1 MANFREDO PAOLO FALASCA UN PARROCO MODELLO DI PARROCI IL VEN. GIUSEPPE FRASSINETTI Felice il cuore che non ha piú se non un amore e un desiderio! un amore, e solo per Iddio; un desiderio, e solo di divenire cosí perfetto da piacere pienamente a Dio! GIUSEPPE FRASSINETTI CANTAGALLI 2 MANFREDO PAOLO FALASCA UN PARROCO MODELLO DI PARROCI VITA DEL VENERABILE GIUSEPPE FRASSINETTI PRIORE DI SANTA SABINA IN GENOVA FONDATORE D E I FIGLI DI S. MARIA IMMACOLATA Edizione maggiore ROMA 2006 3 A MARIA VERGINE NELLE CUI MANI IL SABATO 5 LUGLIO 1947 A SAN MARTINO AI MONTI IN ROMA AFFIDAI IL MIO SACERDOZIO QUESTO LAVORO IN CUI SI NARRA LA STORIA D'UN SACERDOTE CH'EBBE LEI PER LAMPADA IL SUO DIVIN FIGLIO PER REGOLA 4 INDICE GENERALE Indice generale Abbreviazioni Approvazione del Padre Generale Piano del lavoro Introduzione Parte I – Gli anni della preparazione – 1804 1827 Cap. 1 – Nel nome di Maria Cap. 2 – Esultate nel Signore, un Genovese è nato alla Chiesa Cap. 3 – La bufera napoleonica Cap. 4 – Il fanciullo ascoltava Cap. 5 – Le citoyen français Joseph Frassinetti Cap. 6 – 1 ricostruttori Cap. 7 – La famiglia Frassinetti Appendice al cap. VII – La zia Annetta Cap. 8 – L‟educazione dei figli Cap. 9 – Educando i fratelli educava se stesso Cap. 10 – Come a Cassiciaco – Una casa convento Cap. 11 – Fratelli in gara a chi dà maggior gusto a Dio Cap. 12 – Cos‟è che ti dà maggior gusto, o Dio? Cap. 13 – Bruciami Signora il cuore col fuoco del tuo amore Cap. 14 – Mira quant‟è bello essere fratelli e vivere uniti Cap. 15 – I “Ragazzi del Gianelli” Cap. 16 – L‟adolescente focosissimo Cap. 17 – Il seminario di Genova prima del rettore Cattaneo Cap. 18 – I “Ragazzacci” Mazzini e compagni Cap. 19 – Gli interessi culturali Cap. 20 – Lo studente di filosofia Cap. 21 – Cosa studiare e con quale spirito pensando all‟altare Cap. 22 – Lo studente di teologia Cap. 23 – Oltre la scuola I Cap. 24 – Oltre la scuola II Appendici I e II al cap. 24 Cap. 25 – L‟incontro con Sant‟Alfonso Cap. 26 – Ubi Petrus ibi Ecclesia Cap. 27 – Sacerdote – Un fuoco ardente gli bruciava il cuore VII XI XIII XV XVII 1 3 11 19 26 38 50 59 69 84 95 103 113 119 129 142 158 180 200 211 231 241 251 261 276 296 316 322 339 342 5 Parte II – Il Pastore Prospetto della II parte Nell‟attesa che il Vescovo gli assegni il suo compito Cap. 28 – Come atleta al via Cap. 29 – Gli oratori festivi Appendice sul modo di insegnare la dottrina ai fanciulli Cap. 30 – Era Don Bosco a conoscenza delle cose di Genova? Cap. 31– La “Beato Leonardo” e l‟Accademia di studi ecclesiastici Il parroco Cap. 32 – Parroco a Quinto Cap. 33 – Parroco a Santa Sabina in Genova Cap. 34 – Le associazioni Cap. 35 – Parroco maestro di parroci Triboli e spine Cap. 36 – Denunciato come eretico e membro di società segreta Cap. 37 – Nel 1846 osò smascherare il Gioberti creduto messia… Stralci del Saggio intorno alla dialettica del Gioberti A Vincenzo Gioberti il Seminario di Genova Cap. 38 – Nella bufera del 1846-1849 Cap. 39 – Ancora triboli e spine Giuseppe Frassinetti apostolo della vita consacrata Cap. 40 – Giuseppe Frassinetti alle origini delle Dorotee Cap. 41 – Primi passi delle Dorotee sotto la guida del Frassinetti Cap. 42 – Paola a Roma Cap. 43 – Differenze di vedute tra fratello e sorella Cap. 44 – La storia delle Regole Cap. 45 – Il 1857 segnò un prima e un dopo Cap. 46 – Don Pestarino e le ragazze di Mornese Cap. 47 – Le Figlie di Maria Immacolata “Monache in casa” Appendice: Lettera di GB Lemoyne Cap. 48 – Alcune figlie di M. I. diventano figlie di M. Ausiliatrice Cap. 49 – I Figli di S. Maria Immacolata – Il padre Antonio Piccardo Il moralista Cap. 50 – Il moralista Cap. 51 – Liberale o reazionario il Frassinetti? Cursum consummavi, fidem servavi Cap. 52 – Vieni Servo fedele assiditi al Convito del divino amore Cap. 53 – Vergine Maria, Madre di Gesù, fateci santi Resta con noi ché si fa sera Cap. 54 – Il Priore nel ricordo dei genovesi Cap. 55 – Il Frassinetti in giro per il mondo Cap. 56 – Congedo Sulla via degli Altari 353 355 357 359 366 372 376 389 395 397 403 408 413 419 421 426 441 446 448 457 465 467 480 510 528 540 555 592 606 629 633 652 661 663 671 683 685 691 695 697 704 714 719 6 Cap. 57 – Il processo di canonizzazione Documenti Documenti del Frassinetti Cap. 58 – Documenti I-XV Documenti non del Frassinetti Cap. 59 – Varie redazioni del “Piano ristretto” delle Dorotee Cap. 60 – Sinossi dei titoli delle Regole della Barat e della Frassinetti Indici Indice biblico Indice dei nomi ABBREVIAZIONI1 Atti dei processi POS.sD. = Positio super dubio an sit signanda Commissio Instructionis Causæ Beatificationis et canonizationis Servi Dei Josephi Frassinetti, Romæ, 1934. Ed in essa: A = Animadversiones E = Epistolæ postulatoriæ I = Informatio RA = Responsio ad Animadversiones S = Summarium SS = Summarium ex officio super scriptis T = Tabella textium POS.sV. = Positio super virtutibus Servi Dei Josephi Frassinetti, Romæ 1990. Ed in essa: A = Animadversiones G = De gratiis a Dei Famulo impetratis I = Informatio P = Prænotatio Relatoris PS = Positio super scriptis PSN = Positio super scripris nuper inventis 1 Altre abbreviazioni e citazioni complete nella Bibliografia in fondo al volume. 721 727 729 731 763 765 776 779 781 785 7 R = Responsio ad animadversiones S = Summarium SA = Summarium additionale 1 e 2. T = Tabella testium POS.P.F = Positio super introductionis Causæ Beat. et Canonizationis Servæ dei Paulæ Frassinetti, Romæ 1906. RV = Relatio et vota Congressus peculiaris super virtutibus Servi Dei Josephi Frassinetti, Roma 1990. CFS = Copia publica transumpti Processus Servi Dei Josephi Frassinetti in Curia Januensi constructi super fama sanctitatis, Genova 1930, vol. 1, ff. 1-591; vol II, ff. 5921182. CPC = Copia publica transumpti Processus Servi Dei Josephi Frassinetti in Curia Januensi constructi super cultu Servo Dei Josepho Frassinetti nunquam præstito, Roma 1934, ff. 131. CPV = Copia publica transumpti Processus Servi Dei Josephi Frassinetti in Curia Januensi constructi super virtutibus et miraculis Servi Dei Josephi Frassinetti, Roma 1944, ff. 375. OEI = GIUSEPPE FRASSINETTI, Opere edite ed inedite. Archivi ADA ACAG ACGSJ ACGSD ACGSG ACM AF APMA APSL APSS APV AS ASAG ASG = Arch. De Albertis, Genova. = Arch. Curia Arcivescovile, Genova. = Arch. Curia Gener. Compagnia di Gesù, Roma. = Arch. Curia Gener. Suore di S. Dorotea, Roma. = Arch. Curia Gener. Suore Gianelline, Roma. = Arch. A. Charvaz, Moûtiers (Savoia). = Arch. Frassinettiano, Curia Gener. dei FSMI, Roma. = Arch. Parrocchia di Maria Assunta, Genova-Rivarolo. = Arch. Parrocchia di San Lorenzo, Genova. = Arch. Parrocchia di Santo Stefano, Genova. = Arch. Parrocchia delle Vigne, Genova. = Arch. Istituto dei Sordomuti, Genova = Arch. Seminario Arcivescovile, Genova. = Arch. di Stato, Genova. 8 AUG = Arch. Università, Genova. Dizionari, enciclopedie e raccolta di testi DicB = Dictionnaire de la Bible. DicBS = Dictionnaire de la Bible, Supplément. DicThC = Dictionnaire de Théologie Catholique. DicThC = Dictionnaire de Archéologie Chrétienne. DizRis = Dizionario del Risorgimento Nazionale. EC = Enciclopedia Cattolica. EI = Enciclopedia Italiana. KTW = G. KITTEL-G. FRIEDRICH, Theologishes Wörterbuch zum N. T., trad. it: Grande lessico del N.T. Mor = Dizionario di erudizione storico-eccles. di G. MORONI. PG = Migne, Patrologia Greca. PL = Migne, Patrologia Latina. PRESENTAZIONE La vita del Ven. Giuseppe Frassinetti, uscita ridotta di piú di una metà della stesura originaria, è qui data come essa fu concepita. Presentando l‟edizione minore dicevo che non mi sarei meravigliato della meraviglia di chi l‟avesse presa in considerazione di fronte allo sviluppo dato alla prima parte, agli anni della formazione: ben 160 pagine! Qui più del doppio, 351. Tante, se si pensa come ne è avara la stessa Positio, e se ne rammarica il quarto Consultore Teologo: “Dagli Atti della Causa [di canonizzazione] non risulta quasi nulla su questi anni che sono, invece, a nostro parere, fondamentali per lo studio delle sue virtù”. Critica che mi ha incoraggiato a dare un tale sviluppo agli anni della formazione. Vi si presenta un giovane santo in una famiglia di santi, un giovane che, pur vivendo a casa ed in parrocchia, si forma santamente al sacerdozio in tempi tristissimi e sa innamorare alla vita consacrata i tre fratelli minori, anch‟essi sacerdoti, e la 9 sorella, santa canonizzata, da lui formata e sostenuta nella fondazione delle Dorotee. Un esempio di famiglia santa che in tempi tanto turbinosi seppe vaccinarsi contro i mali dell‟epoca. Nello scrivere di un santo o di un servo di Dio se ne può essere cosí affascinati da farne un primo piano isolandolo dalla gente in mezzo alla quale egli visse, da cui ricevette e a cui diede e con cui fece corpo. Sembra ne esca ingigantito, in realtà ne esce impoverito di quello che io chiamo “effetto eucaristia”, cioè i molti che per nutrirsi di un solo Pane diventano un solo corpo in Cristo. Un toglierlo dall‟orchestra per farne un solista. Il Frassinetti non fu un solista prestigioso, fece parte di una orchestra messa su da lui e dallo Sturla di cui egli fu il Toscanini. In quella loro Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio i molti divennero uno, viva testimonianza di cosa possa quel Pane. Nei primi ventisette capitoli si parla della sua formazione al sacerdozio scritta pensando in particolare ai giovani che ne fossero chiamati e non potessero entrare in seminario. Nella seconda si parla di quel suo sapere essere due in uno, pastore e scrittore, uno che, pur tenendo se stesso in ombra, scrive il suo vissuto per esortare quanti lo leggeranno alla perfezione di cui è perfetto il Padre nostro che è nei cieli, ed invitare quanti più può al “di più”, facilitandone il modo sí da rendere la vita consacrata a tutti possibile, anche a chi per un motivo o per un altro non possa uscire dal proprio ambiente e dalla propria casa. Nell‟una e nell‟altra parte cito con molta larghezza pagine e pagine del Venerabile da lasciare l‟impressione di leggere una sua autobiografia. Mi sono molto indugiato sulla nascita e natura di due istituti femminili, le Dorotee e le Figlie di Maria Immacolata. Del primo, dopo aver detto come egli lo aveva pensato ed iniziato, parlo della sua evoluzione a cui egli non ebbe più parte diretta. Il secondo anticipava di quasi un secolo le congregazioni laiche, anche nel nome. Ebbero una splendida fioritura. Un gruppo, dopo la sua morte, nelle mani di san Giovanni Bosco fu il lievito delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ma diverse da come egli le aveva pensate: donne consacrate che all‟esterno in nulla si distinguessero dalle altre donne se non nello spirito e per il fuoco che ardeva loro in cuore. Era stato un anticipare troppo i tempi. Dette anche agli uomini la stessa opportunità di vivere la perfezione cristiana senza in nulla distinguersi dal resto della popolazione. Da un gruppo di questi giovani nascerà l‟Opera dei Figli di Maria Immacolata e da essa, ad un trentennio dalla sua morte, la Congregazione dei Figli di Santa Maria Immacolata. Nel Frassinetti vedo 10 avverato il detto paolino: “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma di Dio la maturazione”2. Non stupiscano le molte note a pie‟ di pagina con tanti rimandi. Nel dubbio se lasciare o non lasciare la documentazione delle mie ricerche, le ho lasciate pensando che potrebbero essere utili a chi voglia approfondire la conoscenza del Venerabile. Voglia questo mio lavoro aiutare a farlo conoscere. A chi lo ha scritto è ricompensa le molte ore passate in sua compagnia e l‟amicizia che ne è nata. Manfredo Paolo Falasca Un grazie alla Gianellina Madre Maria Tarquini della Natività e a Suor Diana Barbosa della Dorotee di Santa Paola Frassinetti per i documenti di archivio che mi hanno fornito e a quanti altri sono venuti incontro alle mie richieste. 2 Cor 3,6 11 INTRODUZIONE La storia è quella che forma il cuore piú che tutte le altre scienze, perché la scienza dei fatti è la piú persuasiva. G. FRASSINETTI, Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici. Quando [i panegiristi] si fanno a dire le lodi di un santo, generalmente scelgono le cose piú mirabili della sua vita; cosicché non sono pochi coloro i quali si danno a credere che, quando sono riusciti a rimandare gli uditori sorpresi per stupendi prodigi e per fatti eccelsi ed inarrivabili, abbiano pur lodato il santo nel miglior modo possibile… Il fondamento del merito, la base della lode, non sono già i doni stupendi soprannaturali che Dio solo opera senza il concorso dell‟uomo… Il fine per cui si lodano i santi non è di eccitare chi ascolta ad una sterile ammirazione, ma di spingerlo alla piú fruttuosa imitazione… G. FRASSINETTI, Discorsi a sacerdoti e chierici. Sono stato in dubbio se mutare l‟Introduzione-prefazione in una “postfazione” ponendola a chiusura del racconto. Ho scelto una via di mezzo. Se il Lettore è curioso di sapere a quali fonti ho attinto prima di accingersi a leggere il lavoro, cominci dalle pagine in fondo al volume dove se ne parla, se desidera conoscere con quali criteri mi sono accinto a narrare la storia del Servo di Dio, legga qui di seguito. Non mi è stato difficile far mio il suggerimento riportato nel corsivo, perché invano si cercherebbero nel parroco Giuseppe Frassinetti fatti e prodigi da restarne sbalorditi, come se ne trovano, per esempio, nel suo amico ed estimatore san Giovanni Bosco. Lo straordinario del Frassinetti fu l‟eroica fedeltà all‟ordinario d‟ogni ora quale doveva proporsi un pastore di anime, ché altro non seppe né volle essere. Nulla che non si possa fare anche noi. Nella biografia di santa Angela Merici da lui scritta, passando a parlare delle sue virtú, le divide in virtú imitabili e virtú ammirabili3. Le virtú del Frassinetti sono tutte virtú imitabili. Ammirabile il loro insieme armonioso e la perseveranza con cui le seppe praticare dalla prima giovinezza alla fine dei suoi giorni. 3 G. FRASSINETTI, Vita ed Istituto di S. Angela Merici, Genova 18673, pp. 72-99. 12 Il Frassinetti non fu un teorico della spiritualità, né studiò pagina per puro amore di cultura religiosa. Era troppo zeneise riso ræo per crogiolarsi di astrazioni e aggiungere teorie a teorie. La sua mentalità partecipava della concretezza di suo padre dietro il banco della sua bottega. Se gli chiedevano tre palmi di panno, voleva sapere per che farci e suggeriva la qualità piú adatta e se quei tre palmi erano troppo o poco. La teologia del figlio fu una teologia applicata alle situazioni concrete delle anime, alla gente che aveva sotto i suoi occhi, una teologia tutta ordinata alla santificazione propria ed altrui, per linee semplicissime. Scopo della vita è piacere a Dio, studiare quindi quali sono le cose che gli piacciono e quali sono quelle che non gli piacciono per fare le une e tenersi lontano dalle altre. Dio conosce l‟uomo, non può quindi chiedergli cose impossibili e, se di per sé sono cose impossibili alla condizione umana, vuol dire che gli ha già predisposto gli aiuti di grazia perché l‟impossibile diventi in lui possibile. Suo punto di riferimento fu sempre Gesú Cristo, regola del sacerdote, titolo d‟una sua opera fortunatissima di cui parleremo a suo luogo. Ma Gesú cœpit facere et docere4, visse cioè quel che insegnava o, meglio, insegnò il suo vissuto. Anche il Frassinetti insegnerà il suo vissuto. Non una virgola che non sia legata all‟esperienza vissuta, a lungo vissuta, o direttamente, se si tratta di virtú proprie dello stato sacerdotale o, se con esso incompatibili, quali i doveri d‟una sposa, di una madre, di un padre di famiglia, rivissute per essersi fatto tutto a tutti nelle lunghe sedute in confessionale e negli incontri con i suoi parrocchiani. Ne sono riprova i suoi lavori di maggior respiro ed impegno: Il manuale pratico del parroco novello ed il Compendio della teologia morale, scritti non fresco di studi, ma dopo trentadue anni di parrocato il primo, trentotto di confessionale il secondo. Scrisse il suo vissuto, spesso a distanza di molti anni. Ci può illuminare un suo trattatello di 32 paginette, stampato a Genova nel 1853: Le amicizie spirituali (Imitazione da S. Teresa di Gesú). Nei seminari non c‟era predica in cui non si mettessero in guardia i giovani dai pericoli delle amicizie particolari, ed ogni amicizia ingenerava il sospetto che fosse tale. Un tenersi lontani dal focolare per paura di scottarsi. Il Frassinetti è stato l‟uomo delle amicizie, amicizie pensate 4 At 1,1. 13 come il miglior sostegno vicendevole per santificarsi e santificare, e lo fu da molto prima che si innamorasse delle opere di santa Teresa di Avila. Quando scoprí che la santa aveva pensato non diversamente da lui, non gli parve vero di conferire ben altra autorità a ciò che egli aveva sempre pensato e praticato. In quei primi libriccini dati alle stampe per esortare a vivere i consigli evangelici e tendere alla santità, si avverte che la loro prima stesura era il vissuto dell‟adolescente nella casa paterna; le argomentazioni, quelle usate ancora studente per innamorare se stesso, la sorella e i fratelli minori alla vita consacrata; e poi, nei primi anni del suo sacerdozio, le amiche della sorella, che andranno a formare il primo nucleo delle suore dorotee. Trovando nello studio dei Padri, di san Tommaso d‟Aquino, di Sant‟Alfonso, o nella storia della Chiesa, le piú belle pezze d‟appoggio, non gli pareva vero di poterle usare per avvalorare il suo dire. È l‟espediente consigliato nelle Industrie spirituali in difesa dall‟accusa di fare cose nuove: Uno dei pretesti piú frequenti, onde il mondo fa guerra al bene, è quello della novità. Per la qual cosa tu procurerai di togliere, per quanto sarà possibile, l‟aria di novità al bene che vuoi promuovere, studiandoti al possibile di presentarlo come imitazione di ciò che in altri tempi o in altri luoghi è stato fatto, la qual cosa non ti sarà difficile, essendo vero che nil sub sole novum (Eccl. 1,10)5. Tutte le buone istituzioni, di qualunque genere siano, hanno riscontri nella storia; i quali, ove vogliano cercarsi, si troveranno. Da siffatta industria verrà ancora quest‟altro bene: ne avrà minore soddisfazione l‟amor proprio, parendo tu piuttosto imitatore che inventore 6. Ricorse a tale industria anche quando scoprí che santa Angela Merici, piú di tre secoli prima, aveva creato un‟opera simile alle sue Figlie di S. Maria Immacolata. Le attribuí subito l‟onore della scoperta, conferendo sapore di antico alla sua nuova istituzione in cui si vivevano i consigli evangelici senza entrare in convento. Anzi, in alcune circostanze, i consigli evangelici si sarebbero potuti vivere persino in misura piú perfetta e con maggior impegno di apostolato restando nel secolo senza in nulla distinguersi esteriormente dagli altri buoni cristiani. Era cosa antica, già nella tradizione della Chiesa! Di suo non 5 Nelle versioni dall‟ebraico Qo 1,9. 6 G. FRASSINETTI, Industrie spirituali secondo il bisogno dei tempi, “Letture Cattoliche” di Don Bosco, Torino 1860. Cito dalla 3a ed., Genova 1864, pp. 14-15. 14 c‟era che… l‟imitazione. Del resto, aveva già attribuito alla Maccagno e a don Pestarino tutto il merito dell‟iniziativa. Ma la Maccagno versava acqua della sorgente Frassinetti giuntale dall‟acquedotto don Pestarino e dai libretti del Frassinetti con cui il Pestarino l‟abbeverava. In realtà la nuova associazione non faceva altro che estendere alle ragazze ed alle vedove, come pure ai giovani nell‟istituzione parallela dei Figli di S. Maria Immacolata, lo stile di vita che il Frassinetti stesso attuava da anni con un gruppo di amici sacerdoti, ed altro non era se non la continuazione del modo in cui egli aveva vissuto la giovinezza nella sua famiglia casa-convento. Una sua lettera a padre Giovanni Roothaan, preposito generale dei gesuiti, in data 9 febbraio 1838, firmata da lui e da sei suoi amici ci rivela che tale era già da un pezzo la vita vissuta dal Servo di Dio. Si proponevano, vi si afferma, di essere “un quid medium tra la Compagnia e il Clero… Gesuiti quanto è possibile, e sacerdoti secolari quanto è necessario”7, quanto dire religiosi al secolo, invece che in convento. Che scrivendo i suoi libri si rifacesse alla sua vita vissuta, ce lo dice espressamente lui stesso nella presentazione delle Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici proposte ai chierici: Ciascuno facilmente si persuade poter tornar utile altrui ciò che prova utile per se stesso. Pertanto voglio confidare che alcune avvertenze intorno agli studi ecclesiastici, le quali ho provato di qualche utilità per me, possano riuscire di qualche utilità per voi, o Chierici studiosi. Questa e non altra si è la ragione che m‟induce a presentarvele8. Il Frassinetti non si fece santo in un romitorio. Se non fu del mondo, non visse un sol giorno fuori del suo mondo. Trascorse l‟intera vita nel cuore stesso della sua città, salvo gli otto anni di parrocato a Quinto, una lunga passeggiata da Genova con cui non perse mai il contatto. Visse nel mondo anche per tutto il periodo degli studi, avendo frequentato il seminario solo come alunno esterno. Fu uomo socievole e fece corpo con quanti altri a Genova ebbero i suoi stessi ideali e con essi fu il lievito della “Beato Leonardo” in cui troviamo i nomi di quanti poi 7 AF, Lettere del Frassinetti. L‟originale nell‟Archivio della Curia generalizia dei Gesuiti. 8 G. FRASSINETTI, Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici proposte ai chierici, Genova 1839, p. VII. 15 sarebbero stati il fiore del clero genovese. Attuò il segno dell‟eucaristia dei molti che si fanno uno in virtú di un unico pane9. Sarebbe perciò uno snaturare la sua storia se lo isolassimo per farne un solista, mentre è il piú bello strumento di un‟orchestra messa su principalmente da lui e da lui diretta. Si parlerà quindi del maestro e della sua orchestra. Una storia, almeno nelle intenzioni, a tutto campo: il monte Fasce della sua Genova visto nell‟intera catena appenninica, non come cima solitaria in desolata pianura. Lui e i suoi amici nel loro tempo. Quel loro tempo, purtroppo, ci è giunto falsificato dalla sfacciata miticizzazione che ne hanno operato i testi scolastici e tutta la pubblicistica risorgimentale. Tre esempi. In una delle stampe piú diffuse vediamo un fanciullo con un alto cappello a cono, la cui punta non arriva alla spalla della madre che lo tiene per la manina, guardare impietosito i patrioti del 1821 chiedere elemosina prima di imbarcarsi per l‟esilio. Quella visione l‟avrebbe convertito alla causa nazionale10. È il Mazzini. In realtà nel 1821 il Mazzini aveva sedici anni e in quei giorni, invece che uscire tenuto per la manina dalla madre, usciva capo brigata, la mano armata di manganello, a fare il bastonatore a Sotto Ripa. Si era già reso famoso l‟anno precedente per una chiassata fatta in chiesa e per i provvedimenti scolastici presi a suo carico . La sollevazione di tutto un popolo contro i francesi di Napoleone per difendere la propria fede è stata sempre sentita in Spagna come la piú bella epopea della sua storia, e quanti collaborarono con lo straniero furono giudicati traditori. Da noi è stato il contrario. Gli insorgenti al grido di “Viva Maria!” sono stati ignorati e, quando non si è proprio potuto non parlarne, come a Napoli, sono stati presentati come briganti e lazzaroni; purissimi eroi, invece, i collaborazionisti dell‟invasore, i quisling dell‟epoca. Non una parola delle ruberie, delle violenze e delle fucilazioni senza numero operate dai francesi, eppure la loro occupazione non fu dissimile da quella dei tedeschi in quest‟ultima guerra. In un corso di storia, tra i piú adottati nei nostri licei tra le due guerre ed anche dopo, si legge: “Le leggi Siccardi… infrenarono 9 1 Cor 10,17. 10 G. MAZZINI, Note autobiografiche, cap. I, nell‟ediz BUR 1986, pp. 51-52. 16 l‟aumento dei beni delle congregazioni religiose”11. Tutta qui la penosa storia degli incameramenti dei beni ecclesiastici. Frati e monache cacciati dai loro conventi cambiati in caserme, carceri ed altri edifici pubblici; biblioteche preziosissime passate allo Stato, senza contare le opere di incalcolabile valore mandate disperse, non una parola. Né una parola sui modi in cui quelle leggi furono eseguite ed il danno che ne venne a molti poveri ai quali si provvedeva con quei beni espropriati. Di qui la necessità di riscrivere quei tempi, almeno quanto basta per comprendere l‟influsso che ebbero sul nostro Venerabile che quella storia in parte visse ed in parte apprese dal racconto dei suoi di casa come poteva narrarla gente che ne era stata vittima. Non paia quindi sproporzionato lo spazio che gli si è dato nei primi capitoli e in quelli dove, nella seconda parte, si parlerà del pastore che smaschera i lupi in sembianze d‟agnelli venuti ad insidiargli il gregge. Ancora una parola sui tempi come essi furono e non come si è facilmente portati a falsificarli. Non c‟è nulla di peggio che leggere la storia di ieri con la mentalità dell‟oggi, dimenticando, per esempio, che le anime affidate a quei zelanti pastori erano in parte gente analfabeta ed in parte persone appena in grado di leggere e scrivere come può chi ha fatto solo qualche classe delle elementari. Un pubblico, questo, ignorato dal Gioberti e dal Mazzini, il cui “popolo” fu la medio alta borghesia, una sparuta minoranza di quante persone in Italia respiravano aria. Non cosí per il Frassinetti. Basta questa considerazione per dedurne che il bene operato da questo apostolo non si può misurare dal numero delle bibbie diffuse a gente che non ci si sarebbe raccapezzata, né meravigliarsi del largo spazio dato alle pratiche devozionali per nutrirne la pietà. I libri a loro destinati dovevano essere tali da potersi comprendere dall‟analfabeta al sentirseli leggere da chi aveva fatto terza elementare e forse anche meno. Un nutrire di latte chi era privo di denti atti a masticare cibi duri12. Di questo dover rileggere la storia con gli occhi del tempo se ne debbono essere completamente dimenticati non pochi rievocatori di Don Bosco nel centenario della sua morte. Il fine che si propose Don Bosco era identico a quello del Frassinetti e di tanti altri santi pastori: 11 P. SILVA, Corso di storia ad uso dei licei, vol. III. Milano-Messina 195412, p. 297. 12 1 Cor 3,2. 17 salvare anime, ossia tenerle lontane dal peccato ed animarle a praticare quanto piú potessero tutte le virtú cristiane. Da mihi animas et cetera tolle13, dammi anime ed altro non voglio, l‟anelito di Don Bosco, rida pure qualche biblista per il senso dato dal Santo al passo della Genesi. Per tal via ottenne anche gli effetti sociali, e che effetti!, ma per un riflusso delle ricchezze dello spirito sull‟umano quotidiano. Don Bosco non fu un sindacalista o qualcosa del genere. Fu uno che volle chiudere le porte dell‟inferno ai giovani e spalancar loro quelle del paradiso. Cosí facendo ne vennero fuori onesti cittadini, spesso ben qualificati e sistemati nella vita. Sulla stessa linea, ma nei compiti d‟un parroco che abbraccia tutti, il Frassinetti. Altrettanto errato sarebbe pretendere che nell‟Ottocento i pastori d‟anime guardassero i protestanti come “fratelli separati” invece che come lupi venuti ad insidiare la fede del loro gregge. Ed in realtà, piú che annunciatori della verità, si trattava di individui, non pochi dei quali preti spretati, coalizzati con anticlericali e massoni, e non di rado essi stessi massoni, contro quanto sapesse di cattolico. Anche le cose buone, di cui si facevano latori, erano presentate in polemica con la Chiesa. La Bibbia, per esempio, veniva ridotta a strumento per confutare la perpetua verginità di Maria santissima, il culto dei santi, l‟autorità del papa, il celibato,… a voler tacere la somma di calunnie e di infamie che lanciavano a piene mani contro la Chiesa cattolica ed il suo capo. Velare di silenzi la lotta di un Don Bosco o d‟un Frassinetti contro l‟invadenza dei protestanti, perché non in armonia con l‟odierno movimento ecumenico, sarebbe un adulterarne la figura. Peggio poi se, dicendo e non dicendo, si volessero scusare e chiedere per loro perdono ai figli di coloro che ne insidiarono il gregge. Un chiedere perdono che in realtà altro non è che un atto di accusa. Dio voglia che domani non si debba chiedere perdono a Dio di troppo riguardosi silenzi. Questi santi pastori lavorarono alla salvezza del popolo nel mezzo del quale essi vivevano. Non furono dei teorici da tavolino o dei cattedratici. Nessuna meraviglia, quindi, se si incontrano forme di apostolato che oggi non hanno piú senso, ma la mancanza di tali forme, oggi morte, sarebbe per loro un grave capo d‟accusa: non aver 13 Gen 14,21. 18 conosciuto il loro gregge ed averne disatteso i reali bisogni. L‟apostolo Paolo nutriva di latte chi non era capace di masticare pane14. D‟altra parte, nel Frassinetti non mancarono semi di iniziative che ebbero del profetico, ma il nostro Priore seppe non forzarne una crescita fuori stagione, lasciando che la Provvidenza li portasse a maturazione in questi nostri tempi. Se ne fu mai toccato, egli seppe resistere a tale tentazione, perché viveva la stessa fede di quella teoria di santi che ci squaderna l‟Epistola agli ebrei: Tutta gente morta con in cuore le promesse quaggiú non conseguite, ma soltanto viste e strette da lontano, testimoniando di sentirsi straniera sulla terra e di passaggio, perché, chi cosí si comporta, attesta di tendere ad una patria15.. Qui cade bene a proposito una considerazione del card. Newman, che penso possa estendersi anche al campo pastorale: Quando ero anglicano, studiando la storia ecclesiastica, mi si concentrava l‟attenzione su come l‟errore, da cui poi si sarebbe sviluppata un‟eresia, era dovuto all‟aver insistito fuori tempo su un aspetto della verità non tenendo conto della proibizione dell‟autorità. Ogni cosa ha un suo tempo. Non sono pochi quelli che desiderano la riforma di un abuso, o lo sviluppo piú pieno di una dottrina, o l‟adozione d‟un suo personale piano, senza chiedersi se sia quello il momento giusto. Anzi, sapendo che nessuno si moverà in quella direzione nei suoi giorni, se non è lui stesso a muoversi, si rifiuta di dare ascolto alla voce dell‟autorità e manda in rovina nel suo secolo un buon lavoro perché non abbia a compirlo felicemente un altro nel secolo successivo. Un uomo siffatto potrà passare alla storia come un audace campione della verità ed un martire del libero pensiero, mentre è proprio una di quelle persone a cui l‟autorità competente dovrebbe imporre il silenzio anche se la materia non rientra nel campo dell‟infallibilità. Ciò non di meno un tale intervento, per aver tacitato un riformatore, passerà alla storia come un esempio di tirannica ingerenza nelle private opinioni… mentre, d‟altro canto, potrebbe venire in soccorso dell‟autorità un violento partito oltranzista che muta le opinioni in dogmi, avendo soprattutto a cuore l‟eliminazione d‟ogni corrente di opinione diversa dalla propria… Sono posizioni che si riscontrano sia nei tempi passati come nei presenti16. 14 1 Cor 3,2. 15 Eb 11,13-14. 16 J. H. NEWMAN, Apologia Pro Vita Sua, General Answer to Mr. Kingsley, in una mia traduzione. 19 Il Frassinetti seppe innovare senza forzare o violentare. Gettò il seme, seppe aspettare il tempo necessario perché germogliasse e non gli importò se poi altri fossero venuti a mietere nel suo campo, memore del paolino: Chi è poi Apollo? chi è mai Paolo? ministri per mezzo dei quali veniste alla fede, ciascuno ricco di quel che Dio l‟arricchí. Fui io che piantai, Apollo innaffiò, ma fu Dio a far crescere. Perciò non è granché né chi pianta né chi innaffia, bensí colui che porta a maturazione, Dio. Del resto chi pianta e chi innaffia formano un tutt‟uno e ciascuno riceverà la propria mercede secondo la propria fatica, quali collaboratori di Dio 17. Furono in tanti a mietere là dove il Frassinetti aveva seminato e si era rallegrato nel vedere il campo verdeggiare, come, ad esempio, la bella fioritura delle Figlie di S. Maria Immacolata di Mornese divenute con Don Bosco Figlie di Maria Ausiliatrice. Mi sono però ugualmente guardato dal presentarlo come un profeta dei tempi nuovi ed anticipatore del Concilio Vaticano II. Una tentazione a cui era facile cedere per le molte rispondenze tra la sua pastorale e le prescrizioni e direttive che ci sono state date dal Concilio. Preferisco sia il lettore a notarle, forse con sorpresa, se la sua conoscenza della religione fosse legata a certa pubblicistica che gli avesse dato a credere che il Concilio abbia segnato per la Chiesa l‟anno zero ed operato una conversione ad U rispetto al passato, stabilendo un prima e un dopo fino a rompere la continuità della storia. La pietra che fa da confine tra il prima e il dopo è Cristo, e solo Cristo, in cui il prima si ordina al dopo. Le molte rispondenze, piú che dono profetico, sono effetto di una causa che potremmo chiamare naturale nell‟ordine della grazia: lo studio amoroso della Scrittura ed il sentire con la Chiesa di sempre. Un essersi abbeverati, sia il Frassinetti che i Padri conciliari, alla stessa fonte. Di qui la sua devozione alla Vergine Immacolata, all‟Assunta e l‟adesione all‟insegnamento pontificio, anche se erano verità non ancora definite; di qui la pietà illuminata, cristocentrica e mariana, nutrita di grazia sacramentale, soprattutto di eucaristia, anche quotidianamente ricevuta; di qui l‟unione con i confratelli nel sacerdozio e l‟associarsi i laici, uomini e donne, nell‟apostolato e nell‟offerta totale a Dio, pur continuando ciascuno a vivere nel proprio ambiente e a svolgere la propria attività confusi con gli altri, ma diversi da loro; di qui il 17 1 Cor 3,5-9. 20 circondarsi di giovani discepoli, mandati a scuola in Seminario, ma preparati in parrocchia al ministero, un po‟come i loro coetanei imparavano in bottega guardando il “mastro” lavorare, facendo con lui e come lui, e sognando d‟uguagliarlo nell‟arte, ed anche superarlo. Sembra a tanti che per far risplendere la luce dei tempi presenti, si debba mutare in tenebra il tempo passato. Eppure basterebbe entrare in una biblioteca e sostare un minuto innanzi ai 382 volumi del Migne, a non voler tener conto dei volumi del Supplementum, o leggere una sola questione della Summa, perché nasca il dubbio che i secoli in cui furono scritte tali opere non dovettero essere poi cosí tenebrosi, tutt‟altro! Non si getterebbe tra i rifiuti ciò che non si conosce. Il Frassinetti, per innovare nella tradizione, fu un cultore della storia ecclesiastica e a tale studio esortò vivamente il clero. C‟è un modo spiccio con cui si usa spesso compendiare la vita d‟un servo di Dio: rapportarlo ad un santo insigne ed etichettarlo “secondo” dopo di lui, senza precisare a quale distanza e con quanti altri condivida quel secondo posto. Il Frassinetti è conosciuto come il “Secondo Curato d‟Ars”. Il primo che affidò alla carta stampata ciò che a Genova era impressione generale, aver avuto un secondo Curato d‟Ars, fu il genovese Domenico Fassiolo: Io non voglio né sono da tanto da istituire paragoni, ma se mi fia lecito esternare un mio sentimento, dirò che come la Francia in questi ultimi tempi si gloria del Servo di Dio, Giovanni Battista Vianney, Parroco d‟Ars, che toccò il sommo nella perfezione delle sacerdotali virtú, cosí l‟Italia può ancora gloriarsi del compianto Priore di S. Sabina. Ambedue zelantissimi della gloria di Dio e della salute delle anime, instancabili nell‟esercizio dei loro pastorali uffici, nulla mai mostrando di terreno nel loro conversare, nulla che non fosse conveniente al loro sacerdotale carattere. E di vantaggio, se il primo edificò la Francia colle ammirabili opere dell‟eroismo e dei miracoli, il secondo edificò non meno l‟Italia e l‟estero col portento de‟ suoi scritti e colla grandezza della sua umiltà....18. Il raffronto, ritenuto valido, fu ripreso dai biografi posteriori e riportato dalle enciclopedie ecclesiastiche italiane e straniere nel profilo 18 D. FASSIOLO, Memorie storiche intorno alla vita del Sac. Giuseppe Frassinetti Priore a S. Sabina, Genova, 1878. p. 9. 21 del Servo di Dio19. Rimase cosí fissata in quell‟appellativo l‟immagine che del santo Priore si erano fatta i genovesi e quant‟altri erano passati per Santa Sabina rimanendone edificati. Era la vox populi che in Genova anticipava la voce della Chiesa sia per un frate cercatore, chiamandolo Padre Santo, sia per un parroco di un‟umile chiesa ritenendolo un curato santo, un “Santo Curato d‟Ars”. Questo l‟aspetto che piú aveva colpito gli occhi dei genovesi, mentre, dalla molteplicità di quello che scrisse: dove si ha tanta copia di cose, – annotava lo Stendardo Cattolico l‟otto gennaio 1868, una settimana dalla morte del Servo di Dio –, avrà supposto, chi non fosse Genovese, lui non aver atteso quasi mai ad altro che scrivere20. No, non c‟è santo che non sia stato lavorato da Dio con genialità ed estrosità da risultare un unicum irripetibile. Ci possono essere rassomiglianze piú o meno accentuate, come si riscontrano tra fratelli, o tra figli e genitori, un marchio di fabbrica per cosí dire, fotocopie no. Il raffronto con il Curato d‟Ars è valido purché venga precisato, come del resto fa lo stesso Fassiolo nel passo sopra riportato, e farà, ad esempio, il tedesco Konrad Hoffmann: Mediante la predicazione, la catechesi, il confessionale ed associazioni religiose per le varie categorie, il Frassinetti rinnovò stupendamente la vita morale della sua parrocchia col fervore ed il successo d‟un Vianney21. 19 J.-B. MIREBEAU, in Jésus Christ, Règle du Prêtre, Paris 1885, traduzione francese di Gesú Cristo regola del sacerdote, scriveva nell‟Avant-propos, ricalcando il Fassiolo: Il fut au delà des Alpes comme un autre Curé d‟Ars, et si la France a le droit de se glorifier du vénérable J. -B. Marie Vianney, l‟Italie peut aussi à juste titre se glorifier du regretté Prieur de Sainte Sabine; ripreso da E. MANGENOT nel Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. VI, Paris 1920, c. 769: …il merita d‟être comparé au Curé d‟Ars. Cosí pure S. ROMANI, Enciclopedia del cristianesimo, Roma 1947, p. 662: Meritatamente è chiamato il Curato d‟Ars italiano, ed il cardinal PIETRO PALAZZINI nell‟Encicl. Catt., vol. V c. 1703: All‟attività pastorale intensa, tanto da essere chiamato il “Curato d‟Ars” italiano, aggiunse quella di scrittore di ascetica pastorale e di teologo moralista. J. C. WILLKE nella New Catholic Encyclopaedia, New York 1967, alla voce: His intensely active pastoral apostolate won for him the reputation of being “the Italian Curé d‟Ars” vol. VI p. 81. 20 Giuseppe Frassinetti, Priore di Santa Sabina. Estratto dallo “Stendardo Cattolico”, 8 Gennaio 1868, p. 9. 21 K. HOFFMANN in Lexikon für Theologie und Kirche, IV, Freiburg im Breisgau 1937 c. 138: Frassinetti frischte mit dem Eifer und Erfolg eines Vianney durch Predigten, 22 Un paragone ristretto al servizio parrocchiale che non si estende al resto della voce dove Hoffmann tratta dello scrittore e della fondazione dell‟Opera dei Figli di Maria. Senza tali precisazioni l‟appellativo si fa deviante, perché porta a pensare il Frassinetti copia conforme del Curato d‟Ars. Furono di pari zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, ma il Frassinetti fu uomo di molto studio e buona penna, il Curato d‟Ars no; il Frassinetti confessore benigno, il Curato d‟Ars tendeva al rigorismo; la vita del Frassinetti parca e povera, ma tale che ogni povero vi si può riconoscere; quella del santo Curato d‟Ars ripiena di penitenze spaventose; nel Frassinetti nulla fuori dell‟ordinario, e fu questo il suo straordinario, sicché tutti possono dire: – Se lui, perché non io? –, mentre nel Curato d‟Ars tutto fu fuori dell‟ordinario sí da potersi solo ammirare quanto sia stata grande in lui la potenza di Dio. Queste distinzioni diventano superflue se si riavvicina il Priore di Santa Sabina a Sant‟Alfonso Maria de‟Liguori. Lo notavano a due anni dalla morte le Letture Cattoliche di Genova a proposito del libretto Amiamo S. Giuseppe: “Esso è scritto in quello stile piano e facile che fa del Frassinetti un altro Liguori, come un altro Liguori può dirsi per la varietà degli scritti da esso lasciati”22. Si noti il diverso riferimento: chi, come il Fassiolo, ha avanti agli occhi il parroco santo, visto all‟altare, o in ginocchio a pregare, o per interminabili ore in confessionale, o a catechizzare grandi e piccini e, se incontrato per strada, che andava ad assistere qualche infermo o tornava dall‟averlo assistito, va col pensiero al santo Curato d‟Ars; chi lo conosce dai suoi scritti, pensa a Sant‟Alfonso Maria de‟Liguori. Le rispondenze fra Sant‟Alfonso Maria de‟Liguori ed il venerabile Giuseppe Frassinetti sono tali e tante da poter porre le due figure in parallelo, cosa che faremo diffusamente nel capitolo dove si tratterà dell‟impressione che le opere di Sant‟Alfonso suscitarono sul giovane chierico fino a spingerlo a sceglierselo per maestro. Possiamo pensare il Frassinetti quale egli è stato, anche non si fosse incontrato con il Gianelli, cui è tanto debitore, ma non è piú possibile, io credo, se, giovane chierico, non si fosse fatto discepolo del napoletano Katechesen, Beichtstuhl u. mittels religiöser Standesvereine das sittl. Leben seiner Gemeide wunderbar auf…. 22 Letture Cattoliche di Genova, anno 1870, p. 97. 23 meraviglioso23 come Eliseo di Elia. Sarebbe stato certamente un santo sacerdote, ma non il Frassinetti che noi conosciamo. Mostreremo quindi le affinità, ma anche le differenze che intercorrono tra maestro e discepolo, perché nessun santo, anche proponendoselo, può essere copia conforme di un altro. Per affermarlo non si dovrebbe tener conto della irripetibilità d‟ogni figura di santo, dei geni del luogo, che, nel caso, differenziano un genovese da un napoletano24, né dei tempi in cui i due vissero, l‟uno prima della Rivoluzione francese e l‟altro dopo, e dei cambiamenti di situazioni che nel frattempo si erano prodotti. Discepolo attento, ma non adoratore dell‟ipse dixit d‟un tanto maestro. Fu un discepolo che sapeva ripensare l‟insegnamento, tornarci su, e, dove gli pareva bene, non si faceva scrupolo di discostarsene, come appare chiaro nelle dissertazioni e note apposte alla morale del suo Maestro. Anche Genova aveva qualcosa da dare a Napoli: senso pratico legato alla realtà quotidiana della vita. Del Frassinetti non basta narrare lo zelo con cui curò le anime a lui affidate, aggiungendo che riuscí anche a trovare tempo per scrivere libri, senza fermarsi ad esaminarne il contenuto, come se le due attività si fossero svolte in parallelo l‟una non interferendo con l‟altra. Un extra che poco aggiunge e poco muta. Il Frassinetti, per l‟impostazione della sua attività sacerdotale, nella misura che gli permisero le sue forze e i doni da Dio ricevuti, lo troviamo sulla linea di quei santi che furono ad un tempo dottori e pastori, dottori perché pastori: Sant‟Ambrogio, Sant‟Agostino e, giú giú, fino a Sant‟Alfonso, il suo modello. Pastori e scrittori che avrebbero potuto apporre sui loro libri la scritta: Non vi dico cose che io non ho già praticato e non continui a praticare, e, se con la grazia del Signore posso praticarle io, anche voi lo potete. Siate, 23 G. DE LUCA, Sant‟Alfonso uomo grande, da “L‟Osservatore Romano della Domenica”, 4 giugno 1939. 24 Non si riesce a pensare uscita dalla penna del Frassinetti una lettera come questa di Sant‟Alfonso in data 21 luglio 1733 da Scala ad uno che era in dubbio se entrare o no nella sua congregazione:”… D[on] Giuseppe mio, e quando vieni, quando? Insomma ci vuoi proprio fare stentar questa venuta tua. Sbrigati mo: Che aspetti? Noi ti desideriamo, Cristo ti chiama, mamma Maria ti aspetta, e tu te ne stai a dire, Spiritus promptus est, caro autem infirma? Ma io ti replico: Qui non odit matrem, fratrem etc., non potest meus esse discipulus. Spicciati mo per carità che ti voglio far fare l‟istruzioni, che serviranno per queste missioni. Vieni trova la solitudine: vieni, trova Dio… e se non, non ti fai santo, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no. Viva Gesú, Maria, Giuseppe e Teresa”. 24 dunque, miei imitatori, com‟io di Cristo25. I loro scritti sono la piú bella storia della loro vita vissuta e di come in essi si andò effettuando la metànoia che li rese immagini vive del Cristo. Metanoia, una felice espressione greca senza equivalente in latino o in italiano, se non la si vuole impoverire con conversione o, peggio, con penitenza. La metanoia è il cambiamento del modo di pensare e sentire le cose, un ripudiare i nostri pensieri ed i nostri sentimenti per trapiantarvi i pensieri ed i sentimenti di Cristo, un trapianto di divino lí dove tutto era terreno26, facendo della nuova mentalità la nostra norma di vita fino a poter ripetere con l‟Apostolo: Non sono io invero che vivo, ma è Cristo che vive in me27. Gli scritti di quei santi pastori, letti cronologicamente, ci permettono di seguire questo processo di assimilazione del divino nella mente, nel cuore e nella vita, assimilazione che si fa zelo per le anime, bruciati come sono dal desiderio di partecipare ad altri quanto essi vanno man mano ricevendo. Come loro il Frassinetti, soprattutto come Sant‟Alfonso. Non ci contenteremo perciò di dire che il Frassinetti scrisse questo e quel libro, ma ne scorreremo le pagine per conoscere il pensiero, la vita e la radice del suo zelo. Separare una cosa dall‟altra è come voler separare i fatti della vita di Cristo dal suo insegnamento, il facere dal docere28. La vita di questi servi di Dio fu una vita “dabar”, la voce ebraica che significa ad un tempo parola e cosa29, parola che si è fatta 25 1 Cor 4,16; 1 Cor 11,1; 1 Ts 1,6. 26 1 Cor 15, 45-49. 27 Gal 2,20. 28 At 1,1. 29 Parola realtà, ciò che dice è. Per usare un termine scolastico, in “dabar” res et veritas convertuntur, l‟una voce vale l‟altra. È l‟opposto della parola kantiana incapace di manifestarci la sostanza della cosa da essa significata. “Dabar” ci dice il fondo della cosa, rendendo conoscibile chiaro e trasparente al pensiero il nucleo del concetto, ricco di forza creativa per chi l‟accoglie. La storia, per gli ebrei, era “d ebarîm”, parole-fatti, rivelatrici del protagonista: Dio. Mentre Kant taglia i ponti con il di fuori di noi, “dabar” fa già presentire anche il “di piú” non percepibile dalla ragione ed è figura del Lógos che si fece sarcs e ci diede il potere di conoscere persino l‟inconoscibile di Dio. Una via a tale conoscenza, che ci muta in immagini di Dio, sono questi santi uomini “d ebarim JHWH”, uomini parola di Dio. Per il significato della parola cfr. O. PROCKSCH, légo C4 in KITTEL-FRIEDRICH, Theologishes Wörterbuch zum Neuen Testament, vol., IV, Stuttgart 1942, pp. 90s.: traduz. it., Grande lessico del N.T., vol. VI, Brescia 1970, c. 260-265. 25 cosa, una cosa che manifesta e canta il recondito del proprio essere lodandone Iddio: “Grandi cose ha operato in me la potenza di Dio”30. Liberale o reazionario il Frassinetti?31. Domanda d‟obbligo scrivendo di un genovese vissuto a Genova nel periodo ruggente del nostro Risorgimento. I nostri testi di storia patria, trattando del Risorgimento, vedono nella Chiesa o una forza politica di cui si sarebbero potuti servire, o la forza che intralciava l‟opera di quanti si battevano per l‟unità dell‟Italia32 e, nella Chiesa, additano nei gesuiti e nel clero gesuitante i nemici giurati del progresso. Nella storia patria, per il periodo risorgimentale, ai cattolici in genere, ed al clero in particolare, sono due le caselle assegnate: cattolici-liberali – una sparuta minoranza di menti “aperte”– e cattolici-reazionari, menti “retrive”. Chi sono i reazionari? È questo uno di quei nomi magici usati quasi ad incanto – si leggeva sul Cattolico di Genova il 27 novembre 1849 –, dei quali, i moderni demagoghi si fecero una provvigione e formularonsi quasi un frasario per segnare al disprezzo dei meno veggenti quelle persone che dessero impedimento o fastidio. Questo nome va di conserva con gli altri di retrogradi, di gesuiti, codini, aristocratici e simiglianti, che sempre ebbero in bocca senza mai definire.33. Cosí l‟Alimonda, se era lui, scriveva nel 1849. Di lí a vent‟anni avrebbe potuto aggiungere almeno un‟altra voce: temporalista, in opposizione a conciliatorista. Nomi magici! Magici soprattutto per l‟odio e le vessazioni che seppero suscitare. Come i demagoghi dell‟epoca, anche gli storici di quel 30 Lc 1,49. 31 Domanda che, dopo il Settanta, sarà assorbita dall‟altra, comprensiva della prima: Conciliatorista o temporalista? Ma il Frassinetti era già morto da due anni e nove mesi. Alcuni problemi s‟erano già posti con l‟occupazione di gran parte degli stati Pontifici nel 1860, anche se non nella gravità con cui si porranno dopo l‟occupazione di Roma nel 1870 con la perdita di quel rimasuglio di stato che garantiva al pontefice la sua piena autonomia. Se ne tratta nel capitolo 51. 32 Anche nel biennio d‟infatuazione giobertiana la Chiesa fu vista solo come una forza politica creduta vantaggiosa per la realizzazione d‟un piano politico. 33 Lo stile è di Gaetano Alimonda, il futuro cardinale arcivescovo di Torino, vicinissimo al Frassinetti. Il “P. G.” [Prete Gaetano] che nel 1846 scese in campo per difenderlo contro il Bonavino. 26 periodo ci si presentano incapaci di percepire cosa la Chiesa veramente è, e quale la vera missione a cui essa è ordinata: rigenerare l‟uomo con i mezzi soprannaturali a sua disposizione per farne un figlio di Dio e cittadino del cielo. I suoi uomini e le sue istituzioni si sarebbero dovuti giudicare da questo punto di vista e chiedersi se la loro opposizione era contro il rinnovamento politico o non piuttosto contro i modi adottati e a quanto sonava negazione di vita cristiana. Non era il rifiuto d‟un‟Italia unita ed indipendente dallo straniero, né feticistico attaccamento a questa o quella forma di governo – monarchia o repubblica, Savoia sí Savoia no – , ma il rifiuto di ridurre il cattolicesimo a strumento di quella loro politica, di quella loro civiltà e di quel loro progresso. Altra è la natura della Chiesa. Altra ancora oggi e sempre la sua natura. L‟aggettivo liberale, aggiunto a cattolico, ne rendeva equivoco il significato e su tale equivoco giocò il Gioberti con tale abilità da passare nei nostri testi di storia come il maggiore propugnatore d‟un cattolicesimo aperto ai tempi nuovi. In realtà si trattava di una religione civile, non diversa nella sostanza da quella del Mazzini, gabellata per religione di Cristo. Il Frassinetti fu dei pochi che avvertirono subito l‟insidia e, mentre ignorò il Mazzini, che si denunciava da sé, scese in campo contro il Gioberti, ben piú pernicioso all‟ovile di Cristo per il trucco d‟agnello con cui aveva saputo imbellettarsi. Tanto bastò per essere etichettato gesuitante. La risposta alla domanda che ci siamo posti: – Liberale o reazionario?– ce l‟anticipa lo stesso Frassinetti in un suo appunto per il progetto d‟un settimanale: La Carità. Questo giornale – cosí l‟appunto del Frassinetti – sarà sostanzialmente religioso trattando brevemente, ma solidamente, le materie che sono di maggior importanza alla giornata. Esso non avrà assolutamente nessun colore politico: unico suo colore sarà il cattolico, colore che si confà a tutte le esigenze delle oneste opinioni. Esso in qualunque caso conserverà inviolabile rispetto verso tutte le persone, anche meno meritevoli d‟essere rispettate. Gli errori saranno combattuti, le colpe disapprovate, ma gli erranti o colpevoli non saranno menomamente ingiuriati34. 34 AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. IX, pp. 220s. La correzione è nel manoscritto. 27 Siamo negli anni Cinquanta, quando a Genova già usciva il Cattolico, uno dei fogli piú battaglieri35. C‟è di piú, e, se vogliamo, anche di piú spassoso. L‟autore dei libri che uscivano dalla nera officina36, la “Beato Leonardo”, sua creatura, l‟antigiobertiano, alla vigilia della morte passò per cattolico-liberale! Con quale altro nome appellare uno, che contro la norma né eletti né elettori, che in quegli anni Sessanta si andava delineando, propugnava con dovizia d‟argomenti il dovere di andare a votare, farsi eleggere e non rifiutare di prestare giuramenti all‟usurpatore? Riponendo la penna – cosí la primavera del 1867 licenziava la terza edizione del suo Compendio di teologia morale – mi prende il timore che alcuno, dopo letta quest‟Appendice, giusto il vezzo già molto in uso, dica di me: Tò un cattolico liberale… Io sono cattolico semplicemente in tutta le semplicità del termine… I liberali che sanno fiutar bene la gente non mi credettero mai dei loro. Infatti nel 1848-49 mi tennero esiliato dalla mia parrocchia per tredici mesi; e fa un anno appena, che all‟epoca del domicilio coatto si adoprarono per farne gustare le dolcezze anche a me… Io inoltre protesto che non ho mai cangiato né modo di pensare, né modo di agire. Mi diceva tempo fa un liberale: Ella pensa diversamente da me; ma ho stima di lei, perché sta immobile nei principi in cui crede… Io dunque non sono mai stato, né sono, né voglio essere cattolico con qualche aggiunta. Sono sempre stato, sono, e spero che sempre sarò cattolico semplicemente. Io sto colla S. Sede, e con tutti i suoi organi… Quando essa spiegherà la sua Risposta – su cui aveva argomentato – in modo diverso dal modo in cui la intendo io, cangerò tosto di sentimento. Fin tanto che Essa tace, chiedo e spero ottener la grazia che mi si permetta di poter pensare a modo mio, com‟io consento agli altri di pensare a modo loro. In necessariis, unitas, in dubiis libertas, in omnibus charitas. Quotiescunque e Roma scripta venerint, quoad nos omnes causæ finitæ 35 Insieme con “L‟armonia della religione con la civiltà”, anch‟essa nata a Genova, ma tosto trapiantata dal Margotti a Torino. “Il Cattolico” ebbe per direttore don Antonio Campanella, per redattore capo l‟Alimonda, sopra citato, tra i collaboratori, oltre al Frassinetti, il beato Tommaso Reggio, futuro arcivescovo di Genova, il gesuita padre Luigi Persoglio ed altri fra i piú colti della città, in gran parte vicini al Frassinetti ed alcuni già membri attivi della sua “Beato Leonardo”. 36 Cosí chiamata dal Gioberti la “Beato Leonardo” nel Gesuita moderno, vol. V, Vigevano 1848, p. 14 28 erunt37. Finalmente mentre rifiuto la denominazione di cattolico-liberale, ho l‟onore di poter gridare alto, che davanti a qualunque Governo sono sempre stato inappuntabile, come sempre è lo schietto cattolico, che necessariamente tiene la dottrina di S. Paolo sopra accennata38. Qualunque governo. Nei suoi anni ve n‟erano stati tanti: Repubblica Ligure, Impero Napoleonico, di nuovo Repubblica, Regno di Sardegna assoluto, Regno di Sardegna costituzionale, Regno d‟Italia. In quanto alle lotte per modificare confini e forme di governo pare aver fatto suo il precetto del Signore: Lascia ai morti seppellire i loro morti, tu vai ad annunciare il regno di Dio39. Della politica si interessò solo quando vennero emanate leggi in contrasto con la le leggi di Dio per ricordare ai fedeli quali erano i loro doveri e per dissuaderli dal dare il loro voto a chi tali leggi propugnava40. Ma le caselle mentali per tanti erano solo due, e tutt‟ora spesso sono ancora solo due, impensabile una terza per chi sia solo prete, e prete preoccupato solo della salvezza delle anime che si trovavano a vivere in queste e quelle circostanze di tempo e di luogo. L‟incapacità di vedere con altri occhi la Chiesa ed i suoi uomini ci hanno propinato pagine come queste di Massimo Taparelli d‟Azeglio sul fratello gesuita, conosciuto con il nome di Luigi Taparelli, scritte senza avvertire di sbugiardare il suo antigesuitismo con i fatti che narra: [Mio fratello gesuita] aveva piú talento di me e di tutti di casa; ed inoltre una maggior prontezza al sagrificio, unita ad un carattere d‟incrollabile fermezza. Ciò che si dice in tre parole: ingegno, virtú e carattere: tre bagattelle! Se fosse rimasto nel mondo, anche prete, la sua fortunata e potente natura poteva condurlo, Dio sa, a quali destini. Chi può indovinare in quanti modi avrebbe potuto divenire utile alla patria, alla società, alle sue stesse opinioni religiose e filosofiche!… 37 Al detto “Unità in ciò che è necessario, libertà in ciò che è dubbio, ed in ogni cosa carità”, aggiunge di suo: “e parlato che abbia Roma, per me tutte le cause sono finite”, eco del Roma locuta, causa finita. 38 G. FRASSINETTI, Compendio…, 18673, p. 771. Testo paolino: Rm 13,1-8. 39 Lc 9,60. 40 Come quando venne introdotto il matrimonio civile. 29 Se però mio fratello non raggiunse coll‟ingegno quell‟altezza alla quale era nato, se non lasciò di sé, come avrebbe potuto, quell‟impronta che è l‟eredità degli uomini sommi, lasciò però grandi e belli esempi di sagrificio e di virtú che valgon meglio e son piú utili a chi li sa discernere ed applicare, di tutte le meraviglie dell‟intelletto… Egli era giovane di temperamento bollente, di passioni impetuose; era preso talvolta da sfuriate di collera tremende; sentiva ardentemente tutte le aspirazioni, tutti i desideri che Iddio diede per attributi alla nostra natura. E tutti domò e tutti vinse. Prima de‟ trenta anni era divenuto d‟una dolcezza e serenità di carattere che non vidi mai piú alterarsi in nessuna occasione. La mente e il cuore d‟accordo avevano in lui vinta la materia, e quasi potrebbe dirsi distrutta. Io certo non sono punto gesuita; ho presente tutto il male che hanno fatto certi loro principî e certe loro arti, ma tanto piú mi meraviglio a vederli uno per uno a che razza d‟abnegazione si condannano! per riuscire poi a che? o a far del male o a far un buco nell‟acqua41. Il d‟Azeglio crede firma fide in tutti i pregiudizi antigesuitici, ma trova avanti agli occhi il contrario nel fratello, nel padre Pellico, il fratello di Silvio, ed in altri. Ci si aspetterebbe il sorgere di un dubbio, un ripensamento, un porsi, alla luce dei fatti, la domanda che ventisette anni prima il Frassinetti poneva al Gioberti in quel suo Saggio che ha tanto del genere letterario degli Adversus cosí caro ai padri della Chiesa: Ma questi uomini pii e virtuosi – i corsivi citano il Gioberti dei Prolegomeni in cui si facevano salvi padre Pellico, il d‟Azeglio, e pochi altri – non veggono essi in che ceto corrotto e pernicioso si trovino? non veggono a qual tristo gioco essi servano?… Bisognerebbe supporli inetti a comparare e discernere tra il bene e il male, fra le tenebre e la luce, e appunto tra Cristo e Belial. Convivere con uomini profondamente corrotti, trovarsi sotto un magistero di fraudolenza, sotto il regime dell‟egoismo e non avvedersene in vita giammai, non è cosa possibile se non a stupido tronco di uomo. Né la pietà e la vera virtú… sopporterebbe quest‟onta. Per tanto questa novella arguzia è un altro paradosso42. Come il d‟Azeglio, anche la maggior parte dei nostri storici del Risorgimento non hanno avvertito il paradosso facendo convivere il pregiudizio con la verità che lo sbugiarda. Sarebbe quindi grave errore 41 M. D‟AZEGLIO, I miei ricordi, Parte I, cap. VIII, inizio. 42 G. FRASSINETTI, Saggio intorno alla dialettica e alla ragione di Vincenzo Gioberti, Genova maggio 1846, pp. 23.25. 30 guardare il Frassinetti, vissuto a Genova, focolaio di rivoluzionari, negli anni piú caldi del Risorgimento, con gli occhi del politico e dei media di quei tempi invece che con gli occhi del credente. Se un giovane fra cinquant‟anni presentasse una tesi di laurea in storia e sostenesse che la VERA causa dello sbriciolarsi dell‟impero comunista per decomposizione interna sia stata l‟aver negato Dio, e vedesse negli avvenimenti un ripetersi in scala sociale e politica ciò che l‟apostolo Paolo afferma dell‟uomo che lo ha ignorato43, penso che susciterebbe sorriso nel relatore, fosse anche della Cattolica e cattolico praticante. Un lavoro, per essere lavoro scientifico, deve ignorare Dio, soprattutto un Dio attivo che si interessa delle cose nostre da protagonista, o come recitava il vecchio Catechismo di Pio X: “Dio ha cura e provvidenza delle cose create e le conserva e dirige tutte al proprio fine, con sapienza, bontà e giustizia infinita (12)”, e che, se permette per un certo tempo il trionfo del male, è solo un tollerarlo “per lasciar libere le creature, sapendo poi ricavare il bene anche dal male (11)”. È pensabile che, per aver dichiarato la società ed i governi la non esistenza di Dio, o che, se pure esiste, non se ne ha da tener conto, Dio abbia cessato di essere Dio e di operare da Dio? o abbia ristretto il suo dominio solo al privato di quei che ancora credono in lui? Eppure, dall‟Illuminismo in poi, sembra che l‟umanità vada sempre piú rifacendosi al costituto di Adamo: l‟uomo può muoversi in piena autonomia da Dio, e, se cristiano, negare con Pelagio la necessità di interventi divini che non siano già inclusi nelle forze della natura. Non avverte che “i suoi ragionari sono vacui, avendogli la stupidità ottenebrato la mente, fino a fargli credere d‟essere sapiente, mentre non è che un povero sciocco”44. Si precludono, difatti, la percezione del “di piú” che si rifà alla presenza di Dio nelle cose umane, anche puramente umane, come la sconfitta dei Persiani a Salamina, in cui Eschilo, non ottenebrato da tale presunzione, avvertiva la mano di un dio – cosí vicino al vero Dio – che veniva a ricordare all‟uomo, ristupidito dalla hybris, che era uomo, facendo dire dall‟ombra del re Dario, quando apprese dalla moglie Atossa l‟ardire del figlio che aveva gettato un ponte sul Bosforo per 43 Rm 1, 18-32. 44 Rm 1,21-22. 31 farvi passare i soldati: “Quando un uomo s‟affretta alla sua perdita, anche il dio l‟aiuta a rovinarsi”45. Se ciò è necessario per la comprensione piena d‟ogni storia umana – un esempio magistrale ce lo ha dato il Manzoni nei Promessi sposi –, è condizione sine qua non se si vuole afferrare qualcosa della storia d‟un santo in cui Dio è il grande protagonista. Con tali occhi lessero gli agiografi la storia d‟Israele, Agostino la storia universale nella sua Città di Dio e ripensò la propria nelle Confessioni. “Chi dicono gli uomini che sia il Figlio dell‟Uomo?… Ma voi cosa dite che io sia?…”46. Gli occhi della ragione, che non percepiscono il “di piú” del Cristo, percepibile solo se vengono illuminati dalla fede, di lui possono dire solo che è un uomo grande. Per gli ebrei, la cui storia era tutta nella Bibbia, uno che poteva stare alla pari con Elia e gli altri grandi d‟Israele; per noi moderni, un maestro incantatore, uno charmeur, al dire di Renan, o, se impegnati nella questione sociale, un precursore di Marx. La storia si ripete per i suoi santi. Nelle rievocazioni del centenario abbiamo visto il Don Bosco del film mutato in un sindacalista vestito di tonaca. Non si meravigli dunque il lettore se in questa storia avvertirà la presenza di Dio, ed una presenza da protagonista, che, pur nulla togliendo alle libere scelte dell‟uomo, è lí che lo dirige secondo i suoi piani. Proverò a narrare la storia sulla falsariga di come ce l‟ha cantata la Madonna nel Magnificat: Grandi cose il braccio del Signore riuscí a compiere servendosi del suo servo Giuseppe Frassinetti. 45 ESCHILO, I Persiani, 742. G. PERROTTA, I tragici greci, Messina-Firenze 1971, p. 24. 46 Mt 16,13-17. 32 PARTE I GLI ANNI DELLA PREPARAZIONE 1804-1827 Cap. 1 – Nel nome di Maria Cap. 2 – Esultate nel Signore, un Genovese è nato alla Chiesa Cap. 3 – La bufera napoleonica Cap. 4 – Il fanciullo ascoltava Cap. 7 – La famiglia Frassinetti Appendice – La zia Annetta Cap. 8 – L‟educazione dei figli Cap. 9 – Educando i fratelli educa Cap. 10 – Come a Cassiciaco – Una casa convento Cap. 11 – Cos‟è che ti da maggior gusto, o Dio? Cap. 12 – Fratelli in gara a chi dà maggior gusto a Dio Cap. 13 – Bruciami Signora il cuore col fuoco del tuo amore Cap. 14 – Mira quant‟è bello essere fratelli e vivere uniti Cap. 15 – I “Ragazzi del Gianelli” Cap. 16 – L‟adolescente focosissimo Cap. 17 – Il seminario di Genova prima del rettore Cattaneo Cap. 18 – I “Ragazzacci” Mazzini e compagni Cap. 19 – Gli interessi culturali Cap. 20 – Lo studente di filosofia Cap. 21 – Cosa studiare e con quale spirito pensando all‟altare Cap. 22 – Lo studente di teologia Cap. 23 – Oltre la scuota I Cap. 24 – Oltre la scuola II Cap. 26 – Ubi Petrus ibi EcclesiaCap. 25 – L‟incontro con Sant‟Alfonso Cap. 27 – Sacerdote – Un fuoco ardente gli bruciava il cuore 33 CAPITOLO I NEL NOME DI MARIA Troverete perfino di quelli che si dicono divoti della Santissima Trinità, del Santissimo Sacramento, e divoti cosí gelosi, che temono che Dio s‟offenda e si abbia a male di vedere onorata con divozioni speciali la Madonna ed i Santi. Tutte le funzioni vorrebbero fatte a Dio, a Dio solo vorrebbero che ardessero tutte le candele, che tutte le musiche a Dio s‟intonassero, che si facessero a Dio tutti i panegirici, e, illuminati come credono di essere, non sanno e non vogliono conoscere, che è onore di Dio l‟essere onorato nei Santi suoi. Temono essi che si introduca nel popolo cristiano superstizione; cosí chiamano ogni divozione che loro non aggrada; e poi non temono l‟aumento di quella indifferenza e incredulità in materia di religione, che ormai cresce tanto. G. FRASSINETTI, Discorsi a sacerdoti e chierici. La sera d‟un quattordici agosto, vigilia della Madonna assunta in cielo, il priore Giuseppe Frassinetti, in un sermoncino d‟occasione rivolto ad un drappello di fanciulli che nel santuario genovese della “Madonnetta” si apprestavano ad offrire il loro cuore a Maria, rievocò un ricordo della sua lontana infanzia: Io non avevo ancora sei anni, ed in questa medesima sera, in un drappello di fanciulli come voi siete, qui davanti a questo altare, ho fatto l‟offerta del mio cuore a Maria, come voi fate. Lo ricordo tuttavia47, e, ricordandolo dopo tanti 47 Il Frassinetti usa tuttavia nel senso oggi obsoleto di ancora, sempre, in continuazione. Al numero 3289 del Dizionario dei sinonimi della lingua italiana di N. TOMMASEO, steso in quello stesso giro di anni in cui scriveva il Frassinetti, si legge: “Tuttavia suppone la continuazione di un atto [e ne è] l‟idea propria... quindi è che tuttavia si può congiungere a 34 anni, mi sento crescere la confidenza nella Madonna Santissima, e me ne sento consolato48. Anche il Mazzini, sui sei anni, una sera d‟un 14 agosto, era avanzato in processione in quello stesso santuario tenendo in mano una candela ed un cuoricino d‟argento per consacrarsi a Maria49, e, perché coetanei, nati com‟erano in parrocchie contigue a sei mesi l‟uno dall‟altro, lo si può pensare in fila con il Frassinetti. L‟amore alla Vergine e la sua protezione accompagnerà il nostro Giuseppe tutto il cammino della vita. Prima di spirare, cercò con la mano già fredda la medaglia della Madonna, portata notte e giorno appesa al collo con un ruvido spago, e le diede ancora un bacio50. Fu l‟ultimo atto di pietà di uno nato un sabato ottava dell‟Immacolata, giorno nella liturgia dell‟epoca doppiamente consacrato alla Santa Vergine. Un bimbo segnato fin dalla sua nascita a percorrere il suo cammino tenuto per mano da Maria. Le madri, se hanno figliuoli savi, amorosi, che stiano attenti per non disgustarle mai – scriveva in una istruzione rivolta ai giovanetti –, costumano di fare ai medesimi anche qualche carezza; e sappiate che altrettanto suole fare Maria a‟ suoi buoni figliuoli. Oh dolci! oh preziose le carezze che suole fare Maria a‟ suoi buoni figliuoli! Queste carezze sono certe allegrie di spirito, certe contentezze di cuore, certi sentimenti di dolce divozione che fanno beate le anime che le provano. Ma, se voi non aveste mai provato queste carezze, è inutile ch‟io ve ne parli, non potete intendere che cosa siano, e tanto meno quanto siano gustose a que‟ suoi cari figliuoli cui la Madonna le fa....51. nondimeno; perché l‟uno dice la continuazione del tempo; l‟altro il poco valore della cosa contraria... Boccaccio: «Dopo lunghi dispregi, nondimeno egli amava tuttavia»... il Foscolo: «Quando gli altri vanno via, Egli canta tuttavia»... E la ragione di questo significato si è che tuttavia porta l‟immagine seco di moto continuato”. Con tale significato lo troviamo adoperato anche dal Mazzini. Era di uso comune. 48 G. FRASSINETTI, Discorsetto... recitato nel santuario della Madonnetta la vigilia dell‟Assunta per l‟offerta del cuore dei fanciulli a Maria SS., in D. FASSIOLO, Op. cit., p. 201. Quattro paginette, due ai bimbi, il resto per i genitori. Un esempio di predicazione semplice e penetrante di chi sa stabilire un dialogo convincente con le persone a cui si rivolge. 49 A. BRESCIANI, L‟Ebreo di Verona in “Civiltà cattolica”, II, IV, pp. 266-268. 50 D. FASSIOLO, Op. cit., p. 188. 51 G. FRASSINETTI, Esercizi spirituali pei giovinetti d‟ambo i sessi, Genova 18654, pp. 9798 e 96-97. 35 Se può intendere la dolcezza di quelle carezze della Mamma celeste solo chi le ha provate, è chiaro che egli, per parlarne cosí, le aveva gustate fin dalla sua prima infanzia. Mi si perdoni se per un minuto dimentico documenti e date e mi abbandono al sogno. Mi piace pensare il nostro Giuseppe Frassinetti vissuto a Roma, o a Roma pellegrino, sedici secoli prima che nascesse nella sua Genova, non tanto per il suo attaccamento alla Sede di Pietro, che fu grandissimo, quanto perché lo sento figlio di quei primi cristiani che frequentavano il Cimitero di Priscilla sulla Salaria e la tomba di Pietro al Vaticano lasciandovi i loro graffiti-preghiera. Me lo immagino a Priscilla, fanciullo e giovinetto, riempirsi gli occhi e nutrirsi il cuore delle immagini di quegli affreschi professione di fede. La Fractio panis, quanto dire: il mistero del corpo e del sangue di Cristo, che è poi quel Bimbo raffigurato in braccio alla Madre assisa in trono in un altro affresco dello stesso cimitero. Su quel Bimbo partorito dalla Vergine, e per il quale tutto fu fatto e a cui tutto fu ordinato, sono rivolti i raggi di una stella e gli occhi di un profeta. Ad adorare quel Bimbo vengono fin dal lontano Oriente, come ci mostra un altro affresco, anche qui in braccio alla Madre sua seduta regalmente in trono. Quei primi cristiani, sentendo povere le parole per esprimere chi è quel Bimbo, e cosa egli rappresenta per noi, moltiplicarono gli affreschi-catechismo-preghiera. L‟affresco nel cubicolo della Velatio mi fa sognare piú d‟ogni altro. Vi si vede un vegliardo che dà il velo ad una vergine mentre le addita a destra la Regina delle vergini seduta in trono con il Bimbo sulle ginocchia. Il vegliardo, spiega il Marucchi, è un vescovo seduto in cattedra, anzi è il tipo tradizionale dell‟Apostolo Pietro52. Accanto al vegliardo c‟è un diacono che l‟assiste. In quell‟ affresco vedo compendiata la vita del nostro Servo di Dio e di sua sorella Paola: consacrarsi a quel Bimbo per amore del regno dei cieli tenendo gli occhi fissi a Maria. Un rifarsi a lei, esempio ed aiuto, per riuscire a piacere a Gesú, perché vivere vergini per amore del regno di Dio è dono di grazia 52 O. MARUCCHI, Le catacombe romane, Roma 1905, p. 456. Allo stesso modo è interpretato da M. ARMELLINI, Lezioni di archeologia cristiana, Roma 1898, p. 181; H. LECLERCQ, Dictionnaire de archéologie chrétienne, t. XIV, p. II, Parigi 1948, c. 1832; E. JUNYENT, Los cementerios cristianos de Roma in AA. VV., La tumba de Pedro y las catacumbas romanas, Madrid, 1954, p. 355. Altri danno altra interpretazione. 36 e, ad un tempo, frutto di continua preghiera a quel Bimbo ed a Maria. E tutto sotto la guida di Pietro. Nella Chiesa. L‟artista teologo ne era pienamente convinto. Ce lo dice ponendo tra i due gruppi l‟anima della defunta in atteggiamento d‟orante che, per essersi consacrata a Dio ed essere vissuta con gli occhi fissi a Gesú in braccio a Maria, nella Chiesa, è giunta a goderne la visione nel regno dei cieli. Quel levita-Frassinetti pare intento all‟ascolto di voci analoghe a quelle che un dí risoneranno all‟orecchio di Agostino: Se questi e queste, perché non tu? Se tua sorella Paola vuol essere tutta di Dio, perché non tu? Perché non anche i tuoi fratelli? Abbandonatevi, non temete, vi accoglierà e vi terrà sulle sue ginocchia come tiene quel suo Bimbo. Non vi lascerà cadere. Non vi ha forse affidati tutti a lei la mamma terrena nel chiudere gli occhi a questo mondo? 53. Sono piú o meno le parole nel Beato Susone, che il Frassinetti rilesse nella sua Teresa d‟Avila e le fece proprie e le ripeté alle anime timorose di intraprendere il cammino della perfezione: [Santa Teresa] pensava che “nulla aveva perduto Pietro in lanciarsi in mare, sebbene dopo ebbe paura”54, la quale paura dipendeva in lui da pochezza di fede, cui tuttavia supplí misericordiosamente il Signore. La risoluzione di darsi a una vita tutta santa e spirituale metteva paura anche al Beato Enrico Susone ne‟ suoi principii, e di questa paura si valeva il demonio per trattenernelo; ma egli rispondeva al tentatore: Dio m‟invita ad abbandonarmi a Lui totalmente; se io mi caccio nelle sue braccia, egli è possibile che si ritiri per farmi cadere?55. Tu sei mio – fa dire il nostro Servo di Dio dal Signore al sacerdote –, non sei cosa tua, abbandonati nelle mie mani, io farò di te sempre il meglio, come il saggio padrone fa delle cose sue.56 53 Cfr. AGOSTINO, Confessioni, l. VIII, c. XI,3. 8 TERESA D‟AVILA, Libro de la vida, cap. 13,3. Allude all‟episodio narrato in Mt 14,30. Immediatamente prima la Santa aveva citato dalle Confessioni, I,10,29: Dame, Señor, lo que me mandas y manda lo que quisieres. 55 G. FRASSINETTI, Il Pater noster di S. Teresa di Gesú, Parma 1860, p. 15. Non saprei indicare a quale vita del Susone si rifaccia. Nelle opere – B. ENRICO SUSONE, Opere spirituali, vers. di B. DE BLASIO, Alba, 1971 –, dove sono innumerevoli i luoghi in cui si parla dell‟abbandono in Dio, non sono riuscito a rintracciare il passo citato. 56 ID., Gesú Cristo regola del Sacerdote, Firenze 1852, p. 36. 37 Il calendario ed i documenti mi risvegliano dal sogno e mi riportano alla realtà. Giuseppe Frassinetti, a differenza della sorella santa Paola, che da genovese si fece romana, non varcò mai i confini dell‟antica Repubblica e solo raramente quelli della città di Genova. Del Cimitero di Priscilla avrà certo sentito parlare avendo all‟epoca fatto molta notizia per il ritrovamento del corpo d‟una supposta martire Filomena, ma dubito assai che si sia interessato dei suoi affreschi, eppure non gli so trovare ritratto piú vivo. Quel levita è lui come se tanti secoli non fossero trascorsi57. Non afferma forse l‟Apostolo che i veri figli di Abramo sono coloro che hanno la fede di Abramo? Per stemma gli darei il graffito di Venerosa Vea che si legge sul muro g della Tomba di Pietro, inciso da un ignoto pellegrino di quei primi secoli di fede cristiana e decifrato da Margherita Guarducci58, in cui vedo riassunta la vita del nostro Servo 57 Gal 3,7. 58 M. GUARDUCCI, Pietro ritrovato, Milano 1970, pp. 77-78. L‟insigne epigrafista, alla quale si deve l‟individuazione delle ossa di Pietro, fa notare come il monogramma di Cristo sia situato tra l‟ultima e la penultima riga del graffito, come in un triangolo immaginario con i vertici su tre A, “ciò che rivela il proposito di esprimere il concetto di «Cristo, Persona della Trinità divina»”, collegato con un segmento alla T di Bonifatia “con evidente allusione al concetto di «Cristo crocifisso». Un altro segno di unione congiunge la A di Bonifatia con la O di Venerosa per produrre la formula AO (= principio e fine) – la prima e l‟ultima lettera 38 di Dio. Al nome di Cristo sono ingegnosamente intrecciati i nomi di Maria, Pietro e NICA (= vittoria), ossia per Gesú Maria e Pietro la vittoria della vita sulla morte. La pietà di quei primi cristiani seppe graffire in un intreccio di poche lettere la propria professione di fede in Dio Uno e Trino, in Cristo, seconda persona della divina Trinità, principio e fine, crocifisso e risorto, che ci porta dalla morte alla vita, e la centralità di Maria nell‟opera della redenzione. Come era tutta armonia la fede di quei cristiani vissuti avanti la pace costantiniana, e come fu tutta armonia la fede del nostro Frassinetti vissuto in un tempo in cui tale armonia di fede cominciava ad essere rotta! Una spiritualità cristocentrica vissuta nella tradizione cattolica, quella del Frassinetti, che non poteva non essere ad un tempo spiritualità mariana; ed una spiritualità mariana che non poteva non essere spiritualità cristocentrica. Nessuna delle due forme di pietà ruba spazio all‟altra, perché non sono due pietà, ma una sola pietà alimentata di preghiera e di eucarestia, feconde germogliatrici di vergini a Dio consacrati. In quei primi secoli della Chiesa, a cui risalgono gli affreschi di Priscilla e i graffiti alla Tomba di Pietro, ai credenti in Cristo non era lecito esistere, pena la morte, e molti la subirono. Eppure quei giovani vollero essere di Cristo quanto piú fosse possibile a creature, sicuri della sua fedeltà59, sicuri di Maria. Con quelle visioni di paradiso negli occhi poco importava se fuori infuriava la bufera. Nessuna meraviglia se nel Frassinetti si riscopre la spiritualità e la confessione della fede di quegli antichi cristiani, in un clima, anche ai suoi tempi, cosí avverso alla dell‟alfabeto greco, A, cosí presenti ancora oggi nelle lapidi funerarie –, reversibile in OA (dalla morte alla vita)”. Sopra il nome Venerosa, sulle lettere O e A, un altro monogramma di Cristo congiunto con un‟A (= Cristo-Vita), “esprimendo evidentemente il concetto che per mezzo di Cristo-Vita (il monogramma + A) si può passare dalla morte alla vita (OA)”. Con un segno chiaramente delineato ed uno ricostruito, si ha poi la M, iniziale del nome di Maria, che continua facendo sua una A di NIKA (= Vittoria!). E non è tutto. Alla base della P, letta alla latina, si vede aggiunta una E: PEtrus. Non si è di Cristo se non si sta con Pietro. “Abbiamo dunque – conclude la Guarducci – uno spirituale intreccio i cui i nomi di Cristo, Pietro e Maria sono accomunati nel medesimo grido di vittoria. Motivo che compare altre volte sulla parete del muro g”. 59 2 Tm 1,12. 39 Chiesa. “Son tutte cose queste – dice l‟Apostolo – che opera l‟unico ed identico Spirito”60. Pietà cristocentrica e mariana nella tradizione della Chiesa la pietà del Frassinetti. Suo quel classico di spiritualità sacerdotale: Gesú Cristo regola del sacerdote; suo il chiamare tutti al quotidiano Convito del divino Amore; sue le molte pubblicazioni per fomentare la devozione a Maria; suo il dimostrare la vita consacrata aperta e possibile ad ogni anima, anche fuori convento: Monaca in casa, Religioso al secolo61. Di tutti, nessuno escluso, deve essere l‟impegno di tendere alla perfezione cristiana secondo il proprio stato, come pure il lavoro d‟apostolato in unità di intenti tra sacerdoti e i laici, uomini e donne, in cui i molti diventano uno perché nutriti da un unico pane. Suoi, del suo amico don Luigi Sturla e della sorella Paola, gli oratori festivi per maschietti e per femminucce, in cui fanciulli ed adolescenti avrebbero incontrato gente dal volto amico ed appreso ad amare il Signore e la sua santissima Madre62, e questo una dozzina d‟anni prima che don Bosco li iniziasse a Torino per i soli ragazzi. Suo l‟impegno per la buona stampa a pochi centesimi, leggibile anche da chi sapeva appena compitare. Suo il vegliare che nell‟ovile di Cristo non entrassero lupi mascherati da agnelli e, cura delle cure, come già il suo divino Maestro e modello, la formazione dei sacerdoti e di chi al sacerdozio aspirava. Tutto nel nome di Maria. A molti del clero sembrò uno che volesse innovare e rivoluzionare il pacifico modo di vivere cristiano dando, lui giovane, lezioni agli anziani. Non capivano cosa quel prete avesse tanto da agitarsi. Neppure i suoi vescovi. Il cardinal Tadini, ad ogni incontro, gli rinfacciava i dispiaceri che gli avrebbe procurato avendolo costretto a difenderlo dall‟accusa di creare divisione nel clero con quel suo metterlo in guardia dall‟insidia giansenista; l‟arcivescovo Charvaz, che all‟uscita del Primato del Gioberti non si era rifiutato di intervenire presso il Granduca di Toscana perché togliesse alla pubblicazione il divieto d‟ingresso nel suo stato63, tra l‟altre cose rimproverava al Frassinetti quella sua fissazione 60 1 Cor 12,11. 61 Opere del Frassinetti continuamente ristampate. 62 G. FRASSINETTI, Avviamento dei giovinetti nella divozione a Maria Santissima, Roma 1846; Ricordi di una figlia che vuol essere tutta di Gesú, Genova 1851. 63 V. GIOBERTI, Epistolario, vol. IV, Firenze 1928, p. 371. 40 a voler scrivere e dare alle stampe. Quei suoi librettucci cosí mingherlini, come li definiva il Gioberti, con tirature da best-seller, con edizioni che si succedevano alle edizioni, che saranno tradotti in una dozzina di lingue,e vari ancor oggi in catalogo, a molti davano terribilmente sui nervi, a cominciare dalla madre del Mazzini che già nel 1838 scriveva al figlio: Certo parroco Frassinetti di campagna – all‟epoca era parroco a Quinto –, mesi fa, faceva una stampa che era proprio una sciocchezza in ogni guisa contro i giansenisti,... Vi fu chi in allora rispondea confutando tale scempiaggine, ma non vollesi permettere la stampa. Però il P. Spotorno mise un cenno sulla nostra Gazzetta confutando quello sciocco... [che ora ritorna alla carica con] peggiore pasticcio dell‟altro...64. In una lettera successiva, volendo il figlio saperne di piú: – Sentirò il giudizio dei miei santi dottori e te ne dirò. Uno di quei santi dottori giansenisti ne aveva mandato copia al Sant‟Ufficio perché mettesse all‟indice quella sciocchezza contro la quale il Gioberti sputerà veleno nel suo Gesuita moderno. Questo certo parroco Frassinetti di campagna creava troppo fastidio con quel suo innovare senza mai uscire dalla tradizione, soprattutto per l‟ascendente che sembrava essersi acquistato sul giovane clero. Presto se ne sarebbero visti gli effetti nella ricca fioritura di santi sacerdoti, anche da altare, e non solo del clero genovese, e la riscoperta da parte di tante anime che la fractio panis è ordinata al nostro quotidiano nutrimento e che, cibandoci tutti i giorni di quel pane, la santità si fa a tutti possibile. Tutto e sempre nel nome di Maria. Se collegare il Frassinetti con gli affreschi del Cimitero di Priscilla è stato un mio arbitrio, il rifarsi agli antichi secoli e a quanto di essi ci tramandarono i santi padri, è caratteristica documentata della sua pastorale che seppe distinguere ciò che nella religione è sostanza da ciò che è soltanto accessorio e cosí liberare, sull‟esempio di Paolo, il cammino dei fedeli dalle pastoie che ne impediscono la vita di pietà. Cosí, per quanto possa apparire paradossale, rifacendosi alle antiche tradizioni, e risuscitando forme di vita cristiana da tempo dimenticate, si trovò ad essere profeta dei tempi futuri. Nessuna meraviglia se da 64 A. LUZIO, La Madre di Giuseppe Mazzini. Carteggio inedito del 1834-1839, Torino 1919. Lettere del 13.7.1838 e 20.7 1838, p. 210. 41 tanti, anche del clero, non venisse compreso e fosse fieramente avversato. Avrà presto da ricredersi chi ora pensasse il Frassinetti un figlio dell‟Ottocento tutto intento a restaurare il religioso riesumando vecchie forme del passato come stava accadendo nel politico da parte dei governi dell‟epoca, quello dei Savoia piú di ogni altro; oppure lo pensasse persona incapace d‟accettare il suo tempo, e ne fuggisse creandosi un mondo fittizio, sia pure religioso, in cui rifugiarsi come i suoi coetanei si andavano rifugiando in un mai esistito paradiso ellenico, se neo-classici, o, se romantici, in un non meno fantasioso mondo medievale. Il Frassinetti è uomo concretezza, legato all‟ora presente, al concreto dell‟ora presente, con lo sguardo rivolto al futuro. Edifica il nuovo sulle collaudate fondamenta del passato, facendo sua la concretezza della pastorale cattolica: Scrittura, Tradizione, Magistero pontificio, esempio dei santi. Qui basti averlo accennato, dovendo indugiarvi a lungo nel corso della storia, dopo aver visto come il Signore si serví delle circostanze negative di quei tempi burrascosi per predisporre il suo Servo a compiti nuovi. CAPITOLO II ESULTATE NEL SIGNORE UN GENOVESE È NATO ALLA CHIESA Giuseppe Frassinetti fu uomo genovese, e genovese della Genova 1800, con un “di piú” che fece di lui un homo Dei65. La sua storia di uomo di Dio ebbe inizio nella bella chiesa di nostra Signora delle Vigne 65 1 Tm 6,11; 2 Tm 3,17. 42 la terza domenica di Avvento, coincidente in quel 1804 con l‟inizio della novena di Natale. Lí, nella penombra del battistero, pre‟ Gioanin66 chiedeva ad un bimbo di un giorno: – Paule Iosephe Maria, quid petis ab Ecclesia Dei? Il nonno materno, Paolo Viale, e la nonna paterna, Angela, gli erano accanto ad impegnarsi per lui felici di prestare la loro voce a quel nipotino a cui, a distanza d‟un anno, o poco piú, l‟uno dall‟altro, se ne sarebbero aggiunti ancora dieci tra fratellini e sorelline: – Fidem! Quale altro motivo avrebbe potuto esserci per condurlo in chiesa con quel freddo se non quello di farne un figlio di Dio senza rubargli una sola ora di tale figliolanza? Giuseppino sarebbe stato di Dio, e solo di Dio. L‟impegno venne confermato con tre solenni abrenunsio: a Satana, alle sue opere ed al suo allucinante nulla; e con tre credo altrettanto solenni , senza incrinature di dubbio. In chi si può veramente credere con tutta la mente e con tutto il cuore e per tutta la vita se non in Dio: Padre, Figlio, e Spirito Santo? – Paule Iosephe Maria, vis baptisari? – Volo. L‟acqua del fonte scese gelida per tre volte sul capo del bimbo. Un gemito annunciò che nella chiesa era nato un figlio di Dio, come un altro gemito il giorno innanzi aveva annunciato ch‟era nato al mondo un uomo. La pronuncia genovese della zeta di abrenuntio e di baptizari aveva solo raddolcito l‟asprezza d‟un suono, non resa debole l‟adesione a Cristo. Sarebbe stata un‟adesione ferma e dolce. Del resto, gente foresta che potesse sorridere di quel latino non ve ne era, e poi era pur sempre quel latino che da secoli e secoli arricchiva i riti della Chiesa d‟un senso di mistero e li rendeva piú solenni. Anche la lingua serviva a ricordare che ci si immergeva in un mondo di “di piú” e di misteri per poterci poi ritrovare nel “di piú” di Dio. – Accipe lampadem ardentem, il dono di commiato di pre‟ Gioanin, che ha da accompagnarlo la vita intera, mai ad olio scarseggiante e fiammella illanguidita. 66 Giovambattista Pittaluga. 43 Era nato il giorno innanzi, il quindici dicembre, giorno doppiamente sacro a Maria, e perché sabato e perché ottava dell‟Immacolata. Due giorni profezia, quel sabato e quella Dominica gaudete. Nella luce di quei due giorni il suo codice genetico: tendere a Cristo, tenuto passo passo per mano da Maria, con la missione di appianare le vie del Signore a quante piú anime avesse potuto perché trovassero in Dio la vera gioia che nessuna cosa e nessun uomo potranno mai appannare67. I circostanti non ebbero il piú piccolo sentore che con quel rito il Signore si era armato un cavaliere nella terra di san Giorgio per inviarlo a liberare le anime dai timori e dalle ansietà che incutevano loro i giansenistanti con l‟accreditare a Dio le sembianze d‟un giudice facile alla condanna e difficile al perdono, fino a spegnere il desiderio d‟assidersi al Banchetto del divino Amore68. Erano tante e tali le condizioni richieste per potersi accostare all‟eucarestia e nutrire speranza di salvezza, che le comunioni dei fedeli s‟erano fatte poche e rare, molta l‟angustia per il dí del giudizio e per il terrore dell‟inferno. Nella liturgia del giorno il mandato al nuovo cavaliere: gridare l‟intera vita: Dominus prope est, il Signore è vicino, come mai amico fu vicino ad amico. Non voce di condanna e di terrore ad angustia dello spirito, ma voce venuta a dirci: Gaudete69. Vivete allegri, ché IO vi sono vicino. A dissipare l‟ultima titubanza la dolce immagine di Maria, la sua stella. Dell‟avvenimento di quel giorno restò traccia solo nei registri della parrocchia70. Nulla sui giornali. Avevano ben altre notizie da 3 Gv 16,22. È il titolo dell‟operetta di cui stava correggendo le bozze quando il Signore lo chiamò al banchetto celeste. Fu un vero best-seller, tradotto e ritradotto in varie lingue e continuamente ristampato. Veniva a coronare i molti suoi scritti con cui aveva cercato di persuadere i fedeli ad accostarsi senza timore al banchetto divino, anche tutti i giorni. Fu voce comune che ad esso si ispirasse san Pio X nel decreto Tridentina Synodus. 69 Fil 4,4: Vivete allegri nel Signore sempre, ve lo ripeto: Vivete allegri... il Signore è vicino. Sono le parole con cui si iniziava, ed ancora si inizia, la messa della III domenica di Avvento e ne prende il nome. 70 A pagina 405 del Registro degli Atti di Nascita e Battesimo per l‟anno 1804 della parrocchia di S. Maria delle Vigne in Genova leggiamo: Die 16 dicti [mensis Decembris]. Paulum Iosephum Mariam Frascinetti, fil. Io. Baptæ q. Iosephi. et Angelæ Viale Pauli Coniugum heri natum Baptizavit Presbr Io. Bapta Pittaluga Mansus et Curatus: Compatribus 4 44 comunicare. Proprio quella domenica 16 dicembre 1804, prolungando i parigini le feste per l‟incoronazione dell‟imperatore Napoleone, presente papa Pio VII, avevano liberato in aria “un pallone di taffetà incerato, cinto da una rete sorreggente una galleria di filo di ferro con appesi dei lampioncini”, opera del signor Garnerin, che, dopo aver sorvolato tutta Francia, l‟Alpi e mezz‟Italia, era andato a ricadere il giorno appresso all‟Anguillara a due passi da Roma. Questo, sí, era fatto che faceva storia. Giuseppino – il nome Paolo resterà dimenticato nei registri e nei certificati – è ora un figlio di Dio, ma genovese d‟una Genova ancora tutta dei genovesi. C‟erano sí dei foresti, ma cosí pochi da non scalfirne menomamente la genovesità, cominciando dalla parlata ch‟era per tutti, patriziato e popolo, lo stretto genovese. La lingua da porre nero sul bianco variava: a chi riusciva meglio l‟italiano, a chi il francese, e c‟era persino – incredibile a dirsi – chi aveva maggior dimestichezza con il latino. Roba appresa a scuola dai pochi che l‟avevano frequentata. La piú parte della gente non sentiva nessun bisogno di mettere nero sul bianco. A Giuseppino non mancava la sua brava genealogia, anche se dal registro della parrocchia delle Vigne non ci è dato di risalire oltre i nonni. Dobbiamo al lavoro paziente, umile e disinteressato di don Giuseppe Capurro che agli inizi del secolo andò peregrinando di archivio in archivio alla ricerca di quanto si poteva conoscere dei Frassinetti, meglio dei Frascinetti, se ne sappiamo qualcosa di piú71. Ne valeva la pena? Sia venia al buon don Capurro se spese tanto del suo tempo a salire e scendere di figlio in padre e di padre in figlio. Fatica biblica. Agli agiografi un racconto sarebbe parso lacunoso se dei vari personaggi non ci avessero indicato di chi erano figli, di chi nipoti e di chi pronipoti. Per Gesú, Matteo parte da Abramo e ci offre tre quattordicine di antenati: “Libro delle generazioni di Gesú Cristo, figlio Paulo Viale q. Angeli ex Parca S: Laurentii et Angela Frascinetti Vid. q. Iosephi ex Para Na Vinearum. 71 Don Giuseppe Capurro – Recco (GE) 1874 - Genova-Fegino 1935 – ebbe modo di diventare sacerdote studiando dai Figli di Maria in Carignano. Rimase attaccatissimo al suo direttore, padre Antonio Piccardo, che gli affidò la cura dell‟edizione Vaticana di tutte le opere del Frassinetti. Fu lui che fece le ricerche per l‟introduzione della causa di beatificazione del Servo di Dio e ne seguí il corso iniziale con l‟umile titolo di vice postulatore. 45 di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe...” e giú giú fino a Giuseppe, e qui, con un disinvolto salto di corsia e mutando il verbo da attivo in intransitivo, ci attesta che Gesú nacque da Maria72. Luca risalí all‟indietro oltre Abramo, fino al primo uomo: “Gesú, figlio come si credeva di Giuseppe, di Mattat, di Levi,… di Davide,... di Abramo,... di Noè,... di Adamo, di Dio”73. Fino a quando le famiglie sono state granitiche, ognuna ne portava stampata in cuore la genealogia, di pochi gradini quelle degli umili; da competere con la scala di Giacobbe quelle dei nobili. Farinata, dalla sua tomba di fuoco, non si degnò di intavolare discorso col Tosco che per la città del foco vivo se ne andava, se non dopo d‟avergli chiesto: “Chi fur li maggior tui?”74. Non ostante la molta pazienza e tanto buon volere, don Capurro non riuscí a risalire fino ad Adamo come Luca per il Signore, e neppure tre volte quattordici generazioni come Matteo. Poté arrampicarsi sí e no per un secolo e mezzo. Poco, ma piú di quanto sapevano dei loro avi gli stessi Frassinetti. Gli umili difficilmente sono in grado di risalire oltre i nonni dei nonni, né, credo si chiedano a cosa si ricolleghi l‟origine del nome di famiglia. Si chiamano cosí e basta. A noi verrebbe spontaneo pensare il nome Frassinetti legato alla pianta del frassino, dal tardo latino fraxinum, da cui frassineto, bosco di frassini75. Potrebb‟essere, ma potrebbe anche avere un‟origine toponomastica da uno di quei luoghi fortificati chiamati “frassineto” costruiti dai saraceni sul finire del primo millennio lungo la Riviera di Ponente e la Costa Azzurra76. 72 Mt 1,1-17. Lc 3,23-38. 74 DANTE, Inferno, X,23.42. 75 Cosí parve al padre Quirino Proni, quarto superiore generale dei Figli di S. Maria Immacolata, nel disegnare lo stemma della Congregazione. 76 Nel secolo IX, gli Arabi, da noi conosciuti come Saraceni, arrestati in Ispagna, accentuarono la loro pressione verso l‟Italia, conquistando prima le isole di Malta e di Pantelleria, poi la Sicilia, dove rimasero per ben due secoli e mezzo. Altrove, come in Calabria, nella Puglia, alle foci del Garigliano e del Tevere, lungo le coste tirreniche, della Riviera di Ponente e di Provenza, con puntate anche verso l‟interno (Benevento, Acqui, Asti, e fino nelle Alpi Cozie) posero insediamenti fortificati, alcuni di breve durata, altri di lunga 73 46 Ecco quel che mi è dato affermare degli ascendenti di Paolo Giuseppe Maria Frassinetti servendomi dei dati raccolti dal Capurro. Il padre Francesco era conosciuto con il nome con cui a Genova si poteva chiamare una buona metà dei suoi abitanti avendo la certezza d‟azzeccarci una volta su due: o scio Bacicia77, il signor Giovambattista. Anche per lui il secondo nome aveva fatto dimenticare il primo. Giovambattista era nato a Genova nella parrocchia delle Vigne, nel cuore della città vecchia, e lí era ancora residente alla nascita del primo figlio. Merciaio di professione, con negozio in via di Scurreria ad un passo dalla cattedrale San Lorenzo. La madre, Angela Viale, era figlia d‟un merciaio, anch‟egli genovese, ma della parrocchia di San Lorenzo78. Il nonno paterno, morto otto giorni innanzi la nascita del nipotino che ne avrebbe portato il nome con cui sarà conosciuto, Giuseppe, era nato a Rivarolo Ligure, ma, ancora giovane, se n‟era andato in Genova centro a farvi il cuoco. Non ci risulta se in qualche casa gentilizia, se in una locanda o altrove. Era figlio di un Giovambattista, figlio di Andrea, figlio a sua volta di Francesco, tutti di Rivarolo. A questo punto, metà del „600, è facile imboccare un viottolo per un altro e, invece che ricollegarci con il padre di Francesco, rifarci ad un qualche Frascinetti della Val Polcevera o addirittura ai Frascinetto di Santa Fede in Genova, gente che potrebbe anche aver avuto legami di sangue con il nostro Giuseppino, ma talmente ingarbugliati da non poterne venire a capo. Piú probabile con i Frascinetti di San Pier d‟Arena, ad un passo da Rivarolo, che con quei di Santa Fede in Genova79. permanenza. Di questa loro presenza è rimasto un segno nella toponomastica. Ancora oggi diverse località in Italia si chiamano Frassineto / Frassinetto / Frassineti..., la piú celebre di tal nome fu quella in Provenza (889-925). Devo il suggerimento della ricerca al padre Tullio Pisoni, ottavo superiore generale dei Figli di S. Maria Immacolata. 77 Da leggere u sciu Bacicia. 78 Non si è in grado di dire se si sia trattato d‟un solo negozio dove Giovambattista Frassinetti avrebbe prima lavorato alle dipendenze del futuro suocero e poi gli sarebbe succeduto, oppure di un‟attività del tutto autonoma. 79 Nello Stato d‟anime del 1607 della parrocchia di Rivarolo si hanno tre famiglie Frascinetti: Iacobus, sposato ad una Maria, padre di Franciscus e di Ieronimus; Ioannes, sposato ad una certa Bianca, e Stefano (sic), sposato ad una Agostina. 47 Nel Quattrocento, c‟erano stati dei Frassinetti e Frassineto che ebbero un certo nome in città. Si ha memoria d‟un Sagino de‟ Frassineto che nel 1432 fu uno dei priori che curarono nel porto l‟accrescimento del Ponte della Legna e di quello degli Spinola. Nel 1421, 1431 e 1443 fu pure “Consigliere della Repubblica”, e nel 1444 “Elettore degli Anziani”, lui stesso un “Anziano” per ben due volte, nel 1426 e nel 1431. Non era una carta di nobiltà, ma titoli che in Genova contavano assai, fino a potersi permettere un pensierino di veder scritto un giorno anche il nome “Frassineto” nel libro d‟oro del patriziato, libro che a Genova, a differenza di Venezia, non era mai stato sigillato, e, perché no?, persino sognare qualche anno di dogato. Nel secolo innanzi vi erano stati dogi di pochi giorni, uno neppure l‟intera giornata del 14 luglio 1393! Nell‟attesa non aveva trascurato di disegnarsi il blasone: un braccio con chiave in mano nello spaccato superiore, una montagna a tre vette in quello inferiore80. Il Capurro rinvenne pure un fra‟ Cristoforo Frassinetto, carmelitano, lettore di teologia, quanto dire professore, ed autore di testi di morale e di predicabili81, ma sono legami che hanno la stessa consistenza di quei con cui Virgilio ricollegava Giulio Cesare ad Enea ed a Venere. Ecco, se sono dubbi i legami di sangue con fra‟ Cristoforo, sono indubbi quelli di vocazione e di sentire: anche il nostro Priore studierà con amore la spiritualità del Carmelo, potendo attingerla a fonti non ancora disponibili per fra‟ Cristoforo: santa Teresa d‟Avila, san Giovanni della Croce e santa Maria Maddalena de‟ Pazzi; pubblicherà opere di morale e, postuma, uscirà pure una ricca serie di predicabili. Al Capurro sfuggí che il 5 febbraio 1439 un Giacomo Frassineto aveva avuto affidata dall‟armatore Lorenzo Cappa di Sestri Ponente la nave Sant‟Alberto di 900 mine di portata con tredici uomini d‟equipaggio perché insieme a Luca Cichero veleggiassero fino ad Oristano in Sardegna ed ivi caricassero 100 cantari di formaggio 80 Un disegnino a penna per mano del Capurro con l‟indicazione della chiesa di Gesú e Maria in via Bologna, non piú esistente. AF. 81 Sempre negli appunti del Capurro trovo il rinvio a due manoscritti dell‟Università di Genova: FEDERICI, Origine delle famiglie di Genova, pp. 397; DELLA CELLA, Famiglie di Genova, ms. del 1783, pp. 82. Non ho avuto modo di controllare tali ricerche, né credo ne valesse la pena tanta poca importanza penso abbia dato alla cosa il Servo di Dio. 48 sardo82. Se antenato gli fu, e Sestri non dista molto da Rivarolo, non gli trasmise proprio nulla all‟infuori di qualche goccia di sangue, non certo la passione del mare e del viaggiare, e, meno che meno, quella del trafficare ed accumulare palanche. Il frutto di tali ricerche dovette produrre un qualche disappunto nel Capurro che, nel rovistare archivi, non mancava di dare uno sguardo anche ai “Piccardo” con la speranza di incontrare gente d‟alto lignaggio e poter rivelare al suo “Direttore”83 la presenza di una componente di blu nel sangue. È bello poter dire dei servi di Dio quanto si afferma di Giuseppe lo sposo di Maria: falegname di villaggio e povero sí, ma stirpe di re! I “Piccardo” erano solo industriali che a Voltri qualcosa contavano, nobili no; i “Frassinetti” gente del popolo, e del popolo minuto: cuochi, merciai e cose del genere. Non credo che in casa Frassinetti se ne affliggessero piú che tanto o abbiano mai perso una sola ora per sapere da quali lombi discendessero. Per Giuseppino meglio cosí, perché per un sacerdote, almeno nello spirito, il piú bel blasone è sempre quello di Melchisedec: apàtor e amèter, un senza padre e senza madre, e privo di genealogie84, un fuori del tempo e del contingente, uno sradicato dalla terra, pur vivendo su questa terra, ché, a voler seguire Cristo, bisogna vivere nel mondo senz‟essere del mondo e lasciare che i morti seppelliscano i loro morti85. Nella spiritualità del tempo era verità indiscussa. A questo punto, detto che anche Giuseppino ebbe il suo Simeone nell‟abate di San Matteo che usava porgli la mano sul capo e predirne ai genitori il futuro: “Quest‟angioletto sarà un giorno la vostra consolazione”86. avrei potuto concludere la storia della sua infanzia con 82 Annali della Società Ligure di Storia Patria, vol. XXXIV: “Annali Storici di Sestri Ponente e delle sue Famiglie”, Genova 1904, pp. 298. 83 Alla morte del Frassinetti la Pia Opera dei Figli di Maria era agli inizi. Don Antonio Piccardo, non ancora sacerdote, appena ordinato, la prese su di sé dandole un grande sviluppo. 84 Eb 7,3; Gen 14,17-20; Gv 7,27. 85 Mt 8,2. 86 D. FASSIOLO, Op. cit. pp. 15. Si tratta di Anton Maria De Filippi, nato nella parrocchia delle Vigne nel 1759. Era stato parroco di Nervi dal 1792 al 1815. Negli anni degli sconvolgimenti rivoluzionari dovette assistere impotente alla ruberia degli ori, degli argenti e dei nove splendidi lampadari della sua bella chiesa da parte del governo democratico. Nel 1799, i francesi, ricacciati da tutta Italia, erano riusciti ad attestarsi in Liguria ed a resistervi 49 le parole dell‟evangelista Luca: “Ed il bimbo progrediva con gli anni in sapienza e grazia innanzi a Dio ed agli uomini”87, tanto la sua adolescenza sembrava avara di notizie, e poi riprendere il racconto dall‟inizio della sua vita pubblica quando, il sabato 22 settembre 1827, il vescovo di Savona gli conferí con la consacrazione sacerdotale il mandato di offrire il sacrificio, benedire, presiedere, predicare e battezzare, con la viva raccomandazione di essere consapevole di ciò che era chiamato a fare e l‟ingiunzione di vivere in conformità delle cose sante che avrebbe trattato sí da essere profumo che allieta la Chiesa di Cristo88. Ma la tentazione di penetrare il segreto di quegli anni è stata per me troppo forte da sapermi trattenere dal tentativo di ricostruire il mondo in cui egli visse la sua adolescenza ed il modo in cui egli ve la dovette vivere, non certo per appagare una curiosità, ma perché non si può comprendere il parroco santo ignorando il seminarista santo. Giustamente uno dei nove consultori teologi, chiamati a dare il giudizio sulla eroicità delle virtú del Servo di Dio, si rammarica di questa lacuna della Positio: “Dagli Atti della Causa non risulta quasi nulla su questi anni che sono, invece, a nostro parere, fondamentali per lo studio delle sue virtú”89. Ne sono talmente convinto che ho dato a tale tentativo tanto spazio da occupare l‟intera prima parte della storia di questo santo sacerdote: Gli anni della preparazione. fino alla vigilia di Marengo. Per il De Filippi significò l‟allontanamento dalla sua parrocchia dal 26 gennaio al 19 settembre del 1800 e il dover poi aspettare il 24 ottobre 1803 per poterne riprendere possesso! Nel 1848 il Frassinetti, anch‟egli costretto a vivere nascosto per tredici mesi, aveva un bell‟esempio a cui rifarsi. Trasferito a Genova, il De Filippi fu chiamato ad insegnare all‟Università. Morí nel 1842. Cfr. A. e M. REMONDINI, Parrocchie dell‟Archidiocesi di Genova, vol. II, Genova 1886, pp. 104.114. In nota rinvia agli articoli di F. LUXARDO apparsi nel 1862 nel settimanale genovese “La Liguria” a partire da pp. 178. 87 Lc 2,52. 88 Pontificale Romanum, De ordinatione Presbyteri. 89 RV, Voto IV, pp. 24. 50 CAPITOLO III LA BUFERA NAPOLEONICA I primi settant‟anni dell‟Ottocento, nei quali a Giuseppe Frassinetti toccò vivere ed operare nella sua Genova, per la Chiesa furono anni tristissimi. Che tempi fossero si può dedurre da questi due passi: il primo risale a quando il Servo di Dio era un bimbo di pochi mesi, il secondo sul finire dei suoi anni: Tutto quanto era stato possibile distruggere senza eccessive difficoltà è ormai distrutto. Sono rimasti i nudi muri perimetrali, gli archi e le possenti colonne. Appena aperta la porta, ne uscí un nugolo di cornacchie e di civette che si levavano a volo verso il cielo.... Cosí nel 1805 appariva la cattedrale di Saint-Denis al filosofo tedesco Friedrich Schlegel. Per secoli, prima che i giacobini ne avessero perpetrato l‟orrendo e sacrilego scempio, era stata per i francesi la meraviglia delle meraviglie e ne aveva elevato il cuore a Dio. Qualcosa di simile e di peggio si augurava il Carducci, vaticinando la fine delle testimonianze di fede innalzate da generazioni di cristiani sulla tomba del primo papa l‟apostolo Pietro: Savi, guerrier, poeti ed operai, Tutti ci diam la mano Duro lavor ne gli anni, e lieve omai, Minammo il Vaticano... ... su l‟antica riva Cadrà l‟orrenda mole... E tra i ruderi in fior la tiberina 51 Vergin di nere chiome Al peregrin dirà: Son la ruina D‟un‟onta senza nome90. La Cupola di Michelangelo, il Colonnato, i Musei e quanto in essi si contiene: orrenda mole. La civiltà cristiana una vergogna! Ai massoni dell‟epoca parvero versi bellissimi e profetici. Tanto e tale era nel Carducci l‟odio contro ogni cosa che sapeva di cattolico da anticiparsi il tripudio di quell‟ora in cui, demolitore tra i demolitori, si vedeva tra quei che completavano l‟opera iniziata da ostrogoti, vandali, saraceni e barbari vari, invano cercando di ribattezzarsi e di nobilitarsi proclamandosi: Noi siam la sacra legïon tebana, Veglio91 che mai non muore. 90 G. CARDUCCI, Opere, vol III, Giambi ed epodi e rime nuove. VI – Per Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, Ediz. naz., Bologna 1935, pp. 26-33. Fu composta il 30 nov. 1868. 91 È l‟insulto meno pesante usato dal Carducci in quest‟ode contro il mite e santo Pio IX. Piú su l‟aveva chiamato Chierico sanguinoso e imbelle... Polifemo cristiano. Il 19 gennaio di quello stesso anno, proprio nei giorni in cui il Frassinetti saliva al cielo, nell‟ode Per Eduardo Corazzini (la III della stessa raccolta, ivi pp. 11-18) gli aveva lanciato insulti ancora piú beceri e sozzi. Chiedo venia al lettore, ma, perché abbia un‟idea della virulenza blasfema, ne cito una quartina ed alcuni settenari a chiusa di altre quartine: O prete, Godi. Di larga strage il breve impero Empisti e le tue brame. Trionfa nel tuo splendido San Pietro, O vecchio prete infame… Masnadiera papale... / Quel prete empio riposa... / Per te feroce vecchio... / O vecchio sanguinante... / (il sangue) ferocemente vuoi ed il botto finale con cui gli spara contro la sua laica scomunica: Te... Io scomunico, o prete; Te pontefice fosco del mistero. Vate di lutti e d‟ire, Io sacerdote de l‟augusto vero, Vate de l‟avvenire. Trombonate. Chissà se gli era mai giunto all‟orecchio un qualche eco dei massacri compiuti proprio in quegli anni Sessanta per reprimere la resistenza di quanti erano rimasti 52 In fondo al cuore quei massoni erano certi che la Chiesa non sarebbe sopravvissuta a lungo, caduto che fosse il potere temporale dei papi. Anche molti cattolici pensavano la stessa cosa, temendola, e perciò ritenevano che per salvare la Chiesa si avesse da difendere quel potere temporale con le unghie e con i denti. È facile trasferire nel mondo del divino i calcoli ed i timori umani, dimenticando che il Signore è ricco di uscite a sorpresa ed è sempre lui a giocare l‟ultima carta, quella vincente. Pare si diverta a rovesciare le situazioni piú disperate con gioco di contropiede. Per meglio capire i tempi del Frassinetti e la sua testimonianza cristiana non possiamo non intrattenerci su ciò che fu per la Chiesa la Rivoluzione francese, non fosse altro per correggere le impressioni lasciate in noi dal testo scolastico e risuscitate dalle varie rievocazioni televisive. Ne diamo qualche pagina campione, non però filtrata dalla cattedra, ma come fu recepita dall‟occhio del popolo. Si direbbe che cronaca e testo scolastico si siano divisi i compiti, l‟una piena di lacrime sangue ed infamie, l‟altro di squilli di tromba, rulli di tamburi ed acclamazioni al vincitore. Un primo saggio ce l‟offre la cronaca dell‟occupazione di Roma, cosí lontana dal teatro principale, Parigi, in un momento in cui la fase piú bestiale del Terrore era già trascorsa. Sono questi i fatti che colpirono l‟animo del popolo timorato di Dio piú che non lo avessero colpito quanto si diceva essere accaduto in Francia92. Il 15 febbraio del 1798 era giovedí grasso e a Roma si sarebbe dovuto celebrare uno degli otto palii del carnevale, il piú spettacoloso, uguagliato soltanto dal palio dell‟ultimo giorno alla chiusura delle feste, il martedí successivo. Quell‟anno niente carnevale. Già nel 1790 i romani avevano dovuto rinunciare ai “moccoletti” dell‟ultima sera per colpa di quei francesi mandati a Roma dall‟Assemblea Nazionale a provocare disordini e ad insolentire. Avevano osato provocare ed insolentire persino la notte di Natale in San Pietro durante la messa papale! Niente carnevale neppure nel 1793 e l‟anno appresso, tanto i francesi la facevano da padroni anche fedeli ai Borboni! Ma si trattava di briganti, mentre Corazzini e Tognetti erano puri eroi della sua libresca legïon tebana. Povera verità e piú povero profeta. 