosa qualche volta poteva
sbagliare.
349
stralci delle Osservazioni era necessario porre questa premessa per smorzare
piú d‟un sorriso di sufficienza. Cominciamo con le
Osservazioni sopra lo studio della storia710
IV-1. La storia è un quadro vivo che ci rappresenta la Chiesa. Chi
vuol conoscere bene la Chiesa deve fissar questo quadro… Chi potrà
essere buon ecclesiastico senza conoscere bene la Chiesa?…
2. Molte cose si debbono osservare affinché lo studio riesca
all‟ecclesiastico di vero vantaggio. Primieramente è duopo guardarsi
dall‟intraprendere questo studio per passatempo… intrapreso in tal
modo, riesce piú dannoso che tutti gli altri studii i quali si possono fare
per passatempo711. La storia è quella che forma il cuore piú che tutte le
altre scienze, giacché la scienza dei fatti è la piú persuasiva. Chi la studia
per passatempo vi fa uno studio leggiero, inconsiderato, non gli resta che
la memoria inesatta di fatti sconnessi e, quel che piú importa, va con
poco riguardo alla scelta degli autori… Si tenga per certo che questo
studio si dee fare con tutta serietà, metodo ed attenzione – pensava allo
studio alto alto, da… elzevirista, mi si perdoni l‟anacronismo, dello
Chateaubriand nel Genio del Cristianesimo? –. Il fine che dobbiamo
avere nello studio della storia ecclesiastica è quello di conoscere come in
un vivo quadro la bellezza, l‟eccellenza, la divinità della santa Chiesa,
per innamorarci ardentemente di lei e farla poi conoscere ed amare da
tutti.
3. Per ottenere questo fine bisogna attendere primieramente a tutto
ciò che è essenziale alla Chiesa. Una fede invariabile, e questa si
vedrà in tutto il corso della storia, perché ciò che fu dichiarato dogma
una volta, fu sempre dogma…
4. In secondo luogo una morale santa, e questa nella storia
ecclesiastica si vede conservata senza interruzione da‟ primi tempi
fino a noi… La Chiesa ha sempre dato i maggiori onori alle persone
710 G. FRASSINETTI, Osservazioni…, cap. V, pp. 42-100.
711 In nota precisa: “Noi non diremo che sia mal fatto [il leggere qualche squarcio di
storia ecclesiastica col solo scopo di evitar l‟ozio], sibbene che quella è la semplice lettura e
non lo studio della storia della Chiesa, e chi non sapesse di storia, se non per averla letta in
quel modo, non potrebbe dire di averla studiata, né potrebbe fidarsi di parlarne e giudicarne
con esattezza”. Nel manoscritto “C” vi è una nota polemica non riportata a stampa con cui
replica alle critiche di S[caniglia] G[iuseppe] alle sue Riflessioni. La riporteremo nella
seconda parte trattando del polemista. Qui basti dire che appunto in questa difesa ci si rivela
quanta consultazione di testi è dietro ad affermazioni che si direbbero buttate giú come
vengono vengono.
350
che praticarono in modi distinti una santa morale. Si svolgano le vite
di tutti i santi canonizzati: non troveremo che alcuno sia stato assunto
al culto degli altari per essere stato uomo dotto, uomo ricco, uomo
potente, o re o vescovo o papa; ma ciascuno dei canonizzati vi fu
assunto per essere stato uomo distintamente, cioè eroicamente
virtuoso.
5. In terzo luogo l‟amministrazione dei Sagramenti non mai interrotta
e, quanto alla loro sostanza, invariabile… Gli altri riti e cerimonie
cangiano e si avvicendano, ma questi sette sono invariabili.
6. In quarto luogo una Gerarchia nella sua sostanza immutabile e
perpetua. Ad onta d‟ogni vicenda, da‟ primi tempi fino a noi, vi furono
sempre chierici, sacerdoti, vescovi e papa…
7. Per quel che spetta alla fede, dovremo notare le prove ammirabili che
sempre ne diedero un infinito numero di santi confessori e di martiri e
procureremo di non dimenticare gli esempi piú belli che all‟uopo potrebbero
incoraggiar noi, e dei quali ci potremmo ancora valere per animare gli altri.
Similmente per quello che riguarda la morale, noteremo quegli esempi di
eroica virtú, che nella Chiesa furono sempre in sí gran numero e che tanto
servono per fortificare la nostra fiacchezza… Per quel che riguarda la
Gerarchia fisseremo attentamente la sommissione ed il rispetto ch‟ebbero
sempre i chierici ai sacerdoti, i sacerdoti a‟ vescovi, i vescovi al papa,
sommissione e rispetto che ha sempre distinto i chierici, i sacerdoti, i vescovi
buoni dagli scismatici e perversi. In tal modo ci sapremo premunire e
premuniremo anche gli altri contro quei sentimenti d‟indipendenza e di
orgoglio che portarono tanti allo scisma e all‟eresia. In queste cose si vede la
bellezza, l‟eccellenza, la divinità dell‟adorabile sposa di Cristo… [e] ci deve
stare ben a cuore di conoscere, piú di quello che ci debba importar di
sapere… se S. Cipriano abbia scritto il libro de lapsis in aprile… o in altro
mese.
Qui appone una noticina in cui dice che non disapprova lo studio della
cronologia, “tanto necessario per chi studia la storia”, ma “non doversi
trascurare le cose importanti per attendere alle inezie”. Siamo in fondo sulla
linea di sant‟ Agostino che non dava importanza all‟accertamento della
specie di pianta che in un giorno crebbe ed in un giorno inaridí, zucca o
edera che fosse. Che è poi il pensiero di Paolo: “Tienti lontano dalle stolte
investigazioni, genealogie, dispute e battaglie intorno alla legge. Sono
stupidità di nessun giovamento”712. San Tommaso cosí commenta il passo:
712 Tt 3,9.
351
Il maestro di verità non deve rispondere a qualunque questione… perché
deve mirare a due cose: alla verità ed all‟utilità… Conoscere le minuzie,
come sono le genealogie, non giova né alla intelligenza, né alla formazione
dei costumi, né alla fede. Sono questioni futili perché prive d‟una consistente
verità…713.
Non mancherà mai il saputo che riderà di tanta ignoranza. Rida pure714.
Non sono certo questi ingombri mentali che ci danno la conoscenza di Dio e
con essa la vita eterna. Torniamo al Frassinetti.
8. Osservate le cose essenziali alla Chiesa, bisogna notare quelle che le
sono accidentali e non necessarie per non confonderle con le prime. Tali
sono i vari ordini religiosi, i canoni penitenziali, diversi riti
nell‟amministrazione dei Sagramenti, nell‟elezione de‟ vescovi, i digiuni,
le funzioni notturne. Queste cose ci faranno meglio conoscere la divina
bellezza di santa Chiesa, ma per altro, cangiandosi o intermettendosi tali
pratiche, non perde la Chiesa ciò che le è necessario per farla risplendere
qual amabile sposa di Cristo. E qui è il grande inganno nel quale certi
scrittori malignamente fanno cadere i semplici. Pare che in queste cose,
fatte in quei modi determinati, abbia a consistere la bellezza e santità
della Chiesa, e fanno ridicoli piagnistei, lamenti senza fine, e ardite
querele, le quali mentre pare che ti facciano prendere la piú favorevole
idea della Chiesa antica, ti fanno venire in discretivo la Chiesa odierna,
che è sempre l‟antica. – Oh quei monaci anacoreti! Oh quei canoni di
penitenza! Oh quelle popolari elezioni di vescovi! Oh quelle vigilie! Oh
quelle quaresime! Tutto si è perduto o quasi perduto.– Oh quegli storici!
io ripiglio, sanno essi perché dican cosí. La Chiesa odierna parla, tuona,
fulmina, come deve, ogni eresia ed ogni errore; perciò si odia e si
vorrebbe decaduta dalla sua santità, dalla sua purezza, per far cadere i
713 TOMMASO D‟AQUINO, Expositio super epistolam S. Pauli Apostoli ad Titum, lectio 2a.
714 SAN GIROLAMO, Commentarium in Epistolam ad Titum: “È di queste cose che si
gloriano i giudei, convinti di possedere la conoscenza della Legge perché rammentano ogni
singolo nome. E siccome sono per noi nomi barbari, di cui storpiamo la pronuncia, facendo
lunghe le brevi e brevi le lunghe, e non riusciamo a raschiarci la gola nell‟ articolare le loro
aspirate, né ci raccapezziamo con le loro etimologie… ridono della nostra ignoranza…
[mentre loro] fin dalla prima infanzia furono saturati di nomi nella loro lingua e dei loro
significati e te li snocciolano da Adamo a Zorobabel. D‟ognuno ti dicono le genealogie senza
riprendere fiato, trisavoli, bisavoli, nonni, nipoti e pronipoti, e gli anni che vissero, con la
facilità con cui si dice il proprio nome”. Qualche risata di codesti sapienti doveva ancora
bruciargli se, parlando di questa loro bravura, protrae la nota per ben tre colonne! PL 26, cc.
594-596.
352
suoi fulmini nel disprezzo dei fulminati. Fu sempre necessario alla Chiesa
lo spirito di mortificazione e di povertà, ma non le furono mai necessarii i
monaci della Tebaide o della Siria; fu sempre necessario alla Chiesa lo
spirito di penitenza, ma non il canone penitenziale; le elezioni de‟
vescovi, ma non le popolari; le orazioni, ma non le vigilie, e cosí dicasi di
tutto ciò senza di cui la Chiesa può conservare la sua fede inalterabile,
pura la sua morale, intatti i suoi sagramenti, immanchevole la sua
gerarchia.
Per altro non troveremo un‟epoca sola nella quale la Chiesa non
abbia avuto un ornamento molteplice di bellezze accidentali; vedremo
anzi nella storia ch‟ella è un campo mirabilmente fecondo per produrne
continuamente un gran numero, la cui varietà non può spiacere se non a
quelli che fossero stupidi tanto da pretendere eterni sopra di un campo
gli stessi fiori.
9. Bisogna pure riflettere che le storie le quali non ci fanno vedere la
Chiesa sempre santa e sempre degna sposa di Cristo, oltre all‟essere
storie fallaci, sono dannosissime alla consecuzione del fine per cui si deve
studiare la storia ecclesiastica. Certi ipocritoni, tutti zelo e trasporto per
la Chiesa, tutti compassione pe‟ suoi disastri e per le sue rovine, la fanno
piangere amaramente ai nostri giorni colla rugosa vecchia Noemi: Ne
vocetis me pulchram!715. Ed ecco quale ve la rappresentano ne‟ loro
storici quadri. La Chiesa ha i suoi capi, i Romani Pontefici, ma questi da
molti secoli sono persone o imbecilli e ignoranti, o fiere e superstiziose, o
avare e superbe, da tutti insieme questi vizii, e da altri piú, dominate. La
Chiesa ha un corpo di leggi, ma queste sono tutte guaste ed alterate… I
suoi giudici poi, i cardinali, i vescovi, le congregazioni di Roma, ohimé!,
tutta gente senza scienza e senza lumi… La Chiesa ha i suoi ordini
religiosi, ma ohimé!, cosí non gli avesse!… La Chiesa ha i suoi
sagramenti, ma ohimé come sono amministrati! I casisti hanno cangiato
in veleno il pane di vita… Oh povera Chiesa! Altro che invecchiata,
rugosa, impallidita! Eccola un mostro716… Ipocritoni! Com‟è possibile
che ancora tutti non vi conoscano?
10. Dunque notiamo bene che mentre gli storici ecclesiastici debbono
riferirci anche i mali accaduti nella Chiesa tanto antichi che moderni, i buoni
storici non cercano mai con imposture, calunnie ed esagerazioni di far vedere
la Chiesa deformata cosí che sembrerebbe piú degna sposa dell‟anticristo che
del nostro Redentore Gesú…
715 Rt 1,29
716 “Può vedersi un saggio di tali ingiurie contro Roma, il papa, le sue Bolle, i Vescovi
ecc. presso il CRESCIMBENI, Provincinc[iali] all‟italiana, lett. 9”. Nota del Frassinetti.
353
Qui inizia una rassegna delle storie ecclesiastiche allora in circolazione.
Quelle scritte dai protestanti, essendo in Italia poco diffuse, sono poco
dannose per il loro parlare scoperto che nauserebbe: il papa per esse è
l‟anticristo, Roma Babilonia…
12. Le seconde sono scritte da gente affezionata ad un partito, niente
meno eretico di Lutero e di Calvino, che travaglia intestinamente la Chiesa e
che ha l‟onore di tutti quanti gli sconcerti religiosi e politici dei nostri tempi.
Ipocriti tristi, progenie di vipere, farisei del cristianesimo. Le storie scritte da
questa gente con sopraffina impostura riempiono, per gran disgrazia, la nostra
Italia… Queste sí che ci possono ingannare. Bisogna conoscerne i caratteri
per evitarle noi e farle evitare717.
Non nomina i giansenisti, ma il riferimento è chiaro. Si tenga presente
che era ancora vivo il putiferio suscitato in Genova dalle sue Riflessioni
uscite due anni innanzi per aver affermato: “Vi è una setta quasi indefinibile
di tristi ipocriti”, non soppressa nella terza edizione del 1838 in cui chiarisce
il suo pensiero in una lunga nota per difendersi da chi l‟aveva accusato che
vi aveva posto riferimenti personali. La bufera suscitata dal suo primo
lavoro non lo intimidí, anzi! C‟era di mezzo la difesa dei giovani
717 Ha nell‟orecchio i versi della Bassvilliana di V. MONTI: Dell‟ipocrito d‟Ipri...
settator tristi? Dopo l‟uccisione in Roma del rivoluzionario Ugo di Bassville, un angelo ed il
demonio se ne disputano l‟amima. Prevale l‟angelo che, per purificarla, gli fa contemplare gli
orrori della Rivoluzione. A Parigi deve assistere al regicidio di Luigi XVI e al triste
spettacolo dei tripudianti. Nell‟oscena schiera
Curvo il capo, ed in lungo abito bruno
Venia poscia uno stuol quasi di scheltri,
Dalle vigilie attriti, e dal digiuno.
Sul ciglio rabbassati ha i larghi feltri,
Impiombate le cappe, e il piè sí lento,
Che le lumache al paragon son veltri.
Ma sotto il faticoso vestimento
Cela ferri, e veleni, e qual tra‟ vivi,
Tal vanno ancor tra morti al tradimento.
Dell‟Ipocrito d‟Ipri ei son gli schivi
Settator tristi, per via bieca, e torta
Con Cesare, e del par con Dio cattivi.
………………………………….
Né di tal peste sol va caldo, e pieno
Borgofontana, ma l‟Italia mia
Ne bulica, e ne pute anco il terreno. [Canto III, vv. 98-122].
354
ecclesiastici dal pericolo giansenista. Pericolo reale in cui per un pelo non
era caduto lo stesso Gianelli. Lasciò una nota nel manoscritto temendo,
forse, che, pubblicandola, il suo libro potesse trovare maggiori difficoltà per
il Visto se ne permette la stampa e la diffusione. La nota diceva:
Questi sono i seguaci di Giansenio, dei quali adesso si dice non esisterne
piú, e dai medesimi sempre si disse non essere mai esistiti. Videro questi
eretici che tutti quanti i loro predecessori, staccandosi apertamente dalla vera
Chiesa, erano restati quai tralci recisi dalla vite che tosto disseccano. Essi
tentarono di stare uniti alla Chiesa, non tenendone però la fede. Non vi
riuscirono. Le cinque proposizioni [condannate] hanno il marchio dell‟eresia.
Chi non le condanna con la Chiesa cattolica è eretico. Esternamente può
essere in comunione col popolo fedele, ma frattanto è un infedele davanti a
Dio, e [davanti a] chiunque ne conosce i sentimenti…
Essendo il pericolo grave e pernicioso, nel numero 13 ne indica i
caratteri che qui riportiamo in riassunto.
I. Nei proemi, e qua e là nel testo, un linguaggio pieno d‟unzione che
pare uscito dalla penna di san Bernardo.
II. Un eccessivo rispetto per l‟antichità cercando di persuadere che “i
primi cristiani erano tutti santi, gli odierni invece tutti dannati”.
III. Una grande devozione per sant‟Agostino che li dispensa
dall‟averne per gli altri santi padri e per Maria Santissima. “Molti santi
poi piú moderni hanno ribrezzo a chiamarli tali”.
IV. Zelo per i diritti inalienabili dei vescovi. “Vorrebbero amici tutti i
capitani dell‟armata perché il principe restasse abbandonato da tutti i
suoi”.
V. “Odio giurato ai Romani che non cederebbe a quello di Annibale.
Tutto ciò che vien da Roma: Brevi, Dispense, Indulgenze, Reliquie, tutto
è trista merce, falsificata, alterata, senza valore… [da] stimar poco, anzi
da disprezzare… per far guerra ai Romani, altre armi non trovando, si
servirebbero fin degli spilli: perciò procurano d‟infiorare ogni pagina
delle loro storie ecclesiastiche con qualche motto, sale, sentenza antiromana”.
VI. “Gran rispetto pe‟ principi temporali… per avergli amici di qualche
bel colpo, col quale, abbattuta la Chiesa, se fosse possibile, gli sbalzin tosto
dal trono”.
Qui, a conferma di quanto ha affermato, appone una lunga nota in cui
rilegge la storia della seconda metà del secolo precedente che aveva visto i
giansenisti prima alleati del giuseppinismo e poi della rivoluzione.
355
15. Le storie della terza classe sono quelle che scrissero i buoni cattolici.
Di queste pure abbiamo un discreto numero…
16. Si deve pure riflettere che anche fra gli storici cattolici di buona fede e
di sani principii vi sono alcuni dei quali si sono lasciati abbagliare da certi
lumi del secolo… Perciò, leggendoli senza una qualche avvertenza, sarebbero
meno utili, per non dire dannosi. Questi lumi, de‟ quali parliamo,… sono
molti lumi critici che adesso brillano su tutte le materie della storia
ecclesiastica ed hanno piú bagliore che luce. Brevemente ne additeremo i
principali…
Cosa che fa nei restanti paragrafi 17-37, pp. 60-100.
17. L‟odierna critica si fida solo di ciò che è naturale… [ricavano],
per esempio, da Eusebio di Cesarea un qualche fatto che è in parte
naturale, in parte soprannaturale… ciò che non eccede le forze della
natura ve lo danno per certo, ciò che le eccede ve lo danno per dubbio,
ponendovi un freddo: si dice pure…
18. Un valoroso critico, che stese parecchie vite di santi, confessò
schiettamente ch‟egli ne aveva tolto tutte le cose inutili, quali sono i
prodigi ed i portenti…
19. … Lo storico giudizioso deve saper discernere i veri dai falsi… ma
non dee tutto pareggiare…
20. Sí poco è il credito che varii moderni critici hanno dei miracoli,
che stabilirono per regola di critica, onde discernere le vere dalle false
storie dei santi, l‟osservare se riportino miracoli in poco numero… il P.
Lamy non dubitò di dire che anche gli Apostoli mancarono in critica,
proposizione che parve alquanto dura al Tillemont, e che a piú d‟uno
parrà troppo insolente.
21. L‟odierna critica non si contenta di dubitare di tutto ciò che è
soprannaturale, ma sparge dubbi su ogni cosa, riputandosi tanto piú
spregiudicata, quanto meno crede… Dacché si spaccia per cosa certa che
il dubbio abbia portato la filosofia a quella enorme altezza 718, a cui si
dice arrivata, si spera di progredire a forza di dubbi in ogni scienza e
particolarmente nella storia ecclesiastica. Si pregiava Bayle d‟aver
l‟attributo del Giove d‟Omero, Adunanubi; ma quanti Adunadubi nella
storia ecclesiastica negli ultimi tempi!
22. Si mettono in dubbio tutte le pie tradizioni che ci ha tramandato
l‟antichità… Quanto piú si fanno vedere i nostri vecchi senza giudizio,
pare che debba maggiormente risplendere l‟ingegno dei nostri giovani…
Noi intanto rifletteremo che, per impugnare una pia tradizione, vi
718 Riferimento a Cartesio.
356
vogliono sodi argomenti i quali non dimostrino solo che possibilmente,
ma che realmente sia falsa…
23. Lo stesso Giovanni Clerc confessa schiettamente che gli antichi
avevano grandi aiuti di piú per conoscer la verità delle cose e dei fatti che
narrano, i quali mancano ai moderni. Potevano consultare molti storici…
molte opere di filosofi e di Padri che noi non abbiamo piú…
24. Intanto osserviamo un poco quante pie tradizioni bisogna rifiutare… È
pia tradizione che nel presepio di Betlemme vi fosse un asino e un bue, la
quale viene confermata da parecchi santi Padri ed abbracciata dalla
Chiesa…719.
Ne cita un buon numero. Per dare un giudizio oggi, si deve tener conto
dello stadio in cui si trovava la critica ai tempi in cui il Frassinetti scriveva e
della dissacrazione d‟ogni cosa santa che c‟era stata nel secolo precedente,
basata spesso, piú che su prove e serietà d‟argomenti, su battute di
spirito720.
25. Non solo queste, ma innumerevoli altre tradizioni si fanno da certi
critici passare per favole… Si osservi però che non è mia intenzione
condannare la vera critica, tanto necessaria in materia di storia
ecclesiastica, ma quella critica intemperante che mette tutto in dubbio,
da cui s‟impara la scienza piú miserabile, che possa aver l‟uomo, di non
saper nulla di certo.
26. … Quando i novatori si studiarono di togliere alla Chiesa cattolica
tutti i monumenti, con i quali ella potesse provare l‟antichità e la santità
delle sue pratiche, si studiarono i critici di trovare i dubbi possibili per
far vedere che tante opere, fino allora tenute in gran conto dalla
semplicità de‟ nostri avi, doveano disprezzarsi dall‟accortezza de‟ loro
719 BENEDETTO XIV, De festis, libro I, c. 17.
720 Ne riporto solo questo esempio perché anche oggi qualche pretino e qualche rivista,
pieni di zelo, nelle ricorrenze natalizie spiegano come e qualmente nel presepe non c‟erano il
bue e l‟asinello e come debbano esservisi infiltrati da una arbitraria lettura di Isaia. Scrive il
Frassinetti: “Baillet la dà per favola e con lui Tillemont”. Non credo ci sia bisogno di
scomodare Isaia. Basta non essere nato in biblioteca ed ivi aver trascorso la vita, ma in un
qualunque villaggio di campagna com‟erano fino a un cinquant‟anni fa. Se un contadino
padrone di un fazzoletto di terra costruiva una stalla, la costruiva per tenerci le poche bestie
che aveva: l‟asino, la capra, qualche pecora, le galline e da noi, ma non in Palestina, il
porcellino, se piú ricco anche la mucca. Dire stalla, anche per me bambino, era dire la
presenza d‟alcuni di questi animali, dell‟asino e del bove o mucca soprattutto. Parlando di
stalla, per la gente di campagna la presenza dei piú comuni animali domestici è implicita. Non
basta il silenzio per negare una antica tradizione. È questo il pensiero del Frassinetti.
357
nipoti… Cominciarono ad insegnare che soltanto gli scritti dei primi
secoli si doveano credere autorevoli, quando, secondo la loro espressione,
la credenza dei fedeli era ancora immacolata… [ma], anche de‟ secoli
primieri si aveva un numero di scrittori ecclesiastici i quali sostenevano
quella fede e quelle pratiche che essi volevano abbattere, si diedero
[quindi] ad analizzarli con una critica incontentabile… Credendo di
poter parlare di que‟ secoli remoti come si poteva parlare del secolo in
cui vivevano, immaginarono tutti quei caratteri, tutte quelle note, tutte
quelle particolarità e aggiunti e connessi che, a loro giudizio, dovevano
avere quegli scritti antichi affinché potessero giudicarsi autentici, e
ciascuno di essi, cui alcuna cosa mancasse delle richieste, rigettarono
come apocrifo… Da quel poco o quasi nulla, che restò per essi
d‟autentico, facilmente si sbrigarono con interpretazioni o asserzioni
ardite che alteravano i sensi di quegli scrittori… In tal modo credettero
di poter dire ai cattolici: Voi non avete piú la fede antica…
27. Questa macchina non si vide allora a prima giunta, come si vede
adesso, e perciò varii dotti anche cattolici… desideravano conceder loro
tutto ciò che pensavano potersi concedere… I protestanti per questo si
rappacificarono coi cattolici? Andarono sempre piú superbi dei loro
ritrovati, menarono maggior trionfo, vedendo che i papisti, come li
nominavano, avevano già parecchie cose apprese dalla loro scuola…
28. Chi vorrà considerare attentamente gli antichi monumenti, ne
troverà degli apocrifi ed alterati… ma ne troverà altresí in buon numero,
piú di quello che dai moderni critici si conceda, i quali possono e
debbono dirsi autentici e autorevoli…
29. Noi procederemo adunque in fatto di libri, relazioni, leggende ecc.,
come [si è detto] in fatto di pie tradizioni. Non ci basterà una congerie di
dubbi, perché tralasciamo di aver in credito un antico libro, ma vorremo
argomenti certi i quali ci provino veramente che quel libro è apocrifo…
Non si dimentichi ciò che abbiamo già fatto osservare: il Frassinetti non
invita allo studio della storia ecclesiastica per puro amore di ricerca, ma
perché, conosciuta meglio la vita della Chiesa, meglio si viva. È un pastore
che pensa ai fedeli e mette in guardia i futuri pastori dal turbare la fede della
gente semplice basandosi su l‟ultima ipotesi dell‟ultimo critico di fama 721.
721 Accadde non molti anni fa dalle mie parti, a Chieti, dove festa popolare e festa
religiosa formano un tutt‟uno, come, del resto, in tutto il Meridione. Un vescovo di altra
cultura volle sapere quali canzonette avrebbero cantato la sera in piazza. Non essendo stata
accettata la censura di alcune, separò la festa religiosa da quella popolare togliendo la
processione ed il suono delle campane. Non mancò il pretino tutto zelo e ricco di erudizione
358
31. Alcuni libri e leggende722 si disprezzano al giorno d‟oggi perché vi
si trovano della alterazioni e mutilazioni, ma forse per questo si potrà
ragionevolmente impugnare la loro autenticità? Io posso guastare in piú
luoghi Virgilio, inserendovi de‟ versi indegni di quel gran poeta. Non per
questo il critico… potrebbe dir apocrifa tutta l‟opera. Alcune altre opere
si disprezzano perché non scritte con quello stile forbito che distingueva
il secolo… Ma non può addivenire che in un secolo di buono stile vi sia
chi scriva male?… Altre opere si rigettano perché sbagliano nella data…
ma non si può egli facilmente errare nella data o per inavvertenza dello
stesso scrittore o per trascuratezza dei copisti?… Altre non ammettonsi
perché sbagliano nel nome o di un papa, o di un imperatore, o di un
console; ma questo sbaglio si potrà egualmente attribuire o a
smemoramento dello scrittore o a posteriore corruzione… Possono
dunque occorrere degli sbagli nei nomi senza che siano apocrife le
leggende ed i libri ne‟ quali riscontransi. Ma chi non sa che nei codici piú
autentici si trovano innumerevoli di questi sbagli? Altre opere si danno
per ispregevoli perché non ne fa menzione questo o quell‟autore, perché
un fatto in esso riferito è taciuto da uno storico contemporaneo. Ma
questo e quell‟autore e lo storico contemporaneo forse hanno taciuto per
ignoranza (che parziale può darsi anche nei dottissimi), o per
trascuratezza… o non hanno forse creduto di dover mentovare quel libro
o raccontare quel fatto. Eusebio di Cesarea tace di Atenagora, scrittore
celebre de‟ primi tempi, né riporta la condanna degli ariani fatta dal
Concilio Niceno, ma pure Atenagora è esistito e il Concilio di Niceno ha
condannato gli ariani.
32. Questi non sono i soli motivi… Hanno fissato questa regola
che, quando in uno scrittore antico si trovano parole le quali
cominciarono ad usarsi dopo l‟epoca di cui porta la data, quello
scritto si debba stimare apocrifo. La regola in se stessa è retta,
quantunque possa avere le sue eccezioni, ma è da vederne
l‟applicazione… permetteranno che lor dimandiamo… se debbansi
riputare apocrife tutte le Scritture canoniche quando in esse si trovano
espressi chiaramente gli errori condannati negli eretici… Perché non
che scoprí che il vescovo san Giustino, patrono della città, non era mai esistito! Si pensi lo
stupore della folla che ab immemorabili ne aveva ascoltato i panegirici. Vi si aggiunse
qualcosa di comico: in quella festa a luci spente e a campane mute, venne una grandine con
chicchi grossi come uova di galline che si accanirono a flagellare il campanone, famoso per
udirsi fino ad Ortona per salutare l‟apostolo Tommaso, e quello d‟Ortona rispondere con un
saluto che s‟ode a Chieti. Il popolo ci vide la mano di Dio: Monsignore non ha fatto suonare
le campane, e Dio ha pensato a suonarle lui. Un pastore non può ignorare il suo popolo.
722 Penso dia a leggenda il senso di racconto accettato per vero dalla tradizione.
359
dichiarano apocrifa la lettera di S. Ignazio agli Efesini ove dice:
“Deus noster Iesus Christus”? Gli ariani vennero pur dopo S. Ignazio
martire…723.
33. Assegnano altre regole per conoscere l‟autenticità degli atti dei
martiri… non debbono riportare gran numero di tormenti o tormenti
troppo crudeli… non devono contenere aspre parole dette dai martiri ai
giudici, né lunghe parlate… Dio ispira ai santi cose straordinarie che
sembrano mal fatte alla nostra ignoranza e presunzione. A‟ nostri tempi
si vuole decantare troppo la mansuetudine evangelica… Bisogna vedere
se lo Spirito Santo, il quale, secondo la promessa del Redentore: “Cum
tradent vos, nolite cogitare quomodo aut quid loquamini etc.”724, ispirava
ai Martiri ciò che dovevano dire, [se] voleva che dicessero poche cose o
molte. Santo Stefano, i cui atti sono d‟infallibile divina autorità,… fece
una lunghissima parlata che occupa quasi intiero il cap. VII degli Atti
apostolici.
34. Dunque, si dirà, se gli argomenti succennati non bastano per
credere apocrifo un libro, una leggenda, dovremo crederli tutti
autentici?
723) )))Ihsou=j Xristo\j o( Qeo/j, Ef e Rm nell‟iscrizione, Smyr 1,1. È un‟espressione
ricorrente anche nelle altre lettere autentiche. Cfr. A. CASAMASSA, I padri apostolici, Roma
1938, p. 146. Riportiamo questo solo esempio dei molti addotti dal Frassinetti in questo
paragrafo.
724 Mt 10,19. Nel paragrafo sono citati esempi di linguaggio duro tratti dalla Scrittura ed
in nota: “Si sa quali nomi dessero i Santi padri agli eretici. Il discepolo diletto, il
mansuetissimo S. Giovanni prescrive: Nec ave ei dixeritis 2 Gv 10, parlando di eretico.
Malgrado questo, nella prefazione di un libro uscito nell‟ultimo secolo, gli eretici si chiamano
i nostri amati fratelli da noi disgiunti per contrarie opinioni. Io confesso, che mi sentirei del
ribrezzo a chiamare cosí semplicemente col nome di fratello chi non appartiene alla famiglia
cattolica, e a dare il nome di opinioni ai dogmi e alle eresie”. Affermazione che oggi ai nostri
orecchi suona molto dura, ma fino agli anni della mia infanzia, l‟evangelizzazione dei
protestanti al mio paese consisteva nel denigrare quanto di piú caro aveva un cattolico: che
Maria non era vergine, avendo avuto altri figli, che noi si era idolatri perché, a loro dire,
s‟adorava la Vergine e i santi, che il papa, che la messa, che la confessione… Un
ecclesiastico, soprattutto se parroco, non poteva non vedere in loro il lupo che veniva ad
insidiare il gregge di Dio. Ancora piú duro Don Bosco: “– D. Quale fine fece Lutero? – R.
Questo caparbio apostata finí in modo ben degno della sua empietà… Vomitando bestemmie
contro il Papa, contro la Chiesa, e contro il Concilio Tridentino, cessò di vivere per andare
all‟inferno a patir co‟ demoni, i quali aveva piú volte implorato in suo aiuto” (Storia
ecclesiastica, Torino 1845, p. 301s.).