92 Attingo dal Cracas, nome con cui è conosciuto il Diario romano. Variava dalle 12 alle 24 paginette, con qualche punta fino a 34, grandi quanto una tessera d‟auto, o poco piú . Usciva due e tre volte la settimana. 53 all‟estero in anni in cui Roma era in pace con la Francia! Quello del 1797, vietate le maschere, era stato misera cosa. Quel giovedí grasso del 1798, in cambio del carnevale, si ebbe una penosa carnevalata: un trecento “patrioti” si erano ritrovati al Foro Boario con coccarda tricolore al cappello e lí, con tanto di rògito notarile, avevano dichiarato estinto il potere temporale dei papi e risorta la Repubblica romana. Al Papa, bontà loro, avevano fissato un “decente sostentamento”. Quindi si incolonnarono e ascesero sul Campidoglio a piantarvi l‟albero della libertà con tanto di berretto frigio sulla cima ed accanto un tricolore bianco-rosso-nero. Ci fu un lungo tonare di discorsi e rimbombare di nomi famosi: Bruto, Cassio, Scevola, Catone, gli immancabili Scipioni e l‟uno e l‟altro Gracco,... intramezzati da grida di: “Viva la libertà, viva la Repubblica romana” e di: “Abbasso il Papa!”, tutta gente cosciente di compiere gesta immortali e vivere la piú grande ora della storia. Una marionettata alla vigilia d‟un diluvio di malanni. Sembra che Iddio, per sua antica abitudine, si diverta a togliere il senso del ridicolo agli uomini che di tanto in tanto vengono a rinnovarci la storia. Azara, l‟ambasciatore di Spagna, scriveva che di 190.000 romani a far la rivoluzione erano stati un cinquecento93. Quel giorno papa Pio VI, vecchio ottuagenario e malato, avrebbe dovuto celebrare il ventitreesimo anniversario della sua elezione al pontificato e ricevere l‟omaggio dei cardinali nella Cappella Sistina. Meglio lasciar stare, avevano consigliato i cardinali. Non tutti i porporati avevano cuore d‟eroe, né li estasiava troppo la prospettiva di consacrare il rosso della porpora con il rosso del loro sangue. Meglio non contrastare la bestia, meglio accettare l‟ultima umiliazione, meglio e piú saggia cosa ancora fuggirsene a Napoli, come avevano già fatto tredici dei ventisei cardinali presenti in Roma. Il Papa, benché vecchio cadente, ha deciso: non si moverà. All‟imbocco della via Appia non avrebbe udito il Signore rispondere al suo: Quo vadis, Domine?, che tornava a Roma per farsi ancora una volta crocifiggere, come si riteneva fosse accaduto a Pietro tanti secoli prima. Sulla croce ci si sarebbe fatto porre lui, come del resto aveva fatto Pietro. 93 Cfr. L. VON PASTOR, Storia dei Papi, vol. XVI.III, trad. P. CENCI, Roma 1955, p. 631 n. 3. “Todo esto en el fondo no ha sido mas que una comedia”. 54 Il diciotto, domenica, mentr‟era a pranzo con ancora negli orecchi l‟eco del canto del Te Deum innalzato in San Pietro per ringraziare Iddio che una tanta rivoluzione si fosse eseguita senza spargimento di sangue, ed a cantarlo vi erano stati anche dei cardinali senza il suo permesso, gli si presentò il commissario Haller e gli intimò con brutalità di prepararsi a partire prima che fossero passate le quarantott‟ore. Nulla da fare, non si sarebbe mosso. Alla protesta, Haller replicò che si poteva morire ovunque e che, se non fosse partito con le buone, l‟avrebbe portato via con la forza. Cervone, un altro dei liberatori, pretendeva che si appuntasse al petto la coccarda tricolore e si presentasse ai romani cosí conciato – non l‟aveva già fatto Luigi XVI con i parigini? –. In cambio si sarebbe assicurata una pingue pensione. Gli uomini piccoli credono piccoli anche i giganti, e risposta di gigante furono le parole di papa Pio VI: Io non conosco altre divise che quelle di cui mi ha onorato la Chiesa. Voi avete tutto il potere sul mio corpo, ma non già sulla mia anima, che si ride dei vostri attentati e li disprezza. Non ho bisogno di alcuna pensione. Un bastone ed un abito di bigello bastano ad uno che in difesa della sua fede deve quanto prima spirare sulla cenere... Mi appresso all‟ottantesimo anno della mia vita, onde non ho da temere, e lascio che si usino sopra il mio corpo tutte le violenze, gli strazi e le indegnità, ad arbitrio di chi ha la forza in mano. Ma l‟anima mia è ancora talmente libera, talmente forte e ripiena di coraggio, che prima incontrerò la morte, che offendere il suo onore e il suo Dio. Adoro la mano dell‟Onnipotente che punisce il pastore ed il gregge. Voi potete ardere e distruggere le abitazioni dei vivi e le tombe dei morti, ma la religione è eterna. Come esisteva prima di voi, esisterà dopo di voi94. Predoni, piú che uomini di stato. Haller pretese persino i suoi due anelli. Avuto il primo: – Questo non lo posso dare perché deve passare al mio successore –. Gli fu tolto lo stesso. Era l‟anello del Pescatore. Una delusione. Valevano poco o nulla. Via anche la tabacchiera, dono del re di Spagna. Il povero vecchio non seppe trattenere un lamento: – Anche del tabacco mi private! –95. Se per affermare l‟autorità si richiede villania, violenza ed un cappello ben calcato in capo, i francesi non avrebbero potuto 94 M. R. A. HENRION, Storia universale della Chiesa, trad. di P. LAMPATO, vol. XII, Milano 1841, p. 288. 95 Ivi, p. 289. 55 scegliere persona piú adatta del calvinista Haller, uno di quei che abbisognano di voce grossa e fare villano per sentirsi grandi. La notte sul 20, ultimo giorno di carnevale, fu notte di tregenda: lampi, tuoni e scrosci d‟acqua a tempesta. Alla luce di due lanterne veniva strapazzato un vecchio cadente perché si sbrigasse a montare su di una brutta carrozza prima che la notizia avesse a trapelare per Roma. Anche i potenti hanno i loro momenti di paura. Ne avrebbero fatto tosto lunga e amara esperienza cominciando da questa stessa Italia, e poi in Spagna, e poi in Russia, e via via fino a Sant‟Elena. I cardinali Gerdil e Borgia avevano temuto che sarebbe stato pericoloso il ricusarsi di andare a cantare il Te Deum in San Pietro per ringraziare l‟Altissimo che una tanta rivoluzione si fosse eseguita senza spargimento di sangue, ed erano riusciti a persuadere i porporati rimasti a Roma ad unirsi a loro due. Illusione di un giorno. Ancora una volta si compiva la profezia: Percoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge96. All‟entrata in città delle truppe di Berthier, sei dei cardinali rimasti a Roma furono rinchiusi alle Convertite, parte tentò la fuga, ma a due soltanto andò bene; altri due, dimenticando che il rosso della porpora significa la continua disponibilità a versare il sangue per la Chiesa, rinunciarono all‟alta dignità per non perdere i beni e forse anche la vita97. Fu fatta pressione sugli altri perché ne seguissero l‟esempio e si tentò persino di creare un antipapa, senza venire a capo di nulla. Ma il “NO!” del vecchio Pontefice aveva già cominciato a proliferare altri “NO!” che si andavano facendo sempre piú numerosi, poco importa se essere cardinale “NO” portava all‟espulsione dalla “Repubblica romana” con tanto di scorta armata. Dei poveri vecchi, inermi e morti di paura, impaurivano i forti! 96 Mt 26,31; Mc 14,27; Zc 14,7. 97 Il 21 febbraio accadde qualcosa di simile a ciò che accadrà la mattina del 26 luglio 1943 in Italia quando i giornali, ancora fascistissimi il giorno innanzi, comparvero in edicola tutti fieri avversari del caduto regime. Il Diario, che fino al giorno innanzi era stato tutto per il Papa, si risvegliò giacobino. Ebbe però il pudore di mutare la testata in Monitore di Roma, per richiamarsi poi Diario le ultime due settimane dell‟anno, avendo re Ferdinando IV di Napoli cacciato i francesi, e raccontare tutte le vergognose gesta degli invasori transalpini, salvo poi a ricambiare testata e musica al loro rientro in città. Accanto al titolo si leggeva: Religione Libertà Eguaglianza e, di lí a poco, solo: Libertà Eguaglianza. 56 Se tristi erano i fatti di Roma, ben piú tristi quei di Francia. A migliaia preti, suore, ed altri cristiani, nonché decine di vescovi, seppero affrontare la morte e sopportare carceri e deportazioni, spesso ben piú gravi della morte stessa, mentre altri, e non pochi purtroppo, si affrettavano a rendere omaggio alla Ragione ripudiando la superstizione. Basti un nome: il vescovo Talleyrand. Era l‟ora delle tenebre98. L‟arresto del vecchio Pontefice e la sua deportazione in una squallida prigione in terra di Francia, tra gente senza religione e senza pietà, non fu che l‟inizio della sua lunga via crucis prima di poter ripetere con Cristo in croce: Tutto è compiuto99 e morire solo ed abbandonato. Non gli fu risparmiata l‟ultima umiliazione e l‟ultima sofferenza. Anche le esequie un insulto. L‟ufficiale municipale, accertata che ebbe la morte del detto Giovanni Angelo Braschi esercitante la professione di pontefice, aveva dichiarato sicuro e solenne: Le ci-devant pape vient de mourir: ce sera le dernier et la fin de la superstition!100. Quel 29 agosto 1799 sembrò proprio che avessero avuto compimento la profezia di Cagliostro, che Pio VI sarebbe stato l‟ultimo papa, e quella della veggente La Brouse, la passionaria dell‟epoca, che sosteneva il cielo essere stanco della tirannia dei papi e perciò contate le ore del loro potere. In Matteo si legge che i pontefici e i farisei... assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia101. Quel giorno di tenebre anche i discepoli credettero svanita la loro speranza, infatti non avevano ancora compreso la Scrittura secondo la quale egli doveva risuscitare da morte, dice Giovanni a propria e ad altrui scusa .102 Settembre, ottobre, novembre, dicembre, gennaio, febbraio... niente piú papa, e, senza piú papa, niente piú Chiesa. Tutto era finito. I carnefici ne erano certi, i buoni lo temevano. 98 Mt 27,45; Lc 22,53. 99 Gv 19,30. 100 Il papa qui presente è morto, ed è stato l‟ultimo. Con lui è finita la superstizione. 101 Mt 27,64-66. 102 Gv 20,9. 57 Quando d‟inverno il freddo è rigido, e freddo e gelo stringono ogni cosa... e si crede che tutto sia finito e morto... proprio allora il pettirosso si mette a cantare... Il tempo di contare fino a quattro, e... Tout est blanc! tout est rose! tout est vert!... Il y a DIEU! il y a Dieu... qui est le plus fort! 103. Il 14 marzo 1800, mi correggo: il 23 ventôse dell‟anno VIII, perché l‟era cristiana dal 22 settembre 1792 era da considerarsi seppellita per decreto della neonata Repubblica francese – un calendario destinato a morire impubere –, papa Pio risorgeva a Venezia. L‟unica differenza una unità in piú: Pio VII invece che Pio VI. “La religione è eterna – aveva detto il vecchio pontefice –, come esisteva prima di voi, esisterà dopo di voi: il regno di Dio si perpetuerà sino alla fine dei secoli”. 103 Parole della scena IX della Santa Giovanna d‟Arco al rogo di P. CLAUDEL. Per chi ne avesse bisogno, questa è la traduzione: Tutto è bianco! tutto è rosa! tutto è verde!... C‟è DIO! c‟è Dio che è il piú forte! 58 CAPITOLO IV IL FANCIULLO ASCOLTAVA Le prime impressioni dell‟infanzia restano piú profondamente radicate e hanno influenza piú potente sopra tutta la vita dell‟uomo; né questo fa bisogno provare mostrandone la verità un‟esperienza costante. G. FRASSINETTI, Compendio di Teologia Dogmatica. Le aspirazioni alla libertà, ingenite nell‟animo mio, s‟erano alimentate dei ricordi di un periodo recente, quello delle guerre repubblicane francesi, che suonavano spesso sulle labbra di mio padre e dell‟amico nominato piú sopra [Andrea Gambino]... e della lettura di alcuni vecchi giornali da me trovati seminascosti dietro ai libri di medicina paterni, fra i quali ricordo alcuni fascicoli della Chronique du mois pubblicazione girondina dei primi tempi della Rivoluzione di Francia. G. MAZZINI, Note autobiografiche. 59 A Genova si erano vissuti momenti peggiori. Giuseppino fu uno degli ultimi genovesi nati liberi in libera repubblica, anche se di mutato nome: non piú “Repubblica di Genova”, ma “Repubblica Ligure”. Una libertà di facciata, a sovranità limitata, e dai mesi contati. Un altro Giuseppe, della confinante parrocchia di San Siro, famoso nei nostri libri di storia patria, Mazzini, nascerà cittadino francese e suddito d‟imperatore. Due nascite cosí vicine e due vite cosí diverse, l‟una e l‟altra influenzate dai racconti uditi in casa nella loro prima infanzia. Quando televisione e luce elettrica erano di là da venire, specie nelle case dei poveri, le lunghe serate d‟inverno si trascorrevano radunati in cucina al chiarore di una lucernetta ad olio e del riverbero della fiamma del focolare. Era quello il loro soggiorno. Lí, mentre si aspettava che la cena fosse pronta, dopo la recita del rosario con non pochi Pater ed Ave per i propri cari ed un buon numero di Requiem per i defunti, si riempiva il resto del tempo parlando di cose di casa e dei fatti del giorno, senza che le donne ristessero dai loro lavori. Di tanto in tanto i grandi di casa tornavano per la millesima volta, come il Renzo del Manzoni, sui fatti da loro visti e vissuti. Né è a dire che a Genova, in quel principio di secolo, con tutto quel che vi era accaduto dagli ultimi anni del Settecento, mancassero cose memorabili da raccontare e tali da oscurare persino il “sasso” di Balilla. Alle imprese napoleoniche si aggiungevano le prodezze del Gran Diavolo104. il brigante che per tanto tempo aveva terrorizzato la Val di Bisagno e la vallata di Fontanabuona, movendovisi da re. Da re la faceva Giuseppe Podestà nelle valli di Sturla e Borzanasca, ed altri altrove105. “Diavolo”, il 24 aprile del 1801, aveva avuto l‟ardimento di comandare un‟esecuzione sotto le stesse mura di Genova col rito che usano gli eserciti in guerra. Il governo mise un taglia sul suo capo, egli la mise sul capo del ministro di polizia e sul capo dei parroci che dal pulpito avessero annunziata la taglia contro di lui. Un muoversi con pari autorità e pari dignità. Ci vorranno tre anni e mezzo per riuscire a 104 Giuseppe Musso. Cfr. G. MISCOSI, Genova antica e dintorni, Genova 1974, p. 425; C. PAGLIERI, Agostino Pareto – Un genovese tra Rivoluzione e Restaurazione, Genova 1989: “Il paese scivola lentamente verso una totale anarchia, cui contribuivano in primo luogo i numerosi briganti appostati sulle strade dell‟interno: a rendersene conto in prima persona fu il generale Muller, cui una cinquantina di banditi diede il benvenuto alla Bocchetta, alla fine di settembre 1800. Il nuovo comandante della Liguria, giunto a Genova notevolmente alleggerito, sfuggí dopo circa un mese ad un proditorio colpo di fucile”, p. 41. 105 V. VITALE, Onofrio Scassi, Op. cit., p. 123. 60 catturarlo e fucilarlo alle Ulivette il 12 dicembre 1804. Aveva ventisei anni. Morí rappacificato con Dio. Se in polizia ci fosse gente di spirito, “Diavolo” avrebbe potuto far sua la risposta che diede ad Alessandro Magno il pirata immortalato da sant‟ Agostino. Gli aveva chiesto se gli pareva cosa ben fatta infestare i mari. Con nobile fierezza rispose eleganter et veraciter : A me pare ciò che pare a te l‟infestare il mondo intero. Io lo faccio con una piccola imbarcazione, e sono chiamato brigante; tu lo fai con grandi forze, e sei chiamato imperatore. I fatti di quegli anni inveravano l‟aneddoto e le riflessioni di Agostino. E difatti: Bandita la giustizia, cosa sono i regni se non grandi piraterie? E le piraterie, del resto, altro non sono che piccoli regni: un pugno d‟uomini, uno che comanda, un patto che li tiene stretti in società, bottini da ripartirsi a norma di legge. Se questo flagello riesce a svilupparsi per l‟affluire di masse d‟uomini perduti sí da impossessarsi di territori, fissare sedi, occupare città e sottomettere popoli, è riconosciuto come regno, non perché siano cessate le ruberie, ma per la loro sopravvenuta impunità106. Latrocini e vessazioni quelli del brigante Diavolo, latrocini e vessazioni quelli di Napoleone. Quelli perseguibili per legge, questi fonte di gloria. Il racconto degli uni e la rievocazione degli altri furono il filtro attraverso il quale ai fanciulli di casa Frassinetti pervennero le prime conoscenze della storia e della cronaca. I fatti sono ciò che sono, ma diversi i modi in cui si vivono e poi si rievocano. In casa Frassinetti quegli anni terribili erano rievocati con l‟animo di chi se ne era sentito oppresso; in casa Mazzini, con l‟animo di chi se ne era sentito protagonista e ne aveva sognato di piú grandiosi. Le scelte dell‟adolescenza sono strettamente legate alle prime lezioni di storia che si recepirono attorno al focolare e dalle prime letture. Non esiste uomo che sia mai riuscito a liberarsi dalle impressioni che ebbe incise nel cuore negli anni della sua fanciullezza. Il Frassinetti ed il Mazzini non fanno eccezione. In un catechismo al popolo, tenuto dal nostro Servo di Dio l‟ultimo anno di vita, s‟avverte come in lui fossero ancora vive le impressioni recepite dal suo cuore di fanciullo udendo dai suoi le angherie subite da papa Pio VI e papa Pio VII: 106 AGOSTINO, De civitate Dei, libro IV, cap. IV. 61 Osservate bene che tutti i nemici della Chiesa di Cristo sono stati sempre gli accaniti nemici del Papa e che, aspirando nella loro stolta empietà a distruggere la Chiesa, sopra tutto si adoperarono per distruggere il Papato. Non vi sono ingiurie, non contumelie, non calunnie che risparmiassero al Papa, sempre sperando di farlo cadere nel discredito e nel dispregio del popolo cristiano... Per non parlare di ciò che avviene al giorno d‟oggi, parliamo di ciò che avveniva sul finire del secolo trascorso e sul cominciare del secolo presente... Il Pontefice [Pio VI] fu tratto a forza in Francia dove finí la vita. Anche il suo successore Pio VII, a forza strappato dalla sua Roma, fu relegato per cinque anni in Savona, ma, nel viaggio di questi due Pontefici, i popoli, dovunque potevano, mostravano loro la piú profonda venerazione. Eppure erano tempi cosí cattivi, che l‟essere amici del Papa, era una specie di delitto107. Gli occhi di chi aveva narrato a lui bambino quei tempi cosí cattivi erano pieni di visioni di sangue ed esprimevano l‟orrore per le dissacrazioni delle cose piú sante che avevano dovuto vedere: chiese mutate in stalle, le campane ammutolite o condannate a sonare per celebrare i fasti della Rivoluzione, quando non erano state abbattute per farne cannoni; frati e monache cacciati di convento108, dappertutto spie a caccia dell‟uomo sospetto, ed il sospetto ritenuto delitto certo e, delitto dei delitti, il non mostrare simpatia ed entusiasmo per i tempi nuovi. Continue le requisizioni a mano armata casa per casa, continui i sequestri e le imposizioni di “spontanei” contributi patriottici, e poi tasse, e ancora tasse – non era forse 107 G. FRASSINETTI, Opere edite ed inedite, Istruzioni catechistiche al popolo, vol. I, Roma 1906, pp. 218-219. 108 “Sento dire tutto il giorno – tuonava la Gazzetta il 20 ottobre 1798 –: poveri frati! – Perché poveri frati?... potranno abbandonare il convento; rientrare nella Società secolare... Come? che dite mai? e i voti, la scomunica! Avete ragione: l‟istruzione pubblica non ha ancora fatto il menomo progresso... La Legge però rispetta i vostri scrupoli... Dichiaro però, in tutta purità del mio cuore, che s‟io vedrò in società una donna, un uomo vivere onestamente... e sentirò dire «quello è un frate» e «quella è una monica», io non potrò astenermi, malgrado i voti, l‟apostasia e la scomunica, di stimarli e rispettarli molto di piú, che tante altre monache e tanti altri frati che hanno il velo o il cappuccio...”. Tace delle spogliazioni e violenze che s‟usavano, anche contro vecchie monache, buttandole fuori dal convento dove avevano passato una vita. Sempre la Gazzetta, l‟anno innanzi, s‟era meravigliata dello stupore delle monache del monastero dello Spirito Santo nel sentirsi chiamare Cittadine dai membri del governo che le dichiaravano libere nel mentre le cacciavano dal loro convento prive di tutto. In G. MISCOSI, Op. cit, Genova 1974, pp. 385 e 381. 62 l‟Italia la loro vache à lait?109 –, mentre le belle navi immalinconivano nel porto risognando i tempi in cui era tutto un attraccare ed un risalpare per i piú lontani lidi. Peggiori ancora dei francesi i “giacobini” indigeni raggruppati nei corpi volontari e nello squadrone volante dei patrioti, feccia di gioventú, che il 22 maggio 1797, prima ancora che agli invasori facesse piacere e comodo, avevano aperto loro le porte della città accogliendoli al canto del Ça ira, ça ira, les aristocrates à la lanterne110. La Repubblica di Genova, un povero vaso di coccio costretto a navigare tra vasi di bronzo, era pur sempre la véritable clef de l‟Italie111. Fino a quei giorni aveva cercato di tenere a bada i nemici di terra e di mare restando neutrale e facendo assegnamento sulla “ancor notevole forza economica della sua classe dirigente”112, una ricchezza agognata dalle varie forze in campo, ma, non essendo ancora nessuna in grado di appropriarsene, tutte cercavano d‟impedire che un altra vi riuscisse. C‟erano però i nemici interni: la nobiltà caduta in miseria e la borghesia emergente che conferivano consistenza e credibilità allo sparuto gruppo dei “giacobini genovesi” manovrati dal ministro di Francia a Genova e dai Serra. Se neutralità ed accortezza avevano assicurato alla città anni di relativa calma, la campagna napoleonica dell‟anno 1796 era venuta a sconvolgere l‟equilibrio su cui ancora si reggeva la Penisola. Superato il Colle di Cadibona e sbaragliati a piú riprese gli austro-piemontesi, Napoleone puntò verso la Lombardia ed il Veneto senza toccare Genova. Per Genova furono mesi d‟agonia, pur conservando in cuore l‟illusione di poter sopravvivere venendo a patti con il generale irresistibile che, da buon politico, pareva volesse evitare di inimicarsi un popolo di mercanti colpendoli nei loro interessi e, meno che meno, logorare le proprie forze in 109 Una mucca da latte. Cfr. V. VITALE, Un giornale della Repubblica Ligure: Il redattore italiano e le sue vicende in Miscellanea storica, “Atti della Società Ligure di Storia Patria”, vol. LXI, Genova 1933, p. 37. ID., Onofrio Scassi, Op cit.:, p. 30. 110 G. SERRA, Memorie per la storia di Genova dagli ultimi anni del secolo XVIII alla fine dell‟anno 1814, pubblicate a cura di P. NURRA in “Atti della Società Ligure di Storia Patria”, vol. LVIII, Genova 1930, p. 64. 111 La vera chiave dell‟Italia, cfr. V. VITALE, Breviario della storia di Genova. Lineamenti storici e orientamenti bibliografici, Genova, 1955, vol. I, p. 457. 112 C. PAGLIERI, Op. cit., p.19. 63 un lungo assedio di città ben fortificata. Ne aveva avuto già abbastanza in quello di Mantova. Era la politica che a Napoleone imponeva attesa e moderazione, e alla classe dirigente genovese il guardarsi da ogni passo falso se voleva conservare intatto il suo potere economico, sia pure con delle concessioni sulle forme. Un‟operazione gattopardesca, diremmo oggi. Ed era appunto questo ciò che maggiormente temeva il partito giacobino, composto, a giudizio di Gerolamo Serra, di uomini privi di seguito, di ingegno, di credito e di pecunia113. Non restava perciò che giocare d‟anticipo e si ebbero le giornate di maggio. Il Serra, testimone oculare, ci riporta alcune particolarità di quei tristi giorni: Al Ponte [reale] era il nerbo delle lor forze [dei patrioti], il loro quartier generale; sulla piazzetta contigua alla darsena stava il già detto cannone... Un giovanetto di piccola condizione fece l‟ardito disegno di corrervi sopra a ora di pranzo, impadronendosene e smontarlo; ma fu prevenuto, e una palla spaccogli il ventre. Accorse scapigliata la madre; io stesso la vidi spargere torrenti di lacrime, io stesso udii i suoi gemiti inconsolabili: – O mio figlio, mio figlio; o maledetta rivoluzione... – e copriva di baci il cadavere insanguinato. Nel rimanente del giorno non si fecero piú assalti, ma numerose pattuglie per l‟una e l‟altra parte. Quelle de‟ rivoltosi miste di cisalpini e di qualche francese giacobino, avevano per segno d‟ordine – libertà, eguaglianza, ovvero Repubblica francese, – ma le pattuglie de‟ carbonari e facchini, cui si erano aggiunti i venditori di commestibili e quasi tutti i bottegai, pigliarono per segno d‟ordine quello di cinquant‟anni addietro: Viva Maria!114. Giovambattista Frassinetti, il padre di Giuseppe, era anch‟egli un bottegaio, ed è piú naturale pensarlo tra i “quasi tutti” che furono presenti, che non tra i pochi che restarono a casa. Ma non valse che ad essi si unissero anche i barcaroli. Non potevano non soccombere. Ma si trattò soltanto di una tregua di soli tre mesi. A settembre la sollevazione riesplose piú terribile. Se il ceto eminente cercava di barcamenarsi per poi cavalcare la rivoluzione e salvare le sostanze, quelli in basso, bottegai di Genova, carbonari della Val di Bisagno, contadini d‟Albaro, di Val Polcevera e Fontanabuona, sostenuti dai parroci e 113 G. SERRA, Memorie..., p. 73; C. PAGLIERI, Op cit., p. 23. 114 Ivi, pp. 64.71.115-116. La rivolta di cinquant‟anni addietro è quella resa famosa dall‟episodio di Balilla. 64 da tanta parte del patriziato, non temettero di sollevarsi ancora una volta al grido di Viva Maria! Per tre giorni, dal quattro al sei, Genova tornò ad essere loro e la paura mutò verso. Ancora una volta, a cinquant‟anni di distanza, erano riusciti a cacciare gli invasori a furia di popolo ed al grido di Viva Maria! La sollevazione fallí, ma il popolo ferito nei suoi sentimenti e la nobiltà mercantile nel prestigio e negli interessi, fino a quei giorni separati da un abisso, si scoprirono alleati contro la borghesia e tali sarebbero rimasti fin nel secolo successivo. Erano spinti da motivi religiosi, patrii ed economici alimentati ogni giorno piú dalle vessazioni degli invasori e dalle ribalderie dei giacobini indigeni. Agli insulti e alla spietata repressione degli insorti erano seguiti lo spogliamento dei conventi, l‟imposizione di insopportabili balzelli e ruberie a non finire. Solo per l‟approvvigionamento dell‟esercito d‟occupazione, 400 mila lire al mese; per la spedizione in Egitto 60 bastimenti requisiti; i crediti che avevano in tutt‟Europa – solo con la Francia 40 milioni – non piú esigibili, mentre loro, i francesi, s‟erano ricordati d‟un antico credito di due milioni e ne reclamavano il pagamento115. L‟azione di repressione contro gli insorti fu terribile. Carceri piene di contadini, nobili e clero. Non bastando, si riempirono le chiese. Tribunale militare, vendette personali, fucilazioni alla batteria della Cava. Fra gli altri, tre sacerdoti. Dall‟altra parte, il legionario delle truppe volontarie Giacomo Mazzini, non ancora padre di Giuseppe, fu citato tra i bravi che s‟erano distinti nella repressione116. Nel nostro dopoguerra l‟avremmo detto un 115 C. PAGLIERI, Op. cit., pp. 28.37.40. 116 Cfr. G. MISCOSI, Op. cit., pp. 368-371. Giacomo Mazzini ricoprí cariche importanti sia nella Repubblica Democratica, sia nella Genova divenuta provincia dell‟impero napoleonico. Ne aveva d‟avanzo per essere schedato tra i pessimi nel libro nero della Restaurazione: Mazzini Giacomo. Medico di limitata reputazione. Appartiene ai Rivoluzionari. Nella repubblica Democratica fu provveditore a Sestri Ponente. È per l‟indipendenza. Non ostante una segnalazione cosí poco lusinghiera, non subí discriminazioni e poté conservare la cattedra di medicina all‟Università di Genova, che tenne con onore, e fu persino onorato da re Carlo Alberto con medaglia d‟oro a testimonianza di stima e di riconoscenza per come s‟era prodigato durante il colera del 1835. Aveva studiato all‟Università di Pavia, una roccaforte del giansenismo in Italia. Giansenista anche la moglie, Maria Drago, che tanto influsso ebbe sul figlio Giuseppe, da lei affidato per i suoi studi a due religiosi anch‟essi giansenisti. Cfr. V. VITALE, Informazioni di polizia sull‟ambiente Ligure (1814-1815) in Miscellanea storica, “Atti della Società Ligure di Storia Patria”, vol. LXI, Genova 1933, p. 452. Per maggiori notizie: V. VITALE, Onofrio Scassi, Op. cit., pp. 9, 29, 38, 65 collaborazionista, un quisling, e additato all‟obbrobrio; per i nostri storici risorgimentali fu degno d‟encomio. Non mi sento d‟escludere che i bimbi Frassinetti a tali racconti non sognassero d‟essere anche loro tra la folla, sasso in mano, a gridare: Viva Maria! La sorella Paola ricordava il fratello Giuseppe adolescente focosissimo. Anche quando i tempi si potevano dire rasserenati, non erano rari i sogni d‟incubo in cui si riviveva l‟inferno della primavera del 1800: gli inglesi sul mare con i cannoni delle loro navi puntati contro la città, cannoni che a piú riprese seminarono strage nell‟abitato; le truppe della coalizione antifrancese intorno alle mura senza che riuscissero ad espugnarle; al loro riparo, Massena e 15.000 francesi in città la facevano da padroni, incuranti dei 120.000 genovesi che morivano di fame epidemia e bombe, a non contare le frequenti fucilazioni da parte degli occupanti. Nel solo mese di luglio, il piú nefasto, 2706 morti, in un anno 12.492, quelli potuti contare; fino a cento al giorno nei periodi di maggiore moria. Uno su ogni nove dieci abitanti! Si aggiungano i prezzi saliti alle stelle e le iene cui non pareva vero di vivere una tale propizia stagione di arricchimento. A leggere il Botta nasce il dubbio d‟aver sbagliato libro e che si stia leggendo in Tucidide la peste d‟Atene: Si mangiarono [i cibi] piú schifi e sozzi, non solo i cavalli ed i cani, ma ancora i gatti, i sorci, i pipistrelli, i vermi, e beato chi ne avea... pensossi alle erbe. I rómici, i lapazi, le malve, le bismalve, le cicorie selvatiche, i raperonzoli diligentemente si ricercavano, e cupidamente, come piacevolezza di gola, si mangiavano. Si vedevano lunghe file di genti, uomini d‟ogni condizione, donne nobili e donne plebee, visitare ogni verde sito... per cavarne quegli alimenti cui la natura ha solamente alle ruminanti bestie destinati... furono viste donne e gentildonne nutrirsi di sozzi sorci... Fanciulli abbandonati da parenti morti o da parenti disperati... razzolavano quell‟innocenti creature bramosamente nei rivoletti delle contrade, nelle fogne, negli sfoghi de‟ lavatoi, per vedere se qualche rimasuglio di bestia vi si trovasse, e trovatone, se gli mangiavano117. Girolamo Serra ci tramanda un‟altra particolarità di quei tristissimi giorni: 62, 75, 101, 105-107, 110, 128, 139, 142, 147, 151, 177, 214, 225, 227s., 240, 262, 310, 326, 330. 117 C. BOTTA, Storia d‟Italia dal 1789 al 1814, vol. III, Torino 1852, p. 265. 66 Un Conservatorio di velate zitelle, chiamate le Figlie del Rifugio, fa voto di assistere all‟inferme negli Spedali. Ora infierendo le malattie ossidionali tanto che, occupati per ogni banda i letti, moltissime giacevano sul pavimento coperto di poca paglia, e il tempo era scarso a portarne via i cadaveri, le pie assistenti cominciarono da principio a tremare per la propria salute; ma ripreso tosto animo all‟esortazioni de‟ loro Direttori, che ne davan l‟esempio, non vedevano l‟ora di esporsi alla contagione in guisa che ottanta sopra dugento perirono nell‟esercizio del lor ministero118. Un flagello immane, fame e peste, ma non per tutti. Se quei giorni furono gravi anche al Foscolo, ufficiale napoleonico al servizio di Massena, lo furono a causa della bella Luigia Pallavicini caduta da cavallo e sfiguratasi il viso. Per lei la sua pena e le suppliche letterarie alle dee dell‟Ellade: I balsami beati Per te le Grazie apprestino, Per te i lini odorati… Or te piangan gli Amori, Te fra le Dive liguri Regina e Diva!....119. Latona, Cinzia, Febo, Citerea... Altre in quei giorni le ansie del popolo genovese. La storia del popolo è storia di lacrime. Massena, l‟eroe dell‟epica difesa esaltata nei nostri testi scolastici, fu per la gente di Genova soltanto l‟Ammassa-Zena, l‟ammazza-Genova. I Frassinetti erano gente del popolo, ed il popolo era persuaso che quei mali si dovessero all‟empietà di quanti si erano accaniti a travolgere la religione perdendo l‟ultimo senso di umanità. Cosí, il tradizionale mugugno dei Genovesi assurgeva a visione religiosa della storia. Come erano lontani i giorni della grande ubriacatura democratica, di cortei ed inni, dei discorsi ripieni dei nomi di Bruto, di Cassio, di Catone, di Scevola e degli Scipioni. I giorni del furore distruttivo nel cancellare ogni segno che ricordasse le glorie dell‟antica Repubblica120. 118 G. SERRA, Op. cit., p. 115. 119 U. FOSCOLO, A Luigia Pallavicini caduta da cavallo. 120 La casa madre dell‟Opera dei Figli di Santa Maria Immacolata, l‟attuale Istituto Piccardo, è il risultato di ampliamenti successivi d‟una delle tante ville che nei secoli passati ricoprivano il colle di Carignano in Genova, all‟epoca fuori città. Sulla porta che dà nel cortile, sopravvissuta a tutti i rifacimenti ed alle bombe della guerra, si nota uno stemma gentilizio scalpellato dai giacobini. È fama che nella stessa villa si radunassero a congiurare Mazzini e compagni. 67 In cambio ovunque alberi della libertà. A celebrarli in versi s‟incaricò il padre olivetano Luigi Serra: Pianta felice del dritto umano riparatrice nel suol di Giano! e questo mentre frati, monaci e monache erano spogliati dei loro beni e cacciati di convento. Neppure il seminario fu salvo, non ostante vi avessero piantato l‟albero nel bel mezzo del cortile festeggiandolo con danze ed un‟accademia: Il trionfo della Libertà. Rimarrà chiuso per quattro anni, ma, per tornare ad essere un vero seminario, si dovrà aspettare il 1830 quando ne prenderà la direzione il Cattaneo. Ovunque circoli costituzionali, ognuno impegnato nell‟alta missione di rieducare la plebe ottenebrata dalla superstizione. Il primo fu costituito nella chiesa dissacrata dei santi Gerolamo e Francesco Saverio all‟Università. Il Regolamento recitava tra l‟altro: 14. Si procurerà l‟intervento degli ecclesiastici, donne, fanciulli e d‟altre persone bisognose d‟essere illuminate. 15. Saranno specialmente invitati con circolare l‟Arcivescovo e i Parroci a intervenire e a condurvi i loro parrocchiani. L‟arcivescovo ringraziò, ma era troppo vecchio per poter frequentare quei corsi di rigenerazione, non cosí vari padri scolopi che nella bigoncia del Circolo videro una cattedra piú prestigiosa di quelle delle aule dei loro istituti. Si ha una descrizione non sospetta di quelle adunanze tumultuose in questi versi dell‟ olivetano Luigi Serra pubblicati sulla Lanterna magica: Quale m‟introna il timpano intollerabil strepito: Son tori che si scornano o gente in società?... Non mai tant‟odio vomitò Clodio dai rostri contro Tullio quanto esala livor da queste bestie. E gl‟imbroglion s‟imbrogliano, i santi e Dio bestemmiano e plauso lor si fa... 68 In sordida gramaglia, unta di lardo e zucchero. per quarto un fra scolopio presentasi costà. È fra Assereto. I ben degli ecclesiastici rassegna al popolo. Scribanis pseudo fisico Massucco estemporaneo membri del Calassanzio parlano di libertà. Ultimo sale il pulpito il saltimbanco Cuneo che naso bocca ed omeri simmetricando va. Basti per il momento di questi ecclesiastici, capitanati dal Degola, tutti devoti di Giansenio, cui non pareva vero di servirsi della Rivoluzione per sferrare un colpo mortale alla Chiesa di Roma, dovendo tornare sull‟argomento quando tratteremo della persecuzione che la loro setta farà al Frassinetti che ne combatteva la dottrina121. Nella sessione del 7 marzo 1799 la cittadina Paolina Bertolotto predicò dalla bigoncia le beatitudini della nuova virtú e della nuova morale. Rieducare, rigenerare. Si istituí persino la festa della Rigenerazione fissata per il 14 giugno122. Nel 1799 lo scolopio Assarotti, fondatore dell‟Istituto dei Sordomuti, cui Genova ha intitolato una della sue piú belle vie, scriveva: La istruzione repubblicana deve farsi consistere nello instillare agli studiosi giovanetti l‟amore della patria, la subordinazione alle leggi, il rispetto alle autorità costituite, la cognizione e la pratica della cristiana virtú, l‟orrore alla ingiustizia, alla violenza, all‟ozio, all‟egoismo ed ad ogni altra sorta di vizii123. 121 Chi volesse saperne di piú, e fino a che punto i giansenisti furono l‟anima della persecuzione religiosa, legga A. COLLETTI, La Chiesa durante la Repubblica Ligure, Genova 1950, p. 181, a cui qui mi rifaccio. Tratta dei Circoli costituzionali a pp. 24-27 con citazione delle fonti. 122 Gazzetta di Genova del 15 giugno 1799. 123 MONACI, Storia dei Sordomuti, Genova 1901, p. 20; F. LUXARDO, Saggio di Storia Eccl. Ligure, vol. I, Genova 1884, p. 103. 69 Se non vi fosse sperduta nel mucchio la cognizione e la pratica della cristiana virtú, lo diremmo il manifesto della morale laica. Un incipit vita nova, buttando via quanto si pensava vecchio e superato. Non fu risparmiato neppure il trono del doge in cattedrale in cornu evangelii. Veniva cosí risolta la secolare guerra tra doge ed arcivescovo a chi dei due toccasse avere il trono nella parte piú nobile del presbiterio. Un trionfo pieno per l‟arcivescovo, se il suo trono, tornato al posto d‟onore e senza dirimpettaio in cornu epistolæ, non fosse stato privato del baldacchino. Ma solo per poco, perché, leggiamo nel Moroni, “[Il nuovo governo] dovette cedere alle sode rimostranze dell‟arcivescovo cardinal Spina e permettergli il baldacchino”124. Bruciare ed abbattere. Eppure, quanta ridicola malcopia ed inconfessata nostalgia dei vecchi riti religiosi in quelle loro carnevalate. Parodia delle belle processioni le grandiose sfilate del 14 luglio del „98 e del „99. Un ripercorrerne le strade: Piazza Nuova, Piazza S. Domenico, Strada Giulia, Piazza Fontane Marose, Strada Nuova, scartando Via Balbi, un nome di nobile e non ancora ribattezzata in Via del Popolo, Porta S. Tommaso, Banchi,...– oggi diremmo: Piazza Matteotti, Piazza De Ferrari, Via XX 124 Ci viene da sorridere per questa guerra iniziata nel 1638 e che ricorda tanto quella della Secchia rapita. L‟arcivescovo ragionava: Il doge non è né re né principe regnante, non può quindi pretendere un tale onore per un misero incarico biennale, spesso non riuscito a portare a termine. Il doge: Genova è padrona del regno di Corsica, perciò il doge deve rivendicare a sé corona, scettro, manto reale e trono in cornu evangelii. Niente da fare. Se voleva farsi incoronare, si facesse incoronare dall‟abate di Santa Caterina in Santa Caterina! Fu l‟inizio d‟una guerra con alterne vicende, segnate dagli spostamenti dei due troni, fino a ricorrere ad una rimozione notturna fatta fare dall‟arcivescovo Saporiti dai seminaristi ed dai suoi servitori. Rimosso il trono e fattolo seppellire, pensò bene di porsi in salvo a Massa. Tornò, ma in conu evangelii c‟era di nuovo il trono del doge. Non gli rimase che astenersi dal celebrare pontificali, piuttosto che celebrarli da un trono in cornu epistolæ. Il suo successore, il “cittadino arcivescovo” Lercari, uomo di pace, seppe ingoiare il sopruso. Cfr. G. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, vol. XXVIII, Venezia 1844, pp. 321-323. Però, a ripensarci, per quante questioni di poca o nessuna importanza anche oggi si combatte come se da esse dipendesse la salvezza. Si pensi alle infinite pagine che sono state scritte per sostenere che la particola consacrata va posta sulla mano e non sulla lingua, e viceversa, dimenticando gli uni e gli altri di dire ai fedeli con che cuore ci si deve accostare all‟altare, e che se il cuore è tutto di Dio, l‟uno o l‟altro modo nulla aggiunge e nulla toglie al dono di grazia; né, se fossimo indegni, nessuno dei due modi ci salverebbe dal mangiare la nostra condanna. Il Frassinetti non si perse in queste battaglie da Secchia rapita, mirando sempre alla sostanza delle cose. Il Gianelli a Chiavari ebbe molto a patire per simili miserie. 70 Settembre,... Pammatone,... Via Garibaldi,... Porta Principe,... – per poi raggiungere San Lorenzo per Piazza Giustiniani, ed ivi sciogliersi al canto d‟un Te Deum intonato dal cittadino arcivescovo e sostenuto con fragore dalle bande militari, dall‟organo e da spari d‟artiglierie: Al versetto salvum fac populum tuum, Domine, si ripeterà lo sparo delle artiglierie, si suoneranno tutte le campane, nel porto le navi alzeranno il gran pavese. Quindi un energico discorso di un oratore ecclesiastico che in breve mostrerà che i princípi della Libertà e dell‟Eguaglianza sono basati sul Vangelo, si leggeva nel decreto firmato da Carbonara, vice presidente, e da Lupi, segretario, sostituitisi da se stessi ai prelati di curia nel dar ordini al clero. Nella sfilata, aperta e chiusa da trecento soldati, erano passati cannoni, artiglieri, carri allegorici e giovani in costume spartano. Il carro dell‟Agricoltura era preceduto da sei vedove e sei zitelle, seguito da sei vecchi e sei fanciulli, poi i rappresentanti delle arti, i professori dell‟Università, ognuno con un ramoscello d‟olivo in mano o un‟asta con su un berretto frigio, e bande, e tamburi, e trombettieri. Invitati anche quei degni religiosi che vorranno concorrere a solennizzare il giorno. E di degni religiosi inneggianti al nuovo ordine c‟era poi ricca rappresentanza. Bene in mostra prete Cuneo e padre Laviosa125. L‟inno Sorridi amico Zefiro da cantarsi nella sfilata era del ex padre olivetano Luigi Serra 126 che non poté bearsi della gran giornata perché inchiodato a casa da un brutto mal d‟occhi. Si consolò componendo il sonetto Occhi miei non vedete in ciel sorto con una terzina di chiusa degna di passare alla storia: Se il cittadin rinato in tal momento Giunge de‟ Bruti ad emular l‟esempio: Chiudetevi per sempre, io son contento. 125 Il padre somasco Bernardo Laviosa era nato a Palermo nel 1736 e morí a Genova il 4 aprile 1810. 126 Un ex frate focoso e violento che dirigeva e scriveva quasi tutto da solo il Flagello dell‟impostura e della calunnia. Diceva di se stesso di essere uno che : “Benché recisamente di genio francese non può dimenticarsi di essere italiano”, V. VITALE, Un giornale della Repubblica Ligure, in Miscellanea storica, Genova 1933, p. 17. In Onofrio Scassi, Genova 1932, lo dice: focoso, p. 49, quella mala lingua, p. 84, autore mordacissimo di satire, p.87.. 71 Nel „99, dopo il Te Deum in San Lorenzo, il patriottico discorso fu tenuto dal cittadino Corvetto. Oltre tutto si era scoperto che fare il patriota rendeva bene127, mentre a non stare alle ordinanze si rischiavano multe di 8.000 franchi. CAPITOLO V LE CITOYEN FRANÇAIS JOSEPH FRASSINETTI Con la stipulazione del Concordato tra la Santa Sede e la Francia e l‟ascesa al trono di Napoleone, l‟uragano parve quietarsi e la vita riprendere, anche se non era piú quella di prima, né poteva essere. Non vi fosse stato altro, bastava l‟orgoglio ferito dei genovesi per la perduta indipendenza e l‟inizio di una forte pressione di infranciosamento. Il quattro giugno del 1805, Gerolamo Durazzo, l‟ultimo dei dogi, s‟era dovuto recare a Milano perché Talleyrand aveva voluto che presentasse a Napoleone, proprio in quei giorni incoronato re d‟Italia, il voto nazionale del Corpo esecutivo della Repubblica Ligure, arricchito delle firme dei cittadini genovesi che contavano. Le firme erano state fatte raccogliere nelle parrocchie a delibera già stesa e con la notificazione che le astensioni sarebbero state considerate voti affermativi. La presenza del doge doveva servire à mettre dans une grande évidence l‟assentiment de la magistrature et du peuple génois128. L‟entusiasmo per un événement aussi heureux era soltanto nella retorica ufficiale. La verità è rispecchiata dalle parole con cui il Saliceti, che aveva teso le trame per la realizzazione dell‟annessione, ne riferiva al Talleyrand: il y a beaucoup de résignation129, e da quelle del doge Durazzo: Gente mia, come dobbiamo fare? Non restava che cedere alla forza. Cosí, accompagnato dal cardinale arcivescovo Giuseppe Spina e da una 127 Quando prete Cuneo avanzò le sue brave pretese di ricompense per i servizi resi alla patria, un tale gli mandò due sanguinacci perché si ripagasse di quello versato. Nel 1814 lo troviamo bibliotecario a Napoli, allora sotto il Murat. Cfr. V. VITALE, Onofrio Scassi, Op. cit., p. 56, n. 3. 128 “A dare un grande risalto al consenso del governo e del popolo genovese”. 129 “C‟è tanta rassegnazione”. 72 rappresentanza del Senato, il 15 prairial, che poi era il 4 giugno, l‟ultimo doge presentava le firme dei cittadini a chi stava per declassarlo a suo prefetto. Le presentò con un bel discorso come l‟ora solenne richiedeva, naturalmente in francese: Portano i liguri legati ai piedi di Vostra Maestà Imperiale e Reale i voti del senato e del popolo ligure. Prendendo il carico di rigenerar questo popolo, voi vi addossate anche quello di farlo felice... Degnatevi, o Sire, udire benignamente la voce d‟un popolo che nei tempi piú difficoltosi sempre si mostrò affezionato alla Francia: unite all‟impero vostro questa Liguria... Veuillez nous accorder le bonheur d‟être vos sujets. Votre Majesté n‟en saurait avoir de plus dévoués, de plus fidèles130. Napoleone accettò la supplica. Poteva mandare deluso il desiderio della gente ligure cosí vogliosa di “riunirsi”131 alla Francia e di potersi sentire ed essere francese? L‟immediato arrivo del ministro degli interni di Napoleone, Champagny, stava a testimoniare la serietà con cui si voleva assolvere l‟impegno di “rigenerare” quel popolo. Non erano passati due giorni che già s‟era provveduto a riorganizzare alla francese il territorio dividendolo in nuove circoscrizioni, chiedo venia: in nuovi arrondissements, declassando la gloriosa Repubblica a départements dell‟Impero. A differenza di Torino, e poi via via delle altre ex-capitali, la stretta striscia di territorio assegnata al département di Genova, schiacciato tra quello di Montenotte con capitale Savona e quello dell‟Appennino con capitale Chiavari, fu denominata dalla città ed estesa oltre l‟Appennino fin dove il Po s‟ingrossa del Ticino. Il doge si ritrovò prefetto, la Gazzetta Nazionale della Liguria divenne Gazzetta di Genova. Il 22 prairial, l‟11 giugno per capirci, allo spuntar del sole, i genovesi videro sventolare sui forti e sui pennoni delle navi in rada il 130 “Vogliate accordarci la felicità d‟essere vostri sudditi. Vostra maestà non ne potrebbe avere di piú devotamente fedeli”. In C. BOTTA, Storia d‟Italia dal 1789 al 1814, tomo IV, Torino 1852, pp. 17s. Nel rievocare questi fatti, oltre al BOTTA, ci rifacciamo, tra gli altri, a V. VITALE, Onofrio Scassi, Genova 1932, e a G. MISCOSI, Genova antica e dintorni, Genova 1974. 131 Per l‟occasione era stata fatta coniare una medaglia con una donna con corona turrita in capo accolta a braccia aperte da un Cesare coronato d‟alloro con la scritta: La Ligurie réunie a la France MDCCCV. Mio il grassetto. Anche per la Toscana ed il Lazio, quando verrà la loro volta, s‟userà la stessa espressione. Chi piú si rallegrò di questa réunion fu l‟esiliato re di Sardegna, Vittorio Emanuele I. Il tempo lavorava per l‟ Inghilterra e, allo sfascio dell‟impero napoleonico, Genova sarebbe stata piemontese. 73 tricolore di Francia. Per nove anni avrebbero dovuto mirare le vespe d‟oro del vessillo di Napoleone e versare sangue alla sua ombra prima di rivedere nel 1814, l‟anno delle speranze tradite, garrire al vento delle illusioni ancora per qualche mese il loro bel drappo bianco con croce rossa. Il 3 messidor, 22 giugno 1805, alle sette del mattino nasceva Giuseppe Mazzini, cittadino francese. Il 9 messidor, con decreto imperiale si scorporava da Genova la Capraia per assegnarla alla Corsica, il poco che la repubblica era riuscita a trattenere per sé nel cedere l‟isola alla Francia. Una tale sgarberia, chiamiamola cosí, fresca d‟appena due giorni, non raffreddò l‟entusiasmo dei genovesi quando giunsero in città i nuovi sovrani. Alla porta della Lanterna il maire, Michelangelo Cambiaso, consegnò le chiavi della città, “Spina, cardinal arcivescovo, sulla soglia della chiesa di San Teodoro aspettandolo, col sacro turibolo lo incensava”132. Il Corvetto, presidente del Consiglio Generale, dette il benvenuto in francese, e poi tornò di nuovo a parlare senza risparmio d‟elogi: Vous êtes plus grand que César! Non fu che l‟inizio delle manifestazioni di popolo. Ci furono feste, luminarie, fuochi e ricevimenti da sogno, persino un gran ballo in un tempio galleggiante in mezzo al mare con su un‟iscrizione del padre Solari con cui si augurava l‟impero dei mari a chi già aveva l‟impero della terra! Il 16 messidor, 5 luglio, solenne Te Deum in San Lorenzo – si noti l‟importanza che questi miscredenti davano al Te Deum e continuò a darsi anche durante tutto il nostro Risorgimento – e giuramento di fedeltà dell‟arcivescovo, il cardinal Spina, del cardinal Caselli e degli altri vescovi dei dipartimenti liguri: Giuro e prometto a Dio sopra i santi Evangelii, di osservare obbedienza e fedeltà al governo stabilito... Prometto di non avere alcuna pratica, di non assistere ad alcun consiglio, di non fare accordo o lega alcuna, sia al di dentro che al di fuori, che sia contraria alla tranquillità pubblica; e se nella mia diocesi o altrove io venissi a sapere che si tramasse alcuna cosa in pregiudizio dello stato, la farò nota al governo133. 132 C. BOTTA, Op. cit., p. 19. 133 Il giuramento è quello inserito nel Concordato. Mutata la repubblica in impero, fu adattato al nuovo stato di cose. Cfr. M. HENRION, Storia universale della Chiesa, nella traduzione di P. LAMPATO, vol. XII, Milano 1841, p. 370. 74 Lo stesso giorno larga distribuzione di nastri rossi con la stella della Legion d‟onore: lo Spina e il Caselli furono tra i primi a vedersela appuntata al petto dalle mani stesse dell‟imperatore. Buono anche l‟assegno annuo fissato per il cardinale arcivescovo: 30.000 franchi, il doppio e il triplo di quelli fissati per gli altri vescovi. Cinquantamila franchi, se vi si aggiungono i ventimila annui della sorella dell‟imperatore, Paolina Bonaparte, che lo aveva eletto a suo elemosiniere. Erano tanti, tantissimi, ma pochi per la generosità del cardinal Spina, se, per poter dare a piene mani, arrivò ad alienare anche parte del suo patrimonio134. Troppe cose tutte insieme in quei giorni perché il cardinal Spina potesse avvertire che s‟era impegnato con giuramento di essere il delatore dei suoi fedeli. Anche a Genova, in ogni messa, all‟una cum famulo tuo Papa nostro Pio et Antistite nostro Iosepho, si sarebbe aggiunto: et Imperatore nostro Napoleone, e, nelle feste, a conclusione delle solenni ufficiature, il canto del Domine, salvum fac Imperatorem nostrum Napoleonem.135 La menzione durò finché durò l‟Impero, si direbbe non troppo ascoltata da Dio. Per il momento “contento allo aver fatti servi e veduto comportarsi da servi i Genovesi, se ne tornava Napoleone al suo imperial Parigi”.136 Scene pietose, vero? Sarebbe da pessimo storico voler giudicare le cose di ieri basandosi sulle situazioni dell‟oggi. Quella era gente che aveva veduto la religione travolta, dissacrate le cose piú sante, divine ed umane, e andato perduto ogni senso di umanità, né il loro cuore s‟era ancora riavuto dalla grande paura e dalle visioni di violenza e di sangue. Certo, il cardinal Spina fu troppo ossequente con Napoleone: aveva esortato i marinai genovesi ad arruolarsi, né gli aveva lesinato elogi. Era stato persino uno dei 134 Il cardinal Spina mi fa pensare ad Elisabetta II regina di Spagna. Molte e gravi le critiche degli storici, ma ancora oggi è bene non azzardarsi ad esprimere un qualche appunto sul suo conto avanti a suore spagnole tanto in loro è vivo il ricordo della sua carità. 135 La disposizione fu emanata il 18 giugno dell‟anno successivo: “Nel Canone della Messa si metta il nome dell‟imperatore Napoleone: dopo le parole Pontifice Nostro Pio et antistite nostro Josepho si deve dire et imperatore nostro Napoleone” (La settimana religiosa di Genova, XXIV(1894), p. 602. A Milano, capitale del Regno d‟Italia, ci furono sacerdoti che ne tralasciavano il nome. Il monsignor vicario intervenne. Non era bene che si potesse equivocare per chi si alzava la prece, se per Napoleone o per il suo antecessore e rivale Francesco II, l‟imperatore d‟Austria! 136 C. BOTTA, Op. cit. p. 22. 75 cardinali rossi137 presenti alla celebrazione del suo matrimonio religioso con Maria Luigia, sacrilego per la Chiesa. Un atto di bigamia. Non mancheranno di rinfacciarglielo. Ma le ripetute e solenni ritrattazioni da lui fatte dopo la caduta del sovrano lasciarono sí viva impressione che, alla distanza di centovent‟anni, quando io ero studente di ginnasio a Genova, sentii ancora parlarne con ammirazione da anziani sacerdoti per il singolare esempio di umiltà che seppe dare. Restò a lungo vivo il ricordo dell‟omelia dal pulpito della cattedrale il giorno dell‟Immacolata in cui aveva dichiarato essere egli trascorso sotto il passato governo francese oltre i giusti limiti del proprio dovere in molti incontri, e segnatamente nell‟estensione d‟alcune sue lettere pastorali, per aver in esse troppo efficacemente inculcato alla patria gioventú d‟ubbidire a chi esigeva con inesorabile durezza tante odiose e inique coscrizioni militari. Non aver potuto che piangere innanzi all‟Altissimo sopra la strage desolatrice che si faceva del fiore de‟ cari suoi figli, strage non solo de‟ corpi, ma quello che è piú delle anime, che sotto l‟irreligioso sistema d‟allora andavano pressoché ad una manifesta perdizione. Che vedeva l‟oggetto a quale miravano tante guerre sanguinosissime e questo motivo l‟avrebbe dovuto ritrarre dall‟ aderire alle quanto insidiose, altrettanto imperiose domande di chi allora, per gl‟imperscrutabili giudizii di Dio, teneva sotto il giogo della piú dura servitú il mondo intero; ma l‟amor suo pei diocesani gli rappresentava per una parte l‟inutilità di sua opposizione, e per l‟altra gli dipingeva all‟agitata immaginazione i tanti funestissimi mali che ne sarebbero piombati sui genovesi. Se aveva dunque qualche volta trascorso in qualche tratto di soverchia indulgenza, in verità poteva dire che non fu per alcun riguardo a lui, ma piuttosto per forza di quell‟amore che lo legava al gregge, né dire tali cose per mendicare da esso approvazioni. Essersi poi convinto che avrebbe meglio provveduto all‟edificazione de‟ fedeli se, rimettendo alla divina provvidenza le conseguenze, si fosse attenuto ad un costante sistema di fortezza di cui in molti incontri ne avea sperimentati felici successi138. 137 Cosí chiamati in contrapposizione ai cardinali neri che si erano rifiutati di presenziare alle sue nozze con Maria Luisa. Neri, perché, tra l‟altro, Napoleone aveva proibito d‟uscire vestiti di rosso, soppressa la pensione e fatto sequestrare i beni. I tredici cardinali neri italiani si videro per giunta confinati in piccole città della Francia. 138 G. MORONI, Op. cit., vol. LXVIII, Venezia 1854, pp. 283-284. – La ritrattazione dal pergamo fece epoca. Trovo in un appunto di G. CAPURRO che in tale omelia, oltre al chiedere perdono a Dio e agli uomini della troppa indulgenza usata col Gigante ultrapotente soprattutto durante la prigionia del Papa, trattò pure dell‟infallibilità dottrinale del pontefice. Nel Rapporto di polizia già citato si legge: “SPINA. Cardinale Arcivescovo di Genova. 76 Non va poi dimenticato che proprio lui, il cardinale Spina, allora soltanto vescovo titolare di Corinto, era rimasto a fianco del papa Pio VI prigioniero in Francia riscotendone tanta fiducia da venir scelto come suo esecutore testamentario. Fu lui ad amministrargli gli ultimi sacramenti, e sempre lui, insieme con l‟allora padre Caselli, riuscí ad ottenere da Napoleone la salma del Pontefice per riportarla a Roma. Nel riaccompagnarla fece sosta a Genova dove gli furono celebrati solenni funerali. Ebbe pure parte precipua nelle trattative per il Concordato. Il cardinal Spina fu uno di quei che aveva avanti agli occhi il prima e il dopo. Aveva vissuto la fine di tutto, e poi aveva rivisto ricelebrare le solenni funzioni nelle chiese tornate affollate come ai bei tempi. Aveva persino potuto riaprire il seminario. Ai suoi occhi, e non solo i suoi, Napoleone appariva come il restauratore della religione e dell‟ordine. Rimanevano in vigore, è vero, il matrimonio civile ed il divorzio, ma si poteva sperare che si andasse verso il meglio, né si poteva pretendere tutto, e tutto in una volta. Anche il Frassinetti, da studentello, non dovette guardarlo con occhi di condanna se in una sua Selva Poetica trascrisse l‟Inno Trionfale – Napoleone e la Pace. Per l‟anniversario del 15 Agosto [S. Napoleone] 1807, con in calce una nota di sua mano: Questo componimento tradotto dal Francese, e scritto poco dopo il trattato di Tilsit, presenta una rapida idea delle ultime battaglie ed indica lo scopo che in esse sempre ebbe Napoleone, quello di dar la pace all‟Europa, nota seguita da accampamento139. un disegnino a penna rappresentante un Al popolo tornava difficile mandar giú certe cose che gli toccava vedere, come il solenne pontificale del cardinale arcivescovo il 15 agosto e la non meno solenne processione in onore di san Napoleone in omaggio di chi usurpava persino il giorno sacro a Maria Assunta. Cosí le ingiunzioni Possede discreti talenti. È bastantemente conosciuto Napoleonista dai suoi sermoni. Dopo il cambiamento politico fu obbligato dal Sommo Pontefice di ritrattarsi dal Pergamo di tutto ciò che aveva detto in favore del cessato Governo. Indi fu condannato a celebrare la messa per quaranta giorni consecutivi nelle catacombe di Roma. Subita la pena inflitta ritornò a Genova, il primo del corrente Mese Agosto. Non ha per ciò cambiato sentimento. Appartiene all‟Indipendenza”, pp. 450-451. 139 G. FRASSINETTI, Mans., vol. XXVII, Selva Poetica..., Napoleone e la Pace, pp. 88-91, in AF. Mia la sottolineatura. 77 dell‟imperatore ai vescovi come fossero suoi prefetti; l‟ingerirsi persino di come si avessero a ridistribuire la candele; la chiusura di tanti oratori e fissar lui a quali condizioni altri potessero restare aperti. Si aggiunga l‟affermarsi dello spirito gallicano che pareva fare sempre piú presa sul clero genovese. Il numero 15 della Gazzetta di Genova, in data 14 febbraio 1811, riportava una lettera del parroco di San Siro, R. Schellembrid, diretta ai suoi preti: Noi ecclesiastici, tutti sudditi siamo del Grande Imperatore Napoleone, per conseguenza, come francesi, tutti professare dobbiamo la dottrina della Chiesa Gallicana, che è la dottrina di Gesú Cristo, ed io parroco, se scorgessi un solo sacerdote, che nella mia chiesa usasse una dottrina contraria alle proposizioni della Chiesa Gallicana, ora per allora, neppure per un momento permetterei che sedesse nei confessionarii della mia chiesa affidatami140. Seguiva una postilla della Gazzetta di Genova: “Tali sono generalmente i principii del clero di Genova”. La perdita dell‟indipendenza bruciava, ma, a parte l‟orgoglio umiliato, i genovesi capivano che non avevano altra scelta: meglio provincia francese che essere trattati come terra di conquista. Anzi, non furono pochi quei che in un primo momento videro avvicinarsi giorni di grande prosperità. Del resto, nella realtà, Genova era da secoli indipendente quasi solo di nome e di bandiera, benché Breznev fosse di là da venire con la sua teoria della sovranità limitata. Avevano scoperto che all‟ombra, o della Spagna o della Francia, si potevano realizzare affari d‟oro, e se ne realizzavano. Sapevano che da soli non avrebbero potuto difendersi dalle scorrerie dei barbareschi, né dalle pretese dei Savoia o degli Absburgo, che da sempre sognavano il possesso d‟un porto nella Riviera, e che, anche potendolo fare, il costo della difesa si sarebbe rimangiato le entrate del traffico. Una scelta antica, già accettata prima di loro dai Fenici: far parte dell‟impero persiano significò per essi avere l‟accesso ad un immenso mercato. Genova, divenuta francese, acquisiva alle sue spalle uno spazio di mercato che si spingeva fin nel cuore della Germania e i suoi banchieri avrebbero potuto investire con sicurezza i loro capitali nella sconfinata Europa napoleonica; né c‟era piú da ingoiare 140 San Siro, la parrocchia del Mazzini. Vado debitore di questa notizie, come di altre del genere riguardanti la Storia ecclesiastica di Genova, al padre Luigi Persoglio, gesuita, che con la sigla P. L. P. curò per piú anni una rubrica di tal nome nell‟ultimo quarto del secolo scorso su La settimana religiosa di Genova. Cfr. XXV(1895), n. 46, pp. 543s. 78 amaro, e far finta di nulla, di fronte alle prepotenze che l‟Inghilterra fino al giorno innanzi aveva potuto impunemente infliggerle. Ancora una sconfitta dell‟Austria, con la guerra che si avvertiva nell‟aria, e l‟ Inghilterra avrebbe dovuto scendere a patti. Si sarebbero finalmente avuti decenni e decenni di pace, e, con la pace, la prosperità. A tenere vive le speranze e le illusioni pensava il prefetto Lebrun con i suoi bientôt, garantendo che presto l‟Inghilterra avrebbe dovuto rinunciare alle sue ingiuste pretese ed allora Genova avrebbe ritrovato il suo antico splendore divenendo ricca, opulenta e brillante come mai era stata nel passato141. La stessa speranza alimentava la Gazzetta di Genova con una quartina posta in testata: Que nos stériles monts, théâtre de sa gloire Que ce port trop désert attendent des bienfaits! Et puisse l‟olivier de notre territoire Devenir sur son front l‟olivier de la paix!142. Eco di quelle speranze la nota dell‟adolescente Frassinetti su riportata, legata, penso, ai giudizi sulla storia recente uditi dal suo parroco napoleonista. Quell‟autunno 1805 le speranze erano parse divenute certezza: 17 ottobre Ulma, 2 dicembre Austerlitz. C‟era solo da aspettare il ritorno vittorioso dalle acque dell‟Atlantico dei matelots genovesi ed il bel sogno di padre Solari sarebbe divenuto realtà: all‟impero della terra s‟era aggiunto l‟impero dei mari. Quei matelots, cosí cari a Napoleone143, erano in gran numero genovesi strappati dalla famiglia e trascinati in capo al mondo ad ammazzare e a farsi 14 V. VITALE, Onofrio Scassi, Op. cit. p. 199. 142 “Quanti benefici si aspettano i nostri aridi monti, teatro delle sue gloriose vittorie, e questo nostro porto deserto! Possa l‟ulivo della nostra terra divenire ulivo di pace sulla sua fronte!” V. VITALE, Op. cit. p. 171. 143 “Mes peuples de Gênes... fournissent aujourd‟hui un grand nombre de matelots à mes escadres et lorsque mes amiraux m‟ont rendu compte du zèle et du bon esprit qui les animaient, mon cœur a été vivement ému”, rivolgendosi il 10 marzo 1811 alla deputazione del Collegio elettorale di Genova . Si può arguire il vero slancio con cui quei giovani si arruolavano dal bisogno che il governo ebbe di ricorrere ai vescovi perché li spingessero a farlo. Nella pastorale del vescovo di Noli si leggeva: “Un ordine pressante del governo mi ingiunge...”. Cfr. V. VITALE, Op. cit., p. 194. 79 ammazzare. I giovani di Genova erano sempre andati lontano da casa, ma di propria scelta, ma per i loro traffici, non per coscrizione obbligatoria, che non avevano mai saputo cosa fosse, e con minaccia di corte marziale se renitenti. Si sentiva gente nata per il commercio, non per la guerra. Mezzo secolo innanzi avevano, sí, cacciato a furor di sassi gli austriaci, ma era stata cosa genovese, una sollevazione spontanea, trasformata poi in epopea di tutto un popolo nelle rievocazioni che se ne facevano, anche se nella realtà s‟era trattato soltanto d‟una festa sassaiola che aveva fatto capire ai foresti che Genova non sopportava tracotanze. Dall‟Atlantico, invece dei matelots vittoriosi, venne la notizia della giornata di Trafalgar. Quattro giorni dopo la giornata di Ulma la Francia aveva perso flotta e speranze, Genova tanti dei suoi figli. Le scorrerie sempre piú ardimentose degli inglesi fin sulle coste della Riviera creavano la sensazione che si era all‟ inizio della fine. Questione di tempo. Nell‟attesa della fine, per sopravvivere, dire SÍ e fare NO, e ci furono di quei che non solo fecero NO, ma lo dissero pure, come i parroci che si rifiutarono di consegnare al Maire i registri parrocchiali, incoraggiati, sia detto a sua lode, dal napoleonista cardinal Spina. Le continue inadempienze erano giustificate proprio da chi le avrebbe dovute impedire, il Maire Agostino Pareto144. Un gioco cosí smaccatamente scoperto da trovarne la migliore descrizione nelle relazioni del prefetto Bourdon al suo governo in cui lamentava che tutte le riforme erano lettera morta: le scuole pubbliche ignorate dai genitori, lo stato civile boicottato dai parroci, i defunti seppelliti ancora nelle chiese invece che nei nuovi cimiteri fuori dell‟abitato... Una resistenza passiva che rivelava come la città avvertiva la provvisorietà di quel nuovo stato di cose e che, passata la bufera, tutto sarebbe tornato come prima. C‟era solo da aspettare. E piú tempo passava, piú argomento si aggiungeva ad argomento: il porto sempre piú deserto; i soldati che non tornavano di Spagna; i racconti dei pochi che erano riusciti a fare ritorno di come fossero indomabili quegli insorti nel nome di Maria; le continue leve con diserzioni sempre piú massicce145; le numerose esecuzioni capitali146; 144 Una figura di primo piano nella Genova di quel primo decennio del secolo XIX. Cfr. C. PAGLIERI, Agostino Pareto..., da cui, tra le altre fonti, si è piú volte attinto. 145 Accadeva di partire in mille e ritrovarsi neppure novecento ai centri di raduno per i molti che si davano alla macchia pur conoscendo i rischi che correvano. 80 la pietà per il Papa tenuto prigioniero a tre passi da Genova con tutto quel che si diceva gli facessero soffrire. Non si può sfidare impunemente Dio e le scomuniche del suo Vicario. Non poteva durare. Gli ultimi fatti Giuseppino non ebbe bisogno di sentirseli raccontare da altri testimoni. Era già tanto grande da poterli vivere lui stesso. Alle notizie di Spagna, ripetute a mezza voce, si aggiungevano quelle della Russia: “Il freddo fa cadere i fucili di mano ai soldati..., pare che non torni nessuno...”. Anch‟egli aveva sentito ripetere nei giorni dello strapotere la frase attribuita a Napoleone: La scomunica non farà cadere i fucili dalla mano dei miei soldati. Anche lui visse le speranze di quell‟aprile 1814: il generale Fresia arreso a Lord Bentinck, la statua di Napoleone abbattuta a furor di popolo, la Repubblica rinata secondo la Costituzione del 1576 e, finalmente, la domenica primo maggio, la messa che tornava a concludersi con l‟Orate pro Republica nostra. Ad intonarlo era il cardinal Spina che non riusciva a contenere il suo giubilo: Giunse pure una volta quel giorno tanto sospirato... nel quale voci di Pace risuonano da ogni parte ed un nuovo ordine di cose ci preconizza il risorgimento fra noi delle arti, del commercio e di tutte quelle sorgenti di ricchezze che altre volte prospere resero e doviziose le nostre contrade... Sí, figli dilettissimi, che grande è il Signore! Egli solo è il Re dei Regi ed arbitro dell‟Universo. Egli fu che riuní i Potenti della terra147 a por fine ad una guerra interminabile e desolatrice, e la sua onnipotente destra è quella che guidò le armi vittoriose di Sua maestà Britannica, le quali, vinti i Nemici, d‟altri trofei avidi non si mostrano se non di quelli de‟ nostri cuori, annunziandoci Pace non solo, ma Libertà, Prosperità, Indipendenza... Il generale Condottiero delle armi trionfatrici già stabilí per noi un Governo Provvisorio dello Stato Genovese, ed egli stesso gli tracciò la via onde sperare di poter ristabilire fra noi con basi piú solide e piú durevoli l‟antica ed avita nostra libertà. Le notizie si accavallavano: amnistia per gli imboscati, abolizione del codice napoleonico e del matrimonio civile, riduzione delle imposte piú odiose, riapertura del porto franco con l‟antico statuto del 1763... La 146 Un episodio che ci può rivelare cosa provasse la gente: il cardinale Spina fu costretto a far lui da padrino di battesimo alla bimba del boia essendosi tutti rifiutati. 147 Allusione all‟ultima Coalizione antinapoleonica e alla “Battaglia delle Nazioni” combattuta l‟anno innanzi a Lipsia. 81 Repubblica poteva accogliere trionfalmente il re Vittorio Emanuele I che tornava dalla Sardegna a Torino e festeggiarlo per un‟intera settimana. Nessuno poteva sospettare che il sette gennaio del nuovo anno Genova sarebbe ridotta a provincia del Regno Sardo. Un‟illusione di breve durata. Già quel proclama di Lord Bentinck che avrebbe dovuto rassicurarli, con i suoi mille pare e mille sembra, sonava falso. Era già tutto deciso. Le repubbliche non erano piú di moda. Invano il Pareto gira l‟ Europa e scongiura di non fare dei genovesi gl‟iloti del Piemonte e voler tener conto della antipatia insuperabile che avrebbe impedito la fusione dei due stati. Se non si poteva far rivivere la repubblica, né essere aggregati al Lombardo-Veneto, se ne facesse un principato legato per parentela ad una grande potenza. Nulla da fare148. A febbraio Vittorio Emanuele I tornava a Genova non per ricevere libero omaggio di cittadini indipendenti, ma l‟ossequio di sudditanza dovuto a padrone. Ad accoglierlo alla porta della cattedrale era il cardinal Spina. Poi ci furono i Cento giorni. Il Papa si rifugiò a Genova dal 3 aprile al 18 maggio. Furono giorni di attesa e, nell‟attesa, ogni giorno un trionfo. Alcune persone per baciare il piede a Pio VII si gettarono in mare, occuparono il luogo vicino al tavolato aspettando il di lui passaggio, immergendosi nell‟acqua fino alla gola; il Papa e gli altri ne restarono inteneriti149. Tutt‟altro che un fuggiasco impaurito di fronte al Murat invasore dei suoi stati. Il Frassinetti, da vecchio, ne rievocherà il ricordo in un catechismo al popolo: Pio VII l‟ho veduto io stesso quando fu a Genova e fece i solenni Pontificali nella vicina chiesa della SSma Annunziata, seduto su quella medesima sedia, che ora sta in mezzo al nostro coro [di Santa Sabina], e certo 148 Cfr. C. PAGLIERI, Agostino Pareto..., Op. cit., capitoli: Potenze a congresso, Genova all‟asta, Morire piemontesi, pp. 67-91. 149 G. MORONI, Op. cit., p. 329. 82 non è descrivibile la divozione che gli dimostrarono i genovesi. Io ero in età di dieci anni e ricordo quanto fosse straordinaria e sorprendente..150 Si direbbe abbia scorto solo la figura del Papa. Non le luci mai viste prima tante e cosí luminose, non i sedici cardinali ed i molti prelati che gli facevano corona, non il re Vittorio Emanuele I, l‟ex-regina d‟Etruria con il figlio, la duchessa di Modena, il principe Carlo Alberto, la principessa di Galles... Solo il Papa! Venne anche Waterloo, venne la Restaurazione e, a parte il disappunto di vedersi ridotta a provincia dei Savoia, parve che per Genova i tristi giorni fossero passati per sempre, soprattutto per la Chiesa. Il dopo, anzi, si presentava molto migliore del prima: la Chiesa protetta dal trono con principi che le erano ossequenti, guariti dalle varie forme di giuseppinismo, ossia da quella mania d‟essere loro a dover fissare persino quante candele si dovessero accendere all‟altare per le diverse funzioni, ed un clero che pareva non piú infetto dalle tendenze gallicane, né piú voglioso di sottrarsi dalla soggezione al Papa. Tutte cose seppellite. La rinata Compagnia di Gesú lo stava a dimostrare. Ma c‟era un male ben piú pernicioso e distruttivo, antecedente alla Rivoluzione francese ed alle devastazioni napoleoniche, anzi, in gran parte, loro causa: l‟ apostasia dalla cultura e dalla tradizione cristiana, soprattutto cattolica. La cultura europea nella seconda metà del Settecento parlava francese, il francese di Voltaire e degli enciclopedisti. Al dire di Manuel Quintana, anche lui di quella stessa educazione, ma con cuore rimasto spagnolo che ne fece il poeta della sollevazione antinapoleonica, un solo poeta, José Iglesias de la Casa, era riuscito in tutta la Spagna a tenersi immune dal contagio universale di parlare, scrivere, pensare in nessun altro modo che non fosse il francese e ne dice il motivo: ne ignorava la lingua. Un male senza rimedio perché chi no tiene lumbre en su casa, va por ella a la del vecino. In altre parole, la luce che rischiarava l‟Europa veniva dalla 150 G. FRASSINETTI, Op. cit., p. 219. – Papa Pio VII, tornato a Roma, nell‟allocuzione del 15 luglio, “In niun modo però trapassar possiamo sotto silenzio i genovesi, presso dei quali abbiamo dimorato piú a lungo, le cui esimie premure per la religione sono state per noi sí veementi, che volentieri, e con tutta verità ripetiamo le parole di s. Bernardo, che loro scriveva: in æternum non obliviscar tui, plebs devota, honorabilis gens, civitas illustris”. In G. MORONI, Op. cit. pp. 331-332. 83 Francia: “Mangiavamo, vestivamo, ballavamo alla francese, tutto si prendeva dalla Francia, tutto si imitava dalla Francia”151. Se prima dei grandi sconvolgimenti tale cultura negatrice di quanto sapeva di cattolico, o comunque si rifacesse a Roma, aveva interessato la stretta cerchia dei letterati e dei pochi che si piccavano di filosofia, convinti che ad essa si doveva l‟essersi liberati dalle tenebre del medioevo cattolico e l‟essere entrati nel mondo dei lumi e della ragione, ora non c‟era persona, che avesse aggiunto un qualche anno di studio alle elementari, che non se ne facesse paladino. Non si pensi che conoscessero quanto era stato scritto dai filosofi inglesi e tedeschi, o la tesi sostenuta dal Sismondi nella Storia delle repubbliche italiane. Erano paghi della pubblicistica francese, delle battute di Voltaire e degli slogan che riassumevano le opere di Rousseau. Ne avevano davanzo per credere con ferma fede che la fonte d‟ogni male, in Italia anche politico, era la Chiesa di Roma, e nostra somma sventura non aver avuto un nostro Lutero. A Waterloo tale avversario non aveva riportato un graffio. Non so, se nei giorni che seguirono il crollo dell‟impero napoleonico, a qualcuno tornò in mente la chiusa posta da Luca alle tentazioni del Signore: “Il diavolo si allontanò da lui fino a tempo opportuno”152. Il diavolo aveva solo perso una battaglia per errore di tattica avendo scelto l‟attacco frontale e sacrilego. Non c‟era che da riprovare, ma per vie subdole che non ingenerassero sospetto e spavento. Qui, in Italia, prima andava infuso un senso di pace che addormentasse gli animi e li disarmasse, poi si sarebbe trovato il modo di convincere il clero che per la Chiesa non v‟era missione piú alta del porre la sua potente struttura a servizio del trionfo della civiltà, del progresso e della causa nazionale, e cosí distrarla dal fine soprannaturale per cui Cristo l‟aveva istituita. Ma senza negare nulla, bastando il silenzio a porre tutto in dimenticanza. Trasferire l‟impegno religioso dei cattolici nel politico per snaturare l‟essenza stessa della religione. C‟era poi da ridare spirito e lena ai tanti di sicura fede anti-cristiana, ma per il momento sbandati e abbattuti, nonché colti a volte, specie le notti di 151 Piú di sessant‟anni prima dell‟Inno a Satana del Carducci, aveva già celebrato il nuovo dio in duplice redazione. M. J. QUINTANA, A la invención de la imprenta. 152 Lc 4,13. 84 cielo stellato, da un vago senso religioso. Grave errore era stato aver creduto poterlo estirpare dal cuore dell‟uomo. Andava invece esaltato ed ordinato a colmare il vuoto prodotto dall‟apostasia, convertendo gli animi alla religione della Patria, dell‟ Umanità e del Progresso, con nessuna verità rivelata e definita, nessun mistero, nessun precetto, nessun rito, nessun sacerdozio. A svolgere la prima missione – s‟è già detto – si preparava un seminarista torinese, Vincenzo Gioberti; alla seconda un adolescente genovese, Giuseppe Mazzini, ma non in disaccordo. Avrebbero marciato separati e colpito uniti153, come parve avverarsi negli anni 1848 e 1849. Ma a Torino c‟erano anche don Lanteri, don Guala e don Cafasso con i giovani del Convitto ecclesiastico; a Genova un professore di “rettorica”, Antonio Maria Gianelli, ed “i ragazzi del Gianelli”, come mi piace chiamarli. Uno il nostro Frassinetti154. 153 Falliti i moti di Genova e della Savoia, il Gioberti condannato all‟esilio, s‟era staccato dal Mazzini. Il Mazzini scrive a Paolo Pallia, pensandolo a lui vicinissimo: “Perché il Giob. non scrive egli qualche cosa pel popolo, che si diffonderebbe da noi? Perché non indirizzar qualche scritto ai preti e avvalorar la crociata italiana anche fra loro?”. Un seme che metterà spiga di lí ad un decennio, su cui dovremo trattenerci a lungo. 154 Con “i ragazzi del Gianelli” intendo indicare quel gruppo di alunni sui quali ebbe un grande ascendente sant‟Antonio Maria Gianelli. 85 CAPITOLO VI I RICOSTRUTTORI Vade, igitur, et repara illam mihi... – Su, vai e rimettimi a nuovo la Chiesa –, si sentí dire Francesco da Cristo in croce e, ad un tempo, penetrarsi il cuore dal suo sguardo. Come aveva potuto non essersi accorto che la chiesa di San Damiano, dove si recava cosí spesso a pregare, era lí per crollargli addosso? In peggiore stato si presentava agli inizi dell‟Ottocento la chiesa abbaziale di Saint Denis, cosí ricca di memorie di storia patria per le tombe dei re di Francia, da re Dagoberto che la fece costruire nel lontano 626. Mi correggo: non Saint Denis, ma La Franciade, ché cosí la città era stata rinominata in odio a tutto ciò che sapeva di sacro: Saint-Denis è desolazione. Sosta di passo agli uccelli, erbacce tra rotti marmi d‟altari, non i canti d‟un tempo, ma gocciolar d‟acqua piovana dalle volte scoperchiate e caduta di pietre dai muri in rovina155, 155 F.-R. DE CHATEAUBRIAND, Le génie du christianisme, parte IV, libro II, cap. IX, fine. L‟A. rimanda ad una nota di ben 27 pagine in corpo piccolo dove fa la cronistoria particolareggiata dei giorni della dissacrazione e della spogliazione dei tesori dell‟abbazia. Fu persino portato a Parigi alla Convenzione il piombo che ricopriva la volta. È raccontata minutamente la violazione delle tombe dei re di Francia, da quella di Dagoberto e la sua sposa Nantilde fino a quella dei figlioletti di Luigi XVI: Sofia Elena, morta di undici mesi ed il fratellino Luigi Giuseppe Saverio, salutato erede della corona di Francia al suo nascere. Era morto di anni sette, mesi sette, giorni tredici il 4 giugno di quel 1789, quaranta giorni prima dell‟assalto alla Bastiglia, lasciando al fratellino il diritto alla corona ed una sorte piú triste della sua. Anche i loro corpiccioli, come quelli di tutta la millenaria dinastia, furono buttati 86 lamentava Chateaubriand. E di Saint-Denis i giacobini avevano ripieno l‟Europa. Centinaia e centinaia le chiese distrutte, bruciate o profanate per farne bivacchi di soldati, depositi di materiali – la sorte toccata a Notre Dame di Parigi! –, o addirittura stalle. Persino in epoca napoleonica, la bella basilica romana di San Lorenzo in Damaso era stata ridotta a scuderia della “Corte imperiale”. Una simile sorte era toccata alla chiesa di San Paolo Vecchio in Genova tenuta dai Barnabiti, sita nella stessa stradetta dove di lí a qualche anno sarebbe nato il nostro Servo di Dio. Su, vai, Francesco, e rimettimi a nuovo la Chiesa. E Francesco andò. Ma il Signore non aveva inteso la chiesetta dove egli pregava, bensí la Chiesa di pietre vive. San Damiano non era che l‟immagine dell‟altra. Dio non si scosta dalla sua pedagogia: preparare il cuore con un segno, figura della realtà che intende attuare se trova in noi un briciolo di rispondenza. Francesco non poteva in nessun modo supporre l‟esistenza del piano di Dio, né quanto esso fosse grande, né che si sarebbe servito proprio di lui, di un nessuno, per attuarlo. Neppure Maria, nella sua umiltà, poteva sospettare d‟essere stata lei la prescelta a divenire la madre del Signore. È la storia dei santi. Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia. Non ve ne accorgete?156. Ancora una volta Dio vuole servirsi di quei che sono nulla per ridurre al nulla quei che credono di essere157, a confusione di chi credeva la sua Chiesa fosse ridotta a mucchi di ruderi morti. Dio permette le distruzioni nella calce viva d‟una fossa comune. Era il martedí 12 ottobre. Lo stesso giorno fu violata la tomba di Enrico IV, il re che giusto due secoli prima, il 25 luglio 1593, in quella stessa abbazia aveva abiurato il calvinismo ed ascoltato quella messa che l‟anno appresso gli avrebbe aperto le porte di Parigi. Un corpo questo ben conservato, coi lineamenti riconoscibili, finito anch‟esso nella calce della fossa comune. Il giorno dopo, a Parigi, la madre di quei due bimbi, Maria Antonietta, saliva il palco della ghigliottina, mentre a SaintDenis si profanava il sepolcro di Luigi XV, finito anche lui nella calce della fossa comune. Un accanimento bestiale, demoniaco, che neppure il fetore del liquame di tanti corpi in putrefazione riuscí a fermare. Si accese polvere inzuppata d‟aceto, si spararono colpi di fucile, nel vano tentativo di disappestare l‟aria, ma non si desisté finché non fu consumata la macabra profanazione. 156 Is 43,19 157 1 Cor 1,28. 87 perché ha già pronto i piani di restauro, un lasciare ai nemici del nome di Gesú Cristo il lavoro preliminare di sbancamento perché tutti, non escluso l‟inferno, pieghino il ginocchio avanti a lui158 e lo servano. La giacobineria, affannata a cancellare l‟ultimo segno della presenza cristiana, non si accorgeva che il Signore si stava avvalendo del suo odio rabbioso per ammodernare vecchie istituzioni resesi col tempo meno adatte alla santificazione, ma a cui in tanti si sentivano legati piú che non fossero stati alle loro tradizioni quei primi cristiani conosciuti col nome di giudaizzanti159. Eppure quei giacobini, per la gran maggioranza, avevano ricevuto una educazione cattolica e perciò avrebbero dovuto conoscere il detto di san Paolo che tutto si risolve in bene per quei che temono il Signore160, detto divenuto patrimonio del sentire cristiano. Ecco io faccio 158 Fil 2,10. 159 Negli anni Sessanta mi capitò di fare un viaggio in treno con un giovane americano. Un treno locale che fermava a tutte le stazioncine. Ad ognuna il mio amico si affacciava e le rimirava incantato: gli sembravano tutte cosí belle, tutte cosí fresche d‟intonaco ed aggraziate da aiuole fiorite. Quelle degli Stati Uniti, a suo dire, erano invece vecchie brutte e mal ridotte. Gli dissi, sorridendo, che erano cosí grazie appunto agli americani ed agli inglesi che avevano ridotte le nostre vecchie stazioni a mucchi di macerie costringendoci a rifarle nuove e belle. Io, per il raffronto, avevo avanti agli occhi, piú che le vecchie stazioni, Cassino e tutta la regione all‟intorno come mi si erano presentate allo sguardo qualche mese dopo l‟allontanamento del fronte. Non una casa intatta, non un albero con foglie verdi, ed era luglio! Un‟impressione altrettanto desolata quella della cristianità agli inizi dell‟Ottocento. 160 Rm 8,28. L‟affermazione paolina venne cosí riespressa da sant‟Agostino: “Ed invero, Dio onnipotente, per ammissione degli stessi infedeli – e qui cita VIRGILIO, Eneide X,100 – essendo sommamente buono, in nessun modo permetterebbe la presenza d‟un qualche male nelle sue opere, se non fosse di tale onnipotenza e di tale bontà da ritrarre il bene anche dal male”, Enchiridion, 11. Con espressioni piú o meno uguali si ritrova nei teologi – san Tommaso d‟Aquino dice che Dio sa ordinare il male ad un qualche bene di quello stesso che lo ha commesso, a volte d‟altri, a volte di tutti “ come ordinò la colpa dei tiranni al bene dei martiri”, Summa Theol. I-II, 79,4, ad primum – e nei catechismi, fino all‟ultimo, CCC 311313.324. È il pensiero dei santi: “Sta di buon animo, figlia mia, e non ti angustiare troppo per quel che mi possa accadere quaggiú, perché non può accadere nulla che Dio non voglia, e qualunque cosa Dio voglia, anche se a noi sembra male, è in realtà il meglio”, The English Works of Sir Thomas More, London, 1557, p. 1454. Ignoro se il Manzoni fosse a conoscenza di questa lettera del santo martire alla figlia Margherita quando scriveva: “[Dio] non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una piú certa e piú grande” (Promessi sposi, cap. VIII, fine). Parole non dissimili in una lettera del Frassinetti nei mesi in cui fu costretto a vivere nascosto. È un patrimonio comune della nostra fede. 88 tutto nuovo161. Il Signore permetteva che demolissero il vecchio avendo già pronto il nuovo. Agli occhi di non pochi, e tra questi l‟arcivescovo di Genova, Napoleone era certo l‟uomo suscitato da Dio a porre riparo ai danni inferti alla sua Chiesa. La presenza del papa alla sua incoronazione poté far credere che il rivoluzionario di ieri si fosse convertito in buon cristiano e che trono ed altare si fossero riappacificati ridivenendo l‟uno sostegno dell‟altro. In realtà il ripristino delle cerimonie religiose era un puro atto politico. I fatti di Vandea, le insurrezioni al grido di “Viva Maria” e la muta resistenza di tanta parte del clero e del popolo avevano persuaso l‟uomo politico che non si regna sicuri se manca il consenso dei sudditi, specie se si è privi di una lunga ascendenza dinastica, e che i popoli erano ancora timorati di Dio ed attaccati ai loro parroci. Perciò, invece che la stolta ed odiosa persecuzione dei giacobini, conveniva concedere alla Chiesa quel po‟ di respiro che bastasse a creare l‟impressione che lui era il nuovo Costantino inviato da Dio a ridarle libertà e pace alla Chiesa. Papa Pio VII, pur di ottenere un qualche respiro per i fedeli, aveva accettato l‟umiliazione. Anche per Napoleone, come già per l‟ugonotto Enrico IV di Borbone, Parigi valeva bene una messa. Ne aveva già dato un primo segno celebrando la vittoria di Marengo con un solenne Te Deum nel Duomo di Milano. A Dio il canto, a sé gli onori propri di un monarca: accoglienza all‟ingresso del Duomo con tanto di baldacchino, incenso e trono in coro. A Genova l‟onore del trono in coro ed il diritto al baldacchino avevano fatto parte di un lungo contenzioso civile ecclesiastico: si potevano o non si potevano pretendere dal doge onori riservati a principe regnante? Il vicario di Milano non si pose tali domande per Napoleone. Ma cosa avrebbero detto gli atei di Parigi? “Oggi – scriveva ai colleghi di Consolato – dicano ciò che vogliono i nostri atei di Parigi, vado in gran tenuta al Te Deum che si canta nella Metropolitana di Milano”. Era un fatto politico, non religioso, che rientrava nel suo programma d‟asservimento del clero alle proprie ambizioni. Bisognava essere padroni dei preti. Bisognava tenerli con l‟interesse, bisognava che fossero pagati dallo Stato. In cambio vedeva papa, vescovi e parroci divenuti tutti suoi obbedientissimi funzionari, a cui mandare ordinanze come ai prefetti e, come dai prefetti, 161 Ap 21,5. 89 esigere obbedienza, pena la rimozione ed il confino. Ne lasciò candida confessione: Non disperavo – fu udito dire a Sant‟Elena, – di potere presto o tardi con un mezzo o con l‟altro, arrivare ad avere la direzione del papa, ed allora di quale influenza avrei potuto disporre, di quale leva della pubblica opinione sopra il resto del mondo! Se lo splendore del cerimoniale di corte avrebbe conferito prestigio alla nuova dinastia, la venerazione religiosa dovuta all‟Oint du Seigneur, all‟Unto del Signore, gli avrebbe assicurato la sottomissione dei sudditi per il vincolo sacro che li obbligava ad obbedirgli sotto pena di peccato e di dannazione eterna, nonché a pagar tasse ed ad affrontare la morte in battaglia, come veniva insegnato in quel catechismo da lui fraudolentemente rimanipolato su cui Giuseppe Frassinetti, cittadino francese, avrebbe dovuto prepararsi per l‟ammissione ai sacramenti: D. – Quali sono i doveri dei cristiani verso i principi che li governano, e quali sono in particolare i nostri doveri verso Napoleone primo, nostro imperatore? R. – I cristiani devono ai principi che li governano, e noi in particolare dobbiamo a Napoleone I, nostro imperatore, l‟amore, il rispetto, l‟ubbidienza, la fedeltà, il servizio militare, i tributi prescritti per la conservazione e la difesa dell‟impero e del suo trono; gli dobbiamo inoltre ferventi preghiere per la sua salvezza e per la prosperità spirituale e temporale dello Stato. D. – Perché siamo tenuti a tutti questi doveri verso il nostro imperatore? R. – Anzitutto perché Dio, che crea gli imperi e li distribuisce secondo la sua volontà, ricolmando il nostro imperatore di doni, sia in pace, sia in guerra, l‟ha costituito nostro sovrano, l‟ha reso ministro della sua potenza e sua immagine sulla terra. Onorare e servire il nostro imperatore è dunque onorare e servire Dio stesso. In secondo luogo, poiché nostro Signore Gesú Cristo, con la sua dottrina come con i suoi esempi, ci ha insegnato ciò che dobbiamo al nostro sovrano: egli è nato ubbidendo all‟editto di Cesare Augusto; ha pagato l‟imposta prescritta; e, mentre ha ordinato di rendere a Dio ciò che appartiene a Dio, ha pure ordinato di rendere a Cesare ciò che appartiene a Cesare. D. – Non ci sono motivi particolari che ci debbono legare a Napoleone primo, nostro imperatore? 90 R. – Sí: perché egli è colui che Dio ha suscitato nelle circostanze difficili per ristabilire il culto pubblico della santa religione dei nostri padri, e per esserne il protettore... egli è divenuto l‟Oint du Seigneur, l‟Unto del Signore, per la consacrazione che ha ricevuto dal sovrano pontefice, capo della chiesa universale. D. – Che si deve pensare di quei che mancheranno al loro dovere verso l‟imperatore? R. – Secondo l‟apostolo san Paolo essi resisteranno all‟ordine stabilito da Dio stesso, e si renderanno degni della dannazione eterna162. Un edificio costruito sulla sabbia. Non era Napoleone la persona su cui Dio aveva posto gli occhi per ricostruire la sua Chiesa. Per altra via ed altri modi andava preparando in quegli anni i suoi ricostruttori. Uno quel bimbo genovese nato proprio nei giorni in cui il papa a Parigi si abbeverava di umiliazioni. Ma, prima di parlare del nostro ricostruttore, perché non ci si dimentichi che fu solo uno dei tanti nati in quel giro d‟anni su cui Dio pose il suo sguardo, facciamo qualche altro nome a riprova di come il Signore usi scegliere chi meno ci si aspetterebbe, dove vuole, quando vuole e come vuole. A due vandeani era nata una bimba nel nascondiglio dove erano riusciti a scampare al massacro di cattolici perpetrato dai rivoluzionari. Passa la rivoluzione, la bimba cresce e viene posta in collegio a Tours. Una monaca sopravvissuta alla dispersione aveva riaperto in quella stessa città una casa che offrisse un asilo alle ragazze che avevano già conosciuto il male e volevano tirarsene fuori. La curiosità di sapere com‟era quell‟altro collegio, e perché se ne parlasse sempre con tanto mistero, non dava riposo alla fanciulla. Conoscerne lo scopo ed innamorarsi d‟un tale apostolato fu tutt‟uno, né quietò finché non divenne anche lei una di quelle poche suore dedicate alla redenzione delle giovani traviate. Ma non vi si sentiva a suo agio. Si ripeteva per lei la parabola del vino nuovo posto in otri vecchi 163. Quelle buone suore avevano fatto risorgere il monastero copia conforme del vecchio, felici di fare un po‟ di bene al riparo delle sue mura. Tutto secondo le norme ed i modi dei vecchi tempi. Lo sconquasso rivoluzionario era stato 162 Catéchisme à l‟usage de toutes les églises de l‟Empire Français, Paris 1806, pp. 58s. Sono le domande e risposte della lezione settima sui doveri verso l‟autorità impostici dal quarto comandamento. 163 Mt 9,17. 91 solo un brutto sogno. Ogni monastero che veniva riaperto tornava ad essere in pratica una congregazione a sé stante, fedele alle antiche usanze e gelosissimo della sua propria autonomia. Quella fanciulla, nata nella bufera della persecuzione, aveva bisogno di spazio. I suoi occhi guardavano lontano e sentiva il cuore prigioniero di quelle mura. Non capiva quel doversi fare cosí perché da secoli s‟era sempre fatto cosí. Il male aveva potuto dilagare, pensava, perché i nemici di Dio avevano saputo unire le loro forze. Un giorno, per abbracciare il mondo intero, sciamò dal vecchio convento e fondò opera nuova con nuovi criteri. Alla sua morte i conventi da lei fondati erano 643 con 8.826 suore sparse in ogni angolo della terra. La bimba vandeana, nata da genitori sopravvissuti all‟eccidio, è sant‟Eufrasia Pelletier. Un‟altra bimba, di qualche anno piú anziana, figlia di un bottaio, aveva un fratello matto per lo studio e piú matto ancora nel pretendere di travasare nella mente della cara sorellina, di undici anni piú piccola di lui, tutto quello che egli andava studiando per divenire sacerdote pur continuando a vivere in casa con i suoi. Arrestato per la sua fede, fu condotto alla Conciergerie, la stessa prigione di dove sarebbe uscita la regina Maria Antonietta per andare al patibolo. L‟appello giornaliero di quei che dovevano salire la carretta per essere tradotti alla ghigliottina era diventato un rito. Ma il suo nome pareva uno di quei numeri del lotto che mai si decidono ad uscire. A preparare la lista era un prigioniero, anch‟egli in attesa del suo turno, che ogni giorno lo rimandava alla lista del domani. Quando ormai il gioco non era piú possibile, ci fu la caduta di Robespierre, e, con la sua fine, l‟apertura della prigione. Tornato il maestro, per la fanciulla ricominciò la scuola. Scuola sotto disciplina rigidissima che sapeva tanto di giansenismo164. Cosí, prima dei vent‟anni, quando le ragazze sue compagne erano tutte beatamente analfabete, per la stranezza d‟un fratello, Maddalena leggeva Omero in greco e Virgilio in latino, nonché gli scrittori italiani e spagnoli nella loro lingua, e sapeva persino di filosofia e di teologia. A Dio serviva una grande educatrice e se la fece preparare dalla stramberia di quel fratello. La fanciulla è santa Maddalena Sofia Barat, la fondatrice della Società del Sacro Cuore di Gesú. Alla sua morte gli istituti 164 Si tratta di una deviazione religiosa che allontanava i fedeli dal Signore contro la quale il Frassinetti combatté tutta la vita. Ne dovremo riparlare a lungo. 92 di educazione erano piú di cento e le suore piú di quattromila. Il nome Sacro Cuore ci dice che di quel non so che di giansenismo, respirato in casa da fanciulla, non era rimasta traccia. Tutt‟altro! Nel 1848 le Dame del Sacro Cuore – questo il nome con cui erano conosciute – furono le piú prese di mira, insieme ai gesuiti, da chi non sapeva perdonar loro la fedeltà alla Chiesa ed il ripetere a tutti che Dio è amore e perdono. Sulle loro regole santa Paola Frassinetti modellerà le sue. Di Paola e di altre sante donne, che potremmo chiamare del gruppo Giuseppe Frassinetti, parleremo a suo luogo. Un giovane montanaro, tardo d‟ingegno e disertore dell‟esercito napoleonico, degno perciò di dannazione eterna, stando a quel tal catechismo, fu un altro degli arruolati da Dio per l‟opera di ricostruzione. Il Signore gli aveva preparato per la buon‟ora un disturbetto che gli facesse perdere il contatto con il suo reparto in marcia alla volta della Spagna dove avrebbe dovuto reprimere l‟insurrezione. Il sindaco del villaggio, invece di denunciarlo, lo tenne nascosto. È la strana storia di san Giovanni Vianney, noto con il nome di Santo Curato d‟Ars, che fu per la Francia ciò che al dire di molti fu il Frassinetti per l‟Italia. In seminario aveva trovato un certo Marcellino Champagnat, anche lui creduto poco adatto allo studio. Si direbbe che il Signore provi gusto ad accaparrarsi la materia piú grezza e grossolana. Ebbene Marcellino fonderà due congregazioni religiose: i Fratelli Maristi e i Padri Maristi, che apriranno ogni dove centinaia e centinaia di scuole-contravveleno alla scuola laica derivata da Napoleone, e testimonieranno Cristo con larga profusione di sangue. Solo nella Spagna degli anni Trenta ben 179 maristi furono uccisi per la fede! Il beato Marcellino era nato da un mugnaio il 20 maggio 1789, due settimane dopo l‟apertura degli Stati Generali, inizio della rivoluzione. Ancora un nome, nostrano questo, di uno a cui tanto dovette il Frassinetti, Antonio Maria Gianelli. Sospettato di essersi imboscato invece che correre ad immortalarsi con Napoleone sui campi della gloria come pretendeva quel tale catechismo, fu acciuffato e “con una fune al collo fu condotto con altri disertori prima a Pontremoli, poi alla Spezia e infine alla caserma di Carrodano”, scrive il Garofalo nella sua bella biografia165. La fece franca. La grida del Maire, attaccata a tutti i cantoni, parlava chiaro: 165 S. GAROFALO, Sant‟Antonio Maria Gianelli, Cinisello Balsamo (MI) 1989, p. 33. 93 Empire Français... Il Signor Prefetto procederà irremissibilmente a dichiarare refrattarj tutti li Coscritti, che non si saranno presentati, ed a farli condannare dai Tribunali alla pena di cinque anni di detenzione nei depositi militari, ed alla multa di mille e cinquecento franchi... I Padri e le Madri dei condannati sono responsabili del pagamento della multa166. Una cifra da sogno. Il Coscritto se la vide brutta ancora una seconda volta, ma, per un ripetersi strano di circostanze, la fece di nuovo franca. Pena ben piú gravosa della multa e dei cinque anni di detenzione nei depositi militari non poter dire, sentendo rievocare le grandi battaglie: “Io c‟ero!”. In una lettera al Frassinetti don Revelli scriveva di lui: Uno le cui parole erano saette. Una di quelle parole saette centrò il cuore dell‟alunno di “rettorica” Giuseppe Frassinetti. Il professor Gianelli fu per lui ciò che per Natanaele era stato l‟apostolo Filippo167, e non solo per lui, ma per lo Sturla, il Cattaneo, il Magnasco, ed altri ed altri ancora, tutta gente amica del Frassinetti che incontreremo nel corso di questo racconto. Mi fermo, ma se ti capitassero fra mano le vite di san Vincenzo Pallotti, di san Gaspare del Bufalo – questi due romani –, di san Giuseppe Cottolengo, di san Giovanni Bosco, del cardinal Newman e di tanti altri ancora, guarda la data di nascita. Proprio negli anni in cui tutto sembrava essere crollato, il Signore faceva sorgere i suoi ricostruttori dove meno si sarebbe immaginato e, per vie e modi diversi, li preparava al loro compito. Una cosa ancora va notata: Gesú, venuto per la salvezza di tutti, parve dare a soli dodici piú tempo che al resto dell‟umanità. È vero, purché si aggiunga: in vista dei tutti. Li rese sale della terra, luce del mondo e lievito dell‟universo pensando all‟ultimo uomo168. I nomi fin qui citati sono di sacerdoti, moltiplicatori di sacerdoti, e di religiose che consacrarono la vita per la salvezza dei fratelli. Adombrato come meglio ho potuto il disegno di Dio nella sua grande opera di ricostruzione, passo a narrare la storia d‟uno dei suoi operai, senza 166 È il manifesto bilingue, a sinistra il francese e a destra l‟italiano, firmato dal Maire Agostino Pareto, con cui si diffidavano i renitenti alla leva del 1806. 167 Gv 1,45. 168 Mt 5,13s.; 13,33. 94 mai perdere di vista i suoi compagni di lavoro, sottolineando quel che ciascuno diede all‟altro e dall‟altro ricevette. Incontreremo nomi noti, come san Giovanni Bosco, santa Maria Domenica Mazzarello, santa Paola Frassinetti, il Padre Santo,, sant‟Antonio Maria Gianelli, e nomi meno noti, ma tutti degni di fargli corona in cielo, come don Luigi Sturla, il canonico Giovan Battista Cattaneo, don Pestarino, due fratelli del Frassinetti: don Giovanni e don Raffaele, il tipografo Pietro Olivari ed altri ed altri ancora, parecchi dei quali, oltre i già nominati, saliti agli onori degli altari come Rosa Gattorno, Eugenia Ravasco, l‟arcivescovo Tommaso Reggio o ne sono sulla via come don Giacinto Bianchi… Una riprova che la storia della Chiesa partecipa del mistero dell‟eucaristia che dei molti fa un corpo solo169. Forse al Lettore sarà parso esagerato lo spazio concesso a ricreare un‟immagine dei tempi che il Servo di Dio trovò venendo al mondo ed in cui visse la sua puerizia. Era necessario. Se Giuseppe Frassinetti non fu del mondo, non lo fu a guisa d‟un monaco trappista che se ne apparta, ma di uno che visse sempre nel mondo, senza neppure la pausa degli anni della formazione nel chiuso di un seminario. Né il suo mondo fu un villaggetto sperduto tra i campi come quello di Giovanni Bosco, ma Genova e nel suo cuore. Si aggirò per le stesse strade e gli stessi carruggi per dove gli stessi anni si aggirava il Mazzini. Sugli anni dell‟infanzia e dell‟adolescenza ci fermeremo a lungo, fin quasi a dare l‟impressione d‟eccedere la misura e non tener conto dell‟economia del lavoro. Ben a ragione il Teologo consultore del quarto “voto”, con cui esprimeva il suo giudizio favorevole sull‟eroicità delle virtú del Servo di Dio, lamenta – è bene ripeterlo : “Dagli Atti della causa non risulta quasi nulla su questi anni [dell‟adolescenza del Servo di Dio] che sono, invece, a nostro parere, fondamentali per lo studio delle sue virtú ”170. Sono gli anni delle grandi scelte che danno l‟indirizzo al resto della vita. Le molte pagine vogliono essere un mio tentativo di colmare tale lacuna, sperando di non essermi troppo illuso d‟aver gettato un po‟ di luce nel silenzio di quegli umili appartamenti in affitto in cui il Frassinetti visse 169 1 Cor 10,17. 170 RV, p. 24. 95 un‟infanzia ed una giovinezza che ricordano gli anni del Signore nella ancora piú umile e nascosta casetta di Nazaret. CAPITOLO VII LA FAMIGLIA FRASSINETTI 96 La famiglia di Giuseppe Frassinetti, si è visto, era originaria di Rivarolo Ligure, una parrocchia della Val Polcevera a qualche miglio dalla cerchia di mura della città di Genova. Francesco Giovan Battista, che d‟ora in poi chiameremo anche noi con il suo secondo nome, il sabato 19 novembre del 1803 nella cattedrale metropolitana di San Lorenzo, parrocchia della sposa, si era unito in matrimonio con Angela Viale, figlia di Paolo, un merciaio, e di Angela Maria Caterina Cerisola171. Ventisette anni lui, sui diciotto la sposa. La portò a vivere in casa dei suoi genitori che da qualche tempo non abitavano piú nella parrocchia di San Donato, avendo traslocato in quella delle Vigne in un appartamento al quarto piano di Casa Imperiale al n. 1298 di Vico dietro San Paolo Vecchio nei pressi di Campetto172. Angela trovò nella nuova casa due sorelle del marito non ancora sposate: Francesca, ma solo per qualche anno, e Annetta che visse nubile in casa del fratello fino al 171 Questo l‟atto matrimoniale che si legge nel Registro dei Matrimoni dell‟anno 1803, foglio 107: “Die 19 dicti [mensis Novembris] Frassinetti Io[ann]es Bap[tis]ta Iosephi de Parochia S. Mæ Vinearum, et Angela Maria Benedicta Viale Pauli de nostra, factis solitis proclamationibus tribus diebus Festivis in utraque Parochiali, nempe diebus 30 Octobris pp Prima et 6 currtis 9bris nulloque detecto ca[noni]co impedimento, servata in reliquis forma S.C.T. per verba de presenti, Matrimonium contraxerunt coram Ptre Ferdinando Vassallo Ordnis Eremit[itarum] B. M. V. de Monte Carmelo… præsentibus Revdo Frañco Flori q. Iosephi, et Caietano Vassallo q. Iosephi testibus…”. Il padre della sposa, Paolo Viale di Angelo, di professione merciaio, era nato a Marassi nel 1751. Il 9 febbraio 1777 aveva sposato Angela Maria Caterina Cerisola di Giov. Battista della parrocchia di S. Siro, a lui sopravvissuta. Paolo morí il 12 giugno 1812 nella parrocchia di S. Lorenzo e fu seppellito a S. Francesco d‟Albaro. Il Capurro rinvenne negli archivi parrocchiali diverse famiglie “Viale” di buona condizione sociale, ma senza poter affermare un rapporto di parentela con la madre del Frassinetti. Giov. Battista Viale, fratello di Angela, lo vediamo censito in casa Frassinetti negli anni 1824-1826. Poche le notizie degli altri parenti “Viale”. Ci sono pervenute quattro lettere indirizzate al Priore dal cugino Antonio Giuseppe Viale residente a Lisbona: vi si fa cenno di due sue sorelle, anch‟esse a Lisbona, una superiora di suore, e di un loro cugino Giov. .Battista a Genova, padre d‟una ragazza di nome Giovannetta. Antonio Giuseppe sembra di buona cultura, si propone di tradurre in portoghese un‟opera del cugino, gode buona reputazione sociale, è informato di quanto avviene in Italia ed in Francia e gli parla della situazione religiosa in Portogallo. Debbono essere gli stessi parenti per i quali nelle lettere al padre Paola pone piú volte i saluti chiamandoli zio Viale, zia Manin, la cugina Giovannetta. Zio Viale si alterna con zio Giobatta, zio Baciccin; Giovannetta con Giovannina. Parenti quindi da parte di madre 172 Una traversa congiungente Campetto con vico Carlone “uno di quei vicoli nei quali i raggi del sole vi penetrano, come suol dirsi, tre volte all‟anno”. La Settimana Religiosa, Genova, XIV(1884), pp. 426s. 97 sabato 15 aprile del 1826, giorno in cui morí a soli quarant‟anni e fu seppellita alla “Madonnetta” come già il padre. Annetta aveva tenuto a battesimo santa Paola ed altri due nipotini morti nel primo anno di vita. In quindici anni di matrimonio Angela dette alla luce undici figli. Sei apparvero in terra giusto il tempo di ricevere il battesimo e qualcuno anche d‟abbozzare un primo sorriso alla madre. Due di loro, Angelica e Camillo, furono costretti a porli a balia in quel di Recco e lí seppellirli. Quei morticini non avevano vagito in vano i loro pochi giorni di vita. Erano gli angioletti della famiglia, a cui spesso andava il loro pensiero e spesso se ne parlava. Nel suo cuore erano vivi al pari di quelli che le saltellavano attorno. D‟ognuno la mamma aveva qualcosa da dire, d‟ognuno portava un segno ed un ricordo nel suo corpo che formavano il suo calendario. Ogni fatto era situato prima o dopo o durante l‟attesa di questo o quel figlio. Erano vivi e presenti anche nella memoria dei fratelli sopravvissuti: la gioia del primo vagito che annunciava l‟arrivo del fratellino o della sorellina – all‟epoca si nasceva tutti in casa –; il battesimo prima che fossero trascorse le ventiquattro ore per assicurare loro il paradiso, venendone cosí a comprendere l‟importanza; l‟ansietà della mamma che non li vedeva poppare come avrebbero dovuto, o perché non stavano bene, o perché il latte era poco. Al loro ricordo restarono legati anche il primo incontro con il mistero della morte ed i primi atti di fede: essendo stati battezzati, si trovavano certamente in paradiso con gli angeli, e già vedevano Dio, la Madonna e i santi. La loro morte, piú che timore, a quei piccoli ingenerava un senso d‟invidia: erano in paradiso! Dei cinque figli sopravvissuti, i quattro maschi diverranno tutti e quattro santi sacerdoti, l‟unica bimba sarà la fondatrice delle suore di santa Dorotea e conoscerà gli onori degli altari, santa Paola Frassinetti. Si direbbe che mamma Angela insieme con il latte desse ai suoi figli anche vocazione religiosa e tenero affetto per la Madre celeste, quasi presagisse doverli presto lasciare a lei affidati per non dire di no agli altri figlioletti che la reclamavano lassú con loro. Per questo, man mano che s‟avvicinavano ai sei anni, li accompagnava sul colle di Carbonara al santuario della Madonnetta per l‟atto d‟offerta del loro cuore a Maria secondo la bella usanza introdotta il secolo innanzi da un monaco agostiniano, padre Giacinto. S‟è già visto con che commozione il Servo di Dio rievocava a tanti anni di distanza la cerimonia della sua consacrazione a Maria. 