360
La risposta è troppo netta e non ce l‟aspetteremmo. Ma quando la critica
va troppo oltre, non ci si deve meravigliare se anche la difesa non è
contenuta. Qui gioca anche la mentalità del giurista, canonizzata nell‟effato
melior est conditio possidentis, ossia, spetta a chi impugna l‟obbligo di
addurre le prove, e, fino a quando queste prove non sono convincenti, si
deve continuare a credere come s‟era sempre creduto:
Sí: dovremo crederli tutti autentici, se alcuno non scoprasi per evidentemente
apocrifo, né, senza chiari e validi argomenti positivi che ci costringano a
tanto, si può turbare dal possesso in cui è da molti secoli l‟autorità di quella
leggenda o di quel libro. – Ma con tanta buona fede non ci metteremo in
pericolo di errare e tenere per autentici gli scritti apocrifi? – E con tanta
critica non potremmo sbagliare, tenendo per apocrifi gli scritti autentici? Il
pericolo è maggiore in questo secondo caso che in quel primo… Ponghiamo
che [le opere di S. Dionigi Areopagita, che sono, come mi dice la Chiesa nel
suo breviario: admirabiles et plane cœlestes] non siano autentiche; nulla di
meno io non ne avrò alcun danno, che anzi resterò edificato dalla loro lettura.
Che se… mi persuaderò esser quelle apocrife, e per giunta essere opera di un
eretico monofisita, come si sforzò di provare il P. Lequien, io non ne ricaverò
piú alcun frutto e sarò reo di qualche temerità dichiarando io queste opere
detestabili e al tutto infernali, quali devono essere i libri che da per se stessi si
danno a conoscere scritture d‟eretico.
Il passo riportato si presta a piú considerazioni.
1. Il Frassinetti è tutt‟altro che uno studioso acritico. Conosce lo stato
delle questioni e la loro storia. Ai suoi tempi la controversia sull‟autenticità
del Divino Dionigi, creduto l‟Areopagita, era ancora tutta sub iudice.
2. L‟Areopagitica, ossia il corpus degli scritti dionisiani, fu creduta opera
di Dionigi Arepoagita725. In Occidente il primo a citarlo come
dell‟Areopagita, ed ad attingervi, fu il papa Gregorio Magno, seguito da altri
pontefici. Numerose le versioni latine ancor prima di quelle degli umanisti
Ambrogio Traversari e Marsilio Ficino, questa solo parziale, né meno
numerosi i commenti: Scoto Erigena, Ugo di San Vittore, Alberto Magno,
Tommaso d‟Aquino, Gersone, Marsilio Ficino… L‟Hôtel Acarie, fu una
vera scuola dionisiana. In quel salotto di Mme Acarie convenivano Pietro di
Bérulle, suo cugino, il cappuccino Benedetto da Canfeld, nonché, nel suo
soggiorno parigino, san Francesco di Sales. All‟Areopagita si rifanno Luigi
725 At 17,16-34-
361
di Blois, Lefèvre d‟Etaples, che nel 1498 ne diede alle stampe il Corpus
completo: Theologia vivificans, Cibus sanus; san Giovanni della Croce,
Alfonso Rodriguez, ed altri ed altri, ma soprattutto Caterina da Genova.
Anche Lutero fino al 1519 ne ebbe la stessa stima. Mutò parere, ma con
critica facile e superficiale, solo dopo che Giovanni Eck s‟era fatto forte
dell‟Areopagita per affermare il primato romano d‟origine divina. Fu tale
l‟influenza del Divino Dionigi sul pensiero medioevale, ed oltre, da potersi
avvicinare a quella di Agostino, Aristotele e Boezio. Se ne ha una riprova in
Dante che lo pose nel Quarto cielo, quello del Sole, sede degli spiriti
sapienti, facendoselo cosí additare da Beatrice:
Appresso vedi il lume di quel cero
che giú, in carne, piú addentro vide
l‟angelica natura e il ministero
e, nel Primo Mobile, fa dire da Beatrice giusta la teoria angelica
dell‟Areopagita ed errata quella di Gregorio Magno:
E Dionisio con tanto disio
a contemplar questi ordini si mise
che li nomò e distinse com‟io.
Ma Gregorio da lui poi si divise;
onde tosto come gli occhi aperse
in questo ciel, di sé medesimo rise.726
3. I primi dubbi sull‟autenticità furono avanzati dall‟umanista Lorenzo
Valla, morto nel 1457, ma resi noti solo nel 1504 da Erasmo. Dietro di lui i
protestanti, ai quali, nei secoli successivi, si uniranno critici giansenisti,
come Tillemont, Lequien, Launoy, ma anche cattolici, come il Roncaglia, il
Fleury… Non mancarono i difensori: Giovanni Fisher, il cardinale martire,
lo stesso Arrigo VIII, il Bellarmino – Soli hæretici lutherani et quidam
scioli, Erasmus, Valla et pauci alii opera supra nominata negant esse S.
Dionysii Areopagitæ –727, il Baronio, il Lessio, i teologi della Sorbona…
4. Bisognerà aspettare il 1895 per avere la dimostrazione definitiva della
inautenticità ad opera dello Stiglmayre e del Koch, indipendentemente l‟uno
dall‟altro. Nessuna meraviglia, quindi, che il Frassinetti aspetti a dissociarsi
726 DANTE, Paradiso, X, 115-117; XXVIII, 130-135.
727 R. BELLARMINO, De scriptoribus ecclesiasticis, Colonia 1613, p. 65: “Soltanto gli
eretici luterani e certi saputelli, Erasmo, Valla e pochi altri negano che le opere su citate siano
di Dionigi l‟Areopogita”.
362
dalla buona compagnia di san Gregorio Magno, Ugo di San Vittore, san
Tommaso d‟Aquino, san Alberto Magno, Baronio, Bellarmino, il suo san
Giovanni della Croce, la sua santa Caterina ed altri. Ancora. Nel 1845 G.
Darboy, il futuro arcivescovo di Parigi fucilato dai communards nei tristi
giorni della sollevazione del 1871, in una lunga introduzione alla sua
versione delle Opere, ne difenderà l‟autenticità assoluta, né fu il solo. 728
Ma lo Stiglmayre ed il Koch non posero però fine alle altre questioni: da chi
l‟Areopagitica sia stata scritta e dove e quando, questioni ancora oggi
dibattute, cominciando dalla data da essi posta a cavallo del V e VI secolo.
C‟è chi l‟anticipa addirittura d‟un tre secoli!
5. Di piú, mentre l‟Areopagita veniva tolto dal circolo paolino, lo si
poneva in ambiente monofisita, quindi… monofisita, anche se nelle sue
opere non v‟è traccia di tale eresia. L‟Imitazione dice: Non quæras quis hoc
dixerit, sed quid dicatur attende729, ma tant‟è, tolta all‟Areopagita l‟aureola
di padre apostolico, bollato d‟eresia monofisita e scaduto da Divino Dionigi
a Pseudo Dionigi, un falsario!, i suoi scritti nell‟opinione di tanti venivano a
perdere tutti i pregi che li avevano resi famosi per caricarsi del sospetto
d‟eresia sí da non potersi leggere senza pericolo. Ne è riprova la gioia che
questo declassamento suscitò negli avversari della mistica.
Ed è questo che il Frassinetti vuole evitare, applicando alla storia i
principi che vigevano nel diritto e nella morale: In dubio melior est conditio
possidentis e factum non præsumitur, sed probari debet, quanto dire: finché
non si sarà data una dimostrazione persuasiva della non autenticità, si
continui a credere ciò che da secoli si è sempre creduto. Nello studioso
riaffiora la preoccupazione del pastore:
Ormai, chi vuol nome di erudito e spregiudicato – scrive nell‟inedita
Storia ecclesiastica –, non può piú dire a cagion d‟esempio il dubbio papa
Anacleto, le opere dubbie di S. Dionigi Areopagita, ma deve dire il falso
Anacleto, le opere apocrife, o attribuite, che è pure lo stesso,
728 Per tutta la questione si cfr. L. BOUYER, Spiritualità dei padri, Bologna 1966, p. 343380; R. AUBERT. M. CAPPUYNS, R. ROQUES, Denys le Pseudo-Aréopagite in Dict. d‟histoire et
géogr. eccl., vol. 14, Paris. 1960, cc. 265-310. Si cfr. inoltre F. CAYRÉ, Patrologia e storia
della teologia, vol. II, Roma 1948, p. 96. G. FRASSINETTI, Storia ecclesiastica, Op. cit., p. 193196.
729 Imitazione di Cristo, libro I, cap. V,1: “Ti attiri a leggere l‟amore della pura verità.
Non chiederti chi l‟ha scritto, ma bada a ciò che v‟è scritto”.
363
all‟Areopagita… Finché un‟opera insigne viene attribuita ad uomo
celeberrimo per dottrina e santità, ciascuno la venera e ne parla con sensi
rispettosi, quando poi si perviene a far dubitare… piú d‟uno con libertà
soverchia … trascorre a vilipenderla. Finché gli scritti [di S. Dionigi
Areopagita] erano riputati opera di un Padre Apostolico, li venerarono i piú
sapienti dottori di S. Chiesa, e con lei pensavano che fossero cose admirabiles
et plane cœlestes, adesso il padre Lequien… proferí quella insolenza che sono
opera d‟un eretico monofisita730.
Oggi, che la critica ha addotto prove ben piú convincenti, il Frassinetti
non difenderebbe piú l‟autenticità di quegli scritti, bensí il loro valore,
memore delle parole dell‟Imitazione su riportate, libro a lui sí caro.
35. Se le pie tradizioni e le antiche scritture sono malmenate dai critici,
nol sono punto meno le sante reliquie. Perché si conobbe essersi venerate
alcuna volta per errore reliquie false, certi critici vorrebbero togliere il culto a
quante mai sono reliquie… Teme la delicata loro pietà di venerare qualche
reliquia falsa insieme con le vere… Quando adoro il Santissimo Sacramento,
io l‟adoro supponendo quell‟ostia consacrata, che, se per avventura nol fosse,
io non intendo adorarla.
38. Conchiuderemo con una importantissima riflessione, ed è che la storia
ha i suoi misteri… questi misteri si trovano piú frequenti ne‟ primi secoli e la
loro ragione sufficiente altra non è che la grande ignoranza in cui siamo delle
antiche cose, e quando questa ignoranza è minore circa i tempi posteriori,
minore è il numero de‟ misteri storici. Si studii l‟antichità quanto si vuole,
[se] siamo mancanti di monumenti e di relazioni intorno ai primi secoli, non
v‟ha ingegno al mondo che possa conoscere ciò che non può vedere, né
sentire, né leggere. Da questa mancanza di monumenti e di relazioni deriva il
sapersi alcuni fatti sconnessi… Non ponendo mente a tal cosa, certi studiosi
dell‟antichità … caddero in molti sbagli… Noi, qualora troveremo nella storia
antica qualche cosa che non s‟accorda colla sana massima e colla retta
cognizione, che si ha dei diritti e dei doveri cristiani o ecclesiastici,
riconosciamo un mistero prodotto dalla poca scienza intorno a que‟ tempi, e
non isconvolgiamo i diritti, i doveri e le massime.
Il Frassinetti non condanna la critica storica, ma la vuole serena, non
fondata su congetture, né ad esse sacrificati i fatti, peggio se ordinata a
combattere la Chiesa. Si faccia della critica, ma con umiltà e si vada adagio
nello spargere dubbi e nel pronunciare sentenze aspettando che si siano
730 G. FRASSINETTI, Storia eccl. pp. 11.35s.
364
prima acquisite valide prove. Se mancano, i misteri deggionsi venerare,
anziché pretendere di spiegarli.
CAPITOLO XXIV
OLTRE LA SCUOLA
II
L‟ecclesiastico sappia ben distinguere ciò che è dogma e ciò
che è certo nella Chiesa… da ciò che è quistione scolastica
semplicemente… Per istruire il popolo, per sentire le
confessioni vi vuole sana morale… L‟ecclesiastico debb‟essere
persuaso dell‟ importanza dello studio della Scrittura,
considerando che la Chiesa l‟affida a lui perché la spieghi al
popolo..
Giuseppe Frassinetti
Sopra lo studio della Dogmatica731
Riprendiamo a leggere le Osservazioni del Frassinetti:
II-1. Molte buone qualità sono necessarie all‟ecclesiastico, però non può
dubitarsi che la prima fra tutte sia una fede retta e irreprensibile. Con questa
può sperare sempre bene di sé, giacché è illuminato dalla vera luce e vede ciò
che dee fare, ciò che dee cercare o fuggire, e sarà quasi impossibile che la
volontà tardi o tosto non si lasci guidare dall‟intelletto bene illuminato, perciò
la prima scienza, in cui ha da essere fondato un ecclesiastico, è la sana
dogmatica…
Il paragrafo che segue è basilare. Come nel suo Compendio di teologia
morale pone chiara la distinzione tra ciò che è certo e ciò che è solo
probabile, tra ciò che è di precetto e ciò che è solo di consiglio, distinzioni
fondamentali perché si viva la vita cristiana con serenità e libertà di spirito,
qui pone la distinzione tra ciò che è di fede definita e ciò che di fede definita
non è, tra ciò che è certo e ciò che è in vario grado prossimo alla fede o solo
parere delle varie scuole teologiche o pia credenza. Abbiamo un vero
manifesto in cui è rivendicata la libertà del credente. Tutto ciò che è
731 G. FRASSINETTI, Osservazioni… cap. II, pp. 10-23.
365
deposito di fede va creduto con ferma fede, le opinioni degli scolastici si
rispettino tutte senza però volerne imporre una sola. Siamo sulla linea di san
Paolo: altra cosa il battesimo, altra cosa la circoncisione; il primo
necessario, l‟altra potrebbe anche essere accettata come pia usanza da chi vi
si sente portato, ma in nessun modo imposta come mezzo necessario per
essere salvi.
2. Innanzi tutto bisognerà che l‟ecclesiastico sappia bene distinguere ciò
che è dogma e ciò che è certo nella Chiesa, quantunque non sia espressamente
definito articolo di fede, da ciò che è quistione scolastica semplicemente. I
dogmi si debbono tutti credere e difendere al modo stesso e con lo stesso
impegno. È tanto vero che esiste la SS. Trinità, quanto è vero che il
matrimonio è un sagramento. Questi due dogmi hanno uguale certezza, e il
primo non ne ha punto piú del secondo.
3. Ciò che è certo nella Chiesa, quantunque non sia espressamente definito
articolo di fede, come sarebbe l‟Assunzione al cielo di Maria Santissima 732…
si deve semplicemente credere e non ammettere mai alcun dubbio che nascere
potesse contro queste verità, per quanto sembrasse fondato e ragionevole.
Farebbe torto a se stesso chi volesse persuadersi di meglio pensare che il
senso comune dei Padri, dei teologi e dei fedeli…
4. Ciò che è quistione scolastica semplicemente si dee lasciare nel suo
stato e non pretendere di innalzarla a quel grado di certezza che hanno le
verità sopra notate… perché in queste quistioni, nelle quali da un lato e
dall‟altro vi sono buoni argomenti, per quanto io mi studi di esagerare la forza
degli uni e quella estenuare degli altri, sarà sempre vero che avranno la loro
probabilità. Forse arriverò a persuadere me stesso della verità di una data
opinione perché desidero persuadermene, ma non arriverò mai a persuaderne
un animo spregiudicato733 che consideri i diversi argomenti senza passione.
Che servirà ch‟io condanni il molinista di pelagianismo, il tomista di
luteranismo, di calvinismo, l‟agostiniano di giansenismo? La Chiesa
riconosce per figli suoi il molinista, il tomista, l‟agostiniano, ed è inutile
temerità ch‟io li voglia confondere con quegli eretici, quando la Chiesa ne li
discerne.
Cosí sarà inutile ch‟io m‟accinga a far passare per certissima alcuna delle
loro opinioni e che predichi la sottomissione dell‟intelletto alla fede di quel
dogma che sarà mio e di molti altri, ma che non è ancora dogma della Chiesa.
Per l‟impegno di voler portare troppo innanzi l‟evidenza e l‟importanza delle
opinioni scolastiche, spesso restò offesa la carità e si perdé molto tempo che
si poteva meglio occupare dagli autori, dai maestri e dagli scolari.
732 Scriveva 111 anni prima che il dogma fosse definito.
733 Qui ha il senso di libero da pregiudizi.
366
Nelle quistioni puramente scolastiche ciascuno inclini a quella parte che
vuole, ma non pensi di credere un dogma, pensi invece i suoi avversarii essere
non meno di lui buoni cattolici.
5. Tuttavolta nella scelta delle opinioni non si vada alla cieca e a
capriccio. Tutte hanno la loro probabilità, finché la Chiesa non manifesta il
suo sentimento, ma può essere cosa piú utile l‟inclinare anzi alle une che alle
altre.
6. Quelle che conciliano maggiore rispetto ai varii ordini della
ecclesiastica gerarchia… sono certo da preferirsi a quelle che conciliassero
loro meno rispetto734.
Come vedremo nella seconda parte, il Frassinetti ebbe fortissimo il senso
della Chiesa. A questo paragrafo fa seguire una nota:
7. Vi sono certe opinioni le quali lasciano i misteri in quel grado di
veneranda oscurità nel quale ce li propone la fede; ve ne sono altre le quali
pare che quella oscurità accrescano e facciano sorgere dai misteri rivelati altri
misteri che la Chiesa non sostiene colle sue decisioni. Coloro, a cui piacciono
queste seconde e che le difendono con gran calore, non so qual frutto si
possano aspettare dalle loro fatiche e profondissime discussioni. L‟utilità dei
misteri rivelati la vedo chiara, perché servono ad esercitare la fede e l‟umiltà
dell‟uomo… ma i misteri formati da certuni non so quale virtú possano far
esercitare all‟uomo… e poco serve che si vogliano far vedere tali misteri
chiaramente espressi nelle Scritture e nei Padri, mentre altrettanti esperti…
non ve li vedono e chi ha l‟autorità di definir le quistioni frattanto tace.
8. Vi sono poi certe opinioni… [che] non ci confortano a satagere ut per
bona opera certam nostram vocationem et electionem faciamus come ci
esorta S. Pietro735. Non sarà meglio lasciar queste da parte ed appigliarci a
quelle che invece c‟inspirano fervore ed impegno?
734 Lo stesso modo di vedere le cose il Rosmini. Il 28 marzo 1840, neppure un anno dalla
pubblicazione del lavoro del Frassinetti, scriveva al card. Castruccio Castracane: “Approfitto
di quella preziosa libertà che la S. Chiesa difende e garantisce a tutti i suoi figli. Rispetto alle
mere opinioni procuro di scegliere quelle che io credo piú fondate, piú pie e piú utili alle
anime, senza legarmi a nessuna scuola speciale, e molto meno a nessun partito: sottometto
tutto sinceramente alla S. Sede Apostolica maestra universale. Il nostro tempo,
Eminentissimo, ha bisogno di persone che trattino la causa della Religione in modo schietto e
sincero, e senza umana prudenza. Questa maniera di operare non mi ha mai ingannato…
perché suppone confidenza non già nei propri lumi, nella forza della verità, nella fede e in
Dio”, Epistolario, vol. VII, p. 336.
735 2 Pt 1,10: “a darsi da fare per rendere sicura la nostra vocazione ed elezione operando il
bene”
367
In nota ne riporta una fatta sua da san Francesco di Sales, cui anche lui
aderisce, ma soggiunge:
Mi protesto però di essere ben lontano dal condannare l‟opinione
contraria… io le rispetto tutte, e si devono rispettare, perché la Chiesa le
lascia liberamente insegnare. Solo intendo dire che non vanno al mio genio,
quanto le contrarie, e finché la Chiesa mi lascia la libertà della scelta, io per
me non le sceglierei, non credendole le piú utili.
9. Per queste opinioni bisogna che i giovani si mettano ben in guardia nel
sentir citare come patrocinatori e avvocati delle medesime certi grandi nomi.
Non credano a qualche passo staccato e forse monco. Osservino se non si
possano intendere le loro autorità in altro modo senza stiracchiarle e far loro
violenza. Veggano come i teologi della opinione piú mite sciolgano le
difficoltà che presentano quei testi, e poi, per la divozione a un Santo Padre, a
un Dottore, non si perda la divozione a dieci Santi Padri, a dieci Dottori.
Questo paragrafo ci fa da spia che lo studente Frassinetti non se ne stava
alle citazioni dei padri e dei dottori apportate in appoggio alla tesi, ma
andava a riscontrarle nei testi. Non credeva che fosse già troppo quel che
dettava il “lettore” in classe.
10. Bisogna pur osservare che alle volte certi Padri usarono tropi e
parlarono enfaticamente di molte verità, sarà per questo necessario intendere
precisamente alla lettera le loro sentenze? Né meno nelle divine Scritture si
può prendere tutto precisamente alla lettera, altrimenti ne verrebbero delle
eresie mischiate coi dogmi – anche se in nuce, abbiamo qui la teorie dei
generi letterari e ne fisserà i limiti nei paragrafi su la sacra Scrittura –.
Ordunque come si pretenderà di prendere semplicemente alla lettera tutti i
testi de‟ Santi Padri? Trattandosi di una quistione puramente scolastica, dice
S. Bonaventura parlando di S. Agostino: plus dicens et minus volens
intelligi736.
Bisogna anche notare che a volte i Santi Padri, combattendo un errore,
pare che non si fermino al giusto mezzo, ma inclinino alla parte opposta piú
del dovere… Però ogni dubbio si toglie… leggendone estesamente le opere,
ma chi leggesse un qualche testo separato soltanto, potrebbe trovarsi
impacciato nella retta intelligenza di esso. Ne avviene intanto che chi va
rintracciando a bella posta dei testi consimili, forma delle opinioni poco
sicure e spaccia come dottrina dei Padri le sue opinioni.
A parte la grande importanza metodologica del paragrafo, si ha qui una
conferma della molta lettura delle fonti del giovane studioso, lettura fatta
736 “Le parole dicono di piú di quello che si vuole esprimere”, BONAVENTURA, Opera, tomo
4, p. 170. Di quale edizione?
368
con metodo, sistematica. Capisce bene che non può imporla agli altri nella
stessa misura, né dare a credere d‟aver letto riga per riga tutta la biblioteca
dei padri, perciò, nel paragrafo successivo, precisa il pensiero:
11. Ma dunque, dirà qualcuno, non ci potremo mai fidare di quei tratti de‟
santi Padri che si trovano radunati da‟ teologi? Dovremo sempre dubitare
della fede di costoro e leggere per esteso la biblioteca de‟ Padri? Non già.
Questo sarebbe un errore piú dannoso del primo. Bisogna mettersi
sull‟avvertenza e stare in guardia, non sempre, ma quando si trovano certe
opinioni che, quantunque non ancora condannate dalla Chiesa, pure hanno
una stranezza e singolarità che offende il buon senso di chi in loro si incontra,
certe opinioni che non si combinano con tutta la possibile facilità alle
decisioni della Chiesa, certe opinioni che sembrano piuttosto ritrovati
ingegnosi che verità, certe opinioni che, se non sono quelle dei nemici della
Chiesa, pure potrebbero andar loro a sangue. Quando si trovano tali opinioni
corroborate dai testi… non crediamo alla cieca, dubitiamo fortemente,
esaminiamo le autorità, e vedremo quel grande apparato di prove sciogliersi
in fumo e ridursi le proposizioni e le tesi a fantastiche ipotesi.
12. Vi sono pure certe opinioni delle quali si vede che la Chiesa non fa
conto… vuol dir che non le stima né vere né probabili. Noi
prudentissimamente ci diporteremo cosí negli studii teologici: leggeremo
appena queste opinioni, se saranno trattate in breve, facendoci scrupolo di
occupare nella loro lettura piú di pochi momenti.
Nel manoscritto “C” rinvia ad un esempio posto in una nota non passata
poi alla stampa: “Una di queste è quella che il sacerdote sia il vero ministro
del sacramento del matrimonio…”.
13. Vi sono inoltre certe opinioni singolari le quali hanno pochi
patrocinatori… La singolarità porta sempre con sé la stranezza e la stranezza
la falsità – cita in nota l‟opinione difesa dal Lamy che il Signore nell‟ultima
cena non abbia mangiato l‟agnello pasquale –. Quegli ingegni, ai quali
piacciono le opinioni singolari, pare che non sentano le impressioni del senso
comune… Succede frattanto che quest‟ingegni bizzarri si credono d‟una sfera
piú sublime e dotati di tanta intelligenza a cui comunemente non s‟arrivi, ma
nessuno si acconcerebbe a questo complimento: Il vostro ingegno è cosí
sublime che non vi permette di aver senso comune.
Nei manoscritti il paragrafo 13 pone termine alle Osservazioni sopra la
Dogmatica. Nel lavoro dato alle stampe aggiunge ancora un paragrafo.
14. Osservazione importantissima in fine sarà di non lasciarsi sorprendere
dalle frodi dei moderni Razionalisti i quali, convenendo coi protestanti,
369
discendono all‟imo del socinianismo737. Ormai credono che per essere
cristiani si possa fare a meno della rivelazione. Dicono di aver riconosciuto
che la religione cristiana non è altro che una religione di ragione. In
conseguenza di questo loro sistema è forza che non credano né meno alla
divinità di Gesú Cristo e sieno semplici deisti, non ostante si chiamino
cattolici… Ogni loro sistema e metodo sarà da noi rifiutato. Non
conosceremo per dogmi se non quelli che la Chiesa Romana c‟insegna.
Attingeremo la scienza dogmatica a quei fonti ai quali l‟attinsero i nostri
padri e la studieremo con quel metodo con cui essi la studiarono. Qui fa
d‟uopo star saldi e non declinare d‟un punto… Se voglionsi seguitare i
moderni nelle scienze puramente umane, seguansi pure… Nella scienza però
delle cose sante e soprannaturali si seguano solo gli antichi, che eglino hanno
battuto la vera strada, quella che sempre fu ed è l‟unica che Dio ha mostrato
agli uomini sopra la terra.
Qui si può dire del Frassinetti ciò che egli sopra ha detto di
sant‟Agostino servendosi delle parole di san Bonaventura: plus dicens et
minus volens intelligi. È chiaro da tutto il contesto che per antichi si deve
intendere quanti hanno fatto teologia in armonia con la tradizione ed il
magistero ecclesiastico. Non si comprenderebbe altrimenti l‟essersi fatto
discepolo di sant‟Alfonso, morto solo 17 anni prima che egli nascesse. In
questo paragrafo appone cinque note, interessante la seconda in cui
sunteggia pensieri tratti dal Du pape738 di Giuseppe de Maistre:
L‟eresia è come un vortice in cui niuno può fermarsi a mezzo corso:
bisogna andare al fondo necessariamente, e questo fondo, ove l‟eresia mette
termine, è una religione naturale in cui non si riconoscono dogmi rivelati…
Lutero, Calvino, Zuinglio, se salissero le cattedre di Vittemberga, di Ginevra,
di Amsterdam ecc., non troverebbero piú un discepolo che convenisse con
loro… Ciascun crede ciò che vuole e per quanto tempo vuole, che è creder
737 I sociniani si rifacevano a Lelio (1525-1562) e Fausto Socino (1539-1604), zio e nipote,
entrambi senesi. Tale l‟impegno del primo nello scalzare le stesse fondamenta della fede
cristiana che sulla sua tomba furono scolpiti questi esametri: Tota licet Babylon destruxit
tecta Lutherus, / muros Calvinus, sed fundamenta Socinus. Benché Lutero avesse fatto crolare
i tetti di Babilonia (= Chiesa cattolica) e Calvino abbattuto le sue mura, fu Socino a scalzarne
le fondamenta. Negò la Trinità, il peccato originale, la redenzione, l‟efficacia dei
sacramenti… riducendo la religione ad un deismo razionalistico. I due Socini operarono
ambedue fuori d‟Italia.
738 Liv. 3, ch. 3. Nota del Frassinetti da cui si arguisce che si serviva del testo francese. Si ha
una recente versione italiana di
1995, pp. XXIV-451.
ALDO PASQUALI
nella BUR: J.
DE MAISTRE,
Il Papa, Milano
370
nulla fermamente, che è lo stesso di non riconoscere nulla per dogmi rivelati.
Tutto al piú riconoscono ancora varie opinioni teologiche che, secondo essi,
possono essere vere e possono essere false… “Allorché uno di questi
predicatori protestanti imprende a parlare, quali mezzi ha egli per provare che
crede ciò che dice?… Mi par di sentire ciascuno de‟ suoi ascoltatori dirgli
con scettico sorriso: Davvero io credo ch‟egli creda ch‟io lo credo”739.
È bene riportare alcuni passi di un‟altra nota apposta allo stesso
paragrafo. Ai nostri orecchi suona dura, se da tempo s‟è smesso di leggere i
libri dei profeti e dei padri della Chiesa, non solo d‟un san Girolamo, ma
dello stesso Doctor mellifluus, il gran pacificatore, san Bernardo di
Chiaravalle, la cui penna, che pareva versar miele, si faceva stiletto se c‟era
da difendere la fede contro Abelardo ed altri eretici.
Una delle piú vere ed espressive metafore – scrive il Frassinetti nella nota
2 a pagina 21 – è quella che appella col nome di fulmini le condanne che
partono dalla S. Sede contro i cattivi teologi. Si disprezzino, si deridano
quanto si vuole: decidono irreparabilmente dell‟onore e del buon nome di chi
n‟è colpito e, per trascorrer di tempo, non che perdere la loro forza, ne
acquistano sempre di piú… Chi tiene ora per uomini grandi Sabellio,
Novaziano, Donato, Pelagio, Celestio, Pirro ecc.? I piú moderni sono di
qualche stima appresso dei loro discepoli, ma questa stima va sempre piú
indebolendosi a misura che si van formando altri partiti ed altri cattivi teologi
attiransi temporaneamente seguaci e discepoli. Bajo e Molinos oggimai son
quasi deserti. Il razionalismo va dissipando le scuole protestanti e toglie
seguaci a Giansenio… Conobbero e toccarono con mano i secoli trascorsi, e il
conosceranno e toccheranno i futuri, essere impotenti tutti gli sforzi contro la
S. Sede, né avervi scudo che possa rintuzzare que‟ fulmini i quali, partendo
da lei, partono dal trono di Dio. Mi si permetta: ella è sempre cosa da
Romani: parcere subiectis et debellare superbos. Chi erra può evitare quei
739 Se ne ha conferma ad un secolo di distanza in G. RICCIOTTI, Bibbia e non Bibbia: “Heilige
Schrift! [Sacra Scrittura!]. Il ritornello risonò con la stessa fanatica intonazione dell‟altro,
Tempio di Jahvé! che esprimeva la feticistica sicurezza dei Giudei al tempo di Geremia (Ger
7,4); ma, come l‟antico ritornello giudaico non era valso a preservare il tempio e la città di
Jahvé dalla distruzione compiuta pochi anni dopo dai caldei, cosí quello protestante non
impedí che il santuario della Bibbia fosse disertato e poi diroccato – oh, ironia divina! –
proprio dai protestanti. Si veda, in un qualsiasi commento protestante moderno, come trattasi
oggi la Bibbia, e si misurerà quanto dell‟antica Heiligkeit luterana le sia rimasto. C‟è stato
pure chi, piú logico di tutti, le ha cambiato nome, e l‟ha chiamata in un titolo di libro Die
grosse Täuschung [La grande illusione]. Questo si chiama parlar con franchezza, e dissipare
ogni “illusione”!”, pp. 14s.
371
fulmini sottomettendosi ad un‟umile
nell‟ostinazione non isperi scampo.
e
dovuta
ritrattazione,
ma
La sorella santa Paola, ormai anziana e Giuseppe non piú tra i vivi,
ricordava di aver avuto da fanciulla un fratello adolescente focosissimo.
Quel fuoco cosí vivo nell‟adolescenza riappare di tanto in tanto ad
infiammare lo zelo dell‟adulto quando vede insidiata la fede o attaccata
Roma che ne è la rocca. Ne avevamo già dato un saggio riportando il sonetto
Renan. Il Frassinetti, come l‟arcangelo san Michele, non sa resistere dallo
snudare la spada e gridare il suo: Chi come Dio?
Sopra lo studio della Morale740
Un argomento su cui dovremo trattenerci nella seconda parte parlando
del suo Compendio di teologia morale scritto dopo una vita passata in
confessionale. In questi consigli ai chierici teologi vediamo come si preparò
a quel ministero che occupò tanta parte della sua vita. Vi riscontriamo i
principi ai quali si rifarà in quella sua opera che lo renderà celebre.
III-1. Per istruire il popolo, per sentire le confessioni ci vuole la sana
morale…
2. Questa sana morale è nelle sante Scritture, chi lo negherà? ma per altro,
come sarebbe impossibile studiare sulle divine Scritture, senz‟altro ajuto, la
dogmatica teologia, cosí sarebbe impossibile studiarvi la teologia morale.
Alcuni, disgustati dei teologi moralisti e del metodo che tengono
comunemente, si accinsero a formare trattati di morale tutti cavati dalla
Scrittura, ma non so se riuscissero a piú che a comporre trattati inutili per tutti
quelli che vogliono studiar la morale, non per quistionare e argomentare, ma
per servirsene. Si devono studiare i moralisti che usano bensí delle divine
Scritture, ma usano pure la ragione che, insieme colle divine Scritture deve
regolare la vita degli uomini. Se mi varrò soltanto delle divine Scritture,
trovando a cagion d‟esempio: Os quod mentitur occidit animam741,
conchiuderò che la bugia, anche officiosa, per questo che è bugia, è peccato
mortale.
3. Ma di quai moralisti ci serviremo? Vi sono i larghi, vi sono gli stretti;
vi sono gli stimati ed i disprezzati, anzi chi ha la stima di molti, ha pure di
molti il disprezzo. Come faremo dunque in tanta confusione? Volete voi
trovare un autore sicuro in tutto sicché non si possa errare mai seguendolo
ciecamente? Voi nol trovate… Dio ci ha manifestato la sua legge, ma non ci
ha fatto sapere espressamente come dovessimo regolarci in tutti i possibili
740 G. FRASSINETTI, Osservazioni… cap. III, pp. 24-30.
741 Sap. 1,11.
372
casi particolari. Ci ha dato la ragione, la quale, diretta dalla legge, che ha
promulgato, ci guida sempre al retto e al giusto, ma questa ragione dell‟uomo
non è infallibile. Per altro, se erra senza malizia, non ha alcuna colpa, né Dio
se ne reputa offeso. Succede un disordine materiale, simile a quello d‟una
giornata fredda nei mesi d‟estate. Se dunque non ha voluto manifestarci
espressamente il suo volere in tutti i casi possibili particolari, non possiamo
pretendere un autore che abbia tutto colto nel segno e renda infallibili i suoi
studiosi.
4. Abbiamo però degli autori… di vita cosí santa e di sí pura coscienza
che meritarono gli onori degli altari… seguendo i quali siamo certi di non
mettere a pericolo né la nostra coscienza né l‟altrui… Questi teologi o non
hanno sbagliato mai, o si sono salvati coi loro sbagli; se non hanno sbagliato
mai, noi non potremo sbagliare seguendoli; se hanno sbagliato e si salvarono,
noi ci salveremo errando con essi. Quegli errori ch‟essi sostennero e non
hanno mai ritrattato, se furono per loro incolpabili, saranno incolpabili anche
per noi finché non li riconosceremo per errori. Né si può mettere differenza
tra la teorica e la pratica, quasi che incolpabilmente si potesse insegnare un
errore, il quale poi incolpabilmente non si potesse commettere, ché anzi
l‟errore in massima è sempre piú grave della pratica e ciascuno deve porre
maggior attenzione a non errare insegnando che a non errare operando;
essendo, a cagion d‟esempio, piú grave insegnar che sia lecito il furto di quel
che sarebbe commettere un furto, perché recherebbe piú grave conseguenza
quella dottrina che questo fatto…
Ma a volte i Santi Teologi sono ne‟ punti controversi di parere tra lor
contrario… Ci potremo allora salvare tanto con gli uni quanto con gli altri…
Se non ci salveremo, a cagion d‟esempio, con San Tommaso, ci salveremo
con San Bonaventura…
5. bisogna ancora notare che se i santi teologi canonizzati poterono
incolpabilmente sbagliare in alcun punto, in altri punti potranno
incolpabilmente sbagliare gli altri teologi non ancora canonizzati e forse non
lo saranno mai piú… perciò se, per ipotesi, S. Tommaso poteva errare senza
colpa formale, potrà errare senza colpa formale anche il Roncaglia, altrimenti
bisognerebbe dire che l‟errore sia nei santi privilegiato. Questo sia detto per
la sicurezza che dobbiamo avere nel seguire quelle opinioni che non sono
condannate o riprovate in modo alcuno dalla Chiesa, e delle quali nel decorso
del tempo non si è conosciuta chiaramente la falsità.
6. Ma voi… vorreste anche avere una regola per discernere tra le varianti
le piú utili e le piú opportune le quali probabilmente saranno anche le piú
vere, giacché dee credersi che sia piú utile ed opportuna la verità che l‟errore.
Questa regola non è difficile assegnarla. Primieramente guardatevi da quelle
opinioni le quali, sebbene non siano espressamente condannate dalla Chiesa,
pure sembra che abbiano con le condannate qualche affinità. La strada che
piú si scosta dal precipizio è la piú sicura: battete quella.
373
7. In secondo luogo preferite le opinioni dei Santi e dei teologi piú
virtuosi… [che] sempre si lascian guidare dalla carità che è come la loro
anima…
8. In terzo luogo preferite le opinioni di quelli i quali non furono contenti
di essere moralisti in cattedra, ma vollero egualmente esserlo in
confessionale… Sarà sempre da preferirsi un moralista di mediocre ingegno,
ma molto pratico – penso debba intendersi con molta pratica di confessionale
–, ad un altro di molto ingegno, ma poco pratico… perciò non sono da
preferirsi le opinioni di quei moralisti dei quali consta, o per notizie storiche
che se ne abbiano, o pel modo che tengono nel trattare le materie, che non
ebbero molta pratica nel confessare, e nel confessare peccatori anche grandi.
9. Questa regola bisogna tenerla non solo coi teologi morti, ma ancora coi
viventi. Quando ci dobbiamo consigliare in qualche dubbio importante,
ricorriamo a quelli i quali, oltre di aver bene studiata la morale, la esercitano
nelle chiese ove è concorso di tutta gente, la esercitano confessando nelle
missioni, e non temono né meno il fetore degli ospedali, delle prigioni e degli
ergastoli. Questi sono i teologi pratici e capaci di dar consiglio. Costoro è
certo che sono animati da buono spirito, perché non li può guidare in certi
luoghi che la sola carità. Conoscono il cuore umano e sanno per esperienza di
quanto bene e di quanto male sia capace, sanno ciò che possa essere
giovevole o dannoso per ogni sorta di gente. A tutto ciò si aggiunga una
scienza almeno discreta delle materie morali, senza cui non val esperienza…
Può sembrare strano che uno che s‟era scelto per maestro e guida
sant‟Alfonso, nel comunicare ai giovani ecclesiastici le proprie esperienze,
qui non l‟additi come il piú sicuro maestro a cui rifarsi. A dire il vero nel
manoscritto “C”, pag. 154, aveva preparato una nota che pensò bene di non
pubblicare:
Grandissima scienza e pratica chi non riconosce nel B. Alfonso de
Liguori? Questi fu il moralista del secolo trascorso e, non ostante gli sforzi
dei suoi emoli, si può dire il maestro in morale del secolo presente. Lo
splendore della sua santità va sempre piú dissipando que‟ pregiudizi pei quali
la sua Teologia si volea far passare come pericolosa per eccessivo lassismo.
Io spero che i secoli futuri non si risentiranno di questa proposizione che in
lui ha dato Iddio un nuovo S Tommaso / stella / alla sua Chiesa742. Ma
approva nella sua Morale alcune opinioni che non potranno mai andare al
genio dei piú. E per questo? Opinioni generalmente non abbracciate non si
trovano in S. Giovanni Grisostomo, in S. Girolamo, in S. Agostino, in S.
Tommaso e forse in tutti i Padri e in tutti i Dottori? Il dono dell‟Infallibilità è
degli Scrittori Canonici e solo a quelli bisogna credere fermamente in ogni
742 Cancellato nel manoscritto.
374
cosa che hanno scritto. Noi non diremo che ai nostri giorni il B. Liguori sia il
moralista infallibile che in tutti e singoli i punti sia necessario seguir
ciecamente. Siamo contenti di asserire che ai nostri giorni tra i moderni
alcuno non ve n‟ha che gli possa andare di costa.
Da questa nota risulta chiaro che il Frassinetti ha tracciato il ritratto del
moralista ideale col pensiero rivolto alla figura del Beato Alfonso de
Liguori743. Il motivo per cui pensò di non stamparla, o fu consigliato di
lasciar stare, va ricercato nel putiferio suscitato due anni innanzi dalle
Riflessioni proposte agli ecclesiastici dove aveva altamente elogiato le
opere del Beato Alfonso744. Meglio fare il ritratto del Beato tacendone il
nome e penetrare in tutti i seminari, piuttosto che parlarne e vedersi rigettato
il libro.
Sopra lo studio della Scrittura745
Anche in questo campo il Frassinetti consiglia ciò che egli ha praticato.
Ne è prova la raccolta di Annotazioni sopra la Bibbia ricavate dalle
annotazioni letterali e spirituali della Vulgata di Luigi Isacco le Maistre de
Sacy. Tomo 1mo746. Un manoscritto di 305 pagine, cm 21x32, in scrittura
minuta, con note e appunti su tutti i libri della Scrittura, eccetto i profetici, i
due dei Maccabei ed il Nuovo Testamento, capitolo dopo capitolo. Da
queste annotazioni si può fissare la data ante quem in grazia di una nota
marginale a pag. 81 con cui rinvia al B. Liguori, anteriore quindi al 26
magio 1839, giorno in cui sant‟Alfonso fu canonizzato. Le annotazioni, che
non riportano i testi e pongono frequenti richiami: si rilegga…, si riveda…,
cosa da leggersi, da rileggersi e da studiarsi, ci dicono che si tratta di
volumi che poteva facilmente riconsultare. Dubito che potesse già possederli
– 32 volumi, se l‟edizione 1687-1702; 12 se quella del 1789-1804! – insieme
743 Il 23 maggio 1871 sarà proclamato dottore della Chiesa da Pio IX. Nel decreto del 23
marzo 1871 si legge: “Con dotte opere e con trattati, soprattutto di teologia morale, dissipò e
rimosse le tenebre degli errori largamente sparse dagli increduli e dai giansenisti. Chiarí punti
oscuri e sciolse dubbi, lastricando una strada sicura… che le guide dei fedeli potessero
percorrere con piede sicuro”. Cfr. il breve Qui Ecclesiæ del 7 luglio 1871.
744 Ne parleremo nel prossimo capitolo.
745 G. FRASSINETTI, Osservazioni… cap. IV, pp. 31-41.
746 L‟unico che ci è pervenuto. Quel “Tomo 1mo”, rimasto unico, ci fa pensare che, non
avendo piú a portata di mano i volumi del Sacy, non gli fu piú possibile continuare le
annotazioni degli altri libri su indicati, tanto pú che ora non sarebbero piú bastati i rinvii: si
riveda, ecc., ma avrebbe dovuto trascrivere i testi per intero.
375
ai molti altri a cui fa spesso riferimento nei lavori pubblicati negli anni
1837-1839, come s‟è già avuto modo di notare nel capitolo precedente. Sono
quindi di un epoca in cui poteva facilmente accedere andando in biblioteca,
né pensava doversi allontanare da Genova, perciò prima del luglio 1831
mese in cui andò parroco a Quinto per rimanervi fino al 1839.
Ci si trova subito di fronte ad una sorpresa: prende appunti da La Sainte
Bible en latin et en François di Luigi Isacco Le Maistre, conosciuto con il
nome di Sacy, anagramma di Isac. Sí, il figlio di Caterina Arnauld, sorella di
Madre Angelica e del Grande Arnauld; fratello, dunque, nipote e cugino dei
famosi Solitaires, quanto dire dei padri del giansenismo, di cui egli stesso fu
figura di primo piano, confessore e direttore spirituale di Port Royal, con
tanto d‟aureola di martirio per i trenta mesi di Bastiglia sopportati a causa
della sua fede747.
747 Già prima del 1657, Antoine Le Maistre, fratello maggiore di Sacy, anch‟egli giansenista,
aveva tradotto dalla Vulgata i Vangeli e l‟Apocalisse. Il fratello Sacy e lo zio Antoine, il
Grande Arnauld, ne rividero la traduzione e la completarono traducendo dal greco gli altri
libri del Nuovo Testamento. Portata che fu a termine e non avendo ottenuto il permesso di
stampa a Parigi, uscí nel 1667 ad Amsterdam in due volumi in -8°: Le Nouveau Testament de
Notre Seigneur Jésus-Christ traduit en François selon l‟édition Vulgate, avec les différences
du grec. Versione conosciuta col nome di Traduction du Nouveau Testament du Mons. Nello
spazio di qualche mese se ne vendettero cinque mila esemplari solo a Parigi e, prima che
spirasse l‟anno, s‟era già alla quinta edizione, alla nona l‟anno seguente! Nello stesso anno fu
condannata per la temerità di alcune interpretazioni dall‟arcivescovo di Parigi, l‟anno
appresso da papa Clemente IX e nel 1679 da papa Innocenzo XI. L‟Antico Testamento fu
tradotto dal Sacy nel chiuso della Bastiglia, a cui, aiutato da altri, aggiunse spiegazioni sul
senso letterale e note spirituali tratte dai santi Padri: La Sainte Bible en latin et en François
avec des explications du sens littéral e du sens spirituel, in 32 volumi in -8°, Paris 16821702. Il Sacy era già morto dal 4.1.1684. Ebbe numerose ristampe. L‟edizione migliore è
quella in 12 volumi in -8° del 1789-1804, anch‟essa stampata a Parigi. La traduzione è fatta
dalla Vulgata. Le note sono secche e fredde come tutti gli scritti dei giansenisti. Piú che per la
fedeltà, è pregevole per la chiarezza e l‟eleganza dello stile ed è considerata la piú bella di
tutte le versioni francesi in quanto a purezza di lingua. Di nessun interesse dal punto di vista
esegetico. Il benedettino Antoine Calmet la fece sua nel Commentaire littéral sur tous le
livres de l‟Ancien et du Nouveau Testament, vol. 23 in -4, 1716. Siccome negli appunti e note
del Frassinetti vediamo citato anche il Calmet, se non ci avesse dato il riferimento preciso,
verrebbe da pensare che la Bibbia da lui usata fosse questa del Calmet: testo latino della
Vulgata, traduzione del Sacy, introduzione ad ogni libro, senso letterale e commento d‟ogni
versetto, riproduzione delle migliori spiegazioni di esegeti antichi e moderni, 114
dissertazioni. Non siamo in grado di dire quale edizione abbia usato il Frassinetti. Potrebbe
376
Già nelle Osservazioni sopra lo studio della Storia ecclesiastica, e ancor
piú nell‟inedito Corso di storia ecclesiastica, il Frassinetti ci si presenta
come uno che combatte non quasi aërem verberans, ma come chi si muove
con disinvoltura in campo nemico sapendo dove posa i piedi, non quasi in
incertum748.
C‟è qualcosa di piú: la serenità di giudizio. Deplora, ma sa pure
ammirare:
Un giansenista avrebbe dovuto tremare scrivendo le parole seguenti…
Non pare che il Sacy voglia parlare di quei mirabili Santoni di Porto
Reale?… Se vi è veleno nel Sacy, qui ve ne è un saggio… I Signori di Porto
Reale passano sempre i limiti… Si fa torto l‟annotatore col voler sempre
sembrare piú rabbino che cattolico… Ecco Dio che giura di vendicarsi,
Sacy!749.
Ma si legge pure:
Qui il Sacy fa un‟eccellente comparazione del Paradiso terrestre con la
Chiesa. Ella è cosa che sminuisce il dolore di vederci privi dell‟Eden. Cosa da
leggersi, da rileggersi e da studiarsi…750. Non si deve attendere – dice il Sacy
– la gravezza della cosa, ma l‟autorità del comando… Si rilegga tutta
l‟osservazione del Sacy sopra Eliezer, servo di Abramo, e si veda ciò che
riporta dei reciproci doveri dei padroni e dei servi, cosa utilissima per il
catechismo…751.
Come una madre al mercato pensa a chi di casa può servire questo e
quell‟oggetto ed ogni sua spesa è un atto d‟amore, cosí il Frassinetti tra i
libri. Ce lo dicono le note marginali di questa sua raccolta di appunti.
Aggiungiamo qualche altro esempio tratto dalle prime pagine:
Per la predica del Paradiso – Per i peccatori che a volte fanno il bene per
interesse… IIda conferenza – Possedeva grandi ricchezze in questa terra,
senza possedere la terra; vedere se si può applicare a quelli che ricavano
grandi meriti dal vivere in questa terra, ma niente vi hanno il cuore attaccato –
aver usato anche la versione italiana pubblicata a Venezia (1769-1781). Anche L.-CL FILLION,
nella sua Sainte Bible commentée, Paris 1888-1898, affianca al testo latino della Vulgata la
versione del Sacy. La nota è ricavata dalla voce Françaises (Versions) de la Bible, stesa da E.
MANGENOT in Dict. de la Bible, T. 2, cc. 2367-2369, Paris 1899.
748 1 Cor 9,26.
749 Nell‟ordine: pp. 84,87,112,119,205,68.
750 Di qui il titolo della sua operetta Il paradiso in terra del celibato cristiano?
751 Nell‟ordine: pp. 2,3,14.
377
IIIza conferenza – Si veda se si può applicare al sonno di Gesú nella tempesta
dicendo che noi dormir dobbiamo con lui nella tempesta etc. – punti per la
predica del paradiso – confidenza – dipendenza da Dio… Eucarestia…
penitenza – si veda se si può applicare il fatto di Mosè per i prelati che non
devono sdegnare l‟aiuto dei subalterni – Provvidenza – presenza di Dio752.
Ogni pagina è poi piena di rinvii a questo e quel padre riportandone i
passi, ma non v‟è nulla di quanto si studia a introduzione biblica o a scuola
d‟esegesi, nessun problema critico, di cui è priva del resto anche la fonte a
cui attinge. Si ha una lettura della Scrittura solo in vista del nutrimento delle
anime. Ancora una volta ci ritroviamo avanti il pastore.
Durante la lettura delle Osservazioni sopra la Sacra Scrittura, si tenga
presente quanto fu detto nel capitolo precedente sullo studio della storia con
un‟aggiunta: il Frassinetti mai dimentica il “di piú” di questi libri che ne fa
un qualcosa di unico: l‟ispirazione. Non ignora lo studio critico dei libri
santi come all‟epoca si presentava, ma sa che sono libri diversi, non solo per
il modo in cui furono composti, ma per il fine a cui erano destinati: mostrare
all‟uomo la via che conduce al cielo. In queste sue Osservazioni distingue lo
studio di pura erudizione dallo studio che se ne deve fare per nutrire i fedeli.
Non sempre lo studio erudito della Bibbia torna di utilità pratica al
pastore d‟anime, né sempre tale studio è piú vicino alla verità, ripetendosi,
tutt‟altro che di rado, ciò che fu degli scribi: sapevano tutto della lettera di
quelle sante carte e quanto su di esse era stato detto, eppure non riconobbero
il Cristo che quegli scritti annunciavano, sí da essere da lui bollati per guide
cieche753.
752Nell‟ordine: pp. 3,6,13,14,15, 25, 30,31, 32,34.
753 Mt 23, 24. Altra cosa è l‟erudizione biblica, altra cosa la sapienza divina racchiusa nel
libro santo, e, non poche volte, la prima soffoca la seconda fino a spegnerla. Un pericolo da
cui poneva in guardia Francisco de Osuna, il maestro di spirito tanto apprezzato da santa
Teresa d‟Avila: “Quando il superbo spande e semina dell‟abbondanza del suo proprio sapere,
i mali crescono di tal misura da venir meno l‟unica fede e l‟unico battesimo. Ogni uomo di
studio, se superbo, semina per il mondo le preziosità del suo cervello, e, perché le espone in
un buon latino insaporito di greco e d‟un pizzico di spezie ebree, stuzzica l‟appetito nei palati
degli amatori di novità. Ognuno poi li interpreta a modo suo. Maledetto sia questo sapere di
cervelli superbi, cosí numerosi al giorno d‟oggi [1542], che ci ha tolto Cristo ed ha creato
dissenso nella Chiesa – maldito sea el proprio seso de los altivos que abundan hoy día, que
nos ha quitado a Cristo y puesto la Iglesia en diferencias –. Ci ha fatto perdere la vera
sapienza, e solo ci resta: Así lee el griego, así lee el hebreo, así está aquí, así está acullá.
Questa incontenuta curiosità di sapere umano, posta in voga da menti superbe, allontana gli
378
Né va dimenticato – servendosi il Frassinetti della Vulgata – che
l‟apostolo Paolo, alunno di Gamaliele, padrone quindi del testo ebraico, se
ne sente cosí poco condizionato da citare quasi sempre dalla versione greca
dei Settanta. Nel capitolo precedente si è già accennato alla grande
questione sulla natura precisa della pianta alla cui ombra Giona trovò
refrigerio, se una zucca un‟edera o, come vogliono i moderni, un ricino. Per
un pastore è già tanto degnarla d‟un‟occhiata, ciò che per lui conta non è il
conoscere la natura di quella pianta, ma cosa voleva Iddio con essa
insegnarci. La Vulgata, se è tutt‟altro che perfetta per tante e tante di queste
particolarità di traduzione, era pur sempre la versione con tanto di garanzia
per quello che riguarda la genuità dell‟insegnamento rivelato, ed è questo
che importava al Frassinetti.
La migliore esegesi, si dica quel che si vuole, rimane sempre quella che
suscita santità. Le Osservazioni del Frassinetti mirano a questo.
Ascoltiamolo.
IV-1. L‟ecclesiastico debb‟essere persuaso dell‟importanza di questo
studio della Scrittura, considerando che la Chiesa l‟affida a lui perché la
spieghi al popolo. L‟ecclesiastico è quegli che deve sminuzzare questo pane
divino ai figli della Chiesa. Come vi riuscirebbe, senza studiarla? Questo però
è uno studio troppo pericoloso se non è bene diretto.
2. Quando prendiamo in mano la sagra Bibbia, non ci dobbiamo figurare
di aver tra le mani un‟opera di qualche grand‟uomo, nella quale si
troverebbero bellezze e difetti, verità ed errori, ma la dobbiamo considerare,
qual è, opera di Dio… perciò non si ventili con quella critica, né si misuri con
quella squadra che si adopererebbe colle scritture di Erodoto, oppur d‟Omero.
Quando si trova oscura la sagra Bibbia, non si attribuisca alla inesattezza di
coloro che scrissero illuminati dallo Spirito Santo, ma si attribuisca alla
mancanza in noi di molte cognizioni, che sarebbero necessarie754, e forse piú
al nostro poco intendimento delle cose di Dio… Quando ci pare ch‟ella in
alcun luogo manchi di bella disposizione e di eleganza, consideriamo che Dio
non ci ha compartito questo tesoro perché ci servisse di letterario
trattenimento, né ad esemplare di belle inezie, ma perché umiliasse il nostro
orgoglio e ci persuadesse che ciò cui l‟uomo piú stima, Dio meno cura. Le
uomini dallo studio di Cristo e pone al suo posto storie profane e umane filosofie da cui ci
metteva cosí bene in guardia san Paolo… Quale la causa di tanto male se non l‟attaccamento
alle proprie congetture di cui tanto son pieni i superbi?”, F. DE OSUNA, Quinto abecedario
espiritual, parte 1a, c. 30, in una mia traduzione.
754 Cfr. G. RICCIOTTI: Op. cit., “Locutus est in parabolis”, Brescia s. d., pp. 27-32. Libro che
agli studenti della mia generazione insegnò a leggere la Bibbia con umiltà e rispetto.
379
bellezze della Scrittura sono spirituali, le sue grandezze sono divine, le sue
eleganze sono celesti, e quelli che sanno meno di carne e di mondo le vedono,
le ammirano, le sentono, senza poterne desiderare di piú. Non si dee faticare a
persuaderli che, quanto Dio è sopra l‟uomo, altrettanto la Scrittura di Dio è
sopra tutte le scritture degli uomini.
3. Mentre… prendiamo in mano la Bibbia, osserviamo chi a noi la
presenti. Ce la presenta la Chiesa, cui è stata consegnata da Dio…
Ascolteremo chi ci dirà: “Voi che desiderate studiare la Bibbia venite alla mia
scuola. Io conosco profondamente tutte le lingue orientali, io ho confrontato i
piú autorevoli manoscritti, io ho trovato molte cose che finora sfuggirono alla
vista d‟ogni altro. Voglio comunicare i lumi che Dio mi ha dato, venite alla
mia scuola”.
“Chi vi manda?” risponderemo, “in nome di chi insegnate? Vi manda la
Chiesa, insegnate in suo nome a norma delle sue decisioni, delle sue
approvazioni, delle sue pratiche, sulla traccia de‟ santi Padri? Eccoci alla
vostra scuola. Ma se invece vi manda lo spirito della superbia e della novità,
se voi, invece di cercar lume dalla Chiesa, siete venuto per illuminarla, poco
monta la scienza delle lingue e l‟autorità dei vostri manoscritti. I vostri
ritrovati sono inganni del vostro orgoglio”.
4. Noi pertanto nello studio della Sacra Scrittura osserviamo bene ciò che
la Chiesa ha definito, ciò che tacitamente approva o disapprova, osserviamo
inoltre le sue pratiche, le quali possono dare gran lume…
5. È pure la Chiesa la quale ci comanda di seguire i Santi Padri nella
interpretazione delle Scritture755; dunque tutti i ritrovati contrarii alle
spiegazioni, che danno comunemente a qualche testo que‟ santi
commentatori, si rigettino senza timore… Si sa che i primi a spiegare le
divine Scritture furono gli Apostoli sprovveduti de‟ lumi del secolo, ma ben
provveduti dei lumi dello Spirito Santo: Aperuit illis sensum, ut intelligerent
Scripturas756. Né si può dire altrettanto d‟alcuno dei nostri dotti. Dagli
Apostoli impararono le interpretazioni scritturali i Padri detti apostolici, e in
poche generazioni di santi arrivarono quei sommi Dottori di santa Chiesa, che
le tramandarono fino a noi. Perciò chi interpreta la Scrittura coi Padri, la
interpreta cogli Apostoli e collo Spirito Santo.
6. I testi originali meritano in se stessi sommo rispetto, e si devono
preferire a quante versioni si sono fatte, o si potessero fare. Non si deve
perciò quistionare se siano in se stessi da preferirsi anche alla nostra
Volgata…757. Per altro bisogna osservare che i testi originali ebraici non
755 Conc. Trid. Sess. 4, Decretum de editionibus et usu sacrorum librorum.
756 Lc 24,45.
757 Non si dimentichi – aggiungo io – che, rispetto a tutte le altre versioni antiche e moderne,
la Vulgata, insieme con la Septuaginta e la Pescitta, occupano di diritto il posto d‟onore.
380
pervennero a noi cosí puri ed intatti come uscirono dalla penna degli Scrittori
inspirati e perciò abbisognerebbero di correzioni anche importanti. Farebbe
duopo aggiungervi degl‟interi capitoli e, nel complesso della Bibbia,
degl‟interi libri canonici758. Queste correzioni poi bisognerebbe che fossero
fatte dalla Chiesa per essere veramente autorevoli… che finora – 1839 – non
ha creduto di dover emendare, ma le bastò da mille e piú anni la Volgata di
San Girolamo… Ella la presenta a‟ suoi figli con gran sicurezza… – ne fa una
breve storia –. Or noi, dopo queste osservazioni, ce ne staremo alla Volgata
sempre tranquilli.
7. … I nei che ancora sono nella Volgata non ci fanno punto timore,
perché, se fossero importanti, non sarebbero sfuggiti alla censura della
Chiesa…
Questa difesa della Volgata, oggi che non c‟è bibbia che non ponga in
bella evidenza nelle locandine, nel frontespizio e persino in copertina che è
stata tradotta dai testi originali, può suscitare un qualche sorriso. Piú sale la
stima per le bibbie tradotte dai testi originali, piú si sente la Volgata come
qualcosa di sorpassato, dimenticando che pur essa per la sua maggior parte
fu tradotta da… testi originali, e da mano di uno che era padrone
dell‟ebraico, del greco e del… latino in cui traduceva. Già, anche del latino,
perché, per ben tradurre, non basta conoscere la lingua da cui si traduce, ma
essere anche padroni della lingua in cui si traduce.
Ma è proprio una versione da dimenticare in scaffale la Volgata? Nel mio
Nestle, l‟edizione critica greco-latina del Nuovo Testamento piú diffusa
anche tra cattolici, benché protestante e molto prima delle aperture
conciliari, trovo quest‟attacco: “Quantum auctoritatis insit Latinæ versioni
ad textum Novi Testamenti non est cur hic amplius exponam”. Quanto dire:
il testo della Volgata, anche per il Nuovo Testamento – ed è la parte che san
Girolamo si limitò solo a rivedere –, è tale che è tempo sprecato starci a
spendere ancora parole. Come non bastasse, fa precedere la sua introduzione
da un occhiello con il giudizio di un altro biblista, J. A. Bengel: “Latinæ
versionis lectio… eximium ob singularem antiquitatem pondus habet”. Si
noti: “singularem antiquitatem”, un‟antichità unica, quanto dire che
Girolamo poté giovarsi di codici per noi irrimediabilmente perduti. I codici
piú antichi del testo ebraico, fino alla scoperta dei manoscritti del Mar
Morto, risalivano a non molto prima del Mille della nostra era, ossia erano
di oltre un mezzo millennio piú recenti del lavoro di Girolamo.
758 Allude ai libri ed ai tratti deuterocanonici.
381
È spassoso ciò che racconta il Ricciotti di quel vecchio prelato, ormai
vicino agli ottanta, che attribuiva alla sua devozione per Mosè l‟avere denti
da far invidia ad un giovane, e della sua meraviglia che un biblista, quale il
Ricciotti, se ne meravigliasse ignorando che a Mosè, a 120 anni, non uno dei
suoi trentadue denti vacillava: “Nec dentes illius moti sunt!”759. È vero, il
testo ebraico non parla di denti, ma della freschezza e del vigore goduto da
Mosè fino ai centoventi anni. Però, però… Girolamo aveva fatto suo, e con
che arte, l‟oraziano: Nec verbo verbum curabis reddere, fidus
interpres…760, da lui divenuto legge per chi vuol ben tradurre: non parola a
parola, ma sensum sensui, pensiero a pensiero, e nell‟indole della lingua in
cui si traduce, perché non accada che, mentre si sta attentissimi alla sillaba,
si perda l‟intelligenza del passo, dum syllabas sequimur, perdamus
intellegentiam761. Stando cosí le cose, la traduzione è buona e viva: Mosè, a
120 anni, si sarebbe detto un giovanotto con tutti i denti, essendo, all‟epoca,
una bocca priva di denti il simbolo della vecchiaia cadente762.
Certo, se guardiamo le squisitezze che appassionano i filologi, sono mille
gli appunti che si possono fare alla Volgata. Se ci fermiamo al pensiero si
riducono a pochi e tali da non pregiudicare minimamente la genuità del
messaggio rivelato – questo il riconoscimento ufficiale della Chiesa –, che,
in fondo, e ciò che realmente conta e che ad un pastore, qual era il
Frassinetti, stava a cuore. E sono mille altre le ragioni per cui si resti
attaccati a quel testo. Su quel testo per secoli si era cominciato a compitare
fanciulli come i bimbi dei greci su Omero. Per un buon millennio e mezzo la
Chiesa ha pregato ed insegnato con quelle parole, con esse si è argomentato
nelle università, si è meditato e sviluppato il pensiero teologico. San
Tommaso non ebbe nulla di meglio su cui basare la sua teologia, e
sant‟Agostino dovette servirsi di versioni molto meno felici di quella di
Girolamo, eppure… Imparagonabili i mezzi tecnici di cui può servirsi oggi
759 Dt 34,7. G. RICCIOTTI, Bibbia e non Bibbia, 5a ediz. sd, Brescia, p.113.
760 ORAZIO, Ars poëtica, vv. 133s.
761 Per i criteri seguiti nel tradurre cfr. GIROLAMO, Epistola 57 Ad Pammachium (De optimo
genere interpretandi) e Epistola 106 Ad Suniam et Fretelam.
762 Dt 34,7. Tanto piú che la Septuaginta, la venerata versione grega citata anche
dall‟apostolo Paolo, e cui si rifaceva tutta la cristianità di lingua greca, aveva un ou)de\
e)fqa/rhsan ta\ xelu/nia au))tou, né gli si era afflosciata la mascella, che fa pensare abbiano
letto nel codice da cui traducevano Iyx:l, lehî mascella, invece di hxole lehoh
freschezza/vigore. Se si tiene conto che le vocali non erano segnate, il passaggio dall‟una
all‟altra lezione è spiegabilissimo.
382
un pittore o uno scultore rispetto a quelli di cui potevano disporre Giotto o
Michelangelo, eppure… Andiamoci piano nel sorridere dei nostri padri.
Se il Lettore non si sapesse trattenere dal sorridere di questa mia difesa,
ascolti uno che in materia ebbe autorità da vendere ed è sua la prima bibbia
tradotta dai testi originali in italiano moderno, il padre Alberto Vaccari:
Nessuno degli antichi interpreti, al pari di lui (Girolamo), colse il genuino
pensiero dei sacri autori, e nessuno con pari lucidità lo espresse nelle propria
lingua. In luogo di lunghe prove, sia lecito recare qui il giudizio di alcuni tra i
piú recenti e piú riputati scrittori protestanti, punto sospetti, certo, di
parzialità per l‟austero monaco di Betlemme… “Il lavoro di lui nell‟insieme è
una meravigliosa produzione, che merita le piú alte lodi”…763.