98 Da Paola sappiamo che mamma Angela ebbe anche un figlio di latte, essendo andata incontro in carità cristiana ad una donna che ne aveva poco. Anche quel bimbo diverrà sacerdote, come i suoi quattro maschi, e solo lui, nota compiaciuta la Santa, d‟una decina di fratelli che erano173. Una nutrice d‟anime consacrate e di angioletti di paradiso, mamma Angela. Tutte quelle creature da tirare su spiegano la presenza in famiglia d‟una donna di servizio per il disbrigo dei lavori pesanti, tanto piú che le tre donne, la nonna la madre e la zia, avranno dovuto fare anche casa e bottega. L‟ultimo nato se ne andò di cinque giorni a raggiungere quattro fratellini in cielo, seguito di lí a due giorni dalla mamma. Era il 6 gennaio 1819. Angela non aveva ancora 34 anni e lasciava il marito di 43 con sei bambini: Giuseppe, il nostro venerabile, primogenito, di 14 anni, Francesco di 12, Paola non ancora decenne, Giovanni di 6, Raffaele di 5 e Bartolomeo di quattordici mesi, che l‟avrebbe raggiunta in cielo nel luglio di quello stesso anno. Il padre di questi bimbi non era ricco. Non possedette mai una casa propria e dovette passare piú volte da casa in affitto a casa in affitto. Nel 1806 si spostò dalla casa nei pressi di Campetto in una casa della parrocchia di Santo Stefano in rue de Perera (Cul de sac), al numero 930, come risulta dai registri del censimento francese del 1808, ossia: Vico Perera, strada cieca. Era situata a lato del seminario. Don Luigi Strata, curato della chiesa di Santo Stefano, ce lo conferma e ci arricchisce le notizie dateci dal Capurro: Riguardo al luogo preciso dove nacque la serva di Dio Paola Frassinetti, trovai che nell‟anno 1809 (e già prima) Essa abitava in Vico Perera (in latino Pilaria)174… nomi derivati dalla professione di pelatori che una volta esercitavano gli abitanti di quella via. La casa era di un unico piano al No. 930, ed è denominata Casa già di Piccardo. A questo Vico si accedeva da Via Borgo Lanajuoli entrando prima in Salita S. Leonardo. Ora [1896] questo Vico è scomparso per dar luogo alla nuova Via Fieschi. Tutto ciò risulta 173 Memorie intorno alla venerabile serva di Dio Paola Frassinetti ed all‟Istituto da lei fondato, Roma 1908, p. 9. Le Due suore di Sa Dorotea figlie e contemporanee della ven. Frassinetti autrici dell‟opera sono Teresa Sommariva e Marguerite Masyn. 174 Gli atti dello Stato civile erano redatti in francese, quelli della parrocchia in latino, mentre la lingua d‟uso del popolo e del patriziato era il genovese. 99 chiaramente dal Libro dello Stato d‟anime di questa Parrocchia compilato nel 1809175. La vecchia, casa era piú vicina a bottega, la nuova un po‟ piú distante, in una via umile, di case ad un piano, di povera gente. Non fa quindi meraviglia se la famiglia Frassinetti, che si permetteva di far studiare i figli maschi, fosse ritenuta di condizione signorile176. Gente umile, ma devota della Madre di Dio alla quale avevano innalzato a metà strada due edicole, una a sinistra e l‟altra a destra, con le limosine... Date e raccolte dalla gente pia della stradetta177. I Frassinetti l‟abitarono fino al 1815 ed in essa nacquero Paola, Giovanni e Raffaele. Nel tardo autunno di quel 1815 si trasferirono nella piccola parrocchia gentilizia di San Matteo per rimanervi fino al 1823. Proprio da quell‟anno ne era abate Anton Maria De Filippi di cui si è fatto cenno nel capitolo secondo, quello che usava porre la mano sul capo del fanciullo e predirne un santo avvenire. Di questa abitazione ignoriamo il nome della via ed il numero civico178. Essendo la parrocchia gentilizia di poca estensione, la casa doveva stare a ridosso della piazza san Domenico, 175 Lettera del Cto della parrocchia di S. Stefano, Luigi Strata, ad una Revda Signora che gli aveva chiesto notizie di dove avevano abitato i Frassinetti. Archivio della Curia generalizia delle Suore Dorotee, Roma. 176 Ivi. 177 P. LUIGI PERSOGLIO, SJ, in La Settimana Religiosa, XXXVIII(1908), Genova, p. 332, nella rubrica Le vie di Genova: “VICO CHIUSO DI PERERA, in latino PELLERIA, cosí detta dai venditori e conciatori di pelli. Fiancheggiava un lato del Seminario, perciò la forma attuale [1908] deve averla presa nell‟erezione del secolo XVII. La popolazione di Pelleria era sotto la parrocchia di Santo Stefano, solo nel 1890 passò a quella di S. Maria de‟ Servi. Ivi al n. 5, – il n. 930 rinumerato col n. 5? – nel giorno 3 marzo 1809, nacque la Ven. serva di Dio Paola Frassinetti. MADONNE: Misericordia. Statua di marmo a mezzo la via a destra a discendere. Sotto è scritto: Maria Mater Dei. MDCLIIII. Madonna e Bambino. Statua in marmo della Madonna col Bambino a sinistra a pochi passi. Questa statua è piuttosto grandetta. Sotto vi si leggono questi versi scolpiti nel marmo: “L‟immagine che qui vedi di Maria / Di limosine si fece a laude sua / Date e raccolte dalla gente Pia”. Vi era pure: “ARCHIVOLTO DI PERERA da via Fieschi con due numeri di porte. Un brutto vicolo, che al pari dei vicini si prolungava a Ponticello, e fu tagliato da Via Fieschi. Di notevole non ha che la luridezza”. Un quartiere di povera gente che negli anni Trenta di questo secolo [1900] finirà d‟essere demolito per far posto ai grattacieli di Piazza Dante. 178 In parrocchia si conservano i registri dei battezzati e dei defunti, non però quello dello stato di famiglia dei parrocchiani. 100 oggi piazza De Ferrari, in una zona non toccata dalle successive sistemazioni. Non cosí la piazza per la demolizione della chiesa di San Domenico e la costruzione al suo posto, proprio in quegli anni, del teatro Carlo Felice con grave scandalo dei Frassinetti. Di lí partiranno le nuove strade verso est e verso nord, mentre gli altri due versanti furono risparmiati del piccone. Se si tiene conto dell‟età in cui all‟epoca si ammetteva alla prima comunione, non avendo Giuseppe ancora compiuto gli undici anni, questa è la parrocchia in cui deve averla ricevuta, cosí Paola e gli altri fratelli, con qualche dubbio per il piú piccolo, Raffaele, che al ritorno nella parrocchia di Santo Stefano era sui dieci anni. È anche la parrocchia dove dissero l‟arrivederci in cielo alla mamma, alla nonna paterna, a due fratellini ed ad una sorellina. Nel 1824 li vediamo di nuovo nella parrocchia di santo Stefano, situati in Rivotorbido al numero 80, l‟ultimo della strada, nei pressi di Ponticello dove finiva Via Giulia, (divenuta con gli ampliamenti via XX Settembre), in un appartamento al settimo piano sotto tetto non molto distante dalla vecchia abitazione. Ce lo conferma lo Strata con un poscritto: “Nell‟anno 1830 si trova che già abitavano al No. 80 piano ultimo, il settimo, del Brignole ai quattro Canti di Portoria, e [poi] non si fa piú cenno di Francesco [Giov. Battista] Frassinetti”179. Il Servo di Dio, anche se nato nella parrocchia delle Vigne, dobbiamo dirlo della parrocchia di Santo Stefano dove la famiglia si trasferí quando egli aveva appena qualche anno e vi dimorò, salvo gli otto anni che stette in quella di San Matteo, finché non andò parroco a Quinto. Parrocchia di Santo Stefano o, se piú piace, Parrocchia del Sasso: Cosí pare fosse chiamata dai popolani, specialmente del quartiere di Portoria, gente bellicosa pronta alle armi e a venire alla mani, la Chiesa di Santo Stefano, il qual santo è stato martirizzato a furia di sassate – ci informa la Vassallo –. Alludendo dunque a tal sasso, la Madre nostra qualche volta in ricreazione scherzando ci diceva che ci guardassimo ben bene da lei ed atteggiando il viso a simulata fierezza: “Badate bene”, diceva, “che io sono nata nella Parrocchia del Sasso”. E, vedete combinazione!, la sua casa era posta non solo tra la Chiesa e l‟arco di S. Stefano col sasso in mano, ma 179 Lettera citata. 101 anche sulla via di Portoria180, in un punto della quale via era una lapide ricordativa del sasso che nel 1746 ai 5 di dicembre il garzoncello Balilla scagliò contro i nemici... 181. Anche a pochi passi da questa nuova abitazione un‟immagine di Maria ritratta insieme a san Giorgio in un grande affresco sulla facciata dell‟oratorio di San Giorgin182. A questi ragazzi di Portoria per far ginnastica non occorreva palestra, bastando i gradini di quei sette piani da salire e scendere piú e piú volte al giorno. Non si hanno notizie di altre abitazioni. Divenuto il Frassinetti parroco di Santa Sabina, dopo un qualche tempo, il padre ed i fratelli sacerdoti Giovanni e Raffaele andarono a stare con lui. La sorella da qualche anno viveva con le sue suore, ed il fratello Francesco con i canonici lateranensi183. Tutt‟altro che ricco quel merciaio con bottega non molto distante dalle successive abitazioni e ad un passo da San Lorenzo, il loro bel San Lorenzo con la preziosa reliquia di san Giovanni Battista e i leoni di marmo a guardia dell‟ingresso. Una botteguccia. Poca cosa. Commercio minuto. Una vita 180 Bastava attraversare Via Giulia da Vico Torbido all‟altezza del quadrivio e si era in Portoria. 181 ELISA VASSALLO, Memorie intorno alla Vita della Serva di Dio Paola Frassinetti Fondatrice Dell‟Istituto delle Suore di S. Dorotea, manoscritto di p. 411 steso a Roma nel 1894 – vivo ancora Giovanni, fratello della Santa. È conservato nell‟Archivio della Casa generalizia delle Suore di S. Dorotea, Salita S. Onofrio al Gianicolo, 38, Roma. Il passo citato si trova a pp. 115s. Madre Vassallo continua raccontando l‟insurrezione di tutto il popolo al grido di Viva Maria. 182 La Settimana Religiosa, cit., XXXIX(1909), p. 464: “Via RIVOTORBIDO. Sestiere Portoria. Parrocchia di S. Stefano. Dalla Piazza Ponticello a Via XX Settembre – all‟epoca del Servo di Dio via Giulia che, allargata, divenne in seguito via XX Settembre –. Prende il nome dalle acque che le passano sotto quando piove e perciò torbide. Queste acque provengono da Via Assarotti, Palestro, Goito. Anticamente dovevano essere allo scoperto in questa località attraversata dal ponte che diede il nome alla Piazza di Ponticello. In questi ultimi anni [1909] fu allargata del doppio. Qui presso nell‟antica Via Giulia fino al 1862 era un oratorio dedicato a S. Giorgio, detto S. Giorgin, sulla cui facciata era l‟immagine della Madonna e del santo titolare in affresco grande”. Via anch‟essa oggi scomparsa. 183 Fu parroco di Coronata nell‟immediata periferia di Genova dal 1841 al 1885, anno della sua morte. 102 dura, mai come allora con i mille balzelli di Napoleone, un porto morto ed ogni anno la nascita d‟un figlio. Ma era una povertà cosí connaturata da sembrare lo stato della prima beatitudine evangelica, il vero blasone della famiglia Frassinetti184. Povertà, ma non miseria. Se non possedette una casa sua, né fu in grado di costituire una dote per l‟ordinazione dei figli al suddiaconato e a Paola per monacarsi, riuscí nondimeno a far studiare i quattro maschi, sia pure con restrizioni e sacrifici. La povertà, la sofferenza e le ripetute visite di sorella Morte furono le grandi maestre di vita per tutti e cinque quei bimbi, con l‟aggiunta, per Paola, del dono della maternità, perché le bambole delle bimbe d‟una famiglia povera e numerosa sono i fratellini da accudire, soprattutto se la mamma viene a mancare cosí presto come fu per Paola. E di amore ne dette senza misura a tutti e quattro, soprattutto a Raffaellino, l‟ultimo dei sopravvissuti, cosí delicato, che resterà per lei sempre Raffaellino, anche divenuto sacerdote e fatto vecchio. Uno che da solo non sa districarsi. Purtroppo della giovinezza del nostro Servo di Dio, cosí restio a parlare scopertamente di sé e della famiglia, non si sa molto. Poche ed avare le testimonianze che ci è dato leggere nei processi per la canonizzazione, rese da persone che lo avevano conosciuto nella loro lontana giovinezza e da altre che ne avevano sentito dire da chi ne tenne a lungo viva la memoria. Ci soccorrono in parte le testimonianze raccolte nel processo per la canonizzazione della sorella Paola, a cui di tanto in tanto piaceva riandare agli anni della sua infanzia, non sempre però precisa nelle date. Fonte preziosa sono anche le lettere che si conservano nell‟archivio delle sue suore. 184 Cosa ben diversa la povertà di chi nacque e visse ricco fino al giorno in cui non ne fece una scelta. Il ricco che si fa povero è sempre qualcuno: un san Luigi Gonzaga, da principe fattosi accattone, nel bussare alle porte di Roma per chiedere elemosina, non poteva non leggere negli occhi di chi gli dava il tozzo di pane: – E dire che è un principe! – Solo il povero nato povero è un nessuno. Non per niente Gesú volle nascere povero poverissimo. Ciò che il Frassinetti scriverà della famiglia di Rosina Pedemonte, poteva affermarlo della famiglia di suo nonno, anch‟egli padre di famiglia numerosa e di professione cuoco in Genova: “Una famiglia cosí numerosa non poteva vivere sul guadagno del padre di professione cuoco, e sebbene le donne attendessero assiduamente a vari lavori, sentiva le strettezze della povertà; tuttavia si conservava in condizione semi-civile”. G. FRASSINETTI, Il modello della povera fanciulla Rosina Pedemonte, 1a ed. in Letture Cattoliche, VIII(settembre 1860), fasc. VII, Torino, p. 10. 103 Del padre Giovan Battista sappiamo qualcosa da madre Elisa Vassallo, una delle prime suore dorotee, eco di quanto aveva udito raccontare dalla figlia Paola e, per via indiretta, da chi aveva avuto dimestichezza con la famiglia del nostro Servo di Dio: Giovan Battista Frassinetti, padre della Serva di Dio, per quanto ho potuto concetturare dalle parole della benedetta figlia sua e Madre nostra, e molto piú per quanto di lui scrisse l‟Emo Card. Placido M. Schiaffino (che molto bene conosceva la famiglia Frassinetti avendo avuto nella sua giovinezza a confessore e guida spirituale il R. D. Giuseppe– il nostro Servo di Dio –), era uomo per indole austero e per vivo sentimento di religione convinto che la presente vita non è convito né, molto meno, il paradiso, ma sí una palestra nella quale colui raccoglie il premio che si addestra meglio a vincere se stesso, e ad agire tenendo innanzi Iddio e la santa sua legge. Conosceva la responsabilità grande che hanno i genitori di rendere a Dio, per quanto è da loro, i propri figli ornati della santa sua grazia come da Lui li hanno ricevuti nel S. Battesimo; ed i pericoli grandi che corre la loro innocenza posta a contatto col mondo. Quindi ne derivava quella gelosissima cura che pose nel custodire la sua Paolina e, proporzionatamente, anche gli altri figli. Per quante volte poi, e vivente ancora l‟amata consorte, e dopo la morte della stessa, come piú volte l‟udii dalla Madre nostra, venisse in deliberazione di fare istruire la sua figliuola conforme la propria condizione il richiedeva, o mandandola a scuola sicura, o prendendole in casa persona fidata, che l‟ammaestrasse, e si giungesse ancora piú volte ad averne fissato il giorno e l‟ora, sempre però faceva nascere qualche contrattempo che mandava a monte ogni cosa; e ciò solo perché, come chiaramente lo dava a conoscere, temeva che qualche alito meno che puro venisse anche menomamente ad appannare il bel candore della sua Paolina. Non è dunque a meravigliare se nella famiglia Frassinetti di teatri e festini s‟ignorasse anche il nome185. La Vassallo continua rifacendosi ad un manoscritto di don Raffaele, l‟ultimo fratello della Serva di Dio. Si tratta di una lettera in risposta ad una richiesta di notizie da parte di una Eccellenza Reverendissima che era stata incaricata dalle suore dorotee di scrivere la vita della loro fondatrice. L‟Eccellenza Reverendissima è il benedettino genovese Placido Maria Schiaffino, sopra nominato, all‟epoca vescovo titolare di Nissa in 185 E. VASSALLO, Memorie..., pp. 81-83. 104 Cappadocia e di lí a due anni cardinale186. La testimonianza di don Raffaele, in cui trapela come venivano educati i fratelli Frassinetti, è tale da riportarsi per intero: Eccellenza Reverendissima, Godo e mi rallegro che abbia accettato l‟incarico di scrivere la vita della mia cara Sorella; ma mi rincresce che le possa dare poche notizie della sua infanzia. Paola Anna Maria di Giovanni Battista Frassinetti e Angela Viale nacque il 3 Marzo 1809 alle ore sei di mattina e [fu] battezzata lo stesso giorno nella Chiesa di S. Stefano. Da piccola fu sempre buona, ma non fu in lei nulla di straordinario. Era ubbidiente non solo al padre e alla madre, ma anche ai fratelli; umile, faceva con gusto gli uffici piú bassi di casa, ajutando la inserviente. Non fu mai mandata a scuola, né a maestra; il padre e qualche poco i fratelli le insegnarono a leggere e a scrivere. Il padre non la conduceva mai ai divertimenti del mondo, ai teatri, perché di questi era nemicissimo, e mi ricordo che quando fu fabbricato il teatro Carlo Felice, volendo un suo amico condurlo a vederlo di giorno, disse: Non sarà mai che io ponga il piede in un teatro, dove prima era una Chiesa, cioè S. Domenico. Era essa pure aliena da ogni divertimento del mondo. Amava il ritiro, non ebbe compagne. Usciva di casa generalmente alla Festa alla mattina per tempo, e si recava in S. Stefano alla Spiegazione [e] ai SS. Sacramenti; nei giorni feriali alla Messa, alla Comunione e alla sera alle novene. Nelle Domeniche insieme ai fratelli la conduceva il Padre al Catechismo e dopo al passeggio nelle strade meno frequentate, e alla state sui terrapieni del Bisagno, e alle ore ventiquattro187 sempre in casa. Non fu amante del lusso, ma volle sempre vestimenti umili, e di poco costo. Cresciuta negli anni diceva spesso che voleva farsi Monaca, ne aveva un desiderio ardente e pregava il Padre che assecondasse questa sua viva brama. Era amante delle mortificazioni, non cercava mai i cibi delicati, digiunava al Sabato in onore di Maria SS. e la Vigilia della Concessione (sic) faceva il digiuno in pane ed acqua, essendo ascritta a S. Maria del Fulmine, obbligo che avevano gli ascritti di tal digiuno in una delle principali feste di Maria. Io 186 Lo Schiaffino, creato cardinale di lí a due anni, morí il 23 settembre 1889 senza aver portato a termine il lavoro. L‟incarico fu passato ad Augusto Guidi, arcivescovo titolare di Nicea, anch‟egli morto senz‟averlo assolto, ed infine ad Alfonso Capecelatro, arcivescovo di Capua e futuro cardinale, autore di un‟ampia biografia: A. CAPECELATRO, Vita della Serva di Dio Paola Frassinetti, Roma-Tournay 1900, pp. 540. 187 Ossia un‟ora dopo il tramonto del sole, chiamata ventiquattrora, secondo l‟antico uso di contare le ore da sera a sera, o anche ora di notte, ora in cui si sonavano l‟ultima volta le campane e si diceva l‟Angelus. 105 non so che aggiungere di piú. Mio Fratello Rdo Giovanni sta bene,... Genova 9 Febbraio 1883188. A proposito della profanazione del luogo sacro per avervi eretto il teatro Carlo Felice, la Vassallo aggiunge: Piú volte la Madre nostra raccontava di aver udito il padre lamentare, in un coi buoni Genovesi, e riguardare come un triste presagio pel nuovo governo, succeduto da poco a quello della repubblica, il cambiare in un teatro un tempio sacro al Signore. E “comincia male.... dicevano: Carlo Felice comincia male”. Si sbagliavano essi? Ai posteri l‟ardua sentenza!189 Chissà cosa avrebbero detto se fossero vissuti ancora fino ai bombardamenti dell‟ultima guerra che ridussero in macerie l‟edificio... sacrilego! Per Giovanni Battista Frassinetti era ancora vivo lo scandalo della profanazione della Chiesa di San Paolo Vecchio, la chiesa con l‟ingresso nello stesso vicolo dov‟egli abitava all‟epoca delle dissacrazioni operate dalla Repubblica Ligure. La morte della mamma e la supplenza che ne fecero la zia e la sorella sono i ricordi d‟infanzia rimasti piú vivi nel cuore di quei ragazzi. Ne troviamo testimonianza in alcune loro lettere alle suore dorotee che nei giorni della scomparsa della fondatrice si erano rivolte ai tre fratelli ancora in vita per avere notizie sulla fanciullezza della loro sorella. Per quanto spinga lontano lontano la memoria – scriveva Giovanni – non ricordo altro che, rimasti noi senza madre (io potea avere poco piú di sei anni) la Sorella supplí assai bene alla mancanza e continuò fino a che non ci lasciò. Alla mattina per tempo, o colla domestica o con taluno di noi in chiesa a far le sue divozioni, anche nei giorni feriali, e poi tutto il giorno in casa a sacrificarsi pei fratelli e pel Padre, in specie dopo la morte di una che nei primi anni ci fece da madre – la zia Anna, sorella del padre –. La Sorella era ragazza di anni, ma di giudizio maturo. La madre stessa non avrebbe potuto fare di piú. Quanto conforto non fu pel Padre! Ripeto, si sacrificò tutta per esso e per noi, meno la mezza ora circa che spendeva in chiesa la mattina... Il Padre avea un po‟ di ragione di opporsi perché lasciasse affatto la casa. Ne risentí esso assaissimo e noi altresí, perché una domestica mercenaria non ha 188 ACGSD, Roma. La lettera è conforme all‟originale, salvo alcuni ritocchi alla punteggiatura. 189 E. VASSALLO, Memorie..., pp. 83s. 106 l‟affetto di una sorella. Povero nostro Padre! i suoi incomodi, la sordità in specie, troppo gli resero dolorosa la perdita della Figlia. Le Suore gli siano grate del gran sacrificio che ha fatto per esse. E quanto piú doloroso negli ultimi anni della sua vecchiaia. È un debito di giustizia che pago alla buona memoria di mio Padre, che Dio l‟abbia in gloria. Dica alla Revda Madre Vicaria che [né] io né i miei fratelli – Francesco e Raffaele, Giuseppe era già morto – ricordiamo altro di particolare 190. Francesco, canonico lateranense e parroco di Coronata nell‟immediato suburbio della città, non sa rievocare fatti particolari, ma ha vivo il ricordo dell‟affetto che in quei lontani anni l‟aveva legato alla sorella di appena un paio d‟anni piú giovane di lui: Quando è morta la buona Mamà – era cosí che chiamavano la madre? – avevo dodici anni e la sorella ne avrà avuto nove o dieci, ed è stata custodita da una buona zia paterna... era buona in tutto il rigore del termine, e forse fra tutti e quattro i fratelli mi prediligeva perché il primo [Giuseppe] dedito ai studii era piú ritirato, e questa predilezione me l‟ha sempre mantenuta...191. Una famiglia unitissima, e tale si mantenne finché i suoi membri furono in vita. 190 Lettera di don Giovanni Frassinetti alla madre (Elisa Vassallo ?) in data 20 giugno 1882. ACGSD 191 Lettera di don Francesco Frassinetti alle dorotee in data 28 agosto 1882. ACGSD. 107 Appendice al capitolo VII LA ZIA ANNETTA Tu has donné jeunesse, liberté, avenir; tu n‟es plus toi-même, tu es celle qui n‟est plus, l‟épouse défunte, la mère ensevelie; tu es une vierge veuve, une religieuse sans voile, une épouse sans droits, une mère sans nom. Tu sacrifies tes jours e tes veilles à des enfants, qui ne t‟appellent pas leur mère, e tu has versé des larmes de mère sur des tombeaux qui n‟étaient pas ceux de tes enfants. L. Veuillot192 La zia Annetta mi fa tanto pensare alla sorella pianta dal Veuillot, una di quelle sante donne che sacrificano una vita per la famiglia, per figli non suoi, nel silenzio, nulla mai chiedendo per sé, nulla aspettandosi, né nulla 192 L. VEUILLOT, Lettres. 108 tenendosi, neppure un letto tutto suo per dormire in pace la notte. Senza nominarla, penso che il Frassinetti quando scriveva avesse presente la zia Annetta: Quasi da nessuno si bada al bene che fanno, all‟edificazione che danno, queste pie fanciulle…, che vivono nel mondo nauseate e nemiche del mondo... E poiché l‟amor di Dio, quando è vivo, è pure ardente di zelo, queste povere fanciulle si prendono piú che materna cura delle piccole, o parenti, o vicine… esercitano l‟ubbidienza tante volte con maggior sacrificio che le religiose… Esercitano la povertà, soffrendone pazientemente gli effetti, maggiori che non li soffrano le religiose… Conservano infine la castità, e la conservano eminentemente pura in mezzo ai pericoli… Per il che dobbiamo benedire la divina provvidenza che tutto ordina alla sua maggior gloria 193. Mi piace pensare il santo non come un bel fiore in un vaso, ma fiore in una aiuola che fa famiglia con altri fiori, nel caso Giusepe e Paola nella famiglia Frassinetti. Non Paola da sola, né da solo Giuseppe, come purtroppo il biografo, abbacinato dallo splendore del biografato, è spesso portato a narrarlo. Quanto più belli il Figogna, Punta Martin ed il Fasce nella corona appenninica, invece che giganti solitari in sconfinata pianura. Non per niente Giovan Battista Frassinetti ed Angela Viale, lui merciaio lei figlia di merciaio, il sabato 19 novembre del 1803, circondati da parenti ed amici, si erano recati nella cattedrale metropolitana di San Lorenzo, parrocchia della sposa, e nei cui pressi avevano il negozio, a far benedire le proprie nozze perché fossero sante e feconde. E lo furono. Undici i figli. Paola santa canonizzata, Giuseppe sulla via di esserlo, sei altri canonizzati ex officio, perché volati al cielo prima che sapessero distinguere la destra dalla sinistra, essendo di essi il regno dei cieli, parola del Signore. E Francesco, Giovanni e Raffaele, tutti tre sacerdoti? Ed il papà e la mamma? E la zia Annetta mai uscita di famiglia? rimasti tutti senz‟aureola? Oh, no! Fanno parte della grande riserva per il giorno del trionfo finale del Cristo. Quanti, il giorno della grande parata, rimarranno a bocca aperta nel vedere gente che non hanno lasciato nessuna notizia di sé, posti in prima fila, proprio ad un passo dal trono dell‟Altissimo. La suora portinaia innanzi alla Fondatrice con tanto di diploma papale di santa canonizzata. Prova ad mmaginare, Lettore, che una certa suor Teresa Martin non fosse stata pregata dalla sorella superiora di raccontare la sua fanciullezza passata in famiglia, né avesse scritto una lunga lettera ad una sua cugina suora nello 193 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto. 109 stesso convento ed una relazione alla nuova superiora succeduta alla sorella. Tre quadernetti. E che la sorella, di nuovo superiora, non li avesse dati alle stampe con il titolo “Storia di un‟anima” ad edificazione degli altri monasteri carmelitani. Chi mai avrebbe saputo nulla di Santa Teresa del Bambino Gesù? Ma non sarebbe stata meno santa, e che santa, anche se sconosciuta quaggiù. Una santa tenuta in serbo per la grande giornata. Così penso gli altri componenti della famiglia Frassinetti, tutti, inclusa, non occorre dirlo, la zia Annetta. Solo che per la zia Annetta ha bisogno di un restauro. Un po‟ come tanti affreschi del Trecento su cui fu stesa una mano di intonaco. Basta scrostarlo perché tornino a rifulgere. Chiedo venia se, lavorando, lo scalpello fa povere e rumore. Non è raro che nelle storie, senza averlo voluto e senza essersene accorti, s‟infiltri qualche storiella. Le vite dei santi non ne vanno esenti, soprattutto se si scrive basati sulla memoria senza troppo penare in riscontri d‟archivio. Infortunio accaduto anche alle prime biografe di santa Paola Frassinetti in cose che riguardano tutta la sua famiglia, quindi anche il fratello Giuseppe. Alla morte della Santa, alcune suore si premurarono di scrivere i loro ricordi e di aggiungervi quanto erano riuscite ad appurare dalle consorelle che le erano vissute accanto194. Un lavoro diligente e minuzioso. Le due suore, per i tempi in cui scrivevano. si possono dire suore istruite, non però fino a sentire il bisogno di un vaglio critico delle notizie e di riscontri d‟archivio all‟infuori di quelli di casa, di qualche parrocchia e di qualche curia. Ignorano persino che la prima storia della fondazione delle Dorotee era stata scritta dal fratello Giuseppe nel 1847 e data alle stampe nel 1857. Della zia Annetta si anticipa la morte di cinque anni: Paola poteva avere dodici anni – scrivono –, allorché passò a miglior vita anche la zia e da quel punto il carico della casa si aggravò tutto sopra di lei; ma i suoi fratelli lasciarono scritto che essa tenne assai bene per loro le veci di madre195. Il fratello è don Giovanni. Nella Vassallo troviamo riportata la lettera con cui comunicava a madre Sommariva le notizie che gli erano state richieste 194 Memorie intorno alla venerabile serva di Dio Paola Frassinetti ed all'Istituto da lei fondato, Roma 1908, p.12. Le “Due suore di S. Dorotea, figlie e contemporanee della ven. Frassinetti”, autrici dell'opera, sono T. Sommariva - M. Masyn; E. VASSALLO, Memorie intorno alla Vita della Serva di Dio Paola Frassinetti Fondatrice Dell'Istituto delle Suore di S. Dorotea, Roma, manoscritto di pp. 411, conservato nell‟ACGSD (Archivio della casa generalizia delle Suore Dorotee). 195 Memorie, Op. cit., p.12. 110 alla morte della santa sorella. Nel riportarla la Vassallo vi aggiunse un tre che manca nell‟originale. Non certo per falsificare un documento, ma per precisare, convintissima com‟era che la zia Annetta fosse morta tre anni dopo della cognata. Né, peraltro, scriveva una storia critica, ma solo note destinate alle novizie che non avevano avuto la fortuna di conoscere la Madre. Ecco i due testi posti in sinossi: Don Giovanni Frassinetti Citazione di suor Elisa Vassallo Rimasti noi senza Madre (io potevo avere poco piú di sei anni) la sorella supplí assai bene alla mancanza e continuò fino a che non ci lasciò… Tutto il giorno in casa a sacrificarsi pei fratelli e pel padre in ispecie dopo la morte di [mia zia] che nei primi anni ci fece da madre196. Rimasti noi senza madre, io potevo avere poco piú di sei anni, la sorella supplí assai bene alla mancanza e continuò <ad assisterci> finché non ci lasciò… Tutto il giorno <rimaneva> in casa a sacrificarsi pei fratelli e pel padre in ispecie dopo la morte di mia zia che nei primi <tre> anni ci fece da madre197. I dati fornitici dal nostro archivio, dagli archivi del comune di Genova e da quelli delle varie parrocchie, dove la famiglia Frassinetti risedette, ci consentono di fare correzioni ed integrazioni a quanto è stato pubblicato nel passato, sia dalle Dorotee sia da noi. Angela Viale, la madre di quei bambini, morí sí il giorno dell‟Epifania, non però del 1818, bensí del 1819. Una settimana prima aveva partorito il suo undicesimo figlio, non il decimo, che fu battezzato lo stesso giorno e volò al cielo due giorni prima della madre198. Non lasciò cinque orfani – i cinque divenuti adulti –, ma sei. Il sesto era un bimbetto di sedici mesi che la raggiungerà in cielo il 17 luglio successivo199. Era ancora viva la suocera, che morrà di settant‟anni il 30 maggio 1820, mentre la cognata Annetta le sopravvivrà non tre anni, ma sette anni e tre mesi, essendo morta di 41 anni il 15 aprile del 1826. Per un buon secolo le Dorotee, e non solo loro, si sono intenerite pensando questa fanciulla di dodici anni mandare avanti una casa cosí numerosa, cinque uomini piú lei, e a far da mamma non solo ai due fratellini 196 ACGSD. Nell‟originale manca mia zia con cui avrebbe dovuto cominciare la seconda pagina, omissione dovuta forse ad un momento di distrazione nel girare pagina. 197 E. VASSALLO, Memorie… p. 52s. Pongo in corsivo tra parentesi uncinate le aggiunte, solo in corsivo le varianti di poco rilievo. 198 La causa della morte dovette perciò essere una qualche infezione puerperale. 199 Negli appunti del padre nasce il 23 ottobre 1817, nel registro parrocchiale 2 settembre. Questo fa pensare che l‟appunto potrebbe essere stato preso a distanza di tempo. 111 piú piccoli, Giovanni e Raffaele, ma anche ai due piú grandi, Giuseppe e Francesco200. All‟epoca non c‟erano elettrodomestici, l‟acqua si andava ad attingere alla fontana sulla strada o in qualche pozzo vicino, e c‟era il bucato da fare, almeno quello piccolo, ed il rammendo, e le calze per tutti… Anch‟io ho provato tanta tenerezza per questa bimba, tenerezza congiunta a pena: ma avrà avuto la forza di sollevare la pentola dal focolare senza rovesciarsi addosso l‟acqua bollente? Ma che padre, però! A dir poco uno sconsiderato! Tutto il contrario. Anche quando erano vive la moglie e la madre, fin dal 1812, aveva alleggerito alle donne di casa il peso di quei bambini assumendo una donna di servizio a tempo pieno201. Nel distaccarsi da quei sei bimbi lo sguardo della madre fu certo consolato vedendoli accanto al marito, alla suocera ed alla cognata – questa della sua stessa età, trentaquattro anni – che avrebbero continuato a prendersi cura di loro con piú amore di quanto non ne avessero già mostrato nel passato per non far loro sentire la mancanza della madre. Per quanto può essere serena l‟infanzia di orfani, quella di Paola e dei suoi fratelli lo poté essere. Paola aiutò in casa fin da piccola, come si usava a quei tempi nelle famiglie numerose, offrendo l‟aiuto che poteva dare una fanciulla della sua età: piccoli piaceri e piccoli servizi, soprattutto badando ai due fratellini piú piccoli, aiuto che per lo piú consisteva nel trastullarsi con loro, soprattutto nel fare altarini e celebrare sacre funzioni come in suo scritto ella stessa ricorda. Niente di straordinario e di impossibile. La vita di tutti i Frassinetti non ebbe niente di straordinario. Fu la loro vita, per valermi di una espressione cara a Giuseppe, una vita da potersi da tutti imitare, e non una vita che si può solo ammirare. Come sarà nata dunque la 200 I cinque maschi potevano essere già sei per la presenza in famiglia d‟uno zio materno, Giovanni Battista Viale, incluso negli stati di famiglia del 1825, anno in cui si trasferirono di nuovo nella parrocchia di Santo Stefano, e nei due successivi. Non disponiamo degli stati di famiglia dal 1815 al 1824, anni in cui abitarono nella parrocchia di San Matteo, anni nei quali lo zio poteva essere già presente. 201 Geronima Costaguta, poi Teresa Malatesta, infine Tomasina Malatesta, ancora presente in casa Frassinetti negli anni Cinquanta. Le Memorie, come pure il Capecelatro (A. CAPECELATRO, Vita della Serva di Dio Paola Frassinetti, Roma, 1900) ed il Gremigni (G. GREMIGNI, Vita della Beta Paola Frassinetti, Roma, 1930), che da loro acriticamente dipendono, ignorano la presenza d‟una persona di servizio. Lo stesso la Rossetto (R. ROSSETTO, Paola Frassinetti, Padova, 1984). Avrebbero potuto avvertirne la presenza dalla lettera di don Giovanni Frassinetti riportata dalla Vassallo in Memorie…, p. 52, cosa che fa la Neirotti : “Perduta anche questa [la zia] a dodici anni, governa la sua casa con l‟aiuto di una inserviente”, M. NEIROTTI, Paola Frassinetti a Genova, Genova 1984, p. 12. 112 storiella? Non certo da Paola. Quando si rievoca in ricreazione qualche fatto della lontana infanzia, non si fa una deposizione giurata e quindi non si sta attenti a dire con assoluta precisione anno, mese giorno ed ora, ma, ridurre diciassette anni a dodici, è troppo! Sono quindi le biografe delle Memorie che, ponendo insieme vari discorsi uditi in vari tempi, li hanno variamente confusi. Né mancano nel loro lavoro indizi di confusioni e di ricordi incerti: “Venuta a morte, non sappiamo bene se la suddetta zia o una delle nonne…”. Un‟ approssimazione che muta completamente ciò che vogliono dimostrare riportando un episodio di cui si parlerà piú avanti. Un giorno l‟avranno sentita dire: “Mamma morí che avevo nove anni ed era il giorno dell‟Epifania”. Di qui argomentarono: essendo Paola nata nel 1809, la madre morí nel 1818. Nove piú nove fanno diciotto. Nessun dubbio. Ma Paola aveva in realtà nove anni e dieci mesi, quindi, andando con il millesimo, si era già nel 1819202. In altra occasione, forse a distanza d‟anni, udendo l‟episodio accadutole alla morte della nonna, sentono dirle che aveva dodici anni. In realtà era nel dodicesimo, ma solo da un paio di mesi, aveva quindi undici anni da poco compiuti. Imprecisioni di poco rilievo in una conversazione. Di qui le biografe argomentano: tra le due morti passarono tre anni. Poi, confondendo la morte della nonna con quella della zia – vedi sopra –, le fanno cadere sulle spalle il governo della casa ad un‟età in cui una fanciulla passa buona parte del tempo giocando a far da mammina alla bambola e, nella rassegna dei santi, la passarono dal corteo delle vergini a quello delle vergini e martiri203. Parliamo un po‟ di questa zia a cui certo pensa il nipote Giuseppe quando prova a rispondere alla difficoltà: Ma perché Dio permette che [certe giovani] abbiano un cosí vivo e santo desiderio [di entrare in monastero], che non dovrà essere soddisfatto giammai?… perché non dispone che siano accontentate e che abbiano per tal modo, non solo il merito, ma anche la realtà dello stato religioso?… Ne trova il perché: si impedirebbe con ciò un bene poco osservato, ma incalcolabile. Segue il passo citato all‟inizio che mi piace riportare di nuovo 202 Cfr. Registro dei defunti della parrocchia di S. Matteo e appunti del marito. 203 Riprova che Paola non fosse precisa nelle date si ha nel Documento addotto al processo di canonizzazione dalla suora dorotea Elisa Vassallo, provinciale dell‟Istituto, che attesta d‟averlo copiato da un autografo della fondatrice Paola Frassinetti. Cfr. Positio., Summ. add., Pars II, p. 40. Vi si afferma che il fratello, alla morte della mamma, era sui dodici anni, mentre ne aveva già compiuto quattrodici. 113 tanto mi pare fondamentale vedendo in esso il ritratto della zia Annetta e, ad un tempo, un tributo di commossa riconoscenza. Quasi da nessuno si bada al bene che fanno, all‟edificazione che danno, queste pie fanciulle, obbligate per la loro povertà a vivere in mezzo al secolo. Esse, che vivono nel mondo nauseate e nemiche del mondo... E poiché l‟amor di Dio, quando è vivo, è pure ardente di zelo, queste povere fanciulle si prendono piú che materna cura delle piccole, o parenti, o vicine… esercitano l‟ubbidienza tante volte con maggior sacrificio che le religiose… Esercitano la povertà, soffrendone pazientemente gli effetti, maggiori che non li soffrano le religiose… Conservano infine la castità, e la conservano eminentemente pura in mezzo ai pericoli… Per il che dobbiamo benedire la divina provvidenza che tutto ordina alla sua maggior gloria204. Nella biografia di santa Angela Meríci il Frassinetti, parlando delle sue virtú, le divide in imitabili e ammirabili205. In casa Frassinetti, si tratti di Paola, si tratti di Giuseppe, si hanno solo virtú imitabili. Ammirabile il loro insieme armonioso e la perseveranza con cui le seppero praticare dalla prima giovinezza alla fine dei loro giorni. Ciò ad alcuni può sembrare sufficiente per una santità ordinaria, non per una da altare, pensando connaturale in un santo la presenza dello strepitoso. Rivelatrice di questo modo di concepire la santità canonizzabile è la reazione di don Giovanni Frassinetti quando seppe che le Dorotee volevano introdurre la causa per la canonizzazione della sorella Paola. Nei pressi di Campetto, il cuore della vecchia Genova, in quel formicolare di gente a tutte le ore del giorno, aggredí ad alta voce la madre generale in pretto genovese: – A mæ sêu santa? A mæ sêu santa! –206. Che la sorella fosse una santa suora nessun dubbio, e mai le aveva negato il suo aiuto facendo la spola da Genova a Roma, ma non si capacitava di aver potuto trattare per una vita con una santa da altare senza essersene accorto. Mia sorella santa! Nelle biografe della Santa si avverte la tendenza a vedere ammirabile il normale. Restando agli anni dell‟infanzia, raccontano della bimba tre fatti ammirevoli, facendo pagare alla zia Annetta il di piú che accreditano alla nipote. Il gattone nero 204 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto, Genova 186410, p.112-115. G. FRASSINETTI, Vita ed Istituto di S. Angela Merici, Genova 1867, III ed., p. 72-99. 206 Un ricordo personale di quanto ci raccontava il padre generale Giacomo Bruzzone che da chierico aveva conosciuto Giovanni Frassinetti. Se ne trova conferma nella Positio Servae Dei Paulae Frassinetti, Animadversiones, p. 11. 205 114 Una volta, fra le altre, essendo ella ancor tanto piccina che per vestirla e spogliarla la mettevano in piedi sulla seggiola, avvenne che la zia nel porla a letto, non si sa perché, le disse in tono di rampogna: “Adesso, quando io me ne vado, verrà un gattone nero a prenderti, perché sei stata cattiva”. E, senz‟altro aggiungere, portò via il lume lasciando la fanciullina sola, la quale, sebbene non ricordasse d‟aver fatto nessuna mancanza, pure credette alla minaccia della zia e quindi nell‟angosciosa aspettativa di quel gattone, cominciò a sudar freddo. Ma invece di piangere e strepitare come avrebbe fatto qualunque altra bambina della sua età, soffocò in silenzio la paura che la divorava, finché ad ora tarda andò a riposo l‟anzidetta zia che dormiva nella sua stessa camera ed allora soltanto la fanciulla poté chiudere gli occhi al sonno207. Sono cose che il Capecelatro non ritiene degne d‟essere immortalate. Con la Rossetto diventano Acta martyrum: La zia faceva del suo meglio, ma non ostante la sua buona volontà, non aveva quell‟intuito che le mamme hanno in abbondanza208. Paola le obbediva ed era servizievole con lei, ma è da credere che abbia dovuto soffrire parecchio… La zia per ottenere l‟obbedienza della nipotina ricorreva talvolta a minacce che, all‟indole sensibilissima di lei, provocavano grande turbamento. Ma la fanciulla non si lamentava209. Un gratuito di piú. La Neirotti aggiunge altri gratuiti di piú: C‟era in casa, o stabilmente o saltuariamente non si sa, la cognata ANNA – se avesse fatto una piú accurata ricerca d‟archivio, avrebbe scoperto che la zia Anna visse sempre in casa del fratello –, madrina della nostra santa, che era di carattere “non tanto tenero” come dicono le testimonianze ai Processi 210. Se si 207 Memorie, Op. cit., p. 11s. Ciò affermando, l‟intuito viene negato anche a Paola, a tutte le suore e a quanti non abbiano avuto figli! 209 R. ROSSETTO, Op cit., p. 21s. 210 Rinvia a p. 101 del numero IV Super Dubio – Teste: M. Teresa Sommariva. Nella Positio del 1906 non risulta. Ignoro se si riferisca a quella del 1927, Positio questa che non ho avuto modo di consultare. Ecco quanto depose la Sommariva nella Positio del 1906; “Perdé la madre, credo sotto i 7 anni, e quindi attese alla sua educazione, oltre il padre, uomo di molta austerità, una zia paterna, da cui apprese a leggere alquanto, mentre a scrivere imparò da se stessa coll‟imitare i quaderni dei fratelli nella scrittura”. Stando alla sintassi quel da cui si riferisce alla zia e non al padre, e questo è un dato positivo circa la zia. Continua: “Cresciuta negli anni e perduta anche la zia, forse quando era nei quattordici, essa dové assumere la cura della casa, e fece da madre ai suoi fratelli con i quali fu sempre in grande armonia… Soleva 208 115 pensa che l‟episodio del “gattone nero” raccontato dalle Memorie dell‟Istituto avvenne quando Paola era ancora tanto piccina che per vestirla e spogliarla la mettevano in piedi sulla seggiola e che chi fece questa minaccia fu la zia che dormiva con lei, si può anche pensare che la dolce Signora Angela ebbe forse a soffrire di questa presenza cosí austera. Non sarebbe la prima volta che per diversità di metodo nell‟educare, una madre bisognosa d‟aiuto per le continue gravidanze, abbia avuto molto a soffrire…211. [Alla morte della moglie ] la sorella Anna l‟aveva aiutato – bene o male – a tirare avanti la famiglia per un triennio212. Si noti l‟inciso – bene o male–! Viva la madre, è la zia che porta a dormire la nipotina e le dorme accanto. Mi nasce un rimorso. Anni fa, ad una piccina figlia di miei amici, con lunghi capelli neri, mostrandole la mia testa calva, le chiesi se me ne dava dei suoi. Al suo no, la minacciai: “Questa notte, a mezzanotte, quando dormi, verrò con un bel paio di forbicioni, te li taglio tutti e me li metto io”. Avrà dormito? Ebbi l‟ impressione che mi ascoltasse divertita. Ma se Paola raccontava quella paura a tanti anni di distanza vuol dire… Non vuol dire nulla. Quando le suore di tanto in tanto raccontavano la paura di qualche bimba, Paola, perché non se ne meravigliassero, ripeteva che anche lei da bimba una volta ebbe tanta paura del gattone nero. Tutto qui. Il fratello Giovanni, da vecchio, nella sua ultima lettera alla sorella, una settimana prima che Paola morisse, le ricordava la bazara – uno spaventa bambini – e anche nelle mattine andare spesso alla Messa accompagnata dalla donna di servizio – particolare taciuto nelle Memorie di cui è coautrice – o dalla zia certo che sola non la mandavano” (p. 38s.). Testimonianza in sostanza positiva. Si noti l‟incertezza sulle date. Ecco quanto ancora si legge nella Positio sulla zia. Depone il fratello Giovanni che, per aver vissuto i fatti, può parlare in prima persona: “Essendoci mancata la madre, [Paola ] rimase con noi sotto la tutela di una nostra zia, anch‟essa persona pia e dabbene, la quale ci faceva da madre”, (p. 43). Le due sorelle Pingiani, suore dorotee, Giuseppina e Teresa, avanzano un dubbio per aver udito, ma senza dire da chi. Suor Giuseppina, nata a Roma nel 1832, accolta dalla Frassinetti nel 1854, stette 12 anni con lei nella stessa casa: “Ho sentito dire, che, rimasta orfana a dieci anni, sotto la direzione di una zia, che la occupava alla cura del padre e dei fratelli, a quanto pare, anche piú di quello che comportassero le sue forze”, (p. 43). Suor Teresa, nata a Roma nel 1836, conobbe Paola nel 1852 e stette in comunità con lei 21 mesi: “Rimasta orfana di madre a nove anni incirca continuò a vivere in famiglia sotto la direzione di una zia, la quale tuttoché la amasse, per inavvertenza le fece soffrire qualche privazione” (p. 42). Tutto qui. Troppo poco per formulare giudizi cosí netti. Si noti la varietà delle date. 211 M. NEIROTTI, Op. cit., p. 81. 212 M. NEIROTTI, ivi. Non tre anni, ma un quarto di secolo, dai diciannove anni alla morte! 116 ne rideva213. Cosí Paola, raccontava del gattone nero e ne rideva. È proprio da escludere che la zia, mentre le minacciava il gattone nero, l‟abbia rimboccata, le abbia fatto una carezza e dato il bacio della buona notte, lasciandola con un: “Ora dormi?” Cura depurativa con acqua di mare C‟è poi la storia dell‟acqua di mare data a bere come ricostituente. Era stata prescritta alla fanciulla una cura depurativa consistente in un bicchiere d‟acqua di mare, da bersi al mattino a digiuno. Or la zia paterna… non riflettendo tanto per sottile, faceva fare una buona provvista d‟acqua salsa, ed in un recipiente qualsiasi di cucina nella cucina stessa la conservava ingiungendo alla nipote di prendere ogni mattina la dose prescritta. E la buona fanciulla, senza mostrar ripugnanza, e senza farsi lecita la menoma osservazione, ogni mattina era là a trangugiarsi il suo bicchierotto di quell‟acqua resa fetida dal calore della cucina214. La Rossetto aggiunge di suo: “La zia, per non dover andare tutti i giorni ad attingerla… Era d‟estate”215. Come se la zia avesse avuto il mare pulito sotto casa. È impensabile che, con tutti quei nipoti in casa da accudire, potesse andare ad attingerla al mare tutte le mattine, dovendosi spingere dalla parrocchia di S. Matteo, nel pieno centro della vecchia Genova, fin verso Albaro, a piedi naturalmente, se voleva trovarla pulita, ché quella del porto o della foce del Bisagno sarebbe stata da colera! Dove ha trovato Era d‟estate? Che zia! E poi quel recipiente qualsiasi di cucina! Dove avrebbe dovuta conservarla? Sarà stato qualche orciuolo, qualche fiasco o che so io. Ne avrà potuto attingere, o fare attingere, un fiasco o due. Con tutti quei bimbi sotto cura, la provvista non poteva durare troppo senza che se ne facesse una nuova. Da vecchi, ritrovandoci con qualche compagno di collegio, si attacca la litania dei “Ti ricordi?”. Uno questo: “Ti ricordi quei cucchiaioni d‟olio di 213 Tornava dall‟avere fatto l‟ultima visita alla sorella: “Sono giunto felicemente alle ore tre e un quarto [del mattino]… Alle ore sette ho detto Messa applicandola per te, e ne dirò alcuna altra in seguito, perché, se pel meglio passi il tuo raffreddore. Il mio non è rincrudito, come temevo, dovendo viaggiare tutta la notte, anzi mi sento bene, non ho che la voce fosca: da ragazzi avremmo detto: Ha visto la bazara”. Qui, prendendo le parole come suonano, si può pensare che Giovanni abbia scambiato per raffreddore la malattia mortale della sorella, mentre da una lettera alla vicaria risulta che si rendeva ben conto di tutta la gravità. 214 Memorie, p. 12. 215 R. ROSSETTO, Op. cit., p. 22. 117 fegato di merluzzo e quei bicchieroni d‟olio di ricino?”. Che rievocazioni sarebbero se non ci fosse un po‟ d‟abbellimento e di drammatizzazione? L‟olio di ricino era la prima medicina che in collegio ci veniva propinata per qualunque disturbo, vero o simulato, come quando si restava a letto perché impreparati per la scuola. Però il “bicchierone” era un normale bicchiere. D‟olio di ricino c‟era solo un ditino ed il resto era latte. Se poi ce lo portava un nostro complice, finiva nel bagno. A Genova, all‟epoca di Paola, il toccasana era un bicchiere d‟acqua di mare. Era una cura solo della zia, o non piuttosto una cura di casa, anche ai tempi in cui viveva la madre? Ora, come noi vecchi rievochiamo ridendo la dolcezza dell‟olio di fegato di merluzzo e dell‟olio di ricino, cosí Paola in ricreazione avrà rievocato ridendo la squisitezza di quell‟acqua, attribuendo la cura alla zia, vissuta piú a lungo con lei, ma era stata anche il toccasana della mamma e della nonna, a risalire fino ad Eva. La veglia funebre Piú di una volta nelle nostre comuni ricreazioni, venendo il discorso sulle paure a cui vanno soggetti i bambini essa diceva che ne aveva molto sofferto, ma per amor proprio non se ne faceva accorgere da nessuno… Venuta a morte, non sappiamo bene se la suddetta zia o una delle nonne, fu mandata Paola a sorvegliare chi era stata incaricata di vestir la defunta; la povera fanciulla, padroneggiando se stessa obbedí; ma ebbe a subirne un‟impressione cosí viva e penosa che anche da vecchia le pareva ancora di vedersi dinanzi quella scena mortuaria216. La Rossetto arricchisce di suo il racconto con un: non è che un episodio217. Le ricerche d‟archivio ci dicono che con loro convisse solo la nonna paterna. Se le biografe si riferiscono alla morte della nonna, Paola aveva undici anni compiuti, se a quella della zia aveva oltrepassato i diciassette. Una differenza che cambia radicalmente la situazione, perché non sarebbe stata piú la zia ad imporle quella visione del cadavere. La Vassallo parla della nonna e che a vestirla era la “becchina” 218. Qui le biografe drammatizzano. All‟epoca si nasceva e si moriva in casa – e cosí era ancora al mio paese durante la mia fanciullezza –. Fin dalla primissima infanzia si era abituati a vedere i morti. In casa Frassinetti, Paola aveva già visto piú persone sul letto di morte: una sorellina, due fratellini e la mamma. 216 Memorie, p. 12. R. ROSSETTO, Op. cit., p. 21. 218 E. VASSALLO, Memorie, p. 25s. 217 118 Né solo i morti di casa, ma con ogni verosimiglianza anche dei vicini e dei parenti. Se si tiene poi conto del forte senso di pudore che allora si aveva, è difficile credere che fosse lasciata lí tutto il tempo che vestivano la morta. A vestirla sarà stata la figlia con l‟aiuto di qualche vicina, non già la mano di una “becchina” come precisa la Vassallo. Tutto falso, allora? No, la zia, dopo aver composta la salma della madre e disposte le sedie per i parenti e i vicini che venivano a dire il rosario e a vegliarla, com‟era uso, in un momento in cui nella stanza c‟era una sola persona, avrà detto alla nipote già grandicella, undici anni compiuti: “Perché non vai pure tu a vegliare un po‟ la nonna e a pregare un po‟ per lei? C‟è ancora la donna che m‟ha aiutato a vestirla”. La stanza appena rischiarata da un paio di candele dovette farle impressione, specie se vi rimase qualche momento da sola. Sono usi che possono piacere, possono non piacere, ma cosí si usava, né ci è lecito giudicare le cose di ieri con la sensibilità d‟oggi, ammesso che sia piú educativo tenere i fanciulli separati dalla realtà della vita. Per esempio di come si può ricamare il nulla valga quanto si legge in Gilla Gremigni: Nulla di singolare [in Paola ], se non una incondizionata volontà di sottomissione a chi le rappresentava il Signore. Ella si modellava sulla madre, donna delicatissima di mente e di cuore… D‟ingegno elettissimo, da sua madre apprese per tempo ogni genere di lavoro manuale, al quale, riuscendovi mirabilmente, prendeva gusto piú che ai trastulli… A scuola non la mandarono; i genitori e i fratelli maggiori furono i suoi maestri, e piú di tutti le fu maestro Dio; sí che da grande ella non risentí affatto di questa lacuna… Ma, nell‟Epifania del 1818, la madre muore… Non passan tre anni, e la morte le strappa anche la zia… Paola è diventata il centro della piccola casa… È la prima ad alzarsi e l‟ultima a concedersi un breve riposo: in moto sempre come una piccola massaia modello. Con cinque uomini in casa non c‟era infatti da stare in ozio…219. Nulla di singolare una bimba d‟otto anni e dieci mesi, stando alle sue date, già cosí compiutamente formata dalla madre in ogni genere di lavoro manuale? È pensabile che una mamma “delicatissima di mente e di cuore” abbia sottoposto ad un tale duro tirocinio una bambinetta da renderla esperta in “ogni genere di lavoro manuale” ad otto anni e dieci mesi? Ed in tutto questo il padre non ebbe nulla da obiettare? Paola fu certo ciò che afferma il Gremigni, ma non ad otto anni e dieci mesi, bensí ai diciassette compiuti, e, 219 G. GREMIGNI, La beata Paola Frassinetti, Roma, 1930, p. 2-7, passim. 119 in questo, non per merito della mamma, bensí della zia. E quel peso d‟una famiglia “con cinque uomini in casa” fin dai dodici anni, ignorando la persona di servizio! Certo che non ci sarebbe stato “da stare in ozio”, ma, se, stando cosí le cose, ciò non di meno, acquistò una cultura tale da non risentire affatto la lacuna di non aver frequentato una scuola, non si può piú affermare che in quella bimba non vi fu nulla di singolare! Ciò che le due Pingiani deposero della zia, d‟averla occupata “anche piú di quello che comportassero le sue forze”, andrebbe esteso prima ancora alla madre, “delicatissima di mente e di cuore”, ed al padre. Ma si tratta solo di una storiella che muta in singolarissimo il “nulla di singolare”, e, senza che lo avverta, smentisce le lodi tributate alla madre. Solo questo Paola ricordava della zia? Bastano questi episodi, anche a prenderli nel senso piú odioso, per formulare giudizi cosí netti? La zia austera, e di carattere non tanto tenero, la mamma dolce e delicatissima di mente e di cuore. Della madre non ci è giunta nessuna particolare testimonianza di dolcezza. Si può solo, e a ragione, presumere che fosse dolce. La madre, dolce, avrebbe avuto molto a soffrire per l‟austerità della cognata, ma non avrà piuttosto benedetto le mille volte Iddio d‟avere in casa una santa donna che sosteneva gran parte del peso di quei bambini e, morendo, ritenersi fortunata che a quei bimbi non sarebbero mancati affetto e cure? In quindici anni ed un mese di matrimonio, aveva avuto ben undici gravidanze220. Ecco in mesi la distanza da una nascita all‟altra: 22-11-17-1212-14-17-24-24-14. Tolti i tre figli vissuti pochi giorni, si aggiunga per gli altri i mesi di allattamento, che, all‟epoca, se non era interrotto da una nuova gravidanza, si protraeva oltre il primo anno d‟età. Essendo poi figlia d‟arte, merciaio il padre e merciaio il marito, ed avendo trovato in casa due donne, la suocera e la cognata, che da sempre si occupavano del suo andamento, sarà stata spesso in negozio accanto al marito per dargli una mano, lasciando che suocera e cognata, aiutate da una donna di servizio, continuassero ad occuparsi dei lavori di casa e dei bambini. Il fratello Giovanni lasciò scritto 220 1. Paolo Giuseppe: 15.12.1804–2.1.1868, 2. Francesco: 22.10.1806–5.4.1885, 3. M. Anna : 28.9.1807–23.7.1808, 4. Paula (sic) Maria: 3.3.1809–11.6.1882, 5. Anna M. Angelicchia: 2.3.1810–15.3.1810, a Recco ove era a balia, 6. GB Camillo : 24.3.1811– morto di sette mesi a Recco, ove era a balia, 7. Giovanni M.: 7.5.1812–8.7.1897, 8. Giacomo M. [Raffaele ]: 24.10.1813–26.1.1891, 9. Anna M.: 28.10.1815–31.10.1815?, 10. Bartolomeo : 23.10.1817– 19.7.1819 (nel registro parrocchiale è posta la nascita al 2.9.1817), 11. Emanuello Camillo: 31.12.1818–4.1.1819 (nel registro parrocchiale è posta la nascita al 21.12.1818). Piú d‟uno di loro fu conosciuto con il secondo nome, od altro, compreso il nostro venerabile. L‟abbiamo riportato in grassetto. 120 che finché la zia visse fu lei e, se lei non poteva, la persona di servizio o qualche altra persona di casa, che la mattina accompagnava la sorella in chiesa anche nei giorni feriali, non permettendo il padre che la figlia uscisse da sola. Si è mai pensato alla solitudine d‟una donna nubile che spende tutta la vita per figli non suoi senza lasciarsi un minuto per sé, neppure un letto dove dormire sola ed in pace? E da escludere che la zia Anna avesse ricusato di sposarsi per amore di quei nipotini? Non si capisce perché mai, per far rifulgere le virtú di una, si debbano gettare ombre su di un‟altra. Stando alle Memorie, Paola imparò a scrivere da sola, a fare anche i piú difficili lavori da sola, tutto da sola. Da cosa si può arguire che questa zia, con la quale Paola visse fino ai suoi diciassette anni passati, non sapesse infilare un ago, fare un ricamino, stirare una gonna? Tutto fa pensare che abbia appreso da lei a condurre una casa ed è verosimile che, avendo il fratello un negozio di mercerie, mandasse dalla sorella chi gli chiedeva da chi farsi cucire una camicetta o aggiustare una veste. Paola poté continuare poi da sola, appunto perché questa zia l‟aveva bene introdotta nelle arti che la resero la donna forte di cui parla la Scrittura221. Non mi meraviglierei se in cielo vedessi quell‟umile zia accanto alla nipote, gradino piú giú, gradino piú su222. 221 Pr 31,10-31. Per rettificare le imprecisioni dei biografi, sia di Paola sia del fratello, riporto qui i dati d‟archivio sulla famiglia Frassinetti anzi Frascinetti, forma in uso fino ai primi dell‟Ottocento, a mia disposizione. Il nonno di Giuseppe e di Paola, Carlo Giuseppe [19.4.1849–8.12.1804], passò da Rivarolo Ligure, dove la famiglia era presente da piú secoli, a Genova a farvi il cuoco, stabilendosi nella parrocchia di san Marcellino. Il 25.2.1772 sposò Angela Costa [1750-30.5.1820] e passò ad abitare in Piazza Nuova nella parrocchia di San Donato al primo appartamento di casa Morando. – La stessa casa dove troviamo le Dorotee ai loro inizi? – Il figlio Francesco Giovan Battista [8.4.1776–10.2.1853], primo dei maschi, sposò il 19.11.1803 Angela Viale [1784–6.1.1819] della parrocchia di San Lorenzo, figlia d‟un merciaio, Paolo Viale [1851–12.6.1812]. Che Giovan Battista sia stato messo lí da garzonetto ad apprendere il mestiere e, cresciuto, il 19 novembre 1803 ne abbia sposato la figlia? La sposa fu condotta in casa dei genitori dove trovò due cognate signorine, Francisca, chiamata Cichetta, ed Anna – la zia Annetta di cui stiamo trattando, non ancora ventenne –. Nel 1803 li troviamo censiti nella parrocchia delle Vigne, senza Angela non ancora andata sposa, con indicazione non chiara dell‟ubicazione dell‟abitazione. Nel 1804 vi sono ignorati. Nel 1805, sempre nei registri della parrocchia delle Vigne, li vediamo censiti in Vico dietro San Paolo Vecchio in zona Campetto, con in piú, rispetto al 1803, la sposa e il bimbo Giuseppe, in meno il nonno morto l‟otto dicembre 1804. Nella nuova dimora abitava con loro anche la vedova Cecilia Picasso. Alla nascita di Giuseppe, 15 dicembre 1804, il trasloco doveva essere già 222 121 Di lí ad una trentina d‟anni Louis Veuillot perse la moglie giovanissima che gli lasciava cinque bambine di pochissimi anni. Ecco con che occhi vedeva la sorella Elisa che se ne assunse la cura di madre: Tu hai donato, sorella, la tua giovinezza, la tua libertà, il tuo avvenire; tu non sei piú te stessa, ti sei colei che non è piú, la mia sposa defunta, la madre nella tomba; sei una vergine vedova, una suora senza velo, una sposa che non ha diritti, una madre che non ne ha il nome. Tu sacrifichi i tuoi giorni e le tue notti a bimbe che non ti chiamano mamma, tu hai versato lacrime di madre su tombe che non erano quelle delle tue bambine223. Parole che si sarebbero potuto incidere sulla pietra sepolcrale della zia Annetta. Pio IX, anche se scherzosamente, ne faceva il vero ritratto chiamando la sorella del Veuillot La monaca in casa! – che avesse letto avvenuto. Dal 1806 al 1815 li troviamo in Vico Perera [Pelaroae], n. 930, piano unico, parrocchia di Santo Stefano, nei pressi del Seminario dove è oggi via Fieschi. Nello stato di famiglia piú non compaiono Francisca e la vedova Picasso. Qui, lo stesso anno, nacque Francesco, e dal 1809 al 1813 gli altri tre figli che divennero adulti: Paola [ore sei del mattino, battezzata lo stesso giorno da don Francesco Tagliafico, padrino il nonno materno, madrina la zia Annetta], poi Giovanni e Raffaele. Dall‟autunno 1815 al 1823 abitarono nella parrocchia di San Matteo. Si ignora strada e numero. Nel 1824 sono di nuovo nella parrocchia di Santo Stefano, ma in vico Rivotorbido, casa Brignole n. 80, settimo piano sotto tetto. Il certificato di leva di Giuseppe Frassinetti pone l‟abitazione in fondo a Via Giulia, l‟attuale via XX Settembre allargata. Mancano la moglie e la madre, già defunte. Con loro vive il cognato Giovan Battista Viale, d‟anni trentacinque, che troviamo presente fino al 1826. Fino al 1831, ultimo di cui si hanno i dati, ed anno in cui Giuseppe andò parroco a Quinto chiamandovi la sorella, non ci sono cambiamenti, eccetto l‟assenza di Francesco entrato dal 1828 tra i Canonici lateranensi. Divenuto il Frassinetti parroco di Santa Sabina in Genova vediamo il padre ed i due fratelli Giovanni e Raffaele vivere con lui. Dove furono dal 1831 all‟andata in Santa Sabina? La teste Angela Pedemonte, nata intorno al 1834, depose di ricordare che il padre del Frassinetti andava alle prediche del figlio venendo da via dei Giustiniani: “A quel tempo abitava con la famiglia in via Giustiniani”, (Positio, p. 85). Questo fa pensare che andò a stare con il figlio solo dopo qualche tempo dalla sua presa di possesso della parrocchia. La prima lettera di Paola al padre al suo arrivo a Roma, 26 giugno 1841, è indirizzata Al Sig P.rone Col.mo il Sig. Giobatta Frassinetti in S ta Sabina, Genova. Quindi già in Santa Sabina con il figlio, anche se per il momento non v‟è certezza, avendola Paola potuta indirizzare ivi, anche se non ancora vi ci si fosse trasferito, sapendo che vi andava di continuo. Nell‟abitazione in via dei Giustiniani, Paola, richiamata a casa dal padre, dovette passare l‟inverno 1835-1836. 223 Tre di quelle piccine morirono a poca distanza dalla mamma. L. Veuillot, Lettres, Torino, 1936, p. 217. 122 l‟opera del Frassinetti? il quale, scrivendola, mi piace pensare avesse negli occhi e nel cuore il ricordo di quella santa zia monaca in casa. Osservazioni conclusive Le prime memorialiste, come pure il card. Capecelatro, che da loro acriticamente dipende, e gli altri che di lei scrissero, non hanno pensato alla profondità del “segno” del mistero eucaristico, segno efficace che produce ciò che significa: molti i chicchi di grano, uno il pane; molti gli acini d‟uva, uno il vino; cosí, per il mistero di quel cibo e di quella bevanda, i molti, che di quel cibo si nutrono, diventano uno in lui. Parola dell‟Apostolo224. Non Paola da sola, dunque, e neppure da solo il fratello Giuseppe, né loro due soltanto, ma la santità della famiglia Frassinetti tutta intera, inclusa la zia Annetta, pone in evidenza l‟efficacia di quel cibo: “Guarda, come si amano!”. Vedendola nel gruppo familiare, Paola cessa d‟essere soltanto un esempio di monaca santa modello a monache che vogliono farsi sante; il fratello Giuseppe modello di santo sacerdote per sacerdoti, e diventano, nella famiglia, modello di santa famiglia cristiana, oggi che la famiglia pare vada a cocci e si riduca a fango. Cosí uniti pesano molto di piú, perché dove trionfa il solista, per quanto prestigioso, piú non si avverte il mistero di quel “segno”. Chi ha scritto di Paola – ed è errore in cui i biografi cadano facilmente –, incantato dal suono dello strumento da lei sonato, piú non ha avvertito che sonava in un‟orchestra in armonioso concerto con altri strumenti, ed il Toscanini di quell‟orchestra fu il fratello Giuseppe. La cosa si ripeterà per l‟origine del suo istituto. Lo stesso errore, la stessa assenza di consultazione d‟archivi e di critica, le stesse imprecisioni passate poi ai biografi che da loro dipendono; lo stesso primo piano sull‟uno, invece che guardare Paola in quell‟altra stupenda orchestra che fu la “Beato Leonardo”, ed anche di questa il Toscanini è ancora e sempre Giuseppe. La Rossetto e la Neirotti per farla rifulgere pare abbiano sentito il bisogno di toni cupi, e di calcarli. La zia era buona, certo, ma… Si direbbe un “buona” posto lí a far da passaporto ai “ma…”. Una zia grigia per dare risalto alle virtú della bimba 224 1 Cor 10,17. * Di molte note d‟archivio vado debitore a don Giuseppe Capurro che, stimolato da padre Antonio Piccardo, ne fece una diligente e disinteressata ricerca. A me il merito di aver preso in considerazione nel nostro archivio i fogli, foglietti e fogliettini su cui il Capurro fissava le ricerche, materiale prezioso sfuggito a quanti scrissero dei Frassinetti prima di me. Annotazioni che mi hanno suggerito la via per altre ricerche. 123 fin dai suoi primi anni. Su cosa documentate? Sul nulla. Non riesco a pensare che la zia Annetta sia stata solo questo nei ricordi di Paola. Quanto piú vera nel ricordo del nipote Giovanni e di Giuseppe, se si può vedere il suo ricordo nei brani sopra riportati. CAPITOLO VIII L‟EDUCAZIONE DEI FIGLI 124 Con tale famiglia non c‟è da meravigliarsi se il padre di questi ragazzi verso il 1810, giunto Giuseppe all‟età scolare, si ponesse il problema di dove mandare il figlio ad apprendere a leggere, scrivere e far di calcolo. In bottega, per piccola che fosse, i conti uno doveva saperseli fare. Non certo alle scuole degli atei, e tali ai suoi occhi erano le scuole pubbliche dove innanzi tutto veniva inculcato il culto per Napoleone e vi si entrava cristiani per uscirne miscredenti. L‟azione infranciosante si era fatta pesante, non solo negli atti anagrafici, ormai redatti in francese, dove Giuseppe si era visto mutato di autorità e d‟ufficio in Joseph, anche se, a differenza di Paola e degli altri fratelli, aveva fatto in tempo a nascere... italiano, ma soprattutto nella scuola. A Napoleone occorreva educare soldati che marciassero a suon di tamburo pronti ad obbedire, combattere e morire per la gloria dell‟imperatore senza chiedere o discutere i perché. 1809: Wagram. L‟Austria pare piegata per sempre. Il Papa spodestato e tradotto prigioniero. Roma dichiarata terra francese. 1810: Napoleone si imparenta con una Absburgo e l‟anno appresso ne avrà l‟erede, salutato in fasce Re di Roma! C‟era solo da mettere il cuore in pace. Cos‟altro si sarebbe potuto fare?, si era già chiesto l‟ultimo doge. Almeno negli atti legali Giuseppe doveva rassegnarsi a sentirsi chiamare Joseph per tutta la vita. A molti, anche del clero, non escluso l‟arcivescovo Spina, non dispiaceva . Ma o scio Baciccia, padre di Giuseppe, era popolo ed il popolo pareva vaccinato contro ogni infranciosoneria e relative empietà. Francesi, giacobini, figli portati a morire lontano, irreligione... all‟orecchio del popolo non faceva differenza e, a ricordarglielo, non fossero bastate le vele ammainate nel porto a causa del “Blocco”, c‟era ad un passo da Genova Savona ove il papa Pio VII era tenuto prigioniero da Napoleone con tutto quel che si raccontava gli facessero soffrire. Proibito anche poterlo andare a vedere da lontano per riceverne la benedizione! Ora, stando cosí le cose, in quale scuola mandare il bambino ad apprendere il leggere e lo scrivere senza pericolo di traviamento? Nel male un bene. Non si contavano i frati cacciati di convento dalle leggi eversive dei rivoluzionari e dei conquistatori. Si aggiravano umili, ritirati, viva testimonianza ad una vocazione, soprattutto per l‟accettazione della miseria in cambio della povertà religiosa professata un dí in convento. C‟era frate Angelico, già francescano dei minori osservanti, che s‟era messo ad insegnare l‟abc ai pargoli ed i primi latinucci ai piú grandicelli. Dicevano 125 che fosse uno che di lettere se ne intendeva ed aveva nome di buon predicatore225. Per cominciare andava bene. Fu questa una scelta iniziale dei genitori o non dovuta piuttosto all‟aver visto nei primi giorni di scuola pubblica il figlio tornare a casa turbato? In una istruzione del Frassinetti ai fanciulli si ha l‟impressione che rievochi un fatto della sua infanzia parlando di sé in terza persona e chiamandosi Pio: Una volta [Pio] fu mandato a scuola da un maestro che era molto accreditato pel suo sapere; ma era uno di que‟ maestri che non hanno religione, e perciò spacciano cattive massime contro la pietà e divozione, contro il rispetto che si deve ai superiori, ai ministri di Dio, e alle altre cose sante. Or bene, fin dal primo giorno in cui sentí tali lezioni dal signor maestro, ritornato a casa disse decisamente: A questa scuola non vado piú, perché il maestro insegna ciò che non voglio imparare: quindi [il padre] gli dovette cercare altra scuola. Egli nulla stimava un maestro molto dotto, se non era anche timorato226. Sanno anche di ricordi d‟infanzia i suggerimenti che dà ai parroci per andare incontro alle vocazioni dei poveri: Procuri [il buon parroco] di occupare nel servizio della Chiesa quei giovanetti che mostrano maggior divozione – scriveva a don Americo Guerra preoccupato della deficienza di clero in cura d‟anime –: loro dia l‟incarico di apparare gli altari, di mantenerli puliti, gli adoperi nei servizi delle sacre 225 Si ricava dalla deposizione del teste Giuseppe Giovanni Chiola, commerciante, che da giovane aveva conosciuto e frequentato il Frassinetti: “So che il Frassinetti cominciò i suoi studi sotto il tirocinio di certo Padre Angelico, francescano secolarizzato, noto predicatore ai suoi tempi. Io lo avvicinavo per avere qualche saggio di eloquenza e di letteratura. Soleva lamentarsi dello scarso profitto di certi scolari, e mi pare che vi contrapponesse l‟esempio di altri tra i quali il Frassinetti: e però ne arguisco che questi facesse nello studio molto profitto”, POS.sV., p. 24. Essendo nato il Chiola il 4 febbraio 1849, non poté avere di simili interessi prima dei tredici quattordici anni, ossia prima del 1863/1864. Se padre Angelico a quest‟epoca era ancora vivo, e già sacerdote nel 1810, certo da poco, quando veniva avvicinato dal Chiola sarà stato sulla settantina e forse piú. Del padre Angelico ci parla anche il Fassiolo: “Primo suo maestro fu il P. Angelico, Minore Osservante, che faceva scuola privata in tempo della soppressione”, Op. cit., pp. 15s. Maestro e scolaro avevano conservato per tutta la vita una buona memoria l‟uno dell‟altro. 226 G. FRASSINETTI, Esercizi spirituali pei giovinetti d‟ambo i sessi, Genova 18654, pp. 97-98. 126 funzioni, regalandoli di qualche cosuccia, perché meglio si interessino delle cose sacre. Sarà anche bene che promuova nelle famiglie l‟antica costumanza di fare altarini pei fanciulli: innocentissimo divertimento che occupa assai i loro pensieri e li dispone da piccoli ai servizi della Chiesa. Quando poi trovi alcun giovinetto che già manifesta l‟intenzione o il desiderio di aspirare allo stato ecclesiastico, si adoperi perché sia messo a fare gli studi opportuni e, non essendovi altri che possa istruirlo, tolga sopra di sé quest‟incarico...227. Che si rifaccia ai ricordi della sua infanzia ce lo dice l‟innocentissimo divertimento di fare altarini, ricordo rimasto vivo anche nella sorella Paola: “I suoi divertimenti ordinari era fare altarini... non uscendo mai di casa che per recarsi alla Chiesa ed alla scuola”228. Ai ricordi dell‟infanzia ed alla paziente bontà di padre Angelico nell‟insegnargli l‟abc ed i primi latinucci, tornerà con il pensiero quando, ormai vecchio, suggerirà come andare incontro a quanti vorrebbero diventare sacerdoti e non possono perché privi di mezzi: È molto da deplorare la perdita che fa la Chiesa di tanti giovani i quali ne sarebbero poi buoni ed eccellenti ministri, se potessero avere istradamento allo stato ecclesiastico nel luogo di loro nascita e di loro necessaria abitazione. Non v‟ha dubbio che nelle località piú erme e montane sono uomini di bellissimo ingegno... Io ho conosciuto molti sacerdoti, ora defunti, che già occuparono, e molti ne conosco di viventi, che occupano posti importanti nel clero, i quali se non avessero potuto studiare fuori dei Seminarii, non avrebbero potuto aspirare al sacerdozio, e invece di operare gran bene in mezzo al popolo cristiano, avrebbero dovuto consumare la vita rompendo le zolle nei campi e tagliando legna nei boschi... Qualora dunque un parroco, un confessore trovi un giovinetto di buona indole e pieghevole alla pietà, deve mirare a coltivarne lo spirito con impegno speciale... Queste cure poi sarebbero di ammaestrarli bene nelle cose della Religione e di procurare che fossero istruiti nella grammatica latina; che se nel luogo non vi fossero maestri capaci a ciò, potrebbero essi istradarli in tale studio. Un parroco che fosse ben persuaso della necessità in cui si trova oggigiorno la 227 ID., Sulla deficienza delle vocazioni allo stato ecclesiastico – Lettera a don Americo Guerra, 1a ed., Lucca 1867, p. 19. Il corsivo è mio. Della Lettera si ebbe un‟edizione postuma arricchita con lunghe note, preparate dall‟Autore, che la portarono da 24 a 57 pagine. 228 POS.sV, SA 2, p. 34. 127 Chiesa, non vorrà rifiutarsi d‟incontrare qualche sacrificio di tempo e di riposo…229. Padre Angelico. Forse a padre Angelico fu anche affidato l‟incarico di insegnargli il catechismo, quello antico, genuino, tutto distillato di vangelo, che avevano studiato loro da ragazzi ed in gran parte già fatto apprendere dai genitori ai loro bambini man mano che crescevano; non quello moderno dei giacobini, convertiti a metà e per modo di dire, che si sarebbe dovuto insegnare nelle parrocchie per ordine di Napoleone, presente la spia che riferisse al governo se mai il parroco avesse omesso o postillato certe domandine e le relative risposte230. Si sarebbe dovuto, perché, grazie a Dio, non tutti i parroci furono fedeli esecutori degli ordini di un imperatore, immagine di Dio in terra, che teneva il Papa prigioniero, né mancava mai un padre Angelico che, insieme ai genitori, facesse ai bimbi l‟anti-indottrinamento di stato. Ci furono persino preti che nei giorni festivi, alla fine della messa grande, ardivano omettere l‟Oremus pro imperatore nostro Napoleone! È vero, il suo parroco, don Tagliafico231, godeva fama di Napoleonista, fama conservata anche dopo la caduta di Napoleone, né doveva essere di senso molto acuto nell‟avvertire odore di eresie232, ma non se ne può dedurre che seguisse in tutto il suo Napoleone. 229 G. FRASSINETTI, Sulla deficienza..., pp. 7-8 e 6-7. Il corsivo è mio. 230 Che nelle parrocchie di Genova si facesse apprendere il catechismo napoleonico, di cui si è parlato, si ricava dalla notizia riportata sul numero 65 della Gazzetta del 1807 che riferiva avere il cardinale mandato a tutti i parroci copia dell‟autentica versione del Catechismo per tutte le Chiese dell‟Impero al quale dovevano attenersi per l‟istruzione religiosa del popolo. Cfr. La settimana religiosa, Genova, XXV(1895), n. 2, p. 16. 231 Aveva preso possesso della parrocchia nel 1811 e vi fu parroco per oltre vent‟anni. Dal 1834 parroco di santo Stefano è don Ageno, preceduto da don Rolla per breve tempo. Il 5 ottobre 1832 il Frassinetti gli aveva indirizzato una lettera da Quinto. Era quindi ancor vivo. Cfr. La settimana religiosa, Genova, I(1871), n. 35, p. 298. 232 V. VITALE, Informazioni di polizia..., Op. cit., p. 451. Cfr. pure in AF la lettera del Frassinetti, già sacerdote, al Tagliafico per avvertirlo di non far cantare una canzoncina in onore di san Giovanni Battista contenente una grossa eresia. Non saprei dire se fosse lo stesso pre‟ Tagliafico che nel 1797 compose versi da cantarsi sull‟aria di Allons enfants de la patrie in onore dei “cittadini” estinti nella rivoluzione ligure: Ombre oneste e care / Dei cittadini estinti... Cfr.: La settimana religiosa, XXII(1892), Genova, p. 363. 128 A Giuseppe Mazzini, il vicino di casa, di mezz‟anno piú giovane del nostro Giuseppe, mancò una tale vaccinazione. Non l‟umile padre Angelico, frate costretto a vivere nel mondo, i sacerdoti dei suoi primi ricordi, ma un parroco – s‟è visto – che, perché suddito del Grande Imperatore Napoleone, si sentiva per conseguenza in dovere, come francese, di professare la dottrina della Chiesa Gallicana fino a non tollerare neppure per un momento che un solo sacerdote di dottrina contraria alle proposizioni della Chiesa gallicana sedesse ne confessarii della chiesa a lui affidata. Di tale fede il parroco. Per educatori il Mazzini ebbe severi ed ardenti giansenisti, scelti tra quei santi dottori tanto apprezzati da una madre tutt‟orecchi agli insegnamenti di un Eustachio Degola, prete giansenista, gran nemico della corte di Roma233. Ne completava l‟educazione la biblioteca paterna piena di scritti di Voltaire e Rousseau, i briseurs d‟idoles, e di vecchi giornali dell‟epoca rivoluzionaria e napoleonica. La sorella Antonietta attribuiva proprio a quelle letture giovanili la perversione religiosa del fratello234. Vuol dire tanto avere avuto o non avere avuto nella fanciullezza santi genitori ed essersi incontrati con un padre Angelico invece che con un Giacomo De Gregori, un Degola o l‟abate Luca Agostino De Scalzi. Non siamo in grado di dire quando Giuseppe Frassinetti abbia ricevuto la prima comunione. Che vi si accostasse con grande devozione lo passiamo arguire, fra l‟altro, dalla cura amorosa con cui conservò per tutta la vita una coroncina che gli fu data in regalo. Conservò pure un‟immaginetta avuta in dono dal padre nella sua primissima infanzia e a noi giunta. Vi è rappresentata una fanciulla in ginocchio, circondata da croci, racchiusa in un ovale cui fanno da cornice due rami di spine, con sotto la scritta su due righe: Vous n‟avez pas encore résisté / jusqu‟à répandre votre sang 235. Nel retro, sotto una preghiera, anch‟essa in francese, con le righe disposte in forma di ovale, il Frassinetti, già parroco di Santa Sabina, scrisse: Dono primo del mio Padre – Giuseppe Frassinetti Priore. Fu conservata con tanta tenerezza perché ricordo del padre, certo, ma anche per quel che rappresentava e quel che vi si leggeva. Chissà quante volte ne ripeté la preghiera scritta nel retro. Si direbbe che in essa abbia trovato la prima 233 Cfr. E. GUGLIELMINO, Genova dal 1814 al 1849, Genova 1940, p. 20, n. 3. 234 G. OLMI, Autobiografia, Genova, 1907, p. 73s. 235 Non avete ancora resistito fino a spargere il vostro sangue. Parole prese dalla Lettera agli Eb 12,4. 129 ispirazione di vedere in Gesú Cristo la sua regola di vita. Merita, quindi, d‟essere riportata tradotta: In mezzo agli strumenti del vostro supplizio, degnatevi, mio Dio, di gettare su di me uno sguardo di misericordia. Tra le prove d‟una vita travagliata, innalzerò ogni giorno a voi il mio cuore. Vegliate su di me dall‟alto del cielo, allontanate da me il nemico della mia salvezza… Divino Gesú, prostrato innanzi alla vostra Croce adorabile, io benedirò colui che mi ha riscattato a prezzo del suo sangue prezioso… O mio Salvatore, che siete stato crocifisso per me, io voglio sempre riporre la mia felicità e la mia gloria nell‟imitarvi e rassomigliarvi236. C‟è il condensato della sua spiritualità come l‟espose gli ultimi anni della sua vita nel Religioso al secolo, avvalorandola, come era uso fare, con l‟autorità d‟un santo, nel caso, di san Giovanni della Croce: La via piú spedita per giungere a conseguire le disposizioni interne [di distaccare il cuore da ogni bene del mondo per metterlo in Dio] ci viene tracciata da san Giovanni della Croce nella Salita al Carmelo (Lib. I, cap. 5), dove dice “che quell‟anima la quale altro non pretenderà se non osservare perfettamente la legge di Dio e portar bene la croce, sarà vera arca che conterrà in sé la vera manna, cioè Dio”. Il che vuol dire che quell‟anima arriverà alla perfetta unione con Dio, cioè alla perfetta santità. Or quivi è chiaro che il Santo vorrebbe per tal modo escluso dal cuore dell‟uomo qualunque appetito e desiderio, eccettuato quello di osservare con tutta esattezza e puntualità la legge di Dio, nella quale s‟intende compresa la legge di S. Chiesa, che ci comanda per divina autorità, e quello di portare con piena uniformità ai divini voleri la croce propria, cioè le tribolazioni e le angustie della vita237. Vous n‟avez pas encore résisté / jusqu‟à répandre votre sang, dovette essere il suo ritornello quotidiano quando le mani piagate di geloni gli impedivano di scrivere e quando ostilità e prevenzioni da parte di chi avrebbe dovuto sostenerlo gli rendevano l‟aria di Genova irrespirabile. Al vescovo di Albenga che lo invitava a passare nella sua diocesi offrendogli la piú bella parrocchia, rispondeva: 236 AF. I puntini sono nell‟originale. 237 G. FRASSINETTI, Il religioso al secolo, Genova 1864, pp. 12s. 130 Non crederei bene di lasciare la mia Parrocchia e altre opere che ho alle mani per sottrarmi a quella specie di persecuzione che non sono solo io a soffrire. Tuttavia, se questa specie di persecuzione si facesse tale da impedirmi veramente di fare quel poco di bene che posso, io ringrazio la Divina Provvidenza che abbia ispirato a V. S. Illma e Revma quei sensi cosí benevoli a mio riguardo, e in tal caso non farebbe bisogno di tanto quanto sarebbe la parrocchia di Oneglia, per me basterebbe molto meno238. Non aveva ancora resistito fino al sangue, poteva ancora durare, e durò il resto della vita. Della cresima invece conosciamo il giorno ed il vescovo che glie la conferí. Non fu il cardinal Spina che, pur conservando la diocesi fino alla rinuncia fatta nel settembre del 1819, dal dicembre del 1815, salvo uno sporadico ritorno, non era piú in sede239. Gli fu conferita nella chiesa delle Vigne il 9 aprile 1817 da monsignor Domenico Gentile, già vescovo di Savona dal 1776 al 1804, che trascorreva a Genova gli anni della sua vecchiaia240. Frate Angelico di Giuseppino era contento. Non era come altri suoi alunni senza nessuna voglia di studiare. “Pippo” era di quelli che s‟additano ad esempio e lasciano nel maestro un ricordo che non si cancella. Un giovanetto appassionato dello studio, tutto casa e chiesa, e passeggiate fuori porta le domeniche e i dí di festa insieme ai genitori, i fratellini e la sorellina. Una riservatezza tutta genovese. Rare le eccezioni che lo spinsero a mescolarsi con la folla e con essa tripudiare, come quando, ritiratisi i francesi, parvero tornati i vecchi tempi. Indimenticabili soprattutto quei 46 238 AF, Manoscritti, vol. 9. 239 Nel settembre del 1816 fu nominato legato pontificio di Forlí. Ebbe altri incarichi nella diplomazia, tra i quali quello di rappresentare papa Pio VII ai congressi di Lubiana nel 1821 e di Verona nel 1822, congressi di cui si parla in tutte le storie del nostro Risorgimento. Morí a Roma nel 1828. 240 Nel rapporto di polizia al governo sardo mons. Gentile è posto tra i “Soggetti per le gran Croci” che si sarebbero dovute conferire per cattivarsi la simpatia dei genovesi divenuti sudditi del monarca piemontese: “Per maggior influenza sul Clero, e per giustizia è egualmente necessario, che sia accordata la Croce dei SS. Maurizio e Lazzaro al Vescovo Domenico Gentile (in età d‟anni 82, mesi 4) in compenso della perduta abbazia di S. Stefano di Romagnano”. V. VITALE, Op. cit., p 434. Morí di circa novant‟anni il 27 marzo 1822, cfr. La settimana religiosa (XXVII), Genova 1897, p. 412. 131 giorni, dal 3 aprile al 18 maggio 1815, in cui Pio VII, avendo abbandonato Roma per sottrarsi al Murat, aveva cercato rifugio in Genova. Furono giorni di festa e di trionfi. Tra quella folla plaudente per le strade e nelle chiese non mancò il nostro Frassinetti241, tenendo forse per mano Francesco e Paola, i piú grandicelli, ché neppure loro avranno voluto restare in casa. Questa l‟adolescenza del nostro Servo di Dio. Un peccato metterlo in bottega, deve aver ripetuto chissà quante volte a mo‟ di ritornello il padre Angelico. La sua inclinazione allo studio per farsi sacerdote era evidente e andava quindi assecondata. Ormai gli aveva insegnato quanto sapeva. Per la “rettorica”, la filosofia e la teologia occorreva il seminario. L‟Olivari242 ed il Capurro243 anticipano di due anni la scelta del seminario facendoglielo frequentare fin dal corso di umanità, qualcosa come il nostro vecchio ginnasio superiore, ma ad entrambi è sfuggito ciò che il Frassinetti, parlando del seminario genovese, attesta di se stesso: “Io non posso parlare dei secoli trascorsi; ma posso parlare dall‟anno 1820 [= anno scolastico 1819-1820], nel quale sono andato nelle scuole del Seminario per studiarvi Rettorica”244. Resta quindi accertato che non frequentò le scuole del seminario prima di tale data, non siamo però in grado di dire con chi abbia svolto privatamente il corso di grammatica prima e seconda, detti pure grammatichetta e grammatica, oltre tutto aggiunti ai corsi del seminario solo nel 1818, troppo 241 G. FRASSINETTI, OEI, vol. I, Istruzioni catechistiche, Roma 1906, p. 219. 242 C. OLIVARI, Vita del Servo di Dio Sac. Giuseppe Frassinetti, Roma 1928: “Per l‟umanità minore e per la rettorica frequentò come alunno esterno le scuole del Seminario”, p. 20. Affermazione smentita dallo stesso Frassinetti. 243 G. CAPURRO Alcune memorie intorno alla Vita del Servo di Dio Priore di S. Sabina Giuseppe Frassinetti, manoscritto conservato nell‟AF: “Quando andasse alle scuole del Seminario non si sa di preciso. In esse studiò umanità minore sotto Paolo Rebuffo” (foglio V). Il nome del Rebuffo deve averlo desunto dall‟insegnante dell‟epoca, essendo il Rebuffo titolare di quella cattedra dall‟anno scolastico 1818-1819, lo stesso anno in cui il Frassinetti avrebbe frequentato il secondo corso di umanità. No, cominciò a frequentare la scuola del seminario dal corso biennale di “Rettorica” tenuto dal Gianelli, 1819-1821 244 G. FRASSINETTI, Sulla deficienza..., 2a ed. postuma con note dell‟Autore, Oneglia 1870, nota b) pp. 35. 132 tardi quindi perché il Frassinetti ne avesse potuto beneficiare, e con chi svolto i corsi di umanità minore e maggiore prima di accedere alla scuola di “Rettorica”. Tutto con padre Angelico? Passò da altri? Tenne il Rebuffo anche scuola privata di umanità ed ebbe tra gli alunni il Frassinetti? Non se ne ha memoria ed il silenzio del Fassiolo mi fa pensare che il padre Angelico, l‟unico ricordato da lui e da altri, l‟abbia accompagnato dall‟abc fino all‟ammissione alla scuola di retorica. Non erano pochi i sacerdoti che in quei tempi assolvevano quest‟incarico nelle case dei benestanti o ricevevano alunni nella propria. Le difficoltà avanzate dal padre del Frassinetti per poterlo mandare in seminario dovettero essere rimaste negli orecchi del ragazzo e da vecchio le fa sue nella lettera sopra citata a don Americo Guerra: Non si creda poi che, facilitando l‟entrata nei Seminari, portandone la pensione a somma assai modica, si possa esigere con buoni risultati che i giovani aspiranti al sacerdozio tutti vi si raccolgono. Certi poveri padri di famiglia in città, e altri in villa, non possono assolutamente pagare neanche la pensione assai modica; né possono sobbarcarsi alla spesa notevole degli abiti che si richiedono per l‟uniforme d‟estate e d‟inverno, che devono portare, altro in casa e altro fuori di casa, i seminaristi. È da osservare che debbono essere provvisti anche di altri abiti per le vacanze autunnali, quando ritornano alle loro famiglie. Questo è un fatto, che molti padri di famiglia dicono di non poter mantenere in Seminario i loro figliuoli, neanche colla pensione ribassata245. 245 Ivi. La pensione annua in seminario, compresa la scuola, ma non le altre spese, era di £. 500. Una cifra enorme per un operaio o un contadino con poca terra o su terra altrui. Per la famiglia Frassinetti, quattro figli in seminario, la pensione sarebbe salita a £.2.000! Chi riusciva ad avere una borsa di studio se la vedeva ridotta a metà, come fu per il Gianelli: £. 250 il padre e £. 250 il cardinal Spina, ma il padre, per far fronte ad una tale spesa, dovette vendere delle proprietà. Per l‟impossibilità di pagare una tale pensione Salvatore Magnasco, il futuro arcivescovo di Genova, avrebbe dovuto smettere gli studi se a suo favore non fosse intervenuto il Gianelli con una lettera all‟arcivescovo Lambruschini, allora nunzio a Parigi: “Non posso credere che mentre tanti bambocci, e tanti assai dubbiosi (per non dire mal disposti) e fino degli estranei, si godono i benefizi del Seminario, questo Diacono di cosí grandi speranze, debba essere abbandonato alla sua sventura. Io non potrei sopportarlo che con immenso dolore: e ne sia prova la disposizione in cui sono di concorrere io stesso di proprio, per quanto le angustie dei miei piú stretti congiunti il sopporteranno...”. A. GIANELLI, Lettere, Op. cit., vol. I, p. 5. Lo stipendio annuo del professor Gianelli era di £. 300! 133 Non solo, ma in seminario non sempre un fanciullo trovava una pietà piú calda di quella respirata a casa sua: È pure da osservare che i Seminari dove si prendono i giovanetti con pensione molto modica – continua nella stessa lettera –, sono tosto pieni di alunni di ogni vocazione, anche secolaresca. I genitori, anche se mediocremente agiati, amano spendere sempre meno. Vedendo che la pensione ecclesiastica è assai minore di quella di tutti i collegi secolari, preferiscono di mandarli in Seminario, qualunque sia la vocazione dei loro figliuoli246. Una soluzione c‟era: mandarlo in seminario come esterno, solo per la scuola. Richiedeva sacrificio, ma non era una spesa proibitiva. E fu la scelta migliore anche per un altro motivo che il padre Angelico si sarà tenuto per sé, benché di pubblica ragione, e che il giovanetto non avrebbe tardato a conoscere dal racconto scandalizzato dei seminaristi interni di buono spirito. Gli alunni esterni – è il caso del Frassinetti – dovevano pagare solo il “Minervale” per la scuola consistente in 20 lire genovesi portate poi a 25 (rispettivamente franchi 16 e 20), sempre annui. Perché ci si faccia un‟idea della enormità della spesa, riporto gli stipendi annui del 1811-1812 dal “Registro Amministrativo” del Seminario di Genova: Medico Maglio per suo onorario £. 50, Chirugo £. 55, Maestro di canto £. 100, Portinaio £. 96, Cuoco £. 144 – il nonno del Frassinetti, anch‟egli cuoco, con una cifra piú o meno identica, dovette camparci una numerosa famiglia! –. Sottocuoco £. 96. La stessa cifra ai camerieri. All‟Uomo grosso £. 36! Ai professori, s‟è visto, £. 300. Su 55 seminaristi 41 pagavano la pensione piena, compresi due fratelli; due seminaristi £. 450; uno £. 300; otto la metà; uno £. 200; uno £. 125 ed uno £. 50. Perciò i beneficati erano veramente pochi. Devo le cifre alla raccolta di documenti per la Causa di Canonizzazione di Antonio Gianelli. ACGSG, Notizie storiche raccolte negli archivi..., primo periodo, pp. 75-77. Per i complessi creati dall‟uniforme nell‟animo degli adolescenti si confronti il romanzo di G. RUFFINI, Lorenzo Benoni: “Infilai i pantaloni nuovi di panno azzurro e la giacca della stessa stoffa coi bottoni d‟oro e la scritta “Collegio Reale”, misi il berretto con la visiera... e seguii col cuore gonfio mio padre”. Il Collegio Reale, tenuto dai somaschi, se lo potevano permettere solo i ricchi. Eppure, benché ricchi, all‟uscire di collegio l‟avvocato Bernardo Ruffini non se la sentí di fare al figlio un abito borghese: “Mio padre si rabbuiò... gli articoli di vestiario erano eccessivamente cari, e due abiti erano di troppo. A che mi servivano due vestiti che l‟anno prossimo mi sarebbero stati corti? Un abito nero per la festa, quando era bel tempo, bastava largamente. Quanto ai giorni feriali, andava a meraviglia l‟uniforme del collegio opportunamente modificata. La mia mortificazione fu enorme”. Cito dalla versione italiana di B. MAFFI, B.U.R., Milano 1952, p. 19.101. 246 G. FRASSINETTI, Sulla deficienza..., 2a ed. postuma, p. 35. 134 In quegli anni di sconquasso il seminario genovese aveva un internato in piena decadenza. Ad essere interno c‟era piú da perdere che da guadagnare. Il seminario sarà riportato su, e a grande splendore, da un compagno di studi del nostro Giuseppe, il canonico Giovan Battista Cattaneo. Nella lettera su citata il Frassinetti scrive: Nella nostra diocesi, da due secoli che conta il nostro Seminario fino ad alcuni anni sono, non si erano giammai costretti i chierici ad entrarvi, lasciati tutti liberi a frequentarne le scuole convivendo con i propri parenti o in qualche famiglia in pensione. Io non posso parlare dei secoli trascorsi; ma posso parlare dall‟anno 1820, nel quale sono andato nelle scuole del Seminario per studiarvi Rettorica, fino al 1854, epoca del cangiamento 247; e non temo asserire che in questi trentaquattro anni, come riuscivano buoni preti certi alunni del Seminario, riuscivano buoni preti tanti altri che soltanto ne frequentavano le scuole; anzi non temo asserire, parlo ai viventi, ai contemporanei i quali potrebbero dare una smentita, che la gran parte dei piú cospicui del clero, non fu dei convittori del Seminario. Il che prova che Dio aiuta i giovani di buona volontà, affinché, non potendo aver luogo in Seminario, riescono buoni ecclesiastici, anche fuori di esso 248. Oltre le difficoltà economiche e la poca buona fama goduta dall‟internato del seminario, a determinare la scelta ci dovette essere anche un‟altra ragione che si può arguire dalle date: il giovane Frassinetti si iscrisse a “Rettorica”, qualcosa come il nostro liceo classico, nell‟autunno del 1819. All‟inizio dell‟anno gli era morta la mamma. Lui, il primo, quattordici anni, sei Raffaellino, il padre in bottega, la zia corri di qua e corri di là, la nonna settantenne – morrà il 30 maggio del 1820 –, se fosse entrato convittore in seminario chi avrebbe dato un sguardo ai tre fratelli minori ed alla sorellina di dieci anni? Una scelta dettata dalle contingenze, ma che era nei disegni di Dio sul giovinetto: educarlo al servizio pastorale offrendogli come tirocinio l‟educazione dei fratelli e della sorella. Non solo, ma quel suo primo 247 Si noti la data in cui fu tolta la possibilità d‟essere seminarista esterno: 1854, ossia l‟anno dopo la presa di possesso della diocesi da parte dell‟arcivescovo Charvaz, cosí poco addentro alle cose di Genova. Una critica implicita da parte del Servo di Dio che vi vedeva precluso il sacerdozio ai poveri? Si confronti pure P. TACCHINI, Sopra i documenti inseriti nella “Notizia biografica volgarizzata di mons. Andrea Charvaz” – Nuove osservazioni al can. Enrico Jorioz, Genova 1872, pp. 53-61, in cui si difende l‟antica usanza. Il Frassinetti cercò di porvi rimedio dando inizio all‟Opera dei Figli di S. Maria Immacolata. 248 G. FRASSINETTI, Sulla deficienza..., 2a ed. Postuma, pp. 34s. 135 maestro, un sacerdote che viveva frate nel secolo perché impedito di vivere frate in convento. La vita che egli stesso ed i suoi vissero in quella sua famiglia-convento, e che gli rivelò con il fatto che i consigli evangelici si possono vivere anche nel mondo, e persino in forma piú piena. Se ne ricorderà da parroco quando si incontrerà con giovani e ragazze che avrebbero abbracciato con gioia la vita religiosa se non ne fossero stati impediti chi da una ragione chi da un‟altra. Se per entrare in convento erano mille le difficoltà, non ne esistevano per vivere da religioso al secolo o da monaca in casa249. CAPITOLO IX EDUCANDO I FRATELLI EDUCAVA SE STESSO Nelle famiglie numerose al primo figlio si dava di piú ed il meglio col patto tacito che poi aiutasse il padre a tirare su i piú piccoli. La prima cosa che in tali famiglie si apprendeva era che nessuno ha da vivere per sé, perché ci sono anche gli altri, cominciando dal vestitino nuovo fatto al primo da conservare nuovo fino a quando non gli sarebbe piú andato, dovendolo passare ancora nuovo al secondo e questi al terzo, finché non arrivava all‟ultimo rivoltato dalla madre, logoro sí, ma arricchito di calore. Cosí i libri. Se ne ha conferma nei ricordi delle suore Dorotee della prima 249 Sono i titoli di due suoi libretti. 136 generazione, che narravano alle nuove arrivate le confidenze avute dalla Fondatrice: I quaderni vecchi, che dai fratelli venivano scartati, erano gli esemplari su cui ella si modellava per addestrarsi a formar lettere... e a comporre in maniera da lasciarsi addietro molte altre che hanno fatto studi regolari250. Il piú ed il meglio era andato a Giuseppe, primogenito, perché facesse da moltiplicatore. Si trovò cosí ad essere studente e, ad un tempo, guida dei fratelli minori nei loro studi, ché anch‟essi volevano diventare sacerdoti come lui. Nelle famiglie numerose l‟ascendente e l‟autorità del primo fratello è enorme. Credete ad uno che è nato undicesimo a chiudere la serie. Si vede in lui un quasi padre, e tale lui si sente. Aggiungasi che Giuseppe era la persona istruita di casa, ascoltato e tenuto in considerazione anche dal padre. Aveva, inoltre, qualcosa che vale piú dell‟istruzione: la santità. Questa soprattutto suscitava l‟ammirazione e l‟emulazione dei fratelli. Quattro fratelli ed una sola sorella. Tra il primo e l‟ultimo poco piú di otto anni di differenza. Paola in mezzo, piú giovane di Giuseppe e Francesco, piú anziana di Giovanni e Raffaellino. Con due fratellini piú piccoli di lei non le occorrono bambole per immaginarsi mamma, e non solo per gioco, specie quando, a suoi nove anni, la mamma se n‟era volata in cielo. Di mandarla a scuola neppure a parlarne. Del resto, all‟epoca la scuola per le fanciulle, ben distinta da quella per i maschietti, consisteva per lo piú nell‟apprendimento del catechismo, lavori di ricamo, cucito e quant‟altro occorreva per condurre bene la famiglia una volta andate a marito. A leggere si insegnava a chi proprio lo richiedeva, e non si andava oltre il manuale di pietà e le storie dei santi. Lo scrivere era un lusso di pochissime251. 250 E. VASSALLO, Memorie intorno..., Op. cit., p. 11. 251 Ci dà un‟idea di cosa si insegnava alle fanciulle l‟Avvertimento preliminare della Relazione degli Esercizi che si praticano in Viterbo nelle Scuole destinate per istruire le Fanciulle nella Dottrina Cristiana..., Roma 1718. Alle “Maestre Pie” della Venerini, che da Viterbo s‟erano largamente diffuse a Roma e in tante altre parti d‟Italia, veniva ricordato che erano state accolte nell‟Istituto “non solo per comunicare alle fanciulle... la necessaria notizia de divini Misteri, ma anco per istruire le medesime ne‟ lavori manuali, cioè di far calzette, cuscire (sic), merletti a piombino e simili... Che se alcuna delle Fanciulle di stato civile bramasse d‟imparare a scrivere a buon fine, per esempio, di Monacarsi, o simile, non si proibisce, in maniera però, che non risulti di disturbo alle altre; onde quella tale, preso l‟esemplare, si pone in camera a parte separata dalla Scuola, per farlo”. Lo scrivere, nelle 137 All‟epoca non c‟erano moduli da riempire, non code da fare negli uffici, né da scrivere al figlio soldato o a parenti lontani, sconosciute come erano emigrazione e coscrizione obbligatoria, eccettuata la parentesi napoleonica. Per la gente imbarcata non esisteva servizio postale. Si aspettava il ritorno o qualche notizia da chi lo avesse incontrato lungo la rotta. L‟educazione era ordinata alla vita che ai loro tempi le aspettava. Non per questo erano ignoranti come si potrebbe credere. Ciò che non apprendevano con gli occhi, l‟apprendevano con gli orecchi, ascoltando. Paola a casa è tutt‟orecchi ai discorsi dei quattro fratelli che studiano, e ciascuno ci tiene a far vedere quanto è bravo. Sui loro libri, e con un po‟ d‟aiuto or di questo ed or di quello, impara a leggere e a scrivere e, soprattutto, non perde una parola delle loro dispute d‟alta teologia. Le stesse suore, depositarie delle rievocazioni dell‟infanzia della santa fanciulla, continuano a raccontarci: Ma se la nostra Fondatrice non ricevette veruna cultura letteraria, ebbe però agio d‟acquistare molte utili cognizioni ascoltando nel suo modesto silenzio le conversazioni che avevano luogo ogni giorno a tavola tra il padre e i fratelli, specialmente il maggiore [Giuseppe], il quale tutto immerso nei suoi studi prediletti che dovevano farne un santo e dotto sacerdote, portava quasi sempre il discorso sopra argomenti sacri di dommatica, di morale e simili. “Io – raccontava la stessa Madre nostra – mi trovavo, sola donna, in mezzo a cinque uomini, nei discorsi dei quali non mi era facile entrare: me ne stavo adunque zitta ed ascoltavo con piacere ciò che dicevano, particolarmente mio padre e il fratello maggiore; ed è cosí che ho imparato tante cose che non avrei mai potuto sapere”252. Fratello maggiore e maestro con tanto di abilitazione ad insegnare conferitagli dal suo Gianelli. Il professor Gianelli o, come allora si diceva, il “Lettore di Rettorica Pre‟ Antonio Gianelli”, usava dettare ai suoi alunni quindicenni un Ristretto di Precetti Rettorici. Piú che regole per ben comporre le diremmo un vero trattato di metodologia, arricchito di consigli scuole delle fanciulle, era una materia speciale scelta da poche e di cui non si vedeva a che servisse se non si mirava a diventare suora, o simile! Anche Paola imparò a scrivere su degli esemplari, quelli di Giuseppe e forse di Francesco, ché gli altri due erano piú piccoli di lei. 252 E. VASSALLO, Memorie intorno..., Op. cit., p. 11. Se ne ha una conferma in una lettera del fratello Raffaele: “Non fu mai mandata a scuola, né a maestra; il padre e qualche poco i fratelli le insegnarono a leggere e a scrivere. “ ACGSD, Roma. 138 di come formarsi una buona cultura a cui attingere per il ministero della parola e, divenuti che fossero sacerdoti, di come porgerla ai fedeli. Un giorno il nostro professorino non poté non aguzzare l‟orecchio nel sentirsi dettare: Mi lusingo di non andar ingannato [affermando] che l‟insegnare è un mezzo de‟ piú acconci a perfezionarci in qualunque arte o mestiere. Non potendo insegnare bene agli altri quello che ignoriamo noi stessi, o che bene non intendiamo, troppo è manifesta la necessità d‟impararlo. Facciamo allora tutti gli sforzi per rendercene padroni assoluti; sgombriamo infiniti pregiudizi e riscontriamo ben mille cose nella natura, che non troviamo nei libri. Non posso tacervi che, delle cose onde io vi vado istruendo, la piú gran parte la devo a voi. E ciò sia detto non perché tutti abbiate a fare il maestro, né perché [senza] tale esercizio non possiate perfezionarvi, ma perché volontieri sappiate accoglierlo se ve l‟offre la sorte... Non è sempre necessaria una cattedra: co‟ parenti, cogli amici e co‟ poveri potete avere ben mille occasioni di esercitarvi non meno con vostro che con loro vantaggio253. A Giuseppe la sorte, meglio dire la Provvidenza, nella sorella e nei fratelli aveva offerto la scolaresca per potervisi esercitare con suo e loro vantaggio. Che Paola fosse la sola donna in una casa di cinque uomini è vero e non è vero. Morta la madre, ancora per un anno e mezzo visse con loro nonna Angela, la madre del padre, e, fino al 15 aprile 1826, quando Paola aveva ormai compiuto diciassette anni, la zia Anna. Dal 1812 ebbero sempre una persona di servizio, prima Geronima Costaguta, poi Teresa Malatesta e poi, dal 1827, Tomasina Malatesta che vi rimase anche quando Paola lasciò la casa paterna per andare a stare con il fratello Giuseppe parroco a Quinto, di dove, nel febbraio del 1835, scrivendo al fratello Giovanni, prossimo a ricevere diaconato e presbiterato, lo pregava di salutarle Tomasina, raccomandandosi alle sue preghiere e assicurandola delle proprie254. Persona di famiglia, piú che donna di servizio. È credibile invece che fosse la sola delle donne di casa che si interessasse ai discorsi dei cinque uomini. Per le altre quei discorsi erano discorsi d‟uomini istruiti, privi d‟interesse per una donna. L‟esempio del Signore che 253 A. GIANELLI, Ristretto dei Precetti Rettorici, p. 53. Manoscr. conservato in ACGSG. 254 P. FRASSINETTI, Lettere, Roma 1985, p. 1. 139 aveva fatto discepole di alta teologia la Samaritana e Maria di Betania 255 non era certo tra i piú additati all‟imitazione nelle prediche domenicali di quei tempi. Anzi, pur ignorando l‟esistenza della Mishnah, dei Talmud e quant‟altro avevano insegnato i famosi rabbi d‟Israele negli antichi tempi, la pensavano piú o meno allo stesso modo di Rabbi Eliezer: “Tutta la saggezza della donna è nel fuso”, la risposta data ad una donna che gli parve darsi aria di saputa chiedendogli perché tutti quei che nel deserto avevano commesso lo stesso peccato adorando il vitello d‟oro, non erano tutti morti alla stessa maniera256. Che Paola a tavola stesse zitta e tutt‟orecchi ad ascoltare i cinque uomini è ancora credibile, ma che, tornato il padre al negozio, un padre a cui, già fondatrice, scrivendogli da Roma continuava a rivolgersi con il “Lei”257, non ponesse mille domande al fratello, ne dubito. All‟occorrenza non le mancavano le rispostine con un tantinello di impertinenza, e, anziana, le rievocava compiaciuta alle sue suore: Si levava di buon mattino per recarsi alla chiesa vicina e quivi ascoltare la santa Messa – all‟epoca la prima messa si celebrava per lo piú alle sei – e cibarsi con gran fervore del pane eucaristico... Chiestole un giorno dal fratello maggiore [Giuseppe] per qual motivo si alzasse ella cosí di buon‟ora, non sembrando a lui necessaria tanta sollecitudine, si ebbe in graziosa risposta: “E non rammenti tu come solamente quelli che prevenivano il levar del sole raccoglievano la manna?”258. Paola vuole sapere, sapere e capire, capire chiaro. Che faticaccia per Giuseppe far capire le parole difficili dei suoi testi latini e le non meno difficili dell‟italiano tutto leccato che s‟usava a scuola come voleva lo stile dell‟epoca. Ripetere a scuola quello che andava studiando non gli costava gran che: la lingua con cui gli insegnavano era quella con cui riesponeva le cose apprese. Un linguaggio tecnico, da iniziati, di preferenza latino. Linguaggio di cui quella sorellina di purissima lingua genovese, sestiere Portoria, non comprendeva una parola. Certo, non era pane per denti di donne, e la zia e la nonna avranno anche mugugnato non poche volte che se ne stesse lí tutta incantata invece che aiutarle a sfaccendare. Anche gli apostoli si meravigliarono di Gesú che parlava di cose altissime con una 255 Gv 4,5-29; Lc 10,38-42. 256 Talmud Babilonese, 66b. 257 P. FRASSINETTI, Lettere, p. 2. 258 E. VASSALLO, Memorie intorno..., p. 11. 140 donna, la Samaritana, e pure Marta mugugnò forte contro quella sua sorella Maria che, invece d‟aiutarla, se ne stava beatamente seduta ai piedi del Signore259. Ma quella bimba aveva tanta fame delle cose di Dio! Ed ecco il fratello, cosí legato a lei, impegnarsi a tradurre il suo latino in un italiano latinoso a lei del pari incomprensibile, ed infine in un italiano da sembrare quasi genovese, e non soltanto per la cadenza della voce. Un vocabolario ridotto alle parole d‟uso comune. Elementare. Nessun barocchismo. Via tutti i per se, i per accidens e i secundum quid. Paola non comprende ancora, e lui a limare e limare finché il concetto non si fosse fatto chiaro e persuasivo, senza nulla perdere della ricchezza di contenuto del testo latino. Non ne ha consapevolezza, ma Paola e gli altri fratelli lo costringono a rendere chiaro a se stesso quello che va studiando e a riesprimerlo con il tono con cui si conversa con la propria gente delle cose del giorno. Un italiano che alla gente del suo tempo pareva un po‟ sciatto, persino al suo vecchio professore di lettere, ormai vescovo a Bobbio, scrivendogli il 10 febbraio 1845, gli raccomandava: “Vi pregherei ad aver pazienza nello scriverla la storia ecclesiastica onde limarla un poco piú”260. Ed in una lettera del 26 febbraio 1843 al canonico Giovan Battista Cattaneo, rettore del seminario di Genova, come fosse ancora in cattedra e loro nei banchi il giorno della correzione dei temi, il Gianelli mette a raffronto lo stile semplice del Frassinetti, a suo dire addirittura alquanto trasandato, con quello tutto leccato del Barabino: Sono rimasto contentissimo [delle bozze del Seminarista diretto], edificantissimo, sebbene da principio un poco scandalizzato di trovare in Barabino261 uno studio tanto leccato. E per dir vero io anche adesso lo amerei un poco piú facile e piano, onde i Seminaristi tutti, anche i piú piccoli, anche i piú grossolani (e sapete che non sono mai pochi) potessero gustarlo e, soprattutto, intenderlo bene. Io, a cagion d‟esempio, non ne ho un paio capaci di gustarne la bellezza dello stile e la metà, scommetterei, non lo intendono per metà e non lo leggono. Per questa ragione non ne prenderò molte copie; ma scrivetemene per una cinquantina onde concorrere alla 259 Gv 4,27; Lc 10,42. 260 A. GIANELLI, Lettere, vol. 5, Roma 1978, p. 7, n. 1035. Gli originali citati in questo capitolo si custodiscono nell‟AF. 261 Uno dei “Ragazzi del Gianelli” con il quale ci incontreremo parlando della Beato Leonardo, o “Circolo Frassinetti” che dir si voglia. 141 stampa. Ben immagino che il Barabino ha mirato ad allettarli pur con lo stile; ma stimo che qui l‟abbia sbagliata perché, ripeto, i piú pei quali è scritto, non che gustarlo, né anche l‟intenderanno. Per quelli che sono in grado di gustarlo è una gioia, è una manna, è cosa carissima e preziosa... Mi compiaccio che avremo in Barabino uno scrittore di cose purgatissime; ma bisogna fargli trattare argomenti che le vogliano, come sarebbe stato questo, se non avesse da servire per tabani la piú parte... voi che comandate direi faceste in modo che Barabino si tenesse piú alla semplicità e candidezza del Frassinetti se mai imprendesse a scrivere cose divote, e il Frassinetti ritoccasse e ripurgasse un po‟ meglio le sue; oppure (e sarà la piú sicura) che Barabino rivada ritoccandole. E fateglielo fare assolutamente se [il 262 Frassinetti] si accinge a pubblicare la storia ecclesiastica . Cattaneo, Barabino e Frassinetti erano stati suoi alunni. Ad un secolo e mezzo di distanza, mentre il Frassinetti si legge come avesse scritto ieri, quei che all‟epoca godevano fama di buona penna e forbita eloquenza si riescono a leggere solo se vi si è condannati per motivo di studio263. Il Frassinetti già da allora non studiava piú per sé, per il bel voto o la bella stima. Spesso le delusioni sono salutari. In quel primo anno di “Rettorica” il suo Gianelli gli aveva assicurato la corona per il bel 262 A. GIANELLI, Op. cit., vol. IV, pp. 23-24,26. La storia ecclesiastica a cui attendeva il Frassinetti, è a noi pervenuta e si conservata nell‟AF, Manoscritti, vol. 2, cm 21x31, pp. 739. Si tratta di un primo abbozzo, che non va oltre il quarto secolo, con appunti e studi preparatori su tutto il primo millennio. 263 Valga come esempio il primo periodo dell‟elogio funebre che gli tenne il canonico Filippo Poggi, suo compagno di studi ed oratore di buona fama, già professore d‟italiano e latino in seminario: “Se dopo la sentenza al peccatore Adamo intimata, inevitabil divenne la dura necessità del morire, cotalché né gagliardia di complessione, né splendore di natali, né copia di ricchezze, né eccellenza di ingegno, né vastità di sapere, né finalmente la stessa santità di costumi siano valevoli od a sospendere il decreto, o ad indugiarne l‟esecuzione; d‟onde vien mai, Ascoltatori prestantissimi, che nella morte di un uomo per virtú e dottrina ragguardevole, tanti gemiti ascoltinsi e tanti sospiri, e tante si levino al cielo affannose querele?”. Se continuassimo, avremmo una bella raccolta di perle: “Se piantando Giacobbe le sue verghette scorzate in parte e in parte verdi nell‟abbeveratoio dell‟armento, n‟ebbe i parti e vaiolati e molti...”. Passando poi a parlare dei suoi studi, ci fa incontrare col sofo di Konisberga, da noi conosciuto con l‟umile nome di Kant. Cfr. F. POGGI, Della vita e degli scritti di Giuseppe Frassinetti priore di Santa Sabina – Discorso nelle solenni rinnovate esequie il dí 14 febbraio 1868, Genova, 1868. Un argomento, lo stile, su cui torneremo piú avanti. 142 versificare latino. A quindici anni un‟alcaica! L‟ode latina gli fu pubblicata, ma la corona andò ad un altro. Non sempre nell‟aggiudicare i premi il consiglio dei professori guarda solo al merito, ed il Gianelli non poté insistere. Qualcosa di simile era accaduto, proprio in quegli anni, anche a Giovanni Ruffini, alunno del Collegio Reale tenuto dagli emiliani264. Giuseppe ha capito che le cose non vanno fatte per se stessi, fosse pure in vista di un semplice riconoscimento. Continuerà a studiare difficile per ridonare ad altri in forme facili quel che va man mano conoscendo di Dio. Solo se si hanno i concetti chiari, si può poi esporli con parole semplici e naturali. Ma quanto san Tommaso, quanto pensiero dei santi padri, quanta conoscenza dei grandi teologi e del magistero della Chiesa, a tacere della Scrittura, si intravede in quel suo dire piano e colloquiale da chi ha una qualche dimestichezza con quei testi! Se ne ha una riprova quando in una lettera al suo vescovo giustificò un suo scritto con larga citazione di fonti. C‟è gente che pare non avverta la presenza dell‟aria se non l‟investe il vento. Veicolo alla fede è la parola265, ma come si può percepire se essa suona incomprensibile all‟orecchio? Un suono che si perde nell‟aria. In Paolo apostolo si legge che se la tromba dà suono confuso, il soldato non sa come entrare in battaglia. Il Frassinetti, aiutando i fratelli, ha scoperto che agli altri non è sempre chiaro quello che a noi è chiarissimo266 Una volta parroco non presumerà che tutti gli uditori capiscano l‟italiano fiorito ed artificioso allora di moda sui pulpiti. Sa per esperienza che un buon numero di genovesi comprende bene solo il genovese, perciò la domenica pomeriggio farà i suoi catechismi al popolo in genovese267, nel genovese delle erbivendole, sceneggiandoli: lui il maestro, il fratello don Giovanni l‟ignorante. La natura burbera di questo fratello rendeva convincente la 264 G. RUFFINI, Lorenzo Benoni, cap. III. Torneremo su questo romanzo autobiografico per conoscere meglio l‟ambiente studentesco della Genova degli anni Venti del secolo scorso. 265 Rm 10,17. 266 1 Cor 14,8s. 267 “Al dopo pranzo spiegava il catechismo serbando l‟uso di Genova, facendo cioè il dialogo in dialetto... in modo fervoroso e pratico”, depose la teste Luigia Cosso, che da giovanetta era stata una sua penitente”, Process. Ian. super fama sanctitatis, f. 956. Cfr. pure G. FRASSINETTI, Manuale del parroco novello, Novara 1863: “Il parlare piú che è possibile in dialetto è cosa di molta utilità, perché le persone idiote l‟intendono assai meglio che la lingua colta cui non sono accostumate”, p. 96. 143 parte dello zoticone duro a capire268. Sparsa che se ne fu la voce, Santa Sabina rigurgitò di gente d‟ogni parrocchia, mai stanca d‟ascoltarlo. Si sarebbe fermata lí l‟intero pomeriggio a sentirlo, se il Priore non si fosse ostinato a non oltrepassare mai la mezz‟ora! A far propaganda di casa in casa a tali catechismi pensava un cappuccino frate cercatore, il “Padre Santo”, che lo ha preceduto sugli altari: “Avete un parroco a S. Sabina, che è la perla dei sacerdoti. Spiega il catechismo che è un amore. Lo farebbe capire anche agli scemi”269. Tra gli uditori anche un bimbo aristocratico accompagnato dalla nonna, Giovan Battista Lemoyne, il futuro biografo di Don Bosco, che ne serberà cara memoria fino alla sua tarda vecchiaia270. Questa dote di riuscire ad esprimere le verità piú alte in un linguaggio semplice e piano, comprensibile anche ai fanciulli ed agli ignoranti, anche agli scemi, proprio come desiderava il Gianelli, risale, ne sono piú che convinto, al tirocinio fatto in casa per comunicare ai fratelli ed alla sorella quello che andava scoprendo di Dio. In quegli anni fu a casa, piú che a scuola, che apprese a parlare e a scrivere con un linguaggio comprensibile persino ai tabani, agli idioti e agli scemi, già, perché anch‟essi sono chiamati alla salvezza. Abbiamo fermato l‟attenzione sulla sorellina avendone una testimonianza nei suoi ricordi. Ma come lei, e con lei, non saranno stati da meno i tre fratelli minori, ai quali, se non fece una scuola vera e propria come a lui il padre Angelico, anche se non si può escludere, fece certo da ripetitore. Questo lavoro con la sorella gli fa scoprire inoltre fin dalla prima giovinezza quanto vale una donna e cosa una donna è capace di fare, se si innamora di Dio. Cosí, mentre Don Bosco, tanto amico del Frassinetti, e forse anche mosso dal suo esempio, si accorse solo da anziano dell‟aiuto grande che potevano offrigli le donne nelle opere di ministero se avesse avuto cura di dirigerle nello spirito, il nostro Servo di Dio si trovò già pronto a tale apostolato fin dai primi anni del suo sacerdozio. Per Don Bosco 268 In realtà anche lui fece gemere la sua parte i torchi degli stampatori, come pure l‟altro fratello Raffaele. 269 TEODOSIO DA VOLTRI,, S. Francesco Maria da Camporosso cappuccino, Roma 1962, p. 185. 270 Cfr. le sue due lettere che si conservano nell‟AF e furono edite da M. FALASCA in “Risonanze” 3(1990), pp. 9-12. 144 seminarista, privo di sorelle, la donna, eccettuata la madre, era un pericolo per la vocazione; per il Frassinetti, seminarista esterno con una sorella ed una zia in casa, le donne si chiamavano anche Paola e zia Annetta. CAPITOLO X 145 COME A CASSICIACO UNA CASA CONVENTO Ma di che cosa disputavano quei “cinque uomini” seguiti con tanto interesse da una fanciulla? La mente vola a Cassiciaco. Sono bimbi che sembrano aver scoperto un gioco che potremmo chiamare: “A Cassiciaco”, senza che sapessero ancora nulla di Agostino e di quei che tanti secoli innanzi si erano ritirati con lui in una villa lungi dalla vita tumultuosa di Milano. Confessioni, De vita beata... nomi mai uditi. Giuseppe forse sí, ma non molto piú del nome. Eppure c‟è tanta rassomiglianza con il modo in cui si viveva a casa Frassinetti. Lo riscontreremo anche agli inizi dell‟Istituto di Santa Dorotea, fondato da Giuseppe e da Paola, nonché nella Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio. Ci aiuta a comprendere il serissimo passatempo di questi bimbi la rilettura di qualche passo delle Confessioni in cui Agostino, parlando al Signore, ci fa rivivere le giornate di Cassiciaco, e l‟aggiunta di un paio di pagine del De vita beata ivi composto in quell‟autunno inverno 386-387: Partii per la villa con tutti i miei. Che lavoro letterario vi svolgessi, ormai tutto dedito al tuo servizio, lo attestano i libri che composi disputando con quei che erano con me... Dove trovare il tempo per raccontare ad uno ad uno i benefici che in quei mesi ci elargisti, avendo da parlare di beni ancora piú grandi?271. Quelle “dispute”, stenografate a mano a mano che si tenevano, ci fotografano la vita di quella brigata di parenti ed amici che trascorreva il tempo in discussioni di filosofia ripensata alla luce di Cristo, a recitare salmi, a commentare Virgilio, a leggere il vangelo di Giovanni o le lettere di Paolo. Isaia no, anche se consigliato da sant‟Ambrogio. Non trascuravano di sorvegliare i lavori dei campi o di osservare i fenomeni della natura e discuterne. All‟aperto, s‟era bel tempo; dentro casa, se inclemente. Erano conversazioni aperte all‟intervento di tutti, anche del “fanciullo” Adeodato, il figlio di Agostino, di soli quindici anni, ma d‟ingegno tale da 271 AGOSTINO, Confessioni, libro IX,4,1. 146 stupire gli adulti di molto studio ed impensierire il padre. C‟era Navigio, fratello d‟Agostino, Alipio, l‟amico di sempre e fratello del cuore, purista: mal detto di Cristo: Salvator; un brutto neologismo, in buon latino si doveva dire: Servator. C‟erano i cugini Lastidiano e Rustico, i discepoli Trigezio, già soldato, posato ed appassionato di storia, e Licenzio, preso da estro poetico e tutt‟intento a comporre un poema. Monnica272, la madre, donna di fede virile, senile gravità, cristiana pietà e materna carità, mandava avanti la casa e, tra uno sfaccendare e l‟altro, si fermava ad ascoltare e diceva la sua. Non aveva certo la cultura di quelle sante donne romane amiche di Girolamo, eppure, benché priva di studi, il figlio deve darle atto di far centro penetrando nella roccaforte della sapienza. Uno stralcio delle belle dispute per darne un‟idea. Dal 13 novembre, compleanno di Agostino, si erano proposti d‟appurare in cosa consistesse la vera felicità, la Vita beata. Riaprii il discorso con una domanda: – Si tende tutti alla felicità? L‟assenso fu unanime. – Vi pare felice uno che sia privo di quel che brama? – No –, risposero tutti. – Si può allora affermare felice chi possiede tutto ciò che brama? Intervenne la madre: – Se brama cose buone e le possiede, può dirsi felice; se desidera invece cose cattive, anche le possedesse, è un povero disgraziato. La guardo e le dico sorridendo: – Madre, sei penetrata nella fortezza delle filosofia. Ti sono soltanto mancate le parole di Cicerone del secondo libro dell‟Ortensio... 272 È la grafia sostenuta dal padre Antonio Casamassa, mio professore di venerata memoria, uno dei piú profondi conoscitori di sant‟Agostino. Cfr. A. CASAMASSA, S. Agostino, in Scritti Patristici vol. II, Roma 1956, p. 277: “I Maurini fanno notare che la madre di Agostino si chiamava «Monnica». Del resto il nome «Monnica» ricorre spesso nell‟epigrafia africana”. È la forma da lui usata nella voce Agostino per l‟Enciclopedia Italiana (Vol. I, 913s) e nella voce non firmata “Monnica (non Monica)” della stessa Enciclopedia (Vol. XXIII, 680), forma adottata, sull‟autorità del Casamassa, anche da G. PAPINI, S. Agostino, Firenze 19636, pp. 282. 147 Approvò la citazione con tali esclamazioni da darci l‟impressione d‟avere accanto a noi un uomo famoso e non una donna, e cercavo di indovinare a quale divina fonte ella si abbeverasse... Su un punto furono tutti d‟accordo: nessuno può essere felice se non possiede ciò che brama: gli scettici, per esempio, che cercano la verità e non la trovano; ma neppure può esserlo chi disponga di tutto quel che vuole col timore di poterlo perdere. Si giunse alla conclusione che può ritenersi felice solo chi possiede tutto quel che brama, purché al riparo da ogni avversità. – Ammettete che Dio sia un bene eterno e sempre presente? – È cosa cosí certa – osservò Licenzio – che non occorre chiederlo. Ne convennero tutti con pia devozione. – Ne deriva che è felice chi possiede Dio… – Non rimane dunque , io penso, che da investigare chi possieda Dio. – Chi vive bene – intervenne Licenzio. – Chi compie in tutto la sua volontà – soggiunse Trigezio. – Ben detto – confermò Lastidiano. A questo punto intervenne il fanciullo: – Possiede Dio chi ha l‟anima monda da impurità. La Madre trovò buone tutte le risposte, ma nessuna come quella del fanciullo. – E tu Navigio? – Faccio mia la risposta del fanciullo. Rustico se ne stava zitto, non perché la questione non l‟interessasse, ma per timidezza. Interrogato, convenne con Trigezio...273. Peccato che i fratelli Frassinetti in quel loro giocare “a Cassiciaco” non pensassero di fissare sulla carta i vari interventi. Sarebbe stata una lettura interessantissima ed anche spassosa. Oltre tutto vi avremmo ritrovato argomenti non dissimili da quelli del saggio sopra riportato e risposte come quella data da Paola al fratello Giuseppe, forte dell‟esempio degli ebrei che avevano da alzarsi presto il mattino se volevano sfamarsi di manna. Anche lei avrà dato piú di una volta al padre e ai fratelli l‟impressione che avessero accanto a sé un uomo famoso e non una fanciulla, da far loro ripetere le parole che Juan de Salinas, cosí prevenuto riguardo alle donne, scrisse al grande teologo Bañez che gli aveva presentato Teresa d‟Avila: “Me habíais 273 AGOSTINO, De vita beata, 2,10-12. 148 engañado... diciéndome que... es una mujer; a fe mía, que es un hombre y de los más dignos de llevar barba”274. Riavvicinamenti cervellotici? Certo. Piú scusabile il processo inverso del Titiro virgiliano che aveva creduto d‟essersi fatta un‟idea di Roma ingigantendo il suo villaggio275, che non la mia pretesa di farmi un‟idea delle dispute di quei fanciulli partendo dal De vita beata d‟Agostino, eppure... Qualcosa di simile anche alle origini delle Dorotee: La Fondatrice aveva stabilito che per addestrarsi a parlare di cose spirituali... dovessero tutte per turno giornaliero parlare or sopra questa or sopra quella virtú... e ciò non solo in presenza della piccola comunità, suore ed alunne, ma altresí assai di frequente in presenza del prevosto [suo fratello]276. Non una ricezione silenziosa e passiva dunque, ma attiva partecipazione. C‟è di piú. L‟episodio del fratello Giuseppe che dice a Paola che non c‟è bisogno di alzarsi cosí presto per andare a messa, ci fa da spia sui colloqui che si tenevano tra le pareti domestiche di casa Frassinetti, ritrovandolo rielaborato dal fratello ne La forza d‟un libretto in cui si attribuisce a Virginia un episodio analogo. Basta sostituire a Virginia Paola; alla mamma, già morta, il padre in vena di scherzare un poco sulla grande devozione della figlia; alla nonna Giuseppe; alla zia di Virginia la zia Anna, e concedere allo scrittore il pieno diritto d‟usare la variatio277. Il Frassinetti, scrivendo per 274 Mi avevate ingannato.. dicendomi che.. è una donna; in fede mia, è un uomo, e di quelli piú degni di portar barba. Cfr P. SILVERIO DE S. TERESA, Vida de S. Teresa de Jesús, t. II, Burgos 1935, p. 505. 275 VIRGILIO, Ecloga I, 19-25. 276 Memorie intorno.., Op. cit., p. 28. 277 Figura letteraria conosciuta dal Frassinetti a cui già ricorse negli anni di “Rettorica” in un tema in versi sulla morte di Temistocle. Avendolo fatto morire di ferro suicida, invece che di veleno, se ne giustifica in nota: “Si avverta che per poetica licenza si finge che non col veleno, come scrivono certi storici, ma col ferro si sia ucciso; si dirà che sia licenza presa a spese della storia, ed io nol niego”. G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. 19, Ascetica – Poesie e frammenti, p. 594, in AF. È ciò che del resto fa anche Giovanni Ruffini in Lorenzo Benoni attribuendo a sé fatti accaduti ai fratelli ed ad altri. 149 delle fanciulle e volendosi immedesimare in una fanciulla, tornò con il pensiero all‟episodio della sorella e ce lo raccontò sessant‟anni prima che le buone dorotee lo fissassero sulla carta: Iersera – fa raccontare a Virginia – ne chiesi licenza a mamma [di andarmi a confessare], che me l‟ha accordata. Si mostrò per altro sorpresa; e mi domandò come mi lasciassi prendere da tanta divozione: prima, mi disse, vi andavi appena ogni tre o quattro mesi: adesso, non ancora passato un mese, e vuoi tornarvi? Era questa la frequenza all‟eucaristia della comune dei buoni cristiani. Si noti nella risposta il “lei” ai genitori come s‟usava in casa Frassinetti. Se mel permettesse, le risposi, da qui avanti vorrei andarvi alquanto piú spesso. Capisco, ripigliò, sarà la Nonna che vorrà farti una santocchia, com‟essa è: se vuoi va pure: vi ti accompagnerà la zia. La chiamò tosto, e le disse che osservasse bene di non farmi alzare troppo presto. Siccome non mi assegnò l‟ora, credetti che non fosse troppo presto alzarmi alle cinque: mi vestii in fretta, e andai cheta cheta alla stanza della zia, che già era in ginocchio recitando le sue orazioni. Vedendomi già pronta per uscire, restò sorpresa e mi disse: Cosí presto Virginia? se la mamma se ne avvede, griderà forte. Si metta il velo, risposi; non mi pare troppo presto; tuttavia facciamo zitto per non disturbare chi dorme...278. Il problema di quelle due ragazze era da chi farsi accompagnare per andare in chiesa anche nei giorni feriali, perché da sole neppure a parlarne, e a quali astuzie ed argomenti ricorrere per convincere una la zia e l‟altra la persona di servizio. Ora ecco cosa depone una teste nel processo di canonizzazione di santa Paola: “Soleva anche nelle mattine andare spesso alla Messa accompagnata dalla persona di servizio o dalla zia: certo che da sola non la mandavano”279. Dalla persona di servizio, dalla zia o dai fratelli: “Alla mattina per tempo – ci ha lasciato scritto il fratello Giovanni – , o colla domestica o con taluno di noi in chiesa a far le sue divozioni, anche 278 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto,… pp. 76-77. Cfr. sotto la citazione completa. 279 POS.P., p. 40. 150 nei giorni feriali”280. Anche il dire le preghiere in ginocchio doveva essere un‟usanza di casa Frassinetti. Quando all‟inizio degli anni Quaranta il venerabile Servo di Dio cominciò a pubblicare quei libretti di spiritualità indirizzati ai giovani ed alla gente semplice per persuaderli che si è tutti chiamati alla santità, non faceva che mettere per iscritto le argomentazioni che avevano tanto interessato i fratelli e la sorella. Per il momento prendiamo in esame solo quattro pubblicazioni tra le prime date alla luce. In esse possiamo cogliere con molta verosimiglianza il tenore di quelle loro dispute di... alta teologia, avendo il Frassinetti sempre scritto ciò che già aveva a lungo vissuto. La santa verginità281. Un trattatello sull‟eccellenza della verginità secondo la tradizione cara ai Padri della Chiesa, presentata con linguaggio semplice e piano, non solo in quanto virtú amabile di per se stessa, ma quale presupposto per esercitare con maggior dedizione le opere di religione e di carità. In esso si dissipano i pregiudizi e si sciolgono le difficoltà che le ragazze dei vari ceti sociali potevano addurre. No, non era essenziale entrare in convento, anche se i monasteri sono gli asili piú nobili e sicuri della S. Verginità, purché non vi sia entrata la rilassatezza, giacché il chiudersi con compagne dissipate e inosservanti della regola porterebbe molte inquietudini di spirito, per le quali si potrebbe desiderare di essere rimasti nel secolo282. 280 Lettera di don Giovanni Frassinetti ad una madre dorotea (Elisa Vassallo ?) in data 20 giugno 1882. ACGSD. 281 G. FRASSINETTI, La santa verginità, Genova 1841. È un libretto di cm 7,5x10. In tutto 96 paginette, uscito anonimo. Ebbe un successo enorme, molte le ristampe, anche a cura di Don Bosco nelle “Letture cattoliche”. Dalla seconda edizione uscí con il nome dell‟Autore ed il titolo mutato in: La gemma delle fanciulle cristiane, ossia la santa verginità. L‟edizione del 1924, a 83 anni dalla prima, era la trentesima di quelle conosciute! 282 Il passo è citato dalla prima edizione, pp. 53-59. Nelle edizioni successive alla prima lo troviamo cosí mitigato: perché è cosa piena di pericolo rinchiudersi con compagne svagate e inosservanti delle regole del proprio istituto. Modificato perché suscitò ammirazione in qualche pio lettore? 151 La forza d‟un libretto, dialoghetti283. Immagina che una ragazza, Virginia, abbia trovato un esemplare mal ridotto de La Santa Verginità, privo del primo paragrafo e dei paragrafi successivi all‟undicesimo del capitolo quarto. Ne era rimasta cosí presa da parteciparne la lettura all‟amica Elisa. È un modo per sbriciolare sotto forma di dialogo la sostanza della prima pubblicazione che, per quanto esposta in forma piana ed elementare, aveva pur sempre qualcosa del trattato. Il titolo dice tutto. Questo libretto ci può ridare piú o meno il tono delle conversazioni in casa Frassinetti e gli argomenti di spiritualità in essa trattati, non solo, ma anche i risultati: la scelta della vita consacrata da parte di tutti e cinque i fratelli ed il loro prodigarsi per innamorarne gli altri. 283 ID., La forza di un libretto, dialoghetti, cm 9x15, Genova 1841, pp. 180. Fu pubblicato, anch‟esso anonimo, subito dopo il primo. Nell‟ultima edizione curata dall‟Autore, avendo fatto delle aggiunte al libretto immaginato trovato da Virginia, ne fa arrivare la lettura fino al paragrafo undicesimo del capitolo quinto. 152 Compendio della Teologia Dogmatica284. Ne dice lo scopo nella prefazione: Lo scopo che mi prefiggo in questo Compendio di Teologia Dogmatica è quello di mettere nelle mani dei Chierici, i quali la insegnano ai fanciulli, una breve ma distinta esposizione della verità di nostra SS. Religione; affinché anche prima d‟avere studiato tutti i Trattati Teologici possano evitare quelli errori, nei quali cadono, quasi necessariamente, parlando di certi dogmi sopra i quali non hanno ancora fatto alcuno studio... Scrivo questo compendio in italiano, perché secondariamente vorrei che fosse utile anche alle persone secolari... – mia la sottolineatura –. Non toccherò quelle controversie le quali richiedono nel lettore fondo d‟istruzione, e lunghi trattati.... A differenza dei catechismi della nostra infanzia, non è il maestro che pone la domanda al discepolo per vedere se ricorda a memoria la rispostina appresa a forza di ripeterla in coro, ma è il discepolo che pone domande al maestro per soddisfare il suo desiderio di conoscere le cose di Dio. Una catechesi attiva. Se il Frassinetti non ne ha il merito dell‟invenzione, trovandosi già in san Roberto Bellarmino nella Dichiarazione piú copiosa della dottrina cristiana per uso di quelli che insegnano ai fanciulli e alle altre persone semplici, ha quello della scelta e della semplificazione del linguaggio285. Tenuto conto della destinazione, viene da pensare che il primo abbozzo debba risalire a quando, ancora chierico, andava a fare catechismo e si intratteneva in casa su gli stessi argomenti per risolvere le questioni dei fratelli e della sorella – debbono essere questi gli argomenti 284 ID., Compendio della Teologia Dogmatica, Genova 1842, pp. 239 dello stesso formato. Nelle edizioni successive il titolo fu mutato nel piú modesto Catechismo dogmatico, anche se il primo titolo si rifaceva a quelli di opere consimili del Gersone e del Canisio. GERSONE (1362-1428), Compendium theologiæ breve et utile. Povero Gersone, mal gliene incolse dai dottoroni dell‟epoca: aveva tradito la dignità della categoria scrivendo per i fanciulli. Gersone si difese con il De parvulis ad Christum tradendis. L‟Opera di san Pietro Canisio è troppo celebre perché si abbia ad illustrare, anch‟essa diretta ai catechisti e alle persone colte. Il Catechismo dogmatico del Frassinetti ebbe molte edizioni e ristampe. Piacque tanto al card. Manning da farlo tradurre in inglese e presentarlo lui stesso al pubblico: A Dogmatic Catechism. From the Italian of Frassinetti. Revised and edited by Oblate Father of St. Charles: With a Preface by… the Archbishop of Westminster – Enrico Edoardo Manning non ancora cardinale –, London 1872[1871]. 285 Ne La dottrina cristiana breve perché si possa imparare a mente del Bellarmino le domande le fa il maestro. 153 sacri di dommatica, di morale e simili nei ricordi della Santa – ed avviare anch‟essi all‟apostolato catechetico. Questa la ragione, del resto espressa, d‟averlo steso in italiano per prevenire l‟accusa d‟aver offeso la dignità dell‟argomento. Il conforto dell‟anima divota286. Un classico della spiritualità, ristampato infinite volte e tradotto in varie lingue287. Nei primi capitoli di quest‟opera mi pare di scorgere uno dei temi piú dibattuti nelle dispute dei nostri teologi in erba: Chi sono i santi? Dalle prediche udite in chiesa si sarebbero detti degli esseri privilegiatissimi che Dio fa nascere di tanto in tanto per dimostrare tutta la sua potenza facendoli vivere in modo inimitabile: estasi, profezie, continui prodigi, penitenze spaventose, fino a rifiutare, alcuni, ancora in fasce, il latte materno nei giorni di penitenza. Persone non di questa terra né della comune dei mortali. Ma se Dio pone anche in noi un vivo desiderio di santità è chiaro che anche noi siamo chiamati a divenire santi. Dio non è certo uno che inizia un‟opera e poi non riesce a portarla a termine288. Ma i miracoli? Ma l‟assenza d‟ogni umana miseria?... Verrebbe quasi da dire che il desiderio di 286 G. FRASSINETTI, Il conforto dell‟anima divota. Purtroppo non ci è pervenuta la prima edizione. Il Capurro, seguito dal Renzi, la poneva al 1852. Riuscii ad accertare che era anteriore di ben otto anni, perché recensita con grandi lodi nel numero maggio-giugno 1844 degli “Annali di scienze religiose” che il futuro cardinale ANTONIO DE LUCA pubblicava a Roma, non solo, ma se ne parla in piú lettere scritte in quell‟anno al Frassinetti. Dalla stessa recensione si apprende che era di 190 pagine in -8°. Cfr. M. FALASCA, Il Frassinetti in giro per il mondo in “Risonanze” LIX (1984) n. 4, p. 16-18. 287 In inglese da LADY GEORGIANA CHATTERTON, un‟anglicana accolta nella Chiesa dal Newman. Scrittrice di poemi, romanzi ed opere che ebbero buona diffusione e le lodi del Newman, tutt‟altro che prodigo nel darle. Traduttrice di Platone ed Aristotele dal greco, era stata tormentata da dubbi sulla fede fino ad un anno dalla morte. Il marito pubblicò postuma la traduzione dell‟opera del Frassinetti: The Consolation of the Devout Soul, London 1876, e ne mandò copia al Newman. Nella prefazione diceva che era il frutto della certezza di fede che la moglie aveva raggiunto nel suo ultimo anno di vita. Il Newman, ringraziando, definisce la pubblicazione un indovinato e giusto monumento della cara Lady Chatterton ed aggiunge: Io sono molto contento d‟averlo avuto. Cfr. J. H. NEWMAN, The letters and Diaries, To Mrs Ferrers, v. XXVIII 1876 to 1878, p. 172. Un grazie ai Padri dell‟Oratorio di Birmingham di avermi favorito una fotocopia del volume inviato al Newman. Nella bibliografia parleremo delle altre traduzioni. 288 Lc 14.28-33; Fil 1,6; 2,13. 154 divenire santo debba per forza risolversi in una non medicabile tristezza, o, peggio, in una fonte di scrupoli che cambiano la vita in un inferno. Lo stato dell‟uomo sub lege, per dirla con sant‟Agostino, in cui si vede il bene e non si riesce a farlo, e non sub gratia, quando l‟impossibile si fa possibile. A quei dibattiti deve risalire il primo enuclearsi di risposte del Conforto dell‟anima divota. Ne ritrascrivo il testo in forma di dialogo. Le parole poste in bocca a Giuseppe sono riportate alla lettera: GIUSEPPE: – La santità cristiana consiste nella carità, cioè nell‟adempimento della volontà divina; sicché un‟anima che eseguisce la divina volontà è un‟anima santa... I FRATELLI E LA SORELLA (sovrapponendo le voci): – Vale per tutti? anche per me? anche per zia? anche per Caterina che vende le castagne di porta in porta?289. GIUSEPPE: – Se procura di eseguire il volere di Dio, è santa, e quanto piú s‟impegna ad eseguirlo con perfezione, tanto è maggiormente santa. PAOLA (pensierosa): – Cosa si richiede per adempire il santo volere di Dio? GIUSEPPE: – Niente piú, niente meno che l‟osservanza dei comandamenti della legge di Dio e della Chiesa. Ecco, bisogna distinguere due sorta di santità: la semplice che consiste nel possedere la grazia santificante, e questa l‟hanno tutte le anime che sono monde da peccato mortale; la perfezionata che consiste nella perfetta unione della nostra volontà alla volontà di Dio, sicché l‟anima aborrisca non solo il peccato mortale, ma aborrisca anche il peccato veniale avvertito, e sia pronta ad eseguire ciò che chiaramente conosce essere di maggior gusto del Signore, anche nelle cose che non sono espressamente comandate. Si sostituisca santità a vita beata e si ha l‟impressione di leggere una variante del brano della disputa agostiniana su riportata. 289 Nel 1863, ne La missione delle fanciulle cristiane, tra gli esempi di vita santa di persone vive, il Frassinetti adduce quello di una giovane sui vent‟anni, rivendugliola di porta in porta, monaca in casa delle Figlie di Maria Immacolata, che operava un bene immenso giungendo dove nessun sacerdote avrebbe mai osato porre piede. G. CAPURRO, curatore delle Opere edite ed inedite, vol IV, Tip. Vaticana, 1912, pp. 503-505, ce ne dà il nome: Maria Carbone. 155 I FRATELLI (in coro): – Ma come è possibile evitare anche i peccati veniali? GIUSEPPE: – Dovete notare che altri sono i peccati veniali pienamente avvertiti, quelli cioè che si commettono ad occhi aperti conoscendo chiaramente che si fa male nel momento che si commettono... Altri poi sono peccati veniali non bene avvertiti che si commettono piú per debolezza che per malizia... UNO DEI FRATELLI: – Se uno si distrae mentre prega? GIUSEPPE: – Se accade per debolezza senza che sia voluto, è di questa categoria. UN ALTRO: – Se uno dice una bugia per scusarsi sapendo che è bugia? GIUSEPPE: – Questo è della categoria di quelli che dispiacciono al Signore. PAOLA (festosa): – Se è cosí: Volontà di Dio, tu sei il paradiso mio! Un ritornello udito ripetere con tanta frequenza dalle labbra di Paola 290. Tutta lí la santità. Cosí anche per il fratello, il quale, già vecchio, dovendo quei sei giovani seminaristi dell‟incipiente Opera dei Figli di Santa Maria Immacolata traslocare, non potendoli piú contenere la canonica di Santa Sabina, non trovò di meglio che affidarli a san Quodvultdeus, san Ciò-cheDio-vuole. La cronaca di quel trasloco ci è cosí raccontata da Don Bernardo Rosina, uno di quei ragazzi: Venne la solennità di San Giuseppe di quel 1866 ed io feci la mia entrata nella nuova casa dei Figli di Santa Maria di proprietà di don Montebruno 291. Era questa la grande soffitta del palazzo degli Artigianelli. Un grande vano nel mezzo serviva da sala ed aveva per soffitto il tetto medesimo. Tutto intorno erano otto o dieci camerette ciascuna delle quali riceveva luce da un lucernario. Il giorno 17 maggio seguente anche gli altri Figli di Maria si trasferivano dalla casa di Santa Sabina alla nuova casa. Io aiutai per il trasporto dei mobili che consistevano nei letti, in qualche baule e pochi arnesi di cucina. L‟unico oggetto che venne posto nella sala fu un quadro ad olio rappresentante un vescovo che da una scritta in un angolo era detto Quodvultdeus292. 290 Memorie intorno.. p. 305. 291 Il Servo di Dio don Francesco Montebruno, legatissimo al Frassinetti. 292 Il quadro era stato commissionato a un pittore squattrinato. Un modo d‟aiutare senza umiliare. Non si era però d‟accordo se su commissione del Frassinetti o dello Sturla. Sia stato 156 Di tale devozione si ha una conferma nella vita di un‟angelica giovinetta del popolo, Rosa Cordone, una figlia di Maria Immacolata, scritta dal Frassinetti subito dopo la sua morte e ristampata a pochi mesi di distanza, e poi altre volte ancora. Vi si legge: Le raccomandò anche [il suo direttore spirituale, – leggi: il Frassinetti] la divozione a un santo generalmente sconosciuto, Vescovo di Cartagine, che soffrí per la fede sotto Genserico, ed aveva il piú bel nome che possa aversi al mondo, cioè Quodvultdeus, che significa ciò che vuole Iddio, ed esprime perciò la piú bella disposizione che possa avere l‟umana volontà. La sua festa cade ai 26 di Ottobre293. Una vecchia devozione di famiglia, “Volontà di Dio paradiso mio”. Stando cosí le cose, quei cinque fratelli altro non avevano da fare che porsi in gara a chi dava “maggior gusto a Dio”. l‟uno, sia stato l‟altro, non muta nulla essendo i due vissuti in perfetta simbiosi. Resta il fatto che fu il Frassinetti a farne dono ai suoi aspirantini al sacerdozio e non mancò certo d‟accompagnare il dono con un bel sermoncino, come l‟occasione richiedeva, prendendo spunto da quel nome cosí strano: San Ciò-che-Dio-vuole! Un quadro compendio di tutta la santità. Il Frassinetti deve esserne venuto a conoscenza, leggendo le lettere 221-224 dell‟Epistolario agostiniano. Nella 221 il diacono Quodvultdeus chiede ad Agostino una sintesi di tutte le eresie. Nella 222 Agostino gli dice dei tentativi già fatti e delle difficoltà che il lavoro presenta. Nella 223 il Diacono insiste. Agostino promette di farla se troverà tempo. Nel 437 Quodvultdeus fu eletto vescovo di Cartagine, ma ne fu espulso all‟arrivo dei Vandali. Trovò rifugio in Italia, in Campagna. 293 G. FRASSINETTI, La rosa senza spine.., Op. cit. Cito dalla 5a ed., l‟ultima curata dall‟Autore, – cinque in otto anni! –, Genova 1867, pp. 87. 157 CAPITOLO XI FRATELLI IN GARA A CHI DÀ MAGGIOR GUSTO A DIO Dite al Signore che vi conceda la grazia di non essere piú buona a nulla fuor che a dar gusto a Lui; beati noi se perdessimo tutte le altre abilità e ci restasse questa sola di dar sempre notte e giorno e continuamente gusto a Dio! G. Frassinetti, Lettera a Carlotta Gibelli Torniamo in quella santa casa. I quattro fratelli e la sorella sentivano tutti vivo il desiderio di consacrarsi a Dio con consacrazione totale. Per Paola sembrava un desiderio condannato a restare desiderio, perché mai avrebbe potuto disporre di una dote e, senza dote, non si entrava in convento. Anche per i fratelli nell‟ accedere al suddiaconato si richiedeva un titulus sustentationis a garanzia di un‟esistenza decorosa, ma, per essi, se privi di 158 un loro patrimonium, c‟era pur sempre il beneficium ecclesiasticum con l‟obbligo di prestare alcuni servizi294. Perché, si chiedeva Paola, far nascere nel cuore di una ragazza povera un tale desiderio, sapendo Dio che in nessun modo si sarebbe potuto realizzare? Il fratello non poteva non fare sua la domanda: “Ma perché Dio permette che [delle fanciulle] abbiano un cosí vivo e santo desiderio, che non dovrà essere soddisfatto giammai?”295. Chissà quante volte e in quanti modi Giuseppe dovette cercare di consolare la sorella, senza mai riuscire a persuaderla con nessuna risposta per quanto teologicamente ineccepibile. Torniamo a sceneggiare le argomentazioni dei libretti su citati distribuendone le parti tra Giuseppe e Paola nel rispetto letterale del testo: GIUSEPPE – Ecco il perché: Dio permette quella brama vivissima da non soddisfarsi mai, affinché abbiano il merito della vita religiosa, sebbene siano obbligate a restare in mezzo al mondo. Non basta infatti davanti a Dio un desiderio sincero per avere il merito dell‟opera santa, quando questa non si può fare? Lo vediamo dal contrario. È chiaro che l‟uomo, il quale desidera di rubare e non ruba perché non può, è reo della malizia del furto: cosí queste fanciulle...296. 294 Archivio della Curia Arcivescovile di Genova, Filze Patrimonii, Canonici Tituli 1825-1827. Al N. 95: “Si è pubblicato nel giorno di S. Giuseppe il titolo del patrimonio del Rdo Chierico Giuseppe Frassinetti di Gio. Battista, costituito dal R do parroco di Santo Stefano di una cappellania da sperimentarsi sul frutto di due appartamenti spettanti alla sudta Chiesa coll‟onere di celebrare o far celebrare tante messe giornali (sic) quanto ne porta il frutto annuo di detti due appti, che sono lire 450. Detti appartamenti sono situati in cima alla Salita delle Religiose Battistine... Si è egualmente pubblicato, che chi sapesse non essere vero o in tutto, o in parte il sovra esposto; o che detto Chierico non avesse costumi tali da meritarsi di essere promosso al sacro Ordine del Suddiaconato, lo dinunzi, quanto prima, sotto pena di grave peccato. In fede”. – 1827, 23 Marzo: “Faccio fede non essersi presentato alcuno a dinunziare né contro del suddetto Chierico, né contro i suddetti appartamenti. In fede G. Batta Rolla, prevosto coadre a Sto Stefano”. Documenti simili si hanno per Giovanni Frassinetti, anno 1834 N. 67, e Raffaele Frassinetti, anno 1836, N. 52. Non si hanno per Francesco Frassinetti essendo religioso dei Canonici Lateranensi. 295 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto, Genova 186410, p. 112. 296 Cito dall‟edizione 26a, “Letture cattoliche”, Torino 1903, p. 50. In questo secolo si ebbero ancora numerose ristampe con l‟indicazione generica di “Nuova edizione” o con nessuna indicazione. 159 A scuola di filosofia il professore Valentini ne sarebbe rimasto incantato e ne avrebbe elogiato la perspicacia, ma non la sorella. PAOLA – Ma perché Dio permette che [delle fanciulle] abbiano un cosí vivo e santo desiderio, che non dovrà essere soddisfatto giammai? Il fratello ha un bell‟affannarsi a difendere Dio e la Chiesa, storia alla mano: GIUSEPPE – Sempre si pensò a formare degli istituti religiosi, nei quali le fanciulle potessero essere accolte senza alcuna dote: frattanto o queste fondazioni non si poterono effettuare, o, effettuate, non durarono secondo il primo divisamento di ricevere le povere gratuitamente; sicché dappertutto... si esige una dote, modica tante volte per se stessa, ma ciò non ostante sempre eccessiva per chi non ha nulla...297. Frattanto, tolte alcune pochissime [fanciulle] che arrivano ad ottenere in limosina la somma richiesta, restano tutte col loro desiderio vuoto di effetto...298. Risposta buona nelle dispute scolastiche, non per Paola, per la quale valeva il fatto che lei, pur ardentemente desiderandolo, non poteva entrare in convento. La risposta non convinceva abbastanza neppure lui stesso. Anch‟egli da un pezzo si chiedeva: “Ma perché Dio permette che abbiano un cosí vivo e santo desiderio, che non dovrà essere soddisfatto giammai?... perché non dispone che siano accontentate e che abbiano per tal modo, non solo il merito, ma anche la realtà dello stato religioso?”. Finalmente ha trovato! GIUSEPPE – Ecco il perché: s‟impedirebbe con ciò un bene poco osservato, ma incalcolabile. Quasi da nessuno si bada al bene che fanno, all‟edificazione che dànno, queste pie fanciulle, obbligate per la loro povertà a vivere in mezzo al secolo. – Gli andava il pensiero alla zia Anna? – Esse, che vivono nel mondo nauseate e nemiche del mondo, delle sue malizie e vanità, 297 Alle Figlie di Maria Immacolata come le aveva volute il Frassinetti, divenute Figlie di Maria Ausiliatrice, dopo la sua morte, Don Bosco stabilirà per regola almeno MILLE lire di dote ed una pensione di 30 lire al mese per un anno e mezzo, in tempi in cui la paga d‟un operaio s‟aggirava su una o due lire al giorno, quando lavorava! Va detto che era contemplata anche una riduzione. 298 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto, p. 49. 160 menano una vita la piú casta ed innocente... non amano che Dio, non odiano che il peccato: sono vivi esempi di virtú in mezzo al popolo cristiano. E poiché l‟amore di Dio, quando è vivo, è pure ardente di zelo per la salute delle anime, queste povere fanciulle si prendono piú che materna cura delle piccole, o parenti, – ancora il pensiero a ciò che per loro era stata in casa la zia Anna? – o vicine trascurate dai loro genitori, per avviarle ai Sacramenti e alla dottrina cristiana; instillano nelle loro anime i sentimenti della divozione e della pietà e, quando sia duopo, con santa industria le salvano dai pericoli e le ritirano dal peccato... tante volte, parlando per esse lo spirito di Dio, con dotta semplicità confondono e fanno arrossire gli stessi bestemmiatori e miscredenti... In piú luoghi sono esse il lievito piú potente e salutare della divozione nella massa del popolo ed una vera benedizione di Dio per la città, per le terre e le famiglie in cui vivono. Quindi non deve far meraviglia, se Dio, che vuole da esse questo gran bene ad edificazione del cieco mondo, non permette che secondo i loro desideri se ne possano separare299. La risposta cominciava a convincere, ma si poteva negare che senza i santi voti di povertà castità ed ubbidienza l‟anima non ne restasse danneggiata? GIUSEPPE – Si vorrà ancora sospettare che queste fanciulle, non potendo emettere i voti della professione religiosa, ne abbiano un danno spirituale e mancanza di merito per la vita eterna? Giova qui riportare le enfatiche parole di S. Caterina da Genova, con le quali obbligò al silenzio quel religioso che le aveva detto, essere da abbracciare la stato della religione da chiunque vuole arrivare alla perfezione. Se credessi ciò che voi dite, rispose la santa, vi strapperei tosto di dosso questo abito che portate, per rivestirmene. La grazia può supplire per tutti i voti, e per gli abiti, e per le clausure. E vedete come ad esse non manca il merito della materia dei voti e tante volte con maggior sacrificio che non le religiose, dovendo ubbidire a capricciosi parenti e indiscreti padroni. Esercitare la povertà, soffrendone pazientemente gli effetti, piú che non li soffrano le religiose, per le quali sarebbe caso stranissimo il patire la fame e il freddo e di cibarsi di cattivi alimenti: caso che non è strano 299 Ivi, pp. 51-52. 161 per le fanciulle povere che vivono in mezzo al mondo 300. Conservano infine la castità, e la conservano eminentemente pura in mezzo ai pericoli; ed inoltre facilmente, col permesso dei loro direttori, ne possono emettere il voto, siccome fanno molte di loro. Quindi non è a meravigliare se si trovino tra le fanciulle povere coltivatrici della santa purità, anime di virtú segnalata, che si potrebbero invidiare da molte religiose. Per il che dobbiamo benedire la divina provvidenza che tutto ordina alla sua maggior gloria301. Giuseppe, fatta la grande scoperta, è divenuto eloquente e a Paola sembra che il fratello abbia spiccato il volo. Non che non accetti le sue argomentazioni, ma le pensa buone per i tempi iniqui o per chi, non potendo ottenere l‟ottimo, mette il cuore in pace ed accetta il passabile. Rimane dell‟idea di ciò che il fratello aveva detto prima di questa perorazione: “Sebbene anche in mezzo al mondo si possa conservare la esimia virtú della verginità, non v‟ha dubbio che gli asili piú nobili e piú sicuri per essa sono i monasteri”302. Il pensiero di Paola si può cogliere nel commento che ne fa Virginia ne La forza d‟un libretto: VIRGINIA-PAOLA: – Si vede che questo libretto fu scritto in tempo di qualche persecuzione di monache. Questo tratto ha del patetico; viene da un animo commosso e addolorato303. Che si potesse essere ancora piú sante fuori convento che non dentro quelle sacre mura, aveva dell‟incredibile. Giuseppe fa un bel passo indietro per poterne poi fare quattro avanti: GIUSEPPE: – Sono i Monasteri gli asili piú nobili e sicuri della S. Verginità. Quelli d‟ambo i sessi, i quali si vollero maggiormente assicurare questo tesoro, quivi in tutti i tempi si ritrassero dai pericoli del mondo, e quivi, facendone solenne perpetuo voto, avendo per regole di loro vita tutti i mezzi piú opportuni a difenderlo e a custodirlo...304. 300 Freddo e mangiar male, la sua penitenza per l‟intera vita. 301 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto, pp. 52-53. Argomentazioni che saranno riprese e sviluppate di lí a vent‟anni nella Monica in casa. 302 Ivi, p. 46. 303 Ivi, p. 108. 304 Ivi, p. 99. 162 Continua a lungo a tessere gli elogi di quei sacri ritiri, per poi piazzare alla fine la sua riserva: GIUSEPPE: – Ma soltanto alcuno tra quelli nei quali è vigore di disciplina e piena osservanza delle regole, giacché il chiudersi con compagne dissipate e inosservanti della regola porterebbe molte inquietudini di spirito, per le quali si potrebbe desiderare di essere rimaste al secolo305. Giuseppe aveva avanti agli occhi il disagio in cui si trovavano i suoi compagni di scuola che vivevano da interni in un seminario in piena decadenza, divenuto ammirazione ai buoni cristiani, e tale sarebbe rimasto fino a quando non l‟avrebbe radicalmente trasformato il suo compagno di studi, e non senza il suo appoggio, Giovan Battista Cattaneo. Piú chiare queste cose alla sorella non le poteva dire. Eppure, a piú d‟uno l‟affermazione dovette sembrare blasfema, o quasi, se il passo, da me posto in corsivo, fu poi mutato in: “perché è cosa piena di pericolo rinchiudersi con compagne svagate e inosservanti delle regole del proprio istituto”, ma il Frassinetti fu sempre legato a ciò che è, non a ciò che dovrebbe essere. Non si meravigli il lettore. In quegli anni faceva già tanta notizia quel tal monastero di Monza e la sua Monica di cui si parla nei Promessi sposi, e si discuteva se il Manzoni avesse fatto bene o male a raccontarla. Non sono in grado di dire se il Frassinetti abbia letto o no la prima edizione del romanzo uscita nel 1827, ma certo non aveva non potuto udire parlare della Monica di Monza. Ma, piú che il disordine di quel monastero, a spingerlo a scrivere, e quasi con le stesse parole, era il suo Liguori: Innanzi tutto il confessore ponderi bene in quale religiosa famiglia uno pensa di entrare, perché, qualora si trattasse d‟un istituto rilassato, sarebbe cosa migliore restarne fuori. Entrandovi finirebbe col comportarsi come gli altri e, come suole accadere, cesserebbe di fare quel poco di bene che prima faceva306. 305 Ivi, p. 102. La sottolineatura è mia. 306 A. DE‟ LIGUORI, Pratica del confessore per ben esercitare il suo ministero, Napoli 1755. Opera poi tradotta in latino con il titolo: Praxis confessarii, dalla quale ho ritradotto. Il passo è al n. 92. Tutto cosí compendiato nella Theologia moralis del Santo: “[Confessarius] dissuadeat ingressum in ordinem relaxatum” (Vol. IV, Romae 1912, p. 578). Consiglio che il giovane Frassinetti trovava avvalorato dall‟esperienza del Liguori nella lettera del 13 aprile 1764 da Sant‟Agata dei Goti: “Ho inteso con molta mia pena che in cotesto monastero al presente l‟osservanza è andata a terra... faccia sapere alle monache il mio desiderio e volontà, 163 Il Manzoni, dalla stesura del Fermo e Lucia a l‟ultima dei Promessi sposi, del 1842, aveva sottoposto l‟episodio a non pochi tagli, ma non in misura da appagare Don Bosco307. Meglio non insistervi, dunque, ed edificare la sorella con l‟esempio di santa Rosa da Viterbo, sperando di convincerla di come una ragazza può farsi santa anche se non le riesce d‟entrare in convento. ELISA-GIUSEPPE: – Come consola questo esempio le povere fanciulle che non possono monacarsi!... Dirò di piú: non è eziandio consolante per quelle zitelle che, pur potendo, non volessero monacarsi? Egli è evidente che possono esservi fanciulle buone e sante anche vivendo nel secolo; che perciò non può esservi necessità di racchiudersi nei monasteri... Si può fare del bene anche in mezzo al mondo, ed anche maggior bene, come accenna lo stesso libretto nel paragrafo antecedente, osservando che Dio non permette a molti di serrarsi in chiostro, affinché facciano un bene maggiore restando fuora. VIRGINIA-PAOLA: – Elisa, a mio giudizio, tu cammini, anzi voli un po‟ troppo; né io ardirei seguitarti in questa serie di conseguenze... Io penso pertanto che gli ultimi due paragrafi... non possano intendersi, né debbano riuscire di consolazione se non a quelle fanciulle le quali, o per povertà, o per qualunque altro motivo, non possano monacarsi...308. Paola rimase di questo convincimento. Accettò, sí, di restare monica nella casa paterna fino ai ventidue anni, e poi fino ai venticinque monica nella canonica del fratello parroco, operando quanto bene poteva in che nel nuovo triennio si muti la superiora e si mettano le regole in osservanza... se le regole non si osservano, sarà meglio che le monache stiano sciolte senza voti e libere di tornarsene alle loro case. Che serve tenere in diocesi un altro serraglio di femmine carcerate ed inquiete, che poco amano Dio e danno poca edificazione al pubblico? Aspetto la risposta distinta di ogni cosa”. 307 Nel profilo del Manzoni nel Corso della storia d‟Italia raccontato alla gioventú da‟ suoi primi abitatori ai nostri giorni, elogiato il romanzo, Don Bosco continuava: “La stima che abbiamo di quest‟opera non ci tratterà tuttavia di biasimare altamente il ritratto che ci porge di D. Abbondio e quello della sgraziata Gertrude. Il Manzoni, che voleva dare all‟Italia un libro veramente morale ed ispirato a sentimento cattolico, poteva, certo presentarci migliori caratteri” (G. BOSCO, Corso di storia..., Torino 188215, p. 486. Cfr. pure G. B. LEMOYNE, Memorie biografiche…, vol. V, Torino 1905, p. 502). 308 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto, Genova 186410, p. 118-119. 164 parrocchia, ma con il pensiero alle monache di convento. Nella seconda parte vedremo come realizzato. CAPITOLO XII COS‟È CHE TI DÀ MAGGIOR GUSTO, O DIO? Dare gusto a Dio, tutta qui la santità. Ma come sapere cosa è di suo gusto e cosa lo disgusta? Enrico Fermi si dette giovanissimo allo studio della matematica, perché, esserne padrone, era la condizione per padroneggiare la fisica, il suo campo. I ragazzi Frassinetti studieranno le cose di Dio perché hanno intuito che tale studio è condizione necessaria per sapere come si 165 deve vivere per piacere a Dio. Era fuori del loro pensiero che si potesse studiare religione per appagamento intellettuale o per motivo di cultura, perché, ignorarla, è vergogna. Non uno studio senza impegni, ma uno studio ordinato a rimodellare su di esso la vita. La scienza di Dio è ordinata a vivere secondo Dio, da figli di Dio che si sforzano di compiacerlo in terra per poi potersi beare di lui nel suo regno. Una scienza che mira a produrre santità, non gonfiori intellettuali309. Annuncio della parola, piena adesione a ciò che si è ascoltato e vivere secondo Dio sono un tutto inscindibile. Per vivere secondo Dio non c‟è di meglio che catechismo ed esempi di chi seppe già viverci, i santi canonizzati. Leggiamo nel Frassinetti: Ci avvisa l‟Apostolo che senza la fede è impossibile piacere a Dio; e che la cognizione delle cose della Fede si comunica all‟anima mediante l‟udito. Da questo possiamo conoscere che nessun bene reale e sufficiente si potrebbe fare a‟ fanciulli cristiani quando nella loro cultura non c‟impegnassimo d‟istruirli bene nella Santa Fede, giacché non potrebbero diversamente piacere a Dio... Ma i fanciulli come prenderanno cognizione delle cose della Fede se loro non si insegneranno? fides ex auditu...310. L‟infanzia e l‟adolescenza è il tempo piú adatto per instillare nelle loro menti le verità della fede. Se le prime cognizioni che loro si danno quando cominciano ad usar di ragione sono quelle che formano il cristiano, i fanciulli si troveranno formati tali senza avvedersene, quasi nati e non fatti. Le prime impressioni dell‟infanzia restano piú profondamente radicate e hanno influenza piú potente sopra tutta la vita dell‟uomo; né questo fa bisogno provare mostrandone la verità un‟esperienza costante311. A base della pietà e della vita secondo Dio non può non porsi la conoscenza di Dio, conoscenza che ci viene da Dio stesso: L‟umana ragione da sé sola non basta a farci conoscere tutte le verità che ci sono necessarie per una giusta cognizione di Dio... Nessuno dei filosofi che parlarono di Dio e dei suoi attributi col solo lume della ragione naturale arrivò a dare una giusta idea di questo Essere Supremo... Inoltre da sé sola [la ragione] non è valevole a determinare tutte le leggi della retta morale... 309 1 Cor 8,1. 310 Rm 10,18. 311 G. FRASSINETTI, Compendio della Teologia Dogmatica, Genova 1842, pp. 225s. Conserviamo l‟ortografia della prima edizione. 166 Quando [esse] furono lasciate in mano de‟ filosofi piegarono sempre o per un verso o per l‟altro all‟ingiustizia e alla turpitudine....312. La pietà cristiana, non è vera pietà cristiana, se non si è lasciata illuminare dalla luce della dottrina della Chiesa, e, perché Dio fosse onorato come a lui piace di essere onorato, il Frassinetti compose un manuale di preghiere intitolato La divozione illuminata e ne giustificò cosí la pubblicazione: Sono innumerevoli i libri di divozione, che vanno per le mani dei fedeli; ve ne sono per ogni gusto, d‟ogni forma e d‟ogni mole, pregevoli assai, che danno buono e gradito pascolo alla cristiana pietà. Tuttavia resta forse ancora a desiderare un manuale di preghiera, il quale per il suo volume e tenue costo possa andare per le mani di tutti, che illumini la mente del cristiano, mentre ne pasce il cuore. Generalmente tali libri non sono altro che raccolte di orazioni, se vuoi, belle e divote, ma che suppongono nel cristiano che le recita quella istruzione che spesse volte gli manca e gli sarebbe tanto utile, affinché la sua pietà addivenendo illuminata, gli riuscisse eziandio di maggior frutto alla spirito... Con l‟aiuto di Dio ho compilato questo Manuale della Preghiera in piccolo volume, perché sia di poco costo, in cui non mancando ciò che maggiormente può conferire al pascolo spirituale del cuore, si trovino pure istruzioni adatte ad illuminare l‟intelletto, affinché cosí possa a ragione chiamarsi libro di divozione illuminata. Frattanto niuno voglia sospettare che i lumi dei quali voglio rischiarata questa mia operetta siano i lumi del nostro secolo, filosofici e razionalisti, alieni dalla semplicità della fede: questi lumi saranno unicamente quelli che ci somministra la sacra teologia, che è quanto dire, la dottrina della Chiesa, quale ci viene esposta dai SS. Padri e Dottori313. Parole scritte nel 1867, l‟ultimo anno della sua vita, ma questo insistere negli anni maturi sulla necessità di informare la vita di pietà, ossia l‟impegno di piacere a Dio quanto piú fosse possibile, alla luce che ci irradia la Chiesa, altro non era se non un convalidare con l‟esperienza di quarant‟anni di ministero quanto aveva intuito da giovane: non potersi servire Dio come a lui piace se non lo si conosce, ed appunto per essere guida illuminata delle anime aveva fin dalla prima giovinezza dedicato allo studio delle cose di Dio tutto il suo tempo: 312 Ivi, pp. 11s. 313 ID., La divozione illuminata – Manuale di preghiera, Genova 1867. Cito dalla 3a ed., Genova 1877, pp. 7-9. 167 Fa bisogno tuttavia che [il direttore di anime] abbia la conveniente istruzione, perché l‟ignorante è un cieco; e chi è cieco, ha bisogno di guida egli stesso, né mai può guidar gli altri senza pericolo di trarli seco a cader nella fossa,314 scriveva nel 1864, ed era un ripetere quanto aveva scritto un quarto di secolo prima nel 1839 dichiarando di proporre ai chierici la propria esperienza, un rifarsi quindi agli anni in cui si preparava al sacerdozio: Debb‟egli adunque [il chierico] dirigere ogni sua cura, e in modo particolare i suoi studii, al conseguimento del suo fine, che è d‟esser un buon ecclesiastico. Dico: in modo particolare i suoi studii; perché la scienza è cosí annessa all‟idea di ecclesiastico, da non potersi concepire l‟idea di un ecclesiastico ignorante, che come idea mostruosa. Quali sono le principali doti, che si richiedono in un ecclesiastico, dopo la divina vocazione? Fede pura, costumi integerrimi, scienza de‟ propri doveri e degli altrui, e pietà che lo renda zelante per la gloria di Dio e per la salute de‟ suoi prossimi. A tutto ciò vi vuole istruzione; l‟ignoranza non è un buon mezzo per veruno di questi fini. Questa istruzione però, questa scienza non debb‟essere di quella che gonfia lo scienziato e lo rende superbo, ma di quella, che, mediante la carità, lo rende umile... Il dotto superbo sa distruggere, il dotto umile sa edificare. La carità dunque dee invitare l‟ecclesiastico a‟ suoi studii, e l‟umiltà dirigerlo ne‟ medesimi315. Perciò catechismo, perché è per suo mezzo che la pietà, da assai confusa ed inesatta, e fors‟anche falsa, può mutarsi in pietà illuminata: Molti cristiani hanno un‟idea assai confusa ed anche falsa, o, per lo meno, inesatta della Divozione. La vera idea della divozione ce la dà S. Tommaso d‟Aquino, dove dice: Devotio nihil aliud esse videtur quam voluntas quædam prompte tradendi se ad ea quæ pertinent ad Dei famulatum316. La vera divozione pertanto sta in questo, che l‟uomo sia pronto ad eseguire tutte le cose che appartengono al divino servizio. Quindi colui che ha la sua volontà pronta ad eseguire le cose che sono di servizio di Dio, che è quanto dire, una volontà pronta ad operare tutto ciò che Dio vuole da lui, egli è il vero divoto; e chi a far ciò ha maggior prontezza di volontà, è maggiormente divoto. Sono 314 ID., Il religioso al secolo, Genova 1864, p. 123. 315 ID., Osservazioni sopra gli studii ecclesiastici proposte ai chierici, Genova 1839, pp. 2s. 316 TOMMASO D‟AQUINO,, Summa theologica, 2. 2. q. 82. a. 1. O. 168 adunque in inganno coloro i quali pensano che la divozione consista nell‟esercizio delle opere di pietà e colui sia divoto che piú ne fa; cioè quello il quale ascolta maggior numero di Messe, recita piú Rosarii, fa maggior numero di Novene, piú frequenta i SS. Sacramenti ecc. Costui, anche facendo tutte queste cose, se non avesse una volontà pronta ad operare ciò che Dio vuole da lui, non sarebbe divoto317. Catechismo dunque, e da insegnarsi ai fanciulli fin dal loro primo aprirsi dell‟intelligenza. Non poteva qui non rifarsi alla sua esperienza giovanile acquistata in casa con i fratellini e con i fanciulli del catechismo nella parrocchia di S. Stefano. In base a quella sua esperienza di chierico catechista può indicare come il catechismo debba essere insegnato se si vuole che i fanciulli, una volta cresciuti, abbiano l‟impressione d‟essere nati cristiani, non fatti cristiani: Le persone che non sono istruite nella teologia... si contentino di insegnare il catechismo come sta senza sminuzzarlo e spiegarlo, perché, mancanti delle opportune cognizioni teologiche, insegnerebbero alle volte dei gravi errori; chi poi è istruito sufficientemente, procuri di sminuzzarlo e di spiegarlo secondo la capacità de‟ fanciulli, affinché meglio lo comprendano e le verità che vi si contengono facciano piú viva impressione nei loro animi. Ma qui si avverta di non credere sempre cosa facile ed opportuna lo sminuzzare molto sottilmente ai fanciulli le verità della Dottrina Cristiana; ella non è sempre cosí facile, perché nei misteri della Fede non si può sapere tutto ciò che si vorrebbe, ma soltanto quello che dei medesimi Dio ha voluto manifestare318. Ma, sia gli uni che gli altri, debbono insegnarlo in modo da renderlo un apprendimento piacevole ed amoroso: L‟insegnamento della Dottrina Cristiana non dev‟essere un insegnamento nudo e secco delle verità della Fede, come sarebbe: vi è Dio, vi è l‟inferno, vi è il Paradiso, i Sacramenti sono sette ecc., ma dev‟essere un insegnamento sugoso il quale, mentre illumina la mente, formi anche il cuore319. 317 G. FRASSINETTI, La divozione illuminata, pp. 11s. 318 ID., Compendio. della Teologia. Dogmatica, Op. cit., pp. 228s. 319 Ivi, p. 231-234 e continua suggerendo come fare. 169 Del suo zelo, nel fare catechismo unendo in sé con bello connubio dottrina, pietà ed esempio, ce ne dà conferma il Luxardo: Alla dottrina uní sempre [il Frassinetti] con bello connubio la pietà. Resosi chierico, ne esercitò gli ufficii nella Basilica di santo Stefano [la sua parrocchia]... Qui assisteva assiduo alle sacre funzioni, qui insegnava il catechismo ai fanciulli, qui spesso confessavasi e riceveva Gesú Cristo in Sacramento320. Che ad insegnare la dottrina si preparasse con amore ce lo testimoniano i molti catechismi al popolo sotto forma di domande da parte del cristiano ignorante che vuole istruirsi, parte sostenuta da suo fratello don Giovanni, e le risposte del parroco, lui, scritti in italiano, ma recitati in genovese. Non li scrisse per darli alle stampe, ma tutti quei manoscritti con note, aggiunte e correzioni sono lí a testimoniarci con quale amore li preparava concertando con il fratello domande e risposte. Se nei catechismi domenicali in parrocchia le domande gli venivano poste dal fratello don Giovanni, nei catechismi ai fanciulli se le faceva porre dagli stessi fanciulli, lo stesso faceva nelle adunanze delle sue varie associazioni: Conobbi personalmente e avvicinai piú volte Giuseppe Frassinetti nel biennio 1864-1866 – depose il teste Vincenzo Stronello –. Ero Figlio di Maria e intervenivo alla Domenica alle conferenze spirituali che egli teneva nella Canonica di Santa Sabina ai Congregati. Erano specie di conversazioni famigliari, in cui ognuno era libero di rivolgergli domande alle quali egli dava schiarimenti e risposte321. Il bisogno di spiegare il catechismo ai fanciulli della parrocchia e di rispondere alle loro mille domande, come pure alle domande dei fratelli e della sorella, soprattutto a loro che aspiravano a divenire anch‟essi catechisti, stimolavano lo studente di teologia a quella trasposizione del linguaggio scolastico, cosí spesso arida catena di sillogismi latini, in un linguaggio chiaro, piano e sugoso di cui ci ha dato saggio nel suo Compendio della Teologia Dogmatica, divenuto poi Catechismo dogmatico. 320 F. LUXARDO, Giuseppe Frassinetti, pastore d‟anime, autore di religiose istituzioni, scrittore di opere sacre, in AA. VV., Saggio di Storia Ecclesiastica Ligure, ossia vite di alcuni Santi e di altri uomini illustri, Vol. IV, Genova, Tip. Cristoforo Colombo 1884, p. 176. 321 POS,sV, S, p. 21. 170 Per andare incontro all‟avidità dei suoi di casa di voler conoscere sempre piú Dio per meglio servirlo di tutto cuore, Giuseppe, senza avvedersene, ha trasformato la famiglia in accademia di studi ecclesiastici, un abbozzo di quella che giovane sacerdote fonderà in seno alla “Beato Leonardo” ed è in quest‟accademia familiare che Paola si formò quella cultura che tanto stupiva le sue suore sapendola non essere mai andata a scuola322. Il giovane teologo, che in parrocchia si dava da fare per portare i fanciulli alla conoscenza di Dio e, ad un tempo, invogliarli a vivere secondo la sua santa legge, tornato a casa, trovava nei fratelli e nella sorella un pubblico mai sazio d‟ascoltarlo parlare di Dio. Come già gli apostoli e Maria di Betania, non contenti di quanto avevano ascoltato in pubblico dal Maestro, gli chiedevano a parte istruzioni supplementari, cosí quei fanciulli. Intanto, questo lavoro di ricerca e di presentazione del dogma in forma elementare, ma sicura, lo preparava a rendersi utile ai chierici catechisti digiuni di studi di teologia, indicando cosa insegnare ed i modi come insegnarlo: Si dirà che abbiamo molti compendi della Dottrina Cristiana, il che è verissimo; non saprei però se tutti uniscano le due qualità delle quali desidero fornito questo mio: cioè somma brevità, e universalità di tutte le materie dogmatiche piú necessarie e piú utili... Scrivo questo Compendio in italiano, perché secondariamente vorrei che fosse utile anche alle persone secolari le quali, quanto meglio conoscono la propria religione, vi hanno piú attaccamento e le fanno piú onore coi loro costumi323. Una conoscenza delle cose di Dio ordinata a dare il tono alla vita. Evangelizzazione quindi, non sfoggio di cultura, perciò: Non toccherò quelle controversie le quali richiedono nel lettore fondo d‟ istruzione e lunghi trattati, ma le sole verità dogmatiche e quelle che, quantunque non siano espressamente definite di fede, sono però maggiormente conformi al comune insegnamento dei Teologi324. Come lui in quel catechismo aveva trattato solo ciò che potesse giovare ai catechisti, guardandosi dal mettere in mostra la molta scienza che pure aveva, cosí si comportassero loro con i fanciulli: 322 E. VASSALLO, Memorie..., p 11. Uno stupore simile a quello dei giudei nei riguardi di Gesú. Gv 7,15. 323 G. FRASSINETTI, Compendio. della Teologia. Dogmatica, Op. cit., p. 7. 324 Ivi, p. 8. 171 Ai fanciulli si devono dare quelle cognizioni che sono importanti a sapersi per tutti, e con la possibile chiarezza e semplicità: essi non devono confutare gli eretici o salire le cattedre. Questa avvertenza è necessaria ai chierici studenti, i quali alle volte vorrebbero insegnare ai fanciulli tutto ciò che essi vanno imparando nelle scuole325. Ai fratelli e alla sorella, divenuti a loro volta catechisti, non pareva vero d‟aver in casa il fratello bravo a cui ricorrere per aiuto. A chi, se non a lui, al fratello bravo, riferire le domande a sorpresa che li avevano posti in imbarazzo? Non è inverosimile che, mentre s‟affannavano a spiegare che purissimo spirito vuol dire che Dio non ha corpo come abbiamo noi; perciò non ce lo possiamo figurare né alto, né basso, né largo, né stretto; non si può toccare con le mani, non si può vedere con gli occhi materiali del corpo, qualche piccino se ne uscisse con un: Ma dunque è niente!326. Come rispondere? E alle domande sulla predestinazione?, e se in paradiso ci fosse invidia da parte di chi gode di meno nel vedere santi che godono di piú?, e sulla sorte dei bambini non battezzati?... I loro fratellini e le loro sorelline erano in paradiso perché erano stati tutti battezzati, ma i bimbi che non s‟era fatto in tempo a battezzare? e se fossero nati morti? e gli infedeli che mai avevano sentito parlare di Cristo? 325 Ivi, p. 230. Osservazione necessaria non solo per i chierici studenti d‟un secolo e mezzo fa, ma anche oggi per i professori di corsi di teologia per i laici in vista di farne insegnanti di religione nelle scuole medie. Le persone che frequentano questi corsi sono per lo piú insegnanti di scuola media inferiore, ragazze con diploma di ragioneria, maestre elementari e persino maestre d‟asilo. Non di rado si vedono mettere in mano dispense che altro non sono se non aridi riassunti di quelle preparate per i seminaristi dei corsi accademici: una sequenza d‟opinioni legate a nomi ostrogoti, senza chiedersi cosa ci possano capire persone non preparate e quale giovamento possano ritrarne per il loro insegnamento a fanciulli della scuola d‟obbligo. Il bel voto d‟esame, per aver ripetuto cose non comprese, persuade non pochi di loro d‟essere... teologi! A tali docenti il Frassinetti ripeterebbe: “Non toccare quelle obbiezioni alle quali non si può dare una risposta che appieno soddisfi il grosso ingegno dei fanciulli, né quelle difficoltà che non si possono appianare con ragioni palpabili, e quasi direi materiali, delle quali soltanto è capace la loro mente” (Ivi, p. 129). Non sono poche le persone che si iscrivono a questi corsi di teologia per laici con fede serena e ne escono con fede turbata. 326 Ivi, p. 50. 172 Se Giuseppe ha una risposta che possa convincere ed appagare la loro intelligenza, glie la sminuzza, come fa, per esempio, in questa pagina intorno alla visione beatifica, che mi piace rivificare in una conversazione sulle cose del cielo, attribuendo le domande a questo e a quello del gruppetto familiare, senza aggiungere virgola al testo del Servo di Dio: RAFFAELLINO – I Santi in cielo vedono Dio? GIUSEPPE – Lo vedono intuitivamente, cioè lo vedono in sé stesso realmente come è. PAOLA – Non dice la Scrittura che Dio è invisibile e che niuno mai lo vide? GIUSEPPE – Dice che Dio è invisibile e che niuno mai lo vide in questa vita... Ma nell‟altra vita è verità di Fede che vedremo Dio, e il vedremo come è, secondo l‟espressione della Scrittura (1 Gv. 3,2). RAFFAELLINO – Dopo la Risurrezione vedremo Dio con gli occhi del nostro corpo? GIUSEPPE – Con gli occhi del corpo non lo vedremo mai piú, perché Dio è semplicissimo, e gli occhi del corpo sono materiali, e saranno materiali anche dopo la nostra Risurrezione: ora è certo che le cose materiali non possono vedere cose spirituali. Ma vedremo Dio col nostro intelletto illuminato dal lume della gloria. GIOVANNI – Che cosa è questo lume della gloria? GIUSEPPE – È un abito soprannaturale col quale la mente, o dell‟uomo o dell‟Angelo, viene disposta compitamente a veder Dio. GIOVANNI – Senza questo lume della gloria non si vedrebbe Dio nemmeno in Cielo? GIUSEPPE – Certamente non si vedrebbe, come noi con gli occhi corporali anche sanissimi senza l‟aiuto della luce non potremmo vedere nemmeno una montagna, per quanto fosse alla nostra presenza e a noi vicina. PAOLA – Cosa vedremo di Dio? GIUSEPPE – Vedremo la sua divina sostanza con le sue divine perfezioni, le quali però non sono in realtà che la medesima semplicissima sostanza divina – qui rinviava a quanto s‟era detto parlando di Dio –, il mistero della SS. Trinità, ed anche le creature come effetti nella loro causa. FRANCESCO – Vorrei sapere se in Cielo, vedendo Dio chiaramente, lo comprenderemo? 173 GIUSEPPE – Per comprendere Iddio non basta vedere Iddio chiaramente: per comprenderlo bisognerebbe arrivare a conoscerlo con quella perfezione con cui Dio conosce sé stesso con la sua scienza infinita, la qual cosa è impossibile ad ogni creatura... GIOVANNI – Intenderemo in Cielo tutti i misteri della S. Fede che ora dobbiamo credere ciecamente? GIUSEPPE – Nessuno ha mai dubitato che in Cielo si veda chiaramente tutto ciò che crediamo in terra; è perciò che i santi non hanno in cielo la virtú della fede, la quale serve a farci credere ciò che non vediamo. PAOLA – I Santi in Cielo vedranno Dio tutti ugualmente? GIUSEPPE – È articolo di fede che la visione beatifica non sarà in Cielo uguale per tutti, ma proporzionata ai loro meriti, o maggiori o minori. Questa diversità nasce dal maggiore o minore lume di gloria che avranno i santi, misurato dalla maggiore o minore carità di che arderanno in cielo. GIOVANNI – Questa diversità non sarà disgustosa ai Santi? GIUSEPPE – Non sono piú capaci d‟invidia; godono del bene altrui come del proprio, e la felicità di chi è in Cielo fra i minori è tanto grande e commensurata alla capacità che hanno di godere, che nulla resta loro a desiderare. Questa parità vi dilucidi il vero. Un uomo e un fanciullo arrivano assetati alla sponda di un gran fiume: l‟uomo beve e beve il fanciullo; credete voi che il fanciullo potendo bever meno per la minore capacità del suo stomaco, invidi la maggior quantità che ne beve l‟uomo? Il fanciullo è contento di poter bere quanto vuole e quanto può327. La lunga citazione, fedele alla virgola, salvo l‟arbitrio di attribuire le domande ad uno dei fratelli o alla sorella, e l‟omissione dei rinvii ai documenti del Magistero e a san Tommaso, ci dà un saggio di come sminuzzava la dottrina cristiana. Si volti tutto in genovese, si aggiunga alla parola la loquela degli occhi, sia suoi sia di quelli che da lui pendevano, e si ha un‟idea piú vicina al vero di ciò che erano in casa Frassinetti le conversazioni a tavola o intorno al fuoco. Chissà, Lettore, che questo ragionare sulla visione beatifica non abbia ingenerato anche in te un po‟ di desiderio di cielo. 327 Ivi, pp. 66-69. 174 La lunga citazione vuole essere anche un tributo di gratitudine. Giovanetto di terzo ginnasio ebbi per caso tra mano questo suo Catechismo dogmatico ed il Sillabario del cristianesimo di monsignor Olgiati. Ad essi va gran parte del merito se la mia pietà da affettiva divenne illuminata, senza che la luce ne raffreddasse il calore. Studente di teologia all‟Università Urbaniana, alla scuola del prestigioso monsignor Parente, divenuto poi cardinale, gli orizzonti mi si allargarono e grande fu l‟approfondimento, ma in nulla dovetti correggere quei due libri o sorridere di qualche loro pagina. Se poi la risposta non avesse appagato l‟intelligenza, anzi, invece che rimuovere una difficoltà, avesse ingenerato dubbi, Giuseppe non evitava di rispondere, non negava la difficoltà, ma si guardava bene dal dare risposte che avrebbero creato altri dubbi, e meno che meno mascherava la sua incapacità a rispondere con un polverone di parole. Ne prendeva occasione per dire che nelle cose di Dio c‟è “un di piú" che l‟uomo non può afferrare perché limitato: il mistero. Valga come esempio la risposta sul destino di chi incolpevolmente muore senza battesimo e l‟altra sulla predestinazione: Le Scritture sante, i Padri, e il sentimento di tutta la Chiesa bastantemente ci assicurano che Dio vuole la salvezza di tutte le anime, e perciò anche di quelle di tali fanciulli; se poi noi troviamo difficoltà nell‟intendere il modo come lo voglia, non per questo possiamo dire il contrario. Nelle cose della nostra Santa Religione non è solo vero ciò che intendiamo, ma molte cose che bisogna credere senza capirle, e questa è una di quelle... Troviamo dei misteri insolubili nella condotta degli uomini, che sono cosí limitati, e ci meravigliamo di trovarne nelle disposizione della Divina sapienza?... Vi basti sapere che Dio vi ama piú di quello che voi amate voi stessi, che Dio vuole la vostra salute piú di quello che voi la vogliate, che Dio non vi escluderà dal suo Regno purché voi deliberatamente nol ricusiate... abbiate questa speranza; essa è quella che non confonde.328. La chiarezza dell‟esposizione a nulla giova se ad un tempo non forma il cuore: 328 Ivi, p. 60 e 62. 175 L‟insegnamento della Dottrina Cristiana non dev‟essere un insegnamento nudo e secco delle verità della Fede... dev‟essere un insegnamento sugoso il quale, mentre illumina la mente, formi anche il cuore329. Perché sia tale, Giuseppe s‟è fatto una ricchissima raccolta di belle storie di santi che mostrano come la dottrina vada vissuta. Tali storie di santi e di sante infervoravano ad imitarli e a mettersi in gara con loro nel dar gusto a Dio. Specie Raffaellino, ormai sui dieci anni, non si stancava mai d‟ascoltare quegli esempi edificanti, attinti, oltre che dalla Bibbia, dal Bartoli e dal Segneri il Giovane. Raffaellino cominciò anch‟egli a farne una raccolta. Divenuto sacerdote, al Priore don Giuseppe non parve vero di affidargli la cura dei bambini, tanto li sapeva tenere incantati con quelle belle storie ed innamorarli della preghiera e d‟ogni cosa bella. Facevano tanto bene quegli esempi edificanti e i brevi commenti, che pensò di darli alle stampe. Non faceva lo stesso il fratello? Uno di quei libretti, Giardino di Divozione pei Giovinetti, centesimi 25, ebbe un successo strepitoso: in un trent‟anni venti edizioni330. In queste pubblicazioni destinate ai fanciulli ed ai giovanetti ci è dato cogliere come il Servo di Dio ordinasse la scienza delle cose divine alla pietà e ad una Divozione illuminata fin dalle prime manifestazioni dell‟intelligenza. Sa Iddio se debbono piú gratitudine i fratelli minori e la sorella al fratello grande per tutte le belle cose che diceva loro ed i bei esempi che offriva, o il fratello grande a loro per il tirocinio che essi gli procurarono. 329 Ivi, p. 231. 330 R. FRASSINETTI, Giardino di divozione pei Giovinetti, Oneglia 18546, pp. 3-6. 176 CAPITOLO XIII BRUCIAMI, SIGNORA, IL CUORE COL FUOCO DEL TUO AMORE Se le prime cognizioni che si danno [ai fanciulli] quando cominciano ad usare di ragione sono quelle che formano il cristiano, i fanciulli si troveranno formati tali senza avvedersene, quasi nati e non fatti. Le prime impressioni dell‟infanzia restano piú profondamente radicate e hanno influenza piú potente sopra tutta la vita dell‟uomo; né questo fa bisogno provare mostrandone le verità un‟esperienza costante. G. FRASSINETTI, Compendio della Teologia Dogmatica. Esperienza validissima come quella fatta da lui e dai suoi fratelli, che si ritrovarono formati cristiani senza avvedersene, quasi nati e non fatti. 177 Scrivendo per i fanciulli, sia lui sia il fratello don Raffaele, non fanno che tornare alle prime impressioni dell‟infanzia [che] restano piú profondamente radicate e hanno influenza piú potente sopra tutta la vita. Una casa, quella dei Frassinetti, in cui l‟anima respirava Dio come i polmoni respiravano aria. Se ne trova conferma nelle numerose pubblicazioni che il santo Priore ed il fratello don Raffaele destinarono ai fanciulli ed ai giovanetti, sia maschi che femminucce. In queste pagine si avvertono le impressioni della loro infanzia rimaste vive nel loro cuore e da esse possiamo arguire quale sia stata la loro vita di pietà negli anni della loro fanciullezza: Io che sono tutto tenero d‟affetto per voi – dice don Raffaele ai fanciulli a cui dedica il suo Giardinetto di divozione –, e che mi sono sempre occupato di voi, e che finché avrò vita mi occuperò piú di voi che di altri, poiché vedo che si può far tanto bene... e indirizzarvi tutti nel retto sentiero che mena a virtú, e farvi amare solo pietà e devozione, e aborrir vizio e peccato, e innamorarvi tutti di Dio, pensate quanto volentieri mi occupai del piccolo lavoro giudicando di far cosa a voi graditissima ed anche di non piccola utilità... In ultimo (e questa sarà la cosa a voi piú che graditissima ed utilissima, e che non troverete forse in altro libro di divozione) avrete molti esempi di Santi, che io trassi da autori accreditati... Io so che i giovinetti non altro ascoltano piú volentieri che gli esempi dei Santi. Se ascoltano una predica, ci vorrebbero l‟esempio di un santo, se un discorso l‟esempio di in santo, se il catechismo l‟esempio di qualche Santo, e se leggono un libro devoto, ci vorrebbero sempre incontrare l‟esempio di qualche Santo. Ve ne avrete anche molti di Santi giovinetti... vi avrete moltissimo di che imparare e prendere quel santo impegno e zelo che avevano costoro per la gloria di Dio e la salvezza della loro anima331. In quel libretto si avverte un eco di come mamma Angela usava instillare ai figli piú grandicelli la vita cristiana, e questi poi, alla sua morte, insieme alla zia Anna, l‟instillarono a lui lasciato cosí piccolo. Un linguaggio semplicissimo con tanti esempi di santi: Dio è un gran elemosiniero, e se egli tanto raccomanda la limosina agli uomini, molto piú la dee far Egli il quale è sí ricco, e di natura sí liberale, e sí buono. Perciò presentatevi sempre davanti a Dio siccome poverelli che non avete in voi niente di bene, miserabili, bisognosi di tutto, e Iddio volgerà benigno lo sguardo sopra di voi... Di chi sentirà pietà e compassione se non 331 6. RAFFAELE FRASSINETTI, Giardino di divozione pei Giovinetti, VI ed., Oneglia 1854, pp. 3- 178 del poverello?...332. Le preghiere, il tono con cui le raccomanda ed i consigli che vi aggiunge, tenuto pur conto dell‟esperienza pastorale fatta alla scuola del fratello Giuseppe, sanno tanto di ciò che si sentiva dire lui fanciullo dalla mamma mentre lo vestiva o lo poneva a letto, e poi, lei morta, dalla nonna, dalla zia e dalla sorella: Appena svegliati, segnatevi col segno della santa Croce e dite: Mio Dio vi amo sopra ogni cosa e vi dono il mio cuore. Maria Santissima, beneditemi. Non state oziosi a letto, vincete la pigrizia, alzatevi subito. Ancorché siate solo nella vostra stanza, vestitevi con tutta modestia, pensando che Dio vi vede, e che siete sotto gli occhi del vostro Angelo Custode. S. Francesco di Sales... osservava uguale compostezza. Quindi dite in ginocchio...333. Que‟ giovani che si accostano frequentemente alla comunione non cadono mai, o quasi mai in peccato; que‟ giovani che stanno lontani dalla comunione fanno le piú miserabili cadute. Questo si sa per esperienza... Quei giudiziosi giovinetti che incominciano dalla prima comunione a cibarsi frequentemente di questa manna di Paradiso e continuano poi sempre, si conservano sempre buoni ed immacolati, e vivono quasi da angioli in questo mondo una vita la piú allegra e contenta, perché, se si può avere pace e maggiore consolazione qui in terra, si ha solo con lo starsi maggiormente uniti al Signore. Dunque... anche tutte le domeniche e le feste del Signore e della Madonna accostatevi a questo Divinissimo Sacramento...334. Con lo stesso tono li prepara alla confessione, all‟ascolto della messa, propone dieci meditazioni sulle verità eterne, suggerisce la visita al Santissimo e a Maria, spiega come dire il rosario e fare la Via crucis. Ed ogni cosa è corroborata da tanti esempi di santi. Se il libretto fosse anonimo, lo penseremmo scritto dal fratello Priore. Ecco un brano da un‟opera di Giuseppe anch‟essa profumata di ricordi d‟infanzia: Qualche volta [a Pio] furono presentati libri e stampe cattive, perché s‟istruisse, o si divertisse leggendovi le tante belle cose, e diremo meglio, brutte cose che vi si trovavano... Se li conosceva a prima vista, faceva come fareste voi se vi venisse presentato un ferro infuocato, oppure una qualche immondezza; per non iscottarvi toccando quello, né sporcarvi toccando questa. Per quanta grazia adoperassero nel presentargli quei libri e stampe nulla mai ottennero perché egli sempre ritirava dispettosamente le mani, e 332 Ivi, p. 8. Ivi, p. 9. 334 Ivi, pp. 29-30. 333 179 diceva franco: Di questa merce io non tocco. Che se non li conosceva per libri e stampe cattive, ma aveva qualche motivo di dubitarne, li portava tosto al suo confessore, o ad altro buon sacerdote di sua conoscenza, e sentendo che erano scritti cattivi o pericolosi non li riportava piú a casa, se non talvolta, avendone il permesso, per fare un falò, del quale molto si dilettava pensando come in fiamme, faville e fumo se ne andasse all‟aria tutta l‟iniquità e la sporcizia che stava in quelle carte. Tuttavia accadeva sovente che, mostrandosi cosí cauto, e insieme cosí franco nell‟adempiere ai suoi doveri, era burlato, proverbiato, trattato da scrupoloso e bigotto da gl‟impertinenti e scandalosi che restavano da lui mortificati. E che conto faceva di que‟ motteggi e disprezzi? Il conto che fa la luna dei cani quando le abbaiano. I cani alle volte abbaiano fortemente alla luna quando se ne scorre tranquilla per il sereno del cielo nel silenzio della notte; forse la luna se ne disturba, s‟intimidisce, ritorna indietro? La luna lascia che abbaino, e tira avanti senza badarvi. Cosí faceva Pio, anzi faceva qualche cosa di piú; perché non solo lasciava dire, ma rideva di quei motteggi, e pregava il Signore che illuminasse quei ciechi che lo disprezzavano335. Si cancelli Pio e si scriva Giuseppe o uno dei suoi fratelli e si ha una bella fotografia dei fanciulli di casa Frassinetti. Se voi aveste conosciuto Pio, avreste veduto un giovinetto vispo, spiritoso, disinvolto, franco, coraggioso; ma insieme sempre timoroso di far peccato: quindi sempre vigilante sopra sé stesso per custodire gli occhi, le orecchie, la lingua, le mani; perché nessuna cosa gli fosse occasione di commettere peccato; e altrettanta cautela usava a riguardo dei pensieri: qualora il demonio gli metteva in capo qualche pensiero che non fosse puro come i pensieri degli angeli, diceva subito nel suo cuore, GESÚ, MARIA, e non voleva badarvi neppure per un momento. Il timore di far peccato non lo lasciava mai né di giorno né di notte336. Questo Pio è in tutto somigliante al ritratto che santa Paola ci ha lasciato del fratello, ritratto che riporteremo completo piú sotto: Ebbe da natura un carattere focosissimo,… neppure scusava o copriva le mancanze che commetteva a causa della sua grande vivacità... dai primi suoi anni mostrò di avere grande orrore non solo al peccato, ma anche alle piú piccole bugie, che mai disse,... diceva [a chi di loro fosse disposto a dir cose che la mamma non voleva si dicessero]: Sta zitto, fai peccato perché disobbedisci a mamma. 335 336 G. FRASSINETTI, Esercizi spirituali pei giovinetti d‟ambo i sessi, Genova 18654, pp. 95-97. Ivi, pp. 98-99. 180 Ancora qualche pennellata di questo Pio in cui si intravede Giuseppe quand‟era piccolo: Ma, dunque, direte voi, questo giovinetto avrà fatto una vita infelice, triste, malinconica, sempre afflitta e conturbata dalla paura. Eppure no: come vi diceva, egli era un giovinetto vispo, spiritoso e disinvolto, franco, coraggioso, l‟ immagine dell‟allegria e del buon umore: egli era sempre contento ed era un piacere a vederlo... Il timore di cui vi parlo è il principio della sapienza che riempie l‟ anima di consolazione, perciò chi possiede questo preziosissimo timor di Dio, non può essere afflitto e malinconico... Pio lo possedeva ed era il piú allegro giovinetto del mondo 337. La morte della mamma per i piú grandicelli segnò un prima e un dopo. In un anno e mezzo quattro bare. Il fratellino Camillo di pochi giorni, la mamma a meno di una settimana di distanza, di lí a sei mesi Bartolomeo, il piú piccolo degli orfanelli, che aveva appena cominciato a sgambettare e a chiamare mamma chi mamma non gli era e su cui si riversava tutta la tenerezza dei fratelli. L‟anno appresso la nonna. Il padre, già di per se stesso austero, ridere e scherzare in quegli anni l‟avranno visto poco, e come la mamma cui tocca fare anche da padre è troppo mamma, cosí il padre cui tocca fare da mamma è troppo padre. La paura di non avere per i figli la custodia che avrebbe avuto la loro mamma, senza che egli se ne avvedesse, lo faceva essere piú rigido di quanto non occorresse e che per natura ed educazione fosse portato. Ma il padre era tutto il giorno fuori in bottega, in casa rimaneva la zia, e la zia... era zia, e si sa, le zie non sposate sono sempre state, chi piú chi meno, arrendevoli con i nipoti. Non sanno esigere quel che sa esigere una madre, né l‟occhio d‟una zia giunge dove giunge l‟occhio della mamma. Cosí, quei cinque nipotini in gara a chi dava piú gusto a Dio riuscivano a mascherare con disinvoltura le loro intemperanze. Se la mamma fosse vissuta, avrebbe certo moderato quel desiderio di imitare i santi e la fretta di farsi anch‟essi presto santi, impedendo a Paola i molti e prolungati digiuni e proteggendo le mani di Giuseppe dal freddo. Casa e chiesa, quei ragazzi, ci dicono i testimoni chiamati a deporre ai due processi di canonizzazione. Una casa trasformata in chiesa con i loro altarini e sacre immagini, e celebrazioni di messe, novene, benedizioni, con tanto di latino in bocca dell‟officiante, latino comprensibile solo alle orecchie del Signore, e prediche, e processioni di stanza in stanza, cantando 337 Ivi, pp. 99-100. 181 tutte le canzoncine apprese in chiesa. Don Giuseppe sacerdote e parroco non si stancherà di far cantare i giovani, e, per il canto, scriverà una infinità di strofe devote, mettendo a servizio della pietà l‟arte poetica appresa alla scuola del Gianelli, seguendo anche in questo il suo maestro sant‟Alfonso: legare le verità della santa fede alla melodia del verso e del canto: La musica ha una dolce e forte attrattiva di modo che si trae dietro i cuori anche meno sensibili... Procura adunque che specialmente la gioventú impari a cantare buone e pie canzoncine... Un santo Vescovo dell‟antichità, vedendo il suo rozzo popolo molto restio ad ascoltare le verità della fede, le riduceva in versi e le cantava a capo d‟un ponte dove era gran passaggio. Attratte dal canto si fermavano quelle genti ad ascoltare la salutare dottrina che non volevano ascoltare altrimenti338. Scrivendo queste raccomandazioni per i giovanetti sarà tornato a quei lontani anni ed alla sua casa in Ponticello: Dove lavori, dove studi, o in qualunque luogo stai quotidianamente, metti un‟immagine divota che tu abbia a vedere anche soltanto che alzi gli occhi. Questa immagine sia di Gesú o di Maria, e, meglio, di Gesú e di Maria insieme; ma sia veramente divota, cosicché al solo mirarla ti nascano in cuore divoti pensieri....339. L‟immagine di Maria vi ricorda che Ella dal cielo vi vede e vi tiene sopra gli amorosi suoi occhi, discacciando il demonio lontano da voi... Una divota immagine di Maria... vi concilia lo spirito della preghiera, vi ravviva nel suo amore e nel desiderio di poterla vedere e contemplare, quando che sia, bella e gloriosa... Un‟immagine di Maria mettete pure nella vostra stanza per meglio ricordarvi che siete sotto i purissimi suoi sguardi; e ogni volta che vi entrate o ne uscite, salutatela con le parole Ave Maria dandole intanto un riverente bacio figliale. Che se questa non fosse in comoda posizione, potreste tenervi una sua immagine affissa alla porta della vostra stanza... Ben custodita quella porta alla cui guardia siede Maria!340. Le giaculatorie sono brevi orazioni e quasi sospiri del cuor divoto... le anime pie che procurano di tenere il loro cuore unito a Dio, fanno frequentemente di queste brevi orazioni... Voi procurate di farne spesso, indirizzandone pure in buon numero anche a Maria, particolarmente quando vedete alcuna sua immagine... 338 ID., Industrie spirituali, “Letture cattoliche”, Torino 1860. Cito dalla 3 a ed., Genova 1864, pp. 43-44 e p. 7. 339 Ivi pp. 68-69. 340 ID, Avviamento dei giovinetti nella divozione di Maria Santissima, Roma 1846, pp. 12-13. 182 Negli esempi suggerisce, tra le altre altre giaculatorie, una di san Bonaventura: “Bruciami, Signora, il cuore col fuoco dell‟amor tuo”341. Era tanta l‟importanza che dava alla pietà dei fanciulli, da raccomandare agli adulti di ricorrere alle loro preghiere per ottenere le piú belle grazie dal cielo: La S. Chiesa fin dai primi secoli riconosceva una virtú particolare nelle preghiere dei fanciulli, e perciò voleva che essi specialmente pregassero nella liturgia della S. Messa. E S. Giovanni Crisostomo predicava: Giacché gli adulti hanno offeso Dio e provocato ad iracondia, lo plachino i fanciulli innocenti colle loro preghiere. Per la qual cosa, qualora tu abbia da ottenere qualche grazia, specialmente se sia di molta importanza, fa pregare i fanciulli...342. La Chiesa parrocchiale dei Frassinetti era Santo Stefano, parroco don Francesco Tagliafico, uno dei nove preti diocesani che abbiamo trovato schedato nel rapporto di polizia al governo piemontese nei giorni in cui la Liguria veniva assegnata dal Congresso di Vienna ai Savoia: “TAGLIAFICO. Parroco di S. Stefano. Ha mediocri talenti. È Napoleonista ed appartiene all‟indipendenza”343. Troppo poco per dedurne che anche in lui, al pari d‟altri ecclesiastici genovesi che avevano simpatizzato per il nuovo ordine, ci fosse una qualche tendenza al rigorismo giansenistico e fosse un sacerdote piú preso dalla politica e dalle cose dette serie, le nugæ maiorum, che dalla cura dei fanciulli. Potrebbe farlo pensare di tendenze rigoriste una lettera che gli scrisse il Frassinetti, già parroco a Quinto, che s‟apre con le parole: “Perdonerebbe uno scrupolo... a un liguorista?...”344. Quel “Perdonerebbe… a un liguorista” si riferiva certo all‟opinione che il suo parroco aveva di lui. All‟epoca in Genova non era un encomio, non condividendo il clero anziano le opinioni morali di sant‟Alfonso Maria de‟ Liguori giudicate troppo benigne, se non addirittura scandalose. C‟è di piú, da ciò che dicono le due ragazze ne La forza d‟un libretto, era normale per le fanciulle confessarsi una volta l‟anno e, se un po‟ piú devote, ogni quattro cinque mesi. Una maggiore frequenza le faceva passare per santocchie. Il grosso problema che quelle due amiche dovettero risolvere, quando decisero di incamminarsi per una via di maggior perfezione, fu quello di riuscire a 341 Ivi, pp. 25.30. G. FRASSINETTI, Industrie spirituali, Genova 18643, pp. 43s. 343 V. VITALE, Informazioni di polizia…, pp. 451. 344 Lettera del 5 ottobre 1832 conservata nell‟AF. 342 183 trovare un confessore che le ascoltasse con interesse e ne favorisse con prudenza la pietà. L‟istruzione religiosa che si dava ai fanciulli era poca e poco frequentata. Imparaticcio di formule a memoria e attestati d‟essersi confessati nei tempi prescritti, se richiesti dalla scuola. La predicazione dal pulpito e dall‟altare li ignorava. A Santo Stefano, una parrocchia di quindicimila anime, ci riferisce il Frassinetti nella vita del suo amico don Sturla, andavano a catechismo una quarantina di ragazzi. Quando cominciarono ad occuparsene lo Sturla ed il Frassinetti salirono a settecento!345. Non mancavano i ragazzi, mancava chi se ne prendesse cura. Queste considerazioni sono necessarie perché non ci si meravigli se in casa Frassinetti troviamo qualche cosa che un prudente direttore di anime avrebbe saputo moderare senza spegnere lo slancio generoso di quei fanciulli. Non credo che ci sia stato santo che, specie in gioventú, non abbia avuto il suo quarto di pazzia, almeno nel giudizio della gente che sa vivere: “Tu sragioni, Paolo, il troppo studio t‟ha dato al cervello!”, l‟impressione che dell‟apostolo Paolo ebbe il procuratore Festo, uno che sapeva vivere 346. Si può ora leggere per intero la testimonianza lasciataci dalla sorella, dove pongo in corsivo le cose che ci possono destare stupore: Giuseppe Frassinetti ebbe da natura un carattere focosissimo, ma sempre inclinato alla pietà. Anche dai primi suoi anni mostrò di avere grande orrore non solo al peccato ma anche alle piú piccole bugie, che mai disse, e neppure scusava o copriva le mancanze che commetteva a causa della sua grande vivacità. Se alle volte mostrava qualche curiosità domandando ai fratelli piccoli cosa si era fatto in casa in tempo di sua assenza, e quelli rispondevano: “Mamma non vuole che lo diciamo”, non voleva piú sapere altro, e se vedeva qualcuno disposto a soddisfare alla sua domanda, non voleva sentirlo, e gli diceva: “Sta zitto, fai peccato perché disobbedisci a mamma”. Era ubbidiente ai genitori in tutto; solo quando volevan vestirlo con abiti fini e fatti alquanto alla moda non vi si poteva indurre, né volle mai camicie inamidate e stirate bene. I suoi divertimenti ordinari era fare altarini. Dopo la morte della madre che lo lasciò di circa dodici anni – in realtà ne aveva compiuto da poco quattordici – si diede piú che mai allo studio ed al ritiramento: non uscendo mai di casa che per recarsi alla Chiesa ed alla scuola: e quando rimaneva in casa si trovava sempre in camera a studiare. Dormiva assai poco, e dallo stare tante ore nell‟inverno a tavolino a studiare soffriva molto freddo e gli si coprivano le mani ed i piedi di geloni talmente 345 G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla vita del Sac. Luigi Sturla, Opera postuma, Genova 1871, pp. 12-14. 346 At 26,24. 184 che gli facevano piaga, con tutto ciò non volle mai adoperare fuoco, né in altro modo coprirsi onde diminuire o liberarsi da quel dolore incomodo347. Non solo non mangiava mai fuori pasto, ma neanche si sarebbe messo in bocca la piú piccola cosa come sarebbe un acino d‟uva, un confettino o simili. Crescendo negli anni cresceva in lui lo spirito di mortificazione e cominciò ad usare catenelle e disciplina. I suoi discorsi in famiglia erano sempre diretti ad infondere nel cuore il disprezzo e l‟aborrimento a tutto ciò che è vanità e che è amato dal mondo, e stima ed amore per la virtú anche la piú sublime348. Uguale spirito di penitenza ed abnegazione nella sorella, come si ricava dalla deposizione di suor Elisa Vassallo al processo: [Paola] divenne cagionevole di salute per le sue mortificazioni frequenti. Oltre i digiuni prescritti dalla Chiesa, che ella osservava anche prima d‟esservi obbligata, – anche in questo passo le sottolineature sono mie – digiunava pure tutti i sabati, come si ricava dalla suddetta lettera del fratello, e nella vigilia dell‟ Immacolata Concezione in pane ed acqua. Concedeva poco al sonno poiché doveva attendere a tutte le faccende domestiche e nulla voleva togliere ai suoi esercizi di pietà, ed inoltre si alzava prestissimo perché si era assunta l‟incarico di destare i fratelli quando dovevano mettersi allo studio di buon‟ora, perciò andava a riposare vestita e col busto molto stretto onde avere un sonno irrequieto e destarsi facilmente. Tante fatiche e mortificazioni la indebolirono nella sua salute e fu presa da una tosse ostinata che le faceva emettere dalla bocca molto sangue ed era ridotta a tale estremo che i medici le concedevano appena una quindicina di giorni 349. Si direbbe un ricalco del fratello. Quasi in parallelo, trent‟anni prima che fossero scritte queste Memorie su Paola, il Fassiolo scriveva del Fratello: Buon tempo ancora [consacrava da studente] negli esercizi di pietà al mattino e alla sera. E lo scrivente può attestare che una volta in un discorso famigliare con due o tre giovani studenti, disse francamente che egli da giovane non mai tralasciò un giorno d‟assistere al santo Sacrificio della Messa... Da chierico cominciò a digiunare ogni Sabato in onore di Maria, ed ogni anno alla vigilia di N. S. Immacolata in pane ed acqua... i quali digiuni continuò 347 Continuò cosí fino alla tarda età come ci risulta da una lettera al vescovo di Albenga in cui si scusa non avergli risposto prima perché impedito dai geloni alle mani. AF. 348 Documento addotto al processo dalla suora dorotea Maria Elisa Vassallo, provinciale dell‟Istituto, che attesta d‟averlo copiato da un autografo della fondatrice Paola Frassinetti. Cfr. Poss., Summ. add., Pars II, p. 40. 349 POS.PF, pp. 35s. 185 per alcuni anni essendo Parroco a Quinto, ma, considerando che potevano recar danno alla salute, dovendo specialmente il Sabato confessar molto e la Domenica predicare piú volte, si contentò di una sola mortificazione... Non fu mai solito mangiare fuori di pasto...350. Per la comunione all‟epoca c‟era l‟obbligo del digiuno assoluto, neppure un sorso d‟acqua fin dopo la messa di mezzogiorno. Né da meno era la sorella: Ma Paola nascondeva con disinvoltura quanto soffriva, sí perché non voleva affliggere i suoi cari, sí anche perché era contenta di patire qualche cosa in silenzio per amore del suo Dio. E sapeva far cosí bene che, sedendo a mensa col padre e coi fratelli niuno di essi accorgevasi che il suo pasto, già cosí misurato, era ormai divenuto scarsissimo351. Peccato che nella testimonianza sulle sue penitenze eccessive, pregiudizievoli alla salute, non siano precisati i tempi, se prima o dopo della morte della zia. Le suore che stesero le Memorie provarono a darci una spiegazione che fa pensare all‟Ape ingegnosa descritta dal fratello: Quando voleva mortificarsi nel mangiare, diceva che non ne aveva voglia che equivale a volontà; e veramente, non volendo mangiare, non aveva questa volontà...352. Le cose cambiarono quando il fratello prese Paola con sé a Quinto, dove la vediamo rifiorire, il che fa pensare che l‟ape ingegnosa non riesce piú a mascherare i suoi digiuni ad un fratello esperto nella stessa arte. Conosciamo altre notizie di Paola che fanno pensare ad un suo conformarsi a quanto vedeva fare dal fratello. Ci fa da spia quella suo rifarsi a 350 DOMENICO FASSIOLO, Memorie storiche intorno alla vita del Sac. Giuseppe Frassinetti Priore a S. Sabina Genova, 1879, pp. 17 e 116s. Tali pratiche in onore della Madonna sono passate ai Figli di Maria, una mortificazione il sabato, digiuno e astinenza la vigilia dell‟Immacolata. 351 Memorie..., pp. 13. 352 G. FRASSINETTI, Industrie..., p. 88. Molti comportamenti di quell‟Ape fanno pensare a ricordi di casa legati alla sorella. Come quello nella pagina successiva, sostituendo all‟amica lui, Giuseppe: “Una volta, desiderando fare una correzione ad una sua parente dalla quale temeva che fosse mal ricevuta, pregò una sua amica che alla presenza della parente le facesse una forte correzione su quella mancanza come se l‟avesse commessa ella stessa, avvisandola però a misurare le parole in modo da non dire bugia. L‟amica la serví giusta il suo desiderio; ed essa la ringraziò e le promise che per l‟avvenire si sarebbe guardata dal commettere piú tali mancanze. La parente, senza sospettare dell‟arte, restò edificata della sua umiltà nel ricevere la correzione e capí frattanto che avrebbe dovuto essa stessa emendarsi”. 186 Sant‟Alfonso, il santo che si era scelto a maestro il fratello. Depose suor Marianna Danero: Siccome [Paola] amava la solitudine, ne‟ giorni di festa, finite le funzioni in chiesa, il fratello mi diceva: “Andate con mia sorella a divagarvi un poco, cosí ci recavamo al bosco vicino ed allora ella prendeva a parlarmi di qualche tratto della vita di qualche santo o santa, specialmente di S. Maria Maddalena de‟ Pazzi, dell‟amore che Gesú Cristo ci porta nel Santissimo Sacramento, di cui era sommamente devota,... Venuto il Giovedí Santo di quel primo anno, in cui ci conoscemmo, mi pregò di accompagnarla nella visita dei santi sepolcri nelle parrocchie circonvicine di Nervi, di Quarto etc. ed in quella circostanza non fece che parlarmi della Passione di Gesú Cristo con molto fervore e mi ricordo che teneva seco due libri di S. Alfonso, cioè la Pratica di amare Gesú Cristo e le Visite al SS. Sacramento. Contemporaneamente ella cominciò l‟opera di carità verso le fanciulle povere... Insegnava il catechismo... Si accostava ogni giorno alla sacra Mensa353. I santi di cui era devota Paola sono gli stessi di cui era devoto Giuseppe: Era pure divotissima degli angeli e dei santi, e spesso si dilettava a farne argomento delle sue conversazioni. S. Alfonso Maria de‟ Liguori, S. Ignazio di Loyola, S. Maria Maddalena de‟ Pazzi... erano quelli i cui nomi le venivano piú frequentemente sulle labbra354. In una pagellina, di cui dal 1839 al 1847 si diffusero 40.000 copie, il fratello aveva scritto: Dimandiamo anime a Gesú, diceva S.ta Maria M[addalena] de‟ Pazzi alle monache sue compagne, dimandiamone tante, quanti passi facciamo pel monastero; dimandiamone tante, quante parole recitiamo nel Divino Ufficio355. Su santa Maria Maddalena de‟ Pazzi il Frassinetti tornò a piú riprese: nel 1853 pubblicò Le amicizie spirituali... stimolo allo zelo per la salute delle anime da santa Maria Maddalena de‟ Pazzi; nel 1855: Tre sacri gioielli della serafica del Carmelo S. Maria Maddalena de‟ Pazzi. Nei manoscritti a noi 353 POS.PF., Summarium, pp. 2s. Memorie intorno..., pp. 501s. 355 G. FRASSINETTI, Culto perpetuo ad onore del SS. Sacramento. Si trrattava d‟una pagella a noi non pervenuta ma riprodotta nelle Memorie intorno alla Congregazione del B. Leonardo da Porto Maurizio, Genova 1857, pp. 154-156. Questa forma di culto fu “stabilito nella Parrocchia di Quinto la prima volta nell‟anno 1833 o 1834” (ivi p. 45). La data ci dice che è l‟epoca che ha con sé la sorella in canonica. 354 187 pervenuti troviamo anche Estratti dalla vita di S. Maria Maddalena de‟ Pazzi del Puccini356. La Vassallo ci conferma che Paola leggeva libri spirituali, particolarmente le opere ascetiche di S. Alfonso357. Queste testimonianze ci dicono che in casa Frassinetti, durante gli anni del chiericato di Giuseppe ed i primi del suo sacerdozio, si leggevano vite di santi, venivano tutti addestrati all‟insegnamento del catechismo, non solo i fratelli chierici, ma anche Paola, e che di tutti era maestro di spiritualità il beato Alfonso Maria de‟ Liguori, la grande scoperta fatta in quegli anni dal nostro Servo di Dio. Queste testimonianze sono inoltre una conferma a quanto sopra si è argomentato: a monte d‟ogni libro del Frassinetti c‟è la sua vita vissuta e, in non pochi di essi, un ritorno agli anni della sua gioventú e ai discorsi avuti in famiglia con la sorella e con i fratelli. Nel 1837, ancora parroco a Quinto, scriveva: Se mi fosse chiesto di quali opere, tra l‟altre molte, si dovrebbe particolarmente promuovere la lettura, io direi delle opere del B. Alfonso Maria de Liguori. Queste servono pel dotto egualmente che per l‟ignorante, essendosi egli fatto tutto a tutti; vi trovi una purità di dottrina che nulla puoi desiderarne di piú, un fervore di spirito che difficilmente ti verrà fatto riscontrarne maggiore in altra scrittura di uomo; una semplicità che, quantunque spesso rozza e disadorna, ti piace e ti tocca fortemente il cuore...358. Il libricciuolo delle sue Massime eterne per me vale un tesoro, e vorrei sapere se altro ne esista piú adatto per addestrare i rozzi all‟importantissimo esercizio della meditazione sopra i novissimi, sopra la passione di Gesú Cristo, e sopra le altre fondamentali verità della nostra S. Fede. Deh esso fosse nelle mani di tutti quelli che arrivano a saper leggere e ne leggerssero qualche tratto ogni dí! Nella Pratica d‟amar Gesú Cristo parmi trovar raccolto il fiore dei libri buoni: e chi lo potrà mai leggere da capo a fondo, senza trovarsi sforzato ad anatematizzare coll‟Apostolo chiunque tra gli uomini non ama Gesú Cristo?359. 356 AF, Man., vol IV, pp. 515-531. E. VASSALLO, Memorie..., pp. 33s. 358 G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici, Genova 1838, pp. 20-21. Cito dalla terza edizione, rarissima. La prima del 1837 e la seconda (un‟edizione pirata stampata a Milano) non ci sono purtroppo pervenute. 