“L‟importanza della Volgata si parrà chiaramente, quando riflettiamo che fu
preparata con gran cura dal piú grande letterato che abbia prodotto la
cristianità latina… Essa si è dimostrata, alla prova, di primaria importanza,
quale eccellente portavoce della divina parola”…764. “La Volgata è l‟opera
d‟un letterato competente e rende il senso ebraico con accuratezza e
perspicuità. Fu gran ventura della Chiesa latina che si levasse a tal lavoro un
traduttore cosí eccellente, e grande gloria di Lei è che il lavoro di S.
Girolamo, non ostante molteplici difficoltà, infine fu universalmente
adottato”…765. la versione del Dottor massimo, quella che fu poi la Volgata
della Chiesa latina, è dunque un terso specchio in cui si riflette limpida e
sincera la mente degli ispirati scrittori766.
Il Vaccari non si ferma qui. Aggiunge elogi ad elogi, non ultimo quello
sull‟eleganza del dettato latino:
Col parlare di eleganza della bibbia latina a molti che escono dalla scuola,
c‟è rischio di farsi ridere e compatire. Non si suole appunto opporre al latino
di Cicerone il latino di sagrestia, di cui è tipo e parte precipua la Bibbia
Volgata? – Eppure è certo, e non si potrebbe mai abbastanza ripetere, che la
Volgata è una versione elegante, anzi assai elegante… Non possiamo che…
rendere omaggio alla bella eleganza che il nostro grande interprete seppe dare
alla sua versione, senza venir meno a quel decoro che si deve alla parola di
763 C. H. CORNILL, Einleitung in die canon. Bücher des A. T., 7a ed. Tubinga, 1913, p. 315.
764 JAMES ORR, in The International Standard Bible Encyclopaedia, Chicago, 1915, p. 3059.
765 F. C. BURKITT, “nella sovente arditissima radicale” Encyclopaedia Biblica, v. 4, c. 5052.
766 A. VACCARI, S. Girolamo – Studi e schizzi, Roma 1921, pp. 110s.
383
Dio, a quella nobile semplicità che esige un libro popolare e religioso. Basti
un solo esempio…767.
Qui il Vaccari adduce un esempio di come Girolamo seppe mutare la
monotonia della paratassi ebraica, una monotona sequela di periodetti di
mezza riga tra loro legati da una serie senza fine di e… e… e… e…, con
l‟ipotassi, mutando le sette proposizioni, appiccicate l‟una all‟altra con una
e, in un periodo ben articolato senza aggiungere o togliere parola, fino a
conservarne persino l‟ordine! Effetto che i traduttori moderni non tutti e non
sempre riescono ad ottenere con uguale perizia.
Chi vuol sorridere del Frassinetti, sorrida pure, ma mirandolo in sí bella
compagnia. Riprendiamone la lettura e chissà che i suoi vecchi consigli non
siano salutari ed opportuni anche per noi.
8. Chi non ammirerà poi l‟ardimento di quelli che trovarono il modo di far
tacere la Chiesa… Tutta la Bibbia è composta di parole come qualunque altro
libro – [affermano] –, tutte le parole sono soggette alla giurisdizione dei
grammatici, dalle parole dipendono necessariamente i sensi del discorso… La
Chiesa non fu infallibile nell‟intendere il significato delle parole dei testi,
dunque le sue definizioni sono senza appoggio sicuro e perciò non possono
formare dei dogmi. A confutare quest‟arditissima novità basta esporla… La
Chiesa dunque ascolterà le varie opinioni de‟ grammatici del sagro testo, ma
sarà sempre infallibile nella scelta di quelle che serviranno di fondamento alle
sue decisioni…
10. Nessuno creda però ch‟io disapprovi lo studio de‟ sagri testi originali
e delle altre antiche autorevoli versioni, questo è anzi importantissimo a‟
nostri giorni per confutare e confondere quei biblici di mala fede che a questi
nostri tempi fan molto chiasso. Questo studio può essere utilissimo per
l‟intelligenza della Sacra Scrittura, se però ce ne serviremo con quella umiltà,
cautela, riserbo e sottomissione ai giudizi della Chiesa che usarono gli
approvati commentatori cattolici quando si servirono di que‟ testi e versioni
nelle loro interpretazioni scritturali.
Sopra lo studio del Gius Canonico768
VI-1. La Germania ha le sue leggi… Credereste voi che tali leggi siano
meglio intese in Russia o in Francia…? Nessuno si potrebbe persuadere d‟un
tale paradosso. Con questo voglio dire che noi ragionevolmente dobbiamo
credere nessuna autorità intendere le leggi ecclesiastiche meglio che la Chiesa
767Ivi, pp. 114s. L‟esempio è da noi riportato in Appendice I alla fine del presente capitolo.
768 G. FRASSINETTI, Osservazioni…, cap. VI, pp. 101-104.
384
medesima… Dunque ogni controversia di gius canonico, sempre che si può,
si decida e si sciolga con la pratica della Chiesa… 2. Si osservi pure che un
attentato violento contro le ecclesiastiche leggi non indebolisce punto la loro
autorità, come un armato prepotente non acquista sul debole ed inerme diritto
alcuno per quante violenze egli eserciti contro di lui.
In nota aggiunge:
Abbiamo veduto impedito al Papa l‟esercizio della sua giurisdizione sopra
molti vescovadi, anzi si può dire sopra tutta la Chiesa, e lui imprigionato,
malmenato. Qual diritto ha perduto la Santa Sede? Appena il prepotente o
restò abbattuto, il Papa esercitò la sua giurisdizione come prima.
3. Certi estensori del gius canonico, i quali meritarono la disapprovazione
delle Chiesa, dopo questa disapprovazione, non hanno piú diritto d‟insegnarci
il gius canonico… Il loro non può essere gius canonico, ovvero ecclesiastico,
perché la Chiesa nol riconosce per suo…
4. … I figli che amano la propria famiglia amano pure la conservazione
dell‟ordine nella medesima e procurano, non di alterare le regole e le
ordinazioni sulle quali si regge, sibbene di sostenerle. Un buon cristiano, non
che un buon ecclesiastico, intende la forza del paragone.
385
Appendice I
Mi piace porre una accanto all‟altra le versioni di Genesi 28,10s., la
versione autorizzata dal re Giacomo d‟Inghilterra, la King James Version,
che traduce pedissequamente parola a parola, qui con sette and i sette w>
dell‟ebraico, con la Volgata di Girolamo e quella che farà poi lo stesso
Vaccari:
King James Version
And Jacob went out from
Beersheba,
and went toward Haran,
And he lighted upon a
certain place,
and tarried there all night,
because the sun was set;
and he took of the stones
of that place,
and put them for his
pillows,
and lay down in that place
to sleep.
Volgata
Igitur egressus Jacob de
Bersabee
pergebat Haran;
cumque venisset ad
quendam locum
et vellet in eo requiescere
post solis occubitum,
tulit de lapidibus qui
iacebant
et subponens capiti suo
Versione del Vaccari
Partito da Bersabea,
Giacobbe
si avviò verso Haran.
Giunto a un luogo,
dormivit in eodem loco.
e si coricò quivi stesso
quando il sole era già
tramontato, vi si fermò;
prese una delle pietre ivi
trovate,
se la mise per capezzale
Appendice II
Sopra lo studio della filosofia e della eloquenza769
1. Queste due scienze hanno molto a che fare cogli studi ecclesiastici,
perciò ancora due riflessioni sul loro conto. Se la filosofia sia arrivata
all‟altezza che si dice, qui non si definisce. Importa che nessuno si lasci
abbagliare cercando luce e una sola avvertenza pare che possa guardarci da
molti abbagli. La verità è una, e questo è suo essenziale carattere, perciò una
cosa o è vera o è falsa: non si può trovare uno stato di mezzo. Quando dunque
ci troveremo a discutere un‟opinione, la quale con le ragioni filosofiche
sembri vera e colle teologiche falsa, o viceversa, che cosa diremo?… Un
cristiano non può esitare. Sa che deve sottomettere la ragione alla fede e non
la fede alla ragione. Dunque ciò che è vero in teologia è realmente vero, ciò
che è falso in teologia è realmente falso.
2. Nella scelta poi delle opinioni, non trattandosi di quelle che in teologia
sono dichiarate o assolutamente vere o assolutamente false, noi
prudentemente ci appiglieremo a quelle che vedremo piú conformi alla verità
769 G. FRASSINETTI, Osservazioni…, pp. 105-112.
386
teologiche… Se noi ci diporteremo in tal modo, ci troveremo a minori
pericoli e lo studio della filosofia ci illuminerà senza abbagliarci. In un tempo
in cui generalmente la filosofia, quanto piú si discosta dalla teologia, è
applaudita, sembrerà strana questa riflessione, ma io parlo non che a cristiani,
a chierici studenti, e loro si può dire che non vi è verità tanto certa quanto la
rivelata e che tutte le opinioni, le quali maggiormente a lei si conformano,
sono perciò le piú salde.
Il paragrafo 3 presente nei tre manoscritti, è omesso nella stampa. Vale
qui riportarlo:
Da pochi anni in qua abbiamo veduto nascere una novella filosofia che
deferisce alla religione e alla fede piú che non vogliano la fede e la religione
– un‟allusione alle recenti pubblicazioni del Rosmini e del Gioberti,
soprattutto di quest‟ultimo? –770. Che diremo di questo nuovo parto
dell‟immaginazione dell‟uomo?… Una filosofia che non riconosce l‟autorità
della fede è una filosofia da empi, una filosofia che non riconosce l‟autorità
della ragione è una filosofia da bestie. Media fra questi estremi stessi la
filosofia dell‟uomo onesto, ossia cristiano.
Continua scalando d‟un numero rispetto al manoscritto.
3. A riguardo dell‟eloquenza io non saprei riflettere altro di piú
importante fuorché la necessità in cui ci troviamo che i sagri oratori
predichino sul serio per conseguire seriamente il lor fine. Si cerca spesso il
bello, il brillante… e comparisce la povera eloquenza come fanciulla vana
tutta vestita d‟inezie…
4. … E che hanno a che fare tutte le inezie e le leziosaggini
dell‟anacreontica in una sagra orazione? E perché, invece di raccogliere nella
predica tutto il piú vago e il piú specioso, non vi si mette tutto ciò che
potrebbe maggiormente colpire il cuore degli uditori per covertirli?… La
Scrittura si considera come un emporio di ritrovati speciosi e di belle figure,
né altro se ne vuol ricavare, anche sforzandola e sfigurandola.
Ha nell‟orecchio le parole che Girolamo scriveva a Paolino?
Lascio stare quei tali che, come già io, pervennero alla sante Scritture
dopo gli studi letterari. Allettano l‟orecchio dell‟uditorio con discorsi ben
elaborati e non c‟è cosa che esca dalla loro bocca che non spaccino per parola
770
A. ROSMINI, Nuovo saggio sull‟origine delle idee, 4 vol., Roma 1830.; V. GIOBERTI,
Teorica del soprannaturale - Discorso sulle convenienze della religione rivelata con la mente
umana e col progresso civile delle nazioni, Bruxelles, 1830, ove si sosteneva che il mistero
cristiano è la vera rivelazione del mistero razionale. Vi si confondono teologia filosofia e
politica.
387
di Dio. Non si degnano di studiare cosa abbiano inteso i profeti, cosa gli
apostoli, ma sostengono quel che loro pare con sballate citazioni, convinti
d‟aver fatto un mirabile lavoro invece che un pessimo uso dei detti della
Scrittura sconciati ad esprimere il proprio pensiero con loro ripugnanza 771.
Riprendiamo la lettura del paragrafo 4 delle Osservazioni:
4. Vi ha poi di tali altri, che non curano né Scrittura né Padri,
introducendo un nuovo genere di parola di Dio, che si chiama parola di Dio
formata al genio del secolo. Fra tutte le orazioni sagre le piú maltrattate però
sono le panegiriche. Cantano un‟ode all‟eroe, come Pindaro faceva agli
Olimpici, almeno ne avessero il genio…
5. … Per altro io vedo che, generalmente parlando, in bocca di quelli che
si chiamano bravi, la parola di Dio non fa frutto, o almeno [é] troppo
insensibile. Osservate l‟uditorio: quasi mai lo vedete commosso… Che vuol
dir ciò? Che il popolo è ignorante, goffo, balordo, senza discernimento? Fa
torto a se stesso chi dice cosí. Il popolo ha il senso comune della vera
eloquenza. Un uomo che commuove e diletta un numeroso uditorio deve
avere rimarchevoli pregi oratorii… riposti non già nelle scelte parole, non
nella simmetrica disposizione delle parti, ma nel maneggio delle passioni del
cuore umano, mediante il quale l‟oratore lo piega, lo commuove, lo trasporta
a suo senno…
6. Felici noi se i sagri oratori trattassero seriamente la causa del sangue di
Gesú Cristo, quanto seriamente trattava Demostene gli affari degli Ateniesi
contro i Macedoni, e quanto seriamente Cicerone le cause de‟ suoi clienti e
gl‟interessi della repubblica! Oh, non trovate voi in quegli oratori profani le
fanciullaggini, le inezie, le meschinità de‟ nostri sagri [oratori]. E pure hanno
costoro per le mani affari, cause ed interessi infinitamente piú importanti e
piú serii.
7. Si studii l‟arte oratoria, ché io non dirò doversi predicar rozzamente e
senza discernimento, ma non si creda che alla parola di Dio convengano tutti
gli ornamenti che possono convenire ai ragionamenti profani… Si trattano le
verità eterne e chi potrà soffrivi le leziosaggini?… Procuriamo di essere ben
compresi dalla santità, dalla sublimità del nostro ministero, pensiamo da chi
abbiamo la nostra missione e perché siamo mandati, e tosto predicheremo sul
serio, e un vivo impegno di corrispondere al fine della nostra eccelsa
vocazione ci farà oratori veramente eloquenti.
8. A quale decadenza sia l‟eloquenza sagra, noi lo possiamo conoscere di
leggieri da questa osservazione con cui finisco. Gli empii oggidí, senza poter
mai parlare in pubblico, con soli privati discorsi riescono a sovvertire le
intere popolazioni… Noi, frequentemente quanto ci aggrada, raduniamo il
771 GIROLAMO, Epistola 53, Ad Paulinum, cap. 7.
388
popolo cristiano… ma quanto poco è il frutto delle nostre parole!… Si dirà
che questo avviene dall‟essere gli uomini piú inclinati al male che al bene, e
questo in parte sarà vero; tuttavia la divina parola, quando sia bene
amministrata, ha un‟efficacia quasi invincibile…
Consigli che si possono compendiare nei due detti latini: rem tene, verba
sequentur e ex abundantia cordis, os loquitur. Se si possiede la materia non
c‟è da preoccuparsi che ci manchino le parole, e se il cuore ne è ripieno, il
modo d‟esprimerlo viene da sé. Cosa è dunque rimasto delle Regole pratiche
per fare un‟Orazione di quel Ristretto di precetti di “Rettorica”772 che il
Gianelli gli aveva dettato ed illustrato in classe? È come chiedere ad un
bambino che corre, salta e fa le scale a quattro a quattro, che ne è del
girellino che l‟aiutò a fare i primi passi. Eppure è bene dargli una scorsa per
vedere in che modo il Frassinetti seppe spogliarsene, a differenza d‟altri, del
suo compagno ed amico il canonico Poggi, per esempio, che le regole le
ricordò tutte nel tessergli l‟elogio funebre, come si è già mostrato
riportandone uno squarcio.
Dopo aver parlato della divisione classica dell‟orazione, dall‟esordio alla
perorazione, il Gianelli passava alle regole per ben pronunciare un discorso,
ossia trattava dell‟azione. Spulciamo qualcosa qua e là:
L‟azione… consiste nel saper conformare la voce e la persona in maniera
che convenga alle cose che noi diciamo e che giovi ad ottenere il nostro
intento. Ella è poi di tale importanza che, senza di questa, anderebbe perduto
il miglior frutto d‟ogni discorso. Riferisce Cicerone che, interrogato
Demostene di ciò che tenesse il primo luogo nell‟arte del dire, rispondesse
l‟azione, e che richiesto del secondo e del terzo, rispose sempre lo stesso… In
tutto il corso dell‟azione debbonsi sempre osservare…
La naturalezza:… in tutte le arti belle l‟artificio piú fino e delicato si è
quello di nascondere l‟arte… Il decoro:… è riposto nel pronunziare con certa
qual grazia e decenza il discorso… La forza:… Tre cose concorrono a dar
forza: il coraggio, l‟autorità e la passione… la passione mal si finge da chi
non la sente… La modestia:…
L‟oratore si mostri timido di sé e rispettoso verso gli altri… La
discrezione:… consiste nel saper adattare il gesto, la voce, la forza… La
memoria:… imparato il discorso, prima di arrischiarsi alla recita, conviene
rimembrare e fissar bene da capo a piè l‟orditura e la connessione e la
distribuzione delle diverse parti… Se alcuno trovisi per avventura
abbandonato dalla memoria nell‟atto di perorare, non dee per questo turbarsi,
né ripetere il già detto, né starsi in silenzio, ma conviene dire bene o male
772 A. M. GIANELLI, Op. cit. I passi sotto citati son presi a pp. 82-151.
389
alcuna cosa e formare senza agitarsi un periodo qualunque, se è possibile
concludente… non tarderà intanto a risovvenire la parte smarrita…;
Il portamento:… diritta la persona, ma non stiracchiata e sforzata; alto e
eretto il capo, ma non altero; modeste le ciglia, ma non aggrottate…
Presentandosi agli uditori, e poi, da loro ripartendo, deve essere il passo
piuttosto grave, ma sciolto, ma semplice, ma naturale…; Il volto:… l‟aria
dolce piace assai piú dell‟austera, la lieta piú della triste, ma deve sempre
proporzionarsi all‟oggetto che si rappresenta ed agli affetti che si
dimostrano…
Il guardo:… Assuefarsi per tempo a declamare con gli occhi aperti
(essendo difetto enormissimo tenerli chiusi), ma mirando veramente le
persone… nei tratti piú forti e affettuosi, giova talvolta avventar delle
occhiate ardenti, poderose e piene di confidenza e di dominio… Deesi per
altro guardar dall‟arditezza e dall‟arroganza… Dipartendo, gli occhi si
tengano bassi e modestissimi…
La voce:… Fuggansi a piú potere, siccome falsi e di pessimo gusto, quei
tuoni vanamente predicatorii… ad un uomo che parli con passione non fa
mestieri grand‟arte… Declamando, andare in falso è facilissima cosa… tre
tuoni si distinguono nella voce umana: alto, mezzano e basso… Si cominci tra
il basso e il mezzano… al terzo, l‟alto, non si dee arrivare quasi mai, se non
in un vero eccesso di passione… Il piú eloquente dei Gracchi prendeva tuono
dal flauto, tanto era convinto che dipendeva dal buon governo della voce il
buon esito dell‟orazione…
La pronuncia:… fare avvertenza ai difetti… pronunziare [le consonanti
raddoppiate] una distinta dall‟altra, come se invece di … colle fosse scritto
col-le…, la z pronunziata come s, mentre sappiamo che… differisce
assaissimo, essendo composta di t e s; non può mai tanto addolcirsi che
s‟abbia a pronunziare come semplice s senza fare del t verun conto…773. Il
gesto:… la mancanza del gesto annoia e raffredda, ma il troppo gesto disturba
e confonde… il gesto dee trar piuttosto al rotondo che al rettilineo… il
braccio destro è quello che piú dee muoversi… le dita siano piuttosto unite,
ma non ristrette…
In questi due capitoli, Oltre la scuola, abbiamo riportato ampi estratti delle
sue Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici pensando ai giovani che
773 Chissà come avrà ascoltato incantato un uditorio, che neppur sospettava l‟esistenza del
suono z, ben scandite le due cosonanti da oratori che non le avevano mai essi stessi udite
pronunciare da bocca non genovese: “Ammirate, fratelli, la costantsa, la fortetstsa, e la
patsientsa con cui i santi sostennereo la sofferentsa…”. Il Frassinetti, tutte le volte che può,
soprattutto nei catechismi, preferisce predicare in genovese ed avere cosí la certezza d‟essere
compreso da tutti.
390
aspirano al sacerdozio perché vi trovino un esempio ed un suggerimento di
come ci si deve preparare all‟alta missione a cui si è stati chiamati. Abbiamo
messo in fine a raffronto le norme apprese alla scuola del Gianelli su come
si deve parlare ai fedeli con ciò che viene da lui suggerito, per dire che tutto
ciò che si apprende, anche se da un maestro per cui si ebbe ammirazione e
stima sconfinata, va ripensato774. Anche le norme del Frassinetti vanno
ripensate, e a lui non dispiacerà, perché, alcune affermazioni, che piú di un
secolo e mezzo fa erano solo delle ipotesi, oggi, precisate e corrette, hanno
acquistato ben altra autorità, e sarebbe stoltezza non prendere in
considerazione.
Rimane il grande insegnamento di non credere senza prima esaminare, con
esame serio e convincente che tolga ogni dubbio, e non lasciarsi soggiogare
da un gran nome, ma, soprattutto, e pongo la considerazione alla fine per
darle maggior risalto, che lo studio del sacerdote non deve mirare alla
cultura religiosa fine a se stessa, ornamento della mente aggiunto ad altri
ornamenti, sapere pavonesco quando non è addirittura solo ingombro
mentale, ma alla conoscenza delle cose di Dio in vista della propria
santificazione e dell‟annuncio della salvezza alle genti. Questo crea in noi
l‟istinto della scelta tra ciò che vale, e deve restare, e ciò che è già tanto se ci
si ferma a dargli una scorsa veloce, attenendoci al suo consiglio di leggerle
appena, se saranno trattate in breve, facendoci scrupolo di occupare nella
loro lettura piú di pochi momenti.
Non ci resta ora che da parlare del suo maestro, sant‟Alfonso M. de‟
Liguori, per mostrare quali debbono essere i rapporti tra discepolo e
maestro: non perdere parola, ma non accettarle senza averle vagliate e
ripensate, pronto a discostarsi in questo e quel punto, senza che ciò appanni
la venerazione che gli si porta. Cosa che faremo al prossimo capitolo.
CAPITOLO XXV
774 Il Frassinetti scriveva che era vivo il Gianelli che apprezzo molto la pubblicazione
mandandone copia al Guala ed al nunzio accreditato presso il governo sardo.
391
L‟INCONTRO CON SANT‟ALFONSO
Tristo è quel discepolo che non avanza il maestro
LEONARDO DA VINCI
Le Père ayant su que sur la route de son fils se trouvait une pierre, s‟empresse
d‟aller devant lui et la retire... s‟il vient à connaître le danger auquel il vient
d‟échapper, ne l‟aimera-t-il pas davantage? Eh bien, c‟est moi qui suis cette enfant,
objet de l‟amour prévoyant d‟un Père...775
SAINTE THERESE DE L‟ENFANT JESUS
Nel primo Ottocento in Liguria e Piemonte gli alfonsiani erano pochini, e
pochi di quei pochini avevano il coraggio, non dico di farne pubblica
professione, ma di far sapere di essere in possesso di una qualche opera
dell‟allora “beato” Alfonso, o comprarne senza aver prima guardato chi si
trovasse dal libraio, tanta era la guerra che gli avrebbero scatenata contro
giansenisti e gli infetti di rigorismo giansenista. Ancora negli anni Venti
dell‟Ottocento le opere del Liguori erano merce da vendersi sotto banco e
farne scivolare distrattamente qualche copia delle ascetiche nei pacchi
d‟altri titoli, benché non ordinate. A Torino alle spalle del “tanto benemerito
Tipografo Giacinto Marietti” – e connivente – c‟era don Guala che pagava.
Nel 1840, in data 4 aprile, il Gianelli, già vescovo di Bobbio, cosí scriveva
al Frassinetti da Torino dove in quei giorni si trovava:
Qui è tanto maggior difficoltà in quanto che le Dottrine di S. Alfonso non
sono ancora vedute di buon occhio, non solo dai Giansenisti che qui
abbondano, ma anche dai buoni cattolici, perché tutti formati sulla sesta del
rigorismo. Aggiungete che per la Santa Sede tutti ne vogliono ben poco:
affezionati, sí, ma sicut in quantum776.
Ma già nel 1857 il Frassinetti, nella minuta di una recensione per Il
cattolico con cui presentava la Vita di S. Alfonso M. de‟ Liguori scritta dal
775 S. THÉRÈSE DE L‟ENFANT JÉSUS, Manuscrit A, Folio 38 vo e 39 ro: ”Il padre, avendo
saputo che sulla strada del figlio c‟era un sasso [in cui avrebbe inciampato], si premurò
d‟andare innanzi e lo tolse... Se poi egli viene a conoscere il pericolo da cui è scampato, non
l‟amerà in misura maggiore [che se si fosse prima ferito e poi fosse stato da lui curato]?
Ebbene, questo figlio oggetto dell‟amore preveggente d‟un padre sono io”.
776 Originale nell‟AF, Lettere del Frassinetti.
392
P. Antonio Maria Tannoia, riveduta e corretta dal P. Antonio Chiletti,
poteva affermare:
Il tanto benemerito Tipografo Giacinto Marietti, dopo aver fatto la piú
completa edizione di tutte le opere di S. Alfonso M. De Liguori, volle in
quest‟anno darne alla luce la Vita piú copiosa e interessante, quale è questa
descritta del P. Tannoia, che fatalmente giaceva sconosciuta nella maggior
parte d‟Italia, perché l‟edizione fattane in Napoli, ed ivi esaurita, non aveva
quasi valicato i confini di quello Stato... È da sperare che la pubblicazione di
questa vita riesca sommamente utile e gradita ai divoti del Santo Vescovo e
Fondatore che si possono dire numerosi quanto è numeroso il buon popolo
cristiano. Nessuno vorrà mettere in dubbio che le Opere molteplici di questo
gran Santo siano conosciute e diffuse non solo per tutta l‟Italia, ma anche per
tutta l‟Europa e le altre parti del mondo quanto possono essere conosciute e
diffuse le opere di qualunque altro grande e santo uomo; non v‟ha poi dubbio
che non si potrebbero trovare altre opere la cui lettura sia altrettanto comune
e frequentata quanto questa.
Le opere morali di questo Santo sono alle [mani] di tutti gli operosi
ministri di Dio dell‟uno e dell‟altro emisfero e ne formano in morale quel che
si dice criterio teologico, di modo che ebbe egli primo quel vanto, che non si
crederà possibile a conseguirsi da uomo mortale, di fare quasi scomparire la
scissura di sentimenti che spartiva quasi in due campi presso che uguali i
teologi moralisti. La morale praticata in tutto il mondo si può dire che adesso
è una; la morale, cioè, informata ai principii di S. Alfonso; né meritano
considerazione alcuna poche eccezioni che vanno quasi sfumando. È evidente
che se si volesse adesso stampare e accreditare un‟opera morale informata da
principii diversi, sarebbe tentare l‟impossibile, quindi tutti gli operosi ministri
di Dio del vecchio e del nuovo mondo si professano divoti discepoli di S.
Alfonso777.
Le sue opere ascetiche tradotte in tutte le lingue, moltiplicatene le copie
quanto le stelle del cielo e le arene del mare, sono un pascolo di tutte le anime
pie dell‟una e dell‟altra estremità della terra; e giovano mirabilmente a
coltivare una pietà soda, uniforme, tutta fondata sulla confidenza e sull‟amore
di N. S. Gesú Cristo. V‟ha chi pensa che universalmente generalizzate le
opere di ascetica di S. Alfonso, e quindi messe fuor d‟uso altre ben numerose
che aveva prodotto l‟ultima metà del secolo passato, siasi rinvigorita nel
popolo cristiano una divozione piú sostanziosa, piú operante, piú serena e
777 Qui il Frassinetti avrà ripensato ai tempi in cui era rischioso il solo far sapere che
s‟era comprato un libro di sant‟Alfonso, tanta era la guerra che gli faceva il clero
giansenisteggiante, e ne omette il nome nelle Osservazioni… per evitare, è da credere, che ne
fosse impedito l‟ingresso nei seminari. Ciò non ostante, ci fu chi ne inviò una copia al
Sant‟Ufficio per ottenerne la condanna.
393
tranquilla. Il fatto è che tutte le anime pie riconoscono come loro maestro di
spirito S. Alfonso e gli professano perciò divozione singolare778.
Un capovolgimento che ci riporta alla mente ciò che il 17 novembre,
prima della riforma liturgica, si leggeva nel secondo notturno della festa di
san Gregorio Taumaturgo:
Stando per lasciare questa vita, chiese [san Gregorio Taumaturgo] quanti
pagani ci fossero ancora nella città di Neocesarea. Gli fu risposto che
arrivavano appena a diciassette. – Ne sia ringraziato Iddio, disse, erano
appunto diciassette i cristiani quando io ne divenni vescovo –.
La recensione del Frassinetti si direbbe una parafrasi delle parole di san
Gregorio Taumaturgo. Com‟erano cambiate le cose dai giorni in cui,
giovane chierico, aveva ardito scegliersi il Santo per maestro e guida.
Tornerà ancora sul raffronto nel 1865 ripetendolo l‟elogio quasi ad verbum
nella prefazione al suo Compendio della Teologia Morale di S. Alfonso
Maria de‟ Liguori, con apposte note e dissertazioni779. Era un‟ultima
mazzata al rigorismo giansenistico ed un tributo di riconoscenza al suo
Sant‟Alfonso Maria de‟ Liguori, l‟arsenale che gli aveva somministrato le
armi per le sue battaglie.
Il “tanto benemerito tipografo” aveva fatto la sua parte, ma nulla avrebbe
potuto senza il Guala e il Cafasso e, prima di loro, senza Pio Brunone
Lanteri e, prima ancora, senza l‟anello di testa di quella catena di alfonsiani,
l‟ex-gesuita Nicolao Giuseppe Alberto von Diessbach, ex forzatamente per
lo scioglimento della compagnia di Gesú. Marietti fu il loro provvidenziale
scudiero. I sacerdoti non piú tanto giovani ricorderanno i bei cataloghi della
Marietti con l‟indicazione: “Casa fondata nel 1820”. Ebbene, già nel 1824
778
AF. G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. V, pp. 600s.
779 Quel Compendio fu un best seller. Prima che spirasse il 1867 era già pronta la quarta
edizione che l‟Autore non ebbe la gioia di vedere avendo chiuso gli occhi il 2 gennaio del
1868. Continuamente ristampato e rivisto, tradotto, per quel che si sa, in francese, spagnolo e
portoghese, divenne per quasi un secolo il vademecum d‟una infinità di confessori.
Dell‟undicesima edizione italiana, rivista e aggiornata al Codex Iuris Canonici dal Cappello e
dal Gennari, se ne ebbe l‟ultima ristampa nel 1948. Ancora ai miei tempi, anni Quaranta,
eravamo non pochi che studiavamo qui a Roma sul Damen, sul Vermeersch, sul Merkelbach...
in vista degli esami dei corsi accademici e di quei, piú terribili, de universa theologia morali
in Vicariato da ripetersi per tre volte se si voleva essere definitivamente approvati per le
confessioni, ma, appena si entrava in confessionale, ci si rifugiava nel Frassinetti.
394
Giacinto Marietti aveva intrapreso la pubblicazione dell‟Opera omnia del
Liguori, divisa in tre serie: Opere ascetiche, Opere morali, Opere
dogmatiche, 67 volumi portati a termine in soli cinque anni! Nel 1836 il
“tanto benemerito Tipografo” metterà fuori la Summa theologica di san
Tommaso. Questo a Torino.
A Genova, la città commercialmente e psicologicamente capitale degli
Stati Sardi, avrebbe pensato il Frassinetti a creare spazio a sant‟Alfonso e a
san Tommaso, i suoi autori, divenuti gli autori dell‟Accademia del Beato
Leonardo da Porto Maurizio da lui fondata. Potremmo pensare il Frassinetti
quale egli è stato, anche se non si fosse incontrato con il Gianelli, a cui va
tanto debitore, ma non lo potremmo pensare tale se, giovane chierico, non si
fosse fatto discepolo del napoletano meraviglioso780 come Eliseo si fece
discepolo di Elia. Sarebbe stato ugualmente un santo sacerdote, fuori di ogni
dubbio, ma non il Frassinetti che noi conosciamo. Ma anche questo suo
innamoramento per sant‟Alfonso deve essere stato un dono del suo Gianelli.
Pur non avendo documenti su cui appoggiare questa mia affermazione, sono
portato a credere che l‟incontro del Frassinetti con sant‟Antonio Maria
Gianelli abbia portato con sé l‟incontro con le opere di sant‟Alfonso Maria
de Liguori. Non vedo altri, all‟infuori del Gianelli, l‟innamorato del
Liguori781, che possa aver detto al Frassinetti fin dagli anni di “rettorica”:
Tolle et lege Alphonsum, passandogli anche qualche scritto ascetico del
“Beato”, tanto piú che il Gianelli era ancora sotto l‟impressione dello
scampato pericolo. Chissà quante volte in quegli anni il Gianelli s‟era
trovato a ripetere le parole del salmista:
Sia benedetto il Signore,
che non mi ha lasciato
in preda ai loro denti.