359 Ivi, nella nota 9. Il nome del Liguori agli occhi dei rigoristi era peggio del panno rosso agli occhi del toro, e fu causa non ultima delle ire suscitate contro il nostro Servo di Dio, ire 357 188 Se la mia ipotesi, che ne La forza di un libretto v‟è un eco dei discorsi tenuti in casa dal Frassinetti quando era seminarista e giovane sacerdote, ha un fondamento, avremmo la conferma che il fratello grande nutriva spiritualmente i fratelli minori servendosi soprattutto delle opere di sant‟ Alfonso: VIRGINIA-PAOLA – L‟ora è già tarda... va a prepararti per uscire. Chiamami Dominica che vo‟ sapere se mi ha comprato certi libri. ELISA – Quai libri ti fai comprare? VIRGINIA-PAOLA – Me li suggerí il Confessore [supposta vera la mia ipotesi, leggi: mio fratello Giuseppe]: La pratica di amare Gesú Cristo e le opere spirituali di S. Alfonso gran Vescovo e gran Santo, come mi disse, di questi ultimi tempi. ELISA – Me li mostrerai dimani, e anch‟io me li farò comprare... VIRGINIA-PAOLA – Vedrai che S. Alfonso ne tratta: ho trovato che nelle opere spirituali vi sono le meditazioni per tutti giorni della settimana, e il Confessore mi disse che adesso ne leggessi attentamente una per giorno, che quindi la prima volta che sarei tornata da lui mi avrebbe meglio istruito sul modo di farla. Sant‟Alfonso diventa il loro testo: ELISA – Alle sei mi alzerò anch‟io e farò quindi mezz‟ora di meditazione sulla norma datami oggi dal Confessore; fa tu lo stesso. VIRGINIA-PAOLA – Oggi ti ha dunque istruita sul modo di farla; riserbava a me quest‟istruzione per la prima volta che vi sarei tornata. ELISA – Sentendo che andava in villa, non ha potuto differire; però è cosa semplicissima; ho veduto che in poche parole S. Alfonso, prima delle meditazioni sulle massime eterne, accenna il modo di farla, e per ora ti sarà di regola finché non torni a confessarti. Innamoratesi delle opere di sant‟Alfonso, si mettono ad escogitare i modi per conquistare le compagne che già hanno avvertito in loro un cambiamento e sono attirate dal loro esempio: VIRGINIA-PAOLA – Quando [esse] siano nel giardino, lascerò cadermi dal balcone le opere spirituali di S. Alfonso avvolte in un fassoletto (sic) e scenderò tosto a prenderle. Quindi loro le mostrerò dimandando se le conoscono: pensa se le conosceranno! Comincerò a dire come mi ancora vive dieci anni appresso nel Gesuita moderno del Gioberti. In questa nota, una delle 19 apposte alla terza edizione delle Riflessioni, il Frassinetti si difendeva dalla critica d‟aver suggerito le opere dell‟ancora beato Alfonso Maria de‟ Liguori. 189 piacciano...360. Prima di chiudere il capitolo piace giustapporre alle parole del Frassinetti quelle che un letterato, don Giuseppe De Luca, avrebbe scritto ad un secolo di distanza: Uno piú bello dell‟altro, mio caro lettore, [la Pratica di amare Gesú Cristo, la Passione di Nostro Signore Gesú Cristo e altri Opuscoli sull‟Amore Divino]. Limpide, piane, ardenti pagine, che sono tutta una preghiera e una preghiera intessuta come nel parlare dei Padri di espressi o taciti brani di Sacra Scrittura; tutte gremite di fatti e di voci dei piú cari e dei piú alti Santi. Pagine senza presunzioni di grandi pensieri, senza impennature di vedute nuove, senza leccature di stile e lenocini di grazie letterarie; e tuttavia vive e calde come dolce focolare, mormoranti e suadenti come una pura vena d‟acqua preziosa. Pagine nelle quali il Santo non si distacca un attimo dai piedi sanguinanti di Cristo, e ripete al suo Amore crocifisso, senza mai venir meno, le sue parole d‟amore e di dedizione totale361. Palato buono il nostro Giuseppe, e “gustosa” e nutriente la cucina napoletana che la sorella ed i fratelli assaporavano alla sua mensa. La spiritualità di Paola, come evince dal processo di canonizzazione, è tutta informata su quella del fratello, da cui aveva largamente attinto negli anni giovanili vissuti insieme. Quando si separarono continuò a formare le sue suore e le sue educande sulle opere di Sant‟Alfonso e su i ricordi di quella scuola domestica i cui insegnamenti ritrovava nei libretti che il fratello andava scrivendo ed essa distribuiva a centinaia di copie. 360 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto, pp. 119.128.165.167s. Mi sono permesso qualche piccolo ritocco all‟ortografia. 361 G. DE LUCA, Piano... con Sant‟Alfonso!, in “L‟Avvenire d‟Italia” del 19 settembre 1934. 190 CAPITOLO XIV MIRA QUANT‟È BELLO ESSERE FRATELLI E VIVERE UNITI362 362 Cfr. Sal 133(132),1. 191 Un versetto, quest‟attacco del salmo 133, che si direbbe scritto dal salmista mentr‟era preso da ammirazione di come i fratelli Frassinetti fossero uniti tra loro e come si volessero bene. Prima di passare a parlare degli studi di Giuseppe in preparazione al sacerdozio, fermiamoci ancora un poco sulla sua vita di famiglia, anticipando le relazioni che tra loro si protrassero per tutto il tempo che vissero. Ce ne offrono ricca materia le lettere della sorella al padre ed ai fratelli, soprattutto a Giuseppe. Ce ne sono pervenute 28 al padre, 40 a Giuseppe, 8 a Giovanni, una a Raffaele, nessuna a Francesco, in tutto 77. Francesco e Raffaele, al pari di lei, dovevano essere soliti non conservare le lettere, cosí pure Giovanni, salvo qualche eccezione. Che ci fosse anche con loro uno scambio di lettere si ricava dagli accenni che si incontrano nelle altre a noi pervenute. Oltre alle lettere non conservate o andate smarrite, ci furono anche delle lettere al fratello Giuseppe che dovettero essere intercettate alla posta. La sorella glie ne esprime il dubbio in una lettera del 4 agosto 1853: Io non so che cosa succeda delle lettere che scrivo a te; a chiunque scrivo, le lettere vanno e le tue si perdono, forse te le prendono? Da qui in avanti le indirizzerò a[l nostro fratello] Prete Giovanni per vedere se sono piú sicure363. Nelle lettere al padre si nota un grande rispetto, ma un rispetto che non la blocca minimamente dall‟aprirgli il cuore e parlargli di sé, del suo lavoro, delle cose sue e delle cose della congregazione, un continuare per lettera quel che aveva usato a casa ogni sera al suo ritorno dal negozio riferendogli su questo e su quello. Giovan Battista è un padre che vuol sapere, che ha diritto a saper tutto per approvare, consigliare, incoraggiare e fare le sue osservazioni. Viva la moglie, come alla maggior parte dei padri, gli bastava venire informato sulle cose d‟un qualche rilievo; rimasto solo, dovette cominciare ad occuparsi anche dei piú piccoli bisogni di quelle sue creature e quindi a voler sapere tutto di loro. Scomparse anche la nonna e la zia di quei ragazzi, fu Paola a prenderne il posto: – Papà, oggi Raffaellino... Papà, a Giuseppe ho stirato bene la camicia ma non c‟è verso di fargliela mettere, non vuol proprio saperne di vestirsi con un po‟ piú di ricercatezza in modo da non far brutta figura tra i suoi compagni. A comparire non ci tiene 363 P. FRASSINETTI, Lettere, Roma 1985, p. 50. 192 proprio per nulla... –. Discorsi simili si dovettero ripetere ad ogni ritorno del padre a casa. Giovan Battista si era talmente abituato a quella figlia, che gli riempiva i vuoti che gli si erano creati in casa, da non accorgersi che Paola era cresciuta e che aveva un suo sogno che l‟attirava lontano. Rimandiamo alla seconda parte la storia del suo distacco dal padre e dalla famiglia per seguire la sua vocazione. Lo strappo fu doloroso, ma data la sua benedizione, gli bastava che Paola continuasse ad aprirgli il cuore con le sue lettere senza tacergli nulla. Cominciamo dalle due ultime: Nella sua ultima quasi si lagnava che io non Le diedi notizia del risultato di Bologna – gli scriveva il 6 gennaio 1853, poco piú di un mese prima che egli morisse –; ha ragione e rimedio adesso alla mancanza. Quando partii da Bologna le cose stavano ancora a mal partito, ma, ritornata a Roma, in pochissimo tempo tutto si accomodò, per la parte che ne prese il Santo Padre, il Cardinal Vicario ed il Cardinal Prefetto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Religiosi, per cui adesso stiamo in perfetta calma; il Cardinale Arcivescovo di costà vede volentieri la nuova fondazione e le Suore. Il Legato del S. Padre, Monsignor Grassellini, è tutto impegnato per noi e ha già dato una elemosina di scudi trecento... Mi aiuti, caro Padre, a ringraziare Iddio di tanta grazia e gli domandi per me la necessaria corrispondenza... Mi benedica e nell‟atto che le bacio la paterna mano, mi confermo con tutta fretta Di V. S. Stim. Aff.ma Figlia Suor Paola364. Gli scrive ancora di lí ad una settimana e non pensava certo che quella lettera sarebbe stata l‟ultima: Carissimo Padre, sono stata pregata da persona a cui molto devo, di farle venire di costí quaranta palmi di velluto in seta della migliore qualità. Ho scritto per ciò a Suor Antonietta, ma non mi ha inteso, per cui mi rivolgo a Lei. Lei conosce quel negoziante che sta in fondo alla Scurreria o altri; può pregare la zia Manní ad andarci a suo nome... Il colore del velluto dev‟essere nero... Quel che mi raccomando è che mi faccia buona spesa... In quanto al prezzo può arrivare ed anche passare, però di poco, mezzo scudo romano al palmo, ma che sia buono... Perdoni, Padre mio, l‟incomodo, mi saluti i fratelli ed i parenti, mi benedica e nell‟atto che nuovamente mi raccomando per la 364 P. FRASSINETTI, Lettere, p. 95. 193 sollecitudine e buona spesa, passo a segnarmi, Di V. S. Stim. Aff.ma Figlia Suor Paola365. Il padre è il suo grande commissionario. La figlia sa di poter sempre ricorrere a lui con piú certezza che alle sue stesse suore. Faccia grazia di dire al fratello Giovanni..., Dica pure al Don Raffaellino..., Dica a mio fratello Francesco..., Dica a mio fratello Priore sono espressioni ricorrenti. Il nome Padre sempre con la maiuscola, come troviamo anche negli scritti dei suoi fratelli. Il “Lei” e la maiuscola sono una distinzione riservata al solo genitore, con qualche eccezione per il Fratello Priore che indica ora con il fratello Priore ora con il Sig. Priore, eccetto qualche rara volta in cui le sfugge di chiamarlo Pippo, il nome con cui era stato forse chiamato in casa prima che salisse l‟altare. Per gli altri fratelli basta la minuscola ed il vezzeggiativo per i piú giovani di lei, una volta per Giovanni, in modo quasi abituale per Raffaele: Raffaellino, il piccolo di casa, che lei aveva vestito, lavato, divertito, sgridato e fattigli dire le sue prime preghiere. Ai suoi occhi continuava ad essere sempre piccolo, poco importa se già faceva gemere i torchi con fortunate pubblicazioni per i fanciulli, e piccolo rimarrà anche quando avrà oltrepassato la cinquantina, e persino vicino ai settanta: uno incapace di cavarsela da solo, uno a cui bisognava stare sempre appresso come quando era bimbo perché non sapeva neppure aver cura della sua salute. Una salute cosí delicata da far stare gli altri in pensiero. In quel tono protettivo avverti rimprovero, apprensione e tenerezza di madre: Dica anche al Raffaellino, che desiderei vedere i suoi caratteri366. Al Raffaellino poi non dico niente perché lui non mi ha dato incombenze [pur sapendo che andavo a Napoli], né mi ha fatto promesse; le (sic) dica solo che mi raccomandi al Signore e stia bene367. Dica pure a Don Raffaellino che in circa sette anni che sto in Roma già ho avuto una sua di pochissime righe, che non abusi tanto nello scrivere, ché non è secondo la perfezione religiosa, che perciò si moderi... 365 Ivi, p. 96. 366 Ivi, p. 10. 367 Ivi, p. 68. 194 P.S. Quando avevo già scritto la presente, ricevei una di Don Raffaele unita a quattro dei suoi libretti, perciò mi disdico di quanto ho detto a suo riguardo e lo ringrazio368. L‟undici febbraio 1870, scrivendo al fratello Giovanni: Ho piacere che a P[rete] Raffaele non pregiudichi il freddo della mattina, e che cominci a farsi un poco piú uomo; veramente è un poco tardi – aveva 57 anni! –, ma è meglio tardi che mai369. Un‟unica lettera a noi pervenuta delle dirette a Raffaele, datata 5 maggio 1877: Sono contenta che prendi il consiglio del medico; desidero che tu faccia quello che ti giova e non quello che ti può nuocere; sta tranquillo, bada di nutrirti quanto piú puoi, anche per quiete di P[rete] Giovanni [nostro fratello], al quale dirai, a mio nome, che se il fratello Francesco non viene, venga egli come ha fatto sempre... Sto meglio, come vedi, ma ancora non posso scrivere di seguito; la mano non mi sta ferma370. Della maggior confidenza con Francesco, con cui da fanciulla avrà riso e scherzato prendendosi spesso benevolmente in giro, si trova traccia in due lettere al padre quando la sua congregazione si andava affermando anche a Roma ed ella era ormai di casa in Vaticano. In una del 26 febbraio 1848, giorni in cui per tutt‟Italia risonava un sol grido: “Viva Pio IX!”: Dica anche al Sig. Canonico Lateranense e Parroco di Coronata [Francesco] che non piú gli ho scritto perché ancora non ho potuto ultimare l‟affare suo del gran Cappello rosso che sí ardentemete desidera; che si faccia però cuore che nell‟ultimo Concistoro, che fu fatto per l‟elezione di certi Cardinali che furono fatti, Sua Santità se ne serbò uno in petto per pubblicarlo a suo tempo, e chi sa che non sia lui; che speri dunque e si prepari; io però sto con forte timore che, se è vero che sia lui il rimasto in petto a Sua Santità, cosí piccolo e magro che è, non gli sia di nessuna gravezza e che perciò si 368 Ivi, pp. 42s. 369 Ivi, p. 551. 370 Ivi, p. 1167. 195 dimentichi d‟avercelo e non lo pubblichi mai piú; tolto questo, gli dica che io ho le migliori speranze che possa essere consolato371. Di lí a due anni da Napoli torna a stuzzicarlo con la storia del Cappello. Vi si era recata per aprire una casa ed era stata accolta benissimo dal re e dalla regina perché informati di noi dal Santo Padre [Pio IX] stesso: Dica al fratello Francesco che si è preso collera perché piú non gli ho scritto niente del Cappello. Non è che me ne sia scordata, ma bisogna che aspetti che li facciano nuovi perché i vecchi li hanno buttati al fiume, perciò si calmi372. Si vede che Francesco, scrivendo alla sorella, si divertiva a fare richieste scherzose: – Giacché sei a Roma e di casa in Vaticano... Tu cosí in amicizia col Papa...–. Non diventerà cardinale, ma padre abate sí, e non pare che ne provasse troppo piacere: P.S. Mio fratello, Parroco di Coronata, – scriveva la sorella a madre Vassallo – è stato chiamato qui dal suo Generale; si è trattenuto pochi giorni ed è ripartito Padre Abate e non piú Parroco; ha sentito molto il cambiamento di vita, ma ha dovuto abbassare il capo. Lo pregai che venisse a trovarvi [passando per Bologna], ma credo che non abbia avuto tempo373. Giovanni è il fratello su cui Paola può contare. Una persona versata nel disbrigo degli affari, senza che ne scapitasse il suo ministero. Uno a cui, fin da piccolo, ad ogni emergenza tutti si saranno rivolti: Giovanni, avrei bisogno...; Giovanni, dovresti andare...; Giovanni, dovresti fare... E Giovanni accorreva, andava, faceva, e quel che piú conta, metteva tutto a posto. Anche Giuseppe scaricherà su di lui l‟economia della parrocchia e della casa. Cosí, quando Paola, che prima di allora mai era uscita di casa senza che uno l‟accompagnasse anche per andare in chiesa, nel 1841 dovette imbarcarsi per l‟estero, Roma, il padre e il fratello Giuseppe l‟affidarono a Giovanni. Fu solo il primo dei molti viaggi ed il piú avventuroso. Genova 371 Ivi, p. 42. 372 Ivi, p. 68. Lettera del 2 aprile 1850. Pio IX era ancora profugo nel Regno delle Due Sicilie ospite dei Borboni. 373 Ivi, p. 890. 196 Livorno tutto bene, per mare si intende!, e s‟affrettarono a rassicurare il fratello Giuseppe: 8 Maggio 1841 Caro Fratello , Anticipo la lettera per darti notizia del felicissimo viaggio che abbiamo fatto onde nessuno abbiate a stare in anzietà (sic): nessuna delle Suore né io abbiamo sofferto, anzi se non fosse stato il fracasso del vapore non ci credevamo nemmeno essere in mare. Questa mattina alle 5 arrivammo a Livorno, dopo due ore sbarcammo in terra, e abbiamo trovato subito il Signor Palau Salvatore (un mio amico in Genova) che ci menò in sua casa, ivi facemmo colazione e pranzeremo. Dopo pranzo alle tre saremo di partenza. Mia sorella brama che faccia avvisate le Suore di questo felicissimo viaggio. A Civitavecchia non so se avrò tempo di scrivere, se no, scriveremo quando saremo giunti a Roma. Saluta il Padre, per parte di mia Sorella e di me. Sono il tuo aff. Fratello. Il Polluce, nel viaggio di ritorno a Genova, fu speronato dal Mongibello mentre tutti erano immersi nel sonno ed andò a fondo. Ci fu un morto, e Giovanni: da quanto egli stesso ci narrò, – raccontano le suore – sommerso già nel mare... non mostrava piú che le estremità delle mani a fior d‟acqua per aggrapparsi a qualche cosa, ma inutilmente. I marinai, estenuati per la fatica, e pur tentando di afferrare il naufrago, andavano gridando: Se non si aiuta da sé, noi non abbiamo piú modo di aiutarla. Già già la morte stava per dare l‟ultima stretta alla preda, quando questa, in modo al tutto prodigioso, le venne strappata dalle fauci. D. Giovanni poneva piede sul Mongibello e il Polluce scompariva tra i flutti... La Vergine Santissima aveva salvato il nostro benefattore374. L‟acqua salata dell‟Elba dovette sembrargli di sapore ben piú disgustoso dell‟acqua che a casa facevano bere ai piccoli come cura depurativa se, anche vecchio, dopo ben cinquantacinque anni raccappricciava ancora al solo rammentare quel momento375. L‟amore per la sorella fu più forte della repulsione per l‟acqua marina ed il ricordo del naufragio non lo trattenne dal 374 E. VASSALLO, Memorie..., p. 55. 375 Ivi. 197 tornare a risalire sui vapori e riprendere il mare ad ogni sua chiamata fino a quando non poté servirsi della ferrovia. La prima lettera dell‟epistolario di Paola Frassinetti, febbraio 1835 da Quinto, fu per questo suo fratello alla vigilia d‟essere ordinato diacono e presbitero. Lei, quasi ventisei anni e da sei mesi superiora d‟una mezza dozzina di suore, anzi: madre fondatrice; lui, non ancora compiuti i ventitre. Vi si sente la sorella maggiore che parla. Giustifica il suo non scrivere in nome d‟una scelta di perfezione con un tono che sa di meraviglia ed anche di rimprovero: uno che ha studiato teologia, alla vigilia d‟essere ordinato sacerdote, che non sa quanto importi distaccarsi dalle persone e dalle cose se si vuol seguire il Signore! La sorella-maestra, che gli aveva fatto apprendere la dottrinetta quando era bimbo e l‟aveva preparato alla comunione, si sente ancora maestra e in dovere di indicare al teologo come ha da vivere la sua vita di sacerdote e ricevere degnamente il sacramento. Un ricordo di come aveva visto prepararvisi il fratello Giuseppe? Ma anche sorella-mamma che si sente toccata nel sentirsi accusare di aver trascurato di fargli le calze. No, la colpa è di quella sua pretesa nel volerle cosí lunghe. Non è vero che mi sia dimenticato di te, ma ti prego a compatirmi perché sono occupata e poi essendo io desiderosa che i miei parenti si sovvengano di me solo quando pregano, io procuro di fare lo stesso…. Ti raccomando di prepararti bene al S. Sacerdozio… tenendo sempre fisse nella mente quelle parole dette a S. Pietro da Gesú: “Se mi ami salva (sic) le mie pecorelle”… La pace sia con te. Tua sorella Paola Frassinetti376. Morti il padre e Giuseppe, Giovanni prenderà il loro posto nel tenere i contatti con gli altri fratelli. In una lettera del 1877 o 1878: Io seguito a star benino anzi potrei dire benone; il braccio mi si va sciogliendo; solo la mano non vuol star ferma quando ha la penna nelle dita; ma del resto già faccio la calza e qualche altra cosetta. E il nostro Raffaellino come sta, si è ristabilito? E tu come stai? Il Parroco di Coronata [il fratello 376 P. FRASSINETTI, Lettere, p. 1. L‟originale nell‟ACAG. 198 Francesco] non mi ha scritto, come il suo solito; non te ne prendere. Di‟ tante cose a tutti... in particolare ai fratelli, Catarinin [la domestica]...377. IL 26 gennaio 1878 scrive: ... Ora sto benino, senza dir nessuna bugia. Te lo credi? se no vieni a vedermi. Ho piacere che stiate tutti bene e che il Parroco di Coronata si sia rimesso come prima... Scrivo in breve perché la mano si raffredda, oggi in specie che nevica e che fa tempo molto brutto e rigido. Papà – il papa Pio IX che sarebbe morto di lí a due settimane e che era stato per lei un vero padre – seguita benino, ci ha mandato di nuovo fiori e frutti378. Il 23 febbraio 1878 ancora al carissimo fratello Giovanni: Di salute sto benissimo, solo il freddo forte mi tiene intorpidita la mano, come vedrai anche dallo scritto, ma del resto, ripeto, sto bene, senza bugia. Adesso bisogna che [tu] pensi davvero a venire dal nuovo Papa – Leone XIII eletto da tre giorni –; di‟ a Caterina [la domestica] che ti prepari la valigia e vieni presto... ricevi i saluti dalle nipoti – suore ed educande che lo chiamavano zio –...379. Sebbene di carattere un po‟ tendente al burbero380, per usare un‟espressione della Vassallo, al sentirsi chiamare dalle suore e dalle educande “Zio”, al buon vecchio si scioglieva il cuore fino a lasciar Roma alla chetichella non reggendo alle scene di addio ed alle manifestazione d‟affetto delle suore e delle educande. Senza dir nessuna bugia. Te lo credi? se no vieni a vedermi... ripeto, sto bene, senza bugia. Giovanni non ci crede. Il freddo forte aveva sempre coabitato coi Frassinetti ed avevano scoperto che era un meraviglioso strumento di penitenza. Quelle mani fredde per rifiuto di riscaldamento, proprio come le mani di Giuseppe tutto l‟inverno sfigurate dai geloni fino a non poter scrivere, e quel suo ostinarsi a non voler sapere di un po‟ di fuoco. Fin dagli anni della prima adolescenza. Paola non ha mai dimenticato quelle mani coperte di geloni: 377 Ivi, p. 1185. L‟orig. nell‟ACAG. 378 Ivi, pp. 1186s. L‟orig. nell‟ACAG. 379 Ivi, p. 1186. L‟orig. nell‟ACAG. 380 E. VASSALLO, Memorie, p. 43. 199 Dallo stare [il fratello Giuseppe] tante ore nell‟inverno a tavolino a studiare soffriva molto freddo e gli si coprivano le mani ed i piedi di geloni talmente che gli facevano piaga, con tutto ciò non volle mai adoperare fuoco, né in altro modo coprirsi onde diminuire o liberarsi da quel dolore incomodo381. Anche questa forma di penitenza, che può scambiarsi con i comuni mali di stagione, Paola l‟ha presa dal fratello e, come lui, l‟ha continuata a praticare fino agli ultimi anni382. Quanta parte di Giuseppe si ritrova trasfuso in Paola! Paola aveva già avuto un primo attacco di paralisi e Giovanni, benché sulla settantina, continua ad andare su e giú. L‟ultimo viaggio a Roma lo fece una settimana prima che la sorella se ne volasse al cielo. Appena tornato a Genova, le scrisse la sua ultima lettera datata 6 Giugno 1882, l‟unica che ci sia pervenuta, non usando, al dire delle suore, Paola conservarle: Carissima Sorella Sono arrivato felicemente alle ore tre e un quarto [del mattino]: Subito sono andato a riposare e mi sono ristorato ben bene con qualche ora di sonno. Alle ore sette ho detto Messa, applicandola per te e ne dirò alcuna altra in seguito, perché, se pel meglio, passi presto il tuo raffreddore. Il mio non è rincrudito, come temevo dovendo viaggiare tutta la notte, anzi mi sento bene, non ho che voce fosca: da ragazzi avremmo detto: ha visto la bazara... Incarico Suor Vasallo (sic), o altra per essa, a far le mie scuse colle Suore, Novizie e Alunne pel modo tenuto da me nella partenza, ne avranno compreso la ragione, non volevo dar motivo a scene... P[rete] Giovanni383. La bazara, un ricordo di quei lontani spauracchi di cui si erano serviti i grandi per tenerli buoni quando erano bambini. Quante volte il fratellino si era stretto alla sorella grande che aveva fama di non avere paura, neppure del buio, mentre ne moriva. Quando la sera c‟era da andare a prendere 381 Da un documento addotto al processo dalla teste E. Vassallo, la stessa delle Memorie, che attesta averlo copiato da un autografo di Paola Frassinetti. Cfr POS.sV.SA, p. 40. 382 Ci risulta da una lettera al vescovo di Albenga, mons Biale, in cui il Frassinetti si scusa di non avergli risposto prima perché impedito dai geloni alle mani. L‟originale nell‟AF. 383 L‟originale nell‟ACGSD. 200 qualche cosa nelle altre stanze, o questo o quello ripeteva il ritornello: Ci va Paolina che non ha paura! Se non fosse bastata la bazara c‟era il gattone nero. Giovanni sapeva bene che non si trattava di raffreddore, perciò il 10 Giugno insisteva con la Mto Riv. Suora d‟essere avvertito per telegrafo se la sorella si fosse aggravata in modo da esserle accanto nel momento del trapasso: Ricevuta appena la sua del 9 corte mi portai subito in Albaro per interpellare Suor Giuseppina e Lucenti se dovessi ripartire per assisterla qualora Iddio disegnasse di chiamarla. Me ne hanno dissuaso e ne deposi il pensiero. Se le Assistenti di costí fossero d‟avviso contrario, non hanno che a telegrafarmi e partirò subito384. Fa tenerezza vedere questo vecchio, di fama cosí burbero, dimentico degli anni, della stanchezza e del suo raffreddore, correre ad Albaro per avere notizie fresche, pronto a ripartire per Roma per non far mancare alla sorella la sua assistenza. Ne aveva assistito tanti di malati a ben morire, figurarsi se poteva essere lontano da Paola. Anche fosse ripartito, coi treni dell‟epoca non sarebbe arrivato in tempo. Paola morí il giorno dopo e chissà quante volte Giovanni si sarà rammaricato di non essere rimasto a Roma. Il 16 scriveva: ... Ho avuto il piacere di vederla prima del suo passaggio e di parlarle, e se, come avrei bramato, non ebbi il bene di assisterla fino all‟ultimo, ciò avrà disposto Iddio per il meglio di Essa e di me. I ripetuti assalti della malattia che la colpí mi tenevano in pena da anni che una volta o l‟altra ne sopravvenisse uno piú violento, che non laciasse tempo ai Sacramenti. Iddio che dispone tutto bene, questo dispiacere lo ha risparmiato anche a me. Ne sia benedetto. Anche io, quanto le Suore, ho tutta la fiducia che sia già in gloria e spero pregherà per me. Offrendole questo suffragio non posso finire senza raccomandarmele che non abbia per sempre da essere disgiunto da Essa. Spero questa grazia me la impetrerà, e finché sarò vivo tutti i giorni la chiederò a Dio e alla Madonna per averla, demeritandola io, almeno per riguardo di mia Sorella e del Fratello [Giuseppe] che a quest‟ ora certo sono insieme con Dio. Lei, le Suore tutte e anche le novizie e le Alunne per 384 L‟originale nell‟ACGSD. 201 l‟amore che portavano alla Madre non dimentichino il povero zio, come si compiacciono di chiamarmi....385 L‟addio alla sorella era anche l‟addio a Roma non avendo in essa piú nulla che l‟attirasse dopo la morte di Pio IX e dell‟amata sorella386. È difficile dire se era piú il tenero amore per la sorella o il desiderio di vedere ancora una volta il papa che l‟aveva attirato cosí spesso a Roma. Ogni andata un‟udienza. Ogni udienza benedizioni da riportare a questo e quello. Quando anch‟egli aveva cominciato a far gemere i torchi – amore al papa e dare libri alle stampe per fare un po‟ di bene fu un po‟ il marchio di casa Frassinetti –, la prima copia dei suoi grossi volumi di predicabili fu mandata alla sorella perché la presentasse a papa Pio IX. Ma Giovanni era genovese d‟antico stampo, generoso quando c‟era da vestire un nudo o dar da mangiare ad un affamato, e Paola lo sapeva per sua esperienza, ma restio a spendere anche una sola palanca in piú del necessario in raffinatezze, sprechi di cui avrebbe dovuto rendere conto a Dio, aveva perciò fatto rilegare quel suo libro cosí alla buona, senza preoccuparsi della non bella figura a cui esponeva la sorella: Non sono ancora 24 ore che il tuo libro è stato presentato al S. Padre... – gli scriveva la sorella in data 26 ottobre 1873 –. Quando il S. P. si avvicinò a me, gli presentai in tuo nome il libro, il quale prese con la sua solita amabilità e se lo accostò al petto domandandomi se era del fratello [Giuseppe] morto; io gli risposi di no, che era del Sacerdote al quale Egli piú volte si era degnato di accordare l‟udienza; non mi lasciò finire la parola e soggiunse: “È quello che venne l‟altro ieri?”; io gli risposi di no ed Egli: “Ma dunque quanti ne avete?”. Io gli risposi: ne ho ancora tre, ed Esso: “Noi eravamo nove, e vi sono piú io solo, ma sono veccio veccio e andava avanti; si rivoltò mesto e compassionevole: “Vi hanno detto ancora niente?”, io gli risposi: “Siamo in nota, ma non abbiamo ancora veduto nessuno”. “Ringraziamo Dio”, rispose e non disse altro... Non ti dico niente del fratello [Francesco] perché a quest‟ora l‟avrai certo veduto e saprai tutto; se ti ha detto che mi ha lasciato a letto, sto meglio, sono stata due giorni in riposo piú per riguardo che per bisogno. 385 L‟originale nell‟ACGSD. 386 E. VASSALLO, Memorie..., p. 47. 202 Ritornando al libro per il S. P., ho fatto legare il secondo che hai mandato perché quello legato cosí è meschino assai e la seta sembra sporca; io l‟ho fatto legare in pelle bianca che sembrava d‟avorio con le sue dorature [...]; è riuscito bellino molto. Non mi posso piú trattenere. Mi raccomando di star tranquillo sul mio conto tanto per la salute che pel nostro destino, siamo in buone mani, non vi è da temere. Addio, tante cose a tutti. Tua Sorella Paola387. Era tutt‟altro che avaro pre‟ Giovanni. Racconta la Vassallo: Non ricco di beni di fortuna e, come gli altri fratelli, non punto interessato ad averne, D. Giovanni faceva larga parte del suo ai poverelli di Gesú Cristo non sapendo rimandare sconsolato chi alla sua carità avesse fatto ricorso. Di questa cosa ebbi a convincermi di mia propria esperienza. Nel 1885, rimasta io a capo della nostra Provincia di Genova, seppi avere la casa di Albaro un debito col R. D. Giovanni Frassinetti di circa lire duemila388 che egli aveva imprestato a chi mi aveva preceduta nell‟ufficio e di piú che era del tutto passato il tempo fissato alla restituzione senza che alcuno, o fosse dimenticanza od altro, glie ne avesse piú fatta parola. Confusa per quel fatto ed angustiata per la ristretteza in cui allora eravamo, mi recai tosto a trovarlo per dimandargli col perdono altra di nuovo dilazione al pagamento. Ma non ebbi appena esposta la mia pena ed il motivo di quella visita, che egli mi rassicurò pienamente non volendo che a quel debito si pensasse mai piú e riguardassimo quel denaro come cosa tutta dell‟Istituto389. In nota aggiunge che la madre Carlotta Stanchi diceva che, specie nei primi tempi, D. Giovanni aiutò spesso la sorella con mezzi pecuniari. Don Giovanni in una lettera in data 22 agosto 1869 a suor Giuseppina Pingiani, dorotea in Brasile, che aveva avuto un pensiero per lui, scriveva: ... Io sono confuso e non so che dirle. Accetto non per altro titolo, che per questo d‟essere fratello della Madre Generale ciò che Ella mi manda... E in prova del mio gradimento le fo vedere che uso del diritto acquistato sull‟oggetto della donazione. Ho scritto adunque alla mia Sorella, che anche io per la indicata somma concorro alla fabbrica della nuova Chiesa 387 P. FRASSINETTI, Lettere, pp. 886s. 388 All‟epoca un bracciante guadagnava una lira al giorno! 389 E. VASSALLO, Memorie..., pp. 43-45. 203 dell‟Istituto in Roma. Che ne pare a Lei? non è meglio impiegata? Non lascerò per questo, piacendo a Dio, di far qualche corsa a Roma per eseguire le incombenze che Ella mi dà... Se io sono lo Zio, confido che vorrà far dire [alle suore e alle ragazze] una Ave per me... onde possiamo tutti rivederci in Cielo, ove spero già si trovi il mio compianto fratello [Giuseppe]... 390. Non era solo Giovanni a dare generosi aiuti alla sorella, ma anche il padre e Giuseppe, e prete Sturla, uno che per Giuseppe fu piú che fratello, e perciò fratello anche a Paola, la Carissima sorella in Gesú Cristo. Di tanto in tanto nelle lettere di Paola compaiono ringraziamenti per i soldi che le hanno spedito. Lo Sturla, non solo al pari di Giovanni correva a Roma se chiamato, ma ogni anno le passava parte del reddito dei beni di famiglia, anche negli anni tempestosi in cui aveva dovuto rifugiarsi ad Aden in Arabia. Da laggiù: Carissima Sorella in Gesú Cristo... In quella lettera – le scriveva preoccupato – vi dicevo che avevo saputo da mio fratello che non vi aveva pagato perché non sapeva come... se il Sig Rempicci è in Roma... recategli la lettera [qui acclusa] e, se egli non volesse fare la tratta a mio fratello, vi metto anche qui dentro un ordine di franchi Duecento che potete mandare a vostro Fratello in Genova e farlo esigere da lui... Quanto ai frutti del mio patrimonio, se se ne potranno esigere come vedrete dalla lettera del Sig Rempicci, gli do ordini di pagarli a voi e voi, se ne avete bisogno, servitevene pure che io per adesso non ne ho bisogno...391. Altri nomi dei tanti amici fraterni di Giuseppe andrebbero aggiunti a quello dello Sturla, amici su cui Paola può contare come sui fratelli e ai quali spesso si rivolge: i gesuiti padre Gualchierani, suo confessore, padre Bresciani ed il celebre moralista padre Ballerini; don Filippo Storace, il canonico Barabino, i servi di Dio don Luca dei conti Passi e don Francesco Montebruno,... Tutto ciò che era di Giuseppe era di Paola, e Paola sapeva di poter disporre delle cose di Giuseppe come se fossero cose sue: Sono diversi mesi che D. Marconi mi sta appresso perché ti scriva che gli mandi una ventina di libretti intitolati La Gemma delle fanciulle, ma di quelli con l‟immagine al principio; e dieci o quindici intitolati Conforto dell‟anima divota, con diversi altri di quelli piccoli con poche pagine. Mi disse il suddetto di farteli pagare da suo fratello, al quale manderà l‟ordine; io ti 390 L‟originale nell‟ACGSD. 391 In data 10 marzo 1849. L‟originale nell‟ACGSD. 204 prego però di mandarglieli gratis perché egli si presta per noi ed io non so come compensarlo. Per farmi avere sicuri detti libretti, con altri che spero vi aggiungerai per me, mandali al vapore... Giacché fai il pacco, fallo bello grosso e pensa che oltre le cinquanta educande che abbiamo a S. Onofrio, scuole, dottrine, ecc., abbiamo avuto un altro luogo pio con 90 giovani, le quali hanno bisogno di buoni libri...392. Anche questa volta il dono superò la richiesta. Dovette trattarsi addirittura d‟una cassa: Ieri ebbi gli ultimi libri del pacco che mi hai mandato. Il buon Console [francese di Civitavecchia] a cui era raccomandato, per farmi avere detti libri senza nessun impiccio di dogana ecc., me li mandò un poco per volta nel sacco dell‟Ambasciata; non li ha mandati tutti insieme perché il pacco era troppo grosso... Questa volta sei stato proprio generoso393. Ci manca un anche: anche questa volta, tanto piú se si tiene presente che il Frassinetti dalle sue pubblicazioni ricavava poco o nulla, usando rinunciare ai diritti d‟autore per tenere il prezzo basso quanto piú fosse possibile. Né il padre, né i fratelli, né lo Sturla fecero mai mancare a Paola il loro aiuto. In cambio avrebbero desiderato che scrivesse piú spesso. Specialmente il padre che mal sopportava i lunghi ritardi fino ad insinuare in una sua lettera che non gli scrivesse per non spendere qualche grosso in francobolli: Ho ricevuta la sua carissima nella quale mi accenna di non aver ricevuto la mia e mi dice che fu per mancanza di affrancatura; ciò non è vero, perché detti il grossetto come il solito, ma siccome qui fa caldo assai, quel poverino che andiede ad impostarla avrà avuto sete e avrà speso il grosso per bere394. Ma il padre doveva essere rimasto con qualche dubbio se la figlia, a distanza di due anni, tornò sull‟argomento: La ringrazio della somma che mandò... Non si creda che le scrivo cosí di rado per risparmio di spesa, ma piuttosto per pigrizia ed anche per non avere 392 P. FRASSINETTI, Lettere, pp.237s. 393 Ivi, pp. 242s. 394 Ivi, p. 36. 205 cose nuove; ma adesso però mi emenderò e le scriverò piú di frequente... per i fiori della Signora Giovannetta ho dovuto spendere tre scudi fra dazio, porto e bollette... ho dovuto anche pagare assai per quel vasetto del Cardinale... che volevano pesarlo [alla dogana] con tutto il vasetto pieno di terra e farmelo pagare pure tre scudi come se fossero stati tutti fiori, oppure cavarli dal vasetto che era lo stesso che rovinarli...395. Come si poteva non aiutarla con tutte quelle spese! La ringrazio Lei ed il fratello dei cento franchi... Non si prenda però pena a questo riguardo che, grazie a Dio, non mi manca il necessario396. La prego anche – è sempre al padre che si rivolge – di dire ai fratelli che sono stata costretta ad ordinare un quadro di S. Dorotea, che ancora non ce l‟avevamo, e che mi costerà circa 50 scudi. Io non gli ho... che perciò mi raccomando a loro che mi aiutino a pagarlo, che Santa Dorotea li compenserà397. Scrive al fratello Giuseppe: I libri che mi mandasti pel R. Montebruno [Il servo di Dio Francesco Montebruno]... Quelli che mi dici, nella lettera di Prete Giovanni [il fratello], che avrei ricevuto per mezzo del Padre Ballerini [il grande moralista amico ed estimatore del Frassinetti], nei primi di marzo ancora non li ho veduti...398. Dacché hai stampati... certi tuoi Esercizi per i fanciulli, i quali io non conosco, ho spesso domandato detti; perché non me ne mandi? Sento che fanno molto bene – erano stati recensiti con grande lode dalla Civiltà cattolica399 – e che sono tanto ricercati. Anche il Sig. Conte Vimercati, propagatore di tutti i libri buoni, me ne ha domandato una copia, e forse per farli ristampare... Il suddetto Sig. Conte ha voluto da me una copia di tutti i tuoi libretti per fare una scelta dei piú utili e farli ristampare....400. Il Priore l‟ha fatta grossa: dimenticarsi di mandare alla sorella un po‟ di copie d‟un libro che va a ruba ed è grandemente lodato! Si noti con quale 395 Ivi, p. 42. 396 Ivi, p. 51. 397 Ivi, p. 93. 398 Ivi, p. 273. 399 “Civiltà catt.”, 1860, serie IV, vol. IV pp. 596-599. 400 Ivi, p. 203. 206 candore parli delle edizioni pirata che se ne andavano facendo, e non solo a Roma. Benché genovesi, pare che tutti i Frassinetti ignorino l‟esistenza dei diritti d‟autore. Quei libretti sono stati scritti per far conoscere Dio, ora che li ristampino con lo stesso spirito, come sembra voglia fare questo signor conte Vimercati, oppure li ristampino abusivamente per trarne guadagno, il Frassinetti non ha nulla da dire, anzi se ne rallegra. La pensa come l‟apostolo Paolo: Ci sono [qui a Roma] di quelli che annunciano Cristo spinti da invidia e rivalità, altri con retta intenzione... e con ciò? Purché Cristo sia fatto conoscere secondo verità... io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene401. In quei libretti Paola ritrova l‟anima del fratello e le molte conversazioni avute con lui nei tanti anni di vita vissuta una accanto all‟altro, se ne continua a nutrire e ne nutre le sue suore e le educande. Le richieste di quei libretti sono continue, fin dalla prima lettera al fratello Giuseppe scritta da Roma in data 13 ottobre 1841, la quarta dell‟epistolario, gli parla dei libretti ricevuti da consegnare al gesuita padre Gualchierani e da darne alle giovani402. Paola ha ancora negli occhi le visioni di Quinto dove, parroco suo fratello, sembrava che in paese fosse missione tutto l‟anno, e Genova con la sua Beato Leonardo, ossia lo zelo e la santità di quel gruppo di sacerdoti radunati intorno al fratello. Quel fratello cosí lontano e cosí presente, e cosí punto di riferimento. Giunta a Roma, Paola non si era sentita una sconosciuta. Era la sorella di Giuseppe Frassinetti. Quante porte le apriva quel nome Frassinetti! Sí, era parente di Giuseppe Frassinetti, la sorella, e l‟opera l‟aveva cominciata con lui. Quei libretti le servivano da credenziali anche con chi mai aveva sentito il nome Frassinetti, come traspare da questa sua lettera del 31 ottobre 1842: Nell‟ultima mia ti scrissi se potevi piú mandare dei libri intitolati: “La forza di un libretto” e quanto costavano perché vi erano di chi ne avrebbe comprato; adesso poi ti dico che forse (e anzi ne sono stata assicurata) si stamperanno qui, atteso che è stato giudicato un libro utilissimo per la gioventú e si chiama da certi Cardinali “Libro d‟oro”. (Me ne rallegro e 401 Fil 1,15-18. 402 P. FRASSINETTI, Lettere, p. 4. 207 congratulo teco – qui deve aver avuto paura che il fratello peccasse d‟orgoglio e s‟affretta a rettificare –, cioè ringrazio il Signore che si serva di te per la sua gloria e vantaggio delle anime)... Autore che si conoscesse da persone grandi un tal libro fu un ottimo Sacerdote, il quale per segno di gratitudine verso di me che gli ho fatto conoscere detto libro e di te che l‟hai fatto, ci ha offerto il S. Sacrificio della Messa. Mi pare che a detto Sacerdote gli scrivessi una letterina di ringraziamento. Il suo indirizzo: Abate Barola, Professore di Filosofia Morale nel Collegio Urbano 403- Ci basti questo per ora per farci un‟idea di ciò che fu Giuseppe per Paola. Un fratello affettuoso come Francesco, Giovanni e Raffaele, ma con qualcosa di piú e di unico. Scrive la Vassallo: È questi il fratello maggiore della Madre nostra, D. Giuseppe Frassinetti, che già da fanciullo, come già in parte vedemmo, co‟ suoi esempi ottimi, co‟ suoi consigli e poscia con la sua dottrina, contribuí non poco alla santità della sua degna sorella, sia fra le domestiche mura, sia nella Canonica di Quinto… sia infine nell‟ardua impresa della fondazione dell‟Istituto. E quantunque di soli cinque anni la superasse in età e passasse fra loro quell‟intimità che nasce per comunanza d‟affetti e di ispirazioni, non pur tra fratelli ma fra gli estranei ancora, la Madre nostra lo riguardava con una deferenza e rispetto, sarei per dire filiale, come rilevasi dalle sue parole e piú ancora vedesi in varie sue lettere404. La sottolineatura è mia. Torneremo sui rapporti intercorsi tra i due quando tratteremo dei primi anni di parrocato del Servo di Dio. Quella sorella, da lui formata, gli fa capire, benché fosse ancora cosí giovane, quale aiuto poteva venire ad un parroco se avesse saputo servirsi di donne ripiene dello spirito di Dio. Don Bosco estenderà il suo zelo alle fanciulle quando era ormai già vicino ai sessant‟anni e cominciò servendosi di ragazze di Mornese formate da don Domenico Pestarino il quale s‟era formato alla scuola del Frassinetti e le nutriva con pane impastato con farina del Frassinetti e cotto nel forno del Frassinetti. Di piú, fu nella canonica del Frassinetti che Don Bosco conobbe il Pestarino e, forse, furono ancora quei libretti del Frassinetti 403 Ivi, p. 17. L‟ottimo Sacerdote è l‟abate Paolo Barola, autore di saggi e recensioni di storia e filosofia negli “Annali delle Scienze Religiose”, rivista bimestrale di cultura diretta da monsignor Antonio De Luca, futuro cardinale. 404 E. VASSALLO, Memorie..., pp. 89s. 208 scritti per le Letture Cattoliche in cui, a pochi mesi dalla loro morte, narrava la vita di due ragazze Figlie di S. Maria Immacolata405, che dovettero finire di persuaderlo del bene grande che si può fare alle fanciulle se ci si sa servire di altre fanciulle che si sono sapute riempire dello spirito di Dio. Ma di questo a suo tempo. Non si pensi però che Giuseppe e Paola siano stati sempre d‟un sol pensiero, vedremo nella seconda parte che non mancarono differenze di veduta di come il bene andava fatto. CAPITOLO XV “I RAGAZZI DEL GIANELLI” È qua il Cristo; no, è là!406. Anche il martire Giustino lo cercava senza sapere chi cercasse e dove cercarlo. Sentiva una forza in sé che lo spingeva a cercare. Andò prima da un peripatetico, ma si incontrò con uno che vendeva chiacchiere a caro prezzo. Chissà se un pitagorico..., ma il pitagorico non accettava alunni che non fossero all‟altezza del suo sublime insegnamento. Si rivolse perciò ad un platonico e ne ebbe qualche seme di verità. Barlumi, finché un giorno non incontrò lungo la riva del mare un vegliardo misterioso che lo indirizzò ai profeti. Questi gli aprirono la strada a Cristo407. Non 405 Il 26 novembre 1858 era morta una ragazza genovese di ventisette anni, Rosa Cordone, figlia spirituale del Frassinetti che ne scrisse la vita a spoglie non ancora raffreddate: La rosa senza spine ossia memorie sulla vita della pia zitella Rosa Cordone, morta a Genova ai 26 Nov. 1858, “Letture cattoliche”, Torino 1859. 406 Mt 24,24. 407 GIUSTINO, Dialogo con Trifone, capp. 2-8. 209 meno faticoso l‟itinerario d‟ Agostino prima di quel tolle et lege che segnò il suo incontro con l‟apostolo Paolo e la sua resa definitiva alla grazia408. È una storia antica. Ebbe inizio quando un gruppo di amici pescatori udirono parlare d‟un certo Giovanni che predicava sulle rive del Giordano. No, non era lui il Cristo, ma colui che li avrebbe indirizzati al Cristo. L‟incontrarono verso le quattro del pomeriggio. Se ne stettero con lui tutta la serata, né piú se ne separarono409. Giuseppe Frassinetti ebbe da muoversi meno. Incontrò il suo “vegliardo” o, se si vuol dare importanza all‟età, il suo Giovanni Battista, l‟uno e l‟altro di circa anni trenta, in seminario, a scuola di “Rettorica”, qualcosa come il nostro liceo classico, e, alla scuola del Gianelli, incontrò pure un gruppo di ragazzi che, divenuti anch‟essi sacerdoti, combatteranno con lui la santa battaglia. Incontri di quelli che decidono una vita. E Dio disse ad Elia: – Rifai la tua strada verso Damasco... ed ungimi profeta Eliseo, il figlio di Sciafat da Abel-Mecola –... Ed Elia si partí [dall‟Oreb], trovò Eliseo che arava... gli si accostò e gettò su di lui il suo mantello... e lo spirito di Elia si travasò in Eliseo410. Nel 1816 sarà il cardinal Spina a far tornare il Gianelli su i suoi passi e a farlo fermare a Genova nel seminario. In realtà era stato il Signore che ve lo aveva chiamato perché travasasse il suo spirito in un gruppo di adolescenti che mi piace chiamare “I ragazzi del Gianelli”. Lo confesso, mi convince poco il sistema invalso da qualche tempo di affidare il reclutamento delle vocazioni a dei professionisti. Quei ragazzi mi paiono pulcini nati in incubatrice, non dal calore d‟una chioccia come natura vorrebbe. Il giorno della creazione le piante si trovarono tutte in cuore un seme vivo per riprodursi in foresta411. Cosí dovrebbe essere di ogni ministro di Dio. Lo fu di Elia per Eliseo, di Giovanni l‟Evangelista per Policarpo, di Policarpo per Ireneo. Gente che non si partí da questa terra senza prima essersi riprodotta in altri, avere avvampato altri. Ascoltiamo 408 AGOSTINO, Confessioni, l. VIII,12. 409 Gv 1,10. 410 1 Re 19,15-16. 411 Gen 1,11s. 210 Ireneo rievocare da vecchio chi negli anni giovani lo avvampò con la sua parola: Io ti conobbi da Policarpo nell‟Asia Minore che ero ancora ragazzo – scrive a Florino –..., le cose di allora me le ritrovo in mente meglio di quelle di poco fa, perché quel che si apprese da fanciulli cresce con noi e si fonde in un tutt‟uno con la vita. Potrei perciò ancora indicarti il luogo dove il beato Policarpo si sedeva a predicare, come usava introdursi [in argomento] e come lo sviluppasse, quale era il suo stile di vita, che aspetto aveva la sua persona, ripeterti i discorsi che teneva al popolo, parlarti della stretta familiarità che diceva aver avuto con [l‟apostolo] Giovanni e con gli altri che avevano visto il Signore, e come ci ripeteva a memoria i loro discorsi e narrava i fatti del Signore appresi dalla loro viva voce, ed i suoi miracoli, ed i suoi insegnamenti. Tutte queste cose Policarpo le aveva apprese dai testimoni oculari del Verbo della vita e le ripeteva in piena armonia con le Sacre Scritture. Quei discorsi, che, per grazia di Dio, ascoltai ragazzo con tanta attenzione, non me li appuntavo sulla carta, ma me li imprimevo nella memoria e nell‟intimo del cuore e, grazie a Dio, non ho mai cessato di ripensarli con amore. Non solo ne conservava vivo il ricordo, ma, tornando con il pensiero a Policarpo, si sentiva di poter affermare con certezza ciò che egli avrebbe fatto e detto se fosse stato testimone del tralignamento di Florino: Io posso assicurare davanti al Signore che se quel venerabile presbitero, successore degli Apostoli, avesse inteso i tuoi discorsi, si sarebbe turato le orecchie ed avrebbe gridato come era solito fare: “Buon Dio, a che tempi mi hai serbato!”, e se gli fosse occorso d‟udire tali discorsi, poco importa se si trovasse seduto o in piedi, sarebbe fuggito via da dove si facevano412. Come Policarpo il Gianelli, Parola-saetta. Né gli mancò, accanto ai suoi Irenei, un Florino che si sarebbe acquistato fama vaneggiando413. Pre‟ Antonio Gianelli fu di tale ascendente sui suoi giovani che, anche non piú professore ed assente, restò per loro la norma di come comportarsi, consigliere e punto di riferimento. In seminario insegnò lettere. Per breve tempo fu pure direttore di disciplina dei seminaristi interni ai quali un sesto senso aveva fatto intuire che il direttore di disciplina aveva le spalle 412 IRENEO, Epistola ad Florinum in EUSEBIO, Hist. Eccl. V,20,5-7. MG 7,1225. 413 Cristoforo Bonavino, di cui si parlerà a lungo nella seconda parte. . 211 scoperte, che i prefetti erano in combutta con i seminaristi e che il rettore, un debole afflitto da gelosia senile, mal sopportava questo giovane sacerdote, già suo alunno, che riteneva gli stesse togliendo parte della sua autorità e del suo prestigio. La disciplina nell‟internato rimase piú o meno quella che era. Un disastro, diciamola la parola. Ma il seme era stato gettato. Il Frassinetti, per sua fortuna, era alunno esterno, potendosi a Genova essere seminaristi col solo frequentare le scuole del seminario e partecipare ad alcune funzioni e conferenze a loro riservate. Nulla di speciale la scuola di “Rettorica”. Svolgimento del programma: composizioni italiane e latine, in prosa ed in versi, familiarità con i vari metri e generi letterari, grande uso della Regia parnassi. Mitologia, gli eroi di Plutarco visti con gli occhi del Metastasio, anacreontiche popolate di pastorelle e, perché seminario, escursioni nel mondo biblico e santorale. C‟era quanto poteva bastare ad un “abate” del Settecento per acquistarsi fama in dettare epigrafi, comporre poemetti per monacazioni, nozze, nascite e comunioni, nonché canzonette sacre e profane, o tessere discorsi per le varie circostanze e darli poi alle stampe. Una seconda occupazione che in non pochi diventava la prima, se non addirittura la sola. Se poi la natura non fosse stata avara dei suoi doni, quell‟educazione base poteva essere il punto da cui partire per innalzarsi molto piú in alto, come era stato d‟un Muratori, d‟un Forcellini, d‟un Parini o d‟un Galiani. Lingua morta il latino, lingua tenuta in letargo l‟italiano per ricordarsene solo nelle grandi occasioni, ed appresa anch‟essa artificiosamente a scuola sui modelli classici del bello scrivere, né piú né meno di come si apprendeva il latino, privilegiando il modello Segneri se si sognava di calcare i pulpiti. Il piú del tempo era per il latino, meno per l‟italiano, e questo da ricalcare su quello, se voleva essere degno di far gemere i torchi d‟una tipografia. Non c‟era poi studente che non avesse imparato a memoria passi senza fine dell‟una e dell‟altra lingua e non tenesse i suoi bravi quadernetti e silvæ in cui raccoglieva perle rare ed esotici fiori di lingua per impreziosire i propri lavori. Unica lingua viva per tutti, professori ed alunni, era il dialetto 212 genovese, né valse averne proibito l‟uso l‟arcivescovo Lambruschini414. Il comma VII del Regolamento di disciplina recitava: È prescritto l‟uso della Lingua Italiana nel Seminario. I Chierici Seminaristi dovranno parlarla abitualmente non solo nelle scuole rispettive, ma eziandio nella conversazione, e nel passeggio... Coloro che vi contravvenissero, e si permettessero di parlare nella conversazione il Dialetto Genovese – si notino le maiuscole –, che resta da Noi proibito pe‟ Seminaristi, dopo due avvisi, occorrendo la terza mancanza, verranno puniti ad arbitrio del Direttore di disciplina415. L‟ordinanza produsse l‟effetto che avevano prodotto le gride di cui di lí a qualche anno avrebbe parlato il Manzoni nel suo romanzo. Né poteva essere altrimenti. Proprio gli addetti a tutelarne l‟osservanza e a comminare la triplice diffida, i prefetti, non erano padroni d‟altra lingua d‟uso se non di quella appresa dalle labbra materne, né capivano perché mai si dovesse violentare la natura. Della scuola del Gianelli siamo in grado di dire qualche cosa di piú servendoci dei quaderni del Frassinetti a noi pervenuti, di documenti manoscritti dello stesso Gianelli, delle pubblicazioni con i resoconti delle accademie che vi si tennero sotto la sua direzione ed attingendo a ciò che ne dissero i suoi alunni Barabino e Luxardo. Cominciamo da questi ultimi. Il Barabino: Nel fare scuola [il Gianelli] s‟era proposto di procacciare il maggior avanzamento dei suoi discepoli, e, per riuscirvi, nulla lasciava intentato. Facea gustare gli esempi de‟ classici sí latini che italiani, ed incitava i giovani all‟imitazione. Gli esercitava a comporre sí in prosa che in verso... Grave insieme ed affabile, si conciliava ad un tempo il rispetto e l‟amore de‟ suoi 414 Non ancora cardinale. Lo sarà dal 30 settembre 1831, quando da piú d‟un anno aveva rinunciato alla diocesi di Genova. Dal 1836 alla morte di papa Gregorio XVI fu segretario di Stato. Sestri Levante 16.V.1776 – Roma 12.V.1854. 415 Storia del Seminario, Regolamento per il Sig. Direttore di Disciplina da osservarsi nel Nostro Arcivescovile Seminario di Genova, firmato da Luigi [Lambruschini] Vescovo, in data 10 Novembre 1822. ASAG. Cart. n. 13 – Anni dal 1811 al 1824. 213 allievi... Né solo ad istruire la mente degli scolari, ma piú ancora a formare il cuore intendeva416. Il Luxardo conferma quanto ci ha ora detto il Barabino e ci dice inoltre l‟importanza che si dava allo studio della storia: Il suo primo pensiero era quello di far conoscere i classici autori della italiana e latina favella... Commentava e analizzava gli storici, i prosatori, i poeti principali e ne faceva notare le piú riposte bellezze. Cominciava dalla Storia Sacra... Non dimenticava la storia greca e romana; e poi, man mano, le altre del Medio Evo e dei tempi e de‟ popoli a noi piú vicini...417. Nella copia della stessa vita fatta da don Giuseppe Daneri , uscita a puntate sul settimanale La Liguria, leggiamo: Avea un grande trasporto all‟arte della declamazione e... volle che si apprendesse pure dai suoi bene amati discepoli. Per lo che, oltre i precetti che ne scrisse... un giorno della settimana ci faceva recitare dalla cattedra, dalla quale egli allora ne discendeva, i piú eloquenti brani dei classici, confortando di lode e di premio i piú valorosi... Inoltre istituí un‟accademia che chiamavasi Accademia degli ingenui e che teneva due volte ogni mese le sue tornate... Ciascuno dei soci era tenuto a leggervi un proprio componimento, ma di tema assegnato... Dal che si vede che il disegno suo principalissimo (e tal fu veramente) era di promuovere le facoltà dello ingegno perché potessero divenire non solo scrittori, ma autori. Quindi se volea che bene apprendessero 416 N. BARABINO, Vita di mons. Antonio Gianelli, manoscritto inedito, 1847, p. 348. ACGSG. Già alunno del Gianelli, gli fu molto vicino, peccato non abbia potuto completare l‟opera per la morte immatura. 417 F. LUXARDO, Istoria della vita di Mons. Antonio Gianelli, Genova 1882. Si noti l‟insistere sull‟importanza che in seminario si dava alla storia fin dagli anni di retorica. Studio molto curato anche negli altri istituti genovesi, come s‟apprende dal passo del Ruffini citato piú sotto in questo capitolo. L‟insistenza del Luxardo era anche una implicita difesa del seminario contro l‟accusa del segretario dell‟arcivescovo Charvaz, il savoiardo Jorioz, che, per celebrare l‟opera del suo biografato, aveva parlato delle condizioni pietose in cui versavano le scuole alla sua presa di possesso della diocesi e come, per suo merito, mutò tutto in men che non si dica. Fu confutato dal Tacchini, nell‟opera sopra citata, p. 49, e dal Campanella, che, tra l‟altro, notavano l‟abolizione della cattedra di storia ecclesiastica voluta dal nuovo arcivescovo. A. Campanella, Lettera Seconda al Rev. Sig. Enrico Jorioz, Autore della Biografia di Sua Ecc. Mons. Andrea Charvaz Genova 1871, pp. 31. 36-45. Si tornerà su questi documenti nella seconda parte della vita del nostro Servo di Dio. 214 gli ammaestramenti dell‟arte oratoria e poetica, e bene recassero a memoria le lezioni, molto piú esigeva che s‟adoprassero nel comporre i propri lavori... Se mostravasi tanto sollecito coltivando lo ingegno de‟ suoi discepoli, molto piú si studiava a coltivarne il cuore. Onde proponea loro a modelli scrittori sí di prosa sí di verso che alla grandezza dei concetti e alla bontà della favella accoppiassero sempre la piú pura morale. Ci ricordiamo che parlavasi spesso del Grisostomo e del primo Segneri e, siccome molto ammiravali e molto si dilettava in essi, cosí desiderava che del pari i suoi alunni, specialmente se chierici, ne facessero il loro pascolo prediletto... sebbene innamorato de‟ due su mentovati, inculcavaci a leggere anche gli altri... No, non crediamo che altri abbia mai sostenuto siffatta carica tanto santamente quanto il nostro Gianelli. L‟anno 1826 fu l‟ultimo che fece scuola di rettorica nel seminario di Genova, durante il quale noi siamo stati discepoli di lui418. Un aiuto prezioso ci viene dagli elaborati scolastici del Frassinetti studente di retorica419. Composizioni, tutte in versi, su fatti e personaggi della storia greco-romana420 e d‟argomento mitologico421 insieme a temi religiosi o tratti dalla storia della Chiesa422. Non mancano, va da sé, i temi 418 ACGSG, pp. 41- 48. 419 AF, Manoscritti, vol. 19. Una miscellanea che racchiude, legati insieme e con unica numerazione, quaderni vari e fogli sparsi. Il quaderno delle poesie va da p. 508 a p. 553. Nelle pagine bianche in fondo, 554-556, furono incollati alcuni fogli con il sonetto contro Renan e poesie religiose di epoca posteriore. 420 Socrate minacciato – Sonetto, p. 537; Temistocle forzato dal re di Persia a portare la guerra in Grecia, s‟uccide – Sonetto, p. 534; Guerriero italico entrato in un ameno giardino mentre i barbari depredavano l‟Italia (45 endecasillabi) Sciolti, pp. 529s.; Fingesi che dopo la distruzione di Cartagine un Affricano profetizzi la caduta di Roma (7 ottave di endecasillabi rimati ABABABCC), pp. 513-515; Camillo scaccia i Galli da Roma – (73 endecasillabi Sciolti), pp. 517-519; Il Pireo distrutto da Lisandro – Terzine (100 endecasillabi in terza rima), pp. 520-523; Leonida alle Termopili (143 endecasillabi) Sciolti, pp. 524-528; Rimorsi e terrori di Nerone – Parlata tragica (61 endecasillabi sciolti), pp. 531533. 421 Invocazione a Febo (sonetto) p. 510; Alcide unisce il Mediterraneo all‟Oceano (64 endecasillabi sciolti), pp. 511-513. 422 Sfogo amoroso di S. Luigi innanzi al Crocifisso (5 quartine di endecasillabi a rime incrociate ABBA), p. 546; Morte d‟Erode – Sonetto, p. 537; Invettiva contro Caifas che dice aver bestemmiato il Redentore affermando d‟essere figlio di Dio – Terzine (73 endecasillabi 215 cari all‟Arcadia423. La Parlata d‟un disperato ci fa da spia che a quei ragazzi non doveva essere del tutto estranea la letteratura che si rifaceva all‟Ossian, allora cosí in voga424. Allo Sfogo amoroso di S. Luigi innanzi al Crocifisso... il ragazzo che, stando alla sorella santa, non sapeva dire bugie, neppure piccole, appose una nota: “Questo sonetto di S. Luigi, per essere stato recitato in pubblica accademia425, fu rivisto ed emendato dal professor di Rettorica il molto Revdo Antonio Gianelli”. Lo stesso scrupolo per la verità gli fa apporre una nota al sonetto sulla morte di Temistocle: Si avverta che per poetica licenza si finge che non col veleno, come scrivono certi storici, ma col ferro si sia ucciso. Si dirà che sia licenza presa a spese della storia, ed io nol niego. Povero poeta, se, cantando la storia, non avesse potuto servirsi della variatio! All‟alunno Frassinetti era ben nota la seconda ottava del primo canto della Gerusalemme liberata del Tasso in cui è codificato come da un poeta va trattata la storia: O Musa,... tu rischiara il mio canto, e tu perdona s‟intesso fregi al ver, se adorno in parte d‟altri diletti, che de‟ tuoi, le carte. Alla scuola del Gianelli il Tasso, Cicerone, Virgilio, Orazio, Dante, Petrarca e Segneri erano di casa: in terza rima), pp. 547-549; Vanità delle cose umane – Terzine (104 endecasillabi in terza rima), pp. 538-541. 423 La Primavera – Follia Poetica (sonetto), pp. 533s.; L‟Inverno – Anacreontica (12 quartine di versi settenari, il primo ed il terzo sdruccioli, il secondo ed il quarto piani e rimati) pp. 535s.; La Primavera – Anacreontica (11 quartine di versi quinari, il primo ed il terzo sdruccioli, il secondo ed il quarto piani e rimati), pp. 516s.; Tempesta di mare (21 endecasillabi) Sciolti, pp. 530s.; Sonetto: Ferma il pie‟, ferma il pie‟ mia pecorella..., p. 545. 424 Parlata d‟un disperato (16 endecasillabi in terza rima), pp. 515s. 425 Non in quella del 1821 di cui ci sono pervenute tutte le declamazioni con il nome di chi ne era stato l‟autore e di chi le aveva recitate. Che sia quella dell‟anno successivo di cui, ch‟io sappia, nulla ci è pervenuto? 216 Non vi stancate di leggere, studiare ed imitar Cicerone, per l‟eloquenza latina, Segneri per l‟italiana; per la poetica non vi dipartite da Orazio e da Virgilio fra i latini, e da Tasso per gli epici italiani... Oltre a tutto questo convien provvedere un buon capitale di esemplari e averlo pronto alla mano, vuo‟ dire imparare a memoria i piú bei squarci e le migliori sentenze degli ottimi autori, massime di Virgilio, Orazio e Cicerone fra i latini, di Dante, Petrarca, Tasso, Segneri fra gli italiani... Curarono tanto [la chiarezza], che furono pronti a sacrificar tutto per conservarla Demostene... Cicerone... Omero... Tasso e Virgilio... e mostrano col fatto, che quello che non è luce, è tenebra, e perciò vizioso.... Potrete molto avvantaggiarvi colla lettura dei classici piú armoniosi, come Cicerone, Virgilio, Casa, Segneri e Tasso426. L‟Ariosto no, valendo alla scuola del Gianelli il principio: Maxima debetur puero reverentia427. Due composizioni non sono temi assegnati: “Al Rdo Professor di Rettorica Antonio Gianelli” in occasione d‟essere stato deluso nella speranza del premio a cui aveva atteso428, e, già in filosofia, un capitolo sulla morte di Pio VII429. Ne scrisse qualche altra anche da teologo – lo fa pensare il trovarle in fondo al volume d‟appunti di teologia morale –430. 426 A. GIANELLI, Ristretto di Precetti Rettorici, manoscritto, pp. 32,45,12,19 in ACGSG,. 427 N. BARABINO, Vita di mons. Antonio Gianelli, cit., p. 13. 428 Terzine (118 endecasillabi in terza rima), pp. 541-545. 429 In Morte di Pio VII, Pont. Mass. – Capitolo: Sciogliete il freno, o Sacre Muse, al pianto... (88 endecasillabi in terza rima), pp. 550-553. 430 AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol XVIII, pp. 625-631. Le agonie e la morte di Voltaire (91 endecasillabi in terza rima) pp. 625-527; Si persuade un amico a non lasciarsi adescare dall‟ozio e dall‟amore (nove sestine di versi settenari, rimati abcbdd, il primo e il terzo sdruccioli, gli altri piani): Fuggi, Signor, dell‟ozio / Fuggi d‟amor le cure... p. 628; un sonetto sulla battaglia di Trafalgar: Là su quel lido il non mai vinto inglese... p. 629, ed un‟ode saffica alla maggiore celebrità ligure del Parnaso, il Chiabrera: Qual nuova luce del Letimbro in riva... (14 strofe di tre endecasillabi ed un adonio, rimati ABAb) pp. 629-631. C‟è anche un distico in greco alla Provvidenza con traduzione latina p. 629 ed una mezza pagina in prosa latina sostenuta: Quid cœlos metiri juvat... quid absconditas rerum caussas inquirere, legesque queis omnia obtemperant...? p. 631. Si noti l‟arcaico queis per quibus. Il latino l‟aveva appreso bene e poteva servirsene con padronanza, anche in metro. Al comparire del primo volume del suo Compendio di teologia morale, la Civiltà cattolica trovò un solo 217 La conoscenza delle regole del bello scrivere procurò al Frassinetti premi, bei voti, la pubblicazione d‟un‟alcaica in latino – aveva solo sedici anni – e stima grande in casa: Fervere nostro pectore quis neget Munus supernum? quo sacra Virginum Pindi colamus, fert decorum Nos studium, et rapiens in artes...431. Premi e delusioni. La storia di quel premio mancato l‟aveva buttato giú. Ne sfoga l‟amarezza in terza rima al suo professore, il Gianelli, che gli aveva fatto sperare la corona che poi vide involarsi sul capo di un altro432. Centoventuno versi, in cui mostra i suoi nobili sentimenti. La stima e l‟affetto che nutriva per il suo professore, ci dicono cosa per lui e per i suoi compagni era il Gianelli dal quale si fa dettare le norme di vita a cui attenersi. Sono versi d‟un alunno diligente in cui si possono avvertire risonanze dantesche dei primi canti dell‟Inferno e qualche rispondenza con il carme manzoniano In morte di Carlo Imbonati, che poteva essere già giunto a sua conoscenza. Mi sono astenuto da tagli che l‟avrebbero migliorato, perché il lettore si faccia una giusta idea di ciò che sentiva questo ragazzo di sedici anni e come lo esprimeva. Lo riporto intero anche per un‟altra ragione, anzi soprattutto per essa: mostrare l‟ascendente che il Gianelli aveva su quegli adolescenti, un Gianelli canonizzato ancor vivo da un suo alunno centotrent‟anni prima che lo fosse da papa Pio XII: appunto da fargli: averlo scritto in italiano, un vero peccato! (Civ. catt., XVI(1865) vol. IV, serie VI, p. 728). In realtà il Frassinetti aveva steso il suo lavoro in latino e poi se l‟era tradotto in italiano sapendo, checché se ne pensasse alla Civiltà cattolica, che da non pochi preti, eccetto quello d‟obbligo, sermo latinus non legitur. Lo strepitoso successo editoriale – la prima edizione esaurita nel giro di qualche mese – fece ricredere il censore della Civiltà: (Civ. catt. XVII(1866), vol. VI, serie VI, p. 596). Si noti la diversa posizione del Frassinetti e del padre gesuita recensore: il primo è pronto a sacrificare il bel latino alla buona formazione del confessore, il secondo vuole servirsi dei testi di morale scritti in latino per costringere il clero allo studio della lingua. 431 “Chi può negare che un divin dono ci avvampa in petto? con cui onorare il sacrario delle Vergini del Pindo (= le muse). Nobile passione ci muove e spinge alle arti belle...”. 432 Di ingiustizie simili, vere o supposte, si lamenta anche il Ruffini nel Lorenzo Benoni. Op. cit., pp. 30-31. Anche se il Lambruschini insiste sulla massima imparzialità, un seminarista interno era pur sempre qualcosa di piú rispetto ad uno esterno, ed un blasone, per quanto la Rivoluzione si fosse accanita a farne scempio e a scalpellarli per cancellarne persino la memoria, continuava ancora a fare un po‟ di premio a chi ne era adorno. 218 Sotto il bel giogo433, u‟ ogni alma grande e pia Sale animosa come onor la sprona fuor della vil turma profana e ria 5 A cingere la viride corona Che la gloria immortale solo comparte Ai degni abitator dell‟Elicona, Ai pii cultori d‟ogni nobil arte, A quei che meritar diadema e soglio, Ai degni figli del temuto Marte, 10 15 Scemo di vizio e di nefando orgoglio, Stuolo diletto al Ciel, stuolo beato, Da ogni delitto preservato e spoglio, Io m‟aggirava; e in vagheggiar434 l‟aurato Seggio di gloria e d‟adamante il tempio Su ricche basi risplendente alzato, U‟ non ricovra mortal triste ed empio, U‟ non sale il livor, la fera possa Non perviene del tempo e il crudo scempio, 20 Sentimmi al cor irresistibil scossa E di nobil desire il core acceso E mia interna virtú svegliata e mossa: Ed oh! – dicea – felice quei che asceso Sull‟alto giogo la mortal giornata Passa ed è poco dalla morte offeso, 25 Che sol la salma esangue al suol calcata Dall‟indomito pie‟, sua fama altera Resta e si spande eterna ed onorata. E invan d‟oblio la nube invida e nera Tenta oscurarne il bel chiaror e il die 433 Da collegarsi con Io m‟aggirava del verso 13. Per facilitare la lettura ho posto le due parole in grassetto. 434 e in vagheggiar… Sentimmi al cor del verso 19 in corsivo per facilitare la lettura. Il Frassinetti, da studente, si mostra alunno tutt‟altro che di fiato corto nel periodare, e vi riesce senza inciampare lasciando periodi in sospeso! Sacerdote, quando scrive per il popolo, i suoi periodi si fanno brevissimi, per paratassi. Si direbbe sullo stile dei vangeli. 219 30 A cui non giungerà torbida sera. Chi mai m‟additerà le dolci vie Del nobil giogo, e qual pietosa aita Fia che m‟adduca all‟alme degne e pie? 35 Oh quanto allor la nostra mortal vita Grata mi fora! e amabile e diletta Di che ognun teme l‟ultima partita! Dissi, e fin là sulla gloriosa vetta Volò la prece umil, ossequïosa, Dalle bell‟alme non sdegnata e accetta. 40 45 Una fra tutte nobile e pietosa Alzossi e scese a me che intento e fiso Vagheggiava la schiera gloriosa. A lui mi volsi e un placido sorriso Vidi brillargli in volto, onde mia speme Crebbe e mostrossi sull‟accenso viso. A me, diceva, “Amabili e serene Aure spira di vita e, saggio e pio, Non ti venga a turbar ombra di pene. 50 Or può esser pago il nobil desio, Se a salir giungerai l‟altero monte U‟ il seggio stassi ed il soggiorno mio. Serena leva – ah non temer! – la fronte Spera e seconda del tuo cuor i moti Ché d‟essi al par fian le bell‟opre pronte. 55 60 Gianel son io. Già udi‟ di molti i voti E colà su gli addussi in vero a gloria, A bella gloria e vera, e a te son noti. Or tu dell‟ardua via spera vittoria, Seguimi e non temer, tutto potrai Se i miei detti avrai fermi in la memoria». Disse, e sí vivi scintillar suoi rai Che di fiducia accesimi, ed in core Ardimento simil destossi mai. 65 I‟ mossi i primi passi, ed il mio ardore Vieppiú s‟accrebbe, e alla mia scorta dietro, Dell‟ardua via neppur guardai l‟orrore 220 D‟amoroso fanciul tenendo il metro Quando a trastulli suoi da alcun s‟adduce Che pur non volge i rai brillanti indietro. 70 75 Ma quella via, che all‟alto fin conduce, Tanto è ristretta in sul principio e oscura Cui rado scende pio raggio di luce E tal fatica vuolsi e somma cura Onde non rovinar, che io mi ristetti E tutto a un tratto mi prese paura. I‟ vidi intanto fieri e crudi aspetti Di bruti e di dragoni. Egli s‟avvide Del mio timor e sí riprese i detti 80 “Figlio – dice – che temi? – e poi sorride: – Ove è l‟ardir? Spera e mi segui, o figlio. Non ve‟ chi ti conforti e chi t‟affide?” E in lui fissando l‟atterrito ciglio Qualche scintilla pur d‟ardir destosse E mi arresi di nuovo al pio consiglio. 85 90 Ma tal nuovo terror il cuor mi scosse, Tanto temei sicché m‟appresi a un sasso Né piue al bel suo dir speme mi mosse. Ei consigliava ed imponeva, ma, ahi lasso, A muovermi non valse, e immoto e pallido Piú all‟insú non potei drizzare il passo. Il nobile desio rimase invalido, Giacque la speme quasi a non piú sorgere. A ridestarmi ardir piú non fui valido 95 E allor fu vano dolce aiuto il porgere Dell‟amoroso maestro, e piú non valse Il ricaduto ardir a far risorgere. Molto del mio destin fero lo calse. Cercò di consolarmi, ed egli intanto Sul giogo glorioso allor risalse, 100 Mentre io pur miro altrui, che il nobil vanto Ha di salir per sua mano il colle E di vestirsi del suo superbo manto Di fama e gloria, ed io di sudor molle 221 105 Pur ancor tento continuar la via Che a vera pace e a vero onor estolle, Sperando ancor ora felice e pia Che mi ridesti ardir, e amica mano Che nuova aita a risalir mi dia. 110 Ma, oimè, che temo che il sperar sia vano Se non riuscivvi il mio duce amoroso. Ahi, forse spero e mi lusingo invano! A te pertanto, che il dolce riposo Hai nel bel tempio, offrir il canto mio Oso. L‟accetta, o mastro mio pietoso. 115 A te sorrida il ciel sereno e pio, Lungi il livor da te, lungi lo stuolo Al ben oprar nemico infame e rio, Mentr‟io mi giaccio ancor sul basso suolo. Occhi vivi e scintillanti, brillanti rai, il suo “Gianel”, e parole saette. Il discepolo seguirà il maestro, non per cingere alloro in Elicona, ma per cingere ben altra corona su ben piú alta montagna. A casa non credo che Paola, anche se orgogliosa di tanta bravura del fratello, apprezzasse troppo tali finezze poetiche e quella sua dimestichezza con dei e dee dell‟Olimpo. Merito del Gianelli, il buon livello della scuola, ma anche dell‟arcivescovo di Genova, Luigi Lambruschini, che aveva saputo suscitare nei giovani tanta emulazione e tanto amore per lo studio. Chiamato a presiedere le accademie e le premiazioni dei somaschi e degli scolopi, non avrebbe potuto sopportare che in quelle del seminario, le sue, non si fosse all‟altezza delle altre, ed anche un po‟ piú in su. Lo vediamo quindi incentivare a piú riprese l‟emulazione e gli studi dei giovani studenti: La sapienza ha certamente un prezzo inestimabile, ed il conseguimento di lei offre per se stesso (non vi ha dubbio) il migliore dei premi... L‟esperienza ciò non pertanto ha fatto… toccare con mano, che certi eccitamenti, porti opportunamente a‟ Giovani studiosi, servono non poco ad accrescere il loro coraggio nel letterario stadio… Tra questi eccitamenti... tengono senza fallo uno dei primi luoghi gli onorati premi, quando questi siano distribuiti... con giustizia secondo la sola ragione del merito. A tale effetto Noi abbiamo ordinato l‟incisione di una medaglia d‟onore... per eccitare la virtuosa vostra emulazione, premiare nel modo che possiamo i letterari e scientifici vostri sudori... 222 C‟era davvero da sudare per conquistare la medaglia d‟argento dorato di una sufficiente grandezza, con l‟effigie di san Siro nel diritto e della Religione nel verso e, rispettivamente, le scritte Patrono Ecclesiæ Janunensi-Seminarium Januense e Religioni et Studio-Aloisius Lambruschini Archiepiscopus! Per il secondo classificato ce n‟era una di solo argento. Tutti i Giovani, che noi abiliteremo al concorso, dovranno subire un esame particolare per ottenere il premio sovra indicato... Agli Scolari di Rettorica daremo... un tema in prosa, e un altro in verso – in una successiva notifica precisa: e l‟altro in versi segnatamente latini – sui quali dovranno i Concorrenti formare ciascuno un doppio componimento... nello spazio di ore 6, essendo questo il tempo che Noi accordiamo, ma resta a tutti severamente, e indistintamente interdetto l‟uso di qualunque libro, e di qualsivoglia scritto... Sarà nostra cura di farli esaminare, e esaminarli Noi stessi, con la massima diligenza, ed imparzialità... Verrà da Noi intimato il giorno per la formale distribuzione dei premi anzidetti, che faremo Noi medesimi colla piú grande solennità nel Salone del nostro Seminario, dove sarà pure letto e distribuito il foglio... nel quale... si troveranno stampati i nomi di coloro, che saranno riusciti gloriosi nel letterario, e scientifico cimento435. Alla fine di quell‟anno scolastico 1820-1821, secondo del corso di “Rettorica”, negli elenchi a stampa, a noi pervenuti, dei riusciti gloriosi nel letterario, e scientifico cimento, vediamo il Frassinetti insieme al marchesino Giovan Battista Cattaneo: “1821, idibus Augusti (13 agosto)... librorum dona elargita iis omnibus, qui in hoc solemni periculo laude digni judicati sunt Ioannes Baptista Cattaneo, Ioseph Frassinetti”. Al Lambruschini la preparazione dei chierici stava veramente a cuore. A lui si deve il corso di canto gregoriano obbligatorio per tutti quelli che non ne fossero stati esclusi perché “inabili, perché mancanti di voce, o di petto, o d‟orecchio”. Chi ne aveva le doti, ed il Frassinetti era di questi, doveva studiarlo con serietà “avvegnacché questo dove sia ben eseguito riesca di 435 Una notifica del 19 giugno 1820. Un attacco solenne, da enciclica papale: Luigi Lambruschini... per la grazia di Dio, e della Sede Apostolica Arcivescovo di Genova, Abate perpetuo di S. Siro, Legato Transmarino,... Ai nostri dilettissimi Chierici del Seminario Arcivescovile, e a tutti gli ottimi Giovani che ne frequentano le Scuole, Spirito di sincera pietà, aumento del Timor Santo di Dio, e benedizione nel Signore. La stessa solennità nell‟altra del 16 aprile 1823 citata nell‟inciso. ASAG, Seminario Maggiore di Genova, Storia del Seminario, Cart. n. 13 – Anni 1811-1824. 223 non poco vantaggio ai fedeli per assistere con divozione, e fruttuosamente alla celebrazione dei divini Misteri”. Si dedicasse, perciò, il tempo necessario nel solfeggio, e nel conoscere il preciso valore delle chiavi, e dei rispettivi segni, che formano come l‟alfabeto del Canto stesso, ed insegnano ad inflettere, e modulare la voce in guisa che tutti i Cantanti tendono all‟unisono, donde ne deriva quella che chiamasi dolce armonia... Ed avvertiva i seminaristi cantori: Noi daremo tutto il peso alla Censura del loro abile Maestro, ma formeremo altresí il Nostro giudizio sul maggiore, o minor profitto sulle prove che eglino medesimi ce ne daranno nell‟assistere, e prender parte colla loro voce al canto dei divini Uffiicj nel Coro della Chiesa Metropolitana, dove spesso ci accorgiamo che molti de‟ giovani cantano bensí, ma in modo da farci temere, che non pochi di essi siano pressoché affatto digiuni della scienza delle note436. Altra novità fu l‟introduzione d‟un corso biennale di greco, non solo per i giovani di umanità maggiore (piú o meno il nostro ginnasio superiore) e per quei di retorica, ma anche per quei che già si trovavano in filosofia e teologia. Il Professore della Classe Superiore compilerà, e pubblicherà il piú presto possibile colle stampe una raccolta di squarci tratti da diversi Classici Greci, per l‟uso dell‟una e dell‟altra Scuola. Finché questa raccolta non venga alla luce, nella Classe degli Elementi si potrà spiegare l‟Evangelo di S. Luca, nell‟altra gli Atti Apostolici, e le Epistole di San Paolo, etc. 437. Il Frassinetti, già in filosofia, seguí il corso con grande onore: 1823, XVII Kalendas Septembris (16 agosto)... e secunda schola Græcæ linguæ – svolse quindi il programma di due anni in uno, essendo iniziata la scuola di greco il 10 novembre dell‟anno antecedente – laudatus amplissimis verbis Joseph Frassinetti. Lode sudata. Si batterono per ben sei ore: 436 Notifica del 19 febbraio 1823. Stessa cartella. 437 Notifica del 14 novembre 1822. Stessa cartella. 224 Certatum est horis sex a singulis classibus. Auditoribus linguæ Græcæ Novi Testamenti pars, sorti ducta, quae sine interprete latine redderetur, singulorum verborum origine, et Græcæ linguæ syntaxeos ratione explicata. Giacché siamo in argomento, aggiungiamo di seguito gli altri attestati a noi pervenuti, anche se non piú del corso di retorica. Il 16 luglio 1824 lodi per il profitto in teologia dogmatica ed ancor piú, verbis amplissimis, insieme al Cattaneo, per la teologia morale. L‟otto agosto 1825 di nuovo grandi lodi per la dogmatica. Solo per un pelo gli sfuggí il primo premio in teologia morale: Huic [Gualco Dominico – seminarista interno –] cum proxime accesserit, Frassinetti Joseph tulit secundum premium438. Frassinetti, Gualco, Cattaneo, li continueremo a vedere tutta la vita uno a fianco dell‟altro. Come oggi i pulcini delle grandi squadre di calcio giocano anch‟essi un loro torneo, cosí quegli adolescenti avevano una loro accademia, l‟Arcadia degli Ingenui439, con tanto di tornate e stampa dei lavori che vi si declamavano. Era distinta in tre classi. Nella prima, cui apparteneva il Frassinetti, potevano esservi ascritti tutti coloro che, senza traccia e senza libri, saranno capaci di fare un discreto componimento in versi Latini, o Italiani, o almeno in prosa esatta e robusta... Dovranno essere amanti dello studio ed esemplari nella propria condotta, sí pubblica che privata; e verranno cancellati ogniqualvolta si avranno prove in contrario. La prima classe avrà un Principe, un Segretario, un Intendente, un Procuratore, due Censori, un capo Consigliere, quattro Consiglieri Maggiori e quattro Minori... Sarà cura del Principe, non solo di invigilare al buon ordine ed ai progressi generali, ma tutti eccitare alla saviezza ed allo studio coll‟esempio, coll‟insinuazione e collo zelo... Gli Arcadi ascritti, passando a un‟altra scuola, non perderanno il diritto dell‟Arcadia... e potranno aver parte nelle pubbliche Accademie440. Tra i dignitari dell‟Accademia nell‟anno 1820-1821 troviamo il Frassinetti col titolo di secondo censore, e l‟anno successivo di intendente. Due i censori, uno l‟intendente. La prima carica fa pensare ai probi viri dei 438 Le citazioni di questi due paragrafi le ho attinte dagli appunti di GIUSEPPE CAPURRO conservati nell‟Archivio Frassinettiano. 439 Cfr. Memorie dell‟Arcadia degli Ingenui, in ASAG. 440 ACGSG. 225 partiti, mentre “l‟intendente proporrà i temi da trattarsi nelle Accademie o esercizi, combinerà ed assegnerà i diversi argomenti, dopo averli consultati col Principe e col Maestro...”. La carica piú alta era quella di Principe, ricoperta nei due anni dal Cattaneo. Tra i Consiglieri troviamo il nome dello Sturla, del Poggi e di Girolamo Campanella, tutti nomi che ritroveremo spesso nel corso della storia. Nell‟anno 1821-1822 colpisce vedere successo al Frassinetti nella carica di censore, anzi di primo censore, Federico Campanella. Di lí a due anni l‟Università di Genova lo sospenderà per un mese dalle lezioni perché s‟era permesso “di disturbare l‟ordine e la disciplina degli studenti nella scuola di fisica”441 e, per di piú, “avanzare delle massime contrarie alla Religione ed all‟autenticità dei libri Santi”442 e mostrare “disprezzo per le pratiche ecclesiastiche”443. All‟Università s‟era incontrato con il Mazzini e ne divenne il compagno di tutti i moti e di tutte le congiure. Fu l‟uno del “piccolo gruppo di scelti giovani, di intelletto indipendente, anelante a cose nuove” che era ancora “rimasto a combattere per l‟antico programma”444. Capo della massoneria italiana, riuscí nel 1869 ad unificarne le cento scuole445. 441 AUG, Documenti universitari, Registro delle deliberazioni, n. 5, 18 febbraio 1824, citato da A. CODIGNOLA, I Fratelli Ruffini, vol. I, cit., p. XXXIX. 442 AUG, Docum.univ., Reg., .5, 11 marzo 1824. Delitto che aveva prolungato la sospensione sine die. Severità piú apparente che reale, trovandosi sempre il modo di vanificarla. Nel caso, per essere riammesso alla lezioni bastò una supplica in cui si chiedeva “a non voler interpretare in mala parte dette questioni, protestando aver ciò fatto accademicamente per solo esercizio d‟argomentazione e non già per non essere persuaso delle verità sante insegnate ne‟ sacri libri, delle quali si protesta umile e sincero credente” (Cfr. AUG, Documenti scolastici, F. Campanella, cit. da A. CODIGNOLA, ivi). 443 Rapporto del prefetto agli Studi Gerolamo Bertora, 5 marzo 1824, p. XXXVIII. 444 G. MAZZINI, Scritti Editi e Inediti, vol. I, Note autobiografiche, cap. I. 445 Dizionario del Risorgimento Nazionale, vol. II, Le persone, Milano 1930, p. 500. Se la cosa all‟epoca non fosse stata tutt‟altro che rara, potrebbe suscitare meraviglia saperlo zio materno della beata Rosa Gattorno, fondatrice delle suore di S. Anna, dopo di essere stata una Figlia di Maria della Pia Unione che faceva capo al Frassinetti. Fallito il moto mazziniano del 1833, il Campanella trovò rifugio nella casa della sorella e fu fatto fuggire in Francia dove pose in salvo la vita. Rientrato in Italia nel 1848, ebbe un influsso funesto sul nipote Federico, fratello di Rosa Gattorno, che ne rinnovava il nome. Sempre a Genova, Nino Bixio aveva un fratello gesuita; Antonietta Mazzini fu una pia cattolica e tutt‟altro che fiera del fratello Giuseppe, fino a pregarlo di non venire quando voleva passare a confortarla per la 226 Anima dell‟accademia era il Gianelli, sostenuto dall‟arcivescovo Lambruschini. In quella del 1821, “La Religione e le Lettere”, il Frassinetti recitò un componimento di 108 versi in terza rima scritto dal suo compagno Sciallero, mentre la sua alcaica Litterarum prestigium, di cui abbiamo riportato alcuni versi, fu letta dal Cattaneo. Ci furono ben trentasette declamazioni. Un vero florilegio di generi letterari in latino, greco, italiano e genovese446. Tra i partecipanti si riscontra piú d‟un nome che rivedremo nella nostra storia: Lorenzo Revelli e Filippo Poggi, ciascuno con un sonetto, Girolamo Campanella, fratello del piú giovane Antonio, il battagliero giornalista del Cattolico, anch‟egli sacerdote, con un epigramma latino447. Luigi Sturla con un detto greco. Vi partecipò anche Federico Campanella, con uno scherzo in genovese e un‟ode448. Non mancò la musica, ed in musica anche il ringraziamento finale. Queste accademie, presiedute dall‟arcivescovo, presenti le autorità, i familiari degli alunni e scelti invitati, come pure le solenni premiazioni di fine anno, erano la messa in mostra del valore della scuola e la gran giornata degli alunni piú bravi. Ce se ne può fare un‟idea leggendo la descrizione della premiazione di fine anno al Collegio Reale dei somaschi nel Lorenzo Benoni di Giovanni Ruffini: La distribuzione dei premi ebbe luogo, come al solito, nella chiesa del collegio. In tali occasioni, l‟altar maggiore era trasformato in un anfiteatro di panche a gradinata sulle quali stavamo seduti come in trono, in cravatta bianca e guanti di cotone pure bianchi. Gli spettatori, perlopiú genitori e amici degli allievi, erano tutti raccolti nella navata, e i posti d‟onore erano occupati dall‟arcivescovo, dal governatore militare e dal presidente del senato. morte del marito “a causa dei suoi principi e per riguardo al presunto desiderio del defunto marito” (G. MAZZINI, Scritti editi ed inediti, Ed. Naz:, vol 91, pp. 324s.). 446 La Religione e le Lettere, un opuscolo pubblicato nel 1821 in Genova da Bonaudo, “Stampatore Arcivescovile”. Ce ne è pervenuta una copia a mano del Frassinetti. 139 pagine di cm 14x15. Vi si riportano i componimenti del trattenimento accademico dato in seminario a conclusione dell‟anno scolastico 1820-1821. Il componimento del Frassinetti, sedicenne, letto dal compagno G. B. Cattaneo, futuro rettore del seminario, si trova a pagina 57. 447 Non saprei dire se erano imparentati con Federico Campanella e la Gattorno. 448 Le lettere vendicate e La Religione e le Lettere. Cfr. pure A. CODIGNOLA, I fratelli Ruffini, vol. I, Genova 1925, p. XXXVIII, n. 87. 227 La cantata fu un vero successo, e il pubblico ne chiamò due volte alla ribalta gli esecutori. Anche il mio inno alla Provvidenza in versi sciolti, declamato con molto impeto, riscosse grandi applausi. Infine vennero pronunciati i nomi degli alunni premiati, cominciando dalle classi inferiori. Giunti alla classe di retorica: «Primo premio in versificazione latina, al signor Lorenzo». Scesi dal mio banco e ricevetti dalle mani dell‟arcivescovo una corona di alloro e qualche libro, mentre il pubblico... scoppiava in applausi fragorosi. Lorenzo, ossia Giovanni Ruffini , fece il pieno: primo premio in poesia italiana, premio di geometria, premio di disegno. L‟entusiasmo che si scatenò è indescrivibile. Ultimo veniva il premio di eloquenza, o di prosa latina, ch‟era il piú importante e portava il nome di “Massimo primo premio di tutta la distribuzione”. Distribuiti tutti i premi salvo questo, subentrò una pausa; poi l‟orchestra attaccò un motivo, finito il quale, vi fu un minuto di vibrante attesa, di silenzio profondo, di orecchie tese... “Il massimo primo premio di tutta la distribuzione, al signor Lorenzo!”. Chi può descrivere l‟eccitazione che si impadroní del pubblico a quest‟annuncio? Il padre rettore si alzò, mi venne incontro e mi si gettò nelle braccia piangendo. Il povero signor Lanzi – in realtà Giacomo Lari, professore di greco e di latino, di grande ascendente sui giovani – singhiozzava addirittura... Dopo la distribuzione passammo al refettorio, dove ci attendeva un pranzo di gala con la partecipazione dei parenti dei premiati... Quando la cena fu finita,... vacillando sotto una caterva di libri e di corone, lasciai il collegio449. Gioia simile avrebbe vissuto il nostro Frassinetti se non fosse stata appannata dall‟amarezza del primo premio datogli per sicuro e visto assegnato ad altri. Il ricordo della sua bravura a scuola, e soprattutto di quell‟ode latina, era rimasto cosí vivo negli antichi compagni di retorica, da ricordarsene a quarantasette anni di distanza nelle commemorazioni che fecero alla sua morte: Applicato per tempo agli studi nel nostro ven. Seminario Arcivescovile, le cui scuole erano a que‟ giorni le piú frequentate della città,... suscitò nei 449 G. RUFFINI, Op. cit., pp. 99s. 228 professori e nei compagni ottime speranze di futuro sacerdozio, come colui che sapeva innalzarsi tra i primi allievi nelle esercitazioni letterarie...450. Il canonico Filippo Poggi, uno che a quell‟accademia aveva preso parte con un sonetto e 94 endecasillabi, ricordava con prosa preziosa l‟ammirazione che avevano suscitato i versi latini del Frassinetti: Forse non gli sconverrebbe la lode dei divini Proverbi: Viæ eius, viæ pulchræ. La quale sentenza si avvera ancor piú, se per poco il miriate nel primo stadio della carriera scolastica. Dischiudi pur le tue sale al nostro buon garzoncello, o venerabile Seminario genovese; e poiché desti, e dai tuttodí, cultori devoti alle muse e alle scienze, ecclesiastiche singolarmente, accogli pure costui, perché in crine ancor biondo nasconde senno alto e maturo451. Il nome di lui suona incremento: filius accrescens Joseph, filius accrescens; epperò crescerà rinomanza alla tua Accademia, al tuo Perípato, non che alla palestra delle teologiche discipline. Eccol difatti, primo tra i primi acquista seggio in Arcadia, e in picciol tempo ne tiene i sommi gradi. La stampa già divulga la fama di un‟ode sua latinamente dettata nel difficile metro d‟Alceo, ove toglie a celebrare il prestigio delle umane lettere, e in trattenimento accademico ne coglie i vivi applausi dalla dotta e numerosa adunanza452. Chissà se il Frassinetti, da poco piú d‟un mese in paradiso, tutto intento a saziarsi gli occhi di quelle infinite meraviglie, fece caso alla prosa leccata dell‟antico compagno ed amico, cosí lontana dalla semplicità della sua, e ne sorrise con il Gianelli. Nei titoli dei temi che venivano assegnati a quei giovani v‟è certo del paradossale. In pieno clima di restaurazione e dura repressione, di assolutismo regio – sono gli anni di Carlo Felice –, di rigorosa censura e di felice connubio di trono e altare, nei seminari, come nelle altre scuole anch‟esse tenute dal clero, si tifava repubblica e libertà. Lo nota Giovanni Ruffini nel romanzo autobiografico: 450 Un necrologio anonimo comparso l‟8 gennaio 1868 sul periodico genovese Stendardo Cattolico. Cfr. pp. 6s. Un estratto di 16 pagine, tirato a parte, si conserva nell‟AF. 451 Questo fa pensare che il Frassinetti da giovane fosse biondo. 452 CAN. F. POGGI, Della vita e degli scritti di Giuseppe Frassinetti priore di Santa Sabina – Discorso nelle solenni rinnovate esequie il dí 14 febbraio 1868, Genova 1868, p. 7. Cfr. pure D. FASSIOLO, Op. cit., p. 16. 229 Incredibile ma vero, in Piemonte453 – cioè nella parte d‟Italia forse piú dispoticamente governata a quei tempi – l‟istruzione pubblica era del tutto repubblicana. La storia di Grecia e di Roma, sola cosa che ci fosse insegnata con cura, era, per la luce nella quale era messa, poco meno di un continuo libello antimonarchico e di un panegirico della forma di governo repubblicano... La grandezza e la potenza di Roma risalivano al momento in cui aveva espulso i Tarquini, mentre la grande repubblica che aveva conquistato il mondo era impallidita nelle mani di Cesare... Si direbbe che l‟odio dei tiranni e l‟entusiasmo per il loro assassinio fossero coltivati in noi di proposito. I temi assegnatici in classe si muovevano tutti in quell‟orbita: una volta ci si chiedeva di lanciare i fulmini della nostra eloquenza latina su Cesare in atto di passare il Rubicone, e mostrare, in un‟orazione in tre parti con esordio e perorazione, ch‟era il gesto d‟un figlio snaturato per soffocar la repubblica sua madre; un‟altra eravamo chiamati a divinizzare i due Bruti, Muzio Scevola, Catone eccetera. Cosí fin dai piú teneri anni, ci si inspiravano idee e sentimenti che erano in completa antitesi con quelli che avremmo dovuto portare nella vita pratica, e un cieco entusiasmo per atti e virtú la cui imitazione sarebbe stata condannata e punita come un delitto dalla società in cui dovevamo vivere454 Istituire repubbliche era uno dei giochi che piú li divertiva in cortile. Non sul modello di quella di Genova, come a Genova, ancora umiliata per essere stata ridotta a provincia, ci si potrebbe aspettare, ma di quella romana con contaminazioni della francese dei tempi della Rivoluzione. Un darsi da fare a costruire corazze elmi e scudi per celebrarne i trionfi con tanto di littori e fasci e bandiere con nel centro stemmi di mani intrecciate e scritte: Repubblica – Fraternità. Le acclamazioni però non erano quelle riportate da Svetonio impregnate d‟olezzo di caserma, ma odorose d‟incenso: Dio salvi la Repubblica, risonanza della vecchia invocazione udita per secoli alla fine della messa festiva nelle chiese delle due Riviere. Una bella commistione, non c‟è che dire. L‟articolo 3° d‟una rinata “Repubblica” nel “Collegio Reale”(!) sonava: 453 Qui sta per Regno di Sardegna, quindi anche a Genova dove egli aveva fatto i suoi studi al Collegio Reale. 454 G. RUFFINI, op. cit., p. 76. 230 Il potere nazionale risiede nell‟intera camerata, e, a maggioranza di voti, è delegato ai due consoli, investiti dell‟amministrazione della giustizia e della conservazione della libertà455. Sono titoli ed atteggiamenti che ci fanno sorridere, ma erano secondo i programmi in uso, poco importa se in cattedra sedevano somaschi scolopi gesuiti o clero diocesano. Cesare Cabella, alunno del De Gregori e compagno del Mazzini, agli esami di Magistero per accedere all‟Università, dovette svolgere per l‟italiano il tema: Amilcare obbliga il suo figlio Annibale a giurare odio ai Romani; per il latino: In Brutum Cæsaris interfectorem – Oratio456. In seminario, la scuola piú frequentata di Genova ed aperta anche a chi non aveva mai pensato di ricevere gli ordini, cambiavano i sonatori, non cambiava lo spartito. Del resto, basta una scorsa alle poesie di quanti poetarono sui destini d‟Italia per farsi un‟idea di come questo retoricume libresco, infarcito di Bruti Deci Scipioni Gracchi e Catoni, fosse divenuto sostanza del loro dire. Ancora ai tempi della mia infanzia Annibale e Scipione continuavano a combattersi nelle nostre aule di ginnasio, metà cartaginesi e metà romani, schierati in campo, anche se armati di verbi nomi e date invece che di giavellotti. Se si eccettuano le terzine al Gianelli per il premio non conferitogli e poche altre composte quando era già studente di filosofia e teologia, questi componimenti del Frassinetti ci dicono quello che possono dirci i compiti d‟un giovanetto studioso e diligente. Temi scolastici svolti in versi. Padronanza della meccanica del verso. Ci sono le rime, esatto il ritmo, dipendenza dai modelli, assente l‟ispirazione. Poeta nascitur. A parte le continue incertezze ortografiche per colpa di quelle consonanti doppie e di quella zeta, non esistenti in genovese, che, per paura di non metterle giuste dove occorrevano, spesso si poneva anche dove non andavano, tenendo conto dell‟età acerba, non mancano dei bei versi. Nei suoi manoscritti troviamo versi in gran numero, ma non piú altisonanti come quelli del quaderno di scuola, né piú vi si incontra una sola divinità dell‟Olimpo o eroe della storia antica. Sono strofette devote, destinate al canto per rendere belle le funzioni o da ricanticchiare durante il giorno a modo di giaculatorie. Vi si avverte la commozione d‟un animo che 455Ivi p. 77. 456 AUG, Documenti scolastici. 231 crede, un Frassinetti alunno di sant‟Alfonso Maria de‟ Liguori piú che del Gianelli. Si direbbero una sua trovata per distendersi dagli studi seri senza cessare di essere un pastore che vuole dare un qualche confettino alle sue pecorelle, o gustarsi lui stesso piú a lungo la bellezza d‟un salmo col parafrasarselo in versi italiani. Ma quando nel 1863 uscí la Vie de Jésus del Renan, apparsa lo stesso anno a Milano tradotta in italiano con un proemio riboccante d‟astio anticattolico457, il mite Priore, benché sui sessant‟anni, si risvegliò adolescente focosissimo, e fece della penna stiletto: Renan In questo dí che non ha mane o sera, Ti generai dalla sostanza mia. Ti assidi alla mia destra e regna e impera Sopra il ciel, sulla terra e sulla ria Congrega della gente sozza e altera. Lo scettro tuo sí luminoso fia Che sarà sol della suprema sfera Dove luce ed amor ogni alma india. Cosí l‟Eterno al Figlio suo diletto, Fatto Gesú perché figliuolo a Lei Che fece al serpente antico il gran dispetto. E a Lui per contro un vile verme grida, Ti traggo al suol che un pari mio tu sei! Schiacciate il verme blasfemo deicida. Al Lettore non saranno sfuggite le rispondenze coi salmi 2 e 110(109) ed il verso finale che pare una risonanza della chiusa del salmo 137(136), salmo già da lui tradotto in versi settenari. Nel rovescio di una lettera spedita dalla sorella Paola al fratello don Giovanni in data 8 ottobre 1863 troviamo un altro sonetto del Priore con cui depreca la Vie de Jésus di Ernesto Renan. Al suo demone un dí chiedeva Ernesto: Io son vago di fama e di moneta, 457 Ne era traduttore un prete apostata, don Filippo De Boni, uno che nel „48 aveva furoreggiato a Genova. Si vantava di essere liberale prima e sovra tutto. Da liberale si fece mazziniano e massone. Dopo una vita di turbolenze venne seppellito a San Miniato in Firenze con le insegne della setta. Cfr. A. COLLETTI, Ausonio Franchi e i suoi tempi, Torino, 1925, pp. 61.70. 232 Dimmi qual mezzo mi saria piú presto A conseguir la desiata meta. Mio re, mio padre, sai che io non mi arresto Per orror di delitto, or, se tu lieta farai mia brama ardente, io mi protesto Ardito a compier quanto il ciel mi vieta. Dolce amico e figliuol, oro ed onore L‟illuminato secolo profonde Ove nequizia e frode havvi maggiore. Mesci da sofo bestemmie e argomenti Contro di Cristo il nome, risponde, E vedrai tosto i tuoi desir contenti .458 Figlio di pace il Frassinetti, ma non malato d‟irenismo, come non può esserlo chi ha contratto dimestichezza con la Scrittura ed i padri della Chiesa e si è preso Gesú Cristo come regola del suo sacerdozio. Ad apertura di un corso di storia ecclesiastica, non portato a termine e rimastoci manoscritto, aveva posto una lunga dissertazione in cui critica le congetture usate dagli “eruditi” nel vagliare i fatti dei tempi antichi in base alle quali li accettavano per veri o rigettavano per falsi, invece che limitarsi a dichiararli dubbi per insufficienza di documentazione: Ci sorprende ugualmente che i nostri eruditi – continua –, molti dei quali non serbano tutta la moderazione e tutto il buon garbo nelle pacifiche controversie cogli avversarii delle loro opinioni, pretendano una moderazione cosí inalterabile da‟ santi Martiri negli interrogatori che sostenevano in mezzo ai tormenti da sospettare che siano finti o sí vero adulterati quegli atti che riferiscono le vive e forti parole di che ricambiavano gli‟immanissimi persecutori… Ma orvia, giú gli scrupoli delle risentite parole, non pianga Baillet il cattivo esempio lasciato alla posterità dai santi Taraco Probo ed Andronico, posciaché di parole risentite noi [ne] troviamo abbastanza nelle stesse Divine Scritture proferite dai santi Maccabei contro Antioco, da S. Giovanni Battista e dallo stesso Divino Maestro contro de‟ Farisei. Ella è virtú una placida mansuetudine, ma è pure virtú un‟ira ardente, né questa a quella si oppone come insegna S. Tommaso (Parte III q. 15 a. 9)459. 458 ACGSD. 459 G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. 2, AF, pp. 57s. Un lavoro di 739 pagine cm 21.5x30,8, non portato a termine, né furono trascritte in pulito le parti svolte, eccetto la 233 CAPITOLO XVI L‟ADOLESCENTE FOCOSISSIMO Dissertazione sulla Critica riguardante i primi secoli della Storia Ecclesiastica, pp.1-82, da cui abbiamo preso il passo. Nell‟articolo della Summa a cui rinvia, san Tommaso si pone la domanda Utrum in Chisto fuerit ira, se in Cristo ci fu ira, e risponde che l‟ira del Signore proveniva dallo zelo e si fa forte di Giovanni 2,17, che richiama il Salmo 69(68),10, con il commento che ne fece Agostino (Commento al Vangelo di Giovanni X,9): “È divorato dallo zelo della casa di Dio chi vuol correggere tutte le cose perverse che vede e, se non può, le tollera gemendo”. 234 Un jour une de mes maîtresses de l‟Abbaye me demanda ce que je faisais les jours de congé lorsque j‟étais seule. Je lui répondis que j‟aillais derrière mon lit dans un espace vide qui s‟y trouvait et qu‟il m‟était facile de fermer avec le rideau et que là «je pensais». – Mais a quoi pensez-vous? me dit-elle. – Je pense au bon Dieu, à la vie... à l‟ÉTERNITÉ, enfin je pense!... La bonne religieuse rit beaucoup de moi, plus tard elle aimait à me rappeler le temps où je pensais, me demandant si je pensais encore... Je comprends maintenant que je faisais oraison sans le savoir et que déjà le Bon Dieu m‟instruisait en secret. Sainte Thérèse de l‟Enfant-Jésus460 Se la cara Santina non ci avesse lasciato i suoi manoscritti, nessuno avrebbe pensato di fare d‟una bimba di otto anni una Qohelet che già pensa al tempo che passa e alle vanità di questa terra, alle quali non vale proprio la pena d‟attaccarsi avendoci Iddio creati per lassú. Di lei, supposto che la memoria avesse varcato le mura del chiostro, avremmo saputo che era stata una santa suora, una di quelle su cui si sarebbe potuta riscrivere, se per caso fosse andata smarrita, la regola mirando a come lei l‟aveva vissuta. Eppure, sono proprio i pensieri e le scelte di quei primi anni che fanno il santo. Anche chi ebbe una gioventú dissipata, a guardar bene, trova che la conversione si riattacca ad un qualche suo sí degli anni della fanciullezza. Il Frassinetti ci viene presentato dai suoi biografi già sacerdote, dicendoci poco o nulla della sua infanzia e della sua adolescenza. Una giovinezza, quella del Frassinetti, pari al percorrere in treno le Riviere della sua terra: una lunga galleria rotta di tanto in tanto da squarci di cielo e di mare azzurrissimi, visioni di un attimo che ti lasciano il rammarico di non poterti godere l‟incanto di quell‟ azzurro. Tre o quattro paginette il Fassiolo, una pagina la sorella. Quel che si può dire d‟ogni santo fanciullo: obbedienza ai genitori, spirito di preghiera e di mortificazione, orrore 460 “Un giorno una maestra dell‟abbazia mi chiese come passassi i giorni di vacanza quando mi trovavo sola. Risposi che andavo in un angolino libero ch‟era dietro il mio letto, tiravo la tenda senza difficoltà e lí «pensavo» – Ma che pensi? mi chiese – Penso al buon Dio, a la vita... a l‟ETERNITÀ, penso, ecco tutto!... La buona religiosa rise molto della risposta. Passato del tempo, le piaceva ricordarmi il tempo in cui pensavo e mi chiedeva se pensavo ancora... Ora mi rendo conto che facevo orazione senza saperlo e che il Buon Dio m‟ammaestrava nel segreto. Manuscrits autobiographiques, Ms A, folio 33vo. 235 d‟offendere comunque il Signore. Apprezzamenti generici, sprazzi di luce che ti fanno sentire di quanto tu sia stato derubato. Sorprende non poco il focosissimo rimasto cosí vivo nella memoria della sorella. Il Fassiolo e l‟Olivari non poterono conoscere la deposizione di Giovanna Sanguineti461 al Processo: “[da] ragazzo ho sentito dire che fosse piuttosto vivace: egli stesso lo confessava, soggiungendo però che, purché si voglia, si può divenire miti come agnelli”, ma, se avessero guardato meglio in quel suo quaderno di poesie da lui composte nei due anni di “Rettorica” ed in un altro della stessa epoca, intitolato Selva Poetica, dove ne aveva trascritte in buon numero prese da varie fonti, avrebbero trovato la conferma che Giuseppe fu veramente un focosissimo adolescente come lo ricordava la sorella. A quell‟età, anche se non si parla di sé, anche se si svolgono temi generici, è impossibile non scoprire lembi del proprio animo senza che ce se ne accorga. Proviamo a farla noi questa lettura e non ci mancheranno sorprese, se di lui, leggendo le sue opere, ed è il mio caso, ci si era fatta un‟immagine cosí simile all‟aura carezzevole che sul Carmelo ristorò il profeta Elia 462, tanto il suo eloquio è piano e scende dolce al cuore. Mite l‟eloquio, mite l‟uomo, cresciuto, si direbbe, tra rose e fiori, in un giardino simile a quello che egli stesso ci canta: Questo di Flora amabile soggiorno A Zefiro diletto, ah, quanto è bello! Quanto ave in sé de‟ doni di Primavera: Serbata la gentil rosa d‟Aprile Vedesi a Giugno, e la violetta ascosa Celando sua beltà bella si mira. Qui il Gelsomin s‟innalza, e i torti rami Attorno stende, biancicante, e manda Gratissimo l‟odor... Fortunato cultor che i lieti giorni 461 Da ragazza era stata assidua alle conferenze del santo Priore per un buon numero d‟anni ed aveva conosciuto bene i suoi amici ed i suoi familiari. Cfr. POS.sV., p. 120. Né il Fassiolo, né l‟Olivari poterono servirsi della sua deposizione al Processo diocesano essendone stati pubblicati gli atti il 21 settembre 1934. 462 1 Re 19,12s. 236 Qui passi amico a Zefiro e Pammona De li cui doni l‟orticel fa pompa...463. Viene da pensare che la sera, quando dal mare s‟alzava la brezza, il Signore se ne scendesse anch‟egli a passeggiarvi per intrattenersi un‟ora in compagnia del giovinetto464, compiaciuto del giardino e del ragazzo che vi aveva posto a coltivarlo, vedendo che ciò che aveva fatto era cosa buona465. Il canto continua con la descrizione di piante provenienti d‟ogni parte del globo, riportate, si direbbero, dai marinai appunto per abbellire quest‟angolo di paradiso ad un adolescente mite e dolce, non certo focossimo come vorrebbe la sorella. Inaspettatamente il tono del carme cambia e ci si accorge che il cantore è un rude guerriero italico degli antichi tempi che sferza amaro i nipoti invigliacchiti fra le delizie che offre la natura mentre il barbaro li spoglia delle loro ricchezze: ... Italia mia, che non rigetti ancor tai doni e invece D‟arme ti cingi e impallidir gl‟audaci Rapitori non fai di tue ricchezze? Ove è gito il valor, la possa antica? Chi ormai piú trema sol di Roma al nome? Ahi che sprezzata vilipesa e serva Della mollezza il fio pagar ti veggio Né ancor ti scuoti, e addormenta e vile, Sono i deliri tuoi di fiori e frutta466. Sembra si sia fatto prestare inchiostro e penna da Giovenale: Nam qui dabat olim imperium, fasces, legiones, omnia, nunc se 463 AF, G. FRASSINETTI, Mns., vol. XIX, Guerriero italico entrato in un ameno giardino mentre i barbari depredavano l‟Italia (45 endecasillabi) Sciolti, pp. 529s. 464 Gen 3,8. 465 Gen 1, 4.10.12.18.21.25.31. 466 AF, G. Frassinetti, ivi. 237 continet atque duas tantum res anxius optat, panem et circenses...467. Focosissimo e tutto fremiti d‟amor di Patria. Ci sono echi della canzone Italia mia, benché „l parlar sia indarno, che trovo trascritta nella sua Selva Poetica, pur possedendo una pregevole edizione cinquecentina del Petrarca, ma vi si avverte pure l‟aria che si respirava dai giovani studenti in quel 1820-1821468. A Genova piú che altrove. Carlo Felice ebbe tanta paura delle chiassate che essi fecero in quel marzo 1821 – lo stesso marzo cantato dal Manzoni: Soffermati sull‟arida sponda, / volto i guardi al varcato Ticino... – da fare dell‟Università un bivacco di soldati e tenerla serrata per tre anni e mezzo! In certi momenti della storia si è come soggetti ad una psicologia di categoria e di massa da cui sembra non ci si possa sottrarre. Anche chi non partecipa alle dimostrazioni chiassose e si astiene dalle violenze, non può in cuor suo non simpatizzare per l‟idea per cui si combatte. I moti del „21, suscitati dai carbonari, divennero presto cosa degli studenti delle scuole superiori. Giuseppe Frassinetti era della categoria. Non affrontò il 21, 22 e 23 marzo i cavalleggeri in Sottoripa, bastone in mano come il Mazzini, né si presentò al governatore Des Geneys a chiedergli imperioso se era schiavo o era uomo, ma anche egli sognò fosse giunta l‟ora del riscatto: non piú suddito del Piemonte, bensí cittadino d‟Italia469. 467 GIOVENALE, Saturae, X, 78-81. "Chi un tempo assegnava comandi, fasci, legioni, tutto, ora sol di due cose si preoccupa: mangiare e divertirsi”. 468 Cfr. pure G. LEOPARDI, All‟Italia e Sopra il monumento di Dante che si preparava a Firenze, ambedue composti nel 1818. 469 Cfr. i Ricordi del Mazzini raccolti da PIETRO CIRONI: “La rivoluzione del 1821 fu il primo avvenimento politico che mi scuotesse, ed io era ragazzo, con gli studenti che armati di bastone si portarono dal Governatore Desgenays (sic) per intimargli la proclamazione della Costituzione, e ricordo sempre come cominciò l‟oratore il suo discorso: «Siamo schiavi noi o siamo uomini?». Eravamo tutti in bastone ed il Governatore ci rimandò trattandoci da ragazzi. Io era Sotto Ripa, quando fu ordinato alla Cavalleria di dare la carica, per cui, entrati i cavalli sotto quella volta cosí bassa, tutti gli uomini si rovinarono”. Citato. da A. CODIGNOLA, I fratelli Ruffini, vol. I, p. XXIII, n. 40. Al Desgeneys, la settimana innanzi, gli ammutinati della cittadella di Torino avevano ucciso il fratello colonnello che ne era a capo. Il 23, preso dagli insorti, trascinato per strada e maltrattato, fu salvato dall‟intervento dell‟arcivescovo Lambruschini che risparmiò a Genova di vedersi rioccupata dagli austriaci guidati da Bubna. Cosí, il giovedí 26 aprile in tutte le chiese di Genova si poté cantare il Te Deum in 238 È vero, nel „21, i seminaristi, a differenza di quando ci fu la calata dei francesi un quarto di secolo prima, e di quel che si verificherà nel 1848-1849, non parteciparono attivamente al moto. Ce lo assicura la relazione del Cattaneo: Nel marzo di quell‟anno [1821] accadde la rivoluzione in città per la Costituzione, ma il Seminario non ne risentí né punto né poco: tutto fu sempre tranquillo, né vi fu il menomo disturbo, solo per due o tre giorni furono sospese le scuole470. Il Cattaneo parla dei seminaristi interni, ma sia questi che gli esterni, se non parteciparono alle chiassate ed alle violenze, non vuol dire che non sentissero nulla in cuore. Di ciò che sentisse il Frassinetti ci fa da spia l‟Ode civica Al Regno di Napoli de Il signor Rosetti (sic) Napoletano trascritta in quella sua Selva Poetica non oltre la metà del febbraio del „21, quando si era ormai fatto evidente il tradimento di re Ferdinando di Borbone e le simpatie si andavano spostando sul principe Carlo Alberto. Nell‟ode egli ritrova i sentimenti che in quei due anni furono sentimenti comuni: Il rampollo d‟Errico e di Carlo471, E che ad ambo cotanto somiglia Oggi estese la propria famiglia E non servi, ma figli bramò. Volontario distese la mano Sul volume de‟ patti segnati E „l volume de‟ patti giurati Della patria sull‟ara posò... E fratelli si strinser la mano Dauno, Irpino, Lucano, Sannita, Non estinta, ma solo sopita Era in loro l‟antica virtú... Rivolto quindi agli stranieri: ringraziamento dell‟ordine ristabilito. Il Des Geneys era di idee conservatrici, ma d‟animo generoso, ne è prova non aver posto ostacoli all‟afflusso dei patrioti in città per imbarcarsi ed espatriare, tolleranza che gli costò il posto. Cfr. “Gazzetta di Genova”, 9 giugno 1821, n. 46, p. 190. Cfr. pure V. VITALE, Onofrio Scassi, Genova 1932, pp. 251-258. 470 La relazione sarà riportata ampiamente nel capitolo successivo. 471 Ferdinando di Borbone, re delle Due Sicilie, discendeva di Enrico IV di Navarra ed era figlio di Carlo III. 239 Se verrete, le vostre consorti, Imprecando i vessilli funesti, Si preparin le funeree vesti Che per esse speranza non v‟ha. Sazierete la fame de‟ corvi Mercenarie falangi di schiavi, in chi pugna pe‟ dritti degl‟avi Divien cruda la stessa pietà...472. Non fu certo una poesia assegnatagli dal Gianelli da apprendere a memoria. Anzi, si pone il problema di come gli sia giunta con i controlli severissimi posti alle frontiere da Vittorio Emanuele I per impedire l‟entrata di stampa estera sospetta o che fosse priva di regolare permesso d‟ingresso. Il Fassiolo ci dice che il giovane Frassinetti occupava “molto tempo nello studiare in casa come nelle biblioteche della città, dove andava frequentemente”473. In biblioteca, come a scuola, non era difficile che un compagno gli passasse una rivista o un giornale giunto fino a lui per le vie piú impensate. Ma, piú che nelle biblioteche474, era nelle botteghe dei librai, ad un tempo edicole e gabinetti di lettura, che studenti ed insegnanti si ritrovavano ed avevano modo di leggere la stampa estera e clandestina475. Se l‟autore del Quadro caratteristico dei principali individui dello Stato Ligure ne avesse curato una edizione aggiornata al 1821, sulla falsariga del Tagliafico, steso cinque anni prima, avrebbe forse scritto: “GIUSEPPE 472 AF, Mns., vol XXVII, Selva Poetica Di Giuseppe Frassinetti, Anno 1821, Ode civica Al Regno di Napoli de Il signor Rosetti (sic) Napoletano, p.-66-70. 473 D. FASSIOLO, Op. cit., pp. 16s. 474 Oltre la Fransoniana, erano frequentate le biblioteche dell‟Università e quella del Seminario, alle quali in quegli anni si aggiunse la Berio, dal nome del raccoglitore, l‟abate Vespasiano Berio, donata dagli eredi a Vittorio Emanuele I nel 1817 e da questi alla città. 475 Negli anni Venti divennero famose, di non buona fama politica, la bottega del libraio Ferdinando Ricci e quella di Antonio Doria. Vi si sarebbero potuti leggere oltre l‟ufficiosa “Gazzetta di Genova” e il “Corriere Mercantile”, che trattava solo di commercio, anche fogli letterari e scientifici. La polizia sospettava che “le teste calde” vi trovassero da leggere anche novità politiche, per questo sorvegliava e, di tanto in tanto, passava a perquisire. Nel 1826 si aggiunse il “Giornale Ligustico” di padre Spotorno, acre difensore del classicismo in letteratura, di cui avremo modo di parlare. Di lí poco il gruppo Mazzini mutò in breve l‟“Indicatore genovese” da foglio commerciale in foglio letterario e politico dei romantici. 240 FRASCINETTI, Studente povero. Ha del talento. È ferdinandista ed appartiene all‟ indipendenza”476. Del giovane Frassinetti non avrebbe potuto dire: "Ha mediocri talenti" come aveva detto del suo parroco. Per crederlo “napoleonista” gli sarebbe bastato aver sfogliato quella sua Selva Poetica e trovarvi trascritto l‟Inno Trionfale – Napoleone e la Pace. Per l‟anniversario del 15 Agosto [S. Napoleone] 1807, con in calce questa nota di sua mano: Questo componimento tradotto dal Francese, e scritto poco dopo il trattato di Tilsit, presenta una rapida idea delle ultime battaglie ed indica lo scopo che in esse sempre ebbe Napoleone, quello di dar la pace all‟Europa, nota seguita da un disegnino a penna rappresentante un accampamento. Vi si legge: S‟aggirava deposto il suo brando Buonaparte (sic) la pace cercando, E la pace l‟Eroe Bonaparte D‟ogni parte s‟udiva invocar. Ma una mano di bronzo ponea Loro in mezzo il superbo Britanno E ad entrambi la via nascondea Coll‟inganno, coll‟oro e „l livor477. Anche questo non è certo un Inno assegnatogli a scuola dal Gianelli perché l‟apprendesse a memoria478, ma, comunque gli sia pervenuto – dal 476 FRIZZI, Quadro..., copia dall‟Archivio di Stato di Milano in Museo risorgimentale di Genova, n. 3323, riportato da V. VITALE, Informazioni di polizia sull‟ambiente ligure, Op. cit., p. 451. 477 AF, Mns., vol. XXVII, Selva Poetica..., Napoleone e la Pace, pp. 88-91. 478 Anche lo studente Gianelli non era rimasto del tutto insensibile al fascino di Napoleone, se, giovane di vent‟anni, nell‟accademia tenutasi in seminario nel 1809, celebrando le Arti liberali e civili, vi pose anche quella della guerra: Arte augusta deh vieni! A te pur anco qui si prepara il meritato omaggio. Tu nutristi alla Gloria il forte franco, illeso tu il serbasti d‟ogni oltraggio: e te custode del suo trono a fianco versa sull‟orbe fecondante raggio: 241 suo parroco Napoleonista o da vecchi ritagli di giornali –, appunto perché gli piacque tanto da trascriverselo, ci rivela quale era la rilettura del recente passato che in quegli anni andavano facendo i giovani studenti, e non solo quelli che provenivano dalla borghesia umiliata e castigata dalla Restaurazione, ma anche i figli di nobili ultraconservatori ed i figli del popolo che frequentavano le scuole superiori. Per il solo fatto di frequentarle, erano in certo qual modo immessi nel loro ceto. Era un fenomeno generale. Mentre il tempo andava sbiadendo il ricordo dei mille guai passati sotto la dominazione di Bonaparte, si avvertiva, specie dai giovani, il peso dei mali presenti legati alla grettezza dei restauratori che demonizzavano il nuovo solo perché nuovo, illudendosi di poter riportare la storia indietro d‟un mezzo secolo e tenervela bloccata. Illuminante il caso del Leopardi, di famiglia nobile. Nel 1815, diciassettenne, nell‟Orazione agli italiani in occasione della liberazione del Piceno, aveva esaltato la vittoria degli austriaci sul Murat 479, nel 1818 componeva i canti All‟Italia e Sopra il monumento di Dante che si preparava a Firenze. Non poteva certo illudersi il Leopardi d‟essere atto ad imbracciare armi quando gridava: L‟armi, qua l‟armi: io solo Combatterò, procomberò sol io. Dammi, o ciel, che sia foco Agl‟italici petti il sangue mio, né era uomo da congiura. Nel Frassinetti troviamo espressioni leopardiane. È difficile che ne sia stato a conoscenza, anche se non impossibile. Ciò che li lega è la comune dipendenza scolastica dal Petrarca e, soprattutto, l‟aria che essi respiravano. Né l‟uno né l‟altro sono nati per la guerra, ma quale adolescente, prima che cinema e televisione si mettessero a fantasticare per loro, non si è immaginato d‟essere primo tra i primi tra quei che difendono una causa ritenuta santa? Un giorno hanno sognato d‟essere per te l‟Europa attonita lo mira e in lui tutta si muove e in lui respira. Si direbbe avesse già dimenticato le disavventure del coscritto. Forse il ”Forte franco”, al non troppo ispirato poeta, avrebbe preferito un eroe caduto sul campo dell‟onore. 479 Al quale aveva guardato pieno di speranze anche il Manzoni. Cfr. il frammento del Proclama di Rimini in cui inneggia al tentativo del Murat di unificare l‟Italia. 242 con i trecento di Leonida alle Termopili, un altro, sotto l‟influsso d‟altre letture, compagni di Colombo alla ricerca di terre ignote, un altro si sono visti lapidati con Paolo a Listri o, intrepidi difensori della loro fede, bruciati vivi con Policarpo, condannati a bere cicuta con Socrate… Per i giovani genovesi si aggiungeva l‟umiliazione della perduta indipendenza e la politica del nuovo signore che sembrava favorire l‟agricoltura e gli interessi dei piemontesi a danno dei loro commerci. Si era al punto del si stava meglio quando si stava peggio. A ripensarci, non era stato tutto cosí nefando. Si erano avute anche delle belle realizzazioni: le strade, la camera di commercio... Napoleone voleva la pace, e, nella pace, il porto di Genova avrebbe goduto d‟un retroterra che si sarebbe spinto fino al centro dell‟Europa. Le guerre non le avrebbe volute, gli venivano imposte dal “superbo Britanno” per impedire che prendesse consistenza l‟unione europea. I piemontesi, in cambio, come non fossero bastati gli 8.600 militari di guarnigione in una città di soli 80.000 abitanti, avevano costruito in Genova i forti di Castelletto e di San Giorgio, posti a minaccia della città se mai avesse voluto scrollarsi di dosso la loro presenza, in nulla migliorando il potente sistema difensivo verso l‟esterno480. Aggiungasi l‟enorme pressione fiscale, l‟aver ristabilito le barriere doganali, valorizzato Savona e Spezia a loro danno... Avanti cosí, da mercanti e marinai, si sarebbero risvegliati zappaterra e soldati pronti ad ubbidire tacendo e tacendo morir, mentre a Genova esisteva una tradizione di indipendenza e di opposizione contro ogni forma di governo monarchico assoluto, che, aggiunta all‟avversione antica verso il Piemonte, non potevano certo favorire un accordo sincero con questo. Inoltre i Genovesi, negli anni torbidi della Rivoluzione e dell‟Impero, erano usciti dal loro isolamento, si erano maggiormente aperti alla cultura, avevano fondato scuole e accademie. Ora si sentivano superiori moralmente ed intellettualmente ai Piemontesi, giudicati rozzi e ignoranti; e questa superiorità fu piú volte messa in evidenza ed ostentata, sia pure velatamente, anche negli anni prossimi al „48, negli ambienti intellettuali genovesi. L‟amore per la casa regnante poi, cosí vivo in Piemonte, non poteva essere sentito a Genova, ed anzi, date le tendenze 480 E. GUGLIELMINO, Genova dal 1814 al 1848, p. 55. 243 democratiche di questa, doveva essere considerato come indice di mentalità inferiore481. Il genovese Vincenzo Ricci, che rincontreremo nella polemica Frassinetti-Gioberti, usa mano ancora piú pesante: “[Credevano i genovesi] il Piemonte un paese barbaro, come lo dimostravano la sua legislazione, molti usi, un sentimento di sudditanza illimitato...”482. Aveva visto giusto il Pareto preconizzando che nello stato sardo i genovesi sarebbero diventati “gl‟iloti del Piemonte!” e che la “antipatia insuperabile” che divideva i due popoli non avrebbe mai permesso che si fondessero felicemente! Se “les Républiques n‟étaient plus d‟usage”, né era pensabile una città anseatica o un principato legato per sangue ad una qualche potenza come erano Toscana, Parma e Modena, meglio vedersi uniti alla Lombardia483. Questa la sostanza del sordo mugugno di buona parte dei genovesi quando l‟estate 1820 giunse la notizia che a Napoli re Ferdinando aveva concesso la costituzione. Fu un risorgere delle speranze frustrate nel 18141815 quando sognarono chi Napoleone tornato dall‟Elba per farsi sovrano di un rinato Impero romano484, chi la risorta Repubblica. Se ora anche a loro fosse stata concessa la costituzione, sarebbero stati essi a decidere delle cose loro, non solo, ma, portando il movimento all‟unificazione d‟Italia, Genova diventava il porto naturale d‟un vastissimo retroterra, e, in quest‟Italia, sarebbe cessata l‟umiliazione di sentirsi colonia piemontese. Si faceva concreta la realizzazione del piano, sia pure piú contenuto, che aveva fatto sperare Napoleone. Le due poesie, che piacquero tanto al giovane Frassinetti da trascriversele nella Selva Poetica, ci dicono che anch‟egli pensava quel che pensavano gli altri studenti e tanta parte della popolazione. Per una settimana anch‟egli si illuse prestando fede a Carlo Alberto, e non senza fondamento. Nei pochi giorni di reggenza aveva nominato una giunta provvisoria per esserne coadiuvato in attesa della convocazione del 481 Ivi, p. 22. 482 V. RICCI, Appunti politici, mns. in M. Ris. di Genova, Carte Ricci, n. 2780. 483 C. PAGLIERI, Agostino Pareto, pp. 70-72.86. 484 E. GUGLIELMINO, ivi, p. 12, n. 2. 244 parlamento nazionale e, tra i convocati, Agostino Pareto e Gerolamo Serra, figure di primo piano dell‟epoca francese485. Due cose vanno distinte in quel marzo 1821: le speranze e i moti di piazza. Il Frassinetti condivise le speranze e la ribellione intellettuale alla pretesa che nulla si dovesse cambiare, ma non fu tra gli armati di bastone a Sottoripa. Questo suo sentire civile, una volta sacerdote, diverrà sentire ecclesiastico. Come l‟ordinamento politico poteva essere migliorato senza sovvertire lo Stato, ed era lecito desiderarlo con tutto il cuore, cosí nella Chiesa c‟era spazio per progettare ed intraprendere cose nuove in armonia con la tradizione, senza curarsi dell‟ opposizione al nuovo, solo perché nuovo, da parte degli idolatri del vecchio, solo perché vecchio. Si è insistito sulle differenze tra la psiche d‟un genovese e quella di un piemontese dell‟epoca, dovendo tornarci nella seconda parte della storia quando si porrà in parallelo Don Bosco e il Frassinetti, cosí amici e cosí ugualmente impegnati nell‟opera di santificazione, eppure cosí diversi, l‟uno restato piemontese, l‟altro genovese. Anche il Frassinetti, dunque, ebbe i suoi sogni, non senza un vivo desiderio di porli in atto, con il rincrescimento di non essersi trovato a vivere a volta a volta nel luogo giusto al momento giusto. Il disappunto della bimba Teresa d‟Avila di non vivere nella terra dei mori per lasciarsi descabezar per la fede, quando scoprí che era la via piú facile per comprarsi muy barato el ir a gozar Dios. Era tale il desiderio di ir a gozar Dios facendosi troncare il capo da una scimitarra – deseava yo mucho morir ansí – che convinse il fratellino Rodrigo, d‟uno o due anni piú grande, a fuggire per la terra dei mori.486. Se quel loro zio non li avesse raggiunti e riportati a casa, accanto alla basilica innalzata ai fanciulli martiri Vicente e le sue sorelle Cristina e Sabina, in Avila ne sarebbe sorta una seconda dedicata ai fratellini martiri Teresa e Rodrigo.487 Sogni di bimba. Ma alla bimba, oltre le storie dei martiri, piacevano los libros de caballería di cui la madre andava pazza. Anziana scriverà: Parecíame no era malo, con gastar muchas horas del día y de la noche en tan vano ejercicio... si no tenía libro nuevo, 485 C. PAGLIERI, Ivi, p. 88. 486 SANTA TERESA DE JESÚS, Obras Completas, I, Vida, c. 1,5, BAC, Madrid, 1951, p. 597. 487 M. AUCLAIR, La vie de sainte Thérèse d‟Avila, Éd. du Seuil, Paris 1960, p. 23. 245 no me parese tenía contento.488 Sui quindici anni ne lesse a decine, ne risognò in proprio le avventure, ne fantasticò uno lei stessa e lo stese sulla carta con l‟aiuto di Rodrigo: El Caballero de Abila por Teresa y Rodrigo de Cepeda489. Anche qui l‟impronta del genio. Via con i prestiti franco britanni nella scelta del protagonista, ma un eroe della sua terra, Muños Gil, uno di Avila, la città dei guerrieri490. Il Signore rideva di questa bimba. Aveva bisogno d‟un‟eroina pronta ad affrontare le mille avventure e lasciava che si esaltasse con Amadís, Florisandro e Tristán; la voleva scrittrice, e le fa apprendere l‟arte dello scrivere sui libri di cavalleria. Che disdetta essere nata donna! Quante volte sospirò: Si fuera lícito que las mujeres... Ogni suo sogno le si avvererà moltiplicato per mille. Non piú Muños Gil, ma lei stessa protagonista de Las fundaciones e del poema de la Vida, e scrittrice classica tra i classici del Siglo de oro. Il Signore ha avuto sempre in simpatia i giovani ricchi di desideri, fino all‟ardimento di voler penetrare il segreto dei suoi pensieri, come già Daniele491. Se chiedono cento, dà loro cento mila, salvo qualche 488 SANTA TERESA DE JESÚS, Op. cit., c. 2,1. pp. 599s.: “Mi pareva che non ci fosse nulla di male a sciupare futilmente tante ore del giorno e della notte... quando non riuscivo a procacciarmi un libro nuovo mi sentivo scontenta”. 489 EFRÉN DE LA M. DE DIOS – O. STEGGINK, Tiempo y vida de santa Teresa, BAC, Madrid 1967, p. 44. Cita padre FRANCISCO DE RIBERA, SJ, La Vida de la madre Teresa de Jesús..., 1, c. 5: “dentro de pocos meses, ella y su hermano compusieron un libro de caballerías con sus aventuras y ficciones”. Una nota marginale riporta la dichiarazione del padre Gracián: “La misma [Teresa] lo contó a mí”. C‟è stato chi ha creduto individuarlo in un poema uscito a Saragozza nel 1623 per le feste della beatificazione: El caballero de Avila, por la Santa Madre Teresa de Jesús... (MARQUES DE SAN JUAN DE PIEDRAS ALBAS , Elogio de Santa Teresa de Jesús, Avila 1922, pp. 27ss.). Piú vicino alla verità il giudizio del padre Efrén: “della fine di questo libro non si sa nulla. Dovette subito strapparlo la stessa Santa” (ivi). 490 Se llama Avilés en esta tierra / El que más avil es para la guerra. I suoi nove fratelli maschi, hidalgos avileses de limpia sangre, tolto uno fattosi frate domenicano e morto giovane novizio, sognarono tutti di portare la fede di Cristo con la punta della spada in terra pagana o in terra dei mori. Uno morí in Africa, sette partirono per las Indias, Rodrigo e Antonio caddero combattendo da eroi. 491 Dn 9,23;10,11.19. Nessuno oggi piú interpreta „jish-hamudôt con la Vulgata vir desideriorum. San Girolamo conosceva i due valori della radice ebraica, l‟uno, quello della Septuaginta: anèr epithymôn, fatto suo, e quello di Simmaco seguito poi dal Diodati (uomo gradito) e dalle versioni moderne (uomo prediletto, l‟homme des prédilections, carísimo...). 246 leggera modifica. Andrà Teresa a gozar Dios, ma comprandosi tale felicità a prezzo muy caro, non muy barato; non con il mezzo minuto necessario alla scimitarra di reciderle il capo, ma con il martirio d‟una vita. Sono tante le affinità tra il Frassinetti e la sua Teresa fin dai suoi giovanissimi anni. Questi versi che pone in bocca a san Luigi in quel suo sonetto rivisto dal Gianelli sanno già di Teresa492: O Piaghe, o spine, o sangue, o lumi spenti, Deh voi piú vivo in me destate amore... Ma no, cessate, ché tutto arde il core. Sei dolce, amor, ma strali hai troppo ardenti! Deh, perché al mio Gesú, cari tormenti, Nel commento al versetto 9,23 cosí Girolamo giustifica la scelta: “perché sei l‟uomo dei desideri, cioè amabile e degno dell‟amore di Dio” (PL 25, c 544), ed al versetto 10,11: "il nome uomo dei desideri è bene appropriato per quella sua brama di conoscere le cose future, insistendo [presso Dio] con preci incessanti, penitenze corporali e duri digiuni. Simmaco, in vece che uomo dei desideri, interpreta, uomo desiderabile. Ed invero ogni santo è amato da Dio per la bellezza della sua anima” (PL, ivi, c. 555). Mi piace far mia la scelta di Girolamo. Amato da Dio per la sua sete d‟infinito. 492 Non penso fosse già a conoscenza del famoso carme teresiano e lo avesse presente nel comporre il suo Sfogo amoroso di S. Luigi innanzi al Crocifisso. L‟avesse avuto presente, lo avrebbe ricalcato piú da vicino. Ingenita affinità, base della futura simpatia. Riporto due strofe del canto della Santa con una mia traduzione a lato: ¡Ay, qué larga es esta vida, Com‟è lunga questa vita, Qué duros estos destierros, Quest‟esilio pien di pene, Esta cárcel, estos hierros Che galera e che catene En que el alma está metida! Allo spirito ferita! Sólo esperar la salida Solo attenderne l‟uscita Me causa dolor tan fiero Reca al cuor dolor tremendo Que muero porque no muero. Sí che muoio non morendo. Aquella vida de arriba, Lassú solo in quella riva Que es la vida verdadera, Sempiterna è vita vera; Hasta que esta vida muera Finché questa d‟or non pèra, No se goza estando viva. Non si gode qui da viva. Muerte, no me seas esquiva: Oh, non far, Morte, la schiva Viva muriendo primero, Fa ch‟io viva premorendo Que muero porque no muero. Perché muoio non morendo. Il testo originale dell‟intero carme in SANTA TERESA DE JESÚS, Obras Completas, II, BAC, Madrid, 1954, pp. 955-957. 247 Non mi unite e s‟accresce il mio dolore? Fuggi, se il cuor non basta, anima, fuore, O pena ed ama, e non metter lamenti. Tanto è piú dolce amor, quanto è piú vivo. E sí dolce è per me d‟amor la pena, Che ogni delizia avanza, ogni tesoro. Onde io, che sol d‟amor mi pasco e vivo, Son lieto perché a morte amor mi mena, E vivendo d‟amor, d‟amor io moro 493. Come Teresa fantasticava martíri quando leggeva vidas de santos, o avventure passando la notte a leggere libros de caballería al lume di candela, cosí anche il nostro Giuseppe ebbe la sua stagione di dolce sognare. Scorrendo i suoi elaborati scolastici ci è dato rifantasticare le sue fantasticherie494. I titoli ci rivelano le letture che si facevano a scuola, lo svolgimento ci scopre come il giovane le recepiva. Non si passano ore ed ore sui testi di storia senza riviverne i grandi fatti sognando ad occhi aperti, di quella greca soprattutto. Eccolo oplita tra gli opliti, con i trecento di Leonida alle Termopili: Di furor pregno, minaccioso il guardo Dardeggiava sull‟oste, e si struggea che del sangue di Serse ancor digiuna l‟asta brandiva... Rivolto a‟ suoi, fiero d‟aspetto e truce: “Prodi – dicea – di Greca patria degni Meco venite ad affrontar la morte, Morir si dee, Delfo l‟impose, e giova Di Grecia alla salute. Invendicati cader dovremo? Ah, no! Cadiam, ma sia La morte nostra terrore e spavento Dell‟aborrito Perso. Ite, miei prodi! Ogni braccio sia fulmine, ogni voce Sia rauco tuon assordator. Là dentro Alla gemmata barbaresca tenda, Che il mortale piú perfido racchiude, Tutti tendete. Quel superbo core Albergo d‟ogni colpa, ah, gli strappate!... Venite, prodi miei, del sol dimane 493 AF, Mns., vol. 19, Sfogo amoroso di S. Luigi innanzi al Crocifisso p. 546. 494 Ivi, pp. 508-553. 248 Piú non si dee veder la luce. È questo il dí prefisso alla partita estrema. Strage meniam, e tutti assiem raccolti Varcherem l‟onda bruna dell‟Acheronte" 495. No, non sono reminiscenze carducciane: “Diman da sera i nostri morti avranno / una dolce novella in purgatorio: / e la rechi pur io!” 496. Carducci non era ancora nato. Passa quindi a descrivere la strage operata intorno intorno da quel pugno d‟eroi ed i mille atti di valore disperato come può farlo solo un sopravvissuto suo malgrado al massacro, come poté l‟Enea del secondo libro virgiliano o Giuseppe Flavio alla caduta della fortezza di Iotapata497. Sembra che anche il giovane Frassinetti, come già Euripide e Virgilio,498 stia col cuore dalla parte dei vinti. Nessun disagio nei panni d‟un “Affricano” seduto sulle macerie della sua Cartagine ridotta a mucchio di sassi: Barbaro Scipio, ormai deponi il brando, Alfin la cruda sanguinosa sete Sazia sarà. Or di vittoria alzando Il canto insulta all‟anime che in Lete Spinse il tuo ferro perfido e nefando. Le ciglia ormai mostra serene e liete, Cartago cadde e ad innalzar non torna Contro di Roma le temute corna... Ahi, fiera Roma, quando deporrai Il sanguinoso barbaro talento? Il Ciel sordo non è ai giusti lai delle oppresse region... Veggo da‟ sette gelidi trioni Infuriar genti barbaresche e strane, Odo delle lor trombe i fieri suoni... 495 Ivi, Leonida alle Termopili (endecasillabi) Sciolti, pp. 524-528. 496 G. CARDUCCI, Il Parlamento. 497 Piuttosto che arrendesi a Vespasiano, la guarnigione scelse il suicidio collettivo uccidendosi l‟un l‟altro. Rimasti in due, Giuseppe ed un altro, accettarono d‟aver salva la vita. Una prova generale di ciò che accadrà a Masada, ultima rocca della resistenza ebraica. Giuseppe Flavio, La guerra giuadaica, libro III,8,6s e VII,9,1. 498 VIRGILIO, Eneide; EURIPIDE, Ecuba, Andromaca, Troadi. 249 S‟alza il Danubio dal profondo letto Si riversa, si spande, Italia inonda, A Roma mostra il suo feroce aspetto. Ogni altro fiume l‟ira sua seconda E tutti i lor furor han qui diretto. A tanti flutti non si trova sponda. Immersa è Roma già nella gran piena Che a ruina crudel tosto la mena... Ecco del mondo la fatal reina Cade, ché veglia in ciel giusta e possente l‟oppresso a vendicar superna Mente499. Anche Socrate l‟affascina: “Fino a quando mi sarà dato di respirare, non mi riposerò; filosoferò e non desisterò dall‟esortare ancor voi, né cesserò dall‟ammaestrare chiunque di voi io abbia ad incontrare, ripetendogli il discorso di sempre: «O nobile cittadino di Atene,... vergognati: mentre ti preoccupi delle ricchezze, di acquistarne piú che puoi, e t‟affanni a conseguire gloria e cariche, della saggezza, invece, e della verità e dell‟anima, perché sia buona piú che può, non hai cura, né ti dai pensiero... »”500. E per obbedire al “dio” che gli imponeva di parlare affrontò sereno la morte. Se anche lui come Socrate! Suoni sul capo mio folgore o tuono, grandine, nembo, torrida procella, Pallido rege in barbaresco trono Armi contro di me la sua man fella. Sorte mi lasci in misero abbandono Che io la natia benedirò mia stella. Perché a temer avrò, se giusto sono, Odii, fame, furor, morbi o quadrella? Se giusto son sprezzo dolor, ritorte, Né l‟alma di timor sarà capace Lottando alfin coll‟invincibil morte. Volgerà contro me l‟ira e il furore 499 Ivi, Fingesi che dopo la distruzione di Cartagine un Affricano Profetizzi la caduta di Roma, pp. 513-515. 500 PLATONE, Apologia di Socrate, c. 17. 250 Ogni cieco mortal, ma in cheta pace Un sol non rimarrassi attico errore501. Di lí a qualche anno, entrato in teologia, vedrà con maggior chiarezza quale patire l‟attende e perché e da parte di chi: “Mi trovo aperta una porta grande e ricca di prospettive, ma molti i nemici”502, scriveva ad apertura della Theologia moralis di sant‟Alfonso, aggiungendo alle parole dell‟Apostolo una riflessione di san Giovanni Crisostomo: “Ciò succede tuttavia a chi ha molto zelo, ed opere grandi per le mani”. Nella misura che gli si fa chiara la strada che dovrà percorrere, ha spostato lo sguardo da Socrate a Paolo di Tarso, a Giovanni Crisostomo e ad Alfonso Maria de‟ Liguori. Se immani sono le forze avverse, ha con sé Iddio e potrà quindi accingersi a cose ancora piú prodigiose di quelle che in un suo canto fa compiere ad Alcide, il Figlio del Tonante: Alto di Calpe sulla vetta assiso Stavasi Alcide, onde sovran lo sguardo Su‟ due mari mettea. Quinci stendeasi Il torbido Oceàno, e senza fondo, E quindi il mar delle Affricane arene, Allor sol note. I flutti accavallati dell‟un de‟ mar gli altri affrontar pareano, Ma la turrita Berecinzia in mezzo A lor stendea scoglioso braccio, e vane Fea le lor posse, e raffrenava l‟onde sdegnose di ritegno. Acceso in petto D‟ardor di gloria: “Che si vieta al forte? Che mai – gridò – che mai non puote Alcide? Basso mortal le dure imprese ammiri, né in queste si cimenti. Il figlio, il figlio Che non potrà del Dio tonante?... La destra D‟Alcide tutto può”, dice, e giú scende Di smisurata mazza il braccio armato. Una mazzata e l‟istmo vola in schegge Che tremò Spagna, Affrica, Italia e tutto Ne sentí il Mondo orribile rimbombo. 501 AF, Mns., vol. 19, Socrate minacciato – Sonetto, p. 537. 502 1 Cor, 16,9. 251 Il Tridentato Dio s‟alzò dall‟onde il portento a mirar, tremonne Pluto E l‟ombre di Cocito e Flegetonte... Nettuno arrise alla grand‟opra...503. Alcide frantumò l‟istmo che impediva alle acque dell‟Atlantico di riversarsi nel Mediterraneo, lui farà cosa piú prodigiosa: frantumerà la barriera che i giansenisti frapponevano alla grazia perché si riversasse nell‟anima dei fedeli: “Mi trovo aperta innanzi una porta grande e ricca di prospettive...”, aveva scritto. Non numerabili le prospettive nel cuore d‟un giovane di accesa fantasia prima che la voce di Dio gli si faccia chiara! Anche quella di farsi un nome tra i poeti: Scendi dal bel soggiorno d‟Elicona, O dolce Dio del nobil Ipocrene, Al vago ardir, o dolce Dio, perdona con che un umil mortal a te ne viene. Porgi tua destra a me, non m‟abbandona nell‟ardua strada, e avviva tu mia speme, Arrida pur d‟Apollinar corona, Degna de‟ figli delle pie Camene. Inspira tu il mio cor di foco ardente, Foco trasportator, che l‟alme accende, che di sé investe e tutta bea la mente. Vincitor foco dell‟oscuro oblio, Alla cui possa, e terra, e Ciel s‟arrende, Fuoco che rende l‟uom simil a un Dio504. E qualche velleità dovette nutrirla se anche negli anni della teologia non sa trattenersi dallo scrivere ancora versi per evocare l‟ombra del Chiabrera e fargli chiedere ad Apollo di non desistere dal suscitare estro poetico in cuori genovesi: Qual nuova luce del Letimbro in riva Brillò repente e tutto irradia intorno Questo ad Apollo e alla Cecropia Diva Sacro soggiorno. 503 AF, Mns., vol. 19, Alcide unisce il Mediterraneo all‟Oceano, pp. 511-513. 504 Ivi, Invocazione a Febo, p. 510. 252 Qual per le selve dei sabazi allori Qual suono echeggia e spandesi per l‟etra? Chi desta a‟ carmi de l‟ascrei pastori L‟arguta cetra? Ma tremar veggo del modesto avello E aprisi il sasso che sul fral si chiuse Di lui che un giorno Pindaro novello Nomar le Muse. Torna ei questa aura a respirar di vita E già le corde dell‟eburnea lira Tende. Sul ciglio ha l‟anima rapita Febo l‟inspira… Salve bell‟astro dell‟ausonio cielo, Forier tu splendi di propizi eventi! Sorgesti, e sgombro delle nubi è il cielo, Tacquero i venti. Salve! S‟allegra al tuo fulgor natura, Plaude Appennino, della Dora l‟onda Ride al tuo raggio e piú tranquilla e pura Lambe la sponda. Alto sui colli che di te fai lieti fervido s‟alza della gioia il grido A cui risponde dalla sarda Teti Il curvo lido. L‟Alpe s‟ammanta di splendor, l‟austera Fronte solleva il gran padre Eridano, In te s‟affisa la superba e spera Figlia di Giano. Ma qui, bel Sole, tua vital favilla, Qui ove ebbi cuna piú gentil balena E schiudi all‟estro che di te scintilla Celeste vena....505. La stagione dei sogni è fatta per sognare come i giorni dello sposo son fatti per stare in allegria506, poi l‟ora delle scelte, ed il nostro giovane ne farà una sola e radicale: 505 AF, Mns., vol. 18, Qual nuova luce del Letimbro in riva..., pp. 629-631. 506 Mt 9,15. 253 Bisogna che l‟ecclesiastico si consideri tutto tale e si contenti di non essere altro che ecclesiastico... l‟ecclesiastico che non si considera tutto tale, e non è contento di non essere altro che ecclesiastico, non sarà buono. Debb‟egli adunque dirigere ogni sua cura, e in modo particolare i suoi studii, al conseguimento del suo fine, che si è d‟essere buon ecclesiastico. Dico: in modo particolare i suoi studii; perché la scienza è cosí annessa all‟idea di ecclesiastico, da non potersi concepire l‟idea di un ecclesiastico ignorante, che come idea mostruosa... Questa istruzione però, questa scienza non debb‟essere di quella che gonfia lo scienziato e lo rende superbo, ma di quella che, mediante la carità, lo rende umile; giacché un ecclesiastico superbo sarebbe peggiore che un ecclesiastico ignorante, non potendosi temere da cento ecclesiastici ignoranti que‟ danni che si debbono temere da un ecclesiastico superbo. Il dotto superbo sa distruggere, il dotto umile sa edificare. La carità dunque deve invitare l‟ecclesiastico a‟ suoi studii e l‟umiltà dirigerlo ne‟ medesimi507. Fatta la sua scelta, poeterà ancora, ma alla sant‟Alfonso: strofette e cantici spirituali. I romantici per un verso, lui per un altro, la chiudono per sempre con dei e dee, Olimpo ed Elicona. Le tante persone care scomparse in cosí breve tempo, la caducità delle cose che ha avvertito nello studio della storia, tutto lo porta ad agganciarsi a ciò che dura eterno. Quel pensiero dell‟eternità che teneva occupata la mente della bimba di Lisieux e, prima di lei, i due bimbi di Avila, Terera e Rodrigo, tornando su ciò che avevano letto sull‟eternità della pena e della gloria: ¡Para siempre, siempre, siempre, Rodrigo!; Para siempre, siempre, siempre, Teresa! ripetuti in alternanza l‟una a l‟altro fino a quando non si asciugava loro la saliva in bocca. Per sempre! “Cosí – commenta la Santa – il Signore in quelle bambinate mi lasciava impressa la via della verità”508. Si ripeteva ancora una volta il “Ti lodo, o Padre, Signore del cielo e della terra, che celasti queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le rivelasti ai bimbi”509. Per sempre! Quel suo quaderno degli anni di retorica ci dice come anche il nostro ragazzo restasse colpito dalla labilità delle cose umane, dall‟insicurezza di chi si sente sicuro e dall‟eterno delle cose di Dio, come già la bimba d‟Avila e, prima ancora, i profeti e Qohelet. In 73 versi sciolti 507 G. FRASSINETTI, Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici proposte ai chierici, Genova 1839, pp. 1-3. 508 SANTA TERESA DE JESÚS, Vida, c. 1,5, p. 598. 509 Mt 11,25; Lc 10,21. 254 canta la rivalsa di Camillo su Brenno e in cento versi in terza rima la distruzione del Pireo per opera di Lisandro. Ogni esaltazione ha una fine, tutto è vanità, tutto finisce e muore. Il suo sognare lo ha portato alla scoperta del vanitas vanitatum della Scrittura510. Miser chi speme in cosa mortal pone! Viene l‟uomo alla luce e poi repente Finisce in spazio di breve stagione. Viene l‟invida morte e ciecamente, Del paro abbatte ella gli imbelli e i forti E allegrezza al mortal non acconsente. Ella è che guida le terrene sorti; Ella è solo invincibile e sicura, Né vi è chi contra lei vittoria porti. L‟uman consiglio o il delirar non cura, Cangia a sua possa i popoli ed i regni Ed il magnifico aspetto della natura. Di potenza e valor non restar segni, Svanisce ogni splendor ed ogni gloria U‟ il crudo suo furor avvien che regni. E degli uomini sol nella memoria Lascia la rimembranza e „l fiero orrore Dell‟alta sua terribile vittoria. Tutto quaggiú, tutto quaggiú finisce e muore... Or chi si fida in la terrena sorte, U‟ non è certa speme, u‟ tutto è un‟ombra E fumo che pel ciel aquilo porte? 511 Questa larva di ben che gli occhi adombra Ahi quanto ingannò i miseri mortali! Di qual nebbia d‟errori il cuore ingombra! I celesti desiri ed immortali Spegne e dell‟uomo l‟animo sublime lega di fango a vani oggetti e frali. Ivi di terra a vili cose ed ime Il tien onde pel ciel non sciolga i vanni E al suo altissimo fine non si sublime, U‟ sgombreranno tutti i mali e affanni, U‟ sol sperar puote contento e pace, 510 Qo 1,2. 511 Cfr. DANTE, Purgatorio XXXI, 43 (Beatrice a Dante). Tuttavia perché mo vergogna porte / del tuo errore, e perché altra volta / udendo le sirene sie piú forte... 255 U‟ piú non giungeran di morte i danni... E fida speme a non temer c‟invita Di morte... Siccome512 morte miglior vita dona... D‟odio degna non è, ma sol d‟amore.513 Un giovinetto tutt‟altro che asettico, focosissimo, proprio come era rimasto vivo nei ricordi della sorella, che seppe lasciare il caduco per tendere verso le eterne cose. CAPITOLO XVII IL SEMINARIO DI GENOVA PRIMA DEL RETTORE CATTANEO Hace cosa de un mes que he sido admitido en una congregación de Eclesiásticos bajo la invocación de María SS., de los Apóstoles y del Bto Leonardo da Porto Maurizio... El zelo con que intervienen en esta academia cuasi todo el clero joven es inesplicable... Si vieses estos colegiales, imaginarías Angelos del Cielo. En paseo, en procesión superan en la modestia a los novicios de la religión más observante. Los admiten [in seminario] pequeñitos y permanesen hasta que son Sacerdotes. La dulzura con que los tratan sus Maestros y superiores hace que reine en nuestra casa un contento y un amor mútuo que pasa toda ponderación. 512 Mi si perdoni quel siccome posto da me per legare i versi stralciati con cui riassumo il pensiero dell‟ultima parte. 513 AF, Mns., vol. 19, Vanità delle cose umane – Terzine, pp. 538-541. 256 Tal vez creerías que estas cosas son exageradas, pero te aseguro que no te digo tanto quando (sic) ello es en sí 514. Francisco Cabrera Quel resto d‟Israele raggruppato intorno al Gianelli si potrebbe pensare cresciuto in serra come i fiori della Riviera. No, anche avanti a quei giovani, per quanto sante fossero le loro famiglie, erano aperte le due vie di cui ci parla la Didaché: “Esistono due vie, quella della vita e quella della morte. Grande è la differenza tra l‟una e l‟altra via”515. Per convincercene basta dare una scorsa alle relazioni che ci descrivono l‟ambiente studentesco della Genova di quegli anni e le miserande condizioni in cui era precipitato l‟internato del seminario che ci ha fatto affermare: “Il Frassinetti, per sua fortuna, era alunno esterno”. Cominciamo dal seminario. Il contatto quotidiano con gli studenti secolari che frequentavano le scuole del seminario, aumentati di numero nel biennio 1821-1823 per la chiusura dell‟Università dovuta ai torbidi carbonari, poteva indurre i seminaristi “esterni” a contrarre amicizie e a lasciarsi anch‟essi adescare dalla sirena Mazzini, non alunno del Seminario, ma certamente conosciuto, né la familiarità con i seminaristi “interni” era esente da pericoli. Ciò spiega questo nostro indugiare a lungo sullo stato del seminario genovese negli anni in cui fu frequentato dal Frassinetti come esterno e la ricerca che ne facciamo delle cause. Si preferirebbe non parlarne, ma il silenzio falsificherebbe il valore della scelta fatta dal giovane Frassinetti e dai suoi compagni potendo anch‟essi divenire sacerdoti privi di spirito, come non pochi seminaristi loro compagni516 o confluire nelle varie sette tutte avverse alla Chiesa. Diamo 514 J. DE OLEZA, Un Español del siglo XIX – Vida, empresas y escritos de Monsiñor D. Francisco Iñigo Cabrera y Aguillar, cap. IX, p. 1. Per la cortesia del padre teatino Francisco Andreu ho potuto consultare la copia dattiloscritta dell‟originale di 955 pagine rimasto inedito. In ogni capitolo la numerazione ricomincia da 1. La traduzione dei passi citati, anche se si tratta dI uno spagnolo cosí... italiano da potercene dispensare, si trova nel corso del capitolo. 515 Didaché, I,1. 516 Nell‟Archivio A. Charvaz, Moûtiers (Savoia), dossier IV, Gênes, fasc. II, 1854-1855, si ha una relazione sullo Stato della Diocesi [di Genova] quando l‟Arcivescovo ne prese possesso [nel] 1853. Ad un quadro statistico – 460.000 anime, 1723 sacerdoti diocesani e 554 religiosi delle varie congregazioni – segue un elenco d‟una trentina di sacerdoti che si 257 pure alle famiglie tutto il merito che è giusto sia loro riconosciuto, ma resta pur sempre vero che quei giovani ebbero davanti a sé aperte le due vie. C‟è pure un‟altra ragione che vieta il silenzio: non potremmo apprezzare in giusta misura l‟opera di risanamento del seminario compiuta appunto da quei “Ragazzi del Gianelli” da quando ne assunse la direzione il Cattaneo – e dire Cattaneo è dire Cattaneo + Frassinetti + Sturla + membri tutti della Beato Leonardo –, se non conoscessimo cosa il seminario era stato prima della sua elezione a rettore. È ciò che fa san Paolo scrivendo ai corinzi: anche alcuni di loro erano stati ciò che non ha cittadinanza in cielo, ma la grazia li aveva astersi da tutta quella lordura e fatti santi517. Fa una descrizione del prima perché rifulga il dopo, cosí provo a fare per il seminario di Genova divenuto con il Cattaneo il modello dei seminari. Il tentativo del Gianelli di creare disciplina nel seminario genovese, di cui sopra si diceva, s‟era risolto in un fallimento, ma il seme era stato gettato ed aveva trovato il suo buon terreno in quel gruppetto dei suoi alunni di “Rettorica”: Cattaneo, Magnasco, Frassinetti, Sturla, Barabino... Un seme, gettato in terra buona, per il germe di vita che ha in sé, poco importa se chi ve lo gettò poi “dorma o stia desto... germina... Come, egli non sa”518. Ma, per vedere il primo filo di verde rompere il terreno, si dovette prima toccare il fondo durante gli anni dell‟assenza dell‟arcivescovo Lambruschini, nunzio a Parigi, ed aspettare l‟ inizio del luglio del 1830, quando il Lambruschini, non potendo essere l‟una e l‟altra cosa, rinunziò alla diocesi. Il nuovo arcivescovo, già stato vescovo a Savona, l‟Airenti, che, nell‟assenza del Lambruschini, aveva ordinato le ultime leve di sacerdoti genovesi, incluso il nostro Frassinetti, era un domenicano, già professore di teologia a Parma e rettore dell‟Università di Genova. Sedette in cattedra solo diceva dessero scandalo ai fedeli. Altri, non nominati, darebbero “poco buon odore di sé”. La relazione va presa con le molle dovendo provenire dalla fazione liberaleggiante del clero che ha da ridire sul Vicario generale perché “alla Camera ha esternato le sue opinioni, ha combattuto tutte le leggi che si proponevano contro la Chiesa ed ha parlato alla Camera contro la Repubblica Romana, quando si voleva che il Governo Piemontese la riconoscesse”, né si ferma qui con le sue considerazioni antiromane. Non avverte l‟informatore che, se erano di scandalo quei sacerdoti cosí chiacchierati, potesse essere di scandalo anche questa sua animosità contro Roma. Ma di questa parte di clero cosí povera di formazione e di spirito ecclesiale diremo piú distesamente trattando dell‟infatuazione giobertiana. 517 1 Cor 6,9-11. 518 Mc 4,26-29. 258 un dieci mesi. Nell‟ attesa della sua presa di possesso, il Capitolo esonerò il rettore del seminario e nominò il nuovo nella persona di Giovan Battista Cattaneo, con non poche riserve e disapprovazioni da parte dei canonici. E ce n‟era motivo: un venticinquenne da appena due anni sacerdote! Il seminario, e nelle condizioni in cui era, in mano ad un ragazzo! Il nuovo vescovo confermò la scelta del Capitolo, conferma rinnovata dal suo successore, il futuro cardinal Tadini. La data del 15 luglio 1830, presa di possesso del nuovo rettore, andrebbe scritta a caratteri d‟oro sul portale del seminario genovese. Nello stesso periodo troviamo il Gianelli prefetto degli studi nell‟altro seminario diocesano, eretto da appena quattro anni e sito a Chiavari, allora parte della diocesi di Genova. Da alcune lettere del Gianelli veniamo a conoscere un meraviglioso lavoro svolto in parallelo dal maestro e dall‟antico scolaro, l‟uno a Chiavari e l‟altro a Genova. Non è da escludere che sia stato proprio il Gianelli a rassicurare i nuovi vescovi, se mai avessero avuto un qualche dubbio, sull‟opportunità di confermare nella carica rettore “ragazzo”. Sulle condizioni pietose in cui era caduto il seminario dal 1797 al 1830, ci sono pervenute due relazioni, una breve una lunga, stese entrambe dallo stesso Cattaneo nel 1840519. Testimonianze di grande valore, essendo passato il Cattaneo, quasi senza discontinuità, da seminarista interno, scandalizzato da ciò che gli toccava vedere, a quella di rettore. Nel 1840 il seminario stava vivendo da un decennio i suoi anni d‟oro e continuò a viverli fino a quando l‟infatuazione giobertiana causò la destituzione e l‟esilio del rettore condannandolo a vedere il suo seminario precipitato nelle condizioni del 1797! Ne morrà di crepacuore neppure cinquantenne520. 519 CATTANEO, GB., Breve notizia dell‟andamento del Seminario di Genova dal 1797 al 1840 in circa, in AF. ID., Cronaca del Seminario dal 1803 al 1848. Una copia di pp. 103 in AF. ID., Relazione dello stato del Seminario data per gli Scienziati 1846, p. 5, in AF. In quest‟ultima si danno i nudi dati storici del Seminario richiesti dal Congresso degli Scienziati tenuto in quell‟anno a Genova. In realtà si trattò d‟un congresso politico, preludio dei fatti del Quarantotto. 520 Ci è pervenuto un quasi diario di quel tristissimo periodo compilato da un prefetto del seminario, don Luigi Persoglio, fattosi poi gesuita. Di questo periodo avremo modo di parlarne a lungo nella seconda parte. 259 Siccome la storia del prima del Cattaneo sono righe amare, ho premesso in apertura di capitolo un anticipo del dopo riportando nella lingua originale le impressioni di Francisco Cabrera, che qui ripeto in traduzione: È da un mese – scrive alla sorella suora rimasta in Spagna – che sono stato ammesso in una congregazione di ecclesiastici sotto la protezione di Maria SS., degli Apostoli e del Beato Leonardo da Porto Maurizio... Lo zelo con cui quasi tutto il clero giovane interviene all‟accademia è inspiegabile... Se tu vedessi questi collegiali [studenti di teologia] crederesti di vedere Angeli del Cielo. Al passeggio, in processione superano in modestia i novizi della congregazione piú osservante. Vengono accolti [in seminario] ancora fanciulli e vi restano fino al sacerdozio. La dolcezza con cui sono trattati dai loro maestri e superiori fa sí che in questa casa – il seminario, la Beato Leonardo, o l‟uno e l‟altra? – regni una contentezza ed un reciproco amore che sorpassa ogni considerazione. Forse penserai che sto esagerando, ma ti assicuro che t‟ho detto meno di quanto realmente è521. Diamo ora la parola allo stesso Cattaneo. Cito dalla relazione breve: Fin dal tempo della rivoluzione, cioè dal 1797, il Seminario presenta l‟idea di un Collegio il piú disordinato522. Fu in quell‟anno che, uniti insieme la maggior parte dei professori e Seminaristi, 521 J. DE OLEZA, Un Español del siglo XIX , Op. cit. Di nobilissima famiglia, Francisco Cabrera, non ancora sacerdote, s‟era potuto salvare dalla matanza de los frailes del 1835 con una fuga avventurosa: Cordoba, Gibilterra, Malta, Roma. Dopo una lunga sosta a Roma, dove fu ordinato sacerdote e fatto monsignore, nel giugno del 1839 passò a Genova e rimase subito colpito dallo zelo e santità del giovane clero e dei chierici del seminario. Era appunto il frutto delle varie organizzazioni promosse da “I ragazzi del Gianelli” o, se piú piace, dal “Circolo Frassinetti”. Il giovane monsignore ne rimase cosí colpito che chiese di far parte della “Beato Leonardo” e vi presiedette per qualche tempo le tornate settimanali di Scrittura nell‟Accademia. Fu anche scelto come confessore dei seminaristi. Il passo citato è tolto da una lettera scritta il 29 giugno 1840 ad una sorella suora rimasta in Spagna, ancora preso dallo stupore di cose che non gli parevano di questa terra. Per il Cabrera si confronti pure: M. FALASCA, Rapporti di Francisco Cabrera con G. Frassinetti e M. Sureda, in “Verbum Dei” XL (Roma 1984) n. 110, pp. 431-446. Torneremo a parlare del Cabrera nella seconda parte. 522 Cfr. A. COLLETTI, La Chiesa durante la Repubblica Ligure, Genova 1950, pp. 1318.119.124. 260 obbligarono il Rettore a partirsene... fu alzato l‟albero della libertà nella piazza interna intorno al quale i Seminaristi, uniti ad altri Cittadini, pazzamente danzavano...523. Dopo ciò il Seminario stette chiuso per alcuni anni, il Cardinale Spina lo riaperse [nel 1803]. Capitolazione del Seminario Nazionale: Libertà Uguaglianza I.– Sia licenziato sul momento il cittadino Rettore524. II. – Seguano la stessa sorte i due cittadini prefetti525. III. – Invece di questi saranno eletti dalla Comunità due chierici da cangiarsi di due mesi in due mesi. IV. – Il cittadino Gerolamo De Gregori, Lettore di teologia, come sospetto di aristocratismo e fomentatore della superbia del cittadino rettore, debba quanto prima abbandonare il Seminario con la cattedra di teologia. V. – Avendo ora Genova la bella sorte di godere del governo democratico, vogliono questo ancora in Seminario. Il Regolatore del Seminario sarà un Vice Presidente in persona dei Maestri, uno per mese, dovendosi riputare e tenere per Presidente il cittadino Arcivescovo... X. – Il cittadino Arcivescovo eleggerà un Lettore di teologia, avendo però riguardo che non sia infetto di aristocraticismo, dovendo anch‟egli coprire, in giro, la carica di Vice Presidente526. XI. – Giovedí 20 sarà in Seminario un gran pranzo democratico: si pianterà l‟Albero della Libertà... Si pregheranno di intervenire al pranzo il cittadino abate Cuneo...527. Uno studente del Seminario avrà l‟incarico di comporre un inno patriottico per la solennità del giorno e un altro sarà incaricato dell‟arringa. XII. – Il governo politico [del Seminario] sia in mano dei Maestri, alla dipendenza dell‟Arcivescovo, senza riconoscere in niente nessuna persona, eccettuata la Comunità in corpo. 523 Vi si tenne pure un‟accademia sul “Trionfo della Libertà”. 524 Don Francesco Piana. 525 Don Michele Delle Piane e don G. B. Casassa. 526 Fu imposto Stefano De Gregori, alunno del Molinelli, giansenista di chiara fama, da non confondere con l‟abate Giacomo De Gregori, anch‟egli severo giansenista, a cui sarà affidata dalla madre del Mazzini l‟educazione del figlio. 527 È il prete Cuneo di cui s‟è parlato nel capitolo IV, fattosi capopopolo, avendo avanzato pretese di ricompense per i servizi resi alla patria, ricevette da un cittadino due sanguinacci perché si ripagasse del sangue versato. 261 XIII. – I Chierici si riserbano di presentare al cittadino Arcivescovo altre proposizioni, che la velocità del tempo loro vieta di esporre al presente. XIV. – Ogni mese si dovranno rivedere i conti del Vice Presidente, che terminerà, da due chierici eletti dalla Comunità... Salute e fratellanza Il cittadino Arcivescovo approva quanto sopra + Gio. Arcivescovo528 Come non bastasse, la Municipalità pretese che fosse modificato il comma XII in “Il Governo politico sia in mano dei Maestri alla dipendenza dell‟Arcivescovo, senza riconoscere in niente nessuna persona, eccettuata la Comunità in corpo e le autorità costituite”529, il che poneva la direzione del seminario alla mercé d‟un gruppo di giacobini mossi dal Degola, prete giansenista, cattivo, gran nemico della corte di Roma530. Nello stesso codicillo si ingiungeva che l‟arringa fosse tenuta dal cittadino Cuneo. Gli effetti immediati? In una nota dell‟Archivio del seminario si legge: “Al tempo che tutti, anche i confessori, avevano il titolo di cittadino, di quarantasei chierici se ne comunicarono tre”531. Si aggiunga che vigeva l‟ordinanza: “I cittadini Vescovi sono invitati a non promuovere agli Ordini 528 ASAG, Filza Cose varie, n. 9, riportato da A. COLLETTI, Op. cit.., pp. 13s. Non si meravigli il Lettore piú che tanto di questa invadenza. Ancora in epoca cavourriana – quando avrebbe dovuto vigere il tanto conclamato principio: Libera Chiesa in libero Stato – un decreto del luogotenente delle ex-province napoletane in data 17 febbraio 1861, vivo quindi il Cavour, oltre alla soppressione degli ordini religiosi nelle terre recentemente annesse, riesumava le vecchie norme che regolavano le ordinazioni sacerdotali. I dubbi per l‟applicazione provocarono due circolari da parte del Ministero di Grazia e Giustizia e di quello degli Affari ecclesiastici, una del 10 agosto e l‟altra del 7 dicembre dello stesso anno, che richiamavano in vigore il dispaccio reale del 21 giugno 1777 – del Borbone Ferdinando IV! – e del decreto murattiano del 19 novembre 1810. In grazia di tale invasione del potere statale in campo ecclesiastico san Gabriele dell‟Addolorata morí chierico e non sacerdote. Cfr. B. Ceci, C. P, Scritti di S. Gabriele dell‟Addolorata, Isola del Gran Sasso (TE) 1963, pp. 393-395. 529 ASAG, Filza Cose varie, n. 9, riportato da A. COLLETTI,Op cit.., ivi. 530 E. GUGLIELMINO, Genova dal 1814 al 1849, Op. cit., p. 20, n. 3 con rinvio a A. SEGRE, Il primo anno del ministero Vallesa: Informazioni di polizia sull‟ambiente genovese, in “Biblioteca di Storia Italiana recente”, vol. X, Appendice III, Torino 1928, pp. 363ss. 531 ASAG, Filza cose varie, n. 1bis. 262 sacri alcuno dei cittadini... quando non vi concorra la preventiva intelligenza e permissione del Governo provvisorio”532. Il “Cittadino Arcivescovo”, relegato a Noli, era stato costretto ad accettare come vicario generale un prete devoto “alla sana dottrina”, G. B. Moscino. Anima delle riforme era il su citato Degola, l‟arcigiacobino della Repubblica Ligure. Si giunse a tentare la costituzione civile del clero e poco mancò che non venisse accolto in San Lorenzo come arcivescovo scismatico l‟ex-lazzarista Felice Calleri, già fautore del Sinodo pistoiese. Per fortuna i tre vescovi convocati dal Governo provvisorio per consacrarlo – tra i quali il chiavarese Benedetto Solari, vescovo di Savona e Noli, di idee liberali e giansenistiche – si rifiutarono. Al 20 gennaio 1799, tra esiliati o relegati, si contavano due vescovi, 51 parroci e ben 120 sacerdoti533. Situazione da tenersi presente nel riprendere a leggere le relazioni del Cattaneo sulla condizione del seminario alla sua riapertura da parte del cardinal Spina: Non si raccoglievano nel Seminario che quei giovani i quali non volevano aver parte alle glorie di Napoleone. Per fuggire la guerra si faceano preti, toltini alcuni pochi... disciplina non ve n‟era. Il Rettore ottuagenario... non la poteva stabilire. Cessato il pericolo della guerra... sarebbe stata quella l‟epoca piú opportuna per richiamare l‟ordine..., ma l‟ordine non si rimise534. Fra quei pochi chierici – 25 nel 1818 – erano i maliziosi che facevano osceni discorsi nauseanti e cercavano di sedurre gli innocenti. Di anno in anno andò crescendo il numero degli Alunni finché giunse ad oltrepassare i settanta, ma anche il disordine [si] moltiplicava, le oscenità che si commettevano di giorno e di notte non si possono dire senza ribrezzo, la scostumatezza era pressoché generale. Quando poi i Chierici andarono la prima volta alla villeggiatura, nel 1822, [si] ruppe ogni freno, lo scandalo divenne pubblico... L‟anno scolastico successivo i Seminaristi divennero la favola di tutta Genova, non potevano passeggiare per le strade senza sentirsi scagliare contro i motti piú ingiuriosi e 532 L. P[ERSOGLIO], Mons. Giovanni Lercari, ne La Settimana Religiosa, Genova, XXI(1891), p. 244. Cfr. pure A. COLLETTI, La Chiesa durante la Repubblica Ligure, Genova 1950, pp. 119.124. Si rinvia a questo lavoro per una conoscenza piú completa della situazione della Chiesa genovese di quei torbidi anni. 533 Ivi, 181. 534 La piaga durò a lungo. Il Gianelli nella lettera del 28-11-1830, 71a della raccolta citata (vol I, p. 74), diretta al nuovo arcivescovo, chiama tali candidati al sacerdozio: schivazappe e schivaschioppi. 263 chiamare coi nomi piú infami. L‟Arcivescovo [Lambruschini] ne sentí dolore e, parlandone col R. Gianelli, gli disse: “Caro Gianelli, sono obbligato a chiudere il Seminario”... Ciascuno aveva in camera la sua cucina... in qualche camera quattro o cinque Seminaristi giocavano tutta la notte... I Professori non erano risparmiati... satire, sarcasmi or contro l‟uno or contro l‟altro si leggevano scritte sulle muraglie e quel che è peggio la scostumatezza era tale che quelli soli la possono credere che ne furono testimoni... guai se uno fosse caduto in sospetto di delatore, gli toccava ben altro che di parole.... L‟eccesso di tanto disordine giunse alle orecchie dell‟Arcivescovo che era allora [nunzio] a Parigi. Ricorse egli tosto al rimedio unico di escludere i cattivi e sedici furono licenziati.... Nella relazione piú ampia: L‟Arcivescovo, sommamente afflitto per lo spiacevole andamento del Seminario, cercò di porvi riparo con istabilire un Direttore di Disciplina ed elesse a questo uffizio il M. R. Gianelli, allora Professore di Rettorica. Egli si adoperò con tutto lo zelo, ma non era aiutato dai Prefetti. Inoltre le sue attribuzioni non erano distinte da quelle del Rettore... Il Rettore, cui non era stata ristretta la giurisdizione, soleva usare di tutto il potere... e voleva agire come prima, quindi nascevano spesso delle contestazioni e degli urti. I Seminaristi si accorgevano del conflitto e questo bastava a togliere efficacia all‟autorità... con tutto ciò le cose andavano un po‟ meglio. Nell‟anno scolastico 1823-1824... riuscí il rettore a liberarsi della soggezione del Direttore di disciplina [Antonio Gianelli].... Il Gianelli, dopo le dimissioni da prefetto di disciplina, continuò ad insegnare lettere ancora per due anni prima di passare parroco a Chiavari. L‟anno scolastico 1827-1828 – continua la relazione – fu veramente fatale al Seminario. Converrebbe tirare un velo su questo infame periodo e seppellire la triste memoria. Ma non dovendo questi brevi cenni servire che per coloro che ne sono alla direzione sarà ben dire alcuna cosa in iscorcio ed accennar le cagioni dei disordini allora accaduti onde si possano piú facilmente impedire e che mai piú si rinnovino quelle disgust[os]issime luttuose vicende. Erano già da varii anni come abbiamo notato di sopra che la disciplina era manomessa... Il Rettore, egregio Ecclesiastico... nei primi anni usava piú rigore che dolcezza e i chierici se non altro lo temevano, ma poi pensò tenergli piú in ordine e guadagnarsene il cuore usando piú assai dolcezza che rigore... ma i Seminaristi di quel tempo erano troppo perversi e della bontà 264 del Rettore abusavano e prendevano sempre maggior baldanza [e] imperversavano sempre piú. I Prefetti erano miserabili e spesso erano cangiati, e quelli che venivano erano peggiori di quelli che se ne andavano, niuna abilità, niun talento a dirigire li distingueva; perciò nessuna stima né amore né rispetto potevano conciliarsi dai Seminaristi... Oltre i Prefetti generali ogni camerata aveva due Prefetti Seminaristi i quali spesso profittavano della maggior libertà... si trattenevano parte della notte in qualche camera a giocare... portavano le rispettive camerate nelle osterie ove si giocava e si mangiava all‟uso dei facchini... Lo spirito di pietà era estinto affatto, i Sacramenti pochissimo frequentati... in cappella si leggevano i libri piú osceni. Erano tra i Seminaristi partiti, dissenzioni, inimicizie dichiarate. Quei pochi che non prendevano parte al disordine eran l‟oggetto dell‟avversione comune tenuti quali spie e spesso maltrattati con parole e con fatti... a uno di questi fu sparata una pistola carica a palla [ma solo di polvere] ma che bastò per altro a mettergli tanta paura che cadde in deliquio, ad un altro minacciarono di gettarlo giú da una finestra e già tolto di peso mostravano di volerlo effettuare. Forse non l‟avrebbero fatto, ma se non era un Ruben pietoso che li dissuase chi sa come sarebbe finita la scena535. Talora i Prefetti entrando in Refettorio venivano accolti con urla e fischiate; al Rettore medesimo non si aveva maggior rispetto; uno gli disse in faccia imprecazioni e bestemmie esecrande; un altro a cui si avvicinava per obbligarlo ad entrare in camera gli intimò di scostarsi mostrandogli il coltello e levatosi con un insulto il collarino lo butto dalla finestra. Della scostumatezza non è mestieri parlare giacché da tutto il detto fin qui si può argomentare facilmente quanta fosse. Sono cose che non si riescono a credere, né si crederebbero, se non ci fossero altre testimonianze che suonano la stessa musica. Ecco, per esempio, come ricordava il seminario di quegli anni don Angelo Remondini, uno dei sacerdoti piú colti di Genova, anch‟egli del circolo Frassinetti536. Sono rievocazioni fatte a quarant‟anni di distanza: 535 Si allude all‟episodio biblico in cui Ruben impedisce che venga ucciso il fratello Giuseppe, Gen 37,12-36. 536 I fratelli Angelo (1815-1892) e Marcello (1821-1887) Remondini, eruditissimi di cose genovesi, scrissero tra l‟altro in collaborazione Parrocchie dell‟archidiocesi di Genova 265 Il Cattaneo venne rettore in Seminario nel 1831 – in realtà per l‟anno scolastico 1830-1831 –, ove io mi trovava da qualche anno. Il Seminario allora non era certo il luogo piú attraente per un giovanetto, il quale, all‟entrare novello, vi doveva sostenere il cosí detto noviziato, che io tuttavia con orrore ricordo. Oh che pena per un fanciullo sottostare per mesi e mesi a persecuzioni, insulti, percosse continue di una mano di sfrenati fanciulli, di cui non sapresti dove prendere riscontro neppure in un carcere, invano reclamante il prefetto dei seminaristi poco pratico di gioventú. Venne il Cattaneo, e in breve tempo i giovanetti, staccati dalle dolcezze della famiglia, vi portavano e vi conservavano il loro consueto sorriso e la giovialità, ritrovando altrettanti fratelli quanti erano i compagni. Ricorderanno i chierici adulti di allora le cosí dette congiure, i sassi rotolati tra i piedi ai prefetti nelle corsie, i colpi di pistola e simili e peggiori disordini, che assomigliavano il Seminario ad un ergastolo; venne il Cattaneo, e in pochi anni l‟amore e la carità tra i giovani chierici, il rispetto e l‟obbedienza ai superiori, la disciplina e la regolare condotta meritarono gli elogi di molti vescovi e delle pubbliche effemeridi e il Seminario di Genova il nome di Modello dei Seminari537. Un eco anche in un manoscritto del Frassinetti: I chierici, dai quali si doveva aspettare una novella generazione di sacerdoti, altra cultura non avevano se non la materiale delle scuole, giacchè per essi non era alcuna congregazione, se tolgasi quella dei Franzoniani, ossia Operarii Evangelici, la quale faceva poco piú di avviarli nella istruzione dei fanciulli e ne coltivava poco numero come portano le sue regole, dovendo essere dieci i chierici di congregazione. Sebbene il pio Abate Franzoni abbia istituito accademie per tutti gli ecclesiastici... nondimeno per molti anni furono trascurate. Nello stesso Seminario Arcivescovile era molta dissipazione che diede molto disgusto all‟Emmo Lambruschini. Per la qual cosa generalmente i chierici crescevano poco colti nello spirito ecclesiastico, e moltissimi cominciavano a comprendere che cosa fosse lo stato ecclesiastico e le disposizioni che si richiedono per abbracciarlo quando si ritiravano appresso i Signori della Missione a Fassolo per fare gli Esercizi Spirituali in preparazione al Suddiaconato538. in 15 volumi. Appartenevano ad una famiglia di 17 fratelli. A loro dobbiamo l‟esserci pervenuti vari documenti che riguardano il Frassinetti. 537 Giornale degli studiosi, vol. I, Genova 1871, pp. 30s. 538 I due brani qui riportati, questo e quello del prossimo paragrafo, si leggono nel volume V dei manoscritti di G. FRASSINETTI, Istituti e Documenti, conservati nell‟Archivio Frassinettiano. Il volume V è una miscellanea di scritti del Servo di Dio, tra i quali: Memorie 266 Né è a dire che i seminaristi potessero formarsi un‟idea di ciò che dev‟essere il sacerdote rifacendosi agli esempi che avevano sotto i loro occhi, perché, pur essendovene in buon numero di buono spirito e santa vita, la loro attenzione era richiamata da altri piú chiassosi e di vita tutt‟altro che edificante. Leggiamo sempre nel Frassinetti immediatamente prima della pagina citata: Sebbene il Clero di Genova siasi sempre segnalato in sapere zelo e pietà come non solo consta a noi, ma come porta l‟opinione universale in tutta l‟Italia, nondimeno aveva sofferto alcunché delle vicende dei tristi tempi scorsi sul cadere dell‟ultimo secolo e sul cominciare del presente. Molti ecclesiastici o in tutto o in parte avevano dimesso l‟abito clericale (al quale disordine rimediò l‟Em. Lambruschini quando fu nostro Arcivescovo dovendo però soffrire amare opposizioni), molti coltivavano il gioco delle carte e avventuravano somme considerevoli attesa la povertà del clero; alcuni, anche tra i piú notevoli beneficiati, giocavano pubblicamente al pallone, [e avvenne che l‟Emmo Spina fece una graziosa osservazione ad uno di costoro che ebbe a presentarglisi con un occhio molto offeso da un colpo di pallone. Si coltivava uno spirito di buffoneria che faceva trascorrere a burle pericolose e al tutto incongrue. Ad un sacerdote si bruciò molto solfo nella stanza mentre dormiva, altra volta gli si sparò un mortaretto soto il letto…]. Per tanto la della Congregazione del B. Leonardo finite di scrivere nel luglio 1847. Per i nostri brani cfr. nell‟ordine f2r e f1r e v., nella numerazione continua rispettivamente le pp. 420 e 418-419. Nel 1857 furono pubblicate in Oneglia a cura di don Luigi Bottaro, in realtà dello stesso Frassinetti, con l‟aggiunta di altri documenti: Memorie intorno alla Congregazione del B. Leonardo da Porto Maurizio, pp. 171. La revisione per l‟edizione di Oneglia espunse le parti qui riportate in corsivo: "Frattanto i Chierici, dai quali si doveva aspettare una novella generazione di sacerdoti, si può dire che non avessero altra coltura se non la scientifica delle scuole. Non era per essi alcuna apposita Congregazione che ne coltivasse lo spirito; la massima parte vivevano sparsi per la città presso ignote persone, la minima parte nel Seminario Arcivescovile alcuni pochi nelle proprie famiglie. Crescevano generalmente poco illuminati sui loro doveri, e taluni cominciavano a comprendere che fosse lo stato ecclesiastico e le disposizioni che si ricercano per abbracciarlo, quando si ritiravano presso i Signori della Missione a Fassolo per fare gli Esercizi Spirituali in preparazione del Suddiaconato", pp. 5s.– in una seconda stesura manoscritta di questo stesso 1857 si legge: "Quando io studiava teologia erano circa novanta i chierici esterni addetti a questa scuola e non arrivavano a venti gli interni. Tali chierici esterni cosí vicini al sacerdozio, che vivevano in piena balia di sé stessi... crescevano...”, (Manoscritti, vol. V p. 2) –. Le Memorie furono ristampate nel 1912 nel vol. XIII dell‟edizione vaticana delle Opere edite ed inedite (pp. 519562) con il titolo: Notizia della Congregazione di ecclesiastici... del B. Leonardo da Porto Maurizio. 267 dissipazione aveva molto progredito nel Clero e tante volte non si poteva parlare di certe pratiche divote, per es. della meditazione, senza mettersi a pericolo di essere burlati. Con questo non si vuol dire che non vi fossero buoni Ecclesiastici, che anzi erano in numero ben considerevole e diedero prove non dubbie di zelo, di pietà, di attaccamento ai sani principii nelle persecuzioni che soffrí la religione dai cosí detti giansenisti, rivoluzionarii e da Napoleone. Anzi è da notare che per Divina Provvidenza molti di essi erano forte sostegno alla religione del popolo in que‟ pericoli mediante la forte e vigorosa predicazione per la quale parecchi dovettero soffrire la deportazione e l‟esilio, e bisogna confessare che morti quelli non risorsero altri, almeno in ugual numero, da supplire alla loro mancanza539. Non dissimili, e forse peggiori, gli internati degli altri istituti genovesi, quello del Collegio Reale tenuto dai Somaschi, per esempio, la cui descrizione, s‟è visto, occupa buona parte del romanzo Lorenzo Benoni di Giovanni Ruffini. Un romanzo che, come vedremo nel prossimo capitolo, ben setacciato, può darci un‟idea dell‟ambiente studentesco della Genova di quegli anni Venti. L‟iter scolastico dei fratelli Ruffini non fu gran che dissimile da quello del Frassinetti. Anche essi ebbero per primo precettore un ecclesiastico, lo zio Carlo, fratello del padre, poi alunni dei Somaschi; uno, Jacopo, frequentò esterno filosofia in seminario negli stessi anni e corsi del nostro. 539 Pongo in parentesi quadre la parte omessa nell‟edizione vaticana, benché il curatore, don G. Capurro, affermi in nota: "Pubblicate... nel 1857 alquanto mutilate, noi le diamo per intiero, avendo alle mani il manoscritto autografo". Cfr. pp. 52s. Non confonda il lettore questi ecclesiastici che giocavano a pallone per puro divertimento personale con quei degli oratori di Don Bosco che lo facevano per animare le ricreazioni dei ragazzi. Nell‟edizione di Oneglia il testo era stato cosí modificato. "Sebbene il Clero di Genova siasi sempre segnalato in sapere, zelo e pietà, come non solo consta a noi, ma è pure opinione universale in Italia; nondimeno aveva sofferto alcunché per le vicende dei tristi tempi che erano scorsi sul cadere dell‟ultimo secolo e sul cominciare del presente. In fatti venuto al regime di questa Arcidiocesi il zelantissimo Arcivescovo, poi Cardinale Lambruschini, si dovette adoperare per correggere vari abusi che si erano introdotti nel Clero, né vi riuscí senza incontrare qualche contraddizione ed amarezza”. 268 CAPITOLO XVIII I “RAGAZZACCI” MAZZINI E COMPAGNI Ma voi non vi comporterete cosí. Luca 22,26. Il modo piú conveniente e opportuno [di comportarsi] io credo che debba impararsi da‟ nostri nemici, fissandoci per regola di fare il contrario di ciò che essi fanno. G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici. Non pochi seminaristi etiopici, venuti nel passato a completare gli studi a Roma, quando ancora imperversava la tubercolosi, vi soggiacquero. La causa, si diceva, essere il loro paese immune da tale flagello, perciò privi di quegli anticorpi che in noi si erano formati nel sangue a forza di respirare aria satura di bacilli. “I ragazzi del Gianelli”, vivendo a contatto di gomito con i mazziniani in erba, n‟ebbero una vaccinazione naturale. Vale la pena conoscere piú da vicino questi loro giovani coetanei dai quali essi si seppero differenziare. Non mi meraviglio se sentire chiamare Mazzini e compagni “ragazzacci” susciti all‟orecchio di qualche Lettore la ripulsa che produce nel mio ogni bestemmia contro Dio la Vergine e i santi. A chiamarli cosí fu lo storico Carlo Botta per gli articoli che i “ragazzacci” scrivevano su l‟Indicatore genovese540. Se fosse stato a 540 CARLO BOTTA, purista, autore della Storia della guerra dell‟indipendenza degli Stati Uniti d‟America (1809) e della Storia d‟Italia dal 1789 al 1814, edita nel 1824. La Storia d‟Italia continuata da quella del Guicciardini uscirà solo nel 1832. Opere di grande successo editoriale. Il Botta in due lettere, nell‟Antologia del 1826 e nel Giornale arcadico del 1828, si era scagliato contro i romantici. All‟epiteto “ragazzacci” se ne aggiungevano altri ben piú 269 conoscenza anche delle manganellature del ‟21 in quel vicolaio alle spalle di Sottoripa in Genova e dei provvedimenti scolastici presi a loro carico, forse li avrebbe chiamati “banda”. “Ragazzacci”, ma d‟ingegno. “Ragazzacci”, ma giovani che pensavano. Il Frassinetti camminerà in direzione opposta alla loro, ma li studia per poter difendere il popolo cristiano dalle loro insidie, e colpisce giusto, non a vuoto541, mettendo a servizio del bene, secondo il suggerimento del vangelo, l‟avvedutezza che essi ponevano a servizio del male542. Una delle massime che piú mi rimasero impresse – depose Giovanna Schiaffino – era che i figli delle tenebre sono molto piú prudenti dei figli della luce e che, se noi impiegassimo da parte nostra tutto l‟impegno che essi impiegano nelle cose loro, saremmo tutti santi543. Mazzini fu tra le prime persone da me conosciute bambino ex auditu. A quei ricordi lontani è legata la pena sofferta sapendolo braccato e condannato alla fame. Lo immaginavo nascosto in una grotta buia, rischiarata da un lumicino spargitore di ombre piú che di luce, di quelle di cui mi avevano parlato nelle fiabe popolate da orchi e da streghe. A volte mi ritrovavo a guardare il mio piatto di bambino povero, ma non di fame, e a vuotarlo con gli occhi fino a lasciarvi solo qualche boccone per farmi un‟idea di come doveva essere vuoto quello del povero Mazzini; e poi quel viso esangue, a muscoli tirati, su una redingote nera d‟uno ch‟abbia vegliato un morto e torni dall‟averlo seppellito. Immagini di fanciullo dure a cancellarsi. La storia è diversa, e bastò che al Meeting di Rimini del 1990 il Messori ed il cardinal Palazzini pesanti: “vili schiavi d‟idee forestiere e traditori della patria”. Le idee forestiere erano le critiche dei “ragazzacci” ad una letteratura “suono di musica fuggitivo, che ti molce l‟orecchio e trapassa”, invece che farne “una interprete eloquente degli affetti, delle idee, dei bisogni, e del movimento sociale”, come si legge nell‟articolo di replica del Mazzini sull‟Indicatore genovese. Nella replica il Botta arrivò a definire i Promessi sposi “un tessuto di sciocchezze”. La lunga nota perché del Botta si occuperà anche il nostro Frassinetti nella polemica con il Gioberti e con giudizio negativo, come già il Mazzini, anche se per motivi diversi. Ne riparleremo a suo luogo. Qui basti notare come il Frassinetti fosse a conoscenza di quanto si andava pubblicando. 541 1 Cor 9,26. 542 Lc 18,8. 543 CPP, vol. I, f.409rv. La Sanguineti è una teste oculare che dai tredici ai diciotto anni aveva fatto parte delle associazioni che il Priore aveva stabilito in Santa Sabina. 270 tirassero fuori qualche falangetta di scheletro dagli armadi della storia patria, perché tutte le prèfiche del Risorgimento insorgessero con alti lai contro “un cardinale uscito di senno” e l‟ ignoranza dell‟altro544. Dante, Garibaldi, Mazzini e Cavour, nell‟ordine, erano i santi laici di mio padre. Erano l‟Italia. Ad ogni figlio maschio che gli nasceva, la gioia d‟essergli nato un figlio maschio gli veniva rabbuiata dalla lotta dovuta sostenere per riuscire a chiamarli con uno di quei santi nomi. Gli andò bene solo per Dante. Per gli altri ci fu sollevazione e dovette ripiegare su Giuseppe, Arturo e Mario. Io, ultimo degli undici che venimmo ad allietargli la mensa, invece che Paolo, mi ritrovo Manfredo Paolo. In casa dovevano averci preso gusto a contraddirlo. Le figlie non crearono problema. Ognuna ebbe il suo bel nome. Eppure, quei santi padri della patria, tolto Dante, erano stati tutt‟altro che propizi alla sua famiglia. Il fratello della nonna paterna, Pietro Troiano, farmacista nel paese vicino, fedele al suo re, il primo d‟aprile 1861, forse non ancora a conoscenza della caduta di Civitella del Tronto, l‟ultimo baluardo dei Borboni, aveva capeggiato la sollevazione contro i rappresentanti del nuovo governo e i galantuomini che s‟erano affrettati a salire sul carro degli invasori. Cruenta la sollevazione, barbara la repressione. La casa data alle fiamme; due figlie riuscirono a salvarsi fuggendo in un paese vicino; lui, tre figli – 27, 23 e 20 anni – ed altri diciannove insorti vennero passati per le armi nella piana di San Rocco. Il secondo dei tre figli, giovane maresciallo dell‟esercito sbandato, non era caduto. Fu ucciso a bruciapelo, fucile alla tempia. Pochi minuti in piú di vita per esprimere l‟orrore dello scempio che gli si parava avanti agli occhi: "Ohi, che barbarie!". Si arrivò ad impedire ad un sacerdote di poterli avvicinare per confessarli. Sessantaquattro i “tradotti nelle prigioni distrettuali” che saranno condannati chi a morte545, chi a trenta e chi a venti anni di lavori forzati. E furono solo i primi. Il maggiore della Guardia Nazionale, Silvio Ciccarone, poteva telegrafare al Governatore della provincia: “L‟ordine è ristabilito”. E dire che un fratello di don Pietro Troiano, don Michelangelo, nel „48 era stato processato per discorsi pubblici 544 C‟era stata la presentazione del libro di VITTORIO MESSORI, Un italiano serio, il beato Francesco Faà di Bruno, Cinisello Balsamo (MI) 1990, p. 213. 545 Pena poi commutata con quella dei lavori forzati. 271 tendenti a spargere il malcontento contro la Sacra persona del Re N. S.! [Ferdinando di Borbone]546. Era mio padre che mi raccontava questi fatti, ma non credo che abbia mai posto un rapporto tra gli eroi del Risorgimento e quella strage, ed io, come soffrivo per Mazzini ramingo braccato ed affamato, soffrivo per quei miei prozii barbaramente trucidati. Nel cuore di mio padre, e per riflesso nel mio, mito e realtà vivevano in pace uno accanto all‟altro. Non doveva essere stato cosí per donna Anna Maria Troiano, la mia bisnonna. Lei sapeva solo che gente piovuta dal Nord le aveva distrutto la famiglia. Crescendo, mentre la scuola e le letture mi ingigantivano il mito, il tempo ammorzava la realtà fatta di stragi fame e migrazioni oltreoceano, fino a spegnerla. Poi venne la guerra, vennero i bombardamenti, l‟Italia sconvolta a metro a metro, la mancanza di tutto, odi e vendette, e la scoperta delle pagine della storia che grondano lacrime e sangue, pagine ignorate da tutti i vincitori e dalla scuola, ma le piú vere. Il Risorgimento fu diverso da come lo studiammo sul Morgen, sul Silva o il Rodolico, diverso da come si sognò leggendo Da Quarto al Volturno dell‟Abba o Il tamburino sardo del De Amicis. Agli occhi del Frassinetti, e di tanti suoi contemporanei, quei “patrioti” ebbero il volto di quei tali che lo aggredirono per strada pretendendo che gridasse: “Viva Gioberti!” e lo costrinsero a vivere nascosto lontano dalla parrocchia per piú di un anno547. Squadristi, li diremmo oggi. Ebbe il volto con cui dal 1850 veniva presentato di quindici giorni in quindici giorni dalle cronache della Civiltà cattolica e con cui lo ricordava la mia bisnonna: prepotenza, violenza, dissacrazione ed emigrazione oltre oceano alla ricerca d‟un pane. Per comprendere i tempi non si può ignorare la cronaca. 546 Nel libro parrocchiale dei defunti di Castiglione Messer Marino, Chieti, si legge: “Dominus Petrus Troiano Pharmacopola, annorum octo et quinquaginta... ob delicta in prima die Aprilis perpetrata, gladio iustitiæ perculsus die[m] obiit supremum in loco qui vulgo dicitur planitiæ Sancti Rochi. Ob id nullum sacramentum recepit, eius cadaver fuit repositum in eodem loco”. Formula ripetuta ventitré volte. Eodem loco, cioè in una fossa comune senza bare nel luogo dove erano stati fucilati. La pietà dei paesani vi pianterà ventitré pioppi. Cfr. D. LITTERIO, Padri – Castiglione Messer Marino e la sua gente, Vasto 1979, pp. 143-146. 547 Per la documentazione si rinvia alla seconda parte dove si tratterà della polemica Frassinetti-Gioberti. 272 Torniamo nella Genova degli anni Venti del secolo scorso. Per la quasi totalità i giovani che si radunavano intorno al Mazzini appartenevano alla classe medio alta, benestante e ricca, sí da poter vivere di rendita in patria e, se esuli, non male anche all‟estero, né privi, come fu del Mazzini, di qualche anima gentile che li consolasse. Chi li conobbe da vicino, non ravvisò sempre in loro gli eroi puri e senz‟ombra di macchia. Per convincersene basta leggere qualche stralcio di ciò che l‟uno di loro diceva e scriveva dell‟altro, e si sorriderà dello scandalo suscitato dalle pagine del Messori e dall‟intervento del cardinal Palazzini. Cito, per sgombrarmi il passo, un sol giudizio sul Mazzini tratto da una lettera del Gioberti a Giuseppe Massari in data metà ottobre 1833 da Brusselle, com‟egli italianizzava il nome della città belga: Noi almeno, se non abbiamo potuto fare alcun bene, non avremo alcun rimorso per aver fatto il male, laddove la G. I. (= Giovine Italia) se avesse un granello di sale in zucca non dovrebbe dormir tranquilla, perché ha piú fatto del male sola alla comune patria di tutti i despoti che la travagliano. Finora io fui disposto a perdonare molto alla sconsideratezza e alla fanciullaggine di quei paladini, ma, poiché veggo che l‟insania dura, comincio a mutar parere; e non esito a dirvi, dopo gli ultimi tentativi stupidissimi e scelleratissimi, il Mazzini o è un matto disperato da rinchiudersi in un manicomio o pizzica del ribaldo; che ribaldo è un uomo che, per ottenere uno scopo impossibile, sacrifica, dopo tante esperienze atte a farlo ricredere, gli sconsigliati che dànno retta alle sue parole, e fa indietreggiare di piú lustri la civiltà della nazione548. Gioberti non condanna d‟immoralità l‟azione del Mazzini, ma i modi e i tempi che avevano causato il fallimento dell‟impresa, le numerose condanne a morte, dodici delle quali eseguite, il suicidio di Jacopo Ruffini ed il proprio recente esilio. Don Bosco prescinde dall‟esito favorevole o disastroso di quelle congiure, anzi, piú che alle congiure, pensa agli scritti: Giuseppe Mazzini, genovese... fece statuti veramente diabolici alla Giovine Italia549. 548 V. GIOBERTI, Epistolario, Ediz. Naz. a cura di G. GENTILE e G. BALSAMO-CRIVELLI, vol. IV, Vallecchi Firenze 1928, pp. 342s. 549 G. BOSCO, La storia d‟Italia, Torino 1887. ed. 18a, n. a p. 403. A pp. 422s. torna a parlare di quest‟uomo singolare, divenuto nel 1849 triunviro della Repubblica Romana, fermandosi sulle vessazioni, ruberie e violenze perpetrate dal suo governo: “Impose tributi, 273 Non meno raschiante la penna del Mazzini scrivendo del Gioberti: No; Gioberti, il grande sacerdote della setta [dei moderati], non era filosofo; e l‟essere egli stato generalmente riconosciuto siccome tale dimostrerà a quali poveri termini fossero ridotti in Italia gli studi filosofici... L‟uomo che esordí dalle dottrine di Giordano Bruno per sommergersi in un concetto neo guelfo di primato per mezzo del papato – che salutò d‟entusiasmo la formula Dio e Popolo [della Giovine Italia] per rinnegarla poi a profitto d‟un cattolicesimo rintonacato – che dopo d‟avere fulminato dall‟altezza d‟una coscienza filosofica gli artifici del gesuitismo, li adottò cardine de‟ suoi disegni, appena entrato sull‟arena della politica pratica –… che diceva a me nel 1847 in Parigi: Io so che differiamo in fatto di religione; ma, Dio buono! il mio cattolicesismo è tanto elastico che potete inserirvi ciò che volete – non fu né filosofo né credente. Ingegno facile, rapido, trasmutabile, fornito d‟una erudizione copiosa ma di seconda mano... Gioberti rivestí di sembianze filosofiche l‟immorale dottrina dell‟opportunità e mascherò da idea l‟irriverenza alle idee. E fu il primo – biasimo assai piú grave – che introducesse nel campo della libertà l‟arme atroce della calunnia politica... I fatti del 1848 e del 1849 sono commento alle cose ch‟io dico....550. Un bell‟epitaffio per chi si ritenne filosofo e fu acclamato profeta della nuova Italia. Ed è solo un piccolo saggio. Poco su aveva scritto, con il pensiero al Gioberti, idolo dei moderati: Una profonda immoralità è infatti radice a tutte le teoriche e al metodo dei moderati. L‟eterno vero è da essi perennemente sagrificato alla misera realtà d‟un breve periodo; l‟avvenire al presente; il culto dei principii all‟utile presunto della giornata... Le forti credenze, i forti affetti, i forti sdegni non allignano in quelle anime fiacche, arrendevoli, tentennanti fra Machiavelli e Loiola, mute a ogni vasto concetto, vuote d‟ogni profonda dottrina, abborrenti dalla vita dritta, impastate di ripieghi, di transazioni, di finzioni, d‟ipocrisia. Noi li udimmo, i capi della fazione, a dirci... È necessità dei tempi, ma in sostanza lavoriamo per voi. Li vedemmo... stringere or col popolo ora collo poi ordinò un prestito forzato… Si appropriarono i beni della chiesa, gli oggetti d‟oro, d‟argento… calici, pissidi, ostensori ed altri vasi sacri… Che orrore sarebbe mai il raccontarvi le barbarie commesse in quel tempo! Monache e religiosi spogliati o cacciati dai loro chiostri; preti e frati trucidati… parecchi de‟ migliori cittadini, non di altro colpevoli di non voler essere ribelli, furono privati de‟ loro averi, imprigionati e sgozzati”, e rinvia a G. AUDISIO, Orrori della repubblica Romana. 550 G. MAZZINI, Note autobiografiche, c. XIX, ediz. BUR, pp. 339s. 274 straniero, a propiziarsi l‟uno e l‟altro, patti che intendevano di non mantenere; dichiararsi riverenti al papa pur cercando modo di scavargli la fossa....551. Diciotto anni prima il Frassinetti aveva scritto: [Gioberti] per fermo ha una carità verso Roma e la S. Sede che fa trasecolare; ma peccato che non abbia insieme altrettanto di rispetto per lei!... Che cosa è mai pel Gioberti questa S. Sede? La crede forse una scema fanciulla cui vuole la carità si tolga anche a forza un‟arma di mano quando se ne trastulla inesperta con gran suo pericolo?... Ma non sa l‟eruditissimo Abate che la S. Sede è ben altra cosa?... Or via, Signor Gioberti, meno carità per la S. Sede e un po‟ piú di rispetto552. Era gente che si conosceva. Proviamo a conoscerli piú da vicino anche noi per meglio comprendere i tempi del Frassinetti ed il valore della sua scelta. Negli anni Venti dell‟Ottocento Genova si aggirava sugli ottantamila abitanti. Quasi tutti i ragazzi, dopo qualche anno di elementari, o erano imbarcati come mozzi o posti a bottega ad imparare un‟arte. Relativamente pochi, e da potersi contare, quelli che intraprendevano gli studi umanistici per poi accedere all‟università. Chi non poteva permettersi il lusso di precettori privati, per lo piú sacerdoti, frequentava le scuole tenute da religiosi: gesuiti, somaschi e scolopi, o quelle del seminario, anche se non aspirava al sacerdozio. Questi giovani, ai quali non si può negare la presenza d‟una forte religiosità ed un anelito di divino, pur germogliati in uno stesso campo, si riveleranno col tempo parte grano buono e parte loglio553. Ciò che faceva differenza non era la scuola o il metodo d‟insegnamento, l‟uno non differendo gran che dall‟altro, ma la famiglia e, forse ancor piú, il professore che era riuscito a guadagnarsi la fiducia di questi giovani con il suo ascendente. Altra cosa pendere dalla parola di un Gianelli, altra cosa dalla parola di un De Gregori, prete giansenista e liberale; altra cosa un insegnamento che li apriva alla vita rafforzandoli nella fede, altra cosa lasciare i banchi con 551 Ivi, pp. 338s. 552 [G. FRASSINETTI], Saggio intorno alla dialettica e alla religione di Vincenzo Gioberti, Genova maggio 1846, pp. 70-73. 553 Mt 13,24-30. 275 l‟impressione che la religione dell‟infanzia era inconciliabile con la religione della libertà e del progresso, e questa essere tale a cui s‟aveva da sacrificare ogni altra cosa. Per non pochi di quei giovani il primo incontro con Cristo s‟era riassunto in minacce d‟inferno. Un Dio terribilmente giusto e rigido esattore che non condona uno spicciolo, che non ammette nel suo regno se non chi abbia gareggiato con gli angeli in purità di cuore, e, per un privilegiato che si salva, mille i precipitati senza pietà nel fuoco eterno. Si aggiungano le confessioni tortura, le assoluzioni negate, l‟eucaristia rimorso d‟averla profanata ricevendola quelle rarissime volte non abbastanza degnamente. In seminario era additato ad esempio di pietà chi si comunicava nei dí di precetto! Una religione timore con poca o nessuna speranza di salvezza. Pochi di quei giovani erano irreligiosi per natura – scriverà uno di loro, Federico Campanella –. L‟idea di Dio, il culto interno della divinità era profondamente radicato negli animi loro e i piú d‟essi l‟han conservato e conservano vivo tuttavia. Quanto alle forme non si discuteva in allora. Digiuni e non vaghi di scienze teologiche avrebbero accettato qualunque forma ed anche il cattolicismo, se il cattolicismo fosse paruto accettabile. Anzi, colla scorta della Bibbia, il cui studio andava di pari passo con quello di Dante, s‟ingegnavano di conciliare – ed alcuni scritti della “Giovine Italia” (giornale) ne fan fede – due cose impossibili: cattolicismo e libertà554. L‟avere imboccata l‟una o l‟altra strada dipese spesso da un nulla: l‟ascendente di questo o quel professore, un libro, l‟incontro con questo o quel compagno, il volto con cui la religione era stata loro presentata. Antonietta Mazzini attribuiva la rovina del fratello Giuseppe alle letture fatte durante una malattia che l‟incolse nell‟adolescenza. A Genova, – racconta don Gaspare Olmi – ho conosciuto la sorella del Mazzini, vedova del medico Massuccone (sic). Per degli anni la vedevo quasi tutte le mattine, quando mi trovavo in città, alla Libreria Arcivescovile 555 ove veniva a prendere il Cittadino. Era una donna santa, che piangeva sempre sopra il suo disgraziato fratello, per convertire il quale s‟era adoperata, ma invano, col suo marito, che il Mazzini stimava tanto. Mi diceva questa donna, 554 F. CAMPANELLA, cit., in “Italia e Popolo” del 1855 e ricitato da A. CODIGNOLA, I fratelli Ruffini, vol. I, p. L, nota 6. 555 Ne era direttore Pietro Olivari di cui parleremo trattando dei Figli di Maria. 276 che suo fratello cominciò a guastarsi in una malattia che ebbe, nel tempo della quale fece delle letture, da cui attinse la quintessenza dello spirito rivoluzionario....556. Sui sei anni, si è detto, anche lui era avanzato in processione nel santuario della “Madonnetta” tenendo in mano un cuoricino d‟argento ed una candela per consacrarsi a Maria557. A parte le letture, di cui parla la sorella, e egli stesso558, aveva avuto una madre di pietà giansenista che gli aveva scelto per maestri i sacerdoti Luca Agostino De Scalzi e Giacomo De Gregori, anch‟essi giansenisti e liberali. In nome d‟una religione piú pura, il giansenismo alienava gli animi da Dio e per tanti divenne anticamera d‟una miscredenza congiunta immancabilmente a rabbioso anticlericalismo. Nella traccia d‟un poemetto vagheggiato da studente, Mazzini ci rivela come fin da allora la sua crisi religiosa d‟adolescente si fosse risolta in miscredenza. In quella traccia descrive un naufragio a cui una donna assiste da terra: Un grido si innalza dalle onde... un grido di rivolta dell‟uomo disperato contro Iddio. A questo grido succede un tremendo silenzio... mattino sereno, limpidissimo... come se Iddio avesse imposto alla natura di rallegrarsi, per 556 Stando all‟Olmi, – valga la notizia quel che valga, anche se la cosa era tutt‟altro che rara – al Mazzini sul letto di morte si sarebbe fatto prepotente il desiderio di chiudere la vita nella religione della sua infanzia: “Mazzini morí a Pisa. Davanti alla morte si spaventò e chiese il prete. I massoni che lo assistevano,... lo lusingarono, dicendogli che lo avrebbero chiamato, ma non ne fecero nulla. Uno di questi massoni, conosceva la sorella inferma d‟un avvocato, che vive ancora qui in Genova. Io qualche volta la visitavo, e da lei seppi che il massone le raccontò, che Mazzini non solo chiese il prete, ma piangeva, perché vedevasi tradito dai suoi”. G. OLMI, Autobiografia, Genova, 1907, pp. 73s. Cfr. pure D. MACK SMITH, Mazzini, Milano 1993, p. 315 con rinvio all‟Edizione Nazionale delle opere, vol. 91, pp. 324s: “Mazzini tornò a vivere dai Nathan, a Lugano, dal settembre di quell‟anno [1871] al febbraio del 1872. Si offrí di andare a Genova a confortare Antonietta, la sua pia sorella cattolica, che aveva perso il marito, e rimase sconvolto quando lei lo pregò di non venire, “a causa dei suoi princípi e per riguardo alla memoria e al presunto desiderio del defunto marito”. Cfr. pure: A. COLETTI, Giuseppe Mazzini – l‟uomo – L‟opera, Genova 1905. In una nota a p. 5 afferma di sapere positivamente che alla morte di Antonietta fu fatto scomparire un grosso fascio di lettere del Mazzini alla sorella. 557 A. BRESCIANI, L‟Ebreo di Verona in Civiltà catt. II, IV, pp. 266-268. 558 G. MAZZINI, Op. cit., c. I, p. 52. 277 insultare l‟uomo. Descrivere i rottami della nave, gli avanzi, i corpi morti. Il mare muto, il lido muto... Si può nella descrizione della tempesta dire che si ode portata dal vento una preghiera dei naviganti e torne occasione per parlare di Dio: invano pregate: il cielo è di bronzo al compianto degli infelici: Iddio guarda dall‟alto sulle angoscie de‟ mortali e sorride...559. Lasciamo stare l‟arte, inesistente. Il tema dell‟indifferenza della natura per le sciagure umane era già presente nel poema Temora attribuito all‟Ossian, già tradotto da un mezzo secolo da Melchiorre Cesarotti, come in questa scena dove il guerriero Càrilo, ascoltato e non visto da Ossian, si rivolge al Sole: – Ma dimmi, o Sole, sino a quando ancora Vorrai tu rischiarar battaglie e stragi Con la tua luce?.... – Càrilo, a che vaneggi? al Sole aggiunge Forse tristezza? Inviolato e puro Sempre è il suo corso...560. Lo stesso tema lo rincontreremo nei canti piú disperati del Leopardi. Il Mazzini qui non nega Dio, lo fa cattivo, lo demonizza, uno che gode delle nostre sciagure. Torniamo allo Zibaldone: Chi facesse un componimento materialista sui sepolcri... bisognerebbe sostituire all‟idea dell‟immortalità qualche altra cosa... per es. l‟idea di uno che vede spuntare sulla tomba della sua donna una rosa e la coltiva amorosamente561. Non piú l‟immortalità legata alla risurrezione di Cristo, bensí ristretta al ricordo di chi sopravvive, come nei Sepolcri del Foscolo, e, prima ancora che nel Foscolo, già nel Sallustio: “Giacché la vita è di breve durata, mi sembra saggio prolungarne il ricordo piú che possiamo”562. Un raggio di luce che continua ancora un poco a colpire le cose a stella ormai spenta, non certo oltre l‟esistere delle cose. Un sopravvivere non noi, ma la memoria di noi in un non-noi. Un tornare a monte di Cristo. Sono qui evidenti gli effetti 559 ID., Zibaldone, n. 3267, Museo Risorgimentale di Genova, pp. 382 e 373. 560 JAMES MACPHERSON, Temora, canto II, vv. 519-521.525-528. 561 G. MAZZINI,.Zibaldone, p. 365. 562 SALLUSTIO, De coniuratione Catilinæ, I. 278 delle letture degli enciclopedisti e dei filosofi del secolo precedente, testimoniate negli appunti dei suoi zibaldoni. Nel materialismo democratico del Rousseau e nell‟ateismo volteriano, il giovinetto trovava una conferma a tutta l‟ideologia democratica e giansenista a cui s‟era ispirata l‟educazione materna; ma esse gli apparivano illuminate da uno splendore di modernità ben altrimenti affascinante e ben piú rispondente alle sue intime esigenze di quello che non fossero i dogmi del cattolicismo tradizionale563. Superato il materialismo, una “credenza fredda, scoraggiante ed individuale” che “inaridisce il fiore dell‟amore”564, nel Mazzini ci fu un ritorno prepotente di religiosità intrisa di rigore giansenistico, non però a favore del cattolicesimo che, secondo lui, aveva esaurita la sua missione. Si illuse di colmarne il vuoto con l‟idea di un Dio umanitario postulato dalla vita concepita come somma di doveri da compiere: Ricordo che allora, nel primo bollore del suo pensiero critico e inconscio, negava Dio: ma non finí quella nostra corrispondenza ch‟egli consentí meco e mi ringraziò – scriverà l‟amico di gioventú Giuseppe Benza attribuendo a sé il ritorno alla fede del Mazzini – L‟indole del suo ingegno artistico lo spingeva a cercare l‟ideale, anche nella politica, ed il lungo studio e il forte amore d‟Italia e di Libertà a cercarne il compimento in un predestinato progresso indefinito: quindi l‟idea di un Dio umanitario, astraendo quasi del resto dall‟universo e dalla natura565. Anche per il Benza, un altro del gruppo, che sarà poi rimproverato dal Mazzini d‟essersi col tempo isterilito negli agi della vita domestica, il Dio dei teologi è da sostituire con qualcosa di diverso. Vecchio confesserà: Io non so di Dio che egli sia; so ciò che egli non è. So che non è, né irascibile, né vendicativo, né superbo, né vanaglorioso, né ingiusto, né imbecille come le religioni lo hanno fatto a similitudine dell‟uomo... Io non posso amare, e perciò non posso credere a un Dio che ha creato l‟uomo, pur 563 A. CODIGNOLA, Op. cit.., pp. XIs. 564 F. SCIACCA, Il pensiero italiano nell‟età del Risorgimento, Milano 19632, pp. 252s. 565 A. CODIGNOLA, Op. cit., p. XXVIII, nota 56, con rinvio a Note autobiografiche in Carte Benza, Museo Risorg. di Genova, n. 179. 279 sapendo che di mille si salverebbe uno e mezzo e novecento novantanove e piú sarebbero dannati eternamente...566. Il Benza era stato in collegio dagli scolopi a Carcare per sei anni, 18171823, alunno del padre Buccelli, tornato ad occupare la cattedra in cui era stato sostituito per un anno dal Gianelli567. Negli attestati scolastici lo troviamo dichiarato modello di religiosità568. Erano giovani che si conoscevano un po‟ tutti, o perché compagni di scuola, o perché si erano ritrovati insieme in biblioteca e nelle librerie, o a prendere fresco all‟Acquasola, o a far coda per farsi firmare l‟attestato di essersi confessati ed aver assolto i loro doveri religiosi, come richiedevano tutte le scuole, anche se per lo piú si trattava d‟una pura formalità. Il parroco di S. Agnese, Stefano Bottaro569, amico di casa Mazzini, era generoso firmaiolo d‟attestati, si fossero non si fossero confessati. 566 Ivi., pp. XXXs., nota 61, con rinvio a Carte Benza da lui conservate. 567 S. GAROFALO, Sant‟Antonio Maria Gianelli, Roma 1989, pp. 45-48 568 Il Benza conservò buona memoria del Buccelli con cui si mantenne in corrispondenza e ne fece un alto elogio nell‟anniversario della morte. Il Buccelli era stato alunno dell‟Assarotti. Godette ottima fama d‟educatore. A. CODIGNOLA, Op. e luogo cit. 569 A. CODIGNOLA, I Fratelli Ruffini, vol I, Genova 1925, p. XXVIII, nota 55. Non si confonda Stefano Bottaro con prete [Bartolomeo] Bottaro “il salmista che non può per interdetto celebrare” a cui Maria Mazzini morendo lasciò una modesta somma nel suo testamento (ivi). Nel 1849 aveva pubblicato Raccolta di salmi popolari, ch‟ebbe una seconda edizione nel 1851, entrambe da Dagnino, Genova, in cui si esaltava la rivoluzione, Pio IX e Gioberti, salmi colmi d‟amor patrio, di aspirazioni religiose e di odio a gesuiti e tedeschi. Gioberti li ritenne pieni di sensi nobili e italiani. Roma li pose all‟Indice. Non essendosi sottomesso, venne sospeso a divinis. Dimorò per alcuni anni presso il Santuario di N. S. della Vittoria. Il 23 agosto 1853, dopo aver ingoiato del veleno – cosí si credette –, si trascinò in chiesa per un ultimo saluto alla Madonna. Tornato a casa, si chiuse in camera. Il giorno dopo lo trovarono morto. Cfr. A. COLLETTI, Ausonio Franchi..., pp. 68s. Il 26 settembre successivo la Civiltà cattolica ne dava cosí la notizia: “Il Bottaro fu un povero prete di testa assai calda... che la diè giú a capo chino nel turbine della rivoluzione e scrisse salmi da furibondo, e si trasse addosso le censure ecclesiastiche... Morí di repente avvelenato... Fu seppellito con onori poco inferiori ai renduti alla madre del Mazzini, e le società operaie di Genova ne vogliono eternare la memoria con un monumento”, p. 110. Tutt‟altra cosa prete LUIGI BOTTARO che nel 1857 curò la pubblicazione del manoscritto di G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio. Erano i tre d‟una stessa 280 I giovani studenti avevano cominciato a ravvisare nel Mazzini il duce della scolaresca fin dal giorno della festa di san Luigi del 1820. Quel giorno c‟era stato uno scontro nella chiesa dell‟università tra gli studenti delle varie scuole circa i posti da occupare. Per quella chiassata il Mazzini, insieme al Gastaldi, fu arrestato per qualche giorno. Quando le porte del carcere s‟apersero, i due prigionieri furono trionfalmente scortati alle loro case. Da quell‟istante la scolaresca ebbe Mazzini a suo duce; ed ei, raggruppati a sé intorno i giovani piú spericolati, audaci e magnanimi, cominciò quell‟apostolato di libertà a cui non venne meno giammai570. Altri giovani si aggiunsero in seguito: – un piccolo gruppo di scelti giovani, d‟intelletto indipendente, si raggruppava intorno a me –571 tutti educati, come lo stesso Mazzini, da precettori ecclesiastici o in istituti religiosi. Se l‟amicizia col Benza, che li avrebbe fatti compagni di congiure, nacque in una di quelle attese per procurarsi l‟attestato di confessione, quella con i Ruffini è riallacciata da Giovanni nel Lorenzo Benoni ad un episodio occorso ad una dozzina di studenti con un gendarme mentre una calda sera d‟estate si godevano il fresco all‟Acquasola. Nessuno meglio del Mazzini per andare a fare le rimostranze al comando. Anche a distanza d‟anni dalla rottura tra i due, si sente ancora il fascino che quel giovane esercitava sui suoi coetanei: [Si] creò fra me e Fantasio – il nome dato al Mazzini nel romanzo – un‟unità di sentimenti che contribuí al rapido sviluppo della nostra amicizia... Fantasio ed io ci eravamo giurati amicizia per la vita e per la morte... Ogni mattina senza fallo andavo a casa di Fantasio, e ogni sera Fantasio veniva da noi. Mia madre e i miei fratelli, specialmente Cesare [= Jacopo] ne erano affascinati. E, in verità, mai ho conosciuto giovane piú affascinante... Parlava bene e fluido; e quando si animava, c‟era qualcosa di affascinante nei suoi occhi, nei gesti, nella voce, in tutto il suo contegno, al quale era difficile resistere. Conduceva una vita di solitudine e di studio; gli svaghi dei giovani parentela? La lunga nota per dare un‟idea di come nella Genova del Frassinetti anche dal clero si potesse camminare per vie cosí diverse. 570 E. CELESIA, Storia dell‟Università di Genova, in continuazione di quella dell‟Isnardi, Genova 1881, citato da A. CODIGNOLA, Op. cit., p. XXII. 571 G. MAZZINI, Op. cit., c. I, p. 54. 281 della sua età non avevano per lui nessuna attrattiva... qualche passeggiata ogni tanto, raramente di giorno e sempre in luoghi deserti... nel suo orrore per i colletti vistosi [forse c‟era] un che di esagerato... A lui devo se ho letto e gustato Dante... Fantasio mi insegnò a cercarvi la cultura e l‟affinamento delle mie facoltà. Da allora, mi abbeverai a questa sorgente di pensieri profondi e di emozioni generose... Il commento di Fantasio era piú brillante che profondo, ma io ero in un‟età nella quale tutto ciò che è brillante ha un fascino irresistibile, e colma ogni altra lacuna...572. Non saranno sfuggiti al Lettore i tratti comuni al Mazzini e al Frassinetti. Abbiamo visto nei ricordi della sorella il suo amore per la vita ritirata, la scelta delle strade meno frequentate, la passione per lo studio che lo teneva inchiodato in camera sui libri incurante del freddo e dei geloni, il rifiuto ostinato di vestire alla moda e di indossare camicie inamidate e ben stirate. Filippo Poggi, suo compagno di classe, ricordava nell‟elogio funebre il loro passeggiare leggendo per diletto i dolci versi del Lirico che dopo i giorni perduti e le notti spese vaneggiando, volse al Padre del ciel le dolenti rime”, come gli paresse ancora di udirlo e vederlo mentre argomentava con dialettica stringente: “meditato o improvvisato, non abbandona l‟arena se non vincitore”573. Il Luxardo conferma questo suo ascendente sui compagni che “parlarono [di lui] in ogni tempo con amore e venerazione”574. Di Jacopo Ruffini, per l‟anno di filosofia frequentato nel seminario di Genova insieme con il Frassinetti, si legge un giudizio lusinghiero: optimis moribus non dubia præbuit studiique specimina. Di Federico Campanella, anche lui alunno di filosofia in seminario, membro col Frassinetti dell‟Arcadia degli Ingenui e con lo stesso uno dei partecipanti all‟Accademia Le Lettere e la Religione, s‟è già detto. Il provvedimento disciplinare dell‟università perché s‟era permesso di avanzare delle massime contrarie alla Religione ed all‟autenticità dei libri santi575, essendo poco credibile aver potuto fare tali affermazioni per studi personali, 572 G. RUFFINI, Op. cit., pp. 141-143. 573 F. POGGI, Della vita e degli scritti di Giuseppe Frassinetti..., Genova 1868, pp. 7s. 574 F. LUXARDO, Giuseppe Frassinetti, Genova 1884, cap. I. 575 Registro delle deliberazioni dell‟Università di Genova, n. 5, 11-1824. 282 – nel passo su citato dice: digiuni e non vaghi di scienze teologiche – ci fa pensare che si stesse già nutrendo alla mensa di Voltaire e degli enciclopedisti. La stessa a cui si era nutrito il Mazzini fin dalla prima adolescenza. Avanti all‟adolescente Giuseppe Frassinetti e ai suoi compagni erano dunque aperte le due strade, quella della religione e quella della irreligione, quella del bene e quella del male con le loro varianti atte a soddisfare sia la turma profana, sia chi si sentisse alma grande impaziente di salire animosa come onor la sprona. Uno della turma profana non aveva da fare proprio nulla, bastando prendere la vita come veniva. Fu la scelta di tanti suoi compagni di seminario. In quegli anni – si è visto nel capitolo precedente – si esigeva cosí poco per accedere agli ordini: bastava partecipare, se seminaristi esterni, ad alcune conferenze, esibire attestati del parroco raramente negati, fare qualche giorno di esercizi alla vigilia di riceverli 576, Se poi uno si fosse sentito alma grande... che sale animosa come onor la sprona / fuor della vil turma profana e ria, per dirla con due dei versi del nostro Servo di Dio, e avesse concepito la vita come missione, aveva avanti a sé il sacerdozio santamente vissuto, ma anche l‟occasione d‟incontrarsi con un Mazzini, o altri, che se lo accattivasse con il prestito di libri introvabili nelle librerie e lo affascinasse con l‟esca della cultura infiammandolo per altri ideali. È cosí facile a quell‟età passare dall‟uno all‟altro ideale, dall‟uno all‟altro sogno, o illudersi di poterli assommare e conciliare. Uno di questi fu appunto Giovanni Ruffini. Prima di restare ammaliato dal Mazzini, lo era stato dalla lettura della Vita del beato fra Martino di Lisbona577. Vi aveva riscontrato tanti casi simili alla sua e provò a comportarsi com‟egli si era comportato, specie con un compagno che lo angariava. “Diventare io stesso un santo, andare in Cina e affrontare il martirio come il santo frate!”. Una sera, all‟Ave Maria, entrò nella chiesa di San Barnaba: 576 G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. 5, Memorie della Congregazione del B. Leonardo, p. 420. 577 Di questo beato non sono riuscito a trovare nulla. Che sia invenzione del Ruffini? 283 Una mezza dozzina di novizi erano inginocchiati sul pavimento di pietra, cantando salmi... Una voce interna sembrava dirmi: “Ecco quel che cerchi!”. Pregai a lungo con fervore... Ci fu un periodo di preghiere, mortificazioni, penitenze... Non ne fu nulla, ma quante vocazioni sono iniziate cosí e come vicini l‟uno all‟altro l‟imbocco delle due strade!578. Questi giovani trovarono nel Mazzini un linguaggio di fede. Anch‟essi parlano un linguaggio di fede e vivono votati ad una causa. Nei loro scritti non si contano espressioni e brani su Dio e la religione da raccogliere in antologia. Dicono sí Dio, ma intendono ora la Patria, ora il Progresso, ora l‟Umanità, ora la Ragione, ora la Filosofia, ora la Scienza, ora la Libertà, ora altro, a volte una mescolanza di tutto, mai il vero Dio, e meno che meno il Dio annunciato dai sacerdoti cattolici nelle loro chiese, anzi, di questo Dio ne andava cancellata la memoria, se si voleva che la nuova religione si affermasse. Si trattò solo d‟una delle infinite varianti di quel processo di sostituzione di contenuti suggerito a Cristo da Satana nel deserto: sostituire la missione avuta dal Padre con qualunque altra cosa, facendosi, perché no?, anche mago e giocoliere sbalorditore di folle579. Ma Cristo era venuto a salvare il mondo, non a stupirlo ubriacandolo di nulla. Satana ci avrebbe riprovato ancora, mutando la tentazione da grossolana in sottile, servendosi d‟una persona insospettabile, di Pietro, a qualche minuto da quando era stato dichiarato la roccia su cui sarebbe stata fondatala Chiesa 580. Ci riprovò il giorno dell‟ingresso trionfale in Gerusalemme nella speranza di riuscire a declassarlo da salvatore del mondo in re d‟Israele581. Il demonio ha sempre una via piú saggia da suggerire, piú ragionevole, anche a Cristo: mettesse il religioso a servizio del politico in vista di una corona582. A questi giovani insinua di aggiornare la religione di Cristo all‟era dei lumi svuotandola di ciò che eccede la ragione e le facoltà dell‟uomo. Sí ad una vaga religiosità, no al soprannatura. Una variante di tale tentazione possiamo chiamarla 578 G. RUFFINI, Lorenzo Benoni, Op. cit., pp. 109-118. 