Sono stato liberato come un uccello
dal laccio dei cacciatori:
780 G. DE LUCA, Sant‟Alfonso uomo grande, da “L‟Osservatore Romano della Domenica”,
4 giugno 1939.
781 Una semplice scorsa ai cinque volumi delle Lettere del santo Vescovo di Bobbio,
pubblicati a cura della M. Maria della Natività Tarquini, Roma 1978, è piú che sufficiente per
farsi un‟idea del suo attaccamento a sant‟Alfonso. Al Gianelli si può forse aggiungere anche il
Bolasco, suo professore di dogmatica alla fine del corso di teologia.
395
il laccio si è spezzato
ed io ne sono scampato782.
Nei suoi anni genovesi, ci racconta il Barabino:
Il Gianelli si trovò a conversare di frequente con alcuni ecclesiastici
[giansenisti che]… sotto colore di pietà e di austera morale, cercavano di
insinuargli il veleno dell‟errore e, con fine malizia, valendosi della buona sua
indole e virtuosa docilità, si adoperarono man mano a trarlo dalla loro. Egli,
per essere ingenuo di sua natura… stette buona pezza senza sospettare che
sotto quelle sembianze di pecore, ci covasse la frode e il malanimo di
altrettanti lupi, e solo dopo qualche tempo alla malvagità delle conseguenze
avvertí il guasto dei loro principi. Non ne volle piú per segregarsi subito da
loro e, come chi, uscito di pericolo, trema sempre al pensare di averlo corso
una volta, cosí egli, parlando di questo avvenimento ad alcuno suo
confidente, tutto spaventato diceva: “Oh, sapeste! Poco andò che ne facessi
una grossa, ma il Signore per sua grande bontà me ne ha liberato”783.
Basta a volte che un professore, o persona assai stimata, dica una parola
o indichi un libro perché la vita di un giovane ne resti segnata nel bene o nel
male. Una spanna la linea di displuvio. Non sappiamo il nome degli
ecclesiastici giansenisti che tentarono di attirare alla loro setta il Gianelli. Il
Degola morí sessantacinquenne il 1826, quindi ancor vivo negli anni in cui
il Gianelli insegnava a Genova ed il Frassinetti era in teologia, il tempo in
cui un giovane cerca d‟avvicinare le persone di buona cultura e di contrarne
l‟amicizia, né a queste dispiace di troneggiare e sentirsi mecenati. Tutt‟altro.
Per un giovane di bella intelligenza, sarebbe bastato un po‟ di
interessamento del Degola, d‟uno della sua scuola, una parola d‟elogio, un
aprirgli la biblioteca di casa…
Per sua fortuna il giovane s‟era incontrato con un Gianelli ancora sotto
l‟impressione del pericolo trascorso e fu cosí della scuola del Liguori invece
che di quella di Giansenio. Se il Frassinetti non fosse vissuto tre quarti di
secolo prima di santa Teresa del Bambino Gesú, avrebbe potuto cosí
adattare a sé la parabola su riportata ad inizio di capitolo: “Il Padre mandò
innanzi a me due suoi angeli, il Gianelli ed il Liguori, a liberami il cammino
da due insidie, in cui avrei potuto inciampare, l‟una e l‟altra mortali, di cui
avrei conosciuto nomi e pericoli solo a studi fatti: Pelagio e Giansenio”.
782 Sal 124 (123),6-7.
783 N. BARABINO, Vita di mons. Antonio Gianelli, manoscritto 1847, in ACGSGpp. 35-36.
396
Non sembri strano l‟aver appaiato Pelagio a Giansenio, anzi Pelagio e il
suo rovescio: Lutero. Pensare il giansenismo italiano della seconda metà del
Settecento e della prima metà dell‟Ottocento un trapianto di Port Royal al di
qua delle Alpi, è un volersi condannare a non comprenderlo. Il giansenismo
era ormai solo la falsa coscienza di cattolici che se ne erano fatto una foglia
di fico per mascherare a se stessi ed agli altri l‟aver sostituito alla fede la
filosofia anglo-tedesca dell‟illuminismo massonico bevuta nella
rielaborazione brillante leggera ed arguta dei francesi.
Un giansenismo piú politico che religioso, ridotto ad un calderone in cui
si andava riversando quanto si opponeva alla Chiesa di Roma, poco importa
se in un miscuglio di elementi tra loro eterogenei e contraddittori, buono per
chi voleva illudersi d‟essere ancora cattolico, non osando fare l‟ultimo passo
che sarà fatto con piú coerenza dal Mazzini e da tanti altri.
Mai Satana riuscirà a mandar giú l‟umanità congiunta ipostaticamente
alla divinità nella persona del Cristo con tutto quel rifluire di "di piú" sugli
uomini che ne fa degli dei per partecipazione. Impedire l‟accesso dell‟uomo
a quel “di piú”, al soprannatura, questa la sua lotta: o negandolo, o
dicendolo non necessario, o almeno tentando di ostacolarne gli effetti. Di
qui l‟assalto senza tregua alla cittadella in cui riposano le certezze della
nostra fede: Roma. Pelagio esalta talmente la natura dell‟uomo da rendere
superflua e non necessaria la grazia; Lutero, pur essendo la negativa di
Pelagio, giunge allo stesso risultato privando l‟uomo dei sacramenti, i canali
che l‟adducono, eccetto il battesimo, cui, peraltro, nega l‟effetto rigeneratore
sostenendo che non può essere risanato chi è intrinsecamente corrotto. Non
piú rigenerazione, ma solo non imputazione.
E c‟è di piú e di peggio. Da Lutero ebbe origine quel movimento di
deriva che riporterà a Pelagio ed oltre Pelagio. Distaccandosi dalla
tradizione e dal magistero per rivendicare all‟uomo il libero esame della
Scrittura, apre la porta al libero pensiero, alle libere scelte e ai liberi rifiuti,
inizio di quel libero vagare per il mondo delle idee senza piú stella a cui
rifarsi. Lutero svincola la Bibbia da Roma, la filosofia si svincola dalla
Bibbia, dalla teologia e da Roma784. Tutto va ridiscusso, nessuna risposta è
certa e definitiva, certi sono solo i potrebb‟essere.
784 Il filosofo cristiano nei suoi ragionamenti prescinde dai dati della rivelazione, ma sa
avvalersi di quella larga ricaduta di verità naturali, prodotta da secoli di lavoro per illustrare le
verità della fede, per arricchire il pensiero strettamente filosofico. Non solo, ma i dati della
rivelazione gli ingenerano il sospetto d‟essere caduto in errore se le conclusioni a cui egli è
397
Luce dell‟uomo diventa la sola ragione. Il dubbio metodico invade anche
il campo della fede: che Dio esista o non esista nulla muta. Se esiste, non gli
occorrono intermediari. Di costoro, dei ministri della Chiesa cattolica
soprattutto, la colpa dell‟oscurantismo che ha impedito per secoli il rifulgere
dei lumi. Sono i presupposti filosofici dell‟illuminismo e di un ecumenismo
massonico tinto di vaga religiosità. Dio, se proprio il cuore dice che un
qualcuno ci deve pur essere, è un assente al di là degli spazi, in nessun modo
interessato ai nostri casi. Cosí, di degrado in degrado, si è giunti allo stato
agnostico e al relativismo morale. Misura del diritto e della morale è
l‟uomo, l‟uomo che ha in sé quanto gli occorre per tracciarsi la sua via e
percorrerla. Cosí, pur partendo da punti opposti, le ultime conseguenze del
luteranesimo vengono a coincidere con quelle di Pelagio, e le scavalcano,
sfociando nella filosofia dei lumi e nell‟individualismo materialista. Un
ritorno a Pelagio, ma ad un Pelagio areligioso che si fa spesso irreligioso. Il
giansenismo italiano, anche se non giunse a questi estremi, ne aprí a molti la
via con il suo rabbioso anticattolicesimo785.
Questo giansenismo, a differenza di quello originario, è apertamente
anticattolico. Se si considera che le ideologie illuministiche sono la negazione
del dogma fondamentale del giansenismo – il peccato originale e la
conseguente corruzione della natura umana, che solo la grazia gratuita di Dio
può riscattare –, appare chiaro che il giansenismo, pur di realizzare le sue
riforme, si trova alleato del piú intransigente “pelagianesimo”: una eresia
teologica si affianca ad un‟altra che ne è l‟antitesi. Il piú attivo giansenismo
italiano si spingeva alla distruzione della Chiesa di Roma786.
Sullo scorcio del Settecento, allo scoppio della Rivoluzione francese,
sentendosi i giansenisti abbandonati dai príncipi illuminati e riformatori, da
cui erano stati protetti, da sostenitori del Princeps Janseniorum, Giuseppe
II, nella sua lotta contro la Curia, si fanno giacobini e aderiscono al nuovo
regime facendo proprie le innovazioni in campo ecclesiastico apportate dagli
eserciti invasori: secolarizzazione dei beni ecclesiastici, soppressione degli
ordini religiosi, costituzione civile del clero... Cosí, il giansenismo, da
sostenitore dell‟assolutismo del principe contro i privilegi del clero e la
potestà assoluta del Papa, diverrà fautore della Repubblica contro ogni forma
giunto sono incompatibili con le certezze della sua fede e lo spingono a riesaminare i suoi
ragionamenti e a scoprire l‟errore che l‟ha portato fuori strada.
785 Ne presenteremo un esempio in Ausonio Franchi nella seconda parte.
786 M. F. SCIACCA, Il pensiero italiano nell‟età del Risorgimento, Milano 1963, p. 62.
398
di tirannide... crederà di trovare nel regime democratico la condizione
migliore per il vagheggiato rinnovamento, e crederà di conciliare libertà e
religione 787.
L‟incontro con sant‟Alfonso fu per il giovane chierico il faro che lo salvò
dallo smarrirsi, non solo, ma, averlo conosciuto innanzi tutto come maestro
di spiritualità, lo tenne lontano dal ridurre la morale probabilista a scienza
del peccato, come può facilmente accadere se delle due discipline, la scienza
morale e la spiritualità, si facessero due materie distinte, se non addirittura
autonome: la prima per i comuni mortali, l‟altra per quei consacrati, non
molti, che si fossero messo in capo di farsi santi da altare, e, appunto perché
casi rari, potersene trascurare lo studio. Finezze da eruditi.
Il probabilismo, separato dall‟ascetica, come allora era detta la
spiritualità, fa cadere nel minimismo morale, ossia in quel minimo a cui si è
tenuti per non precipitare nell‟inferno. Se con il probalismo sant‟Alfonso
indica al confessore fin dove si può scendere per andare incontro ad
un‟anima poco disposta e non spegnere un lucignolo fumigante788, con le
opere di spiritualità sa toccare quel punto vivo presente anche nel peccatore
piú incallito e su di esso far leva per una rimonta spirituale presentandogli
Dio come il padre da amare. Il Frassinetti è alfonsiano anche in questo e sarà
conosciuto innanzi tutto come maestro di spiritualità. Saranno queste sue
opere di spiritualità che gli creeranno un nome garanzia ed invito ai suoi
scritti di pastorale e di morale. Il Liguori ed il Frassinetti prendono l‟uomo
come è sconciato dal peccato per incamminarlo verso le cime di quella
perfezione di cui è perfetto il nostro Padre celeste789.
Questo attaccamento del Frassinetti a sant‟Alfonso nel rapporto di
discepolo a maestro cominciò fin dalla sua prima giovinezza. Ne abbiamo la
riprova in una copia della Theologia moralis di sant‟Alfonso da lui
posseduta, tre tomi legati in un unico volume d‟un mille e cinquecento
pagine, editi dal Remondini a Bassano. Si tratta della dodicesima edizione
pubblicata nel 1822, anteriore di qualche anno all‟edizione della Marietti.
Ciò lascia pensare che se la fosse procurata agli inizi del suo corso di
teologia, 1823-1827, per poter raffrontare su sant‟Alfonso l‟insegnamento
787 N. RODOLICO, Gli amici e i tempi di Scipione de‟ Ricci: Saggio sul giansenismo
italiano, Firenze 1920, pp. 54-55.
788 Mt 12,20.
789 Mt 5,48.
399
che riceveva in classe, con ogni probabilità in linea con l‟Antoine 790,
rigorista la sua parte. Quando poi cominciarono ad uscire i volumi di tutte le
opere alfonsiane, editi dalla Marietti, il possedere l‟edizione del Remondini
non lo dispensò dal procurarseli man mano che venivano pubblicati, volumi
a noi non pervenuti, ma che certamente possedette. Ce lo fa pensare lui
stesso: “Ordinato sacerdote da poco tempo – 22 settembre 1827 – io leggeva
nel compendio della Vita del Santo, premessa all‟edizione delle opere fatta
in Torino dal Marietti...” 791.
Ad apertura dell‟edizione del Remondini troviamo l‟immagine del Santo.
Nel margine superiore il Frassinetti scriveva: Ostium mihi apertum est
magnum et evidens, et adversarii multi. S. Paul: 1, Corint: c. 16. v. 9. Ciò
sucede (sic) tuttavia a chi ha molto zelo, ed opere grandi per le mani come
osserva S. Giov: Grisost:. Nel margine inferiore, e qui in bella scrittura:
Pater mi, pater mi, currus Israel, et auriga eius.... obsecro ut fiat in me
duplex spiritus tuus. Reg: IV. C. II. Con la prima citazione applicava a sé le
parole dell‟apostolo Paolo: “Mi si è aperta una porta grande e ricca di
prospettive, ma molti gli avversari”792. Il giovane teologo aveva trovato in
sant‟Alfonso una porta grande e promettente con il presentimento delle lotte
che avrebbe dovuto sostenere per questa sua fedeltà alla dottrina e
all‟esempio del Santo napoletano. Nel margine inferiore faceva sue le parole
rivolte dal profeta Eliseo al profeta Elia: “Padre mio, padre mio, carro
armato d‟Israele e suo carrista... ti scongiuro, trasmettimi il tuo spirito
raddoppiato”793, stabilendo tra sé e sant‟Alfonso un uguale rapporto di
discepolo-maestro. Né è poco quello che gli chiede supplicandolo che, per
790 Nei corsi di teologia il professore usava “dettare” – era il termine tecnico per
“insegnare da una cattedra” – le sue lezioni e non ci risulta che a Genova fossero adottati libri
di testo. Il “lettore” non mancava di fare dei rinvii agli autori di morale di cui condivideva le
tendenze. Un autore molto seguito era Paul Gabriel Antoine, S.J., di cui si è già parlato nel
cap. Lo studente di teologia. L‟Antoine aveva già pubblicato la Theologia universa
speculativa et dogmatica ad usum theologiæ candidatorum accomodata, Pont-à-Mousson,
1723, divenuta tosto un‟opera classica e diffusissima.
791 G. FRASSINETTI, Compendio della Teologia Morale..., vol. II, Genova 1866, p. 76.
792 Un presentimento che si avverò oltre la misura. Ne parleremo nella seconda parte.
793 2 Re 2, 12.10. Traduco carro armato e carrista, l‟equivalente del carro falcato
dell‟epoca e dell‟auriga che ne era alla guida. Era l‟apparato piú potente di cui disponessero
nelle battaglie e a cui era impossibile resistere. Invece di i due terzi, come traducono le
versioni dall‟ebraico, lascio il doppio della Vulgata, il testo a cui si rifaceva il Frassinetti.
400
ciò che gli è di piú sacro794, lo renda irresistibile di fronte ai molti nemici di
Dio ottenendogli un vigore doppio di quello che egli ebbe. Cosí, sui
vent‟anni, il Frassinetti ebbe il suo grande incontro con sant‟Alfonso.
Il giovane seminarista, prima ancora che iniziasse gli studi di teologia,
dovette trovare detto con chiarezza negli scritti del Santo ciò che egli già
avvertiva in sé come in enigmate, per usare un‟espressione paolina, tanto è
indubbia la loro congenialità. Del resto uno è lo Spirito. Il Frassinetti aveva
trovato in sant‟ Alfonso non solo il maestro sicuro alla cui scuola prepararsi
per il ministero del confessionale e per la guida delle anime sulla via della
santità, ma anche l‟esempio da imitare. La prima a beneficiare di questa sua
scoperta – si è visto – fu la sorella Paola, e, attraverso Paola, ne
beneficeranno tosto le sue amiche di Quinto, il primo nucleo delle suore
dorotee.
Il parallelo Liguori-Frassinetti si potrebbe spingere fino ai piccoli
particolari, fino a porre in doppia colonna le opere dell‟uno e dell‟altro 795,
794 Questo il valore della voce latina obsecro da *obsacro.
795 Riporto qui il raffronto tra sant‟Alfonso e il ven. Giuseppe Frassinetti fatto da G.
Capurro, Giuseppe Frassinetti e l‟opera sua, Genova 1908, p. 4.
S. Alfonso
Pratica della perfezione
Trattato della preghiera
Consigli di confidenza per un‟anima
desolata
Avvertimenti pei sacerdoti sulla messa e
l‟officio
Le glorie di Maria
Sullo stato religioso
Teologia morale
Visite al Santissimo
Verità della fede
Pratica di amare Gesú Cristo
Visite a Maria
Divozione a S. Giuseppe
Riflessioni ai vescovi
Monaca santa
Frassinetti
Arte di farsi santi
Il pater noster di s. Teresa-Trattato della preghiera
Conforto dell‟anima divota con un‟appendice sul
santo timor di Dio
Gesú Cristo regola del sacerdote
Avviamento dei giovinetti alla divozione a Maria
Ora di santa allegrezza - Le dodici stelle, ecc,
Scelta di uno stato (inedito)
Teologia morale
Culto perpetuo al Santissimo
Convito del divino amore
Catechismo dogmatico
Amiamo Gesú
Amiamo Maria
Amiamo S. Giuseppe - Vita di S.Giuseppe
Proposte agli ecclesiastici
Brevi parole ai sacerdoti - Parroco novello
Monaca in casa - Religioso al secolo
401
fino alla composizione di strofette da cantarsi dai fedeli per sollevare
l‟animo a Dio. Questa è la scuola a cui si formò, e a questa scuola avrebbe
indirizzato tanta parte del clero del suo secolo, cominciando con quei
sacerdoti e chierici genovesi che andarono a gravitare intorno a lui nella
Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio796. Qui il Frassinetti,
nell‟Accademia di studi che ne sorse in seno, darà cattedra a sant‟ Alfonso,
e furono tanti i sacerdoti e i chierici teologi che ne assimilarono dottrina e
spirito. Si può affermare che il risveglio religioso ligure, e non solo ligure, si
verificò nel nome di due grandi napoletani: san Tommaso d‟Aquino e
sant‟Alfonso, ed ebbe per centro d‟irradiazione non ultimo la canonica di
Santa Sabina. Al Frassinetti, difatti, si può rivendicare a giusta ragione una
parte cospicua del merito d‟aver largamente diffusa la conoscenza delle
opere di sant‟Alfonso tra i fedeli.
Adesso che quasi tutti imparano a leggere, e i nostri nemici sono cosí
liberali nel diffondere i perversi scritti – scriveva nel 1837 e ci si perdoni se
in parte ci ripetiamo –, è necessario che noi altrettanto ci adoperiamo, anzi
che li prevenghiamo… Che se mi fosse chiesto di quali opere, tra l‟altre
molte, si dovrebbe particolarmente promuovere la lettura, io direi dell‟opere
del B. Alfonso Maria de Liguori. Queste servono pel dotto egualmente che
per l‟ignorante, essendosi egli fatto tutto a tutti: vi trovi una purità di dottrina
che nulla puoi desiderarne di piú; un fervore di spirito che difficilmente ti
verrà fatto riscontrare il maggiore in altra scrittura d‟uomo, una semplicità
che, quantunque spesso rozza e disadorna, ti piace e ti tocca fortemente il
cuore… Il libricciuolo delle sue Massime eterne per me vale un tesoro…
Nella Pratica poi d‟amar Gesú Cristo parmi trovare raccolto il fiore dei libri
buoni797.
Se per l‟obbedienza e la fedeltà al Papa il Frassinetti si rifà a
sant‟Ignazio, se per lo studio del dogma a san Tommaso, per la morale, la
pastorale, la vita spirituale ed il modo di comportarsi di un sacerdote, gli fu
modello e maestro sant‟Alfonso Maria de Liguori. Ce lo attesta egli stesso:
Vedo che S. Alfonso consigliava siffatta astinenza [dalla comunione] una
volta la settimana; ma vedo pure ch‟egli per sé non voleva farne
796 M. FALASCA, Rapporti di Francisco Cabrera con Giuseppe Frassinetti e Miguel
Sureda, in “Regnum Dei”, Roma XL(1984), pp. 431-446.
797 G. FRASSINETTI, Riflessioni..., pp. 19-20.42-43. Per la completezza dell‟esposizione
mi si perdoni se riporto passi già altrove citati.
402
volontariamente né anche una in tutto l‟anno. Ordinato sacerdote da poco
tempo (22 settembre 1827), io leggeva nel compendio della Vita del Santo,
premessa all‟edizione delle opere fatta in Torino dal Marietti: “ordinato che
fu sacerdote, non solo non lasciava giammai di celebrare la S. Messa, ma se
mai si fosse trovato in missione nella Settimana Santa, procurava di
tornarsene in que‟ giorni a casa per poter celebrare, e non rimaner privo in
alcun giorno del Pane Eucaristico”. E vado debitore al suo esempio, se ho
sempre celebrato tutte le funzioni della Settimana Santa nei trentadue anni da
che sono parroco, tolti li anni 1848-49, nei quali, in grazia dei liberali, non ho
potuto essere alla mia residenza798.
A sant‟Alfonso si può far risalire la scoperta della grande Teresa d‟Avila
e della spiritualità teresiana, non foss‟altro per quel chiudere del Santo, o
iniziare le sue lettere, con i suoi: “Viva Gesú, Maria, Giuseppe e Teresa”.
Santa Teresa gli portò con sé san Giovanni della Croce e santa Maria
Maddalena de‟ Pazzi.
L‟attaccamento del giovane teologo al suo Elia fu tale da venire
soprannominato il "Liguorista" fin dai primi anni del suo sacerdozio.
Scherzosamente dagli amici, con scherno dagli affetti di giansenismo. Lo
ricaviamo da una sua lettera del 5 ottobre 1832 al prevosto di Santo Stefano,
don Francesco Tagliafico: Perdonerebbe uno scrupolo V. S. M. Rda ad un
liguorista?799. Sant‟Alfonso divenne talmente il maestro e la guida del
Frassinetti, che potremmo chiamarlo un nuovo sant‟Alfonso Maria de‟
Liguori ben piú a ragione che un secondo Curato d‟Ars.
Dire come non è però lo stesso che dire uguale800. Già si è notato non
esistere santo copia di un altro. Per affermarlo non si dovrebbe tener conto
798 G. FRASSINETTI, Compendio della Teologia Morale..., vol. II, Genova 1866, p. 76.
Una nota personale nel trattato XV, dissertazione IX, sulla comunione quotidiana.
799 AF, Lettere.
800 Impensabile, per esempio, supporre uscita dalla penna del Frassinetti una lettera
come questa scritta dal Liguori in data 21 luglio 1733 da Scala ad un sacerdote che era in
dubbio se entrare o no nella sua congregazione: “D[on] Giuseppe mio, e quando vieni,
quando? Insomma ci vuoi proprio fare stentar questa venuta tua. Sbrigati mo: Che aspetti?
Noi ti desideriamo, Cristo ti chiama, mamma Maria ti aspetta, e tu te ne stai a dire, Spiritus
promptus est, caro autem infirma? Ma io ti replico: Qui non odit matrem, fratrem etc., non
potest meus esse discipulus. Spicciati mo per carità che ti voglio far fare l‟istruzioni, che
serviranno per queste missioni. Vieni, trova la solitudine: vieni, trova Dio... e se non, non ti
fai santo, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no. Viva Gesú, Maria, Giuseppe e
Teresa”. A. M. DE LIGUORI, SANTO, Opere, vol IV, Marietti, Torino 1847, p. 810. Edizione
403
della irripetibilità d‟ogni figura di santo, dei suoi idòla specus et fori, ossia
dei condizionamenti d‟ambiente e di formazione che differenziavano un
genovese figlio di umile merciaio e nipote di cuoco da un napoletano figlio
d‟aristocratici.
Sant‟Alfonso aveva avuto da natura doni che non ebbe il Frassinetti, ed
incomparabilmente piú elevato fu l‟ambiente culturale in cui visse la sua
giovinezza il primo, e perché Napoli era in questo molto al di sopra di
Genova, anzi la prima in Italia, e perché il nome “de‟ Liguori” e
l‟educazione ricevuta gli aprivano le porte dei salotti letterari ove aveva
modo di incontrarsi con i piú begli ingegni confluiti a Napoli da ogni parte
del Reame, nonché le porte delle dimore dei principi e della stessa corte – il
giorno della sua conversione aveva disgustato il padre per essersi mostrato
restio ad accompagnarlo al grande ricevimento in onore dell‟Imperatrice
Isabella dato a corte dal cardinale Althan, viceré dell‟ imperatore Carlo
VI801.
Sant‟Alfonso, questo napoletano meraviglioso, era stato bimbo
precocissimo e precocemente affidato ai migliori maestri. Educazione
completa, diremmo rinascimentale: italiano, latino, greco, filosofia,
francese, storia, musica, tanta musica, tre ore ogni giorno seduto al cembalo,
e un padre che lo seguiva da presso e non transigeva – il pensiero va al padre
di Mozart –, e poi disegno, pittura, architettura, matematiche, cosmografia,...
e nessuna di queste discipline a livello mediocre, e, anche se il Tannoia
pensa non gli venissero permesse le “due applicazioni molto ordinarie, anzi
credute indispensabili ad un cavaliere, cioè il ballo e la scherma”, un padre
capitano dei navigli da guerra, leggeri e veloci, le galere dell‟imperatore, gli
inviti a corte e quella sua spada che si slaccia dal fianco per offrirla alla
Vergine quel 28 agosto 1723, giorno della sua conversione, ci fanno
sospettare che dovesse essere tutt‟altro che digiuno di tali arti. Che
partecipasse a cacce, e sono le cacce clamorose del Settecento, ce lo narra
divertito egli stesso: del suo schioppo e della sua mira mai un uccello s‟era
dato serio pensiero.
A dodici anni sapeva già tanto di “humanæ litteræ” da poter essere
presentato a Giovan Battista Vico perché lo esaminasse per l‟ammissione
all‟Università ed il Vico lo trovò idoneo. A soli sedici anni e qualche mese
fatta sulla prima Marietti del 1824-1825, che, con ogni probabilità, fu quella usata dal
Frassinetti insieme con la Theologia moralis edita dal Remondini nel 1823 a noi pervenuta.
801 A. TANNOIA, Op. cit., pp. 21s.
404
veniva proclamato dottore in utroque iure summo cum honore maximisque
laudibus et admiratione, a Napoli, la terra di sommi giuristi.
L‟imberbe avvocatino Alfonso cominciò a frequentare il salotto dei
Caravita, padre e figlio, Niccolò e Domenico, entrambi famosi avvocati,
entrambi studiosi e amici di studiosi, e lo frequentò a lungo e con assiduità
quotidiana. Vi convenivano giuristi, filosofi e letterati, uno Giovan Battista
Vico. Vi si discuteva di giure. Domenico Caravita proponeva “gli articoli
piú intrigati, ed ogni sera tenendosi ruota, si dilucidavano con suo
compiacimento, facendo egli da giudice, e i giovani da avvocati con sommo
loro profitto”802. Non si trattava solo di diritto, ma anche delle nuove
filosofie giunte d‟Oltralpe, e delle antiche e delle rinascimentali:
neoplatonismo,
antiaristotelismo,
atomismo
democriteo-epicureogassendiano,
sperimentalismo
galileiano-baconiano,
razionalismo
cartesiano, e pensiero di Bruno e di Telesio... Persino gli ateisti trovavano
aperte le porte del salotto di quell‟uomo savio e timorato di Dio. Niccolò
aveva avuto la sua ora di rinomanza nel 1707, anno in cui aveva pubblicato
il suo Nullum ius pontificis romani in Regnum neapolitanum.
Ambiente apertissimo, quindi, e come Vico, pur avendo bevuto di
Cartesio in quei salotti letterari, lo seppe ripensare e farsene critico, cosí
Alfonso saprà servirsi di quanto apprese in quella palestra per tenere i
giovani lontani dall‟errore: “Essendo che nei tempi correnti serpono tanti
errori... io mi sono ingegnato... di raccogliere... per uso dei nostri giovani...
le piú convincenti risposte”803. In essa, e nelle altre opere apologetiche,
ritroviamo i nomi che avevano riempito le dispute dai Caravita: Leibniz,
Locke, Hobbes, Berkeley, Spinoza... cui si aggiunsero Voltaire, Rousseau,
Helvetius..., perché il Liguori, e cosí il Frassinetti, non cessò mai dal seguire
quanto si andava scrivendo in pregiudizio della sana dottrina. Mi sono
indugiato a descriverlo perché, anche se non certo per influsso di quello dei
Carovita, vedremo sorgere a Genova una simile palestra, L‟Accademia della
“Beato Leonardo”, messa su dal Frassinetti, non per formare ottimi avvocati,
ma santi pastori d‟anime.
Con grande disappunto del padre, Alfonso abbandonò il foro dove si era
gia fatto un nome, dimenticò scherma e danza, da far pensare al Tannoia che
ne fosse digiuno, ma ritenne tutte le altre arti riciclabili nel sacro, e si mise a
802 A. TANNOIA, ivi, p. 12.
803 A. M. DE‟ LIGUORI, Breve dissertazione degli errori de‟ moderni increduli oggidí
nominati materialisti e deisti.
405
servizio del suo Signore, conservando una punta di rammarico per le troppe
ore passate a suonare il cembalo804. Il foro perse un grande avvocato, la
Chiesa ebbe un
missionario, fondatore di Ordine religioso, vescovo, scrittore di
devozione, autore dottissimo di Morale, [che] si mette a dipingere. Musicista,
pittore, poeta, uomo di spirito e di garbo, capace di risolvere una questione
con una uscita, e di raddrizzare un mondo capovolto con un sorriso, ebbe
qualcosa della accorta profondità del Vico e qualcosa della vivacità profonda
del Galiani... gesti bellissimi e originali, riflessioni argute e spassose, brani
caldi e splendenti, uscite d‟una miracolosa bonomia e profondità, prese in
giro caritatevoli ma tremende, repliche vivaci e repentine... grande poeta, no,
ma poeta sí... un santo che scrive un oratorio, sia pure in nuce, non è
frequente....805.
Se aveva saputo mirare alto il Frassinetti nello scegliersi il maestro e
modello! La differenza di condizione sociale non creò pregiudizio.
Accidentalità. Parola di Paolo: “Non esiste giudeo o greco, né schiavo né
libero, né uomo né donna, perché siete un sol tutto in Cristo Gesú, quanti
siete stati battezzati in Cristo e di Cristo vi siete rivestiti” 806. Ne era prova
viva l‟amicizia sua, figlio d‟un modesto merciaio, con Giovan Battista
Cattaneo, marchese.
Ammirazione affettuosa per il Liguori sí, tanta; idolatria no. Il Frassinetti
seppe tenere conto di quella figura retorica a cui si appellò in suo
componimento poetico per giustificarsi di aver fatto morire Temistoche di
spada invece che di veleno: la variatio: “Si avverta – pose in nota di quel
componimento – che per poetica licenza si finge che non col veleno, come
804 “Essendo don Giuseppe suo padre molto appassionato di musica tre ore al giorno se
le doveva egli passare in camera col maestro; ed era tale l‟impegno di suo padre, che non
potendoci talvolta assistere, come soleva, chiudeva al di fuori l‟uscio a chiave, e lasciandoli
soli lui partiva pe‟ suoi affari. Cosí non era ancora Alfonso all‟età di dodici in tredici anni che
già toccava il cembalo da maestro... Pazzo che sono stato, disse un giorno guardando il
cembalo, in averci perduto tanto tempo! ma dovevo ubbidire, perché cosí voleva mio padre ”,
A. TANNOIA, Vita di S. Alfonso Maria de Liguori, ritoccata da A. CHILETTI, Torino 1880, pp.
9s. Ci rifacciamo all‟edizione “ritoccata” dal Chiletti perché il Frassinetti ne fece una
recensione sul “Cattolico” all‟uscita nel 1857.
805 G. DE LUCA, Sant‟Alfonso uomo grande, in “L‟Osservatore Romano della
Domenica”, 4 giugno 1939.