579 Mt 4,1-11; Lc 4,1-13. 580 Mt 16,22s. 581 Mc 11,9; Lc 19,38; Gv 12,13. 582 Gv 6,15. 284 “tentazione Mazzini” ed in essa caddero non pochi giovani generosi 583. Per quei che erano trattenuti da questa scelta radicale, verrà Félicité de Lamennais ad illuderli con il suo vago cattolicesimo ordinato ad altrettante vaghe aspirazioni sociali: Giovane soldato, dove vai? Vado a combattere in nome di Dio e degli altari della patria. Giovane soldato, dove vai? Vado a combattere per la giustizia, per la santa causa dei popoli, per i diritti sacri del genere umano. Che le tue armi siano benedette. Giovane soldato! Giovane soldato, dove vai? Vado a combattere per liberare i miei fratelli dall‟oppressione, per spezzare le loro catene e le catene del mondo. Che le tue armi siano benedette. Giovane soldato! Giovane soldato, dove vai? Vado a combattere gli uomini iniqui in nome di coloro che essi calpestano, contro i padroni in nome degli schiavi, contro i tiranni in nome della libertà. Che le tue armi siano benedette. Giovane soldato!... Diffidate degli uomini che si mettono fra Dio e voi perché la loro ombra ve lo nasconde: sono uomini che tramano cattivi progetti. Perché è da Dio che proviene la forza che libera, perché è da Dio che proviene l‟amore che unisce... La legge di giustizia insegna che tutti sono eguali davanti al padre loro che è Dio e davanti al loro signore che è Cristo... 584 . “Un autentico pamphlet politico in forma mistica”, definí queste Parole d‟un credente l‟abate Luigi Bautain, dove la politica diventa la misura di tutte le cose e bisogna che tutto vi si adegui; letteratura, arti, scienze, morale, filosofia e persino la parola sacra, 583 Una storia che si sta ripetendo ai nostri giorni: la Chiesa, se vuol essere credibile, deve rinnovare il suo contenuto, ponendo il sociale in luogo del soprannatura. Una delle tante varianti, ma ogni altra andrebbe ugualmente bene, purché elimini il piano salvifico di Dio, la divinità di Cristo e il soprannatura. A Satana non è mai mancato un qualcosa di meglio, di piú razionale e adeguato ai tempi da suggerire in cambio. 584 FÉLICITÉ ROBERT DE LAMENNAIS, Parole d‟un credente, trad. di M. G. MERIGGI, MILANO, 1991, pp. 143.147s. 285 persino la religione di Gesú Cristo che fra le sue mani diventa uno strumento a questo fine585. Furono tanti a non percepire l‟insidia di questa politica fatta religione, e religione di transizione alla non-religione. Non cosí il Frassinetti che la individuò chiaramente nella sua prima opera data alle stampe, Riflessioni agli ecclesiastici, uscita in prima edizione nel 1837: È necessario a tutti, ma piú specialmente al Clero, il por mente ai nuovi mezzi d‟attacco, che adopera a‟ dí nostri la sedicente filosofia contro la Chiesa. Conosciuti per esperienza i pericoli, e la poca probabilità di successo di una guerra dichiarata ed aperta, si è indotta a cangiar metodo, e dare una nuova forma e direzione ai suoi colpi. – Se l‟ateismo, cosí leggeasi non ha molto nella Revue des Deux Mondes Tom. prem. deux. ser. 107, se l‟ateismo è il risultato dei lumi, andiamo pure ad esso, ma passiamo per la religione, poiché questa ci è necessaria per giungere all‟ateismo. Ecco perché quasi ad ogni pagina delle moderne produzioni avvien di leggere qualche violenta scritta contro la filosofia materialista ed incredula di Voltaire e di Helvetius ... Scorrete però per poco quei libri, e troverete, che tutta la religione poi finalmente riducesi a un sentimento vago, indeterminato, indefinibile, che non raffrena gli intelletti, che non muove le coscienze, che non imbriglia le passioni. Una religione senza pratiche di culto, una fede senza misteri, una morale senza precetti, ecco tutto: i rigori poi di penitenza cristiana, autorità di leggi ecclesiastiche, severità di divini giudizi, eternità delle pene dell‟inferno, sono vecchie e rancide fole, pregiudizi di stupide donnicciuole e di fanciulli inesperti, invenzioni adattate ai secoli d‟ignoranza e barbarie, e non ad una religione di progresso, che solo parla il linguaggio di beneficenza e di amore, qual si conviene ad un‟epoca di perfezionamento, di civilizzazione e di lumi, come la nostra... Spogliate quei pomposi elogi sí a larga mano prodigati talvolta al cattolicesimo di tutto il loro misterioso involucro di parole e di frasi, e scorgerete senz‟altro che tutti gli encomi o son volti a celebrare i suoi materiali vantaggi [apportati dal cattolicesimo alla società], o, quel che è peggio, a dichiararlo con isfacciata menzogna solidario e fautore dei deliri e delle passioni del tempo. Cosí con sottile artifizio e malignità senza pari si mesce all‟antidoto il rio veleno, la verità si confonde insieme coll‟errore, e a 585 Nella Risposta di un Cristiano alle Parole di un credente, Derivaux 1834, Ivi, pp. 173.172. 286 furia di millantar religione, si propaga piú sempre e si stabilisce il regno dell‟empietà586. Torniamo ancora a quei giovani che meritar diadema per essersi votati ad una causa. Troviamo in essi caratteristiche comuni. Una la creta dei vasi. A differenziarli è la destinazione, se è lecito appropriarsi d‟un paragone biblico587. Tutti hanno la stessa formazione base, sono tutti presi da un forte ideale, tutti sono portati a far proseliti e a formare gruppo. Parte li vediamo riuniti intorno al Mazzini, con alle spalle due donne: Maria Mazzini Drago, madre del Mazzini, ed Eleonora Ruffini Curlo, madre dei fratelli Ruffini, “le sante madri”, mentre i loro mariti, giacobini da giovani, s‟erano con gli anni calmati, paghi di pascere i figli coi loro gloriosi ricordi; parte li vediamo conquistati dal fascino d‟un giovane professore, il Gianelli. Rivedremo questi studenti negli anni Trenta, chi sacerdote chi professionista, formare ancora gruppo: il gruppo Mazzini nella Giovine Italia, di cui era fondatore ed anima lo stesso Mazzini, luglio 1831; “I Ragazzi del Gianelli” nella Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio, di cui era fondatore – confondatore, stando alla sua relazione in cui pone se stesso in ombra per far rifulgere l‟operato dell‟amico Sturla – ed anima il Frassinetti, febbraio 1831. Si notino le date: il Frassinetti un mezz‟anno prima del Mazzini, ma l‟approvazione della Curia genovese è dello stesso mese, 2 luglio 1831. 586 G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici, Genova 18373, pp. 7s. Il passo è dato come Nota dell‟editore. Di questa pubblicazione si tratterà a lungo nella seconda parte. Ad un secolo di distanza, nei commenti ai vangeli festivi su L‟Osservatore Romano, raccolti poi in volume, don Giuseppe De Luca scriverà: “[Il] sottilissimo e cauto Renan fu maestro a tutta una generazione, non tanto delle materie che insegnò e di cui scrisse, quanto d‟una gentilissima cautela di espressioni accoppiata con una intransigenza feroce di negazioni”, ed ancora: “Del brano evangelico odierno [XIV Domenica dopo Pentecoste, Mt 6.24-33] molto spesso ci soffermiamo ad ammirare la bellezza lirica e il sentimento. Ora, non che codeste ammirazioni siano cattive, ma insomma sono un po‟ insipide, quando non sono perfide. Nessuna storia di Gesú ne è tanto piena, come la vita che di Gesú scrisse Renan; e come quel genere letterario apparve già allora, agli uomini di gusto solido, equivoco, anzi fradicio, cosí troppe volte codeste ammirazioni non sono altro che il fumo di chi ha tutto bruciato o tutto vuol bruciare”. G. DE LUCA, Commento al Vangelo festivo, Roma 1968, vol I, p. 161; vol. II pp. 425s. 587 Sap 15,7 287 Gli uni e gli altri sono in atteggiamento critico rispetto a quel che s‟era fatto fino ad allora o non fatto. Occorreva quindi fare, azione, con modi nuovi e programma nuovo, pensiero. Il Mazzini si contrappone alla carboneria, alle pastoie dei suoi misteri ed al suo non sapere cosa veramente volesse, predicando dai tetti il programma della Giovine Italia, un programma in chiaro. Non meno privo di misteri è il programma della “Beato Leonardo”: conoscere Dio per vivere ed insegnare a vivere secondo Dio. Anche qui, in fondo, troviamo pensiero e azione: una conoscenza ordinata alla vita cristianamente vissuta. Non solo il programma era chiaro: ma, a differenza della Giovine Italia, anche l‟organizzazione ed i quadri sono sotto la luce del sole. Tra loro nessun bisogno di pseudonimi, dimenticati con tutte le pastorellerie nell‟Arcadia degli Ingenui. Programmi antitetici, ma uguale la persuasione: bisognava fare tentando vie nuove per riuscire dove altri avevano fallito o per neghittosità o per dispersione di energie o per assenza d‟un chiaro programma e d‟inventiva. L‟uno e l‟altro puntano sui giovani. Studenti e professionisti il Mazzini; teologi e giovani sacerdoti il Frassinetti. Uguale il destinatario ultimo, il popolo, ma, mentre per il Mazzini, prigioniero del suo ceto borghese e vissuto sempre all‟estero, popolo è parola vuota, per il Frassinetti, figlio del popolo, sono la gente umile del suo stesso ceto con cui ogni giorno si rimescola in chiesa e fuori. L‟uno e l‟altro faranno della penna e della stampa le loro armi, antecedendo in questo il Mazzini al Frassinetti. Uguale la parola d‟ordine: l‟unione fa la forza, convincimento che resterà consacrato nel nostro inno nazionale588. Alle spalle dei primi ancora le due “sante madri” e le loro borse. La Mazzini, che scrivendo al figlio sputerà sprezzo contro il Frassinetti, e la Ruffini. Alle spalle dei secondi ancora il Gianelli, o, meglio, la sua ombra, perché non piú a Genova. Del Mazzini si afferma che alla fine della vita nulla aveva cambiato del programma degli anni Trenta; del Frassinetti si può affermare la stessa cosa. Scelta la loro via, l‟uno e l‟altro, uomini d‟un sol libro, la percossero in opposte direzioni fino in fondo con dedizione totale, 588 G. MAMELI: Fratelli d‟Italia (Noi siamo da secoli / calpesti e divisi / perché non siam popolo / perché siam divisi/... Uniamoci, uniamoci / l‟unione e l‟amore / rivelano ai popoli / le vie del Signore /... nei ritornelli troviamo martellato : Stringiamoci a coorte). 288 senza mai un ripensamento, salvo agli inizi la tempesta del dubbio nel Mazzini, e, nel Frassinetti, se convenisse a lui giovane parroco di ventotto anni prendersi cura delle ragazze associandosele al ministero e se non fosse stato piú proficuo unirsi in congregazione religiosa con statuto approvato dalla Chiesa, ma, mentre al Frassinetti gli antichi compagni rimasero uniti quanta fu lunga la loro vita, ed oltre la vita, il Mazzini dovrà confessare: Di quel nucleo, la cui memoria dura tuttavia nel mio core come ricordo d‟una promessa inandempita nessuno è rimasto a combattere per l‟antico programma, da Federico Campanella in fuori... morti gli uni, disertori gli altri589. Implicitamente il Frassinetti ammette l‟influsso che ebbe dal Mazzini, perché, se in positivo sua regola e punto di riferimento fu Gesú Cristo 590, in negativo si dette per regola di fare il contrario dei nemici della religione: Il modo piú conveniente e opportuno [di comportarsi] io credo che debba impararsi da‟ nostri nemici, fissandoci per regola di fare il contrario di ciò che essi fanno591. Nella sua concretezza tutta genovese questi nemici non potevano non avere un volto conosciuto e un nome: Giuseppe Mazzini, i fratelli Ruffini, Federico Campanella... Il Frassinetti non fu di loro, ma visse accanto a loro, in quello stesso mondo che ci è descritto da Giovanni Ruffini nel romanzo Lorenzo Benoni592. 589 G. MAZZINI, Scritti, S. E. I., I,16. 590 Titolo di un suo libro, Gesú Cristo regola del sacerdote, piú volte menzionato, tradotto persino in armeno, spagnolo, francese, inglese e tedesco e, forse, in rumeno. 591 G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici, Genova 18383, p. 11 592 Un romanzo che, ben setacciato, s‟è visto, ci dà un‟idea dell‟ambiente studentesco della Genova degli anni Venti. A parte l‟assommare nella propria persona fatti che in realtà ebbero per protagonisti anche i suoi fratelli Jacopo ed Agostino ed altri compagni, e colorirli mutando dei topini in elefanti, il Ruffini aveva da dimostrare una tesi che sapeva sarebbe stata musica agli orecchi del pubblico inglese per cui scriveva nella loro lingua: la colpa dei mali d‟Italia è la Chiesa cattolica che ha diseducato il popolo. Basti, come esempio, la fantasiosa descrizione di una borsa delle messe da celebrare situata in Genova accanto alla borsa delle valute, dove una folla di ecclesiastici quotano contrattano comprano e vendono intenzioni di messe. Il romanzo fu pubblicato nel 1853, quando era ancora viva l‟impressione delle famose 289 Se si è indugiato nella descrizione di quel mondo è stato per mettere in risalto il merito del Frassinetti e dei suoi compagni nell‟aver dato ascolto ad una voce invece che ad un‟altra, né questo merito per il Frassinetti è diminuito dall‟avere avuto una santa famiglia, essendo l‟epoca risorgimentale ricca d‟esempi dell‟In quella notte di due in uno stesso letto uno sarà accolto [nel regno] e l‟altro no593. Massimo d‟Azeglio fu fratello d‟un gesuita, cosí il Bixio – vite tutt‟altro che edificanti, sia quella del politico sia quella del garibaldino –. Un fratello gesuita anche il Pellico, tornato in carcere alla fede. San Gabriele dell‟Addolorata fu fratello d‟un massone suicida e d‟un altro perito volontario alla difesa di Venezia. Lo stesso Mazzini, si è visto, ebbe una sorella suora ed un‟altra pia cattolica per lettere del luglio 1851 scritte dal Gladstone a lord Aberdeen in cui il governo borbonico era bollato come la negazione di Dio eretta a sistema, affermazione che i nostri testi scolastici avrebbero resa piú vera del vangelo. S‟aggiunga che erano anche gli anni in cui in Inghilterra la gente letterata penava su l‟infanzia infelice raccontata dai romanzi del Dickens. Le avventure di Oliver Twist andavano a ruba da tre lustri, cosí pure il quasi fresco di stampa David di Copperfield. Il Ruffini si mette in quel filone e racconta, calcando i toni, la sua infanzia tribolata per colpa d‟uno zio canonico, suo primo maestro, la sua perpetua ed un padre duro, cui si andarono poi ad aggiungere i preti del collegio. Infanzia martoriata dai preti in un‟Italia retrograda per colpa dei preti. Tali ingredienti non potevano non suscitare simpatia per questo scrittore che da un paese cattolico veniva a confermare nella loro lingua le storie del Dickens con la variante anticlericale e rivelava agli inglesi la vera causa dei mali che avevano suscitato a sdegno il Gladstone. Che poi nessuno si chiedesse come mai il Gladstone, cosí bene informato delle cose di Napoli, nulla sapesse di quanto accadeva in quegli anni nella vicina Irlanda o nelle miniere di carbone della sua stessa Inghilterra, o di che paese fosse mai quel tal Acton che aveva incoraggiato il Borbone nonno dell‟attuale ad impiccare, si spiega con il male di Cavalcante, che fa vedere chiare le cose lontane e nulla di quel che si ha sotto i propri occhi. Un male vecchio e senza rimedio. Ma il guaio è che in Italia, mentre all‟insulto del Lamartine: “Italia terra dei morti”, si era replicato con duelli e versi, le lettere del Gladstone trovarono subito la loro cassa di risonanza nella pubblicistica risorgimentale che mutò il giudizio insulto sul Borbone in storia d‟un regno. Cosí, giustificati dalla sentenza di tanto giudice, la sfacciata violazione d‟ogni diritto venne gabellata per crociata contro la barbarie e, nel dizionario degli insulti, l‟aggettivo borbonico andò a far coppia con gesuitico. Chiedo venia per la lunga nota, ma serve a ricreare il clima che si era condannati a respirare. Una riprova che il Ruffini calcasse i toni in odio alla Chiesa si ha nel diverso giudizio che di quello zio canonico danno i suoi fratelli e lui stesso nelle lettere familiari. 593 Lc 17,34. 290 nulla infatuata d‟un tanto fratello.594 Nessun santo è frutto di natura, ma generosa risposta alla voce di Dio. CAPITOLO XIX GLI INTERESSI CULTURALI Se il Frassinetti fosse stato un seminarista interno e, divenuto sacerdote, solo un santo parroco, sí da essere pienamente espresso nell‟epiteto di Secondo Curato d‟Ars, dei suoi studi avremmo già detto anche troppo, piú per soddisfare una nostra curiosità che per reale bisogno d‟approfondirne la conoscenza. Ma il Frassinetti fu uomo di studio, fondatore ed anima di una accademia di studi ecclesiastici, un‟autorità in campo della teologia morale, autore di libri di spiritualità che ben figurano tra i classici della materia, non solo, ma fu pure cultore di storia ed efficace polemista. Non si è polemista efficace se non si ha piena conoscenza del campo avverso, né sarebbe stato 594 Delle tre sorelle del Mazzini, Rosa, la primogenita (1797-1824), fu monaca nel monastero delle Turchine in Genova; Antonietta (1800-1883) sposò Francesco Massuccone, impiegato al Monte di Pietà – l‟Olmi, su riportato, lo dice medico –; l‟ultima, Francesca (1809-1838), Cicchina nelle lettere dei Ruffini, “esile e mal reggentesi sulla persona, ma di bel cuore, di nobili spiriti e d‟acuto ingegno, che il fratello Giuseppe amava assai”. Cfr. Pure: A. BRESCIANI, SJ, L‟Ebreo da Verona, cap, XLVII. 291 in grado d‟avvertire l‟insidia della cultura laica vestita di panni cristiani, – Chateaubriand, Lamennais, Gioberti... – se non ne avesse letto con attenzione ed intese le opere: È necessario a tutti, ma specialmente al Clero – leggiamo nelle Riflessioni agli ecclesiastici –, il por mente ai nuovi mezzi di attacco, che adopera a‟ nostri dí la sedicente filosofia contro la Chiesa. Conosciuti per esperienza i pericoli e la poca probabilità di successo di una guerra dichiarata ed aperta, si è indotta a cangiar metodo, e a dare una nuova forma e direzione ai suoi colpi...595. Nel comunicare ai chierici la propria esperienza, affermava: Voglio confidare che alcune avvertenze intorno agli studi ecclesiastici, le quali ho provato di qualche utilità per me, possano riuscire di qualche utilità ancora per voi,... la scienza è cosí annessa all‟idea di ecclesiastico, da non potersi concepire l‟idea di un ecclesiastico ignorante, che come idea mostruosa596. Piú che utile, mi pare necessario quindi un approfondimento degli interessi culturali dei giovani nati all‟inizio dell‟Ottocento, che si formarono nei tre lustri che vanno dalla caduta di Napoleone alla Rivoluzione parigina del luglio 1830. Dai titoli dei temi a suo luogo menzionati, si direbbe che le scuole, sia quelle del seminario, sia quelle degli altri istituti, vivessero fuori del tempo in una delle Isole Fortunate, dove non fosse giunta voce di tutto il finimondo che aveva sconvolto l‟Europa, né si avvertisse la rivoluzione politica e letteraria che in quegli anni esplodeva. Una scuola di metà Settecento per “pulcini” dell‟Arcadia in attesa di poterne far parte come membri effettivi, tutta paga di portare gli alunni ad esprimersi con padronanza in prosa e in verso, sia in italiano che in latino, preoccupata piú delle forme che dei contenuti, sognando l‟applauso legato a versi letti e stampati per monacazioni e nozze. Un Settecento duro a morire. 595 G. FRASSINETTI, Riflessioni agli ecclesiastici, Genova 1837. Cito dalla terza edizione, 1838, pp. 7s. nota 1, attribuita all‟Editore. 596 G. FRASSINETTI, Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici proposte ai Chierici, Genova 1839, pp. VII e 2. 292 Sarebbe però errato credere che quei giovani si sentissero appagati di quanto si svolgeva a scuola. Un esempio l‟abbiamo in questo nostro secolo. M‟è capitata tra mano la terza edizione della Breve storia della letteratura italiana di Eugenio Donadoni rivista da Francesco Flora, due nomi di tutto rispetto. Bella nella sua concisione, ma, ancora nel 1948, non si spingeva oltre i “tre poeti”: Carducci, Pascoli e D‟Annunzio! Gli altri in una pagina. Un‟altra pagina per i narratori, mezza per il Croce, due righe per il Pirandello, non una sugli stranieri. Non se ne può però dedurre che i giovani dell‟epoca abbiano ignorato le correnti letterarie che si sono succedute ed i problemi dibattuti nelle riviste culturali, né mai udito parlare di Tolstoi, Cechov, Rilke, Unamuno, Kafka, Mann, Garcia Lorca, Ungaretti, Rebora, Maritain... paghi di recitare: Settembre, è tempo di migrare… La vera scuola d‟un giovane appassionato per lo studio sono sempre state le biblioteche, le riviste e le infinite dispute con i propri compagni di studio. Fu cosí per il Frassinetti. Che fosse di casa nelle biblioteche ce lo dice il suo primo biografo: “Egli si aveva prefisso una regola di vita sicché potea occupare molto tempo nello studiare in casa come nelle biblioteche della città, dove andava frequentemente”597. Che non si restringesse al dettato della scuola lo rievocò il condiscepolo canonico Poggi nel tessergli l‟elogio funebre. Che leggesse le riviste lo si ricava da appunti con l‟indicazione della fonte. La biblioteca genovese piú frequentata penso debba essere stata la Fransoniana fondata nel Settecento dall‟abate Girolamo Fransoni, zio di Paolo fondatore degli Operai evangelici per la predicazione del Vangelo ai poveri, conosciuti col nome di Fransoniani, ai quali vedremo ascritto anche il nostro Servo di Dio. Biblioteca ricca di volumi e riviste, dotata di pingue lascito per poter essere continuamente aggiornata, aperta con il preciso scopo di favorire la cultura del clero598. Brutta malattia, i libri, ed il Frassinetti non ne guarirà mai. Libri dappertutto: Essendo io parroco a Quinto – leggiamo in un suo scritto – mi sveglio una mattina e sento cantare Don Sturla,... era venuto a notte assai inoltrata, gli 597 D. FASSIOLO, Op. cit., pp. 16s. La testimonianza del Fassiolo concorda con quella della sorella Paola già riportata: quando rimaneva in casa si trovava sempre in camera a studiare. 598 Quando lo Stato se la incamerò, contava 22.000 volumi. 293 aveva aperto la domestica cui aveva ordinato di starsi cheta... si era coricato sulla tavola del desinare con due libri sotto il capo trovati lí per caso...599. Un materasso no, ma due grossi tomi in folio erano a portata di mano. Cosa vi era a monte di quella generazione di giovani in epoca in cui sembrava esserci piú pace tra i vivi che non nei cimiteri? Proprio in quegli anni si andava operando una rivoluzione nel campo della letteratura. Non piú l‟otium dei pochi fortunati che possono goderselo, ma arma messa al servizio di una causa, qui, in Italia, a servizio del movimento risorgimentale. Con il Romanticismo le lettere si fanno azione, la lingua ne è l‟arma, e, se arma, deve incidere e penetrare, deve perciò essere da tutti compresa. Via dei e dee, via i periodi modellati su Cicerone e su Boccaccio. Cittadinanza piena alla lingua parlata, lotta al purismo. Non fu lavoro del solo Manzoni. Manzoni a livello d‟arte, Mazzini nei giornali, senza che riesca a spogliarsi dell‟enfasi oratoria, il Frassinetti nell‟annuncio della parola di Dio, dal pulpito e negli scritti. Non furono i soli, inutile dirlo. Sono gli anni in cui gli studenti rivolgevano l‟animo all‟Alfieri, al Foscolo, al Parini, che si accaloravano per Chateaubriand, Byron, Berchet, Manzoni, Leopardi, Goethe, Lamennais, Joseph de Maistre, Lamartine, Kant..., anche se a nessuno di tali scrittori erano ancora state aperte le porte della scuola che s‟ostinava ad attardare gli alunni sul Metastasio, il Chiabrera ed il Frugoni. Sono anche gli anni in cui diventa opinione assodata l‟affermazione che tutti i mali d‟Italia, e la sua supposta arretratezza, si debbono addebitare alla Chiesa, ai papi e al non aver avuto noi la riforma ch‟ebbero i paesi protestanti. Del 1816 la Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliuolo, del Berchet, il piú efficace manifesto del Romanticismo italiano. Dal 3 settembre 1818 al 17 ottobre 1819, il giovedí e la domenica esce a Milano Il conciliatore, foglio scientifico letterario. Quattro pagine in carta azzurrina, 478 pagine l‟intera raccolta, appena settecento copie la tiratura, lire 18 l‟abbonamento annuo. Poca cosa vien da dire, ma grande fu l‟innovazione prodotta nel mondo delle lettere. Nel foglio, con cui il primo luglio se ne annunziava l‟uscita, si leggeva: 599 G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla vita del sac. Luigi Sturla – Opera postuma, Genova 1871, p. 27. 294 Già tempo, il vero sapere era proprietà riservata ad alcuni pochi che di tanto in tanto ne facevano parte ai meno dotti di loro… I dotti e i letterati di professione sparsi ne‟ chiostri e ne‟ licei applaudivano fra di loro alle opere dei loro colleghi, o le biasimavano; ed al pubblico non curante ne giungeva appena una debole voce… Tanti solenni avvenimenti della nostra età, tante lezioni della sventura, tante funeste esperienze di mutamenti sociali, hanno svegliato il pubblico col pungolo del dolore; e riscosso una volta il sentimento, hanno essi per necessaria conseguenza imparato a pensare. Le gare arcadiche, le dispute meramente grammaticali, infine la letteratura di nude parole, annoja ora la dio (sic) mercé gran numero di persone che non professano gli studj, ma che cercano però nella cultura dell‟animo una urbanità, un fiore di eleganza veramente degno dell‟uomo. Pare a noi… che una sí felice disposizione degli animi non venga bastantemente consultata e messa a profitto dai nostri scrittori di cose morali e letterarie… L‟utilità generale debb‟essere senza dubbio il primo scopo di chiunque vuole in qualsiasi modo dedicare i suoi pensieri al servizio del Pubblico; e quindi i libri e gli scritti di ogni sorta, se dalla utilità vanno scompagnati, possono meritatamente assomigliarsi a belle e frondose piante che non portano frutto. Partendo da questo principio parve agli estensori del CONCILIATORE che due cose fossero da farsi nella scelta delle materie: Preferire in prima quelle, le quali sono immediatamente riconosciute utili dal maggior numero… Via tutte le pastorellerie dell‟Arcadia, le dispute meramente grammaticali. I richiami ai grandi romani. La letteratura deve rendere un servizio al pubblico. È gente che ha assistito a tutti i sovvertimenti della Rivoluzione francese e dell‟epoca napoleonica, perciò non teme di crearne nel mondo delle lettere. Non diversa l‟impostazione programmatica di Frassinetti scrittore, se non nella scelta del campo. Non quello letterario, politico e scientifico, ma il religioso. Scrivere per rendere un servizio al pubblico, il piú largo possibile, nel modo piú comprensibile che si possa, senza timore di avanzare soluzioni nuove o soggezione per forme venerande, né rispetto riverenziale di sorta per l‟opinione dei grandi nomi fino a rimanerne bloccato600. Scrive nei Rischiarimenti: Forse parrà troppa arroganza che un giovine sacerdote aspirasse a provvedere a un bisogno di sí alta sfera. Io sottopongo il mio parere ai piú 600 Si è già visto con quale sufficienza furono trattati il Mazzini ed i suoi compagni dal Botta: Ragazzacci! 295 saggi, ma se ho da dire quel che ne penso, mi pare un pregiudizio. Primieramente perché Dio è padrone di servirsi di chi vuole nelle sue opere, e volendo può servirsi d‟un sacerdote novello per cose anche di maggiore importanza… Secondo me l‟arroganza sta nel voler fare il bene, non solo grande, ma anche piccolo, colle proprie forze. Se io mi sentissi inspirato a fare altrettanto di quanto hanno fatto i piú grandi uomini che abbiano illustrato la Chiesa di Dio, e frattanto fossi ben persuaso di non essere per me stesso capace di nulla,… io vorrei avere la bella arroganza d‟intraprendere quanto hanno intrapreso i piú segnalati servi di Dio…601. Lui, giovane, osa cose nuove, e male gli incoglierà quando comincerà a scrivere in modo nuovo i suoi librettucci mingherlini rivolti all‟utilità spirituale del piú vasto pubblico, invece che grossi tomi o squisitezze per i membri di un‟arcadia. Torniamo a quel quindicennio. Nel 1818 Jean-Charles-Leonard Simonde de Sismondi portava a termine la sua Histoire des républiques italiennes du Moyen-Age602. La storia vi è concepita per un verso come libero sviluppo, per un altro verso come determinata dai governi e dalle istituzioni. L‟Italia fu grande quando era organizzata in libere repubbliche; decadde quando prevalsero la Chiesa cattolica e i principati, la Chiesa cattolica soprattutto. Un‟opera da prendere in considerazione non tanto per il valore in sé, quanto per l‟enorme influsso esercitato sulla letteratura risorgimentale ed il sostegno dato agli anticlericali. Nell‟ultimo capitolo della Storia delle repubbliche italiane, il CXXVII, del sedicesimo ed ultimo volume, – cito dall‟edizione italiana –, il Sismondi si chiede quali sono le cause che hanno mutato il carattere degli italiani dopo che erano state ridotte in servitú le loro repubbliche e, pur raggruppandole in quattro serie, in realtà le riduce ad una sola: colpa dei papi e del cattolicesimo. Quel capitolo diverrà dogma indiscusso per tanta parte della letteratura e della pubblicistica risorgimentale. Ancora oggi, l‟aver avuto l‟Italia il Concilio di Trento, invece d‟un suo Lutero, è il grande rammarico della cultura laica e di quelle frange della cultura che, pur dicendosi cattolica, soffre verso di essa di una somma di insanabili 601 G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. V, p. 3. AF. 602 I primi quattro volumi erano usciti a Zurigo nel 1807-1808, i rimanenti dodici uscirono a Parigi. La traduzione italiana si ebbe nel 1831-1832, anch‟essa in sedici volumi, a Capolago. 296 complessi; né è servito che il De Sanctis abbia fatto del Machiavelli il nostro Lutero, anzi piú che Lutero, vedendo in lui, a differenza di Lutero, il rigetto radicale d‟ogni soprannatura. I paesi protestanti, per costoro, rimangono sempre quelli di piú avanzata civiltà. Al Sismondi rispose il Manzoni nel 1819 con le Osservazioni sulla morale cattolica, offrendo un modello nuovo di apologetica: rispetto per l‟uomo, demolizione, pietra dopo pietra, di quanto contro la Chiesa il Sismondi aveva affermato. Una logica stringente, una morsa. L‟opera del Manzoni suscitò la curiosità di conoscere meglio le tesi del calvinista ginevrino ivi confutate, poco importa se l‟opera era stata pubblicata in francese e non ancora tradotta in italiano – lo sarà nel 1832 –, essendo un po‟ tutti padroni d‟una lingua che nel recente passato napoleonico era stata addirittura ufficiale in non poca parte d‟Italia603. Ci sono altri scrittori francesi che non possono essere ignorati. Primo François-René de Chateaubriand. Nel 1802, il 14 aprile, quattro giorni prima della solenne promulgazione del Concordato napoleonico con la Santa Sede, firmato l‟anno antecedente, usciva il suo Génie du Christianisme. Si riaprivano le chiese, tornava la religione con i suoi riti, dopo dieci anni di silenzio si riudiva risuonare il campanone di Notre Dame. Merito del nuovo Costantino – cosí da molti fu visto Napoleone –. L‟opera dello Chateaubriand veniva ad annunziare un capovolgimento di mentalità e ne era ad un tempo causa. Non piú Voltaire e gli enciclopedisti facevano moda, moda ghigliottina per chiunque avesse voluto cimentarsi nel mondo delle lettere o della pubblicistica. Con Chateaubriand la moda letteraria era capovolta. Si era creato spazio, e che spazio, alla cultura cattolica. Il Moniteur de Lois, quel 18 aprile 1802, giorno di Pasqua, non solo pubblicava il Concordato, ma recensiva anche la nuova pubblicazione. Si sarebbe detto una cosa combinata. Il nuovo Costantino aveva trovato il suo Eusebio?604. 603 L‟epistolario dei fratelli Ruffini, per esempio, salvo pochissime lettere, è tutto in francese. Molti di quei che fecero l‟Italia si tennero in comunicazione usando tale lingua, l‟unica forse di cui si sentivano veramente padroni. 604 L‟idillio non durò a lungo. Fosse ambizione delusa, fosse esecrazione per l‟uccisione del duca d‟Enghien, Chateaubriand si irrigidí nell‟opposizione e Napoleone cessò di essere l‟uomo potente che ci ha tratti dall‟abisso, cosí chiamato nella prima edizione, e l‟uomo provvidenziale, nella seconda. 297 La fortuna fu grande, e provvidenziale, ma si trattava d‟un cristianesimo ispiratore delle arti e delle lettere, a cui l‟Europa doveva la sua grandezza. Come dire, senza religione cattolica non avremmo avuto grande cultura e mirabili opere d‟arte. Piú che il cristiano, era l‟esteta che scriveva. Ma l‟effetto fu positivo ed enorme, cominciando dal capovolgimento di giudizio sul medioevo cristiano: non piú l‟età buia e barbara degli illuministi, ma la fonte della civiltà a cui uno scrittore od artista avrebbe dovuto ispirarsi. Un cristianesimo estetico, esteriore, superficiale. Non ne penetra l‟anima. Il Frassinetti l‟avvertí. Quando lo Spotorno con la sua supponenza si farà forte di un tanto nome, gli replicherà: Noterei qui di passaggio che nel numero dei pii e religiosi dotti meritamente lodati dal Ch. Autore [lo Spotorno] dell‟articolo non pare doversi mettere il Visc[onte] di Chateaubriand, la cui opera Essai sur la littérature anglaise et considérations etc., (1836, p. 203) doveva come recentissima essergli sconosciuta. Di fatto non si può dire che professi incorrotta pietà chi scrive cosí: “Oggidí i protestanti niente piú che i cattolici non sono piú quelli che già furono: i primi anzi hanno guadagnato in immaginazione, in poesia, in eloquenza, in ragione, in libertà, in vera pietà ciò che i secondi hanno perduto. Le antipatie tra le diverse comunioni non esistono piú; i figli del Cristo di qualunque razza provengano si sono stretti ai piedi del Calvario stipite comune della famiglia… La religione cristiana entra in un‟era novella; come le istituzioni e i costumi, ella subisce la terza trasformazione”. Questo tratto tradotto a verbo dall‟originale, valga come saggio dei molti errori che in esso si incontrano605. Osservazione rispettosissima nella forma, ma da stendere a terra un toro. Il grande Spotorno non si tiene aggiornato a differenza di certo parroco Frassinetti di campagna, come con compatimento la madre del Mazzini ne scriveva al figlio606. Si direbbe stato a scuola del Manzoni e da lui appresa l‟arte del confutare. Avremo occasione di riparlarne nella seconda parte 605 G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici, Genova 1838, p. 38. 606 “Certo parroco Frassinetti di campagna mesi fa – scriveva Maria Mazzini al figlio –, faceva una stampa che era proprio una sciocchezza in ogni guisa contro i giansenisti… scrivea d‟ordine del De Maistre e C… Però il P. Spotorno mise un cenno sulla nostra Gazzetta, confutando quello sciocco… che ora ritorna alla carica con maggiore pasticcio dell‟altro” e, nella lettera successiva al figlio che ne vuole sapere di piú: “Sentirò il giudizio dei miei Santi dottori”. A. LUZIO, La Madre di G. Mazzini. Carteggio del 1834-1839, Torino 1919, pp. 210.213 298 trattando del polemista. Nessuno può però contestare a Chateaubriand il merito che egli si rivendica nella prefazione per l‟edizione del 1828: Ce fut, pour ainsi dire, au milieu des débris de nos temples que je publiai le Génie du Christianisme, pour rappeler dans ces temples les pompes du culte et les serviteurs des autels. On avait alors, après les événement de la Révolution, un besoin de foi, une avidité de consolations religieuses qui venaient de la privation même de ces consolations depuis de longues années607. Per merito suo, o almeno anche per merito suo, si potevano liberamente scrivere inni sacri, trarre dal mondo cristiano argomento per tragedie e romanzi, come ne aveva egli stesso indicato la strada con Les Martyrs. Nessuno gli poteva negare ch‟era stato l‟incantatore di una generazione. Nel 1815 il Manzoni ha già pubblicato i primi quattro Inni sacri, nel‟20 esce Il Conte di Carmagnola, nel‟21 il Cinque maggio, nel‟22 l‟Adelchi e La Pentecoste, nel‟27 la prima edizione de I Promessi Sposi. Degli stessi anni le Operette morali del Leopardi ed un buon numero dei suoi Idilli e di Canti. Nel‟19 uscí Du Pape del de Maistre, e, postumo nel‟21, Les soirées de Saint-Pétersbourg. I piú saputi tra i giovani studenti conoscevano il Childe Harold‟s Pilgrimage del Byron, le Méditations del Lamartine, l‟Essai sur l‟indifférence en matière de religion del Lamennais, e Shelley, e Scott, e la Staël, e Hugo ed altri ancora. Si disputava sulle “tre unità di luogo di tempo e d‟azione”, e se non fosse giunta ormai l‟ora di farla finita con gli dei e le dee dell‟Olimpo, con buona pace di Vincenzo Monti, e richiamare a vita il mondo cristiano come aveva additato Chateaubriand, o le saghe del Medioevo sull‟esempio dell‟Ossian. Un nome, questo, che ai nostri giovani d‟oggi non dice nulla, ma quando comparve Ossian – scrive il De Sanctis – girò la testa a tutti: tanto erano sazi di classicismo. Il bardo scozzese fu per qualche tempo in moda, e Omero stesso si vide minacciato il suo trono. Si sentiva che il vecchio contenuto se ne andava con la vecchia società, e in quel vuoto ogni novità era 607 Fu proprio tra i ruderi di quei templi [profanati] che, per cosí dire, pubblicai il Genio del Cristianesimo per ricordare lo splendore dei riti che vi si celebravano ed i ministri che servivano all‟altare. Dopo quanto era accaduto con la rivoluzione si sentiva un bisogno di fede, una forte fame di conforti religiosi, fame nata proprio dalla privazione per cosí lungo tempo di tali conforti. 299 la ben venuta. Quei versi armoniosi e liquidi in tanto cozzo di spade scintillanti tra le nebbie fecero dimenticare i Frugoni, gli Algarotti e i Bettinelli. Cominciava una reazione contro l‟idillio, espressione d‟una società sonnolenta e annoiata in grembo a Galatea e a Clori, e piacevano quei figli della spada, quelle nebbie e quelle selve, e quei signori de‟ brandi e quelle vergini della neve608. Questi gli argomenti, frammisti a quelli politici, che all‟epoca agitavano i giovani studenti e formavano l‟oggetto delle loro dispute e dei loro entusiasmi, privi com‟erano del Giro d‟Italia, del campionato di calcio, di film e discoteche. Questioni che un giovane appassionato per lo studio poteva far proprie o no, ma non poteva ignorare. Nessuna sorpresa se ne rinveniamo tracce nel Frassinetti, anch‟egli studente del suo tempo, né poteva essere diverso per chi pareva avere per seconda casa la biblioteca e cominciato a mutare in biblioteca la propria: Piú volte entrato nella sua camera di studio, abbastanza grande – ricordava il Lemoyne –, vidi volumi di teologia morale antichi e moderni, grossi e piccoli, i quali aperti occupavano tutte le sedie, i tavolini e il sofà e i loro margini erano pieni di note da lui scritte609. Quadro confermato da un appunto del Fassiolo che gli visse accanto: “La sua libreria [era] assai provvista di libri, ma in stato piuttosto logoro” 610. Per conciliare povertà e amore del libro, sacrifica la legatura al numero e al contenuto. Quel piuttosto logoro la dice lunga. Non erano tenuti lí ad impolverarsi. Non solo testi di teologia. Il Botta, per esempio, che abbiamo visto attaccato dal Mazzini, sarà criticato per motivi diversi anche dal Frassinetti, il che presuppone la conoscenza delle sue opere. Cosí, quando confuta i Prolegomeni del Gioberti, mostra di conoscere anche le altre opere dello scrittore torinese. Avremo modo di citarne altri, italiani e stranieri, parlando 608 F. DE SANCTIS, Storia della letteratura italiana, cap. 20. Nell‟edizione dell‟Universale Feltrinelli curata da M. T. LANZA, Milano 1970, p. 785. 609 AF. Da una lettera del 18 giugno 1911 al padre Antonio Piccardo da padre Giovan Battista Lemoyne, l‟autore della monumentale biografia di san Giovanni Bosco. 610 AF, Documenta, XIII: Memorie e note [inedite] intorno alla vita del Priore G. Frassinetti. Da copia di appunti di DOMENICO FASSIOLO autentificata. 300 del polemista. Qui basti aggiungere la testimonianza del suo condiscepolo, il canonico Filippo Poggi: Ripudiata la scuola Ossianesca, si gitta con tutta l‟anima ai classici greci, latini, italiani... Passeggiavam condiscepoli nell‟atrio che mette alle scuole e leggevam per diletto i dolci versi del Lirico che, dopo i giorni perduti e le notti spese vaneggiando, volse al Padre del cielo le dolenti rime. Il mio guardare s‟incontra in pagine listate di nerissimo inchiostro... Ho cancellato, disse, alcune coserelle, acciò questo libro non pervenga maligno a teneri menti inesperte. Era l‟esemplare una pregievole edizione veneta antica, nitidissima: i tre sonetti Fiamma dal ciel... L‟avara Babilonia... Fontana di dolore... e le annotazioni in calce. Tanto di riverenza lo strinse, tuttoché laico e studente, al Pontifical soglio Apostolico....611. Opere integrali, edizioni ottime. Lette. Del Petrarca una cinquecentina! Non dimentica però il giovane studente che quei tre sonetti, con cui il Petrarca aggredisce ed insulta la curia papale in Avignone, avrebbero potuto recare turbamento ai fratellini e alla sorella. Lui stesso, cosí attaccato alla Sede di Pietro, mal sopportava tra i dolci versi quelle invettive pesanti come bestemmie, e le espunge. Quante altre opere lesse per diletto oltre il Canzoniere del Petrarca? Si sa solo di alcune che compaiono citate nei suoi scritti, come la Divina Commedia, il Paradiso perduto di Milton nella traduzione di Lazzaro Papi... Nessuna intenzione da parte mia di comporre qui un saggio di letteratura. Per comprendere i tempi dello studente Frassinetti aggiungerò solo: Félicité de Lamennais e Joseph de Maistre, l‟uno e l‟altro da lui citati. S‟è visto sopra che la madre del Mazzini pensa che il vero autore, o almeno l‟ispiratore delle Riflessioni, non sia il parroco di campagna Frassinetti, ma Joseph de Maistre, ignorando che era già morto da anni. Altri pensavano i gesuiti. Anche allora non mancavano esperti ed esperte in dietrologia. Joseph de Maistre, Félicité de Lamennais, due estremi, l‟uno il negativo dell‟altro, e l‟uno e l‟altro ottimi scrittori. Scriveva il Barone d‟Eckstein su La France catholique il 17 maggio 1834: 611 F. POGGI, Della vita e degli scritti di Giuseppe Frassinetti... Discorso nelle solenni rinnovate esequie il dí 14 febbraio 1868, Genova 1868, pp. 7s. 301 Possiamo considerare quest‟opera [Paroles d‟un croyant] come un AntiMaistre, una sublime esagerazione contrapposta ad un‟altra sublime esagerazione, due metà d‟una verità assoluta di cui rappresentano le due parti estreme e squilibrate… Le due opere di Lamennais e di de Maistre, si contraddicono e si completano”612. Notevole l‟influsso del Lamennais sul Mazzini, ed il Frassinetti trova piú volte conferma al suo dire nel de Maistre. Qui basta avere accennato ai due dovendo riparlarne nella seconda parte. Questo il mondo da cui il Frassinetti attinse con processo ora di assimilazione e ora di dissimilazione e rigetto. S‟è già notato come il Servo di Dio fin dai suoi giovani anni si fosse scelto Gesú Cristo per stella su cui orientare la navigazione. In negativo, gli fu regola il voi non cosí613 del vangelo. Una controregola, se cosí piace chiamarla. Trovò nell‟esempio dei figli di questo mondo, per suggerimento dello stesso Signore614, lo stimolo ad operare con zelo e avvedutezza. E i figli di questo mondo, per genovese tutto concretezza altro volto non potevano avere se non quello dei suoi coetanei andati a far gruppo col Mazzini, alcuni dei quali erano stati persino suoi condiscepoli in seminario a scuola di filosofia. 612 In F. R. LAMENNAIS, Parole d‟un credente, Milano 1991, pp. 177.182. 613 Mt 20,26; Mc 10,43; Lc 22,26. 614 Lc 16,8. 302 CAPITOLO XX LO STUDENTE DI FILOSOFIA Debb‟egli adunque [il chierico] dirigere ogni sua cura, e in modo particolare i suoi studii, al conseguimento del suo fine, che si è d‟esser buon ecclesiastico. Dico; in modo particolare i suoi studii; perché la scienza è cosí annessa all‟idea di ecclesiastico, da non potersi concepire l‟idea di un ecclesiastico ignorante, che come idea mostruosa. Quali sono le principali doti, che si richieggono in un ecclesiastico, dopo la divina vocazione? Fede pura, costumi integerrimi, scienza de‟ propri doveri e degli altrui, e pietà che lo renda zelante per la gloria di Dio e per la salute de‟ suoi prossimi. A tutto ciò vi vuole istruzione: l‟ignoranza non è buon mezzo per veruno di questi fini. 303 G. FRASSINETTI, Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici615 Ci sono pervenuti raccolti in volumi i quaderni con il dettato delle lezioni di filosofia e di teologia dei corsi tenuti nel seminario arcivescovile di Genova e seguiti dal giovane chierico dal 1822 al 1827. Sono tutti scritti in latino, lingua con cui si sono generalmente insegnate filosofia e teologia nei seminari fino a qualche decennio fa. Ogni volume si apre con un bel frontespizio. Il primo: Annus Imus Philosophiæ Curriculi Josephi Frassinetti auditoris Philosophiæ in Seminario Archiepiscopali Januensi anno Domini MDCCCXXII Lectore Reverendo, Præstantissimoque Viro Hieronimo De Valentini616 A pagina 392 del primo volume troviamo l‟Index rerum e un altro colophon: Hæc sunt Logicæ Metaphisicæque Mementa quæ viva voce explicata, illustrata, corroborata dictabat in Seminario Archiepiscopali Januensi Philosophiæ lector V. Reverendus, præstantissimusque vir Hieronimus de Valentini 615 G. FRASSINETTI, Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici proposte ai Chierici, Genova 1839, pp. 2s. 616 Don Girolamo Valentini era nato a Genova il 21.5.1791 da padre svizzero e da Teresa Alimonda, quindi di due anni piú giovane del Gianelli, e l‟uno e l‟altro in quel 1822 erano sulla trentina. Orfano in tenera età, di ricca famiglia, fu educato prima dai Signori della Missione in Savona, poi di lí passò nel seminario arcivescovile di Genova. Nel 1820 gli fu affidata la cattedra di filosofia in seminario che tenne fino al 1824, ANTONIO DRAGO, Necrologia del sacerdote Girolamo Valentini, professore di Logica e Metafisica nella R. Università di Genova, Genova 27 agosto 1848). Don Paolo Rebuffo dettò quest‟epitaffio: ALLA MEMORIA – DI GIROLAMO VALENTINI PRETE – PROF. ORTODOSSO E PERITISSIMO – DI METAFISICA – BUON TEOLOGO BUON CANONISTA – CARO A QUANTI LO CONOBBERO – NEMICI DI ADULAZIONE – VISSUTO SOLI LVII ANNI – SINO AL XIX AGOSTO MDCCCXLVIII. OH SIANO MEN RARI E PIU‟ PREGIATI – QUELLI CHE LO SOMIGLIANO. 304 anno Domini MDCCCXXII Sono quaderni che per noi hanno il valore che potrebbero avere i testi scolastici. Se ci dicono cosa si insegnava, non ci dicono come il professore vivificava l‟insegnamento e come dal giovane veniva recepito. Presentandosi i quaderni cosí nitidi, cosí ordinati, sí da potersi passare in tipografia per la stampa senza mutar virgola, ci fanno arguire con quanta diligenza il Frassinetti seguisse quei corsi. Si studiava filosofia, non storia della filosofia. La storia della filosofia rientrava dalla finestra nelle confutazioni delle tesi che non si allineavano con quelle sostenute dall‟insegnante. Uno studio che comprendeva la logica, l‟ontologia, la cosmologia – ed in questa rientrava anche ciò che oggi si studia nei corsi di scienze naturali –, la psicologia – che comprendeva anche anatomia e fisiologia umana –, nonché la zoologia, ed infine la teologia naturale. Tutto in latino, naturalmente, anche le scienze naturali con dimostrazioni piene di sillogismi in BARBARA. Un latino piano, dignitoso, si direbbe persino elegante. Non si dimentichi che sono ragazzi sui diciotto anni. Le lezioni erano ripetute nella stessa lingua, cercando di non sfigurare con il professore nell‟uso che ne facevano. Nella Sectio III, Caput X, troviamo trattato De sanguinis circulatione: Experimenta vero, non modo edocent sanguinem e sinistro cordis ventriculo per arterias ad dexteras corporis partes delatum esse, sed etiam perspicuum reddunt ex iis ad cor per venas regredi, idque est quod sanguinis circulationem vocant... Se di fisiologia c‟è pochino in paragone a ciò che si trova nei manuali odierni, in cambio c‟è del bel latino che ci riporta a prima di Galileo quando era la sola lingua adoperata nello studio delle scienze617. Filosofia e scienze, certo, ma per studenti che hanno già una certa dimestichezza con i classici latini, quindi non scarseggiano citazioni del Venusinus, come piace chiamare Orazio, di Virgilio, di Marziale, di Giovenale e di Ovidio sparse qua e là come le ciliegine che fanno bella una torta. Tullius invece, che poi sarebbe Cicerone, è chiamato spesso a sostegno delle dimostrazioni riportandone lunghi passi dalle opere filosofiche, cosí Seneca, specie nell‟etica. Ma non mancano ripetute citazioni di Lucrezio e dell‟Antilucretius di Melchiorre di Polignac, e poi Giuseppe Flavio, 617 Il grande matematico Giuseppe Peano (1858-1932) ne deprecò l‟abbandono e pensò poterlo reintrodurre semplificato in latino sine flexione. 305 Quintilliano, Plinio, Lattanzio, Agostino, sempre virgolettati. Un angoletto anche a Cornelio Nepote! Il Valentini era sí un umanista, ma un umanista aperto a ciò che si pensava e si scriveva ai suoi tempi, e senza un anno zero, perciò nelle citazioni troviamo frammisti nomi di filosofi, di scienziati e di poeti. Riporto alla rinfusa: Dante, Cartesio, Bacone, Bossuet, Fenelon, Copernico, Galileo, Newton, Pascal, Fontenelle, Montaigne, Montesquieu, Metastasio, Muratori, Locke. Stando all‟elogio funebre del Poggi, in quella scuola si espose anche il pensiero di Malebranche, Leibniz, Condillac, Tracy, Bayle, Spinoza e Hobbes. Kant soltanto sfiorato618. Né mancano le sorprese: per gli Egiziani si rimanda all‟articolo della Encyclopédie! Il Civis Geneviensis, quanto dire Gian Giacomo Rousseau, merita una menzione speciale per i numerosi passi riportati, soprattutto dall‟Émile, cui segue a ruota il somasco padre Soave. Nutrita la schiera dei gesuiti: il Petavio, il Comes Roberti, il Granelli, il Muzzarelli,... Anche Voltaire, ma per confutarne le dissacrazioni. E san Tommaso? Anche san Tommaso ha l‟onore d‟una citazione dalla IIa IIae, q. 64, a. 5 ad V per dirci che il suicidio di Razis, presentato con parole di ammirazione nei Maccabei619, ha le apparenze della fortezza, ma non è vera fortezza. Veramente pochino, a dire il vero, da parte d‟un professore di cui alla morte si ricordava la “quotidiana lettura delle opere di san Tommaso protratta per tutta la vita”!620. Il trattato di logica si chiude con un esametro virgiliano: Claudite jam rivos, pueri, sat prata biberunt621; l‟intero corso del primo anno con due esametri di Orazio: Pro anni scolastici complemento sit demum satis. Concludamus cum Venusino: Vive, vale, si quid novisti rectius istis Candidus imperti, si non, his utere mecum622. Per il second‟anno sono ripetuti frontespizio e colophon come nel primo, salvo data e numerazione: IIus MDCCCXXIII. In realtà 1823-1824. 618 F. POGGI, Della vita e degli scritti di G. Frassinetti..., Genova 1868, p. 8. 619 2 Mac 14,37-46. 620 A. DRAGO, Necrologia del sacerdote Girolamo Valentinii…, Genova 27 agosto 1848. 621 VIRGILIO,. Ecloga 3,111. 622 ORAZIO, Epistola I,6,67s. “Sta sano, ti saluto, se hai di meglio, fammene parte, se non hai, usa con me queste”. Il testo critico Teubneriano ha inperti, si nil. 306 Ci incontriamo subito con una sorpresa: il Frassinetti sapeva anche disegnare a penna. Ci si era già incontrati con fiorellini ed arabeschi disseminati nei quaderni degli anni del corso di “Rettorica”, ma in queste sue dispense, chiamiamole cosí, troviamo ben 52 disegni di Fig. 29: Sistema eliocentrico623 precisione con cui si illustrano fenomeni fisici ed astronomici o teoremi geometrici. Gran parte di quel secondo anno fu consacrata allo studio della fisica. Ad apertura del corso il “lettore” espose la teoria boscovichiana: De summis theoriæ Boscovichianæ capitibus. Il Valentini s‟era formato sul meglio dell‟epoca, e quel meglio lo portava nella scuola. Per la comune dei mortali 623 Pp. 161. A pp. 150 c‟è la figura 25 con un bel disegno del sistema tolemaico. Il giovane Frassinetti non poteva essere a conoscenza d‟un inedito di colui che sarebbe diventato il suo modello, sant‟Alfonso, in cui si mostra appassionato d‟astronomia: “Il Santo, del quale onoriamo il [secondo] centenario della nascita, apprezzò quelle cognizioni [dei fenomeni celesti] fino al punto da redigere di sua propria mano, su pergamena, un disegno accurato esprimente al vivo la Sfera Armillare destinata ai giovani della sua Congregazione, dei quali curava l‟ammaestramento. Il prezioso cimelio, conservato con somma cura tra le carte del santo, molto opportunamente in questa avventurata solennità vede la luce. Per entro al quadro un apposito scritto dell‟anno 1796 attesta che il disegno fu eseguito da mano del Ven. Mons. D. Alfonso de‟ Liguori in Santa Maria della Consolazione l‟anno 1746”, G. LAIS, La sfera armillare disegnata da sant‟Alfonso, Nel secondo centenario dalla nascita di sant‟Alfonso M. De‟ Liguori, Roma 1896, p. 34. Si direbbe che Tra i due sia esistita una certa qual congenialità. 307 il ragusano Ruggero Giuseppe Boscovich oggi è solo un nome da cercare sulle enciclopedie sperando di trovarvi una qualche riga. Ai suoi tempi fu una celebrità, anzi un genio in mille campi: poeta latino, storico, diplomatico, architetto, astronomo, cartografo, fisico, matematico, idraulico e grande precursore in diversi campi delle scienze624. Delle molte opere pubblicate, ebbe fra tutte piú cara Theoria Philosophiæ Naturalis redacta ad unicam legem virium in natura existentium, pubblicata a Venezia nel 1763. Vi tratta l‟ipotesi atomistica dell‟universo, ipotesi a monte dell‟attuale fisica atomica. È la teoria che il Valentini espone ai suoi allievi all‟inizio del secondo anno di filosofia. Ma è solo una delle novità. Nello stesso corso tratta in lungo ed in largo la fisica astronomica seguendo il sistema “Copernico-Newtoniano”. Sistema censurato dall‟Inquisizione, è vero, e Galileo dovette systema ipsum ejurare, perché ritenuto in contrasto con la Bibbia, ma Scripturam in allatis testimoniis litterali sensu accipiendam non esse, sed prout spectatori apparet loquitur sacer historicus. La Scrittura parla delle cose come esse appaiono ai nostri occhi e fa suo il nostro modo di dire. “Difatti, gli stessi astronomi, non esclusi Copernico e i Newtoniani, nel parlare comune, dicono che il sole è sorto, o che è tramontato, senza per questo ripudiare la loro teoria”. La soluzione è nella stessa Bibbia, nel suo primo capitolo, dove dice: “Dio fece due grandi luminari, il luminare maggiore per governare il giorno, il luminare minore per governare la notte”625, e nessuno pensa che la luna sia piú grande delle stelle. Fa la rassegna dei passi biblici che presi alla lettera paiono contraddire la teoria626, li spiega e, giunto al famoso: “Fermati, sole!”, riporta un brano dell‟astronomo Lalande: Parmi che vi abbia della stranezza a pretendere che un generale d‟armata qual era Giosuè nel momento in cui si trattava di mostrare ai suoi soldati la 624 Era nato nella repubblica di Ragusa sull‟Adriatico il 1711. Fattosi gesuita, appena terminati gli studi di teologia, gli fu affidata la cattedra di matematica al Collegio Romano. A lui si ricorre per controllare la stabilità della cupola di San Pietro, per la misurazione dell‟arco di meridiano da Rimini a Roma, per la sistemazione delle acque. Sciolta la Compagnia, lo vediamo professore a Pavia. Suo è il disegno e la realizzazione dell‟osservatorio di Brema. Da Pavia a Parigi quale direttore d‟ottica a servizio della marina francese. Morí a Milano nel 1787. 625 Gen 1,16. 626 Ecclesiaste (Qohelet) 1,4; Sal 104(103),5: 1 Paralipomeni (1 Cr) 16,30; Gs 10,13. 308 gloria e la potenza di Dio per mezzo d‟una compiuta vittoria, dovesse dar loro una lezione di astronomia. Cosa pensare allora del decreto dell‟Inquisizione? Fu cosa saggissima, perché a quei tempi c‟erano da temere inconvenienti interpretando cosí la Scrittura,… in appresso, avvaloratasi l‟ipotesi sí da potersi ritenere del tutto sicura, non c‟è piú pericolo di sorta per la religione e perciò il decreto dell‟Inquisizione nulla prova sul moto della terra. Troppo lungo il compendio di questa lezione, ma mi è parso opportuno perché ci dà un saggio dell‟apertura di mente con cui insegnava il Valentini ed abituava gli allievi a ragionare, anche sulla Scrittura. Potrà quindi un giorno il Frassinetti ridiscutere questa e quella opinione del Liguori. Il Valentini non poteva ignorare che sottobanco circolavano le opere di Voltaire. Un suo alunno, Federico Campanella, passato all‟Università regia, s‟è visto, fu sospeso perché s‟era permesso di avanzare delle massime contrarie alla Religione ed all‟autenticità dei libri santi627. Essendo poco credibile aver fare tali affermazioni per studi personali, fa penso che si stesse già nutrendo alla mensa di Voltaire e degli enciclopedisti. Meglio discutere in pubblica classe i fatti impugnati che mostrarne paura. In seminario non tutti condividevano la sua apertura, né il modo in cui trattava gli argomenti e l‟opportunità di trattarli. Nel Prolegomenon di questo corso il Valentini si dilunga nel dichiarare l‟importanza dello studio della fisica e non si trattiene dall‟offrire agli allievi argomenti per rimbeccare blaterationes illorum qui physicas institutiones Ecclesiastico viro velut inutiles vel optimæ juvenum educationi contrarias quoque traducunt. Il primo criticone dell‟eccessiva importanza data a tale studio doveva essere il rettore del seminario, il canonico Parodi, già titolare della stessa cattedra. In quell‟anno scolatico 1823-1824 il Valentini dedicò alla fisica ben 394 pagine, naturalmente tutte in latino, con il rammarico di doverne troncare la trattazione per non sacrificare lo studio dell‟etica. Il Frassinetti annota: Cum anni scholastici finis jam prope immineret, cumque eticæ praestantiam, necessitatemque Præstmus Rev.dusque Lector dignosceret, hinc 627 Registro delle deliberazioni dell‟Università di Genova, n. 5, 11-1824. 309 nil aliud de physica speciali tradendum, sed eticæ elementa adeunda esse ipse censuit. Il vero motivo di troncare la fisica e passare subito all‟etica dovette essere un altro. Il rettore si vedeva diminuito. In seminario gli faceva ombra l‟ascendente che si andava acquistando il Gianelli, fatto dal Lambruschini direttore di disciplina perché vi ristabilisse l‟ordine non saputo tenere dal rettore; nella scuola di filosofia, cattedra che era stata già sua, doveva fargli ombra il Valentini il quale non sapeva trattenersi da qualche battuta che gli veniva regolarmente riferita. Cosí, durante quell‟anno scolastico 1823-1824, prima rinunciò all‟incarico il Gianelli, “avendo veduto che nel modo in cui erano sistemate le cose non poteva conseguire nessun intento”, poi il Valentini seguito dal Rebuffo. A nulla era servito al Gianelli alzare anche la voce. Racconta il nipote don Giacomo che una sera, nell‟attesa d‟essere ricevuto dallo zio, udí un forte litigio tra il Gianelli e quel Rettore, dicendo l‟uno che quel governo non era buono e che non lo voleva, sostenendolo l‟altro per buono, savio e conveniente... Alla fine il contraddittore, vedendo di non poterla vincere, gli disse: “Tacete che un po‟ di filosofia ve l‟ho insegnata io stesso”. Allora il Gianelli: “Eh, signor Rettore, se non avessi imparato altro che la sua filosofia, ne saprei ben poca!” e dietro questi detti fecero una gran risata e s‟augurarono la felice notte628. Il Valentini, dunque, in quello stesso 1824 aveva deciso di lasciare l‟insegnamento, per contrasti col rettore, senz‟aspettare la fine dell‟anno scolastico, ma non voleva privare gli alunni dello svolgimento d‟un trattato cosí importante per allievi indirizzati al sacerdozio com‟è l‟etica sacrificando a questa disciplina il resto della fisica. Che spiegazione si desse il Frassinetti di quel che succedeva vedendo il Valentini lasciare l‟insegnamento senza completare l‟anno, lo si può argomentare da ciò che scriverà il Cattaneo, suo compagno di corso, nella Cronaca piú volte citata: Il Lettore di Filosofia Valentini lasciò la cattedra prima che finisse l‟anno scolastico. Non si conobbe chiaro il motivo di questa risoluzione, ma dicono che l‟Arcivescovo fosse disgustato di lui, altri credevano, e forse con maggior fondamento, che il Rettore offeso dalle maniere piú franche assai che 628 G. GIANELLI, Osservazioni particolari intorno alla vita di mons. Gianelli scritta da Fedele Luxardo, n. 59. 310 rispettose che usava il Lettore suddetto a suo riguardo, non avendo né anche il riserbo di screditarlo presso i Seminaristi, l‟abbia fatto cadere dall‟affetto e dalla stima dell‟ Arcivescovo, del che, avvedutosi il Lettore, domandò ed ebbe la sua dimissione. In quel tempo che restava a terminare l‟anno supplí alla scuola il Rettore... Nelle vacanze successive domandò la sua dimissione il Professore Rebuffo629. Non furono le uniche voci. Ne circolavano altre e tali da lasciare il segno nel cuore dei giovani. Essi, i “ragazzi del Gianelli”, saranno diversi. Li rivedremo nella “Beato Leonardo da Porto Maurizio” formare un cuore solo e un‟anima sola, ignari di cosa sia gelosia o invidia. Già, perché non ci si forma solo per assimilazione: “Anch‟io cosí”, ma ci si forma anche per dissimilazione: “Io non cosí”. Stando alla Necrologia di don Antonio Drago – pubblicata vivo il Lambruschini – la cosa dovette essere ben piú grave, essendosi arrivato a denunciare l‟insegnamento del Valentini non conforme alla sana dottrina. Tanto merito e tanto nome – l‟aver conseguito il Valentini le lauree di teologia, filosofia, diritto canonico e civile, aver fatto studi seri di matematica, fisica e scienze naturali... – non gli valsero però a porlo in salvo dall‟assalto di alcuni invidiosi, di quelli forse a cui sapeva troppo amaro che egli, sebben non volendolo, avesse posto in chiaro la meschinità del loro insegnamento, traendo colla sua fama dalle loro alla sua scuola la studiosa gioventú. Per fargli danno colsero tempo di porlo in sospetto circa il metodo d‟insegnamento all‟arcivescovo Lambruschini... Era il Lambruschini, come ognun sa, assai dotto e vigilante prelato, ma forse nel zelo eccedeva, il quale eccesso porta cieca fede al delatore: ondeché, senza informarsi altrimenti, intimò al Valentini di riformare i suoi trattati. Questi glieli presentava da leggere pregando gli esaminasse, e ove gli paresse trovar principj non sinceri, lo convincesse di lor falsità, ch‟ei gli avrebbe tosto e volentieri mutati, se no, il lasciasse libero d‟insegnare a suo modo. La cosa sembrava appianata, ma venutagli agli orecchi una parola detta dal Valentini in difesa d‟un parroco che trattava una causa dinanzi a lui con manifesto suo disfavore, bastò perché divampasse di fiero sdegno contro del Valentini, e lui che cercava di purgarsene non ammetteva alle scuse... per lo che il Valentini, non sapendo acconciare il generoso animo a modi cosí discortesi, si dispose tosto a lasciare il seminario e la cattedra. 629 B. CATTANEO, Cronaca del Seminario dal 1803 al 1847. 311 Per le scuole del seminario fu una perdita. Valentini era professore di valore, di mente aperta e di larghi interessi culturali. Apprendiamo sempre dal Drago: Con ben altro intendimento che d‟ozio, tenendosi lontano dai pubblici impieghi – sacerdote novello aveva ricusato una parrocchia e un canonicato offertigli dal cardinal Spina, suo arcivescovo, come pure incarichi a Roma propostigli dal cardinal Ugo Spinola – intese a dar perfezione ai teologici e filosofici suoi studi... Dopo profonda cognizione dei biblici volumi, procacciatasi colla scorta d‟ottimi interpreti, e dopo un meditato studio dei santi padri e dei dottori della Chiesa, gli rimasero in tanto amore S. Agostino e S. Tommaso che ne prescrisse a se stesso quotidiana lettura per tutta la vita... Ma sopra ogni altra scienza – aveva detto dei suoi studi di matematica, fisica, scienze naturali – lo traevano a sé potentemente la Logica e la Metafisica. Senza risparmio a spesa o a fatica aveva raccolti quanti piú gli rinvenne di trovare libri di filosofi antichi e moderni con assidua meditazione confrontando i sistemi di tutti, approvando que‟ che ponean fondamenti piú stabili al vero e facendone poi base all‟edifizio che meditava, poté comporne tanti trattati e dissertazioni da finirne un bel corso di studi. Non poteva in nessun modo immaginare il Valentini che, di lí ad un secolo, il suo corso di filosofia, che il Lambruschini s‟era rifiutato di esaminare, l‟avrebbero esaminato a Roma fior di teologi della Congregazioni dei Santi nella copia che ne aveva fatto il Frassinetti, teologi ai quali non sfugge eresia e perfino parola che possa sonare male piis auribus, a pie orecchie. Il sesto teologo censore, cui fu demandato il compito di rivedere questi manoscritti, annota: Innanzi tutto è chiaro che i volumi manoscritti 20 e 21 (Corso di filosofia) e 22, 23 e 24 (Corso di teologia) non sono del sacerdote Giuseppe Frassinetti, ma dei suoi maestri i cui nomi sono ivi riportati. Del resto, è cosa evidente che degli adolescenti non possano riportare le lezioni con tanta precisione avendole soltanto udite. Erano quindi lezioni trascritte con comodo630. 630 POS. Summ: ex Officio, pp. 22.24. Sul primo corso osserva: “L‟autore non fa neppure un accenno circa la forma sostanziale dell‟anima rispetto al corpo, benché mostri il loro reciproco influsso. A pp. 225-226 insegna che tutte le idee dell‟anima provengono dalla fantasia, sicché, quando l‟anima è separata dal corpo, le idee sono rappresentate da Dio (sic)”. Sul secondo corso, p. 388, si afferma che l‟evangelista Giovanni non fa parola dell‟ora della morte di nostro Signore, mentre vi accenna nel cap. 19 . Da queste osservazioni si può 312 Le osservazioni, quindi, vanno riferite al Valentini per la filosofia e al Decotto per la teologia. Il settimo teologo censore afferma che, premesso il giuramento, ha fatto una lettura diligente dei volumi dategli in esame. Fa un paio di osservazioni sul primo corso di filosofia ed è poco convinto della teoria “boscovichiana” del secondo corso. Quisquilie631. Il Valentini non restò a lungo senza cattedra. Di lí a qualche tempo, fu chiamato ad insegnare logica e metafisica nella Regia Università di Genova. D‟insegnare teneva questi modi: spiegava chiaramente la sua dottrina... udiva volentieri le obiezioni che a chicchessia fosse piaciuto di fare e con adeguate risposte le ribatteva. Dei diversi sistemi esponeva la storia, e amava che gli studiosi vi ragionassero sopra con gli appresi principj, o approvandoli, o rifiutandoli... Chiunque da giovane ha amato lo studio ricorda cosa significò per lui aver un avuto un professore di vasta cultura e lo stimolo che ne ricevette. Il Frassinetti, e chi gli era stato compagno, da vecchi, parlando con i giovani chierici per invogliarli a studiare, dovevano di tanto in tanto rievocare il Valentini ed il Decotto – di quest‟ultimo diremo nel prossimo capitolo – come si può arguire da una pagina della biografia del Fassiolo, il chierico che era stato accolto in casa dal santo Priore e ne aveva ricevuto l‟ultimo respiro: La filosofia che ha per fine di indagare col semplice aiuto naturale le ragioni ultime delle cose, fermando le sue ricerche sopra Dio, l‟uomo e il mondo, è certo necessaria preparazione per lo studio di quella scienza piú nobile, che è la sacra Teologia. Compreso da questa verità il giovane Frassinetti entrò di buon animo nel difficile arringo dei filosofici studi. In ciò gli fu maestro il professore Gerolamo Valentini, sacerdote che assai di frequente ebbe a lodarsi di lui, ed ammirare sua prontezza nel rispondere, argomentare con quale diligenza furono rivisti tutti i suoi scritti. Mi sia lecito fare una piccola censura al censore: non a pagina 388 del corso del secondo anno, bensí del primo, dove parla della storicità dei vangeli, e, minuzia per minuzia, Giovanni in 19,14 fissa l‟ora in cui Pilato emanò la sentenza della crocifissione, non quella della morte: “piú o meno mezzogiorno”. Sul secondo corso nulla da eccepire. 631 Critica il riporre l‟essenza di Dio nella sua eternità, ma, nel prosieguo dell‟esame, trova la definizione giusta: ens a se. Vorrebbe piú chiarezza sul perché l‟anima umana non può non essere immortale e, nell‟etica, non ristretto a mali della stessa specie il principio che tra due mali si ha da scegliere sempre il minore. Ivi, pp-27.30-31. 313 l‟ordine delle idee, l‟attività dell‟ingegno. Attesta chi gli fu compagno – è chiaro che torna col pensiero alle dispute scolastiche – che non mai avvenne che restasse sopraffatto alle proposte difficoltà. Non abbandonò mai l‟arena se non vincitore. Approfondiva di tratto il nodo della quistione, e con modestia, e buona maniera ne esponeva la soluzione. Se non che ogni suo desiderio era rivolto alla scienza delle divine cose; a questa parea che anelasse con tutto il fervore dell‟animo; a questa non potea a meno di non consacrare qualche ora anche prima di entrare in teologia. Ad un‟anima piena dello spirito di Dio piace di certo il sentirsi parlare di tutto ciò che la può condurre a Dio; ma allorché di Dio stesso le parla, e le rivela in quel modo che si può le adorabili perfezioni, allora si accende tuttavia meglio nell‟amore divino, e all‟udire quelli accenti dolcemente si acquietano le sue brame. Questo dovette avvenire al Frassinetti, il quale, se agli studi della filosofia attese con ogni alacrità e ne riportò lode e ammirazione dai maestri, tuttavia nello studio delle teologiche discipline si applicò, quasi direi, anima e corpo. Imperocché, a proporzione che egli si inoltrava nell‟imparare la scienza di Dio, si avvicinava al sacerdozio al quale tenea rivolte le brame e da gran tempo lo sospirava. Imperò non è a dire come egli si applicasse a questi studi e, nello stesso tempo, il piacere che provava l‟innocente sua anima in quelle investigazioni dell‟essere e dei misteri di Dio. Basti dire che egli non si contentò alle semplici lezioni che giornalmente danno i maestri, le quali studiava, ritenea e poi manifestava con tutta precisione, ma correa alle biblioteche e sopra i grandi volumi dei teologi e dei padri spendeva lunghe ore pensando e meditando senza risparmiare fatica alcuna. La qual cosa egli facea sempre, ma specialmente nei giorni di vacanza, nei quali tutto il suo ricreamento era una passeggiata insieme con un compagno di studio632 . 632 D. FASSIOLO, op. cit., pp. 19s. 314 CAPITOLO XXI COSA STUDIARE E CON QUALE SPIRITO PENSANDO ALLA‟ALTARE La scienza, anche se delle cose di Dio, senza la carità, gonfia e nuoce. È meglio non sapere, piuttosto che essere nell‟errore; meglio però sapere che non sapere. Se ci riusciamo, rendiamone grazie a Dio. Se poi non riuscissimo a raggiungere la verità, guardiamoci dal cadere nell‟errore. Amatela la scienza, ma anteponetele la carità. La scienza gonfia, se ne è priva; ma la carità, perché edifica, non permette alla scienza di gonfiarsi. Lí, dunque, la scienza gonfia, dove è assente la carità che edifica, ma dove edifica, ha solide basi. Non c‟è gonfiore, dove questa roccia fa da fondamento. AGOSTINO633 Cosa studiasse, e con quale spirito studiasse, il Frassinetti ce lo dice lui stesso nelle Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici proposte ai Chierici, che altro non sono se non il frutto della sua esperienza personale. Lo dichiara esplicitamente nella prefazione634. Una scelta 633 I rinvii alle fonti nel corpo del capitolo. 634 G. FRASSINETTI, Osservazioni..., p. VII: “Ciascuno facilmente si persuade poter tornar utile altrui ciò che prova utile per se stesso. Pertanto voglio confidare che alcune avvertenze intorno agli studi ecclesiastici, le quali ho provato di qualche utilità per me, possano riuscire di qualche utilità ancora per voi, o Chierici studiosi...”. 315 netta. “L‟ecclesiastico che non si considera tutto tale, e non è contento di non esser altro che ecclesiastico, non sarà buono”. In nota aggiunge: Chiederà alcuno, se con questo si voglia proibire agli ecclesiastici ogni altra occupazione fuor delle sacre, come sarebbe l‟attendere alla letteratura, alle matematiche, alla fisica, ecc. Se a qualcuno venisse tal dubbio, osservi egli che, potendosi dirigere questi studii ed occupazioni alla maggior gloria di Dio, come ve li diressero tanti ecclesiastici anche celebri per distinta santità, non si dee dire che siano a un ecclesiastico disdicevoli, anzi noi li direm convenienti. Vuolsi soltanto far notare, che ad essere buon ecclesiastico non giova essere dotto letterato, dotto matematico ecc., se non si dirigono tali studii ed occupazioni al gran fine dell‟ecclesiastico. Chi però ve li dirige, aspirando ad essere letterato, matematico ecc., non attenderà ad altro che essere ecclesiastico, e sarà buono, anzi, generalmente parlando, migliore di quelli che non vi aspirano, perché, oltre tutti gli altri mezzi, avrà anche questi atti a conseguire il suo fine. Se si parla poi di altre occupazioni, come negozii, fattorie ecc., si vede chiaro che, chi vi attende, con qualunque pretesto voglia giustificarsi, non può essere buon ecclesiastico635. Anche la letteratura, certo. Pensava al Gianelli? Anche la fisica e la matematica, certo. Pensava al Valentini? purché ordinate all‟unico fine di “procurare l‟onor di Dio e la salvezza de‟ prossimi”636. Continuando la lettura troviamo con quale spirito e purezza di intenzione ci dice si debba studiare: Questa istruzione [dell‟ecclesiastico] però, questa scienza non debb‟essere di quella che gonfia lo scienziato e lo rende superbo, ma di quella che, mediante la carità, lo rende umile; giacché un ecclesiastico superbo sarebbe peggiore che un ecclesiastico ignorante, non potendosi temere da cento ecclesiastici ignoranti que‟ danni che si debbono temere da un ecclesiastico superbo. Il dotto superbo sa distruggere, il dotto umile sa edificare. La carità dunque dee invitare l‟ecclesiastico a‟ suoi studii e l‟umiltà dirigerlo ne‟ medesimi637. Posto il principio generale, passa ad esaminare i motivi esponendoli sotto forma di domanda e risposta: – Io sono ecclesiastico: quale sprone avrò allo studio? L‟onore, la gloria, la fama? 635 ID., Ivi, p. 2 nota 1. 636 ID., Ivi, p. 5. 637 ID., Ivi, p. 3. 316 – Povero me! Non conosco il mio fine. Questo è l‟onore e la gloria di Dio, non la mia. Non debbo cercare che vada per la bocca degli uomini il meschino mio nome, ma quel gran Nome, nel quale soltanto ci può essere salute638. Mi dice l‟amor proprio che si può ottenere l‟uno e l‟altro di questi fini co‟ mezzi stessi; che posso cercare l‟onore e la gloria di Dio e insieme procurarmi le giuste lodi e approvazioni degli uomini, le quali alla mia scienza ben adoperata sono dovute. Non niego il principio, ma vorrei sapere, prima di fidarmene, se alcuno abbia mai saputo camminar bene per questa strada delle due intenzioni e se l‟amor proprio, che in noi è sí forte, messo per via di costa all‟amor divino, che in noi è spesso sí debole, siasi sempre contentato di stargli alla sinistra e alquanto indietro, come conviene, o se invece per lo piú non abbia preteso di andare un passo avanti alla dritta. Non me ne fiderò, perché questo senza dubbio è un andare sconosciuto a tutti quelli che camminarono bene certamente, quali sono gli ecclesiastici santi... [che] pare non conoscessero la teorica delle due intenzioni ed io non voglio essere piú spregiudicato e piú illuminato di quel ch‟essi furono. – Quale altro sprone avrò allo studio? L‟interesse? – Povero me! Se mi prefiggo un tal fine, avrò coraggio a manifestarlo? No, avrei rossore che si dicesse. Dunque non dirò già solo: non è da ecclesiastico, non è da cristiano; ma dovrò dire: non è da uomo prefiggersi un fine che non si manifesterebbe senza arrossirne. – Quale altro sprone avrò allo studio? Il passatempo? – Povero me! Sarò tanto stupido da persuadermi che Dio mi conceda tempo d‟avanzo ond‟abbia a cercar modo di occuparlo per non sentirne il tedio? Qual differenza poi vi è tra perdere il tempo e studiare per passatempo? Lo studio che si fa per passatempo è uno studio cosí leggiero, inconcludente, che non lascia cognizioni se non inesatte, sconnesse e confuse, le quali sono piú dannose dell‟ignoranza, perché è sempre da preferirsi il non sapere al saper male639. Or non sarebbe un 638 At 4, 12. 639 AGOSTINO, Sermo 27. [Completo la citazione: de versiculis Psalmi 95: Melior est enim fidelis ignorantia, quam temeraria scientia (meglio l‟ignoranza che una scienza temeraria – affermazione chiarita da altra piú sotto riportata)]. Suppongo che il Frassinetti si sia servito della terza edizione maurina. Il Migne era ancora di là da venire, essendosi cominciata la stampa dei suoi volumi a metà degli anni Quaranta. Per il Frassinetti la raccolta degli scritti agostiniani piú completa e piú reperibile dovette essere appunto la terza edizione dei Maurini di Venezia stampata dal Remondini a Bassano nel 1797, lo stesso anno della fine della gloriosa repubblica, quel Remondini a cui anche sant‟Alfonso aveva affidato la pubblicazione delle sue opere. La presente citatazione è nel tom. VII, c. 144 C. Dalla stessa edizione sono prese le citazioni riportate piú avanti. 317 gravissimo disordine abusare degli studii ecclesiastici per perdere il tempo con tanto danno? – Ma dunque quale altro sprone avrò allo studio? – La carità. Ella è la sola che debba invitar l‟ecclesiastico a‟ suoi studii. L‟amor di Dio, l‟amor de‟ prossimi lo debbono occupare tutto quanto, ed eziandio tutte le sue operazioni, perché l‟unico suo fine è quello di procurare l‟onor di Dio e la salvezza de‟ prossimi. Dunque la sola carità deve invitare l‟ecclesiastico allo studio, e l‟ecclesiastico che studierà mosso dalla sola carità, sarà il solo che negli studii riuscirà a perfezione... se negli studii sarò mosso da tutt‟altro, fuorché dall‟amor di Dio e del prossimo, non potrò con questi l‟onor di Dio e la salute dei prossimi procurare. Ove si prende la mira là dirigesi il dardo, e sarebbe miracolo se andasse a finire in altra parte. Quanto è ingegnoso l‟amore nei ritrovati! Osservate, di grazia, un appassionato per qualche oggetto: non gli sfugge mai punto di ciò che possa favorire l‟oggetto amato. Cento cose sfuggiranno a voi che lo andate distintamente esaminando bensí, ma a cuor freddo. Tutte invece egli le nota in un‟occhiata. Similmente se voi vi darete agli studii ecclesiastici spronati soltanto da carità, imparerete ciò che potrà maggiormente conferire alla gloria di Dio e alla salute de‟ prossimi quasi di slancio; mossi invece da altro fine, non vi basteranno le piú diuturne considerazioni sulle scienze medesime, perché ne abbiate una cognizione sufficiente. Per questo è che molti santi, sebbene abbiano passato la loro vita in immense fatiche, lasciarono tanti scritti eccellenti per procurare la gloria di Dio e la salvezza de‟ prossimi; mentre tant‟altri, consumandosi nella polvere delle lor biblioteche senza far altro, o nulla lasciarono o cosí poco, che solo prova la sterilità del loro ingegno. La differenza procede da ciò: che quegli appassionati e caldi di amore studiavano le cose sante, questi invece freddi ed intirizziti640. Qui il Frassinetti, senza pensarci, ci dava la risposta alla meraviglia che suscita in noi la sua vita: come poté essere due in uno, pastore cosí preso dalla cura delle anime che si fa difficoltà a pensare trovasse tempo di stare seduto a tavolino un quarto d‟ora per scrivere una lettera, e scrittore cosí preso dai suoi studi da avere sí e no tempo di dire messa e breviario. Ma completiamo queste pagine che ci rivelano con che animo egli studiasse. Si osservi frattanto che chi ama Dio ama la Chiesa, e l‟ama perché è la sposa di Gesú Cristo, perché è l‟arca della nostra salvezza, nella quale sola si può sperare lo scampo dall‟universale naufragio... Io l‟amo, io l‟amo, io ne sono pazzo, dicea san Giovanni Grisostomo. E chi non si 640 G. FRASSINETTI, Osservazioni..., pp. 3-7. 318 sentirà trasportato da altrettanto affetto verso di lei? Chi si sentisse alquanto freddo in questo amore, l‟accenda. L‟avvivi, ché troppo è necessario, onde riescano vantaggiosi gli studii ecclesiastici. Giova ripeterlo: nessuno poter rilevare sí bene le bellezze di un qualche oggetto, quanto chi n‟è appassionato... E quando nomino la santa Chiesa, non intendo parlare di una chiesa astratta, immaginaria, divisa e confusa, senza centro, come la immaginarono certi infelici: intendo... quella che dura da Gesú Cristo fino a noi, quella che ha Pietro per capo, al cui governo Pietro sempre vive nella serie non interrotta de‟ Pontefici suoi successori, quella che è Una, Santa, Cattolica, Apostolica, Romana. Chiamati cosí agli studii ecclesiastici dalla carità che edifica 641, bisogna che in essi ci lasciamo guidare dall‟umiltà. Che cosa è l‟uomo se si abbandona al suo ingegno e a‟ suoi lumi? È una nave senza timone in mare tempestoso e pieno di scogli. Egli è molto inferiore all‟ignorante, e quanto piú nello studio s‟immerge, altrettanto piú sotto l‟ignorante sprofonda. Vi fu difatti giammai tra gl‟ignoranti chi arrivasse a persuadersi e ad insegnare errori cosí palpabili e mostruosi, quali insegnaronli molti letterati e scienziati che si abbandonarono al proprio ingegno senza voler altra guida? Poca lettura di storia tanto ecclesiastica, come profana, basta a mostrarci che gli spropositi piú sorprendenti non uscirono di bocca agli ignoranti, ma sí ai dotti superbi. Vi vuol dunque umiltà, tanto piú che gli studii ecclesiastici, molto avendo di soprannaturale, s‟innalzano sopra la sfera dell‟umano intendimento, e perciò il volere soltanto servirsi dei propri lumi nel loro corso, sarebbe lo stesso come volersi servire delle braccia per volare. Ciascuno dee dubitare dei propri lumi, e persuadersi d‟aver gran bisogno de‟ lumi altrui, e nelle materie ecclesiastiche de‟ lumi della chiesa. Le decisioni, le approvazioni o disapprovazioni, espresse o tacite di lei, ci somministreranno que‟ lumi dietro i quali non si può errare642. Il Frassinetti, nelle opere indirizzate alla santificazione dei fedeli, scriveva per edificare e non per fare opera scientifica. Nessuna meraviglia che sia molto parco di citazioni per non appesantire il dettato aumentando pagine e prezzo. Le citazioni esplicite sono poca cosa rispetto a quelle omesse, come in questi consigli ai giovani chierici, in cui troviamo un solo rinvio ad un sermone di sant‟Agostino, mentre per tutto il discorso non fa che sviluppare pensieri del santo dottore. Sarebbe uno studio interessantissimo rileggere le opere del Frassinetti 641 1 Cor 8,1. 642 G. FRASSINETTI, Osservazioni..., pp. 7-9. 319 cercando di individuare le fonti non citate da cui attingeva e scoprire a quale mensa si nutriva per nutrire. Se uno si incuriosisce e le va a ricercare, scopre che quel suo dire, che sa tanto di conversazione, era basato su una rilevante ricchezza di letture. Oltre al magistero della Chiesa, sant‟Alfonso, san Tommaso d‟Aquino, santa Teresa d‟Avila, san Giovanni della Croce, v‟è una massiccia presenza di santi padri e dei sommi della teologia. Perché cosí parco nel citare? Perché non si rifà anche in questo al suo maestro sant‟Alfonso? Trovo la risposta in me stesso. Alunno del ginnasio inferiore ero ai miei primi latinucci quando mi capitò fra mano Le glorie di Maria di sant‟Alfonso. Le lessi con amore, piacere e curiosità, peccato che le molte citazioni me ne inceppassero la lettura. Ho voluto controllare se l‟impressione che me ne era rimasta fosse vera. Nell‟edizione Marietti del 1845, primo volume, cm 14x22, nelle prime due pagine a doppia colonna, vedo citati sant‟Atanagio (sic), san Bernardino, sant‟Arnoldo, Ruperto abate , di nuovo san Bernardino, Guernico abate, il beato Alberto Magno, Seneca, due volte, san Tommaso, un salmo, san Bonaventura, e continua poi con l‟arcivescovo di Praga Ernesto, di nuovo san Bonaventura, Alberto Magno... Di ciascuno riporta un corsivo in latino per un totale di 42 righe! Anche se non manca di darne la traduzione, o almeno il senso, resta pur sempre zona di mistero senza risposta per chi ignora la lingua, inutile per chi, come nel mio caso, già aveva cominciato a masticarlo. Il Frassinetti scriveva per giungere al cuore dei semplici. Come egli non si sentiva defraudato dalle molte edizioni pirata che si facevano delle sue opere, anzi se ne rallegrava, vedendo penetrare in piú largo raggio la parola di salvezza, cosí non si preoccupava piú di tanto di indicare ogni volta a quale padre o santo dottore andava debitore di questo e quel pensiero inzeppando la pagina di citazioni che avrebbero distolto dalla lettura. In fondo non faceva altro che attenersi all‟esortazione dell‟Apostolo di esaminare tutto e di servirsi di ciò che si giudica buono643 e, sulla sua parola, ne dispone da padrone per sé ed i suoi fedeli: perché è tutto vostro – dice l‟Apostolo – quel che è di Paolo, o di Apollo, o di Cefa, e il mondo e la vita e la morte, sia le cose presenti come le future, tutto è 643 1 Ts 5,21. 320 vostro, e voi di Cristo, e Cristo di Dio!644 provenendo tutto dallo stesso ed unico Spirito645. Perché si abbia un‟idea di cosa il Frassinetti facesse fin da giovane nelle lunghe ore passate in biblioteca e di come poi ripresentasse la sostanza delle sue letture – in questo caso di Agostino – attinta dai molti volumi in folio, do io un saggio di queste fonti agostiniane non citate che ci mostrano come il Frassinetti segua da vicino il sermone ventunesimo tenuto da sant‟Agostino il 27 luglio 413, nona domenica di Pentecoste, commentando i versetti 5,20-23 del vangelo di Giovanni: È meglio infatti non sapere, piuttosto che essere nell‟errore; meglio però sapere che non sapere. Se ci riusciamo, rendiamone grazie a Dio. Se poi non 644 1 Cor 3, 22s. 645 Ivi, 12,11. Il pensiero di Paolo dovette essere anche il modo di pensare di sant‟Ambrogio, uno che non rifuggiva dal reperire cibo sano in terra greca per nutrire i fedeli del mondo latino, suscitando scandalo in san Girolamo. Nei suoi tre libri su lo Spirito Santo Ambrogio si era fatto bello con farina del sacco di Didimo il Cieco! Perché i latini se ne potessero rendere conto, Girolamo ne fece lui una sua versione che cosí presentava a Paolino: “Io ho preferito farmi traduttore d‟opera altrui, piuttosto che, come altri – leggi Ambrogio –, mostruosa cornacchietta, farmi bello delle penne di un pavone”. Chi leggerà la sua traduzione “conoscerà i furti dei latini – leggi ancora Ambrogio – e, cominciato che abbia ad attingere alle fonti, disprezzerà i rigagnoli” (PL 23,103s.). Girolamo era uomo di biblioteca, anzi lui stesso una biblioteca; Ambrogio pastore d‟anime. Non si creda però che Girolamo non stimasse Ambrogio, tutt‟altro! Vero è che nel De viris illustribus dice di non volerne parlare perché, essendo ancora vivo, teme di peccare contro la verità o di adulazione (PL 23,711s.), e nelle lettere non tralascia di far notare le dipendenze di Ambrogio dai greci Orígene, Ippolito e Basilio, ma, nelle sue addizioni al Chonicon d‟Eusebio, ci dice che, divenuto Ambrogio vescovo di Milano, “tutta l‟Italia tornò alla retta fede” (PL 27,697); ad Eustochio consiglia la lettura del nostro Ambrogio, cosí eloquente nei suoi trattati sulla verginità da aver saputo ricercare, ordinare ed esporre quanto delle vergini è possibile dire (PL 22,409). Lo stesso consiglio da a Pammachio: lege Ambrogium, e gli anticipa una citazione di ben 23 righe (PL 22,393.504s.508). I due si erano conosciuti a Roma al tempo del Sinodo romano convocato da papa Damaso. Molte le affinità che li univano, oltre al loro amore per la verginità consacrata ed il culto a Maria. Giudizio di letterato, dunque, quello di Girolamo, cui però era sfuggita la libertà con cui Ambrogio ritratta la materia e la completa. Certo, aveva attinto da Didimo, ma psa attingere e far suo un genio! Aveva quindi il Frassinetti un buon predecessore, né ci si meravigli se i suoi amici, scrivendo di lui scrittore, possano non sempre aver tutto condiviso. Ancora una cosa mi fa riavvicinare il nostro Frassinetti a sant‟Ambrogio: il non pubblicare scritto senza primo averlo sottoposto al giudizio di amici competenti, Ambrogio al vescovo Sabino (PL 16, Ep. 47 e 48). 321 riuscissimo a raggiungere la verità, guardiamoci dal cadere nell‟errore 646. Continuando la ricerca, si scopre che è ancora di Agostino quel concepire lo studio frutto della carità nutrita d‟umiltà. Come fu affermato che la carne non giova a nulla647 allo stesso modo [l‟Apostolo affermò] che la scienza gonfia648. Dobbiamo dunque odiare la scienza? Dio liberi! Cosa vuol dire dunque: La scienza gonfia? Gonfia se è sola, senza la carità. Per questo l‟Apostolo aggiunse: Ma la carità edifica. Aggiungi dunque alla scienza la carità, e ne fai cosa utile, non per se stessa, ma per la carità. Cosí qui: La carne non giova a nulla, non giova da sola, ma vi acceda lo spirito, come la carità alla scienza, ed ecco che giova assai649. La scienza, dice l‟Apostolo, gonfia650. Dobbiamo dedurne che dovete fuggirla e preferire d‟essere ignoranti piuttosto che gonfiarsi? Ma perché sto qui a parlarvi se è meglio l‟ignoranza che la scienza? Perché star qui a disputare con voi e far distinzioni? Perché mai ricordarvi le cose che già sapete e dirvi quelle che ignorate, se la scienza è da fuggire perché non ci gonfi? No, amatela la scienza, ma anteponetele la carità. La scienza gonfia se ne è priva, ma la carità, perché edifica, non permette alla scienza di gonfiarsi. Lí, dunque, la scienza gonfia, dove è assente la carità che edifica, ma dove edifica, ha solide basi. Non c‟è gonfiore dove questa roccia fa da fondamento651. Cosa dice l‟Apostolo di coloro che amano gloriarsi della propria giustizia? “Riconosco che hanno zelo per Dio” 652. Dunque, parlando dei giudei, l‟Apostolo riconosce che hanno zelo per Dio, ma uno zelo non di buona scienza. Cosa vuol dire zelo non di buona scienza? Quale è la 646 AGOSTINO, Tractatus in Iohannis evangelium, XXI, tom. IV. c. 604B: Melius est enim nescire, quam errare, sed scire est melius quam nescire. Itaque ante omnia conari debemus ut sciamus, si potuerimus, Deo gratias. Si autem non potuerimus interim pervenire ad veritatem, non eamus ad fallaciam. 647 Gv 6,64. 648 1 Cor 8,1. 649 AGOSTINO, Tractatus in Iohannis evangelium, XXI, tom. IV., c. 467C. 650 1 Cor 8,1. 651 AGOSTINO, Sermo 354 ad continentes, tom VII, c. 1377.EF. 652 Rm 10,2. 322 scienza buona che tu raccomandi? Quella che da sola gonfia e che, non accompagnata dalla carità, non edifica? Certo che no, bensí la scienza congiunta a carità, maestra d‟umiltà...653. Cosa dice [il Signore] ai malati perché, ricuperata la vista, possano in un qualche modo pervenire al Verbo per cui tutto è stato creato? Prendete il mio giogo su di voi ed imparate da me che sono mite e umile di cuore654. Cosa dichiara agli uditori il maestro Figlio di Dio, la Sapienza di Dio, per cui tutto è stato fatto?... Imparate come ho fatto i cieli e tutto il resto?... No, ma innanzi tutto che egli è mite ed umile di cuore. È questo che dovete comprendere, fratelli. Una cosa da poco. Aspiriamo a cose grandi, comprendiamo le piccole e saremo grandi. Vuoi pervenire all‟altezza di Dio? Afferra prima l‟umiltà di Dio... Fai tua dunque l‟umiltà di Cristo, impara ad essere umile, non insuperbire. Fatta tua la sua umiltà, con lui t‟innalzi... Osservate l‟albero, per estollersi in alto, cerca il profondo,... Tu vorresti comprendere le cose eccelse senza la carità? Un innalzarti all‟aria senza radici? Questo non è crescere, ma franare. Se per la fede Cristo abita nei vostri cuori, affondate le radici nella carità, su di essa ponete le fondamenta e vi riempirete di tutta la pienezza di Dio655. Pertanto anche tu, caro [Gennaro],... sia che legga, sia che studi, ricorda la grande verità: La scienza gonfia, la carità edifica... La carità non è invidiosa,... non si gonfia656. Si usi la scienza come una macchina che faccia innalzare la struttura della carità che rimane in eterno, anche quando la scienza sarà distrutta. Se la scienza non ha per fine la carità, non solo è superflua, ma persino perniciosa...657. Colui che siede sopra i cherubini... Quei che conoscono la lingua ebraica... ci dicono che i cherubini sono la pienezza della scienza. Siccome Dio è al di sopra d‟ogni scienza, ne viene che siede sopra la pienezza della scienza. Sii pure tu ripieno di scienza, e tu pure sarai sede di Dio. Vedo che stai per chiedermi: – Quando sarà in me la pienezza della scienza? – Voglio credere che tu non pensi che Dio voglia che noi si 653 AGOSTINO, Enarratio in Psalmum 142, Sermo ad populum, tom VI, c. 1039s. 654 Mt 11,29. 655 AGOSTINO, Sermo 118 de verbis Evangelii Iohannis “In principio erat Verbum...”, tom. VII, c. 589B. 656 1 Cor 8,1; 1 Cor13,4. 657 AGOSTINO, Ad inquisitiones Ianuarii, seu Epistola 55, liber II, cap. 21 ¶ 39. tom. II, c. 190B. 323 conosca il numero delle stelle o quanti sono i granelli, non dico dell‟arena, ma del frumento, o quante mele pendano dall‟albero... Diversa è la scienza di cui da noi vuole la conoscenza... si tratta della scienza che riguarda la legge di Dio. Dirai: – E chi può conoscere cosí bene la legge da averne la pienezza della conoscenza e dirsi sede di Dio ? – Non volerti spaventare. Ti dico in breve cosa devi avere per possedere la pienezza della scienza ed essere sede di Dio. Dice l‟Apostolo “Pienezza della legge è la carità”658. Capito? Non hai piú scuse. Interroga il tuo cuore e vedi se c‟è carità. Se c‟è carità, c‟è la pienezza della legge, e già in te abita Dio, sei già sede di Dio659. [Dicendo l‟Apostolo] “La lettera uccide, lo spirito vivifica” 660, pare che condanni l‟una e lodi l‟altro. Ma dicendo “la lettera uccide”, intende la lettera da sola, priva della grazia. Rifacciamoci all‟altra espressione “La scienza gonfia”661. Condannata qui la scienza? Difatti se gonfia, è meglio restare incolti. Ma, poiché aggiunge: La carità invece edifica, ci dà ad intendere che la lettera uccide se è senza lo spirito, se con lo spirito vivifica e ci rende osservanti della lettera. Cosí la scienza: senza la carità gonfia, con la carità edifica662. I brani sopra riportati ce li compendia in una sola riga lo stesso Agostino: “Scientia, quamvis ad legem Dei pertineat, si in aliquo sine caritate fuerit, inflat et nocet”663. Ho riportato di proposito un buon numero di passi agostiniani, e potrà sembrare si sia esagerato, per giustificare una mia conclusione: i consigli del Frassinetti ai giovani chierici, già fatti suoi, sono un distillato del pensiero di Agostino, ma lo stile è del Frassinetti, il che sta a dire che non solo aveva letto i passi, ma li aveva tanto ripensati da assimilarseli fino a farli sostanza del suo stesso pensiero, fino al punto 658 Rm 13,10. 659 AGOSTINO, Enarratio in Psalmum 98, Sermo ad plebem tom. VI, c. 340D. 660 Rm 4,15. 661 1 Cor 8,1;13,4. 662 AGOSTINO, Sermo in die Pentecostes, tom. VII, c. 1099B. 663 ID., Contra Cresconium donatistam, Liber I, cap. 25, § 30, tom. XII c. 511AB: “La scienza, anche se riguarda la legge di Dio, in chi è privo di carità, gonfia e nuoce”. 324 che, se non si ha fresca la lettura d‟Agostino, non se ne avverte minimamente la dipendenza. Prima di chiudere il capitolo, un ultimo consiglio del Frassinetti ai giovani, oggi non privo di attualità, parendo non degno d‟essere letto un libro che in copertina non porti l‟indicazione di nuovo o, se si tratta di commenti biblici, la locandina non ci prometta una nuova chiave di lettura. Nessuna condanna del nuovo, per carità!, ma un po‟ piú di modestia e d‟umiltà, per restare ai consigli di sant‟Agostino, non dispiacerebbe. Almeno, nell‟avanzare un‟ipotesi, lasciare l‟impressione che è solo un‟ipotesi, e non certezza. Soprattutto però, chi si dà agli studii ecclesiastici tema la novità, la quale fu sempre, rispetto alle materie ecclesiastiche, la primogenita della superbia. Ciascuno ama i propri ritrovati e li vorrebbe vedere accolti. Nelle materie profane il danno sarà poco importante, com‟esse sono; ma in quelle, delle quali parliamo, sarà di gran conseguenza, come son esse. Per recare cose nuove alla Chiesa vi vuole una speciale missione di Dio e sarebbe cosa troppo pericolosa il supporre di averla664. Questi consigli, che abbiamo preferito mantenere uniti, ci servano di introduzione agli studi di teologia del nostro Servo di Dio. CAPITOLO XXII LO STUDENTE DI TEOLOGIA 664 G. FRASSINETTI, Ivi, pp. 5-9. Si metta a raffronto quest‟ultimo paragrafo con la pagina che il Newman scriverà di lí ad un quarto di secolo e da noi riportata nel capitolo introduttivo p. XVIII. 325 Prospetto del corso degli studi del Frassinetti Anno ±1811-1815 ±1815-1817 ±1817-1819 Corso Elementari I e II grammatica I e II umanità Insegnanti P. Angelico [Non si sa se ebbe anche altri insegnanti. Don Paolo Rebuffo per umanità?665. Se sí, privatamente, non in 1819-1820 1820-1821 1821-1822 1822-1823 1823-1824 1824-1825 I rettorica II rettorica I filosofia II filosofia I teologia II teologia seminario] Sant‟Antonio M. Gianelli Sant‟Antonio M. Gianelli Can. Girolamo Valentini Can. Girolamo Valentini Can. Marco Decotto | [Gaetano De Albertis] Can. Marco Decotto | Can. Giuseppe Massa 1825-1826 1826-1827 III teologia IV teologia Can. Decotto - Can. Gir. Bolasco | Can. Massa Can Girolamo Bolasco | Can. Giuseppe. Massa Prima di passare a parlare della scuola di teologia è bene avere presente il prospetto del corso degli studi del Frassinetti. È qui dato completo dal suo primo sillabare alla conclusione degli studi666. 665 C. OLIVARI, Il Servo di Dio G. Frassinetti..., p. 22; G. Capurro, Alcune memorie..., manoscr., p. V, lo fanno alunno del Rebuffo. Ma all‟uno e all‟altro è sfuggito il passo dove il Frassinetti afferma di essere andato in seminario il 1820 [=1819-1820] per la “Rettorica”. Cfr. nota seguente. Avendolo creduto andato a studiare “Umanità” in seminario, insegnata dal Rebuffo, dedussero che fu suo scolaro. Il Rebuffo fu buon letterato, professore all‟università e, con don Antonio Bacigalupo, direttore del Giornale Ligustico, ma solo nominalmente, essendo direttore di fatto, nonché redattore, lo Spotorno. 666 Il prospetto sembra contraddire quanto il Frassinetti dichiara di se stesso: “Posso parlare del [seminario] dall‟anno 1820 nel quale anno sono andato a studiarvi Rettorica” – G. FRASSINETTI, Sulla deficienza delle vocazioni allo stato ecclesiastico, Genova 18702, p. 35 – data che pare confermata dagli elenchi degli alunni di “Rettorica” membri dell‟Accademia degli Ingenui. Con un‟affermazione cosí esplicita è facile cadere in errore, come io stesso vi sarei caduto, se non ne fossi stato corretto dallo stesso Frassinetti che, nella raccolta delle lezioni del terzo anno di teologia, pone la morte del Decotto nel gennaio del 1826, quindi era l‟anno scolastico 1825-1826, e non il successivo, come sarebbe stato se avesse iniziato “Rettorica” nel 1820. Perciò la data di questa raccolta di lezioni va letta:1825-1826, anche se vi troviamo scritto solo 1826. Allo stesso modo quel 1820 va letto: anno scolastico 18191820. Che cosí vadano lette le altre date che troviamo nel frontespizio e nel colophon delle altre raccolte di lezioni, ce lo conferma una sua nota nell‟ultima pagina dell‟Ordo ad divina officia dell‟archidiocesi di Genova del 1827, l‟anno della sua ordinazione, in cui memorizza le date della sua ascesa all‟altare: “Ego Joseph Frassinetti... anno Domini 1824 die 11 ma 326 Si è parlato a lungo dell‟internato del seminario, della scuola di “Rettorica” e di filosofia, ma non ancora di ciò che fa del seminario la sua ragione di essere: la scuola di teologia. Se la disciplina e la formazione che si dava nell‟internato del seminario genovese era quello che abbiamo visto che era, la scuola era buona, specie quella di teologia. Merito del cardinal Spina. È facile dare un giudizio non equo d‟un uomo se non se ne considerano tutte le sfaccettature. Se il cardinal Spina fosse vissuto un quarto di secolo prima avrebbe lasciato memoria di gran signore, di buon diplomatico, buon pastore, ma soprattutto lo ricorderemmo grande per la sua inesauribile carità. Si trovò invece a vivere nel turbine della Rivoluzione francese senza avere il cuore d‟un Ambrogio di Milano, d‟un Atanasio o d‟un Giovanni Crisostomo. Con Napoleone fu debole, troppo debole, ma è pur vero che seppe riversare il frutto della sua arrendevolezza a favore della chiesa genovese, come è pur vero che, non ancora cardinale, era riuscito ad ottenere la salma di papa Pio VI, che aveva seguito in esilio e ne aveva raccolto l‟ultimo respiro, e portarla a Roma. Appena fatto pastore dell‟archidiocesi genovese, riuscí pure, col favore di Napoleone, a riaprire il seminario667 e a riorganizzarne le scuole affidando la cattedra di teologia ad un ex gesuita, Antonio Signorotti, ex per essere stata sciolta la compagnia. All‟epoca il “lettore” di teologia insegnava tutta la teologia, sia dogmatica Aprilis... habitum clericalem indui... theologiæ curriculi anno 1mo sub Lectore Marco Decotto”, quindi quel MDCCCXXIV della raccolta delle lezioni dell‟Annus 1mus Curriculi Theologiæ Dogmaticæ va letto 1823-1824. Sempre nella stessa nota: “Anno 1827... die 31 Martii ad sacrum Subdiaconatus Ordinem promotus fui... anno IV curriculi sub lectore Hieronimo Bulasco”. Frequentò quindi anche il quarto anno di teologia – non sempre e non a tutti era richiesto – nel 1826-1827. In quel 1827 sarà pure ordinato sacerdote il 22 settembre. 667 Lo Spina si serví del seminario anche per imboscarvi non pochi giovani per niente vogliosi di andare ad immortalarsi sui campi di battaglia, avendo concesso Napoleone l‟esenzione dal servizio militare ad un dato numero di seminaristi, numero che veniva fissato dal governo. Quando il seminarista Gianelli si rivolse al suo vescovo per esservi incluso, le esenzioni disponibili erano già state tutte assegnate a giovani di Genova. Cfr. G. GIANELLI, nipote del Santo, nel manoscritto Osservazioni intorno alla Vita di Mons. Antonio Gianelli scritta da don Fedele Luxardo, pp. 388 (ACGSG). Lo stesso Spina della famosa pastorale in cui aveva esortato i giovani ad arruolarsi,come il Pareto, anche lui e tanti altri, diceva sí e, se poteva, faceva volentieri no. La presenza in seminario di questi schivaschioppo, per usare un vocabolo del Gianelli, spiega, per la sua parte, il poco spirito ecclesiastico che vi si era instaurato: Maiora premebant! 327 che morale ed il quanto bastava delle altre discipline che si facevano rientrare o nell‟una o nell‟altra. Uno studio meno profondo delle singole materie, certo, alcune appena accennate, altre del tutto ignorate. In cambio v‟era unità d‟insegnamento. Un sol professore che, se nella morale mostrava il peccato, nei trattati della grazia e dei sacramenti mostrava i mezzi per ottenerne la purificazione e per non ricadervi; in quello d‟ascetica l‟invito ad una maggior perfezione... Non sempre oggi, con la moltiplicazione delle cattedre, s‟incontra un professore che ricomponga ad unità le varie discipline, né ogni alunno è capace di operare da sé la grande sintesi. La scelta fu felicissima, soprattutto se si pensa cosa era stato quell‟ insegnamento nel decennio precedente, prima ancora che calassero i francesi. A Genova il movimento giansenista era già ben radicato. Al Degola e al Molinelli, per citare due dei maggiori, s‟era aggiunto il Palmieri, dovuto fuggire di Toscana, uno dei piú attivi nel Sinodo di Pistoia e nell‟Assemblea di Firenze. Il vescovo di Colle Val d‟Elsa, il senese Nicolò Sciarelli, scriveva il 4 novembre 1793 al Degola: Non sono le sue le prime consolanti nuove dei progressi che la verità fa in questa fortunata città. I Molinelli e i Degola sembrano i forti atleti suscitati in questi giorni di combattimento per difenderla. Io invidio queste felici diocesi, dove almeno la verità non è incatenata e tenuta in silenzio e schiava668. Dal 1784 al 1792 la cattedra di Teologia era stata tenuta da Giovambattista Lambruschini669, di dottrina buona e sicura. In quegli anni il 668 Per questa, e per altre citazioni di cui non si dà la fonte, si intende rinviare a A. COLLETTI, La Chiesa durante le Repubblica Ligure, Genova 1950, da cui a p. 9 si attinge questa citazione. 669 Non si confonda col il fratello minore Luigi, barnabita, (1776-1854), arcivescovo di Genova, nunzio a Parigi, cardinale segretario di Stato di papa Gregorio XVI dal 1836 al 1846, e tra i papabili nel conclave in cui venne eletto Pio IX (ebbe 15 voti al primo scrutinio, ma alla sua elezione s‟oppose il gruppo capeggiato dal card. Giovambattista Bernetti (17551827). Giovambattista Lambruschini aveva pubblicato in Genova due riassunti di morale (1788) e un trattato sulla grazia (1789), destando allarme nel governo repubblicano per le tesi contrarie al Sinodo pistoiese. Fatto vescovo di Orvieto nel 1807, preferí l‟esilio piuttosto che prestare giuramento a Napoleone. Altri due fratelli sacerdoti non fecero notizia, cosí due sorelle suore e altre due non sposate che convissero con i fratelli sacerdoti. Raffaello Lambruschini (1788-1873), anche lui sacerdote, a cui i nostri testi di filosofia e di pedagogia non mancano di consacrare un paragrafo o di farne almeno un cenno, fu nipote dei precedenti, 328 giansenismo non ebbe accesso in seminario. Nel 1792, divenuto il Lambruschini priore delle Vigne, il vescovo Lercari affidò la cattedra di teologia a Stefano de Gregori, uno dei piú bei nomi del giansenismo genovese e già alunno del Molinelli. Subito cessarono le battaglie antigiansenistiche che nei tempi del Lambruschini avevano avuto ripercussioni anche in città. Il non parlarne era la via scelta per favorirlo. Con Stefano de Gregori l‟eresia stava prendendo tanto piede che il vescovo Lercari nel 1795, al riaprirsi delle scuole, cercò di porvi riparo licenziandolo e chiamando a succedergli Gerolamo de Gregori, già alunno del Lambruschini, non ancora sacerdote, perciò detto con disprezzo il bambolo! Alla calata dei francesi per i giansenisti cominciarono i tempi d‟oro. Subito pretesero il richiamo di Stefano de Gregori e l‟ottennero, ma non riuscí a portare a termine l‟anno scolastico. Intanto gli eventi precipitarono, il seminario fu dovuto chiudere e cosí rimase fino al 1803, quando fu potuto riaprire dallo Spina670. Da buon diplomatico, lo Spina evitò di urtare i giansenisti prendendoli di petto, anzi sembrò prestar loro una qualche simpatia, ma senza affidar loro incarichi di sorta671. Per la teologia, per esempio, non convocò Stefano de Gregori, bensí un ex gesuita, il Signorotti, il quale, anche se non tenne a lungo la cattedra, restò punto di nato dal loro fratello Pasquale, l‟unico sposato dei nove. Raffaello fu l‟antitesi dello zio piú famoso e viene da chiedersi se, almeno in cuore, non sia stato piú protestante che cattolico. 670 Dovendo trattare ampiamente del giansenismo nella seconda parte, qui mi limito a rinviare al COLLETTI su citato, pp. 9-18, da cui ho sunteggiato e dove si hanno i rinvii alle fonti. 671 Il nipote del Gianelli, nelle sue Osservazioni intorno alla vita dello zio scritta dal Luxardo, su citate, a p. 417 postilla l‟affermazione a p. 57 sui parteggiani della eresia gianseniana (sic) con una nota rivelatrice: “[Il Gianelli] piú di una volta ricordò co‟ suoi commensali Borgone e Molinari di codesti settari assai scaltri e diceva che il Card. Spina li conosceva benissimo come accorto, prudente e fino che egli era, e che a questi non diede mai nessun beneficio per minimo che ei fosse, né pure una sola parola o complimento. Aggiungeva inoltre, che quando il celebre Palmieri trovavasi all‟udienza del Cardinale, bisognava che tutti quelli che desideravano di parlargli aspettassero delle ore e che tanti e tanti, annoiati da sí lunga anticamera, se ne partivano, come una volta fece egli stesso, dicendo: “Oh! Se vi è lui, possiamo andarcene”. Sembrava proprio, ei diceva, che il Cardinale non avesse altro da fare, giacché tanto e poi tanto lo intratteneva colle sue belle parole, maravigliandone molti assai, ma non cosí quelli ch‟erano a giorno della faccenda o arte del Cardinale medesimo”. 