806 Gal 3,27s.
406
scrivono certi storici, ma col ferro si sia ucciso; si dirà che sia licenza presa
a spese della storia, ed io nol niego”807. Seppe rifarsi al modello cosí come
Virgilio seppe rifarsi a Omero, e come Dante a Virgilio, si parva licet
componere magnis. Fu un discepolo che sapeva ripensare l‟insegnamento,
raffrontarlo con gli altri autori, tornarci su e, dove gli pareva bene,
liberamente discostarsene, adattarlo ed anche correggerlo. Con quale libertà
dipenda e si rifaccia a sant‟Alfonso ce lo dice egli stesso nella prefazione al
Compendio della teologia morale, che noi possiamo compendiare nel detto:
Amicus Cicero, amicus Plato, sed magis amica veritas. La verità al disopra
dello stesso suo sant‟Alfonso, e al disopra di se stesso. Lo stato d‟animo con
cui la cercava Agostino:
Chiunque tu sia che leggi queste mie pagine, lí dove sei certo e sicuro al
pari di me, avanza pure con me, lí dove esiti ed io pure esito, indugia nella
ricerca insieme con me. Se ti accorgi di essere fuori strada, torna a me. Se poi
ti accorgi che io vado fuori strada, richiamami: cosí entreremo insieme nella
via dello carità, protesi verso Colui del quale è stato detto: Cercate sempre la
Sua faccia808. Né, invero, mi rincrescerà cercare dove esito, né mi
vergognerò di apprendere se mi capita di sbagliare… Io, invero, sono uno che
medita la parola del Signore, se non di giorno e di notte, almeno in tutti i
momenti che posso, e perché non abbia a scordare quel che ho pensato, lo
fisso sulla carta, sperando che Dio, per sua misericordia, mi faccia
perseverare in tutte le verità di cui mi sono reso certo 809.
L‟insistenza con cui si metterà in risalto come il Frassinetti ripensò il
Liguori non è troppa, potendo un meccanico probabilismo portare il
confessore ad addormentarsi sulla sentenza etiam unius Doctoris speciali
scientia et pietate præditi810 e riposare sicuro sull‟ipse dixit, senza chiedersi
i perché, specie se il maestro si chiami Alfonso Maria de‟ Liguori. Il
Frassinetti ripensa “i perché” di un tanto Maestro ed invita i lettori a
ripensare le sue proprie soluzioni con la stessa libertà con cui egli ha
ripensato sant‟Alfonso. Li aiuta nello studio, non li dispensa dallo studio.
Ma uno studio umile, di cui in questa sua opera dà il bell‟esempio: non
807 AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. 19, p. 534.
808 Sal 105(104),4.
809
AGOSTINO, De Trinitate, cap. III (passim).
810 J. AERTNYS-C. DAMEN, Theologia moralis, T. I, Torino 193913, n. 93, p. 79.
407
scrive riga senza sottoporla al giudizio di uomini dotti, pii e sperimentati e
prega i lettori di volergli mandare le loro osservazioni811.
Quante cose erano cambiate dai tempi in cui scriveva il Liguori! Un
secolo che valeva un millennio. Tra la morte del Santo e gli anni della
formazione del Frassinetti, c‟era stato lo scompiglio della Rivoluzione
francese e delle guerre napoleoniche. Se nel secondo Settecento, specie a
Napoli, il centro italiano delle riforme piú avanzate, si poteva già avvertire il
tossico che avrebbe avvelenata l‟aria dell‟Ottocento812, la lotta sorda alla
Chiesa poteva ancora essere scambiata con l‟eterno contenzioso tra i due
poteri, l‟ecclesiastico ed il civile, roba piú da diritto canonico che da dogma.
Lo stesso scioglimento della Compagnia di Gesú ad alcuni – al Sismondi,
per esempio – poté sembrare dovuto a cause non dissimili da quelle che
avevano determinato tanti secoli prima lo scioglimento dei Templari 813.
Nell‟Ottocento, invece, la congiura delle forze del male era ormai chiara:
distruggere alle radici quanto sapeva di cattolico.
Ai tempi di Alfonso, a leggere anche noi la storia con gli occhi del Vico,
v‟è un ritorno di titanismo culturale in cui l‟uomo è talmente inebriato della
potenza della sua ragione da ridere dei timori che nelle età precedenti
avrebbero dato origine alle religioni, che altro per loro non erano se non
superstizioni buone per i secoli bui, ma nel secolo dei lumi appena
tollerabili nelle donne, nei fanciulli e nella plebe ignorante. “Solo un‟élite è
811 Se un tale esempio valeva ieri, molto piú vale oggi, che la fama d‟essere di speciali
scientia et pietate adorno è facile che ad un moralista venga, piú che dal riconoscimento di
uomini dotti, pii e sperimentati, dalle sue frequenti comparse in televisione o dall‟averne visto
il ritrattino in capo alla rubrica “Il moralista risponde” nei rotocalchi venduti alle porte delle
chiese. Frassinetti non pensò mai di essere “Il moralista”, ma solo un confessore che
comunicava la propria esperienza ai confratelli e, illuminandoli, chiedeva di essere da essi
illuminato.
812 Don Manuel de la Roda – già ambasciatore di Spagna a Roma, poi ministro di grazia
e giustizia, colui che secolarizzò la scuola con l‟avocare a sé la nomina dei rettori e
cattedratici delle università, nonché la supervisione dei piani di studio – scriveva allo
Choiseul, l‟uomo che per 12 anni ai tempi di Luigi XV fu il vero governatore della Francia:
“La operación – l‟espulsione dei gesuiti dalla Spagna – nada ha dejado que desear; hemo
muerto el hijo; ya no nos queda más que hacer otro tanto con la madre, nuestra santa Iglesia
romana”, M. MENENDEZ Y PELAYO, Historia de los Heterodoxos Españoles, vol II, ediz.
BAC, Madrid 1956, pp. 507.525-530.
813 D. ROPS, Histoire de l‟Église du Christ, l‟Ère des Grands Craquements, Paris 1958,
p. 289, n. 11.
408
illuminata; la massa [è] gregge sciocco e zotico”814. Non c‟è eresia che non
sia alimentata da un vano credersi di piú. Mai come in quel secolo cosí
povero di filosofia – “non a torto il Lachelier lo definì l‟âge barbare de la
philosophie” –815 si fu piú convinti di essere un popolo di filosofi. Piú che
una scalata al cielo per tirarne giú gli dei, come si racconta dei Titani, o la
costruzione d‟una torre, fatica d‟uomo, per penetrarvi, ritenevano d‟avere
scoperto che il cielo era vuoto, valendo il dio dei teisti il non-dio degli atei.
Quando il titanismo filosofico tentò di inverarsi nella realtà della storia, i
genocidi e gli eccidi crearono la sensazione di vivere un titanismo eroico
che ben presto si mutò in titanismo guerriero rivolto non piú alla
“liberazione” dei popoli dall‟oppressione dei re e della religione, bensí ad
assoggettarli con la violenza ad un impero straniero, asservendo il
cosmopolitismo culturale allo sciovinismo nazionalista. Ci fu l‟imprevisto di
Waterloo e di Sant‟Elena. Ha sempre Iddio qualche imprevisto per ricordare
la sua presenza.
Avevano risognato con Adamo ed Eva di essersi resi autonomi, perché
pari a Dio, e si risvegliarono nudi, e i loro figli smarriti al pari dei figli dei
814 M. F. SCIACCA in Il pensiero italiano nell‟età del Risorgimento, Milano 19632, p. 42.
Fuori di Francia l‟infatuazione per Voltaire nel suo secolo non varcò molto i confini di
quest‟élite illuminata che ne visse incantata, ma “nei primi decenni dell‟Ottocento – gli anni
della formazione del Frassinetti – mentre gli intellettuali lo sprezzavano, le classi borghesi se
ne nutrivano”, G. DE LUCA, Art. cit.
815 M. F. SCIACCA, Op. cit., p. 125, nota 3. Affermazione a prima vista pare azzardata, se
non si precisa quale filosofia dette il nome al secolo che fu pure chiamato Siècle de Voltaire.
È vero, il secolo s‟era aperto con le cento trenta pagine de De antiquissima italorum sapientia
del nostro Vico, in cui è già delineata una redazione unica e definitiva della dottrina
vichiana, G. De Ruggiero, Da Vico a Kant, Bari 1973, p. 31, e si chiudeva con la triplice
Critica di Kant (1781.1788.1790, ma non fu né per l‟uno né per l‟altro se il secolo XVIII fu
fregiato d‟un tal nome. Il Vico, al suo tempo, passò quasi inosservato e, in quanto a Kant,
all‟apparire delle sue grandi opere “l‟interesse dei dotti e dei letterati tedeschi fu dapprima
pigro e distratto”, G. DE RUGGIERO, L‟età del Romanticismo, Bari 1971, p. 7. Il nome al
secolo venne dalla filosofia francese che faceva moda, che ebbe Voltaire per vetrina e
l‟Enciclopedia per spaccio. Moda che aveva instaurato terrore psicologico nel mondo delle
lettere. O uno vi si uniformava o “la ghigliottina dell‟Enciclopedia era la diffamazione che
tagliava teste, fermava carriere letterarie, abbatteva idoli, ne creava degli altri per poi
eventualmente abbattere anche quelli”, A. COCHIN, La meccanica della Rivoluzione, Milano
1971, p.252. Si confr. pure P. GAXOTTE, La Rivoluzione francese, trad. di L. ZALAPY, Milano
1949, cap. IIIs.; M. F. SCIACCA, Op. cit., p. 26, n. 15; D. ROPS, Histoire de l‟Église – L‟ère
des grands craquements, Paris 1965, pp. 57s.
409
costruttori della Torre. Dopo Waterloo, soprattutto i nati troppo tardi per
aver potuto imbracciare un fucile, ricchi soltanto di sogni di gloria, ma non
di gloria, e privi dell‟esperienza delle brutalità della guerra, furono i
maggiormente colpiti dal dramma della prostrazione dell‟uomo. Quella
Torre fatta rudere divenne a questi giovani disperazione, sbandamento e
ricerca d‟un semi-eroico in cui credere e che surrogasse il divino. A tanti si
fece vangelo il Jacopo Ortis che, se per i piú fu solo disperazione letteraria,
– tra questi mettiamoci pure il Mazzini –, per altri fu morte suicida, come
per il figlio del conte Porro, la cui fine restò rimorso nel ricordo del suo
precettore Silvio Pellico. Sono i giovani nati all‟inizio del secolo, la
generazione del Frassinetti. Un eco, anche se puramente letterario, si ha
anche nello stesso Frassinetti in un compito scolastico in terza rima: Parlata
d‟un disperato816.
Questi giovani, ai quali erano venute a mancare le presuntuose certezze
degli atei, ma non il retaggio della scristianizzazione, condivideranno con i
padri l‟avversione per quanto sapeva di cattolico e si illuderanno di aver
trovata la strada buona o rivestendo l‟umano di vaga religiosità, il caso del
Mazzini, o tentando di deviare la Chiesa ad impegni puramente terreni, il
caso del Gioberti. Il dio dell‟uno e dell‟altro era l‟Umanità, il Progresso, la
Patria..., solo che mentre nel Gioberti si conservavano i vecchi nomi ed i
vecchi riti, nel Mazzini si ebbe ripudio totale. In realtà, si trattò spesso piú
che altro solo di differenze tattiche: un marciare separati per colpire uniti 817.
Anche per i figli di genitori ignari di crisi religiosa – ed è il caso del
nostro Servo di Dio – la religione aveva cessato di essere ciò che era stata
per i loro padri: un bene ereditato da vivere nella tradizione. L‟ansia
religiosa si era ora fatta problema da risolvere, un problema personale, che
esigeva ricerca, ripensamento e conquista. Sono loro, e tra i primi il
Frassinetti, quei che ci scoprono che si può vivere la pienezza della vita
cristiana improtetti dall‟ambiente, e persino meglio di quei che ne furono
custoditi come fiori in serra. È il nuovo del Frassinetti rispetto al suo
maestro sant‟Alfonso.
816 AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. 9, pp. 515s.
817 La crisi che allora non varcò il ceto borghese, nel secolo successivo la vediamo
largamente diffusa, essendo per molti titolo di superiorità la professione di non credente,
mentre altri non vanno oltre la vaga affermazione di ispirazione cristiana, liberi, si intende, di
ridiscutere tutto quel che la Chiesa insegna, prenderne le distanze ed accettare solo quel tanto
che collima con il loro pensiero.
410
CAPITOLO XXVI
UBI PETRUS IBI ECCLESIA
411
Sciogliete il freno, o Sacre Muse, al pianto
E voi lire d‟Arcadia, in triste metro,
Dei dolenti pastor seguite il canto...
Dunque fra noi piú non respiri, o Pio?
Lasciasti in lutto e pianto i figli tuoi,
E desti lor l‟amaro ultimo addio.
E già consorte de‟ celesti eroi
in capo cingi l‟immortal corona
Che virtude prepara a‟ figli suoi...
GIUSEPPE FRASSINETTI818
Da quanto si è detto, e soprattutto dagli scritti che abbiamo citato,
traspare cosí evidente l‟attaccamento del Frassinetti alla Chiesa e al Papa,
che si sarebbe potuto non aggiungere altro. Ma mi è parso di togliergli
qualche cosa a lui carissima: mettere in risalto come questo suo
attaccamento e questa sua devozione alla Sede di Pietro e alla parola del suo
Vicario fosse stata in lui connaturata fin dalla fanciullezza. Se il Manzoni
non poté trattenersi dallo scrivere il Cinque maggio all‟annunzio della morte
di Napoleone, il giovane teologo si risvegliò poeta per piangere la morte del
papa Pio VII.
Quando, sul finire d‟agosto del 1823, giunse a Genova la notizia della
sua morte, il diciottenne Giuseppe Frassinetti aveva già completato il corso
di filosofia e si accingeva ad entrare in teologia. Il Capitolo in terza rima di
88 versi In morte di Pio VII Pontefice Massimo non è quindi un tema
scolastico. Fu un‟effusione spontanea che ci rivela, sia pure nell‟osservanza
scolastica dei precetti dell‟arte poetica, quali erano fin da allora i suoi
sentimenti verso il papa. Per comprendere cosa provasse – come abbiamo
già avuto modo d‟osservare – bisogna rifarsi ai primi anni della sua vita.
Il Papa per quel bimbo non era piú ciò che era stato per i suoi genitori
fanciulli: una rispostina del catechismo. Era persona viva per cui aveva
sofferto ascoltandone nelle ore dell‟intimità della famiglia le sofferenze
dalla bocca dei suoi. Quante ne avevano fatte a quel venerando vecchio di
Pio VI, portato a morire in Francia, e ne facevano ancora al suo successore,
a Pio VII, tenuto prigioniero a Savona, cosí vicina a Genova, senza che si
potesse andare a riceverne la benedizione. Venne poi il giorno
indimenticabile che poté vederlo con i suoi propri occhi nella bella chiesa
818 AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. XIX, pp. 550-553.
412
dell‟Annunziata quando tornò a Genova, durante i Cento giorni di
Napoleone, questa volta in una lunghissima visita trionfante.
Cresciuto, lo guardò con gli occhi della fede. Non aveva piú importanza
si chiamasse Pio VI, Pio VII o Clemente XIV – ci insisterà nella polemica
con il Gioberti che faceva di Clemente XIV un grande papa per aver sciolto
la Compagnia di Gesú e di Pio VII un dabben uomo per essersi fatto
raggirare nel restaurarla –819. Il papa è grande perché papa, perché vicario
di Cristo, poco importa chi sia. Il Frassinetti àncora la sua fede a Roma, alla
cattedra di Pietro, in un epoca in cui era messa in discussione ogni parola
che venisse da Roma e non era ancora stato definito il dogma
dell‟infallibilità. Lo sarà trenta mesi dopo la sua morte. Gli stessi suoi
sentimenti suggerisce agli ecclesiastici nelle Riflessioni, e qui sarebbe piú
vero il vecchio titolo apposto nel manoscritto: Esortazioni:
O miei fratelli, quanto grande è l‟odio de‟ nostri nemici contro Roma,
altrettanto sia grande il nostro amore per lei. Ella è il cuore del cristianesimo;
noi suoi membri non possiam vivere che del suo sangue: apprezziamo,
difendiamo il nostro cuore. La nostra credenza sia la romana, le pratiche
romane sieno le nostre pratiche, il nome di cui piú andiamo gloriosi sia di
romani…
È uno dei pochi scritti, se non l‟unico, in cui il Frassinetti si fa prendere
dall‟enfasi, lui cosí pacato e misurato. Vi sono tratti in cui, ponendo degli a
capo suggeriti dal ritmo, la prosa si fa salmo:
È in Roma il successor di quel Pietro
sopra cui Cristo fondò la sua Chiesa,
è in Roma l‟immobile colonna della cattolica verità…
Ella è la Gesrusalemme del nuovo Israello…
In lei è l‟inespugnabile torre di Davide…
in lei la santa Sionne…
Io non volgerò i miei occhi da te,
tu se‟ quel monte da cui mi aspetto ogni aiuto;
tu mi dai luce,
tu mi dai lena e speranza,
avrò salute per te.
A che mi varrebbe senza di te
819 ID., Saggio intorno alla dialettica e alla religione di Vincenzo Gioberti, Genova
1846, pp. 10-11.
413
il Calvario e il Taborre?
Questo il cuore mi accenderebbe di viva brama
per un‟eterna beatitudine che non potrei sperare,
quello mi mostrerebbe il prezzo di mia salute,
che ottener non potrei...
O Vaticano, o monte santo,
ti riconoscano una volta tutte le nazioni
e sieno salve per te…820.
820 ID., Riflessioni..., pp. 26-35. .
414
CAPITOLO XXVII
SACERDOTE
UN FUOCO ARDENTE GLI BRUCIAVA IL
CUORE
Il tuo cuore sia cenacolo ampio e bene adornato allorché devi
celebrare la santa Messa. Ampio per cosí grande confidenza
nella mia infinita bontà, che non vi abbia grazia che tu non
isperi per te e per gli altri. Va‟ desideroso al mio altare, e
desideroso con tutta la forza del tuo spirito, da poter dire con
me: Desiderio desideravi hoc Pascha manducare… 821.
Desideroso che la santa Messa ti sia manna, altrettanto
soprasostanziale che saporosa, dove trovi ogni bene.
Desideroso di giovare con essa a tutti i bisogni della santa
Chiesa. Ma spera, e spera fortemente, che i tuoi desideri non
saranno defraudati, che anzi saranno sorpassati dalle
benedizioni della mia infinita liberalità, accordate al valore
della santa Messa. Il tuo cuore sia pure il cenacolo bene
addobbato dove io possa convenientemente cenare con te in
magnificenza di amore. Vedi se v‟abbiano da essere virtú
grandi delle quali non debba essere adornato il tuo cuore
quando celebri la santa Messa! Solo per questo tu dovresti
aspirare alla maggior santità, anche pel caso che tu dovessi
celebrare la santa Messa una volta e non piú in tutto il corso
della tua vita. Ora, pensa che tu celebri tutti i giorni! Procura,
frattanto, di dispormi per questo modo i cuori cristiani che
821 Lc 22,15.
415
ammetto alla mia cena, e ricordati che anche per essi io sono
pane quotidiano. Ricordalo per non impedirmi l‟accesso a
quelle anime dove io metto il continuo desiderio di me e colle
quali, parimenti come con te, io vorrei cenare ogni giorno. A
tutte le anime che odiano ogni peccato lascia pur sempre
aperto il mio cenacolo. Non mi infastidirò di loro, finché esse
non s‟infastidiranno di me. Non essere troppo rigoroso pei
loro difetti e per le loro imperfezioni; pensa che anche tu hai
imperfezioni e difetti, forse maggiori, eppure celebri ogni
giorno.
Giuseppe Frassinetti, Regola del sacerdote.
Come si accostò all‟altare la prima volta questo giovane con cui ci siamo
cosí a lungo intrattenuti? come vi si preparò? cosa provò? Domande
destinate a restare senza risposta su uno che non tenne mai un diario per
annotarvi pensieri e sentimenti. Ciò che si prova quando il gran giorno si
appressa, piú è intenso, meno si pensa ad annotarlo. È cosa che passò tra il
giovane levita e Dio. Una voglia di fuggire lontano, al pari di Giona?822,
trovare scuse come Mosè?823, protestare con Geremia, dimenticando che
sta parlando con Dio? dirgli che si sta sbagliando, ci dev‟essere un errore di
persona, non può essere lui, uno neppure capace di dire: “a a a”? 824. Mandi
che deve mandare, non può essere lui!825. Ma c‟è una forza piú forte ancora
che ci avvinghia e trascina all‟altare di Dio, a salire quei tre gradini, a dire
anche noi: Introibo ad altare Dei826:
Mi hai sedotto, Signore, ed io mi sono lasciato sedurre,
mi hai fatto forza ed hai prevalso…
Mi dicevo: “Non penserò piú a lui,
non parlerò piú in suo nome!
Ma nel mio cuore c‟era come un fuoco ardente
chiuso nelle mie ossa;
822 Gn 1,3s.
823 Es 4,13.
824 Ger 1,6.
825 Es 3-4.
826 Sal 43(42),5. Era il versetto con cui ci si accostava all‟altare nella vecchia liturgia.
416
mi sforzavo di contenerlo,
ma non potevo827.
Quante cose per secoli hanno detto al cuore dei sacerdoti quei versetti del
salmo 42: Mi accosterò all‟altare di Dio… Ma perché ti rattristi anima
mia? Perché mi turbi? E lí un chierichetto a far coraggio: Ma spera in Dio!
Tutto qui: sperare in Dio e andare avanti. Signore crea in me un cuore
puro828. Maria santissima… Aggiunte aliturgiche sgorganti dal cuore da
nessuna rubrica mai proibite. Eppure qualcosa ci è pervenuto ad insaputa del
Frassinetti. La pagina riportata ad apertura di capitolo vale una pagina di
diario scritta negli esercizi che precedettero l‟ordinazione. C‟è poi la sorella
Paola che ci viene in aiuto con la prima lettera del suo epistolario:
Ti raccomando di prepararti bene al S. Sacerdozio e questa preparazione
in modo particolare farla consistere in lunghe visite al SS.mo Sacramento e
fervorose preghiere a Maria SS.ma e ai Santi Apostoli, pregandoli che ti
ottengano quello spirito che essi ricevettero nel cenacolo acciocché a sua
somiglianza tu fatichi molto per la Gloria del Signore e salvazione delle
anime, tenendo sempre fisse nella mente quelle parole dette a S. Pietro da
Gesú: Se mi ami, salva le mie pecorelle829.
Non è una lettera al fratello Giuseppe, ma al fratello Giovanni. Con
Giuseppe non le sarebbe riuscito scrivere con quel tono di sorella-madre.
Ma in quelle raccomandazioni c‟è tanto ricordo di come anni prima aveva
visto Giuseppe prepararsi all‟ordinazione. Quel fratello di cui era stata
testimone quotidiana dei suoi primi otto anni di sacerdozio, e dei sacerdoti
che facevano gruppo con lui, le rimarranno termine di paragone a cui
raffrontare tutti gli altri. Giunta a Roma, gli comunica le sue impressioni.
Roma non era né Quinto, dove sembrava che tutto l‟anno fosse missione, né
Santa Sabina: “Oh quanto qui starebbe bene la Congregazione del Beato
Leonardo! I preti, generalmente parlando, sembrano preti da salotto…”830.
Dallo scandalo di ciò che vedeva si arguisce cos‟era stato ai suoi occhi il
mondo del fratello nei suoi primi anni di sacerdozio; ne sente la mancanza e
827 Ger 20, 7.8-9.
828 Sal 51(50),12.
829 P. FRASSINETTI, Lettere, p. 1. Archivio della Curia Arciv. di Genova.
830 ID., Ivi, Lettera al fratello Giuseppe da Roma in data 13.10.1841.
417
pensa quanto sarebbe provvidenziale una sua venuta a Roma per ripetervi
quanto aveva fatto a Quinto e stava facendo a Genova.
Qualcosa ci ha lasciato scritto: le date di avvicinamento al grande giorno:
Ego Joseph Frascinetti Frassinetti, Joannis Baptistæ, Archidiœcesis
Januensis, anno Domini 1824, die 11ma Aprilis, Dominica Palmarum, habitum
clericalem indui ex licentia illustmi et Reverssimi D. D. Aloysii Lambruschini,
Archiepiscopi Januensis, Thelogiæ curriculi anno 1mo sub Lectore Marco
Decotto Canco Thelogo Metropolitanæ S. Laurentii…831
Il giorno della vestizione, oggi dice piú poco, ma per secoli ha
rappresentato per i sacerdoti l‟inizio di un nuovo stato. Anche in casa si
avvertiva di essere guardati in modo diverso. Non solo le sorelle ed i fratelli,
ma anche la mamma. Lo avvertivamo nel vederla baciarci le mani. Un bacio
cosí diverso da quelli di sempre. Nei vecchi registri della mia parrocchia non
si era piú registrati con gli altri familiari, ma a parte, tra gli ex hominibus
assupti832. Non si era piú dei nostri, ma della Chiesa, di Dio.
Il sette giugno dello stesso anno – risparmio al lettore il latino – lunedí di
Pentecoste, Giuseppe ricevette la tonsura, rito che piú non si pratica, ed i
primi due ordini minori, ostiariato e lettorato833. Nei vecchi sacerdoti
risuonano ancora nell‟orecchio l‟esortazione del vescovo:
Preghiamo, fratelli carissimi, il Signore nostro Gesú Cristo per questi suoi
servi che s‟appressano a farsi recidere i capelli per suo amore, perché doni
loro lo Spirito Santo che conservi in loro l‟abito della religione e ne difenda i
cuori dagli ostacoli e dai desideri del mondo…834.
831 Ci è pervenuto l‟Ordo ad divina officia peragenda, missasque celebrandas…
dell‟archidiocesi di Genova per l‟anno MDCCCXXVII, l‟anno della sua ordinazione. Nell‟ultima
pagina bianca annotò a penna le sue date.
832 Eb 5,1.
833 Questa materia è stata tutta ritoccata. Fino a qualche decennio fa, si accedeva al
sacerdozio salendo sette gradini, un ottavo era riservato ai vescovi. Quattro ordini detti
minori, ricevuti in due tempi separati, e tre maggiori in tre tempi distinti. Dei maggiori piú
non esiste il suddiaconato.
834 Pontificale Romanum, De clerico faciendo.
418
Poi ci rivestiva della cotta con le parole: “Ti rivesta il Signore dell‟uomo
nuovo, quello creato secondo Dio…”, e noi si cantava: “La mia parte di
eredità è il Signore. Sei tu che mi tieni riposta la mia eredità” 835. A casa si
trovava il compagno esperto in chieriche che ci radeva la prima in vertice
capitis, bianca e rotonda proprio come una particola.
Per i secondi due minori, esorcistato e accolitato, il giovane teologo
dovette attendere ben tre anni. Genova era senza vescovo, essendo il
Lambruschini stato fatto nunzio e mandato a Parigi. Questa la ragione
addotta dal Fassiolo836. Per non rinviare l‟ordinazione sacerdotale,
esistevano le litteræ dimissoriæ, ossia la lettera con cui un vescovo delega
un altro vescovo ad ordinare un suo suddito. Cosí, a Savona il vescovo
Giuseppe Vincenzo Airenti, che succederà nel 1830 al Lambruschini
nell‟archidiocesi di Genova, il 25 marzo 1827, quarta Domenica di
Quaresima, conferí al giovane chierico i secondi minori. Il Sabato
successivo, 31 marzo, sabato Sitientes, il suddiaconato.
Il suddiaconato era il primo degli ordini maggiori, ed era l‟ordine della
grande scelta: indietro piú non si torna! Il vescovo lo diceva a chiare parole:
Se ricevete quest‟ordine non vi è piú lecito tornare indietro, perché dovete
restare per l‟intera vita al servizio di Dio. Servirlo è regnare, conservando con
il suo aiuto la castità e restando per sempre addetti al servizio della Chiesa.
Pensateci dunque bene finché siete in tempo, e se volete perseverare nel santo
servizio, fate un passo avanti nel nome del Signore837.
Un passo che il Frassinetti aveva già fatto da tempo con il cuore. Quel
giorno aggiungeva all‟impegno di vivere casto l‟intera vita, l‟impegno della
recita quotidiana dell‟ufficio divino, ossia di pregare con la Chiesa e a suo
nome per sé ed il popolo cristiano.
835 Sal 16(15),5.
836 D. FASSIOLO, Op. cit., p. 22. Ragione valevole però solo per gli ordini maggiori, i
secondi minori il Lambruschini avrebbe avuto tutto il tempo di conferirglieli, avendo ricevuto
la comunicazione dell‟incarico solo il 15 ottobre 1826. Ne fece partecipi i diocesani a metà
gennaio 1827 e raggiunse Parigi il 10 febbraio. (Da una nota del Capurro).
837 Pontificale Romanum, De ordinatione subdiaconi.
419
Da parte sua la Chiesa gli garantiva una esistenza povera, ma decorosa,
esistenza che non gli aveva potuto garantire la famiglia costituendogli una
dote838. La famiglia del Frassinetti non fu in grado di costituirla né a
Giuseppe, né poi a Giovanni e Raffaele, né a Paola che voleva farsi suora.
Per Francesco, fattosi canonico lateranense, non si pose il problema. Per i
tre chierici pensò la diocesi. Ma non era un‟esistenza povera e decorosa che
Giuseppe chiedeva in cambio al Signore. Gli chiedeva di condividere la sua
passione:
Signor mio Gesú Cristo, mio unico Bene e Sposo dell‟anima mia, vi
prego, pel merito del vostro prezioso Sangue, a non permettere che giammai
m‟infastidisca della vostra croce qualunque sia essa. Deh, non permettete che
per la mia ignoranza e sensualità vi faccia questo indegnissimo torto; datemi
invece grazia che io la ami con tutto il mio cuore come il piú prezioso pegno
del vostro amore839.
Un‟offerta totale, senza condizioni o riserve, con patto scritto, che
ricorda i patti contratti da Dio con Noè, Abramo, Giacobbe…, un pactum
pacis, a noi pervenuto in un foglio volante di cm 21x15,5, in latino840, patto
da rinnovarsi ogni giorno, e piú volte al giorno, perciò trascritto in un
fogliettino di cm 10x6,5 ed incollato nella faccia interna della copertina
delle Horæ diurnæ841, uno di quei libri che i sacerdoti usavano portare
sempre con sé nelle capaci tasche della loro tonaca:
838 Se ne è già parlato. A Giuseppe il patrimonio glie lo costituí il suo parroco.
Ammontava a L. 450 l‟anno coll‟onere di celebrare o far celebrare tante messe giornali (sic)
quanto ne porta il frutto annuo.ti.
839 Preghiera del Venerabile pervenutaci in un fogliettino volante.
840 Voi, o Signore, perdonate i miei peccati e cancellate tutte le mie iniquità –
Insegnatemi a fare la vostra volontà – Datemi lo spirito buono – Mettetemi appresso di voi –
Non permettete che io mi separi da voi - Custoditemi come la pupilla dell‟occhio - Senza di
voi, io polvere e cenere, niente posso fare - Io frattanto, in virtú del vostro Nome, confidando
nell‟aiuto della vostra grazia, propongo di non riserbarmi nulla per me, se non l‟amato
adempimento della legge e l‟abbraccio della vostra santa croce - Per la qual cosa io per me
niente altro dimanderò a voi. – Né per le cose, né per la vita, né per la morte, niente altro
dimanderò a voi. – In questo modo, in virtú della vostra grazia, sia fatta la pace tra la vostra
e la mia volontà
841 Ce ne è pervenuta l‟ultima copia da lui usata. In AF.
420
Tu, Domine, parce peccatis meis, et omnes iniquitates meas dele.
Doce me facere voluntatem tuam.
Da mihi spiritum bonum.
Pone me iuxta te. Ne permittas me separari a te.
Custodi me ut pupillam oculi.
Sine te, pulvis et cinis, nihil possum facere.
Ego autem, in nomine tuo, confisus auxilio gratiæ tuæ,
propono nihil mihi reservare nisi dilectum adimplementum legis,
et amplexum sanctæ crucis tuæ.
Propterea pro me nihil aliud petam a te.
Neque pro rebus, neque pro vita,
neque pro morte, nihil aliud petam a te.
Hoc modo inter tuam et meam voluntatem fiat pax in virtute tua.
Il nove giugno dello stesso anno, Sabato delle tempora di Pentecoste e
vigilia della SS. Trinità, ricevette il diaconato. Con la stola a tracolla poteva
toccare il Santissimo, esporre e riporre l‟ostia santa nelle benedizioni con il
Santissimo e, in determinati casi, poterla anche distribuire ai fedeli, e
sempre in determinati casi battezzare con tutta la solennità del rito, ed
annunciare il vangelo, ma quel che piú conta è la mano del vescovo posta sul
capo: diacono in eterno! Diacono anche in cielo, come Stefano, come
Lorenzo, come Francesco d‟Assisi.
Finalmente il 22 settembre di quello stesso anno 1827, Sabato delle
tempora d‟autunno, lo stesso vescovo, sempre a Savona, lo consacra
sacerdote in eterno!
Il sacerdote deve offrire il divin sacrificio, benedire, presiedere, predicare,
battezzare. A tale alta dignità si deve salire con grande timore… perciò, figli
carissimi, conservate nei vostri costumi una castità illibata congiunta a santità
di vita. Siate consapevoli di ciò che trattate, e perché celebrate il mistero della
morte del Signore, mortificate le vostre membra tenendovi lontani da ogni
vizio e concupiscenza. La vostra dottrina sia medicina spirituale per il popolo
di Dio; l‟odore della vostra vita gaudio per la Chiesa di Cristo, sicché con la
predicazione e con l‟esempio ne edifichiate la casa, quanto dire la famiglia di
Dio, e che il Signore non abbia a condannar noi per avervi conferito un tale
ordine, né voi per averlo ricevuto, ma piuttosto ricompensarci. Ce lo conceda
per la sua grazia842.
842 Pontificale Romanum, De ordinatione presbyteri.
421
A Paola non sarà sfuggito nulla del rito: quei candidati suddiaconi,
diaconi e presbiteri stessi con la faccia a terra mentre il popolo chiedeva per
loro l‟intercessione dei santi cantandone le litanie, l‟imposizione delle mani,
prima il vescovo, poi tutti i sacerdoti presenti al rito, la consegna dei vasi
sacri, la pianeta arrotolata sulle spalle, l‟unzione delle mani mentre il popolo
canta il Veni Creator, e il chiudergliele e legargliele con quel fazzoletto di
lino che il fratello s‟era fatto orlare da lei con punto a giorno. Sarebbe
toccato alla mamma, ma la mamma assisteva dal cielo insieme con i
fratellini, le sorelline, zia Annetta e la nonna. Di tutti si avvertiva la
presenza.
Troppe le emozioni, per dire la prima messa da solo il giorno appresso?
Sant‟Ignazio di Loyola aspettò un anno e mezzo843. Stando al suo compagno
ed amico, il canonico Poggi844, il Frassinetti la prima messa l‟avrebbe detta
nella sua parrocchia di santo Stefano soltanto il sabato successivo, festa di
san Michele Arcangelo. Una conferma si potrebbe vedere nel suo Ordo
missarum, quello di cui si è sopra parlato, in cui solo dal 29 i giorni
cominciano ad essere marcati con un grosso punto ad inchiostro nero, e cosí
fino alla fine dell‟anno, salvo sette marcati con un cerchietto, e ne tiene
conto: 87 i primi, 7 i secondi. Ma c‟è un‟altra spiegazione – una mia ipotesi,
e valga quel che può valere –. Da suddiacono aveva contratto l‟onere di
celebrare o far celebrare tante messe giornali (sic) quanto ne porta il frutto
annuo di detti due appartamenti, perciò le segnate con punto potrebbero
essere le messe celebrate da lui per assolvere l‟obbligo contratto, quelle con
il cerchietto le fatte celebrare da altri passando loro l‟elemosina – ce lo dice
anche quel tenerne il conto preciso –. Quelle senza notazione alcuna, dal 23
al 28 settembre, saranno state le messe dette per i propri morti e per sua
devozione. La prima messa, di cui parla il Poggi, deve essere la prima
solenne in canto, detta appunto in parrocchia. Questa spiegazione si accorda
con ciò che il Frassinetti afferma in un suo scritto: non aver mai saltato una
messa, eccetto il giovedí ed il sabato santo nei due anni che visse
843 Ricevette l‟ordinazione il 24 giugno 1537 e celebrò la prima volta la notte di Natale
del 1538 all‟altare della Natività in Santa Maria Maggiore. S. IGNACIO DE LOYOLA, Obras
completas, BAC, Madrid 1952, Autobiografia, p. 103, n. 9 e Carta a los señores de Loyola in
data 5 febbraio 1539, p. 671 e n. 2.
844 F. POGGI, Della vita e degli scritti di Giuseppe Frassinetti priore di Santa Sabina –
Discorso nelle solenni rinnovate esequie il dí 14 febbraio 1868, Genova 1868, p. 10: “Il
Frassinetti l‟anno mille ottocentoventisette il dí faustissimo di San Michele ascese la prima
volta al tremendo altare, operatore del grande sacrificio”.
422
nascosto845, anche se l‟affermazione di per sé si potrebbe restringere ai due
giorni della Settimana santa da quando, nei primi tempi del suo sacerdozio,
gli venne fatto di leggere l‟esempio di sant‟Alfonso846.
Il Frassinetti giunse al sacerdozio armato di tutto punto per combattere le
battaglie del Signore:
Provenisse da buono o da cattivo spirito (lascio che altri giudichi), appena
fui ordinato sacerdote s‟impossessò del mio cuore una brama forte di giovare,
per quanto potessi nella mia nullità e confidando unicamente nel divino aiuto,
al giovane clero…847.
Buono o cattivo spirito… Con quanta insistenza chiede al Signore il
Buono Spirito in cambio dell‟offerta di tutto se stesso! Ci sono pervenuti
due fogli volanti con delle preghiere non datate, a lui care, di cui diamo in
nota la traduzione. Uno, il Pactum pacis, di cui sopra si è parlato, l‟altro in
un foglietto piegato in due da formare 4 paginette di cm 12x7,5, la misura
giusta per farlo stare tra le pagine del breviario e col breviarlo recitarlo tutti
i giorni, e forse piú volte al giorno, ed una Oratio ad petendum Spiritum
Bonum di cui diamo in nota la traduzione848:
845 Giorni in cui la liturgia prima della riforma permetteva una sola messa per ogni
chiesa in cui si poteva celebrare, si c‟era all‟epoca possibilità di concelebrare.
846 G. FRASSINETTI, Compendio della Teologia Morale..., vol. II, Genova 1866, p. 76.
Una nota personale nel Trattato XV, Dissertazione IX, sulla comunione quotidiana.
847 G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. V, Rischiarimenti sul mio passato, p. 2.
848 Si premettano un Pater, Ave e Credo recitati con cuore fervente e fede viva, poi,
perché si accresca la fede ed il fervore, si rivada con la mente alle parole del vangelo…
(Lucas 11,9-13).
Signore abbi pietà, Cristo abbi pietà, Signore abbi pietà. - Cristo ascoltaci, Cristo
esaudiscici. - O Padre che sei nei cieli, Dio, dà lo Spirito Buono a me che te lo chiedo… Le
invocazioni litaniche, sono un latino che non occorre tradurre.
O Padre buono, Padre amante, Padre clemente, Padre misericordioso, Padre pio, affido
nel modo piú completo alla tua santissima volontà la mia anima, il mio corpo, la salute e la
vita, e tutti i doni da te ricevuti, corporali e spirituali. Disponi di me e delle mie cose come tu
vuoi, prenditi qualunque cosa ti piaccia, ma da a me che te lo chiedo lo Spirito Buono. O
Padre buono, Padre amante, Padre clemente, Padre misericordioso, Padre pio, dà a me che te
lo chiedo lo Spirito Buono te lo chiedo per Cristo nostro Signore, Figlio tuo, per il suo sudore
di sangue, per la terribile agonia nell‟orto del Getsemani, per quel che ebbe a soffrire per i
flagelli, per la corona di spine, per le ferite dei chiodi nella mani e nei piedi, per la ferita della
lancia nel suo fianco.
423
Oratio ad petendum Spiritum Bonum de quo Lucas 11,9-13:
Ferventi corde et viva fide præmittatur Pater, Ave et Credo. Dein, ut fides
augeatur et favor, recolantur verba:
Ego dico vobis: Petite et dabitur vobis; quærite et invenietis; pulsate et
aperietur vobis. Omnis enim qui petit accipit, et qui qærit invenit, et pulsanti
aperietur.
Quis autem ex vobis patrem petit panem, numquid lapidem dabit illi? Aut
piscem, numquid pro pisce serpentem dabit illi?
Aut si petierit ovum, numquid porriget illi scorpionem?
Si ergo vos cum sitis mali, nostis bona data dare filiis vstris, quanto magis
Pater vester de cælo dabit spiritum bonum petentibus se!Kyrie, eleison,
Christe eleison, Kyrie,eleison;
Christe audi nos, Christe exaudi nos;
Pater de cælis, Deus, da mihi petenti te Spiritum bonum.
Pater bone, da mihi etc.;
Pater amans, da mihi etc.;
Pater Clemens; da mihi etc.;
Pater Misericors, da mihi etc.;
Pater Pie; da mihi etc.;
Fili, Redemptor Mundi, Deus,
per mysterium Sanctæ Incarnationis tuæ
da mihi petenti te Spiritum Bonum;
Fili, Redemptor mundi Deus,
per adventum tuum, da mihi etc.;
Fili, Redemptor mundi Deus,
per nativitatem, tuam, da mihi etc.;
O Padre buono, Padre amante, Padre clemente, Padre misericordioso, Padre pio, dà a me
che te lo chiedo lo Spirito Buono te lo chiedo per Cristo nostro Signore, Figlio tuo, per il suo
sudore di sangue, per la terribile agonia nell‟orto del Getsemani, per quel che ebbe a soffrire
per i flagelli, per la corona di spine, per le ferite dei chiodi nella mani e nei piedi, per la ferita
della lancia nel suo fianco.
424
Fili, Redemptor mundi Deus,
per baptismum et sanctum jejiunium tuum, da mihi etc.;
Fili, Redemptor mundi Deus,
per crucem et passionem tuam,da mihi etc.;
Fili, Redemptor mundi Deus,
per mortem et sepulturam tuam,da mihi etc.;
Fili, Redemptor mundi Deus,
per sanctam resurrectione tuam, da mihi etc.;
Fili, Redemptor mundi Deus,
per admirabilem ascensionem tua, da mihi etc.;
Spiritus Sancte Deus, per adventum tuum, da mihi etc.;
Spiritus Sancte Deus, per unctionem tuam, da mihi etc.;
Spiritus Sancte Deus, per charitatem tuam, da mihi etc.;
Sancta Trinitas, unus Deus, per magnam gloriam tuam, da mihi etc.;
Sancta Maria, pete pro me spiritum bonum;
Sancta Dei Genitrix, pete pro me spiritum bonum;
Omnes sancti et sanctæ Dei, petite pro me spiritum bonum.
Pater Bone, Pater Amans, Pater Clemens, Pater Misericors, pater Pie,
sanctissimæ Voluntati tuæ plenissime committo animam meam et corpus
meum; salutem et vitam; simul omnia dona tua, tam spiritualia quam
corporalia; fac de me et de rebus meis quodcumque volueris, tolle tibi
quæcumquæ placuerint; verbera etiam me quoquomodo tibi libuerit;
attamen da mihi petenti te Spiritum Bonum.
Pater Bone, Pater Amans, Pater Clemens, Pater Misericors, Pater Pie, da mihi
petenti te Spiritum Bonum. Da mihi petenti te Spiritum Bonum quem peto
per Christum Dominum N., Filium tuum, per sanguinis eius sudorem et
acerbissimam agoniam in hortu Getsemani. Per flagella et coronam
spineam quam passus est, per vulnera clavorum in manibus et pedibus, per
vulnus lanceæ in latus eius .
425
Altri giudichi, non pensava certo il novello sacerdote che un giorno
l‟avrebbe giudicato la Chiesa con il decreto del 14 maggio 1991 con cui
riconosceva l‟eroicità delle sue virtú.
PARTE II
IL PASTORE
1827-1868
426
Piacerebbe raccontare più a minuto
la vita del venerabile Padre Benedetto…
Se uno volesse conoscerla più a puntino,
legga la sua Regola,
perché in nessun modo quella santa persona
poté scrivere diversamente dal come la visse.
GREGORIO MAGNO, Dialogorum liber II, XXXVI
Lo stesso può dirsi del venerabile Giuseppe Frassinetti:
Se vuoi piú a puntino conoscere la sua vita,
leggi i suoi scritti,
poiché in nessun modo quella santa persona
poté scrivere diversamente dal modo in cui li viveva.
Nota
Mentre nella prima parte non ci è stato difficile seguire
l‟ordine cronologico dei fatti, senza per altro sentircene
imprigionati, nella seconda ci è impossibile per la
molteplicità dei campi in cui vediamo impegnato il nostro
Venerabile, ciascuno dei quali sarebbe stato sufficiente a
riempire la vita d‟un santo sacerdote. Inevitabile quindi
procedere per temi senza volerci fare di tale divisione una
camicia di forza.
Ne diamo di seguito il prospetto.
427
Nell‟attesa che il Vescovo gli assegni il suo compito
Il parroco
Triboli e spine
La vita consacrata
Il moralista
Cursum consummavi, fidem servavi
Resta con noi ché si fa sera
Documenti raccolti dal Frassinetti
Documenti non del Frassinetti
Bibliografia fatta da Giuseppe Capurro
Indici
428
Nell‟attesa che il Vescovo gli assegni il suo compito
Cap. 28 – Come atleta al via
Cap. 29 – Gli oratori festivi
Cap. 30 – Era Don Bosco a conoscenza delle cose di Genova?
Cap. 31– La “Beato Leonardo”
429
CAPITOLO XXVIII
COME ATLETA AL VIA
Prometti a me ed ai miei successori
rispetto ed ubbidienza?
Prometto
Quel sabato delle Tempora del 22 settembre 1827 il vescovo di Savona,
alla fine dell‟ordinazione, tenendo racchiuse nelle sue mani le mani di ogni
novello sacerdote inginocchiato ai suoi piedi, completò il rito
dell‟ordinazione con le parole riportate nell‟occhiello, e li congedò con la
sua benedizione. Per Giuseppe Frassinetti e gli altri genovesi, non essendo
suoi sudditi, ci fu una variante: “Prometti rispetto ed ubbidienza al vescovo
tuo ordinario per il tempo che regge la diocesi?”. La continuazione della
nostra storia altro non è che il racconto di come il nuovo ordinato mantenne
la promessa fatta al vescovo ed alla Chiesa, e la fedeltà con cui fu fedele a
tutte le ammonizioni che quel giorno gli furono rivolte dal vescovo e da noi
riportate a conclusione della prima parte. Non aveva dunque che da
aspettare che il vescovo gli affidasse il campo del suo lavoro, che fu una
parrocchia anche se “non ebbe mai il desiderio di essere Parroco”. Furono le
circostanze che vollero cosí.849.
Nell‟attesa non perde tempo. Fa tirocinio, ne fa quanto piú ne può,
mentre completa la sua formazione, come ci testimoniano le referenze del
suo parroco e quelle del rettore del seminario quando ne furono richiesti da
vescovo prima di affidargli la parrocchia. Il latino le rende solenni:
1832. 22 Iulii. Testor Rev.dum Ioseph Frassinetti Ioannis Baptistæ, mihi ab
eius adulescentia notum, studii singulari cultu, morum eximio candore, zeli
peculiaris fervore in hac parochiali Ecclesia, Congregationibus Missionis
Urbanæ, ac Operariorum Evangelistorum et Misericordiæ erga detentos in
carceribus, ac in pueris sedulo excolendis, eximie excellere; atque superiorum
849 D. FASSIOLO, Memorie…, p. 29.
430
laudes ac remunerationes sibi adscitum. In quorum… Franciscus Tagliafico,
P.tus S. Stephani850.
I Missionari Urbani erano sacerdoti diocesani impegnati nel dare le
missioni nelle parrocchie della città851; gli Operai Evangelici erano chierici
e sacerdoti impegnati nel fare catechismo ai fanciulli; gli ascritti alla
Congregazione della Misericordia si prendevano cura dell‟assistenza
spirituale dei carcerati.
Di quei quattro anni trascorsi a Genova prima di andare parroco a
Quinto, oltre alle testimonianze dei vari archivi – ed ancora una volta vada
la nostra riconoscenza al lavoro umile disinteressato e diligente fatto
all‟inizio del secolo scorso da don Giuseppe Capurro –, abbiamo quella del
Fassiolo, il chierico presente al suo transito, che ne fu il primo biografo il
quale dice di riferire di quei tempi cose udite dai fratelli del Priore Giovanni
e Raffaele:
Appena fu ordinato Sacerdote si considerò come tutto di Dio; quindi lo
prese un aborrimento singolare per tutto ciò che sa di passatempo o di
mondana ricreazione, e senza altro si accinse alla santificazione del prossimo.
Dato il suo nome alle benemerite Congregazioni dei Missionarii Urbani e dei
Fransoniani852, ei vi lavorò indefessamente con un impegno straordinario.
Predicare, confessare, istruire nel catechismo i giovinetti, erano cose che egli
850 Il presente documento ed il successivo si conservano nell‟archivio della Curia
arcivescovile di Genova, nella busta della parrocchia di Santo Stefano. Eccone la traduzione:
“Attesto di conoscere il reverendo sacerdote Giuseppe Frassinetti di Giovanni Battista fin
dalla sua adolescenza. Ha mostrato un amore allo studio fuori dell‟ordinario, è d‟un candore
unico in quanto a costumi. Ha collaborato in questa parrocchia con zelo fervoroso. È membro
delle congregazioni dei Missionari Urbani, degli Operai Evangelici e della Misericordia verso
i carcerati; si è inoltre molto distinto nella formazione dei fanciulli, meritando apprezzamento
e lodi dei suoi superiori”.
851 Accanto ad essa si aveva quella dei Missionari Rurali, impegnati nel dare missioni
nelle parrocchie extra mœnia. I Missionari Urbani, detti anche di San Carlo dal loro
protettore, erano sorti sotto il cardinale Stefano Durazzo nel 1643; i Rurali nel 1713 ad opera
di un santo sacerdote, Francesco Olivieri. Operai Evangelici, detti anche Fransoniani, dal
loro fondatore, l‟abate Paolo Fransoni, nobile genovese, che aperse oratori in diversi sestieri
della città per la catechizzazione dei fanciulli e, ad un tempo, congregazioni ed accademie di
scienze sacre per la formazione del giovane clero per poter disporre di sperimentati
collaboratori. Il Frassinetti aveva aderito a tali istituzioni fin da quando era chierico. Se ne
riparlerà quando tratteremo della “Beato Leonardo”.
852 Dal nome del loro fondatore sono cosí chiamati gli operai evangelici.
431
faceva col massimo gusto, sempre pronto a correre dove maggiore scorgeva il
bisogno dell‟opera sacerdotale853.
Adduce un paio di esempi. Ad un anno dalla sua ordinazione, il nove
ottobre 1828, alle tre ed un quarto del mattino, Genova fu scossa da un forte
terremoto. Per l‟occasione nella chiesa della Consolazione fu data una
missione di quindici giorni. Vedendovi anche il Frassinetti, dovette trattarsi
d‟una missione data dai Missionari Urbani di cui anch‟egli faceva parte. Il
Fassiolo ci dice che in quei giorni, attese indefessamente a udire le
confessioni degli uomini. Il giorno dodici, domenica, la mattina per
tempissimo entrato nel confessionale degli uomini, tranne l‟ora della
celebrazione della S. Messa, non ne uscí che ad un‟ora dopo mezzogiorno.
Il per tempissimo, all‟epoca, era anche le sei del mattino, se non ancora
prima! Non solo in chiesa, ma si recava alle carceri di Sant‟Andrea anche
due volte al giorno per ascoltare le confessioni. Ancora dal Fassiolo854:
Non è da tacere come il M. R. C. De Gregori, Rettore del Seminario e poi
canonico della Metropolitana, spiegando il Catechismo nella Chiesa di N. S.
delle Vigne855, in occasione di una Missione, volutolo seco perché
disimpegnasse la parte cosí detta dello Scolaro856, vi riuscí cosí bene, che il
De Gregori se n‟ebbe tanto a lodare, massime per la giustezza delle
ripetizioni e per l‟unzione che traspariva dalle sue parole, onde poi l‟invitò a
fare in Seminario la spiegazione del vangelo ai chierici interni ed esterni. In
queste spiegazioni unite ad alcune conferenze che si ritrovano scritte per
esteso, si vede la sua umiltà e quella fede viva che lo animava in tutte le sue
azioni. Sono cosí piene di sante massime e di profondi consigli, che traggono
profondamente l‟anima nel leggerle ed eccitano il cuore allo zelo per la gloria
di Dio e per la salvezza delle anime. Si potrebbe chiedere, onde mai tanta
esuberanza di celeste dottrina in un giovane sacerdote? Certo dalla santità
853 D. FASSIOLO, Memorie storiche intorno alla vita del sac. Giuseppe Frassinetti,
Priore a S. Sabina in Genova, Genova 1879, p. 25.
854 D. FASSIOLO, Memorie…, pp. 25s.
855 La parrocchia dove il Frassinetti era stato battezzato.
856 Il metodo sotto forma di dialogo tra Maestro e Scolaro (o Ignorante), lo vedremo
adottato dal Frassinetti nei catechismi domenicali agli adulti, fatti in dialetto genovese, lui
nella parte del maestro, il fratello Giovanni in quella d‟ignorante zoticone che fa fatica a
capire o capisce il contrario, a cui bisogna ripetere le cose fino a che non gli entrino bene in
capo.
432
della sua vita, e da quello spirito di fervorosa orazione che egli coltivò fin da
secolare857.
Tale missione la conosciamo solo attraverso il Fassiolo. Ne conosciamo
altre dai registri della Congregazione della Missione Urbana. Aveva chiesto
di farne parte il 5 novembre 1827 ancora fresco di ordinazione. Superata
l‟inchiesta pro informatione de scientia et moribus, la vigilia di Natale tenne
il discorso di prova alla presenza di tutta la congregazione. Il sette gennaio
del 1828 la Consulta ne approvò l‟ammissione all‟unanimità come
coadiutore, cosa che avvenne il 14 colla pluralità della [assemblea]
generale. Le prime prove le fece alla fine d‟aprile nel Cantiere della Foce
per quelli della catena militare “con consolante successo per lo zelo dei
missionari… e piú per la premura grande di due novizi, Maggi e Frassinetti,
nell‟insegnare a quelli infelici la dottrina cristiana”858. Non meno
lusinghiera l‟attestazione del nuovo rettore del seminario, il Cattaneo, che
conferma e completa quella del Fassiolo:
1831. 24 Iulii. Supradictum Rev.dum Sacerdotem, duobus abhinc annis in
hoc Seminario pietati in Clericorum animis fovendæ augendæque Evangelium
edisserens, diebus Dominicis quibus congregationes aguntur, zelo quam
maximo præstitisse operam testor. P.ter I. B. Cattaneo859.
Si noti il “da due anni”, chiamatovi quindi dal rettore dell‟epoca, il De
Gregori, prima ancora che il Cattaneo ne prendesse la direzione. Il Cattaneo
non fece che confermargli l‟incarico che tenne fino alla partenza per Quinto.
Dall‟ ordinazione sacerdotale all‟assunzione della parrocchia, furono quattro
anni pieni. Se ci fu una preferenza, stando al Fassiolo, fu per i fanciulli:
857 D. FASSIOLO, Memorie…, pp. 26s.
858 Doveva quindi trattarsi di prigionieri addetti ai lavori di quel cantiere. Oltre alle
missioni su riportate, dai registri dei Missionari Urbani, figura la sua partecipazione alle
seguenti: nel 1829, nella Chiesa del Rimedio, dove fece la predica sul peccato, nel 1830; nella
chiesa del SS. Salvatore, tema del discorso fu la bestemmia; nel 1835, nella chiesa di S.
Stefano che era stata la sua parrocchia, parlando dell‟inferno; nel 1844, nella chiesa del
Carmine trattando del giudizio di Dio; nel 1855, all‟Albergo dei poveri, spiegando il
Decalogo; nel 1862, di nuovo alle Vigne, dalla quarta domenica di Quaresima a quella di
passione, trattando della penitenza. Di tali interventi ci è pervenuta la stesura. Di come
preparasse i suoi sermoni se ne parlerà trattando del parroco.
859 Il su nominato reverendo sacerdote [Giuseppe Frassinetti] da due anni ha prestato la
sua opera con grandissimo zelo nell‟alimentare ed accrescere la pietà dei chierici spiegando il
vangelo la domenica, giorno in cui si tiene l‟adunanza.
433
Egli si faceva a tutti e con bel modo e affabile giovialità ammoniva,
correggeva gli erranti; ed era bello il vederlo in mezzo ai giovinetti spezzar
loro il pane della divina parola, istruirli amorevolmente, sopportarne con una
certa noncuranza i difetti. Stavano attenti alle sue parole e quasi non se gli
sapevano dispiccicare dal fianco tratti a quel suo fare lieto e festivo che
mostrava verso di essi. Il perché gli riusciva piú facile a tenerli in chiesa e a
farli accostare ai Sacramenti; la qual cosa gli stava grandemente a cuore. Né
già si teneva pago di mandarveli, ma ottenne che molti di essi a lui stesso si
confessassero e perciò non credeva male spese le lunghe ore che anche alla
sera ben tarda impiegava in quest‟opera di carità. Però vuolsi notare che se
egli soleva mostrarsi tutto affabile coi giovinetti, si asteneva tuttavia da ciò
che potesse dare alcun sentore di soverchia famigliarità… A questo modo
riusciva a farsi conciliare quel rispetto che è dovuto al sacro carattere, e li
avezzava ad usare un contegno modesto e cosí silenzioso, che a mala pena e
raramente si sentiva il cicalio di qualche giovinetto. Dal che si può
argomentare quanta industria fosse la sua, mentre si sa per esperienza come
sia difficile tenere in silenzio le turbe dei giovinetti che si recano alla
Dottrina. Quanto egli amasse di coltivare la gioventú si può anche vedere dal
libretto degli Esercizi spirituali che egli stampò molti anni dopo ad uso dei
giovinetti860.
I suoi scritti ci dicono quanta familiarità aveva preso con quei grossi tomi
negli anni del chiericato ed i primi quattro del suo sacerdozio quando con
maggior frequenza “correva alle biblioteche e sopra i grandi volumi dei
Teologi e dei Padri spendeva lunghe ore pensando e meditando senza
risparmiare fatica alcuna”861, avendo dovuto negli otto anni di Quinto, se
non rinunciare, certo limitare una tale assiduità alle biblioteche per non
averle piú a dieci passi da casa.
Come l‟aver conosciuto le opere di Sant‟Alfonso da studente gli aveva
aperto un mondo che sarà il suo per tutto il resto della vita, cosí, a metà di
quei quattro anni, la venuta a Genova di don Luca dei conti Passi gli
determinò scelte d‟apostolato su cui ci fermeremo nei prossimi capitoli.
Intanto chiudiamo il presente riportando una sua conferenza tenuta da
giovane sacerdote ai seminaristi. Essa ci offre un‟immagine di quel che egli
si proponeva di essere e del tono piano e discorsivo del suo parlare, cosa
all‟epoca cosí rara.
860 D. FASSIOLO, Memorie…, pp. 27s. Di questa fortunatissima pubblicazione si parlerà
piú avanti.
861 D. FASSIOLO, Memorie…, p. 20.
434
Del modo di contenersi verso gli ecclesiastici862
Dovendo supplire per il vostro Direttore, tuttavia impedito dal farvi la
conferenza, io ho pensato di trattenervi, o miei fratelli, sopra un punto di
grande importanza; e cioè sul modo con cui ci dobbiamo diportare nel trattare
con gli ecclesiastici. In questo mondo pieno di lacci, non solo troveremo
inciampi se tratteremo troppo famigliarmente coi secolari (al quale pericolo
voi non siete esposti, perché, come si conviene a buoni ecclesiastici, sfuggite
la famigliarità coi secolari); ma, bisogna pur dirlo, potrete trovare anche dei
pericoli trattando con qualche ecclesiastico; il che avverrà certamente, se non
vi regolerete col dovuto riserbo, come avviene a chi cammina tra i lacci con
troppa sicurezza.
Ciò che piú facilmente farà sí che noi cadiamo, sarà il dare ascolto a ciò
che comunemente si va dicendo, che tutto sia bene ciò che si fa o che è
approvato da certi ecclesiastici. Il tale, il tal altro fa cosí; il tale, il tal altro
dice cosí; e sono uomini dei quali i fatti e le parole, a giovani ecclesiastici,
siano chierici, siano sacerdoti, possono fare autorità. Questo si sente dire
frequentemente, certo molte volte a ragione, ma alle volte a torto. Il gran
punto sta qui: nel saper distinguere. Quando i fatti e le parole di quelli
ecclesiastici dei quali parliamo sono conformi allo spirito ecclesiastico che sta
nel Vangelo e nella pratica dei Santi, in questi casi dobbiamo venerarli come
esemplari autorevoli e sopra di essi dobbiamo conformare la nostra vita; ma
in casi diversi?... Veniamo alla pratica..
Se mai vi fosse tra gli ecclesiastici alcuno che, pieno di vanità, altro non
stimasse che se stesso, che non cercasse altro che gloria ed onori, che poco
stimasse anche le anime, se non sono di grandi e di ricchi, che conoscesse
appuntino tutte le regole dell‟onore e del decoro per sostenerle anche a spese
della carità, che altro non facesse che gonfiare i poveri giovani ecclesiastici
con certe parole di onore; di prodursi, di far spiccare il loro talento e simili; e
mai loro dicesse: “Abbiate zelo per le anime redente dal Sangue di Gesú
Cristo; siate umili; non cercate la vana gloria del mondo; tutto il vostro
impegno sia di amar Gesú Cristo”; che direste voi, che siete saggi, di questo
ecclesiastico? Eh! la sua conversazione sarebbe a noi come un laccio; ci
infonderebbe con la sua autorità lo spirito del mondo, nemico di quello del
Vangelo, che dice: væ cum benedixerint vobis homines863.
Se mai vi fosse un altro che stimasse anche piú dell‟onore il denaro, e
cercasse di aver proventi da ogni parte, e fosse tutto braccia e robustezza per
faticare quando trova i propri vantaggi, e non avesse poi né mani, né sanità,
862 Ci è pervenuto un quaderno di 195 pagine con spiegazioni di vangelo e conferenze ai
seminaristi. AF, Manoscritti, vol. XV, pag. 1-195. La conferenza qui riportata fu pure
stampata a parte: Discorsi a sacerdoti e chierici, Roma, 1924, p 27-32.
863 Lc 6,26.
435
né possibilità per far del bene, quando la mercede si debba avere dalla carità
che non ha danari; che si gloriasse di aver già in pochi anni accumulato
terreni e case; che dicesse buoni, non quei benefizi nei quali si può far piú
bene, ma quelli nei quali si può guadagnare di piú; che diremmo di
quest‟altro? Eh! la sua conversazione con la sua autorità sarà a noi un laccio:
se daremo a lui ascolto ci farà venire tanto interessati, che non vorremo poi
senza mercede recitare neanche un De profundis, nonché applicare una
Messa: e impareremo a dire væ vobis pauperibus, mentre il Vangelo ci grida:
væ vobis divitibus864.
Se mai altri fosse tutto delicatezze, temesse il puzzo delle galere, delle
prigioni, degli ospedali, temesse il rozzo tratto della gente di campagna, non
potesse soffrire l‟irrequietezza dei fanciulli, fosse tutto garbo, tutto inezie e
comoduzzi; altro non facesse che dire ai giovani chierici: “non fate troppo,
non vogliate ammazzarvi, abbiatevi piú riguardo, vi è chi lavora, vi è chi fa;
non vi prendete tanti impegni, tanti fastidi”; che diremmo di costui? Che la
sua conversazione, stante la sua autorità, ci sarebbe un laccio, e invece di
acquistare i sentimenti di zelo e di fervore per la salvezza delle anime,
saremmo vili idolatri di noi stessi, di tutti i riguardi della vanità e dei nostri
comodi, a fronte al Vangelo che dice: si quis non odit... animam suam, non
potest meum esse discipulus865.
Vedendo altri che si pregia di non esser bigotto; che, quando ha fatto un
buon preparamento di ciarle e di frottole, prende l‟amitto per andare a
celebrare la santa Messa, e continua i suoi discorsi, forse anche coi poveri
chierici che scandalizza, e alterna le ridicolaggini o le notizie con le preghiere
annesse al vestirsi dei sacri paramenti; che poi ritorna dall‟altare e non ha
ancora posato il calice, e già ciarla, e fa vedere che non sa dove sia andato, né
donde venga; che motteggia sulle meditazioni, sulle letture spirituali, sulla
pietà, sulla divozione; che non sa parlare che di gazzette e di notizie, o al piú
di letteratura; che burla i sacerdoti che celebrano con divozione e dicono
divotamente l‟ufficio, e mette in canzone i chierici modesti, composti. e
divoti, che diremmo di costui? Diremmo, che se noi dessimo ascolto alle sue
parole, stante la sua autorità, ne avremmo danno grandissimo, e facilmente
perderemmo l‟amore alla pietà e alla divozione, che sono il pascolo dello
spirito ecclesiastico; e addiverremmo facilmente quei tali, dai quali la
religione non ha altro bene che Messe, Uffizi strapazzati e qualche tratto di
letteratura, e che non sono altro che nubes sine aqua866.
864 Lc 6,24.
865 Lc 14,26.
866 Gd 12.
436
Cosí si potrebbe ancor continuare il discorso senza timore che mancasse
materia. Ma manca il tempo. Come dovremo noi diportarci, trattando con
costoro, per non dare nei loro lacci? Quantunque siano ecclesiastici,
quantunque siano persone distinte e fornite di doti, noi dobbiamo starcene da
essi lontani per quanto è possibile, perché la loro famigliarità sarebbe a noi
troppo contagiosa; o, se altro non fosse, saremmo quasi costretti ad approvare
i loro costumi e i loro detti, il che non si può senza colpa.
Oltre a ciò bisogna che ci persuadiamo, che questi tali non sono abili a
farci autorità in quelle cose che non si accordano coi principi del Vangelo e
con lo spirito ecclesiastico; anzi questi tali ci devono muovere ad una santa
indignazione. Poiché, vedete, essi sono la causa della freddezza e
dell‟indifferenza nel popolo cristiano. Quei secolari che sono da loro diretti
restano come stupidi ad ogni buon sentimento; e i chierici, ancora inesperti,
vedendo che questi ecclesiastici hanno qualche autorità e distinzione, fissano
gli occhi sopra di essi e li prendono ad esemplari, perché credono di non
poter errare col seguirli e con l‟imitarli. Infatti quei chierici che trattano piú
alla famigliare con costoro, si vedono piegare a poco a poco alle loro
pratiche, e poi si incaricano di dettare i ricevuti ammaestramenti ai loro
compagni.
Riguardo dunque, fratelli miei. Gli esempi e i sentimenti poco ecclesiastici
non riceveteli da nessuno. La storta massima per cagione di certuni fece
ormai troppo guasto nel clero. Procuriamo di essere buoni ecclesiastici e i
nostri insegnamenti, per non errare, prendiamoli dal Vangelo e dalla pratica
dei Santi: prendiamoli anche dagli ecclesiastici, e in modo particolare da
quelli che il Signore distinse per cariche e talenti, ma prendiamoli soltanto in
quelle cose che col Vangelo e con la pratica dei Santi si possono combinare.
Nelle altre cose non temiamo di andar contro la corrente del mondo. Il mondo
purtroppo è anche nel clero. In tal modo eviteremo quei lacci nei quali sí
facilmente si può incappare. Oh! quanti, particolarmente tra i giovani, vi son
caduti e vi cadono! Una saggia prudenza, diretta dal lume dello Spirito Santo,
ci guardi da tali cadute.
437
CAPITOLO XXIX
GLI ORATORI FESTIVI867
L‟Opera di San Raffaele:
Oratorio festivo per i ragazzi
Il Frassinetti nella vita di don Luigi Sturla da lui scritta868, ci narra come
a Genova nacquero gli oratori festivi, quale fu la loro attività e come si fosse
riusciti a radunare tutti i giorni di festa piú di 700 ragazzi in una sola
parrocchia intrattenendoli l‟intera giornata tra funzioni religiose, catechismi
e giochi su per i prati che all‟epoca circondavano la città. Il Frassinetti e lo
Sturla son due che dobbiamo abituarci a vedere sempre appaiati. Narrando il
primo la vita del secondo, narra ad un tempo anche tanta parte della propria
vita senza dichiararlo. Meglio dire: i Frassinetti e lo Sturla, perché a
Giuseppe è doveroso aggiungere non solo Paola, ma anche il fratello
867 Non meraviglino i raffronti con Don Bosco dovendo trattare in questa parte dei
rapporti tra i due: uguale la dedizione per le cose di Dio, ma ciascuno con un suo stile.
868 G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla vita del sac. Luigi Sturla, opera postuma,
Genova 1871.
438
Raffaele, che dedicò tanta parte del suo ministero alla cura dei fanciulli, ed
il fratello Giovanni, pur lui validissimo collaboratore869. In quanto alla
sorella, si deve a lui se non fu soltanto una donna oggetto passivo di
direzione spirituale, ma divenuta a lato del parroco suo fratello un soggetto
attivo della sua azione pastorale, e si deve sempre a lui l‟averla lanciata per
la strada che la porterà fino alla Gloria del Bernini870.
[Ancora chierico Luigi Sturla] dimandò tosto di essere ammesso tra i
chierici della tanto benefica istituzione degli Operai Evangelici – anche lui, il
Frassinetti che scrive, ne era parte –, detti comunemente Fransoniani dal suo
fondatore l‟abate Girolamo Fransoni… Gli venne assegnato l‟oratorio festivo
di Prè… e, poiché ivi venivano tutti quelli del sestiere di S. Teodoro, volle
prendersi particolare sollecitudine della loro cultura… Per tempissimo si
partiva di casa… e andava a raccogliere tutti i fanciulli di quel sestiere,
chiamando e anche svegliando i piú trascurati e accidiosi. Quindi, ordinati in
lunga fila, li conduceva all‟oratorio su indicato. Dopo che ivi avevano
ascoltato la santa Messa, l‟istruzione della dottrina ecc., li riconduceva alle
loro case, perché si prendessero la colazione. Poi li portava sulla collina di S.
Benigno e li tratteneva per il rimanente della mattina in ricreazioni e giuochi,
cui provvedeva a proprie spese. Venuta l‟ora del desinare, li rimenava a casa
ed egli andava da una povera e pia donna a farsi ammannire il suo pranzo, il
quale consisteva in una libbra circa di vermicelli recata seco da casa sua.
Terminato questo pranzo, che doveva essere di assai corta durata, ritornava a
chiamare i suoi fanciulli per condurli alla dottrina in parrocchia. Questa finita,
li riconduceva sulla collina di S. Benigno, dove li tratteneva sino a notte come
al mattino, accompagnandoli finalmente alle loro case. Cosí passava la sua
giornata alla festa, e cosí durò per molto tempo, ch‟io non saprei bene
determinare. Da questo si può argomentare con quale zelo coltivasse i
fanciulli e gli adolescenti871.
Don Luca dei conti Passi
869 Francesco, fattosi religioso, fu anch‟egli parroco nel suburbio di Genova.
870 Tratteremo ampiamente in seguito degli istituti femminili che si ricollegano al
Frassinetti ed alla sorella. L‟accenno basti per far notare come anche questa istituzione, la
congregazione delle Dorotee, sia germogliata nel giardino della “Beato Leonardo” ed abbia
avuto nei suoi membri il suo piú valido sostegno, soprattutto nel Frassinetti e nello Sturla, ai
quali, almeno per i primi tempi, si deve aggiungere il Passi.
871 G. FRASSINETTI, Memorie intorno…, pp. 8-10.
439
A far divampare tanto zelo bastò una scintilla, la venuta a Genova di don
Luca dei conti Passi nel 1829. Era stato chiamato a predicare il quaresimale
nella chiesa del Carmine dal 4 marzo, giorno delle ceneri. Il Passi era un
grande suscitatore di entusiasmi. Ne suscitava ovunque passasse. Aveva
fondato l‟Opera di S. Raffaele per la catechizzazione dei maschietti e di S.
Dorotea per le femminucce. Incontrarlo e sentirsi bruciare di zelo era un
tutt‟uno. Non si contano quanti dovettero a lui ed al fratello don Marco la
buona spinta a realizzare le grandi cose, come non si conta di quanto Don
Bosco fu debitore del Guala e del Cafasso, non solo nei tre anni di
quotidiana convivenza nel Convitto Ecclesiastico di Torino, ma finché essi
vissero. Ma anche il Guala aveva subito l‟incanto di don Luca Passi, cosí la
Barolo, cosí Silvio Pellico, tutte persone con cui il giovane sacerdote dei
Becchi in quei suoi primi anni di sacerdozio ebbe strette relazioni. Una rete.
Torniamo ai ricordi del Frassinetti.
Durante la Quaresima, e poi pel tratto di circa due mesi che D. Luca si
fermò a Genova, lo Sturla non ebbe riposo. E per l‟entratura che già aveva coi
parrochi, e per la sua attività impareggiabile, la pia Opera fu stabilita in quasi
tutte le parrocchie della città e in molte dei dintorni. Solo chi conosce
l‟organamento di detta Pia Opera può immaginare la fatica che dovette
costare il suo impianto allo Sturla, senza di cui il fondatore [Don Luca] non
faceva nulla, e senza di cui non avrebbe fatto né anche la decima parte di
quanto ha fatto.
Partito il fondatore, la pia Opera restò appoggiata a lui quasi interamente,
essendone stato esso solo l‟anima ed il motore. È vero che si interessarono
per la medesima molti sacerdoti e chierici, ragguardevoli signori e signore,
buon numero di pii popolani e un numero stragrande di pie zitelle – si osservi
come il Frassinetti tenda subito a slargarsi e a porre il solista nel coro creando
concerto –, ma chi animava, chi incalorava, chi dirigeva e, si può dire,
governava tutti, era lo Sturla. Pareva si moltiplicasse per ritrovarsi da per
tutto. In città e fuori di città non si faceva funzione o radunanza dove non si
trovasse… fino all‟anno 1847 ad onta di tutte le contraddizioni e le
persecuzioni, cui era fatto cenno… Cessò in quell‟anno quando prevalendo i
cosí detti liberali, si dovette cessare da ogni opera che avesse sapore o
sentore, come suol dirsi, di gesuitismo, quando egli stesso doveva prepararsi
ad esulare in Arabia…
A dimostrazione del cambiamento che tale zelo aveva prodotto nelle
parrocchie, il Frassinetti adduce ciò che si era verificato nella sua, in quella
di Santo Stefano.
440
In un corridoio… si radunavano tutte le domeniche i giovinetti della
parrocchia che intervenivano alla dottrina. Erano dai 40 ai 50… numero
estremamente scarso per la parrocchia che si diceva avesse una popolazione
di quindicimila anime. Nella prima domenica in cui fu organizzata la pia
Opera di S. Raffaele, intervennero tanti giovinetti di piú che, letteralmente
parlando, ne fu piena zeppa la sacristia, il corridoio, il coro. Io – la sua
presenza è sempre ridotta al minimo –, io, ch‟era incaricato d‟insegnare la
dottrina a quei giovinetti, pregai allora il M. Rev. Prevosto Tagliafico che
venisse a vedere se era mai possibile ch‟io facessi la consueta istruzione. Il
Prevosto non poté trovare altro spediente che rimandarli tutti, promettendo
che avrebbe provveduto un locale per la domenica vegnente. Pregò allora i
RR. Operai evangelici a permettergli di mandare i fanciulli nell‟ oratorio di S.
Maria della Pietà… Quel capace oratorio ne fu pieno: erano in numero di
700. Allora furono necessari, invece di uno, circa quattordici, tra sacerdoti e
chierici, per istruire quei giovinetti, divisi in classi e numerosi drappelli. Lo
stesso, presso a poco, fu il risultato della Pia Opera di S. Dorotea per le
fanciulle872.
La Congregazione del Beato Leonardo
e l‟Accademia di studi ecclesiastici873
Citazione lunga, la precedente, ma necessaria, ricollegandosi a questa
attività catechetica la fondazione della “Congregazione di ecclesiastici sotto
la protezione di Maria SS., dei SS. Apostoli e del Beato Leonardo da Porto
Maurizio”, nata per preparare chierici e giovani sacerdoti a tale apostolato, e
poi l‟Accademia di studi che vi fu annessa. In queste opere, accanto al
Frassinetti, vediamo sempre, immancabile, lo Sturla, a parti invertite: primo
il Frassinetti, secondo lo Sturla, mentre, nella riforma del Seminario, primo
sarà il Cattaneo, compagno di classe del Frassinetti e dello Sturla, sorretto,
inutile dirlo, dallo Sturla e dal Frassinetti. Cosí, di lí a qualche anno,
all‟origine delle Suore Dorotee per dare stabilità all‟Opera di S. Dorotea per
le fanciulle, accanto al Frassinetti e la sorella Paola non manca lo Sturla.
Nessuna presenza è di sola comparsa.
Sono tutti “Ragazzi del Gianelli”, come mi è piaciuto chiamarli nella
storia della formazione del Frassinetti al sacerdozio, eccetto Paola, anche se,
sia pure indirettamente, non poté non subirne l‟influsso attraverso il fratello,
872 G. FRASSINETTI, Memorie intorno…, pp. 13-14.
873 Della Beato Leonardo e dell‟Accademia di studi ecclesiastici parleremo con maggior
respiro trattando dell‟opera del Frassinetti a favore del clero.
441
sentendolo ad ogni suo ritorno da scuola: “Oggi il Gianelli…”. Erano stati
tutti suoi alunni a scuola di lettere in seminario nei due anni di “Rettorica”.
Tutti con tanta voglia di operare per l‟avvento del regno di Dio. In quel
1829, il Frassinetti ed il Cattaneo erano da poco piú di un anno sacerdoti, lo
Sturla ancora chierico, avendo dovuto sospendere gli studi alla morte d‟uno
zio per aiutare il padre nel commercio. Sarà sacerdote solo nel 1832. Legna
secca e bene stagionata. Don Luca fu la scintilla che la fece avvampare. Poi
cosa tirò cosa, e vediamo sempre piú in prima fila il Frassinetti. Accanto a
lui allo Sturla ed al Cattaneo si ritrovano i vecchi compagni di scuola in un
patto d‟azione comune a favore dei giovani. La “Congregazione del Beato
Leonardo da Porto Maurizio” nacque per provvedere un numero sufficiente
di catechisti all‟Opera di San Raffaele”.
Ma per educare alla vita cristiana i giovanetti, occorrono educatori…
educati, ed ecco affiancare la “Beato Leonardo” con un‟Accademia di
scienze sacre per giovani sacerdoti e chierici in sacris874. Raduno
quotidiano eccetto il sabato, un‟ora, non un minuto in piú o un minuto in
meno: Sacra scrittura, dogmatica, morale, storia ecclesiastica, spiritualità ed
eloquenza. Al Convitto di Torino si studiava solo morale, ed ad insegnarla
bastavano il Guala e poi il Cafasso. A Genova si mira ad una formazione
completa, ed ad insegnare è chiamato il meglio del clero genovese: lo stesso
Frassinetti, il Cattaneo, Gaetano Alimonda, futuro arcivescovo di Torino e
cardinale, i futuri arcivescovi di Genova, Salvatore Magnasco ed il beato
Tommaso Reggio, Filippo Gentile, poi vescovo di Novara ed amico del
Rosmini,… Anche in questo, non uno, ma piú, che, per avere un cuore solo,
si sentono uno. Non l‟assolo di una tromba per quanto prestigiosa, ma
concerto di tanti strumenti. Mi viene da chiamare la cosa “effetto
eucaristia”, ossia i molti che diventano uno in virtú di quell‟unico pane di
cui essi si nutrono875. Torneremo ancora sulla Beato Leonardo, qui basta
avervi accennato.
Le norme pedagogiche
Il racconto, che a tanti anni di distanza il Frassinetti ci ha fatto di quelle
domeniche dello Sturla, e sue, vissute fra centinaia di ragazzi, altro non era
874 All‟epoca, come era stato per il Frassinetti, un gran numero di seminaristi
frequentavano dall‟esterno il seminario solo per la scuola, vivendo a casa propria o presso
qualche famiglia che faceva loro pensione.
875 1 Cor 10,17.
442
che l‟attuazione di norme da lui stesso poste per iscritto in opuscoli usciti
anonimi, ma ripubblicati nel 1857 sotto il suo nome nelle Memorie intorno
alla Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio, come
Documento 1876. Tra testo e note, vi si trovano in nuce quelle che poi
saranno le linee direttive del sistema educativo di Don Bosco, conosciuto
con il nome di Metodo preventivo. Ridiamo la parola al Frassinetti:
X. Quando per le strade si trovassero giovinetti trascurati ne‟ loro doveri,
se si stimerà cosa conveniente, si farà loro una amorevole correzione
all‟istante, altrimenti si inviteranno a venire alla Chiesa nel giorno e ora piú
comoda per ivi farla877.
XI. Quanto il giovane sarà piú insolente, caparbio, ostinato, si userà con
lui maggiore dolcezza, e modi piú amorevoli, ne altre minacce (purché non
fosse piccolo) che dei divini castighi878. Non si sdegnerà, per dir cosí, di
inginocchiarglisi innanzi e pregarlo per amore di Gesú Cristo a ricevere i
salutari avvisi, né si dovrà alcuno risentire di qualunque ingiuriosa risposta o
cattivo trattamento che ne ritraesse879.
Colle aspre correzioni certuni si induriscono maggiormente nel male
dicendo: chi ha dato al R. N. N. questa autorità di maltrattarmi? A lui non
devo rendere conto delle mie azioni, ecc. Sfuggono880 di incontrarsi con lui
e resta chiusa la strada a una seconda correzione, se è infruttuosa la prima.
Colla mansuetudine S. Francesco di Sales – un altro punto di riferimento
comune con Don Bosco: san Francesco di Sales – convertí una infinità di
Eretici (peggiori certamente di qualunque discolo giovinetto); non si sa se ne
avrebbe convertito un solo usando minacce e bravate881.
876 Le aveva stese nel 1847 in difesa della “Beato Leonardo” fatta oggetto di virulenti
attacchi. Rimaste per un decennio inedite, furono pubblicate ad Oneglia per cura di un
membro della “Beato Leonardo”, don Luigi Bottaro, con dei ritocchi rispetto all‟originale a
noi pervenuto. In esse il Documento 1 occupa le pagine 47-55, seguito dal Documento 2 che
riporta l‟approvazione della Curia rilasciata in data 2 luglio 1831 dal vicario generale mons.
Lorenzo Viale, futuro vescovo di Ventimiglia.
877 [G. FRASSINETTI], Memorie…, pp. 53s.
878 L‟espressione può sembrare poco chiara. Penso che vada cosí sciolta: “Se non sono
piccoli, le uniche minacce siano quelle dei divini castighi”. Don Bosco a volte metteva
biglietti fra le lenzuola di questo e quel ragazzo con scritto: “Se morissi questa notte?”, ed il
ragazzo, invece che infilarsi nel letto, andava a confessarsi.
879 Ivi, § XI, pp. 54s.
880 Nel manoscritto: oppure sfuggono.
881 Ivi, in nota al § XI.
443
Siano molte le umiliazioni che si debbano fare da un peccatore per salvare
un‟anima, saranno sempre un nulla al paragone di quelle che N. S. Gesú
Cristo ha già sofferto per la salute di quell‟anima stessa882.
Nessuno mai dirà ho fatto abbastanza per il tale o per il tal altro, ma si
moltiplicheranno le sollecitudini e le premure a misura che crescerà il
bisogno883.
Finché Dio non si stanca di dar tempo al peccatore onde convertirsi, un
peccatore suo fratello non si stanchi d‟invitarlo a ravvedimento884.
I Sacerdoti trovando qualche giovine il quale avesse un Confessore poco
adattato a bene dirigerlo885, procureranno con bel garbo di assegnargliene un
altro; se questo inconveniente si osservasse da un Chierico, [egli] non si
prenderà questo incarico, ma ne avviserà un Sacerdote886.
Quando si vorrà fare una correzione, dare avvisi, consigli ecc., si alzerà
prima la mente a Dio dicendo: “Eterno Padre, in nome di Gesú Cristo, date
forza alle mie parole”887.
Si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis (Se chiederete al
Padre un qualche cosa nel mio nome, Egli ve la darà). Cosí Neemia quando
voleva impetrare dagli uomini qualche cosa importante, prima faceva
orazione a Dio, e poi esponeva la sua dimanda: Oravi Deum cæli, ed dixi888.
Il Frassinetti torna sull‟argomento in una Appendice al suo Compendio di
teologia dogmatica pubblicato agli inizi del 1842 – l‟approvazione
ecclesiastica è del 10 gennaio –. In una dozzina di pagine ci dà un vero
trattatello di come educare i ragazzi, un anticipo del metodo preventivo di
Don Bosco. Ne riportiamo un ampio stralcio qui di seguito.
882 Ivi, in nota al § XI.
883 Ivi, § XII, p. 55.
884 Ivi, in nota al § XII.
885 Allusione ai confessori rigoristi che rendevano odiosa la confessione.
886 Ivi, § XIII, p. 55.
887 Ivi, § XIV, p. 55.
888 Ho pregato il Dio del cielo, ed ho detto. Ivi, in nota al § XIV, p. 55. Cita Gv 14,14;
Ne 2,4.
444
Appendice
Sul modo di insegnare la Dottrina cristiana ai fanciulli889
Ci avvisa l‟Apostolo che senza le fede è impossibile piacere a Dio. La
fede si comunica all‟anima mediante l‟udito fides ex auditu, non si può
sperare che imparino da sé stessi…
In secondo luogo è importante l‟insegnamento della Dottrina Cristiana ai
fanciulli, perché l‟infanzia e l‟adolescenza è il tempo piú adatto per instillare
nelle loro menti le verità della fede. Le prime cognizioni che loro si danno
quando cominciano ad usar di ragione sono quelle che formano il cristiano. I
fanciulli si trovano formati tali senza avvedersene, quasi nati e non fatti. Le
prime impressioni dell‟infanzia restano piú profondamente radicate e hanno
influenza piú potente sopra tutta la vita dell‟uomo; né questo fa bisogno
provare mostrandone la verità un‟esperienza costante.
Ci vuole uniformità. Perciò ai fanciulli si deve insegnare soltanto i
catechismo della Diocesi… se ciascuno usasse un catechismo diverso si
produrrebbe una considerabile confusione; non solo è necessario che tutti
sappiano le stesse verità, ma è anche bene che tutti le sappiano esprimere allo
stesso modo. Bisogna poi procurare che i fanciulli imparino il catechismo
materialmente, perché la materialità delle parole piú facilmente si ritiene, e
questa conserva nella memoria piú lungamente la sostanza, ossia
l‟intelligenza delle cose.
Non si vuol dire però che si debba insegnare il catechismo solo
materialmente. Lo devono mostrare soltanto materialmente le persone che
non sono istruite nella teologia… perché mancanti delle opportune cognizioni
teologiche insegnerebbero alle volte dei gravi errori; chi è poi istruito
sufficientemente procuri di sminuzzarlo, di spiegarlo secondo la capacità dei
fanciulli, affinché meglio lo comprendano e le verità che vi contengono
facciano piú viva impressione nei loro animi.
Ma qui si avverta di non credere sempre cosa facile ed opportuna lo
sminuzzare molto sottilmente ai fanciulli le verità della dottrina cristiana. Ella
non è sempre cosa facile, perché nei misteri della fede non si può sapere tutto
ciò che si vorrebbe, ma soltanto quello che dei medesimi Dio ha voluto
manifestare… Non è poi cosa opportuna, perché quantunque chi insegna la
dottrina cristiana fosse dottissimo… non sarebbe questa cosa adatta per li
fanciulli i quali appena intendono le cose principali e all‟ingrosso…
Un‟altra importante avvertenza è quella di non toccare quelle obbiezioni
alle quali non si può dare una risposta che appieno soddisfi il grosso ingegno
dei fanciulli, né quelle difficoltà che non si possono appianare con ragioni
palpabili… Ai fanciulli si debbono dare quelle cognizioni che sono importanti
889 G. FRASSINETTI, Compendio di teologia dogmatica, Genova 1842, pp. 225-236.
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a sapersi per tutti, e con la possibile chiarezza e semplicità. Essi non debbono
confutare gli eretici o salire le cattedre. Questa avvertenza è importante per i
chierici studenti i quali alle volte vorrebbero insegnare ai fanciulli tutto ciò
che essi vanno imparando nelle scuole.
Bisogna istruire i fanciulli gradatamente cominciando dalle cose piú
necessarie a sapersi, e da quelle progredendo a tutte le altre…
Si avverta che nell‟istruire i fanciulli non si può pretendere da tutti la
stessa riuscita. Perciò si dee procurare che i piú svelti, d‟ingegno pronto e di
memoria tenace, imparino piú cose, e convien contentarsi che tanti altri tardi
d‟ingegno e di poca memoria imparino soltanto le cose piú necessarie. Si
perde tempo quando si vuole che uno di questi impari molte cose come le
imparano tanti altri di maggior capacità, e non si fa che confonderlo…
L‟insegnamento della dottrina cristiana ai fanciulli non dev‟essere un
insegnamento nudo e secco delle verità della fede,… ma dev‟essere un
insegnamento sugoso il quale mentre illumina la mente formi anche il cuore.
Si riesce a questo con l‟insegnamento e la dilucidazione delle buone massime
cristiane… La prima massima è quella che Dio ci ha messo al mondo…
perché lo conosciamo, amiamo, serviamo e lo andiamo poi a godere in
paradiso, e questa massima come fondamento bisogna spiegarla bene… Che
la grazia di Dio è il maggior tesoro, anzi l‟unico vero tesoro che sia al
mondo… Che la peggior cosa è il peccato il quale ci priva di quella grazia…
Che chi ha compagnie cattive non ha bisogno di demonio che lo tenti per
andare all‟inferno… Che è meglio non confessarsi che confessarsi male
tacendo dei peccati… Che bisogna esercitarsi negli atti d‟amor di Dio i quali,
al dire di S. Teresa, sono come le legna che mantengono e fanno crescere nel
nostro cuore il santo fuoco dell‟amor di Dio… Che un vero divoto della
Madonna non si è dannato mai… instillare nel cuore dei fanciulli questa
divozione tenera e fervente, procurando che tengano Maria in conto della piú
buona Madre e a lei ricorrano in tutti i loro bisogni… Queste massime bene
impresse nella prima età, non si scancelleranno mai piú in avvenire.
Chi si accinge all‟importantissima cosa di istruire i fanciulli bisogna che
sia paziente, grave e manieroso890. Bisogna che in primo luogo che sia
paziente, perché i fanciulli, o per indole alquanto trista, o per rozzezza di
educazione e leggerezza, sono alle volte difficili e tediosi. Bisogna
compatirli. Tutto il male in loro non è malizia. Di certi difetti a volte non ne
possono far di meno. Dicea però bene quel santo ai fanciulli: State fermi, se
potete. Molte leggerezze e mancanze, che non sono d‟altronde di gran
890 Nel senso che ha belle maniere, che si comporta con garbo. Cfr. N. TOMMASEO,
Dizionario dei sinonimi della lingua italiana: 1775 – Nel manieroso riguardasi segnatamente
la piacevolezza e la grazia del parlare e del conversare; 2244- Manieroso, uomo di buone
maniere, e segnatamente di miti e soavi.
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conseguenza, conviene far mostra di non anche osservarle. Bisogna sgridarli
o castigarli all‟opportunità quando le mancanze sono veramente considerabili.
Se il fanciullo si sente sempre sgridare e si vede sempre castigare per ogni
bagattella, non sapendo come evitare tanti gridi o castighi, non bada piú né a
questi né a quelli, e si forma di un‟indole insensibile, e quindi incorreggibile.
Bisogna quindi che conservi la conveniente gravità, affinché i fanciulli
abbiano sempre per il maestro il necessario rispetto, senza cui non vi sarà né
attenzione, né profitto. Pertanto richiedesi che il Catechista si tenga sempre in
certo decoro di aspetto e di maniere, sicché i fanciulli lo rispettino. La quale
avvertenza è necessaria, anche per altri titoli, a chi istruisce le fanciulle.
La gravità non deve essere disgiunta dalla buone maniera, affinché i
fanciulli gustino di trattenersi con chi loro insegna la dottrina. Chi usa aspre
maniere e ributtanti aliena gli animi dei fanciulli dalla dottrina cristiana. Quei
pochi che v‟intervengono si tediano, si divagano e nulla apprendono.
Quelli per altro che insegnano la dottrina cristiana con vero zelo, non si
trovano mai privi delle richieste qualità, perché l‟amor di Dio loro insegna
ogni modo opportuno per far profitto. Abbiano dunque molto amor di Dio,
considerino quanto sia cosa importante istruire le menti e formare i cuori dei
giovinetti, e quindi sperino abbondanti frutti dalle loro fatiche. Fatiche le
quali agli occhi di alcuni sembrano poco onorevoli e poco stimabili, perché
sono dirette alla tenera età, e il piú delle volte a fanciulli rozzi e malnati, ma
che sono preziosissime agli occhi di Dio, il quale non riguarda le cose coi
pregiudizi dell‟umana vanità891.
Il Compendio della Teologia Dogmatica vedeva la luce nel gennaio del
1842. L‟abbia subito conosciuto Don Bosco, non l‟abbia conosciuto, quando
un giorno l‟ebbe tra mano – ne curò la ristampa nelle sue Letture cattoliche
nel 1872, e fu piú volte ristampato lui morto: 1892, 1903, 1926 –, non poté
non riconoscersi in quei suggerimenti e vedervisi preceduto nel suo sistema
educativo. Di piú: a voler insistere sulle probabili dipendenze, potrebbe non
essere casuale la scelta dello stile fatta da Don Bosco per le prime edizioni
della sua Storia ecclesiastica – la prima è del 1845 –, che richiama quello
del Frassinetti usato in questo Compendio di Teologia Dogmatica uscito due
anni prima. Uno stile a domanda e risposta, ma a parti invertite: non è il
maestro che controlla il discepolo per vedere se ha studiato o non ha
891 G. FRASSINETTI, del Compendio della Teologia Dogmatica, Genova 1842, pp. 225236.
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studiato, ma è il discepolo che, spinto dal desiderio di sapere, pone domande
al maestro892.
CAPITOLO XXX
ERA DON BOSCO A CONOSCENZA
DELLE COSE DI GENOVA?
La San Raffaele e l’Oratorio di Don Bosco
A questo punto, chi conosce la storia dell‟Oratorio di Don Bosco, per le
analogie che si riscontrano con la San Raffaele, non può non porsi la
domanda se il Santo in qualche modo ne sia stato influenzato. Da quel che si
è detto, si possono già vedere delineate convergenze e divergenze tra la San
Raffaele di Genova e l‟Oratorio che Don Bosco farà sorgere a Torino di lí a
dodici anni. Uguale zelo per la salvezza dei giovani, attirati dai giochi e
dalle scampagnate, un extra che all‟epoca sapeva tanto di innovazione e di
stranezza. L‟una e l‟altro basavano la formazione sul catechismo e la
frequenza ai sacramenti. A Genova non abbiamo però un corpus separatum,
892 G. BOSCO, Storia ecclesiastica ad uso delle scuole, Torino, 1845. La quarta edizione,
curata dall‟Autore, 1871, muta lo stile a domanda e risposta in racconto continuo.
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ma un qualcosa che parte dalla parrocchia e porta alla parrocchia, divenendo
parte della sua vita. Fin dagli inizi a Genova c‟è un aggancio con i giovani
sacerdoti e con i chierici di teologia raggruppati nella “Beato Leonardo”, ai
quali, nell‟annessa Accademia, si offriva un perfezionamento spirituale,
teologico e pastorale. Giovani che restano legati alla propria diocesi e che
consumeranno la vita al suo servizio, meno pochi passati in questo e
quell‟istituto religioso. Sono qualcosa di corale, non l‟opera di uno. A
Genova c‟è, inoltre, in parallelo l‟Opera di Santa Dorotea per le fanciulle.
Ragazzi e ragazze, non i soli maschi, dunque, con la presenza fin dalle
origini di sante donne che, animate dallo stesso spirito, fanno per le
fanciulle ciò che chierici e sacerdoti fanno per i fanciulli.
Del Frassinetti ci sono pervenuti oltre cento titoli tra libri, opuscoli ed
opuscoletti. Dei primi dodici anni di sacerdozio soltanto un duecento pagine
di formato tascabile. Eppure quelle poche pagine parvero tali ai giansenisti
da poter fortemente influenzare il giovane clero in modo a loro discaro. Ne
fu influenzato anche il chierico e sacerdote novello Giovanni Bosco in
tutt‟altro modo?
Nel leggere quelle prime pagine del Frassinetti, in parte riportate nel
capitolo precedente, me le vidi animate con ciò che l‟otto dicembre 1841 era
accaduto a Torino nella sagrestia di San Francesco: l‟incontro di Don Bosco
con Bartolomeo Garelli. Ebbi l‟impressione che i due stessero recitando su
un copione del Frassinetti, ripetendo a Torino ciò che già da dodici anni si
faceva a Genova dallo Sturla, il Frassinetti ed i loro amici. Tali
rassomiglianze ci spingono a porre il quesito: Quell‟otto dicembre 1841,
data a cui si fa risalire l‟origine dell‟ Oratorio festivo e dell‟Opera salesiana,
fu Don Bosco in qualche modo influenzato dal Frassinetti e da quanto si
faceva a Genova e, perciò stesso, almeno indirettamente, da don Luca Passi?
Qui si tratta di stabilire non se Don Bosco conoscesse le opere del
Frassinetti e ne fosse un attento lettore, riconoscendone egli stesso l‟influsso
ed essendosene anche fatto editore, ma da quando le aveva cominciate a
leggere e ad apprezzare fino al punto da chiamarlo il “Suo Autore”893.
893 "Il mio Protettore è San Francesco di Sales / il mio Maestro è San Tommaso / 
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