329 riferimento a non pochi ecclesiastici genovesi per un buon mezzo secolo. I primi professori, che meritarono tanto applauso e salirono in tanta fama, – leggiamo in un manoscritto del Colletti - furono l‟ex gesuita abate Antonio Signorotti, don Gerolamo Bolasco, l‟ex carmelitano, canonico teologo della Metropolitana, Marco Decotto e il rettore di S. Marco Felice Levrero672. Il Signorotti tenne la cattedra di teologia dal 1803 al 1805, anno in cui venne sdoppiata. A lui rimase quella di dogmatica, quella di morale fu assegnata al Decotto. Alla morte del Signorotti, 1809, la cattedra di dogmatica fu affidata a Girolamo Gavino Bolasco, che nel 1811, piuttosto che prestare il giuramento di sostenere le tesi gallicane, preferí abbandonare l‟insegnamento673. La dogmatica venne assegnata al Decotto, che la tenne fino alla morte avvenuta il 29 gennaio 1826; la morale al Levrero, che la tenne fino al 1821. Morto il Decotto, fu richiamato il Bolasco ad insegnare dogmatica e tenne la cattedra fino al 1852. A morale, dopo un triennio con Gaetano De Albertis, troviamo dal 1824 al 1842 Giuseppe Massa. Il nostro Frassinetti avrà il Decotto ed il Bolasco per la dogmatica ed il Massa per la morale. Se la morale si studiava fin dall‟inizio del corso teologico, per un anno ebbe anche Gaetano De Albertis. Torniamo al manoscritto del Colletti: 672 A. COLLETTI, Storia ecclesiastica genovese del sec. XIX, manoscritto conservato nell‟ASG, cap. III, p. 2. Nella pagina precedente leggiamo : “Il Tagliafico – il parroco di Santo Stefano napoleonista? –, lo Sconnio e il Ferreri lodano il Card. Spina d‟aver dato ai giovani, come aveva promesso, maestri dotti, prudenti e religiosissimi”. 673 Questa la sostanza dei quattro articoli della Declaratio Cleri Gallicani del 1682: 1. Si riconosce, almeno formalmente, la piena autorità del papa in campo spirituale, ma si rigetta ogni suo intervento, anche indiretto, in campo temporale. 2. La piena autorità del papa nello spirituale va intesa nel modo in cui fu dichiarata dal Concilio di Costanza – con questo richiamo si riconosceva la validità di quel concilio negata dalla Chiesa e si affermava la superiorità d‟un concilio sul papa –. 3. Le consuetudini ecclesiastiche sono inviolabili, e con ciò si negava al papa, non ostante la piena autorità che gli si riconosceva nello spirituale, di interferire nella chiesa di Francia. 4. Per ciò che riguarda le cose di fede la parte principale tocca al papa, ma, per essere irriformabile ed obbligante, deve avere il consenso della Chiesa, quanto dire dell‟autorità civile. Napoleone inserí furtivamente questi quattro articoli negli articoli organici abusivamente aggiunti al Concordato del 1801 e ne pretese il giuramento da chiunque ricevesse un incarico ecclesiastico o un grado accademico in teologia. 330 Questi nomi [Signorotti, Bolasco, Decotto, Levrero] debbono essere pronunciati con riverenza, perché non solo tolsero il Seminario dalla passata abiezione, ma vi iniziarono una tradizione splendida e incorrotta di studi sacri, che tuttavia dura, e formarono uomini egregi che furono l‟onore e la difesa della chiesa genovese. Ma sovra tutti s‟innalza l‟abate Signorotti. Nessuno come lui meritò gli insulti del partito giansenista, nessuno piú di lui fu da essi odiato. A lui spettano i primi onori nell‟ultima battaglia e nella finale vittoria che i buoni riportarono in Genova sul giansenismo...674. Da principio ebbe l‟insegnamento dell‟intera teologia, dogmatica e morale. I suoi trattati675, specialmente i dogmatici, sono veramente esimi per eleganza di stile, chiarezza di esposizione, profondità di dottrina ed erudizione vastissima. La Santa Scrittura, i Padri, i Dottori, i Santi e la Storia ecclesiastica vi sono usati con tale perizia ed abbondanza che in un manuale 674 Detto in modo cosí assoluto, si potrebbe restare con l‟impressione che in Genova il giansenismo fosse stato spento fin dagli inizi del secolo, come purtroppo non fu. Dovremo riparlarne a lungo nella seconda parte per le lotte sostenute dal nostro Frassinetti, lotte tutt‟altro che di poco conto. Se ne ha una riprova nel misero concorso degli Stati Sardi nella raccolta di fondi per la causa di canonizzazione del beato Alfonso Maria de‟ Liguori. Il cardinale Carlo Odescalchi, penitenziere maggiore, in data 21 novembre 1828, aveva inviato una lettera circolare a tutti i vescovi a tale scopo. Questo il risultato secondo una lettera del redentorista p. Mautone al p. Loggero degli oblati del Lanteri in data 6 luglio 1829: “Io non ho avuto altra elemosina da questo Regno [Sardo: Savoia, Piemonte, Nizzardo e Liguria] che quelle partite favoritemi da lei nella somma di scudi 170. Dal Teologo Guala... scudi 83,52. Dal Vescovo di Acqui, Carlo Giuseppe Sappa di scudi 12,00, e finalmente dal Vescovo di Sardegna di sc. 45,00 e di Ogliastro anche in Sardegna, Serafino Carchero, di sc. 25”. Cfr. P. CALLIARI, Carteggio del Ven. P. Pio Brunone Lanteri (1750-1830), vol. V, Torino 1975, pp. 284s. La pochezza di queste offerte non dimostrano un grande interesse per la glorificazione del Beato Alfonso da parte dei vescovi. Nel 1840 le cose non erano gran che cambiate. Il 4 aprile di quell‟anno il Gianelli, già vescovo di Bobbio, scriveva da Torino al Frassinetti: “Non ho perduto di vista la vostra esortazione di mettermi cioè in relazione con altri vescovi e vedere di andare d‟accordo nel modo di fare il bene. Non vi dico essere questa la cosa piú facile, perché, quantunque tutti lo vogliano, il modo stesso sempre non piace a tutti. Qui vi è tanta maggior difficoltà in quanto le dottrine di S. Alfonso non sono ancora vedute di buon occhio, non solo dai giansenisti che qui abbondano, ma anche dai buoni cattolici, perché tutti formati sulla sesta del rigorismo. Aggiungete che per la Santa Sede, tutti ne voglion ben poco: Affezionati sí, ma sicut in quantum (mio il grassetto). Spero che molto potrà giovare ed influire la presenza del Nunzio Apostolico. AF, Lettere del Gianelli. Si noti l‟alunno che consiglia chi gli fu maestro. 675 Anche il Signorotti dettava le lezioni. Il Colletti, mentre scriveva, aveva “sul tavolo alcuni dei suoi trattati”. 331 di scuola piú non si può desiderare. V‟è un‟ampiezza di respiro che conforta, una sicurezza di dottrina che allieta, un‟energia placida e contenuta che riposa. Di piú l‟autore è pieno d‟amore e di venerazione a S. Tommaso che assai spesso interroga ed ascolta... La gran stima che suscitò il suo insegnamento, a dire del Prof. Fedele Luxardo, che fu contemporaneo di ciò che narra676, fu tanta che i professori successivi per un cinquant‟anni lo tennero quale testo di scuola, e questi sono il sac. Gerolamo Bolasco, il canonico Decotto, il canonico Gerolamo Vanneses e il Magnasco... Poi, nel turbamento che produssero in Genova le agitazioni politiche a metà del secolo, e lo stesso governo del savoiardo mons. Andrea Charvaz, il Signorotti fu abbandonato e cadde in oblio... eppure il Signorotti avanza di gran lunga tanti manuali che si adottarono in seguito... Se il Signorotti avesse dato alle stampe il suo manuale! Stando alle affermazioni del Colletti, appoggiate su l‟autorità del Luxardo, dovremmo concludere che le lezioni raccolte dal Frassinetti dalla bocca del Decotto erano le stesse che aveva dettato il Signorotti. Per poterlo affermare dovremmo poter disporre dei trattati del Signorotti che possedeva il Colletti e raffrontarli. Stento a crederlo, perché il Decotto non avrebbe dettato come cosa propria ciò che in realtà era del Signorotti. Propino invece a credere che vi fossero non poche copie del Signorotti in giro e che il Decotto ed il Bolasco, come in seguito il Magnasco, lo seguissero da vicino e vi rinviassero gli alunni. Il Magnasco il suo corso lo darà alle stampe677. Se il Frassinetti poté servirsi del Decotto, ed è da crederlo, avremmo individuato la persona che forse piú di tutti lo armò per la lotta al giansenismo. Difatti continua il Colletti: Il savio maestro premunisce di tutto punto gli alunni contro le insidie e le seduzioni del giansenismo... ne ribatte diligentemente i sofismi, non lascia nulla di quel tenebroso sistema che non disveli. Il Signorotti lasciò l‟insegnamento nel 1809, ottantenne, e moriva due anni appresso il 12 gennaio. Nel ritirarsi aveva indicato a succedergli il suo migliore alunno, Gerolamo Bolasco, un giovane di 26 anni che aveva appena terminato gli studi. Ma fu tale e tanta la lotta suscitatagli contro dai giansenisti che non poté tenere la cattedra piú di due anni senza scendere a 676 Fedele Luxardo 1808-1887, poco piú giovane del Frassinetti. 677 S. MAGNASCO, Institutiones Theologiæ Dogmatico-scolasticæ, tom. I: De vera religione - De Christi Ecclesia; tom. II: De Deo Uno e Trino; tom, III: De Gratia et de Verbo Incarnato, tom. IV: De sacramentis, Genova 1876-1880, pp. XIV-375, 422, 448, 521. 332 compromessi con la sua coscienza. Il prefetto napoleonico Bourdon, messo su dai giansenisti – il Degola era suo amico e “fratello”! –, lo pose nell‟alternativa: o insegnare le proposizioni gallicane o rinunciare all‟insegnamento. Rinunciò. Dal 1816 al 1826 lo vediamo prima coadiutore e poi prevosto d‟una parrocchietta d‟un mille anime, San Michele di Pagana, sita tra Rapallo e Santa Margherita. Alla morte del Decotto, che gli era succeduto nella cattedra, vi fu richiamato. Fu restio a riprendere l‟insegnamento, ma poi accettò e lo tenne fino ai suoi 87 anni. Morí due anni appresso il 27 gennaio 1872678. A pagina 133 della terza raccolta di lezioni del Frassinetti di quel 1825-1826 troviamo la nota: Hucusque Lector noster Marcus Decotto, morte correptus, absolvere non potuit huius anni lectiones. Obiit anno ætatis suæ 87, die 29 Januarii, anno Domini 1826. Sequitur tractatus ab ispo exaratus. Il Decotto aveva fatto scuola fino a tre giorni prima di morire, sempre con la stessa regolarità del primo giorno. Il Bolasco completò il trattato del Decotto sul matrimonio. Poi iniziò il suo sui luoghi teologici, come fa intendere un‟altra nota del Frassinetti a p. 224: Finis dissertationis Matrimonii et tractatuum quos habuimus a Lectore nostro Revmo et Præstmo Cañcus Theologo Metropolitanæ S. Laurentii Marco Decotto. Sequuntur Lectiones Præstmi Lectoris Hieronimi Bulasco (sic). Torniamo al manoscritto del Colletti: Marco Decotto nacque a Genova il 29 gennaio 1740 – deve trattarsi d‟un errore per 1739, essendo da diverse fonti affermata l‟età di anni 87 al giorno della sua morte, lo stesso della sua nascita: 29 genn. 1826 –. A quindici anni vestí l‟abito carmelitano scalzo679. Compiuto... il corso degli studi... fu fatto lettore. Soppressa nel 1773 la Compagnia di Gesú, concorse alla cattedra di teologia dogmatica all‟Università, ma, invece di lui, fu eletto professore Fr. Benedetto Solari che nel 1778 divenne Vescovo di Noli680. Nel 1777 fu 678 A. e M. REMONDINI, Parrocchie dell‟Arch. Di Genova, Regione III, Genova 1887, p.202. “La settimana religiosa”, II(1872), p. 38. 679 Si deve a lui, ex carmelitano scalzo passato al clero diocesano per le leggi eversive, il primo incontro del Frassinetti con la spiritualità carmelitana? 680 Un giansenista di cui s‟è già parlato quando nel 1798 partecipò al tentativo di eleggere in Genova un vescovo scismatico, naturalmente giansenista. 333 nominato professore di logica e metafisica all‟Università e venne aggregato al Collegio Teologico di S. Tommaso... Nel 1791 succedette al P. Cirillo Capozza, Carmelitano scalzo, nell‟insegnamento della dogmatica. Nel 1797 fu colto dalla tempesta rivoluzionaria, ma non ne fu travolto e non venne, come altri, privato della scuola. Soppressi gli ordini religiosi, depose l‟abito carmelitano... Unita Genova alla Francia, la facoltà di Teologia fu soppressa in forza della legge del 4 luglio 1805... il Decotto, col nuovo anno scolastico, passò ad insegnare morale in seminario... Nel settembre dell‟anno precedente era stato eletto canonico teologo della cattedrale... Il Decotto riscosse fama di profondo teologo e, averlo avuto esperto maestro, era un onore; e, perché egli godeva la stima e l‟amore universale, nessuno osava dire di lui una mala parola. Parlando di Marco Decotto, non ci si può non porre una domanda a cui io non sono in grado di dare una risposta: prestò quel giuramento che il Bolasco aveva rifiutato di fare? Oppure il giuramento fu solo un pretesto per allontanare dalla cattedra una persona invisa ai giansenisti e, ottenuto quel che si voleva, per un successore non inviso si scordarono di pretenderlo? Avrà anche lui saputo pagare un piccolo tributo, quale poté essere quella sua proposizione sulle indulgenze che collimava con quella del Sinodo di Pistoia? Poteva bastare per sentirsi dire: “Lasciate fare, troverem modo di far credere che abbiate giurato e vi dispensiamo da questa gravosa cerimonia”?681. Giocò a suo favore la propizia assenza del prefetto Bourdon da metà marzo al primo giugno di quel 1811? 681 Pio Brunone Lanteri, in una lunga lettera del 12 gennaio 1814 con cui cerca di dissuadere un nipote fittizio che avrebbe dovuto prestare il giuramento se avesse voluto conseguire il grado di baccelliere in teologia, ci dà un esempio di come pacificavano la coscienza quei che lo avevano prestato e degli argomenti ed astuzie con cui cercavano di convincere altri a prestarlo: “Non vi lasciate per pietà ingannare né dalla moltitudine, né dall‟autorità degli Avversarj… Se l‟argomento del numero senza la ragione valesse, avrebbe dovuto Elia piegar le ginocchia innanzi a Baal...”. Non solo non deve giurare, ma neppure ricorrere a quelle astuzie con cui si pensava di salvare carriera e coscienza: “I vostri teologi, per conciliare il rispetto all‟Autorità pontificia e il desiderio o dell‟onore dei gradi, o del favore dei Superiori... [vi] dicono: potete inserire due delle proposizioni Gallicane nelle tesi – potete farlo con parole ambigue – (ed osservate di scegliere quelle che danno meno nell‟occhio); sicuramente gli Argomentanti... non vi interrogheranno su questo punto, né voi sarete per conseguenza astratto a difenderle; ed ecco che salvate la capra e i cavoli; contentate chi ha da passare le vostre tesi, non andate contro il Sommo Pontefice, che proibisce il difenderle, e quanto a sottoscriverle, lasciate fare, troverem modo di far credere che abbiate giurato e vi dispensiamo da questa gravosa cerimonia”. E poi “le tesi gallicane erano 334 Nei trattati raccolti dal Frassinetti alla sua scuola appare che il Decotto non rigettasse l‟ultima virgola del Sinodo pistoiese, né andasse del tutto immune da ombre di dottrine non consone con la tradizione cattolica. Lo notano i teologi revisori degli scritti raccolti dal Servo di Dio. Il sesto teologo censore osserva che l‟insegnamento del Decotto sulle indulgenze plenarie non è conforme alla dottrina della Chiesa per troppa rigorosità (Vol. XXIV, pp. 341 e 388). Nota pure la tesi che il potere civile, di propria autorità, può fissare impedimenti dirimenti al matrimonio civile, purché non contrari al diritto di natura (Vol. XXIV p. 214) 682. Anche il settimo teologo censore critica due volte la definizione di indulgenza (Vol. XXIV, pp. 303.307) ed aggiunge che tale definizione ripete la proposizione 40 del Sinodo pistoiese condannata da Pio VI con la costituzione Auctorem fidei683. Cosa avvertita dalla stesso Frassinetti, benché alunno del primo anno di teologia, se in fondo allo stesso volume XXIV, a chiusura del trattato sulle indulgenze, pag. 393, sente il bisogno d‟aggiungere una nota firmata auditor, di cui do la traduzione: È da notarsi che quella definizione “L‟indulgenza altro non è se non la remissione della pena ingiunta” non si può tenere essendo stata condannata con la bolla Auctorem Fidei la proposizione 40 del Sinodo di Pistoia. La proposizione del Sinodo infatti suona cosí: “L‟indulgenza, secondo la sua precisa natura, altro non può essere se non la remissione al peccatore di parte della penitenza fissata dai canoni”. Questa proposizione è stata condannata “come se l‟indulgenza, fuori della pura remissione della pena canonica, non sia in grado di rimettere anche la pena temporale dovuta alla divina giustizia per i peccati attuali”, [io], uditore, ho visto la questione in modo diverso [dal professore]684. riprovate, ma non espressamente condannate”. Cfr. P. CALLIARI, Carteggio..., vol. V, Torino 1975, pp. 421-428. 682 POS.SV.SS, p. 24. 683 Ivi. 684 Penso debba cosí sciogliersi l‟espressione concisa: Hoc alias animadverti auditor. Questa nota ci offre l‟occasione per dare un saggio dell‟evoluzione del pensiero del Frassinetti. Tornerà a parlare delle indulgenze nel suo Compendio della teologia dogmatica, Genova 1842, pp. 216-219. La definizione diventa: “[L‟indulgenza] è una remissione della pena temporale che resta a scontarsi perdonata la colpa, la quale si fa fuori del Sacramento da chi ha la facoltà di dispensare il tesoro spirituale della Chiesa”. Spiega parola per parola la definizione e poi continua: “[Le indulgenze] altre sono plenarie, ed altre parziali. Le plenarie rimettono ogni pena temporale dovuta alla Divina Giustizia;... le parziali ne rimettono una parte corrispondente o a 40 giorni, o a 7 anni ecc. di pena ingiunta” e passa a spiegare cos‟è la 335 Né è l‟unico punto in cui l‟alunno prende le distanze dal professore, l‟auditor dal lector. Alla proposizione 111 del vol. XXII, pp. 91-95, in cui si afferma che Dio non offre di fatto alcuni aiuti della grazia interiore sufficiente a tutti i reprobi, appone una sua noticina: “Bisogna ritenere fuori d‟ogni dubbio che Dio offre di fatto a tutti gli uomini senza eccezione le grazie necessarie per la salvezza” e rinvia al trattato De Deo, purtroppo a noi non pervenuto685. Osservazioni che ci rivelano un Frassinetti non ricettore passivo della parola del maestro. Nel manoscritto del Colletti abbiamo letto: Nel 1797 [il Decotto] fu colto dalla tempesta rivoluzionaria, ma non ne fu travolto e non venne, come altri, privato della scuola... cosa singolare, i giansenisti non lo fecero oggetto dei loro sarcasmi, come solevano fare coi loro nemici. È da pensare che i giansenisti, non potendo mettere su quella cattedra uno dei loro, avranno pensato l‟ex carmelitano un minor male, ed il Decotto a sua volta avrà evitato di farseli nemici attaccandoli frontalmente come avevano fatto il Lambruschini, il Signorotti ed il Bolasco. Né dovette darsi cura di smentire le voci che circolavano sulle sue simpatie per le cose nuove, se nell‟Informazione di polizia sull‟ambiente ligure (1814-1816), alla voce: Preti, leggiamo: “Decotto. Canonico, Teologo di S. Lorenzo. Era monaco Carmelitano. È del partito democratico ed appartiene all‟Indipendenza”686. pena ingiunta: “Anticamente i canoni stabilivano per molti peccati una penitenza o di giorni o di anni... queste penitenze si chiamavano pene ingiunte. Adesso non si prescrivono piú, ma quando si dà un‟indulgenza di 40 giorni, di 7 anni, ecc., si rimette tanta pena temporale quanta ne sarebbe stata rimessa al penitente se avesse adempiuto una pena ingiunta di 40 giorni, di 7 anni, ecc.”. Nell‟ultima edizione da lui curata (VI, 1865 – dalla II col titolo di Catechismo dogmatico – pp. 292-295), non muta parola. L‟anno dopo, pubblicò la seconda parte del suo Compendio di Teologia morale dove tratta delle indulgenze da p. 211 a p. 216. La definizione è cosí mutata: “L‟indulgenza è una grazia colla quale, mediante l‟adempimento di un‟opera prescritta, si rimette la pena temporale dovuta ai peccati. L‟indulgenza si conferisce ai sudditi a modo di assoluzione; e ai defunti a modo di suffragio... L‟indulgenza parziale libera da una parte della pena dovuta; la plenaria libera da tutta la pena...”. Definizione rimasta inalterata anche nelle edizioni successive da lui curate, né piú si parla di giorni, di anni e di pene ingiunte. 685 Ci è pervenuto un quaderno, deturpato dai topi, intitolato De Deo, ma non suo, per la data 1830-1831 e la diversa calligrafia. Del fratello Giovanni?. 686 In Miscellanea storica, già cit., V. VITALE, Informazione..., Genova 1933, p. 451. 336 Il nostro Frassinetti ebbe quindi due professori di dogmatica, prima Marco Decotto, fino a tutto il primo trimestre del terz‟anno, poi Geronimo Bolasco, i due che tennero la cattedra di dogmatica per un buon sessantennio. A questi vanno aggiunti i professori di morale. Due, se le lezioni gli vennero impartite per l‟intero corso: il primo anno Gaetano De Albertis, negli altri tre Giuseppe Massa, che tenne la cattedra dal 1824 alla morte (1788-1842). Del Massa sappiamo dal Colletti che il Lambruschini, nell‟affidargli la cattedra, gli aveva raccomandato di non discostarsi da san Tommaso 687. Lo Spotorno nell‟elogio funebre vide trasfuso in lui lo spirito di sant‟Alfonso, ma dovette avvertire di aver esagerato, se poi soggiunse in quel suo italiano leccato che lo faceva cosí famoso: Or giunto a quest‟ultimo punto del mio favellare, parmi udir voce, non già nimica, né oltraggiosa, ma pur voce di modesta querela, ed è che il Massa ne‟ suoi principi di morale Teologia pendesse al rigido opinare anziché al benigno... Ardirei io profferir parola di biasimo contr‟ad una o contr‟ad altra delle scuole cattoliche, le quali il Maestro supremo dei fedeli non ha mai riprovate?... Egli era austero nelle sue istituzioni (e ciò consigliano i saggi trattandosi di porre i fondamenti delle discipline), era buono e retto di cuore e scorto nell‟operare dalla carità evangelica688. L‟autore di morale, a cui un po‟ tutti si rifacevano, era l‟Antoine 689. Ci può fare luce su questa scelta ciò che accadeva alla facoltà di teologia dell‟università di Torino in quegli stessi anni in cui il Frassinetti seguiva i corsi di teologia a Genova. La cattedra torinese di teologia morale dal 1817 al 1829 fu tenuta dal sacerdote sardo Giovanni Maria Dettori, amico ed estimatore dei giansenisti genovesi Degola e Palmieri, e come loro anch‟egli giansenista. Un suo alunno fu il Gioberti. Tra il 1823 e il 1827 il Dettori aveva pubblicato a Torino le Theologiæ Moralis Institutiones in sei volumi in cui criticava aspramente il probabilismo, la teologia del Liguori ed il Convitto ecclesiastico del Guala. Né dalla cattedra risparmiava l‟infame probabilistarum pecus. Il testo delle Institutiones fu mandato alla 687 A. COLLETTI, Ausonio Franchi e i suoi tempi, Genova, 1925, pp. 17-19. 688 GIOV. BATTISTA SPOTORNO, Nelle solenni esequie del M. R. D. Giacomo Giuseppe Massa prof. di Teologia Morale, Novi Ligure 1842, pp. 15-17. 689 Padre Luigi Persoglio, che agli inizi degli anni Cinquanta del secolo scorso era studente di teologia nel seminario di Genova, afferma in una sua testimonianza: “Ben pochi seguivano sant‟Alfonso, in parte [seguivano], specie i vecchi, l‟Antoine”. 337 Congregazione dell‟Indice – si pensò che fosse stata la regina Maria Cristina, nemica dei giansenisti e fautrice di sant‟Alfonso –. La Congregazione dell‟Indice non lo allontanò dalla cattedra, ma gli impose di “cancellare dalla sua opera tutto ciò che per inavvertenza potesse esservi trascorso di dispiacere alla stessa santità Sua” e di adottare un altro autore “piú moderato” invece del proprio testo. Il Dettori si sottomise, anche se solo in apparenza, adottò l‟Antoine, giudicato da sant‟Alfonso valde rigidus, ma in pratica continuò a commentare il suo proprio testo. Il primo marzo 1829 il re Carlo Felice lo destitui assegnandogli la pensione annua di 1400 franchi690. La destituzione andò incontro al desiderio del Guala, e forse anche del Lanteri, ma non fu digerita dal Gioberti, che di lí a vent‟anni tornerà sull‟accaduto per esaltare il Dettori e difenderlo691, né dal professore piú prestigioso dell‟università torinese, l‟abate Amedeo Peyron, avversissimo ai gesuiti e con tendenze gianseniste e gallicane (che sapeva abilmente nascondere)692, da cui apprendiamo che ciò che valeva per Torino valeva 690 All‟epoca – si è visto – i professori del seminario di Genova percepivano lo stipendio di 300 franchi annui piú la pensione in seminario. 691 V. GIOBERTI, Il Gesuita moderno, Vigevano, 2a edizione sulla prima di Losanna 1848, vol. II, cap. V, pp. 326-332; vol. IV, p. 269 nota; vol. VI, pp. 23-28. 692 P. CALLIARI, Carteggio..., vol. III, Torino 1976, p. 163. Don Bosco, nella Storia d‟Italia, Torino, 188718, gli dedicò un ampio ritratto tra gli uomini celebri dell‟Ottocento. Non è male, di tanto in tanto, dare uno sguardo fuori della finestra per vedere cosa accade nel vicinato, per esempio, chi ai tempi del Frassinetti era considerato uomo celebre nell‟ambiente cattolico piemontese, cosí vicino a quello genovese. Don Bosco, in questa sua opera, lui vivo ristampata 18 volte, dedica al Peyron ben 4 pagine (480-484), contro le 3 per il Manzoni, le 4½ per il Canova ed il card. Mezzofanti, le 6 per il Monti ed il Pellico!, le 2 per il Denina, Carlo Boucheron ed il Rosmini, le 2½ per il Cesari ed il de Maistre, le 3 per Alessandro Paravia, nomi che per una metà non ci dicono piú nulla. Del Peyron si limita ad illustrare i meriti scientifici e di docente disenteressato. Si noti l‟inclusione del Rosmini in un momento in cui non si risparmiavano articolesse contro il brutto sistema filosofico del prete di Rovereto, buon sofista – sono solo alcuni dei giudizi gentili che si leggono nell‟annata del 1885 della Civ. catt.–. Don Bosco invece: “La filosofia… ebbe un grande cultore nell‟Abate Antonio Rosmini… fornito di acutissimo intelletto… coltivò gli studi piú severi… studiò i principali sistemi di filosofia che correvano in quei tempi… e disgustato di tutti, gli era già balenato quell‟uno (corsivo nel testo) che stringe insieme la religione e la fede… pubblicò diverse opere di filosofia… Alessandro Manzoni…, quando ebbe letto quei lavori senza aver [ancora] mai conosciuto l‟autore, ebbe a dire: Un grande uomo il cielo ha dato all‟Italia e alla Chiesa nell‟autore di questo libro…”. Né Don Bosco mancò di additare all‟ammirazione 338 per tutte le scuole dello stato sabaudo, quindi anche per Genova, dove, al tempo del cardinal Tadini, i professori di teologia del seminario erano gli stessi della facoltà di teologia dell‟università ed i corsi si tenevano per tutti in seminario, piú per evitare la presenza del vescovo nell‟università, da cui dipendevano tutti gli studi teologici, che per eliminare un doppione693 Basti questo stralcio d‟una lettera del Peyron alla Congregazione dell‟Indice nel 1828: In Piemonte le regie costituzioni dell‟università prescrivono che nel pubblico insegnamento si seguiti la dottrina di S. Tommaso e della sua scuola, e per assicurare vieppiú l‟uniformità di dottrina in tutto il regno, i dottori di teologia debbono giurare di conformarsi a tale scuola nell‟insegnamento. Quindi le scuole regie di questi stati sono tomistiche, e nella morale seguono il probabiliorismo discreto dell‟Antoine per norma (nostra la sottolineatura); ed ecco tolto ogni fomite di scandalo tra scuola e scuola; ed ecco armonia nel pratico ministero del confessionale. Ciò posto, se un vescovo... volesse costringere il regio professore di teologia ad insegnare il molinismo ed il probabilismo... rovinerebbe tutto il sistema d‟uniformità nel regno, introdurrebbe dissidi e guai tra il clero...Un vescovo per amore di parte la pronta sottomissione del Rosmini al giudizio della Chiesa quando fra la moltitudine delle sue opere… alcuna venne riprovata dalla Chiesa e messa all‟indice dei libri proibiti. A due religiosi che lo pregarono di togliere l‟elogio al Rosmini nelle successive ristampe, rispose con un secco rifiuto dicendo di aver scritto secondo coscienza. Vedi: G. ROSSI, Antonio Rosmini, vol. II, Rovereto 1959, p. 632 n. 101. 693 Leggiamo per il 1836-1837 nella già citata relazione del Cattaneo: “Già da qualche tempo correa voce dovessero rimettersi in piedi la cattedra di Teologia dell‟Università a norma dei regolamenti regi e che i professori non dovessero fare la scuola nel Palazzo dell‟Università, ma bensí in Seminario... Il canonico Bolasco Geronimo fu nominato Professore di Dogmatica, il Rdo Massa Giuseppe di Morale, il Rdo Magnasco Salvatore Profe di Speculativa ed il Rdo Oliva Giuse Profe di S. Scrittura. L‟Arcivescovo fece un regolamento... Gli scolari furono obbligati ad intervenire per tutto il corso intero alle scuole di Dogmatica e Speculativa e di piú i primi due anni alla Morale, gli ultimi due alla Sacra Scrittura e a questa solo un anno i seminaristi. Questa innovazione recò un vantaggio assai notabile al Seminario, quanto all‟economico, non dovendo piú corrispondere onorario ai Professori di Teologia; se poi altrettanto sia l‟utile quanto al profitto letterario dei giovani non è cosí facile il giudicarlo. Certo che, la molteplicità e varietà delle materie, imbarazza piú d‟uno e molti, comecché d‟ottime istruzioni e impegnati per lo studio, protestano di non poter attendere a tante scuole insieme. Il Cañco Bolasco domandò di continuare a vivere in Seminario pagando l‟annua pensione di L(nuove) 500, al che l‟Arcivescovo accondiscese”. Abbiamo quindi un aumento di cattedre. In seguito si aggiungerà anche quella di storia che sarà soppressa alla venuta dello Charvaz! Se ne riparlerà nella seconda parte. 339 vorrà spegnere il tomismo ed il probabiliorismo? Sarebbe massima imprudenza. Eppure questo è lo scopo a cui tende sordamente un pio partito dominante in Piemonte. Si stampa il Liguori e perché sia piú probabilista di quello che egli esser volle, si ricusa di inserirvi le sue ritrattazioni. Chi per la frequente comunione si attiene alla nota regola di S. Francesco di Sales, costui è un giansenista. Nell‟attrizione si procaccia di spegnere ogni scintilla d‟amore...694. Non c‟è dunque da meravigliarsi dell‟autorità che l‟Antoine godette a Genova fino a metà dell‟Ottocento, specie tra i vecchi695. Facciamo ora un breve esame della raccolta di lezioni di teologia fatta dal giovane Frassinetti. Ci sono giunti quattro volumi: tre indubbiamente suoi, e da lui stesso rilegati, XXII, XXII e XXIV della raccolta dei 694 In P. CALLIARI, Carteggio..., luogo citato, e vol. V, Torino 1975, pp. 26-29.49-51. 695 PAOLO GABRIELE ANTOINE, S.J., (1678-1743), Theologia moralis universa complectens omnia morum præcepta et principia decisionum omnium casuum conscientiæ, Nancy 1725. Ne furono fatte innumerevoli edizioni nei principali centri intellettuali d‟Europa. Metodico, pratico, chiaro, dottrinalmente preciso. Un gesuita avverso al probabilismo, ma, benché l‟avesse combattuto, i giansenisti riuscirono a trovare sentenze lassiste anche nelle sue opere e nel 1768 l‟incriminarono negli Extraits des assertions dangereuses et pernicieuses. Sant‟Alfonso ne stimò la cultura e il metodo, ma lo disse valde rigidus. Dello stesso: Theologia universa speculativa et dogmatica ad usum theologiæ. candidatorum accomodata, Nancy, 1725. Un classico diffusissimo. Cfr. DHGE Antoine, n. 293, c. 823. Un altro autore di morale, che godeva ancora d‟una qualche fama negli Stati Sardi nella prima metà del secolo scorso, senza oltrepassarne i confini, fu il professore di... geometria (!) all‟università torinese – qualifica messa bene in evidenza nel titolo della sua morale – GIUSEPPE ANTONIO ALASIA (1731-1812), Commentaria Theologiæ Moralis... in 10 volumi, Torino, 1793-1809, riedita nel 1830-1831. Se ne fece un compendio in 4 volumi, sempre a Torino, nel 1834-1835, funditus rifatto dal canonico Lorenzo Gastaldi, il futuro arcivescovo di Torino, che lo adattò alle leggi albertine ed alla dottrina di sant‟Alfonso. Invano se ne cercherebbe oggi il nome sui grandi repertori. I giudizi non sono concordi. Alcuni lo tacciano di giansenismo (il Rinieri), altri lo elogiano, pur avvertendo la sua tendenza al rigorismo, per esempio il Lanteri in una lettera dell‟ottobre del 1807 a Cesare d‟Azeglio: “La teologia morale del nostro Alasia è delle migliori tra le moderne, [ma] non lascia d‟avere molti difetti, e vi è anche del rigore, ma è tanto piú moderata delle altre, onde si può promuovere, massime in queste parti”. Quando nel 1814 il Guala – cor unum et anima una con il Lanteri – fu nominato direttore di una delle conferenze morali per il giovane clero torinese, insegnava la morale secondo sant‟Alfonso, ma il testo era quello dell‟Alasia, forse perché ne erano già in possesso essendo il testo adottato all‟Università prima del caso Dettori. Cfr. P. CALLIARI, Carteggio..., vol. II, Torino 1975, p. 222; vol. III, Torino 1976, pp. 162.362; vol. IV, Torino 1975, pp. 51.256 340 manoscritti; un quarto, il XVIII, a differenza degli altri tre volumi del corso teologico e i due del corso filosofico, ci pone diversi problemi. Cominciamo dall‟esame di quest‟ultimo. Il volume XVIII è composto di quaderni cuciti insieme senza curarne l‟ordine, alcuni certamente del Frassinetti, altri ci lasciano dubbiosi. In ogni modo, non mostrano la stessa diligenza. Vi sono inoltre inseriti anche fogli con soluzioni di casi di morale, qualche vecchio lavoretto del corso di filosofia, non che 99 versi in terza rima sulla morte di Voltaire e qualche altra poesia. I quaderni che riportano le lezioni, gli unici che qui ci interessano, dovettero essere scritti in classe sotto dettatura e poi non trascritti a casa in bella. Il primo quaderno, 34 pagine, contiene il tesario delle lezioni di tutto il corso teologico che il Decotto dictabat ad memoriæ opus ut arguendi exercitium facilius excolatur. Da pagina 35 a 86 – la numerazione è posta da chi legò insieme i quaderni – troviamo la seconda parte, o terza?, del trattato sulla visione beatifica, che il raccoglitore avrebbe dovuto porre dopo le pagine 231-298 di cui sono una continuazione. Ma la pagina 231 comincia con un hominum vidit, senza dubbio continuazione di pagine precedenti – quante? –. La scrittura la direi ancora sua, ma come di chi scrive in fretta sotto dettatura. Da pagina 87 a pagina 230, che termina con un ex, indice di perdita di pagine, il trattato De Trinitate. Da pagina 299 a pagina 404 c‟è una raccolta di solutiones obiectionum che si possono avanzare circa i sette sacramenti. Da pagina 406 a pagina 536 – numerazione del raccoglitore – cominciano le lezioni di morale, primo e secondo precetto, ma le pagine 511-536 vanno anteposte alla pagina 406. È la parte peggio scritta fino a dover dubitare sia uscita dalla sua penna. Mancano i comandamenti dal terzo al settimo. Da pagina 511 a 581 si ha l‟ottavo comandamento ed una appendix sul digiuno. Questa raccolta, non curata da lui, a differenza delle altre, non ci dice gli anni in cui le lezioni furono tenute e da chi. Dal Bolasco il De Trinitate il quarto anno? E la morale? Gli fu impartita in tutti e quattro gli anni o solo negli ultimi? Se solo negli ultimi, non avrebbe avuto per docente il De Albertis. La grande differenza che si nota tra le pagine di morale e quelle di dogmatica dei primi anni del corso teologico fa pensare che l‟insegnamento della morale sia stato rimandato agli ultimi anni. Gli altri tre volumi non presentano difficoltà. Il XXII di pagine 347 ed il XXIII di pagine 394, (primo e secondo anno di teologia) hanno il loro frontespizio ed il loro colophon sul modello di quello di filosofia, con 341 l‟indicazione dell‟anno e del professore, Marco Decotto, ed alla fine, il numero delle lezioni: 133 il primo anno, 137 il secondo. Il volume XXIV di pagine 606 è privo di frontespizio e di colophon, ma al numero delle lezioni dell‟anno affianca la somma dei tre anni, rispettivamente 136 e 406. Il primo anno studiò i trattati De carne Christi (=De Verbo incarnato), De gratia, De sacramentis in genere e De baptismo in specie; il secondo anno continuò lo studio dei sacramenti in specie: De baptismo, De confirmatione, De eucharistia, de poenitentia et indulgentiis, De exstrema unctione; il terz‟anno, ancora col Decotto, De sacramento ordinis e de sacramento matrimonio; col Bolasco: De locis theologicis, ossia: De Scriptura sacra, De divinis traditionibus, De Christi Ecclesia, De Romano Pontifice, De auctoritate patrum et doctorum scholasticorum. Il De Trinitate dovette farlo il quarto anno col Bolasco. Studio della dogmatica, della sacramentaria e della morale in cui rientrava anche il diritto canonico, e il resto? Le 14 pagine di patrologia e le 64 di Sacra Scrittura sono proprio pochine, anche se se ne è fatto grande uso a sostegno delle tesi dei vari trattati. E la storia ecclesiastica? La situazione dei seminari italiani, in quanto a cultura, non differisce gran che da quella dei seminari francesi degli inizi dell‟Ottocento: Le materie insegnate – scrive il Rops – sono miserucce; la Sacra Scrittura ridotta a pii commentari, e la storia della Chiesa ignorata dai programmi in settantacinque case su ottanta! Si insiste di piú sulla formazione morale... sul buon contegno – comincia a divenire obbligatorio l‟uso della veste talare –... Si va cosí preparando un clero infinitamente rispettabile, ma che intenderà la sua missione in modo limitativo...696. Per il Frassinetti ci fu però un “Fuori ed oltre la scuola”. È ciò che vedremo nei prossimi capitoli dove ci faremo dire da lui stesso cosa un ecclesiastico deve studiare e con quali criteri, ed esamineremo i suoi appunti di esegesi ed un suo manuale di storia ecclesiastica. 696 D. ROPS, Storia della Chiesa del Cristo, vol VI: La Chiesa delle rivoluzioni, traduzione di N. BEGHIN, Torino 1958, pp. 145s. 342 CAPITOLO XXIII OLTRE LA SCUOLA I La memoria del passato deve essere per ogni uomo, che non odia la patria e se stesso, il piú forte stimolo per amare il presente. Vincenzo Cuoco697 O Italiani, io vi esorto alla storie, perché niun popolo piú di voi può mostrare né piú calamità da compiangere, né piú errori da evitare, né piú virtú che vi facciano rispettare, né piú grandi anime degne di essere liberate dalla oblivione da chiunque di noi sa che si deve amare e difendere ed onorare la terra che fu nutrice ai nostri padri ed a noi... Prostratevi sui 697 Saggio storico sulla Rivoluzione di Napoli, ultimo capitolo, conclusione. 343 loro sepolcri, interrogateli come furono grandi e infelici, e come l‟amor della patria, della gloria e del vero accrebbe la costanza del loro cuore, la forza del loro coraggio e i loro benefici verso di noi. Ugo Foscolo698 La storia ecclesiastica è un quadro vivo che ci rappresenta la Chiesa. Chi vuol conoscere bene la Chiesa deve fissare questo quadro. Giuseppe Frassinetti699 Agli orecchi dei giovani studenti di quegli anni Venti del secolo scorso giungeva con insistenza l‟invito di rifarsi alla storia. Alla scuola del Gianelli, si è visto, la storia aveva occupato un posto d‟onore, non cosí nel corso di teologia, ma la storia appresa con il Gianelli era stata cosa troppo universale e generica, da scuola media, perché potesse aver dato a quei giovani un quadro vivo della Chiesa. Se i suoi coetanei avevano raccolto la voce del Cuoco e del Foscolo e mettevano lo studio della storia a servizio della causa dell‟indipendenza, il Frassinetti non sarebbe stato da meno per la causa della religione. Nel suo cuore si agitavano sentimenti non diversi da quelli che sul finire del secolo avrebbero agitato il cuore di santa Teresa del Bambino Gesú: Otto giorni dopo la presa del velo ci furono le nozze di [mia cugina] Giovanna... da lei appresi le attenzioni che una sposa deve usare allo sposo... l‟ascoltavo con avidità... non volendo far io di meno per il mio Gesú di quel che Giovanna faceva per il suo Francesco... 700. A questa ragione se ne aggiungeva una seconda: se i nemici della Chiesa ne studiavano la storia per vituperarla – in quegli anni, si è visto, faceva notizia La storia delle repubbliche italiane del Sismondi –, era suo dovere studiarla per farla rifulgere. Uno studio serio. Delle 112 pagine delle sue Osservazioni sopra gli studii ecclesiastici, su citate e di cui ci stiamo servendo, ben 60 trattano dell‟importanza dello studio della storia ecclesiastica. Cosí importante che 698 Dell‟origine e dell‟ufficio della letteratura, paragrafo XV. 699 Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici, Genova 1839, p. 42. 700 SAINTE THERESE DE autobiographiques, 1987, p. 190. L‟ENFANT JESUS, Histoire d‟une âme, manuscrits 344 nell‟Accademia della “Beato Leonardo”, istituita nel 1833 o 1834, le assegnerà un posto d‟onore e terrà per sé la direzione di questa disciplina, mentre ci si sarebbe aspettato di vederlo direttore dei corsi di teologia morale, e, sempre in quegli anni, accarezzerà a lungo l‟idea di scriverne egli stesso un trattato. Nel 1834, in una conferenza della “Beato Leonardo”, lo studio della storia era stato affidato al Frassinetti per un lavoro di piú ampio respiro; al Cattaneo, per un compendio. Il Frassinetti era d‟altro parere e lo manifesta allo Sturla: In tal modo... io non aiuterò lui, ne esso me... e perciò si vengono a fare due lavori isolati sulla stessa materia... Poi è idea troppo piccola, che noi ci mettiamo a lavorare per i seminaristi di Genova, dei quali chi sa quanti vorranno studiare, quanti potranno e quanti intenderanno...”. Si servano dei compendi esistenti con l‟aggiunta di osservazioni. Infinite sono le ragioni... che mi persuadono della... inutilità del lavoro, qualora [il Cattaneo] non volesse riguardare al suo particolare profitto di avere un‟occasione per istruirsi; ma le idee del bene privato devono stare lontane da noi quanto il peccato… L‟idea di prendere cattedre per noi è idea alquanto piccola e ci rovinerebbe in gran parte, perché ci legherebbe a fare studj troppo scolastici... sarà nostro impegno formare degli adattati [sacerdoti capaci d‟insegnare?], piú che esserlo noi. Per il momento non si debbono disperdere in molte discipline, ma puntare su storia e filosofia, studi piú urgenti per i bisogni della Chiesa, e ne suggerisce il metodo. Due squadre di quattro. La prima: tre ricerchino il materiale da fornire mese per mese, il quarto avrà il compito della stesura, che sarà poi non solo rivista dagli altri tre del loro gruppo, ma anche dai quattro del gruppo di filosofia che possono aggiungervi note e osservazioni. Lo stesso metodo per il gruppo impegnato nella filosofia. Terminato lo studio della filosofia, se ne intraprenda un altro “quale meglio si stimerà”. Si noti l‟idea cosí moderna del lavoro a squadre. Continua pregandolo di passare la lettera agli altri e di far presto “perché vorrei che piú non si differisse, se piace a Dio”. Se gli altri non condividessero Io sono il primo ad arrendermi; adesso piú che il lavoro mal fatto, mi spiace differire... Preghiamo il Signore che ci faccia santi, e noi sforziamoci 345 di divenir tali piú presto che sia possibile, altrimenti non riusciremo che a far ridere il demonio e a perdere tempo.... La proposta non fu accolta ed egli si arrese. Il contenuto dei suoi primi lavori è tale da far supporre un lungo ripensamento di letture fatte in biblioteca, prima quindi del 1831, anno in cui lasciò Genova per andare parroco a Quinto. È poco credibile che il figlio d‟un piccolo merciaio di condizione modesta, con tre fratelli ancora agli studi, potesse già disporre in meno di quattro anni di sacerdozio dei mezzi per procurarsi i molti volumi, di cui s‟avverte una lettura attenta e critica, sí da potersene servire senz‟uscire di casa. Anche nella canonica di Quinto non mancavano libri, s‟è visto, ma non poteva ancora trattarsi d‟un gran che. La premessa alle Osservazioni, pubblicate nel 1839, ma solo dopo una lunga e laboriosa gestazione701, ci 701 Il manoscritto ci è pervenuto in ben tre redazioni: la prima manca dei capitoli IV e V (Sopra lo studio della Sacra Scrittura e Sopra lo studio della storia) e dell‟Appendice sopra lo studio della filosofia e della eloquenza –; la seconda e la terza, scritte in bella scrittura, ma solo in parte vi si ravvisa quella del Servo di Dio, portano correzioni dell‟Autore. Nella terza v‟è pure un buon numero di note di ampio sviluppo, tutte di sua mano, ma solo in parte passate alla stampa. Diamo un prospetto dei manoscritti e del libro stampato per offrire un saggio di come il Venerabile lavorasse. Si noti la rielaborazione a cui fu sottoposto il capitolo sulla storia ecclesiastica. Tutte e tre le copie presentano numerose revisioni e ripensamenti. L‟assenza dei capitoli Scrittura e Storia ecclesiastica nel manoscritto “A” potrebbe essere dovuta allo smarrimento di quinterni, essendo fascicoli raccolti in volume da chi ereditò le carte del Servo di Dio. L‟Appendice ha un paragrafo in meno per la soppressione del terzo. Il libro stampato ha inoltre note in piú ed in meno di quelle apposte al manoscritto C, cosa che rileveremo a suo luogo. Manca il manoscritto passato in tipografia. Capitoli Manoscr. A Manoscr. B Manoscr. Libro C L‟Autore ai Chierici I Osservazioni generali II Su la dogmatica III Su la morale IV Su la Scrittura. V Su la storia ecclesiastica –– §§ 12 §§ 13 §§ 10 –– –– –– §§ 12 §§ 13 §§ 10 §§ 10 §§ 27 –– §§ 12 §§ 13 §§ 10 §§ 10 §§ 28 §1 §§ 11 §§ 14 §§ 10 §§ 10 §§ 38 VI Sul gius canonico §§ 4 §§ 4 §§ 4 §§ 4 * 346 conferma che fin d‟allora le letture erano già state molte e serie. L‟Autore cosí vi si confessa ai chierici studiosi: Non crediate però che io ve le presenti [queste Osservazioni] come cose nuove: non ho il merito della loro invenzione: si ritrovano già in altri luoghi. Se può avere qualche merito questa operetta, altro non è fuorché quello di racchiudere in poche pagine ciò che trovasi sparso in varii libri e di fare in tal modo vedere quasi in un colpo d‟occhio alcune cose per imparar le quali ci vorrebbe non già lungo e profondo studio, ché tale non fu il mio, ma qualche fatica di piú. Spogliato il discorso della modestia con cui il Frassinetti suole presentare le sue cose, rifuggendo per natura dal porsi in vetrina, i varii libri diventano i molti libri e lo studio lungo, perché non c‟è chiara sintesi là dove manca ripensamento profondo. In queste Osservazioni, poi, tra riga e riga, avverti il disappunto di chi nella scuola non ha trovato le discipline di cui aveva sentito tanto bisogno, o non gli erano state trattate come si sarebbe dovuto, e vive ancora sotto quella giovanile impressione e vuol porvi rimedio. La lettura dei varii libri penso si debba perciò porre in quei tre lustri che vanno dall‟inizio dei corsi universitari a passata di qualche anno la trentina, nei quali un uomo di studio suol porre le basi della sua formazione intellettuale, ossia negli anni in cui, studente e giovane sacerdote, correa alle biblioteche e sopra i grandi volumi dei teologi e dei Padri spendeva lunghe ore pensando e meditando senza risparmiare fatica alcuna. La qual cosa egli facea sempre, ma specialmente nei giorni di vacanza702. Ap. Su filos. e eloquenza §§ 9 §§ 9 §§ 8 §§ 8 * Il capitolo V Sopra lo studio della storia è ripreso e sviluppato come dissertazione nella Storia ecclesiastica non portata a termine, ed in due versioni: Manoscritti, vol. II, p. 1-82;83150. Di questa storia ci è pervenuto un abbozzo di 739 pagine in foglio, cm 21x31, con 38-40 righe in minuta scrittura per foglio. Su le Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici e sulla precedente pubblicazione Riflessioni proposte agli ecclesiastici, ambedue inviate dai giansenisti alla Congregazione del Santo Ufficio perché fossero poste all‟Indice dei libri proibiti, abbiamo giudizi entusiasti di sant‟Antonio Maria Gianelli, giudizi che riporteremo nella seconda parte. 702 D. FASSIIOLO, Op. cit., p. 20. Miei i corsivi. 347 Prima di passare in rassegna in che modo il Frassinetti ci confessa aver studiato le varie discipline, riportando ampi stralci del suo lavoro – anche per dare un primo saggio dei suoi scritti –, penso necessarie alcune considerazioni onde evitare equivoci. Agli inizi della vita pubblica del Signore i sinottici pongono il racconto delle tentazioni, quanto dire della scelta. Satana gli suggerisce il suo meglio. Premio, il consenso delle moltitudini o, per usare un termine oggi in voga, un indice di gradimento come nessuno ebbe mai e, con tale allettamento, distrarre ad altre cose la sua potenza salvifica per cui si era incarnato. Ma il Signore era venuto per rappacificarci con Dio scegliendo lo scandalo della croce e la stoltezza della predicazione, non per sentirsi applaudito dalle folle703. L‟apostolo Paolo, pur essendo stato discepolo di Gamaliele 704 e fornito di tutti i numeri per muoversi libero e sicuro nel ginepraio dei cento e cento precetti rabbinici con buona speranza di divenire anch‟egli maestro autorevole in Israele, fece anche egli la stessa scelta. Il discepolo non è piú del maestro705, perciò non c‟è stato sacerdote santo che nella sua adolescenza non si sia trovato di fronte al prendere o lasciare. Per i santi non è mai esistito l‟accomodamento, una terza via. Tertium non datur, per dirla con i nostri vecchi maestri di filosofia. Anche il nostro giovane teologo sui diciotto anni fece la sua scelta: “Bisogna che l‟ecclesiastico si consideri tutto tale e si contenti di non essere altro che ecclesiastico”. Via quindi i sogni che poterono per qualche ora accarezzare la sua vanità: sacerdote di cui tutti avrebbero parlato per i suoi bei versi, come del Frugoni, all‟epoca ancora celebre, o emulare per cultura lo Spotorno, l‟Ipse dixit di color che sanno di quegli anni, o, perché no, divenire oratore di gran fama, un nuovo Segneri… A scuola era bravo, primo tra i primi. 703 Cfr. Mt 4,1-11; Mc 1,12s; Lc 4,1-13; 1 Cor 1,18-25. 704 At 22,3. 705 Mt 10,24; Lc 6,40. 348 Anche egli scelse, e fu scelta radicale, non diversa da quella di Paolo, sí che avrebbe potuto ripetere alle anime che gli erano state affidate le parole dell‟Apostolo ai corinzi, parole che qui mi piace parafrasare: Venni tra voi non per stupirvi con sfoggio di cultura ed elevata oratoria, ma ad annunciarvi Cristo crocifisso, ché altro io non so, né desidero sapere, volendo che la vostra fede non sia fondata su ragionari umani ma sulla potenza di Dio706. Il suo fu uno studio tutto ordinato alla propria e all‟altrui santificazione, non studio di erudito o di cattedratico che, studiando Omero, si chiede se è veramente esistito e, se esistito, fu lui a scrivere i due poemi, o non furono in due o in cento, e se dalla loro penna uscirono come sono a noi pervenuti oppure passarono per una lunga serie di redazioni; e quante, e quali; e come doveva essere il codice archetipo prima degli sconci operati dai copisti. Uno studio anatomia di parole morte. No, il Nostro legge le parole della Scrittura e se ne incanta, e poi le ripete incantando; legge la storia della Chiesa e se ne commuove, e poi ripete i begli esempi commovendo. Ad Agostino, pastore, importava poco o nulla determinare se la pianta alla cui ombra Giona trovò refrigerio fosse una zucca o un‟edera 707; importava molto invece servirsene per far comprendere alle anime desiderose di conoscere Dio quanto smisurata era la sua misericordia. I biblisti di oggi ci dicono in coro che anche Girolamo sbagliava dovendosi trattare d‟una pianta di ricino!708. Stringi stringi, in queste Osservazioni, il Frassinetti chiede all‟esperto di chiara fama un po‟ piú d‟umiltà e fa suo il sospetto espresso da Agostino a Girolamo: etiam nobis videtur aliquando te quoque in nonnullis falli potuisse709. Prima di iniziare la lettura di ampi 706 Cfr. 2 Cor 2,1-5. 707 Gn 4,6-10. 708 Il vescovo di Oea, città della Tripolitania, aveva fatto leggere in chiesa la storia di Giona nella nuova versione fatta da Girolamo. A sentir parlare d‟edera invece che di zucca, il popolo insorse contro la falsificazione, come esso credeva, tanto piú che per difenderla aveva chiesto agli ebrei il senso esatto. Questi, racconta Agostino, vuoi per ignoranza, vuoi per malizia – utrum imperitia an malitia – dettero ragione a Girolamo. Per non rimanere senza popolo il vescovo dovette tornare alle foglie di zucca. 709 AGOSTINO, Epistola 71,3. Sí, anche Girolamo in qualche cosa qualche volta poteva sbagliare. 349 stralci delle Osservazioni era necessario porre questa premessa per smorzare piú d‟un sorriso di sufficienza. Cominciamo con le Osservazioni sopra lo studio della storia710 IV-1. La storia è un quadro vivo che ci rappresenta la Chiesa. Chi vuol conoscere bene la Chiesa deve fissar questo quadro… Chi potrà essere buon ecclesiastico senza conoscere bene la Chiesa?… 2. Molte cose si debbono osservare affinché lo studio riesca all‟ecclesiastico di vero vantaggio. Primieramente è duopo guardarsi dall‟intraprendere questo studio per passatempo… intrapreso in tal modo, riesce piú dannoso che tutti gli altri studii i quali si possono fare per passatempo711. La storia è quella che forma il cuore piú che tutte le altre scienze, giacché la scienza dei fatti è la piú persuasiva. Chi la studia per passatempo vi fa uno studio leggiero, inconsiderato, non gli resta che la memoria inesatta di fatti sconnessi e, quel che piú importa, va con poco riguardo alla scelta degli autori… Si tenga per certo che questo studio si dee fare con tutta serietà, metodo ed attenzione – pensava allo studio alto alto, da… elzevirista, mi si perdoni l‟anacronismo, dello Chateaubriand nel Genio del Cristianesimo? –. Il fine che dobbiamo avere nello studio della storia ecclesiastica è quello di conoscere come in un vivo quadro la bellezza, l‟eccellenza, la divinità della santa Chiesa, per innamorarci ardentemente di lei e farla poi conoscere ed amare da tutti. 3. Per ottenere questo fine bisogna attendere primieramente a tutto ciò che è essenziale alla Chiesa. Una fede invariabile, e questa si vedrà in tutto il corso della storia, perché ciò che fu dichiarato dogma una volta, fu sempre dogma… 4. In secondo luogo una morale santa, e questa nella storia ecclesiastica si vede conservata senza interruzione da‟ primi tempi fino a noi… La Chiesa ha sempre dato i maggiori onori alle persone 710 G. FRASSINETTI, Osservazioni…, cap. V, pp. 42-100. 711 In nota precisa: “Noi non diremo che sia mal fatto [il leggere qualche squarcio di storia ecclesiastica col solo scopo di evitar l‟ozio], sibbene che quella è la semplice lettura e non lo studio della storia della Chiesa, e chi non sapesse di storia, se non per averla letta in quel modo, non potrebbe dire di averla studiata, né potrebbe fidarsi di parlarne e giudicarne con esattezza”. Nel manoscritto “C” vi è una nota polemica non riportata a stampa con cui replica alle critiche di S[caniglia] G[iuseppe] alle sue Riflessioni. La riporteremo nella seconda parte trattando del polemista. Qui basti dire che appunto in questa difesa ci si rivela quanta consultazione di testi è dietro ad affermazioni che si direbbero buttate giú come vengono vengono. 350 che praticarono in modi distinti una santa morale. Si svolgano le vite di tutti i santi canonizzati: non troveremo che alcuno sia stato assunto al culto degli altari per essere stato uomo dotto, uomo ricco, uomo potente, o re o vescovo o papa; ma ciascuno dei canonizzati vi fu assunto per essere stato uomo distintamente, cioè eroicamente virtuoso. 5. In terzo luogo l‟amministrazione dei Sagramenti non mai interrotta e, quanto alla loro sostanza, invariabile… Gli altri riti e cerimonie cangiano e si avvicendano, ma questi sette sono invariabili. 6. In quarto luogo una Gerarchia nella sua sostanza immutabile e perpetua. Ad onta d‟ogni vicenda, da‟ primi tempi fino a noi, vi furono sempre chierici, sacerdoti, vescovi e papa… 7. Per quel che spetta alla fede, dovremo notare le prove ammirabili che sempre ne diedero un infinito numero di santi confessori e di martiri e procureremo di non dimenticare gli esempi piú belli che all‟uopo potrebbero incoraggiar noi, e dei quali ci potremmo ancora valere per animare gli altri. Similmente per quello che riguarda la morale, noteremo quegli esempi di eroica virtú, che nella Chiesa furono sempre in sí gran numero e che tanto servono per fortificare la nostra fiacchezza… Per quel che riguarda la Gerarchia fisseremo attentamente la sommissione ed il rispetto ch‟ebbero sempre i chierici ai sacerdoti, i sacerdoti a‟ vescovi, i vescovi al papa, sommissione e rispetto che ha sempre distinto i chierici, i sacerdoti, i vescovi buoni dagli scismatici e perversi. In tal modo ci sapremo premunire e premuniremo anche gli altri contro quei sentimenti d‟indipendenza e di orgoglio che portarono tanti allo scisma e all‟eresia. In queste cose si vede la bellezza, l‟eccellenza, la divinità dell‟adorabile sposa di Cristo… [e] ci deve stare ben a cuore di conoscere, piú di quello che ci debba importar di sapere… se S. Cipriano abbia scritto il libro de lapsis in aprile… o in altro mese. Qui appone una noticina in cui dice che non disapprova lo studio della cronologia, “tanto necessario per chi studia la storia”, ma “non doversi trascurare le cose importanti per attendere alle inezie”. Siamo in fondo sulla linea di sant‟ Agostino che non dava importanza all‟accertamento della specie di pianta che in un giorno crebbe ed in un giorno inaridí, zucca o edera che fosse. Che è poi il pensiero di Paolo: “Tienti lontano dalle stolte investigazioni, genealogie, dispute e battaglie intorno alla legge. Sono stupidità di nessun giovamento”712. San Tommaso cosí commenta il passo: 712 Tt 3,9. 351 Il maestro di verità non deve rispondere a qualunque questione… perché deve mirare a due cose: alla verità ed all‟utilità… Conoscere le minuzie, come sono le genealogie, non giova né alla intelligenza, né alla formazione dei costumi, né alla fede. Sono questioni futili perché prive d‟una consistente verità…713. Non mancherà mai il saputo che riderà di tanta ignoranza. Rida pure714. Non sono certo questi ingombri mentali che ci danno la conoscenza di Dio e con essa la vita eterna. Torniamo al Frassinetti. 8. Osservate le cose essenziali alla Chiesa, bisogna notare quelle che le sono accidentali e non necessarie per non confonderle con le prime. Tali sono i vari ordini religiosi, i canoni penitenziali, diversi riti nell‟amministrazione dei Sagramenti, nell‟elezione de‟ vescovi, i digiuni, le funzioni notturne. Queste cose ci faranno meglio conoscere la divina bellezza di santa Chiesa, ma per altro, cangiandosi o intermettendosi tali pratiche, non perde la Chiesa ciò che le è necessario per farla risplendere qual amabile sposa di Cristo. E qui è il grande inganno nel quale certi scrittori malignamente fanno cadere i semplici. Pare che in queste cose, fatte in quei modi determinati, abbia a consistere la bellezza e santità della Chiesa, e fanno ridicoli piagnistei, lamenti senza fine, e ardite querele, le quali mentre pare che ti facciano prendere la piú favorevole idea della Chiesa antica, ti fanno venire in discretivo la Chiesa odierna, che è sempre l‟antica. – Oh quei monaci anacoreti! Oh quei canoni di penitenza! Oh quelle popolari elezioni di vescovi! Oh quelle vigilie! Oh quelle quaresime! Tutto si è perduto o quasi perduto.– Oh quegli storici! io ripiglio, sanno essi perché dican cosí. La Chiesa odierna parla, tuona, fulmina, come deve, ogni eresia ed ogni errore; perciò si odia e si vorrebbe decaduta dalla sua santità, dalla sua purezza, per far cadere i 713 TOMMASO D‟AQUINO, Expositio super epistolam S. Pauli Apostoli ad Titum, lectio 2a. 714 SAN GIROLAMO, Commentarium in Epistolam ad Titum: “È di queste cose che si gloriano i giudei, convinti di possedere la conoscenza della Legge perché rammentano ogni singolo nome. E siccome sono per noi nomi barbari, di cui storpiamo la pronuncia, facendo lunghe le brevi e brevi le lunghe, e non riusciamo a raschiarci la gola nell‟ articolare le loro aspirate, né ci raccapezziamo con le loro etimologie… ridono della nostra ignoranza… [mentre loro] fin dalla prima infanzia furono saturati di nomi nella loro lingua e dei loro significati e te li snocciolano da Adamo a Zorobabel. D‟ognuno ti dicono le genealogie senza riprendere fiato, trisavoli, bisavoli, nonni, nipoti e pronipoti, e gli anni che vissero, con la facilità con cui si dice il proprio nome”. Qualche risata di codesti sapienti doveva ancora bruciargli se, parlando di questa loro bravura, protrae la nota per ben tre colonne! PL 26, cc. 594-596. 352 suoi fulmini nel disprezzo dei fulminati. Fu sempre necessario alla Chiesa lo spirito di mortificazione e di povertà, ma non le furono mai necessarii i monaci della Tebaide o della Siria; fu sempre necessario alla Chiesa lo spirito di penitenza, ma non il canone penitenziale; le elezioni de‟ vescovi, ma non le popolari; le orazioni, ma non le vigilie, e cosí dicasi di tutto ciò senza di cui la Chiesa può conservare la sua fede inalterabile, pura la sua morale, intatti i suoi sagramenti, immanchevole la sua gerarchia. Per altro non troveremo un‟epoca sola nella quale la Chiesa non abbia avuto un ornamento molteplice di bellezze accidentali; vedremo anzi nella storia ch‟ella è un campo mirabilmente fecondo per produrne continuamente un gran numero, la cui varietà non può spiacere se non a quelli che fossero stupidi tanto da pretendere eterni sopra di un campo gli stessi fiori. 9. Bisogna pure riflettere che le storie le quali non ci fanno vedere la Chiesa sempre santa e sempre degna sposa di Cristo, oltre all‟essere storie fallaci, sono dannosissime alla consecuzione del fine per cui si deve studiare la storia ecclesiastica. Certi ipocritoni, tutti zelo e trasporto per la Chiesa, tutti compassione pe‟ suoi disastri e per le sue rovine, la fanno piangere amaramente ai nostri giorni colla rugosa vecchia Noemi: Ne vocetis me pulchram!715. Ed ecco quale ve la rappresentano ne‟ loro storici quadri. La Chiesa ha i suoi capi, i Romani Pontefici, ma questi da molti secoli sono persone o imbecilli e ignoranti, o fiere e superstiziose, o avare e superbe, da tutti insieme questi vizii, e da altri piú, dominate. La Chiesa ha un corpo di leggi, ma queste sono tutte guaste ed alterate… I suoi giudici poi, i cardinali, i vescovi, le congregazioni di Roma, ohimé!, tutta gente senza scienza e senza lumi… La Chiesa ha i suoi ordini religiosi, ma ohimé!, cosí non gli avesse!… La Chiesa ha i suoi sagramenti, ma ohimé come sono amministrati! I casisti hanno cangiato in veleno il pane di vita… Oh povera Chiesa! Altro che invecchiata, rugosa, impallidita! Eccola un mostro716… Ipocritoni! Com‟è possibile che ancora tutti non vi conoscano? 10. Dunque notiamo bene che mentre gli storici ecclesiastici debbono riferirci anche i mali accaduti nella Chiesa tanto antichi che moderni, i buoni storici non cercano mai con imposture, calunnie ed esagerazioni di far vedere la Chiesa deformata cosí che sembrerebbe piú degna sposa dell‟anticristo che del nostro Redentore Gesú… 715 Rt 1,29 716 “Può vedersi un saggio di tali ingiurie contro Roma, il papa, le sue Bolle, i Vescovi ecc. presso il CRESCIMBENI, Provincinc[iali] all‟italiana, lett. 9”. Nota del Frassinetti. 353 Qui inizia una rassegna delle storie ecclesiastiche allora in circolazione. Quelle scritte dai protestanti, essendo in Italia poco diffuse, sono poco dannose per il loro parlare scoperto che nauserebbe: il papa per esse è l‟anticristo, Roma Babilonia… 12. Le seconde sono scritte da gente affezionata ad un partito, niente meno eretico di Lutero e di Calvino, che travaglia intestinamente la Chiesa e che ha l‟onore di tutti quanti gli sconcerti religiosi e politici dei nostri tempi. Ipocriti tristi, progenie di vipere, farisei del cristianesimo. Le storie scritte da questa gente con sopraffina impostura riempiono, per gran disgrazia, la nostra Italia… Queste sí che ci possono ingannare. Bisogna conoscerne i caratteri per evitarle noi e farle evitare717. Non nomina i giansenisti, ma il riferimento è chiaro. Si tenga presente che era ancora vivo il putiferio suscitato in Genova dalle sue Riflessioni uscite due anni innanzi per aver affermato: “Vi è una setta quasi indefinibile di tristi ipocriti”, non soppressa nella terza edizione del 1838 in cui chiarisce il suo pensiero in una lunga nota per difendersi da chi l‟aveva accusato che vi aveva posto riferimenti personali. La bufera suscitata dal suo primo lavoro non lo intimidí, anzi! C‟era di mezzo la difesa dei giovani 717 Ha nell‟orecchio i versi della Bassvilliana di V. MONTI: Dell‟ipocrito d‟Ipri... settator tristi? Dopo l‟uccisione in Roma del rivoluzionario Ugo di Bassville, un angelo ed il demonio se ne disputano l‟amima. Prevale l‟angelo che, per purificarla, gli fa contemplare gli orrori della Rivoluzione. A Parigi deve assistere al regicidio di Luigi XVI e al triste spettacolo dei tripudianti. Nell‟oscena schiera Curvo il capo, ed in lungo abito bruno Venia poscia uno stuol quasi di scheltri, Dalle vigilie attriti, e dal digiuno. Sul ciglio rabbassati ha i larghi feltri, Impiombate le cappe, e il piè sí lento, Che le lumache al paragon son veltri. Ma sotto il faticoso vestimento Cela ferri, e veleni, e qual tra‟ vivi, Tal vanno ancor tra morti al tradimento. Dell‟Ipocrito d‟Ipri ei son gli schivi Settator tristi, per via bieca, e torta Con Cesare, e del par con Dio cattivi. …………………………………. Né di tal peste sol va caldo, e pieno Borgofontana, ma l‟Italia mia Ne bulica, e ne pute anco il terreno. [Canto III, vv. 98-122]. 354 ecclesiastici dal pericolo giansenista. Pericolo reale in cui per un pelo non era caduto lo stesso Gianelli. Lasciò una nota nel manoscritto temendo, forse, che, pubblicandola, il suo libro potesse trovare maggiori difficoltà per il Visto se ne permette la stampa e la diffusione. La nota diceva: Questi sono i seguaci di Giansenio, dei quali adesso si dice non esisterne piú, e dai medesimi sempre si disse non essere mai esistiti. Videro questi eretici che tutti quanti i loro predecessori, staccandosi apertamente dalla vera Chiesa, erano restati quai tralci recisi dalla vite che tosto disseccano. Essi tentarono di stare uniti alla Chiesa, non tenendone però la fede. Non vi riuscirono. Le cinque proposizioni [condannate] hanno il marchio dell‟eresia. Chi non le condanna con la Chiesa cattolica è eretico. Esternamente può essere in comunione col popolo fedele, ma frattanto è un infedele davanti a Dio, e [davanti a] chiunque ne conosce i sentimenti… Essendo il pericolo grave e pernicioso, nel numero 13 ne indica i caratteri che qui riportiamo in riassunto. I. Nei proemi, e qua e là nel testo, un linguaggio pieno d‟unzione che pare uscito dalla penna di san Bernardo. II. Un eccessivo rispetto per l‟antichità cercando di persuadere che “i primi cristiani erano tutti santi, gli odierni invece tutti dannati”. III. Una grande devozione per sant‟Agostino che li dispensa dall‟averne per gli altri santi padri e per Maria Santissima. “Molti santi poi piú moderni hanno ribrezzo a chiamarli tali”. IV. Zelo per i diritti inalienabili dei vescovi. “Vorrebbero amici tutti i capitani dell‟armata perché il principe restasse abbandonato da tutti i suoi”. V. “Odio giurato ai Romani che non cederebbe a quello di Annibale. Tutto ciò che vien da Roma: Brevi, Dispense, Indulgenze, Reliquie, tutto è trista merce, falsificata, alterata, senza valore… [da] stimar poco, anzi da disprezzare… per far guerra ai Romani, altre armi non trovando, si servirebbero fin degli spilli: perciò procurano d‟infiorare ogni pagina delle loro storie ecclesiastiche con qualche motto, sale, sentenza antiromana”. VI. “Gran rispetto pe‟ principi temporali… per avergli amici di qualche bel colpo, col quale, abbattuta la Chiesa, se fosse possibile, gli sbalzin tosto dal trono”. Qui, a conferma di quanto ha affermato, appone una lunga nota in cui rilegge la storia della seconda metà del secolo precedente che aveva visto i giansenisti prima alleati del giuseppinismo e poi della rivoluzione. 355 15. Le storie della terza classe sono quelle che scrissero i buoni cattolici. Di queste pure abbiamo un discreto numero… 16. Si deve pure riflettere che anche fra gli storici cattolici di buona fede e di sani principii vi sono alcuni dei quali si sono lasciati abbagliare da certi lumi del secolo… Perciò, leggendoli senza una qualche avvertenza, sarebbero meno utili, per non dire dannosi. Questi lumi, de‟ quali parliamo,… sono molti lumi critici che adesso brillano su tutte le materie della storia ecclesiastica ed hanno piú bagliore che luce. Brevemente ne additeremo i principali… Cosa che fa nei restanti paragrafi 17-37, pp. 60-100. 17. L‟odierna critica si fida solo di ciò che è naturale… [ricavano], per esempio, da Eusebio di Cesarea un qualche fatto che è in parte naturale, in parte soprannaturale… ciò che non eccede le forze della natura ve lo danno per certo, ciò che le eccede ve lo danno per dubbio, ponendovi un freddo: si dice pure… 18. Un valoroso critico, che stese parecchie vite di santi, confessò schiettamente ch‟egli ne aveva tolto tutte le cose inutili, quali sono i prodigi ed i portenti… 19. … Lo storico giudizioso deve saper discernere i veri dai falsi… ma non dee tutto pareggiare… 20. Sí poco è il credito che varii moderni critici hanno dei miracoli, che stabilirono per regola di critica, onde discernere le vere dalle false storie dei santi, l‟osservare se riportino miracoli in poco numero… il P. Lamy non dubitò di dire che anche gli Apostoli mancarono in critica, proposizione che parve alquanto dura al Tillemont, e che a piú d‟uno parrà troppo insolente. 21. L‟odierna critica non si contenta di dubitare di tutto ciò che è soprannaturale, ma sparge dubbi su ogni cosa, riputandosi tanto piú spregiudicata, quanto meno crede… Dacché si spaccia per cosa certa che il dubbio abbia portato la filosofia a quella enorme altezza 718, a cui si dice arrivata, si spera di progredire a forza di dubbi in ogni scienza e particolarmente nella storia ecclesiastica. Si pregiava Bayle d‟aver l‟attributo del Giove d‟Omero, Adunanubi; ma quanti Adunadubi nella storia ecclesiastica negli ultimi tempi! 22. Si mettono in dubbio tutte le pie tradizioni che ci ha tramandato l‟antichità… Quanto piú si fanno vedere i nostri vecchi senza giudizio, pare che debba maggiormente risplendere l‟ingegno dei nostri giovani… Noi intanto rifletteremo che, per impugnare una pia tradizione, vi 718 Riferimento a Cartesio. 356 vogliono sodi argomenti i quali non dimostrino solo che possibilmente, ma che realmente sia falsa… 23. Lo stesso Giovanni Clerc confessa schiettamente che gli antichi avevano grandi aiuti di piú per conoscer la verità delle cose e dei fatti che narrano, i quali mancano ai moderni. Potevano consultare molti storici… molte opere di filosofi e di Padri che noi non abbiamo piú… 24. Intanto osserviamo un poco quante pie tradizioni bisogna rifiutare… È pia tradizione che nel presepio di Betlemme vi fosse un asino e un bue, la quale viene confermata da parecchi santi Padri ed abbracciata dalla Chiesa…719. Ne cita un buon numero. Per dare un giudizio oggi, si deve tener conto dello stadio in cui si trovava la critica ai tempi in cui il Frassinetti scriveva e della dissacrazione d‟ogni cosa santa che c‟era stata nel secolo precedente, basata spesso, piú che su prove e serietà d‟argomenti, su battute di spirito720. 25. Non solo queste, ma innumerevoli altre tradizioni si fanno da certi critici passare per favole… Si osservi però che non è mia intenzione condannare la vera critica, tanto necessaria in materia di storia ecclesiastica, ma quella critica intemperante che mette tutto in dubbio, da cui s‟impara la scienza piú miserabile, che possa aver l‟uomo, di non saper nulla di certo. 26. … Quando i novatori si studiarono di togliere alla Chiesa cattolica tutti i monumenti, con i quali ella potesse provare l‟antichità e la santità delle sue pratiche, si studiarono i critici di trovare i dubbi possibili per far vedere che tante opere, fino allora tenute in gran conto dalla semplicità de‟ nostri avi, doveano disprezzarsi dall‟accortezza de‟ loro 719 BENEDETTO XIV, De festis, libro I, c. 17. 720 Ne riporto solo questo esempio perché anche oggi qualche pretino e qualche rivista, pieni di zelo, nelle ricorrenze natalizie spiegano come e qualmente nel presepe non c‟erano il bue e l‟asinello e come debbano esservisi infiltrati da una arbitraria lettura di Isaia. Scrive il Frassinetti: “Baillet la dà per favola e con lui Tillemont”. Non credo ci sia bisogno di scomodare Isaia. Basta non essere nato in biblioteca ed ivi aver trascorso la vita, ma in un qualunque villaggio di campagna com‟erano fino a un cinquant‟anni fa. Se un contadino padrone di un fazzoletto di terra costruiva una stalla, la costruiva per tenerci le poche bestie che aveva: l‟asino, la capra, qualche pecora, le galline e da noi, ma non in Palestina, il porcellino, se piú ricco anche la mucca. Dire stalla, anche per me bambino, era dire la presenza d‟alcuni di questi animali, dell‟asino e del bove o mucca soprattutto. Parlando di stalla, per la gente di campagna la presenza dei piú comuni animali domestici è implicita. Non basta il silenzio per negare una antica tradizione. È questo il pensiero del Frassinetti. 357 nipoti… Cominciarono ad insegnare che soltanto gli scritti dei primi secoli si doveano credere autorevoli, quando, secondo la loro espressione, la credenza dei fedeli era ancora immacolata… [ma], anche de‟ secoli primieri si aveva un numero di scrittori ecclesiastici i quali sostenevano quella fede e quelle pratiche che essi volevano abbattere, si diedero [quindi] ad analizzarli con una critica incontentabile… Credendo di poter parlare di que‟ secoli remoti come si poteva parlare del secolo in cui vivevano, immaginarono tutti quei caratteri, tutte quelle note, tutte quelle particolarità e aggiunti e connessi che, a loro giudizio, dovevano avere quegli scritti antichi affinché potessero giudicarsi autentici, e ciascuno di essi, cui alcuna cosa mancasse delle richieste, rigettarono come apocrifo… Da quel poco o quasi nulla, che restò per essi d‟autentico, facilmente si sbrigarono con interpretazioni o asserzioni ardite che alteravano i sensi di quegli scrittori… In tal modo credettero di poter dire ai cattolici: Voi non avete piú la fede antica… 27. Questa macchina non si vide allora a prima giunta, come si vede adesso, e perciò varii dotti anche cattolici… desideravano conceder loro tutto ciò che pensavano potersi concedere… I protestanti per questo si rappacificarono coi cattolici? Andarono sempre piú superbi dei loro ritrovati, menarono maggior trionfo, vedendo che i papisti, come li nominavano, avevano già parecchie cose apprese dalla loro scuola… 28. Chi vorrà considerare attentamente gli antichi monumenti, ne troverà degli apocrifi ed alterati… ma ne troverà altresí in buon numero, piú di quello che dai moderni critici si conceda, i quali possono e debbono dirsi autentici e autorevoli… 29. Noi procederemo adunque in fatto di libri, relazioni, leggende ecc., come [si è detto] in fatto di pie tradizioni. Non ci basterà una congerie di dubbi, perché tralasciamo di aver in credito un antico libro, ma vorremo argomenti certi i quali ci provino veramente che quel libro è apocrifo… Non si dimentichi ciò che abbiamo già fatto osservare: il Frassinetti non invita allo studio della storia ecclesiastica per puro amore di ricerca, ma perché, conosciuta meglio la vita della Chiesa, meglio si viva. È un pastore che pensa ai fedeli e mette in guardia i futuri pastori dal turbare la fede della gente semplice basandosi su l‟ultima ipotesi dell‟ultimo critico di fama 721. 721 Accadde non molti anni fa dalle mie parti, a Chieti, dove festa popolare e festa religiosa formano un tutt‟uno, come, del resto, in tutto il Meridione. Un vescovo di altra cultura volle sapere quali canzonette avrebbero cantato la sera in piazza. Non essendo stata accettata la censura di alcune, separò la festa religiosa da quella popolare togliendo la processione ed il suono delle campane. Non mancò il pretino tutto zelo e ricco di erudizione 358 31. Alcuni libri e leggende722 si disprezzano al giorno d‟oggi perché vi si trovano della alterazioni e mutilazioni, ma forse per questo si potrà ragionevolmente impugnare la loro autenticità? Io posso guastare in piú luoghi Virgilio, inserendovi de‟ versi indegni di quel gran poeta. Non per questo il critico… potrebbe dir apocrifa tutta l‟opera. Alcune altre opere si disprezzano perché non scritte con quello stile forbito che distingueva il secolo… Ma non può addivenire che in un secolo di buono stile vi sia chi scriva male?… Altre opere si rigettano perché sbagliano nella data… ma non si può egli facilmente errare nella data o per inavvertenza dello stesso scrittore o per trascuratezza dei copisti?… Altre non ammettonsi perché sbagliano nel nome o di un papa, o di un imperatore, o di un console; ma questo sbaglio si potrà egualmente attribuire o a smemoramento dello scrittore o a posteriore corruzione… Possono dunque occorrere degli sbagli nei nomi senza che siano apocrife le leggende ed i libri ne‟ quali riscontransi. Ma chi non sa che nei codici piú autentici si trovano innumerevoli di questi sbagli? Altre opere si danno per ispregevoli perché non ne fa menzione questo o quell‟autore, perché un fatto in esso riferito è taciuto da uno storico contemporaneo. Ma questo e quell‟autore e lo storico contemporaneo forse hanno taciuto per ignoranza (che parziale può darsi anche nei dottissimi), o per trascuratezza… o non hanno forse creduto di dover mentovare quel libro o raccontare quel fatto. Eusebio di Cesarea tace di Atenagora, scrittore celebre de‟ primi tempi, né riporta la condanna degli ariani fatta dal Concilio Niceno, ma pure Atenagora è esistito e il Concilio di Niceno ha condannato gli ariani. 32. Questi non sono i soli motivi… Hanno fissato questa regola che, quando in uno scrittore antico si trovano parole le quali cominciarono ad usarsi dopo l‟epoca di cui porta la data, quello scritto si debba stimare apocrifo. La regola in se stessa è retta, quantunque possa avere le sue eccezioni, ma è da vederne l‟applicazione… permetteranno che lor dimandiamo… se debbansi riputare apocrife tutte le Scritture canoniche quando in esse si trovano espressi chiaramente gli errori condannati negli eretici… Perché non che scoprí che il vescovo san Giustino, patrono della città, non era mai esistito! Si pensi lo stupore della folla che ab immemorabili ne aveva ascoltato i panegirici. Vi si aggiunse qualcosa di comico: in quella festa a luci spente e a campane mute, venne una grandine con chicchi grossi come uova di galline che si accanirono a flagellare il campanone, famoso per udirsi fino ad Ortona per salutare l‟apostolo Tommaso, e quello d‟Ortona rispondere con un saluto che s‟ode a Chieti. Il popolo ci vide la mano di Dio: Monsignore non ha fatto suonare le campane, e Dio ha pensato a suonarle lui. Un pastore non può ignorare il suo popolo. 722 Penso dia a leggenda il senso di racconto accettato per vero dalla tradizione. 359 dichiarano apocrifa la lettera di S. Ignazio agli Efesini ove dice: “Deus noster Iesus Christus”? Gli ariani vennero pur dopo S. Ignazio martire…723. 33. Assegnano altre regole per conoscere l‟autenticità degli atti dei martiri… non debbono riportare gran numero di tormenti o tormenti troppo crudeli… non devono contenere aspre parole dette dai martiri ai giudici, né lunghe parlate… Dio ispira ai santi cose straordinarie che sembrano mal fatte alla nostra ignoranza e presunzione. A‟ nostri tempi si vuole decantare troppo la mansuetudine evangelica… Bisogna vedere se lo Spirito Santo, il quale, secondo la promessa del Redentore: “Cum tradent vos, nolite cogitare quomodo aut quid loquamini etc.”724, ispirava ai Martiri ciò che dovevano dire, [se] voleva che dicessero poche cose o molte. Santo Stefano, i cui atti sono d‟infallibile divina autorità,… fece una lunghissima parlata che occupa quasi intiero il cap. VII degli Atti apostolici. 34. Dunque, si dirà, se gli argomenti succennati non bastano per credere apocrifo un libro, una leggenda, dovremo crederli tutti autentici? 723) )))Ihsou=j Xristo\j o( Qeo/j, Ef e Rm nell‟iscrizione, Smyr 1,1. È un‟espressione ricorrente anche nelle altre lettere autentiche. Cfr. A. CASAMASSA, I padri apostolici, Roma 1938, p. 146. Riportiamo questo solo esempio dei molti addotti dal Frassinetti in questo paragrafo. 724 Mt 10,19. Nel paragrafo sono citati esempi di linguaggio duro tratti dalla Scrittura ed in nota: “Si sa quali nomi dessero i Santi padri agli eretici. Il discepolo diletto, il mansuetissimo S. Giovanni prescrive: Nec ave ei dixeritis 2 Gv 10, parlando di eretico. Malgrado questo, nella prefazione di un libro uscito nell‟ultimo secolo, gli eretici si chiamano i nostri amati fratelli da noi disgiunti per contrarie opinioni. Io confesso, che mi sentirei del ribrezzo a chiamare cosí semplicemente col nome di fratello chi non appartiene alla famiglia cattolica, e a dare il nome di opinioni ai dogmi e alle eresie”. Affermazione che oggi ai nostri orecchi suona molto dura, ma fino agli anni della mia infanzia, l‟evangelizzazione dei protestanti al mio paese consisteva nel denigrare quanto di piú caro aveva un cattolico: che Maria non era vergine, avendo avuto altri figli, che noi si era idolatri perché, a loro dire, s‟adorava la Vergine e i santi, che il papa, che la messa, che la confessione… Un ecclesiastico, soprattutto se parroco, non poteva non vedere in loro il lupo che veniva ad insidiare il gregge di Dio. Ancora piú duro Don Bosco: “– D. Quale fine fece Lutero? – R. Questo caparbio apostata finí in modo ben degno della sua empietà… Vomitando bestemmie contro il Papa, contro la Chiesa, e contro il Concilio Tridentino, cessò di vivere per andare all‟inferno a patir co‟ demoni, i quali aveva piú volte implorato in suo aiuto” (Storia ecclesiastica, Torino 1845, p. 301s.). 360 La risposta è troppo netta e non ce l‟aspetteremmo. Ma quando la critica va troppo oltre, non ci si deve meravigliare se anche la difesa non è contenuta. Qui gioca anche la mentalità del giurista, canonizzata nell‟effato melior est conditio possidentis, ossia, spetta a chi impugna l‟obbligo di addurre le prove, e, fino a quando queste prove non sono convincenti, si deve continuare a credere come s‟era sempre creduto: Sí: dovremo crederli tutti autentici, se alcuno non scoprasi per evidentemente apocrifo, né, senza chiari e validi argomenti positivi che ci costringano a tanto, si può turbare dal possesso in cui è da molti secoli l‟autorità di quella leggenda o di quel libro. – Ma con tanta buona fede non ci metteremo in pericolo di errare e tenere per autentici gli scritti apocrifi? – E con tanta critica non potremmo sbagliare, tenendo per apocrifi gli scritti autentici? Il pericolo è maggiore in questo secondo caso che in quel primo… Ponghiamo che [le opere di S. Dionigi Areopagita, che sono, come mi dice la Chiesa nel suo breviario: admirabiles et plane cœlestes] non siano autentiche; nulla di meno io non ne avrò alcun danno, che anzi resterò edificato dalla loro lettura. Che se… mi persuaderò esser quelle apocrife, e per giunta essere opera di un eretico monofisita, come si sforzò di provare il P. Lequien, io non ne ricaverò piú alcun frutto e sarò reo di qualche temerità dichiarando io queste opere detestabili e al tutto infernali, quali devono essere i libri che da per se stessi si danno a conoscere scritture d‟eretico. Il passo riportato si presta a piú considerazioni. 1. Il Frassinetti è tutt‟altro che uno studioso acritico. Conosce lo stato delle questioni e la loro storia. Ai suoi tempi la controversia sull‟autenticità del Divino Dionigi, creduto l‟Areopagita, era ancora tutta sub iudice. 2. L‟Areopagitica, ossia il corpus degli scritti dionisiani, fu creduta opera di Dionigi Arepoagita725. In Occidente il primo a citarlo come dell‟Areopagita, ed ad attingervi, fu il papa Gregorio Magno, seguito da altri pontefici. Numerose le versioni latine ancor prima di quelle degli umanisti Ambrogio Traversari e Marsilio Ficino, questa solo parziale, né meno numerosi i commenti: Scoto Erigena, Ugo di San Vittore, Alberto Magno, Tommaso d‟Aquino, Gersone, Marsilio Ficino… L‟Hôtel Acarie, fu una vera scuola dionisiana. In quel salotto di Mme Acarie convenivano Pietro di Bérulle, suo cugino, il cappuccino Benedetto da Canfeld, nonché, nel suo soggiorno parigino, san Francesco di Sales. All‟Areopagita si rifanno Luigi 725 At 17,16-34- 361 di Blois, Lefèvre d‟Etaples, che nel 1498 ne diede alle stampe il Corpus completo: Theologia vivificans, Cibus sanus; san Giovanni della Croce, Alfonso Rodriguez, ed altri ed altri, ma soprattutto Caterina da Genova. Anche Lutero fino al 1519 ne ebbe la stessa stima. Mutò parere, ma con critica facile e superficiale, solo dopo che Giovanni Eck s‟era fatto forte dell‟Areopagita per affermare il primato romano d‟origine divina. Fu tale l‟influenza del Divino Dionigi sul pensiero medioevale, ed oltre, da potersi avvicinare a quella di Agostino, Aristotele e Boezio. Se ne ha una riprova in Dante che lo pose nel Quarto cielo, quello del Sole, sede degli spiriti sapienti, facendoselo cosí additare da Beatrice: Appresso vedi il lume di quel cero che giú, in carne, piú addentro vide l‟angelica natura e il ministero e, nel Primo Mobile, fa dire da Beatrice giusta la teoria angelica dell‟Areopagita ed errata quella di Gregorio Magno: E Dionisio con tanto disio a contemplar questi ordini si mise che li nomò e distinse com‟io. Ma Gregorio da lui poi si divise; onde tosto come gli occhi aperse in questo ciel, di sé medesimo rise.726 3. I primi dubbi sull‟autenticità furono avanzati dall‟umanista Lorenzo Valla, morto nel 1457, ma resi noti solo nel 1504 da Erasmo. Dietro di lui i protestanti, ai quali, nei secoli successivi, si uniranno critici giansenisti, come Tillemont, Lequien, Launoy, ma anche cattolici, come il Roncaglia, il Fleury… Non mancarono i difensori: Giovanni Fisher, il cardinale martire, lo stesso Arrigo VIII, il Bellarmino – Soli hæretici lutherani et quidam scioli, Erasmus, Valla et pauci alii opera supra nominata negant esse S. Dionysii Areopagitæ –727, il Baronio, il Lessio, i teologi della Sorbona… 4. Bisognerà aspettare il 1895 per avere la dimostrazione definitiva della inautenticità ad opera dello Stiglmayre e del Koch, indipendentemente l‟uno dall‟altro. Nessuna meraviglia, quindi, che il Frassinetti aspetti a dissociarsi 726 DANTE, Paradiso, X, 115-117; XXVIII, 130-135. 727 R. BELLARMINO, De scriptoribus ecclesiasticis, Colonia 1613, p. 65: “Soltanto gli eretici luterani e certi saputelli, Erasmo, Valla e pochi altri negano che le opere su citate siano di Dionigi l‟Areopogita”. 362 dalla buona compagnia di san Gregorio Magno, Ugo di San Vittore, san Tommaso d‟Aquino, san Alberto Magno, Baronio, Bellarmino, il suo san Giovanni della Croce, la sua santa Caterina ed altri. Ancora. Nel 1845 G. Darboy, il futuro arcivescovo di Parigi fucilato dai communards nei tristi giorni della sollevazione del 1871, in una lunga introduzione alla sua versione delle Opere, ne difenderà l‟autenticità assoluta, né fu il solo. 728 Ma lo Stiglmayre ed il Koch non posero però fine alle altre questioni: da chi l‟Areopagitica sia stata scritta e dove e quando, questioni ancora oggi dibattute, cominciando dalla data da essi posta a cavallo del V e VI secolo. C‟è chi l‟anticipa addirittura d‟un tre secoli! 5. Di piú, mentre l‟Areopagita veniva tolto dal circolo paolino, lo si poneva in ambiente monofisita, quindi… monofisita, anche se nelle sue opere non v‟è traccia di tale eresia. L‟Imitazione dice: Non quæras quis hoc dixerit, sed quid dicatur attende729, ma tant‟è, tolta all‟Areopagita l‟aureola di padre apostolico, bollato d‟eresia monofisita e scaduto da Divino Dionigi a Pseudo Dionigi, un falsario!, i suoi scritti nell‟opinione di tanti venivano a perdere tutti i pregi che li avevano resi famosi per caricarsi del sospetto d‟eresia sí da non potersi leggere senza pericolo. Ne è riprova la gioia che questo declassamento suscitò negli avversari della mistica. Ed è questo che il Frassinetti vuole evitare, applicando alla storia i principi che vigevano nel diritto e nella morale: In dubio melior est conditio possidentis e factum non præsumitur, sed probari debet, quanto dire: finché non si sarà data una dimostrazione persuasiva della non autenticità, si continui a credere ciò che da secoli si è sempre creduto. Nello studioso riaffiora la preoccupazione del pastore: Ormai, chi vuol nome di erudito e spregiudicato – scrive nell‟inedita Storia ecclesiastica –, non può piú dire a cagion d‟esempio il dubbio papa Anacleto, le opere dubbie di S. Dionigi Areopagita, ma deve dire il falso Anacleto, le opere apocrife, o attribuite, che è pure lo stesso, 728 Per tutta la questione si cfr. L. BOUYER, Spiritualità dei padri, Bologna 1966, p. 343380; R. AUBERT. M. CAPPUYNS, R. ROQUES, Denys le Pseudo-Aréopagite in Dict. d‟histoire et géogr. eccl., vol. 14, Paris. 1960, cc. 265-310. Si cfr. inoltre F. CAYRÉ, Patrologia e storia della teologia, vol. II, Roma 1948, p. 96. G. FRASSINETTI, Storia ecclesiastica, Op. cit., p. 193196. 729 Imitazione di Cristo, libro I, cap. V,1: “Ti attiri a leggere l‟amore della pura verità. Non chiederti chi l‟ha scritto, ma bada a ciò che v‟è scritto”. 363 all‟Areopagita… Finché un‟opera insigne viene attribuita ad uomo celeberrimo per dottrina e santità, ciascuno la venera e ne parla con sensi rispettosi, quando poi si perviene a far dubitare… piú d‟uno con libertà soverchia … trascorre a vilipenderla. Finché gli scritti [di S. Dionigi Areopagita] erano riputati opera di un Padre Apostolico, li venerarono i piú sapienti dottori di S. Chiesa, e con lei pensavano che fossero cose admirabiles et plane cœlestes, adesso il padre Lequien… proferí quella insolenza che sono opera d‟un eretico monofisita730. Oggi, che la critica ha addotto prove ben piú convincenti, il Frassinetti non difenderebbe piú l‟autenticità di quegli scritti, bensí il loro valore, memore delle parole dell‟Imitazione su riportate, libro a lui sí caro. 35. Se le pie tradizioni e le antiche scritture sono malmenate dai critici, nol sono punto meno le sante reliquie. Perché si conobbe essersi venerate alcuna volta per errore reliquie false, certi critici vorrebbero togliere il culto a quante mai sono reliquie… Teme la delicata loro pietà di venerare qualche reliquia falsa insieme con le vere… Quando adoro il Santissimo Sacramento, io l‟adoro supponendo quell‟ostia consacrata, che, se per avventura nol fosse, io non intendo adorarla. 38. Conchiuderemo con una importantissima riflessione, ed è che la storia ha i suoi misteri… questi misteri si trovano piú frequenti ne‟ primi secoli e la loro ragione sufficiente altra non è che la grande ignoranza in cui siamo delle antiche cose, e quando questa ignoranza è minore circa i tempi posteriori, minore è il numero de‟ misteri storici. Si studii l‟antichità quanto si vuole, [se] siamo mancanti di monumenti e di relazioni intorno ai primi secoli, non v‟ha ingegno al mondo che possa conoscere ciò che non può vedere, né sentire, né leggere. Da questa mancanza di monumenti e di relazioni deriva il sapersi alcuni fatti sconnessi… Non ponendo mente a tal cosa, certi studiosi dell‟antichità … caddero in molti sbagli… Noi, qualora troveremo nella storia antica qualche cosa che non s‟accorda colla sana massima e colla retta cognizione, che si ha dei diritti e dei doveri cristiani o ecclesiastici, riconosciamo un mistero prodotto dalla poca scienza intorno a que‟ tempi, e non isconvolgiamo i diritti, i doveri e le massime. Il Frassinetti non condanna la critica storica, ma la vuole serena, non fondata su congetture, né ad esse sacrificati i fatti, peggio se ordinata a combattere la Chiesa. Si faccia della critica, ma con umiltà e si vada adagio nello spargere dubbi e nel pronunciare sentenze aspettando che si siano 730 G. FRASSINETTI, Storia eccl. pp. 11.35s. 364 prima acquisite valide prove. Se mancano, i misteri deggionsi venerare, anziché pretendere di spiegarli. CAPITOLO XXIV OLTRE LA SCUOLA II L‟ecclesiastico sappia ben distinguere ciò che è dogma e ciò che è certo nella Chiesa… da ciò che è quistione scolastica semplicemente… Per istruire il popolo, per sentire le confessioni vi vuole sana morale… L‟ecclesiastico debb‟essere persuaso dell‟ importanza dello studio della Scrittura, considerando che la Chiesa l‟affida a lui perché la spieghi al popolo.. Giuseppe Frassinetti Sopra lo studio della Dogmatica731 Riprendiamo a leggere le Osservazioni del Frassinetti: II-1. Molte buone qualità sono necessarie all‟ecclesiastico, però non può dubitarsi che la prima fra tutte sia una fede retta e irreprensibile. Con questa può sperare sempre bene di sé, giacché è illuminato dalla vera luce e vede ciò che dee fare, ciò che dee cercare o fuggire, e sarà quasi impossibile che la volontà tardi o tosto non si lasci guidare dall‟intelletto bene illuminato, perciò la prima scienza, in cui ha da essere fondato un ecclesiastico, è la sana dogmatica… Il paragrafo che segue è basilare. Come nel suo Compendio di teologia morale pone chiara la distinzione tra ciò che è certo e ciò che è solo probabile, tra ciò che è di precetto e ciò che è solo di consiglio, distinzioni fondamentali perché si viva la vita cristiana con serenità e libertà di spirito, qui pone la distinzione tra ciò che è di fede definita e ciò che di fede definita non è, tra ciò che è certo e ciò che è in vario grado prossimo alla fede o solo parere delle varie scuole teologiche o pia credenza. Abbiamo un vero manifesto in cui è rivendicata la libertà del credente. Tutto ciò che è 731 G. FRASSINETTI, Osservazioni… cap. II, pp. 10-23. 365 deposito di fede va creduto con ferma fede, le opinioni degli scolastici si rispettino tutte senza però volerne imporre una sola. Siamo sulla linea di san Paolo: altra cosa il battesimo, altra cosa la circoncisione; il primo necessario, l‟altra potrebbe anche essere accettata come pia usanza da chi vi si sente portato, ma in nessun modo imposta come mezzo necessario per essere salvi. 2. Innanzi tutto bisognerà che l‟ecclesiastico sappia bene distinguere ciò che è dogma e ciò che è certo nella Chiesa, quantunque non sia espressamente definito articolo di fede, da ciò che è quistione scolastica semplicemente. I dogmi si debbono tutti credere e difendere al modo stesso e con lo stesso impegno. È tanto vero che esiste la SS. Trinità, quanto è vero che il matrimonio è un sagramento. Questi due dogmi hanno uguale certezza, e il primo non ne ha punto piú del secondo. 3. Ciò che è certo nella Chiesa, quantunque non sia espressamente definito articolo di fede, come sarebbe l‟Assunzione al cielo di Maria Santissima 732… si deve semplicemente credere e non ammettere mai alcun dubbio che nascere potesse contro queste verità, per quanto sembrasse fondato e ragionevole. Farebbe torto a se stesso chi volesse persuadersi di meglio pensare che il senso comune dei Padri, dei teologi e dei fedeli… 4. Ciò che è quistione scolastica semplicemente si dee lasciare nel suo stato e non pretendere di innalzarla a quel grado di certezza che hanno le verità sopra notate… perché in queste quistioni, nelle quali da un lato e dall‟altro vi sono buoni argomenti, per quanto io mi studi di esagerare la forza degli uni e quella estenuare degli altri, sarà sempre vero che avranno la loro probabilità. Forse arriverò a persuadere me stesso della verità di una data opinione perché desidero persuadermene, ma non arriverò mai a persuaderne un animo spregiudicato733 che consideri i diversi argomenti senza passione. Che servirà ch‟io condanni il molinista di pelagianismo, il tomista di luteranismo, di calvinismo, l‟agostiniano di giansenismo? La Chiesa riconosce per figli suoi il molinista, il tomista, l‟agostiniano, ed è inutile temerità ch‟io li voglia confondere con quegli eretici, quando la Chiesa ne li discerne. Cosí sarà inutile ch‟io m‟accinga a far passare per certissima alcuna delle loro opinioni e che predichi la sottomissione dell‟intelletto alla fede di quel dogma che sarà mio e di molti altri, ma che non è ancora dogma della Chiesa. Per l‟impegno di voler portare troppo innanzi l‟evidenza e l‟importanza delle opinioni scolastiche, spesso restò offesa la carità e si perdé molto tempo che si poteva meglio occupare dagli autori, dai maestri e dagli scolari. 732 Scriveva 111 anni prima che il dogma fosse definito. 733 Qui ha il senso di libero da pregiudizi. 366 Nelle quistioni puramente scolastiche ciascuno inclini a quella parte che vuole, ma non pensi di credere un dogma, pensi invece i suoi avversarii essere non meno di lui buoni cattolici. 5. Tuttavolta nella scelta delle opinioni non si vada alla cieca e a capriccio. Tutte hanno la loro probabilità, finché la Chiesa non manifesta il suo sentimento, ma può essere cosa piú utile l‟inclinare anzi alle une che alle altre. 6. Quelle che conciliano maggiore rispetto ai varii ordini della ecclesiastica gerarchia… sono certo da preferirsi a quelle che conciliassero loro meno rispetto734. Come vedremo nella seconda parte, il Frassinetti ebbe fortissimo il senso della Chiesa. A questo paragrafo fa seguire una nota: 7. Vi sono certe opinioni le quali lasciano i misteri in quel grado di veneranda oscurità nel quale ce li propone la fede; ve ne sono altre le quali pare che quella oscurità accrescano e facciano sorgere dai misteri rivelati altri misteri che la Chiesa non sostiene colle sue decisioni. Coloro, a cui piacciono queste seconde e che le difendono con gran calore, non so qual frutto si possano aspettare dalle loro fatiche e profondissime discussioni. L‟utilità dei misteri rivelati la vedo chiara, perché servono ad esercitare la fede e l‟umiltà dell‟uomo… ma i misteri formati da certuni non so quale virtú possano far esercitare all‟uomo… e poco serve che si vogliano far vedere tali misteri chiaramente espressi nelle Scritture e nei Padri, mentre altrettanti esperti… non ve li vedono e chi ha l‟autorità di definir le quistioni frattanto tace. 8. Vi sono poi certe opinioni… [che] non ci confortano a satagere ut per bona opera certam nostram vocationem et electionem faciamus come ci esorta S. Pietro735. Non sarà meglio lasciar queste da parte ed appigliarci a quelle che invece c‟inspirano fervore ed impegno? 734 Lo stesso modo di vedere le cose il Rosmini. Il 28 marzo 1840, neppure un anno dalla pubblicazione del lavoro del Frassinetti, scriveva al card. Castruccio Castracane: “Approfitto di quella preziosa libertà che la S. Chiesa difende e garantisce a tutti i suoi figli. Rispetto alle mere opinioni procuro di scegliere quelle che io credo piú fondate, piú pie e piú utili alle anime, senza legarmi a nessuna scuola speciale, e molto meno a nessun partito: sottometto tutto sinceramente alla S. Sede Apostolica maestra universale. Il nostro tempo, Eminentissimo, ha bisogno di persone che trattino la causa della Religione in modo schietto e sincero, e senza umana prudenza. Questa maniera di operare non mi ha mai ingannato… perché suppone confidenza non già nei propri lumi, nella forza della verità, nella fede e in Dio”, Epistolario, vol. VII, p. 336. 735 2 Pt 1,10: “a darsi da fare per rendere sicura la nostra vocazione ed elezione operando il bene” 367 In nota ne riporta una fatta sua da san Francesco di Sales, cui anche lui aderisce, ma soggiunge: Mi protesto però di essere ben lontano dal condannare l‟opinione contraria… io le rispetto tutte, e si devono rispettare, perché la Chiesa le lascia liberamente insegnare. Solo intendo dire che non vanno al mio genio, quanto le contrarie, e finché la Chiesa mi lascia la libertà della scelta, io per me non le sceglierei, non credendole le piú utili. 9. Per queste opinioni bisogna che i giovani si mettano ben in guardia nel sentir citare come patrocinatori e avvocati delle medesime certi grandi nomi. Non credano a qualche passo staccato e forse monco. Osservino se non si possano intendere le loro autorità in altro modo senza stiracchiarle e far loro violenza. Veggano come i teologi della opinione piú mite sciolgano le difficoltà che presentano quei testi, e poi, per la divozione a un Santo Padre, a un Dottore, non si perda la divozione a dieci Santi Padri, a dieci Dottori. Questo paragrafo ci fa da spia che lo studente Frassinetti non se ne stava alle citazioni dei padri e dei dottori apportate in appoggio alla tesi, ma andava a riscontrarle nei testi. Non credeva che fosse già troppo quel che dettava il “lettore” in classe. 10. Bisogna pur osservare che alle volte certi Padri usarono tropi e parlarono enfaticamente di molte verità, sarà per questo necessario intendere precisamente alla lettera le loro sentenze? Né meno nelle divine Scritture si può prendere tutto precisamente alla lettera, altrimenti ne verrebbero delle eresie mischiate coi dogmi – anche se in nuce, abbiamo qui la teorie dei generi letterari e ne fisserà i limiti nei paragrafi su la sacra Scrittura –. Ordunque come si pretenderà di prendere semplicemente alla lettera tutti i testi de‟ Santi Padri? Trattandosi di una quistione puramente scolastica, dice S. Bonaventura parlando di S. Agostino: plus dicens et minus volens intelligi736. Bisogna anche notare che a volte i Santi Padri, combattendo un errore, pare che non si fermino al giusto mezzo, ma inclinino alla parte opposta piú del dovere… Però ogni dubbio si toglie… leggendone estesamente le opere, ma chi leggesse un qualche testo separato soltanto, potrebbe trovarsi impacciato nella retta intelligenza di esso. Ne avviene intanto che chi va rintracciando a bella posta dei testi consimili, forma delle opinioni poco sicure e spaccia come dottrina dei Padri le sue opinioni. A parte la grande importanza metodologica del paragrafo, si ha qui una conferma della molta lettura delle fonti del giovane studioso, lettura fatta 736 “Le parole dicono di piú di quello che si vuole esprimere”, BONAVENTURA, Opera, tomo 4, p. 170. Di quale edizione? 368 con metodo, sistematica. Capisce bene che non può imporla agli altri nella stessa misura, né dare a credere d‟aver letto riga per riga tutta la biblioteca dei padri, perciò, nel paragrafo successivo, precisa il pensiero: 11. Ma dunque, dirà qualcuno, non ci potremo mai fidare di quei tratti de‟ santi Padri che si trovano radunati da‟ teologi? Dovremo sempre dubitare della fede di costoro e leggere per esteso la biblioteca de‟ Padri? Non già. Questo sarebbe un errore piú dannoso del primo. Bisogna mettersi sull‟avvertenza e stare in guardia, non sempre, ma quando si trovano certe opinioni che, quantunque non ancora condannate dalla Chiesa, pure hanno una stranezza e singolarità che offende il buon senso di chi in loro si incontra, certe opinioni che non si combinano con tutta la possibile facilità alle decisioni della Chiesa, certe opinioni che sembrano piuttosto ritrovati ingegnosi che verità, certe opinioni che, se non sono quelle dei nemici della Chiesa, pure potrebbero andar loro a sangue. Quando si trovano tali opinioni corroborate dai testi… non crediamo alla cieca, dubitiamo fortemente, esaminiamo le autorità, e vedremo quel grande apparato di prove sciogliersi in fumo e ridursi le proposizioni e le tesi a fantastiche ipotesi. 12. Vi sono pure certe opinioni delle quali si vede che la Chiesa non fa conto… vuol dir che non le stima né vere né probabili. Noi prudentissimamente ci diporteremo cosí negli studii teologici: leggeremo appena queste opinioni, se saranno trattate in breve, facendoci scrupolo di occupare nella loro lettura piú di pochi momenti. Nel manoscritto “C” rinvia ad un esempio posto in una nota non passata poi alla stampa: “Una di queste è quella che il sacerdote sia il vero ministro del sacramento del matrimonio…”. 13. Vi sono inoltre certe opinioni singolari le quali hanno pochi patrocinatori… La singolarità porta sempre con sé la stranezza e la stranezza la falsità – cita in nota l‟opinione difesa dal Lamy che il Signore nell‟ultima cena non abbia mangiato l‟agnello pasquale –. Quegli ingegni, ai quali piacciono le opinioni singolari, pare che non sentano le impressioni del senso comune… Succede frattanto che quest‟ingegni bizzarri si credono d‟una sfera piú sublime e dotati di tanta intelligenza a cui comunemente non s‟arrivi, ma nessuno si acconcerebbe a questo complimento: Il vostro ingegno è cosí sublime che non vi permette di aver senso comune. Nei manoscritti il paragrafo 13 pone termine alle Osservazioni sopra la Dogmatica. Nel lavoro dato alle stampe aggiunge ancora un paragrafo. 14. Osservazione importantissima in fine sarà di non lasciarsi sorprendere dalle frodi dei moderni Razionalisti i quali, convenendo coi protestanti, 369 discendono all‟imo del socinianismo737. Ormai credono che per essere cristiani si possa fare a meno della rivelazione. Dicono di aver riconosciuto che la religione cristiana non è altro che una religione di ragione. In conseguenza di questo loro sistema è forza che non credano né meno alla divinità di Gesú Cristo e sieno semplici deisti, non ostante si chiamino cattolici… Ogni loro sistema e metodo sarà da noi rifiutato. Non conosceremo per dogmi se non quelli che la Chiesa Romana c‟insegna. Attingeremo la scienza dogmatica a quei fonti ai quali l‟attinsero i nostri padri e la studieremo con quel metodo con cui essi la studiarono. Qui fa d‟uopo star saldi e non declinare d‟un punto… Se voglionsi seguitare i moderni nelle scienze puramente umane, seguansi pure… Nella scienza però delle cose sante e soprannaturali si seguano solo gli antichi, che eglino hanno battuto la vera strada, quella che sempre fu ed è l‟unica che Dio ha mostrato agli uomini sopra la terra. Qui si può dire del Frassinetti ciò che egli sopra ha detto di sant‟Agostino servendosi delle parole di san Bonaventura: plus dicens et minus volens intelligi. È chiaro da tutto il contesto che per antichi si deve intendere quanti hanno fatto teologia in armonia con la tradizione ed il magistero ecclesiastico. Non si comprenderebbe altrimenti l‟essersi fatto discepolo di sant‟Alfonso, morto solo 17 anni prima che egli nascesse. In questo paragrafo appone cinque note, interessante la seconda in cui sunteggia pensieri tratti dal Du pape738 di Giuseppe de Maistre: L‟eresia è come un vortice in cui niuno può fermarsi a mezzo corso: bisogna andare al fondo necessariamente, e questo fondo, ove l‟eresia mette termine, è una religione naturale in cui non si riconoscono dogmi rivelati… Lutero, Calvino, Zuinglio, se salissero le cattedre di Vittemberga, di Ginevra, di Amsterdam ecc., non troverebbero piú un discepolo che convenisse con loro… Ciascun crede ciò che vuole e per quanto tempo vuole, che è creder 737 I sociniani si rifacevano a Lelio (1525-1562) e Fausto Socino (1539-1604), zio e nipote, entrambi senesi. Tale l‟impegno del primo nello scalzare le stesse fondamenta della fede cristiana che sulla sua tomba furono scolpiti questi esametri: Tota licet Babylon destruxit tecta Lutherus, / muros Calvinus, sed fundamenta Socinus. Benché Lutero avesse fatto crolare i tetti di Babilonia (= Chiesa cattolica) e Calvino abbattuto le sue mura, fu Socino a scalzarne le fondamenta. Negò la Trinità, il peccato originale, la redenzione, l‟efficacia dei sacramenti… riducendo la religione ad un deismo razionalistico. I due Socini operarono ambedue fuori d‟Italia. 738 Liv. 3, ch. 3. Nota del Frassinetti da cui si arguisce che si serviva del testo francese. Si ha una recente versione italiana di 1995, pp. XXIV-451. ALDO PASQUALI nella BUR: J. DE MAISTRE, Il Papa, Milano 370 nulla fermamente, che è lo stesso di non riconoscere nulla per dogmi rivelati. Tutto al piú riconoscono ancora varie opinioni teologiche che, secondo essi, possono essere vere e possono essere false… “Allorché uno di questi predicatori protestanti imprende a parlare, quali mezzi ha egli per provare che crede ciò che dice?… Mi par di sentire ciascuno de‟ suoi ascoltatori dirgli con scettico sorriso: Davvero io credo ch‟egli creda ch‟io lo credo”739. È bene riportare alcuni passi di un‟altra nota apposta allo stesso paragrafo. Ai nostri orecchi suona dura, se da tempo s‟è smesso di leggere i libri dei profeti e dei padri della Chiesa, non solo d‟un san Girolamo, ma dello stesso Doctor mellifluus, il gran pacificatore, san Bernardo di Chiaravalle, la cui penna, che pareva versar miele, si faceva stiletto se c‟era da difendere la fede contro Abelardo ed altri eretici. Una delle piú vere ed espressive metafore – scrive il Frassinetti nella nota 2 a pagina 21 – è quella che appella col nome di fulmini le condanne che partono dalla S. Sede contro i cattivi teologi. Si disprezzino, si deridano quanto si vuole: decidono irreparabilmente dell‟onore e del buon nome di chi n‟è colpito e, per trascorrer di tempo, non che perdere la loro forza, ne acquistano sempre di piú… Chi tiene ora per uomini grandi Sabellio, Novaziano, Donato, Pelagio, Celestio, Pirro ecc.? I piú moderni sono di qualche stima appresso dei loro discepoli, ma questa stima va sempre piú indebolendosi a misura che si van formando altri partiti ed altri cattivi teologi attiransi temporaneamente seguaci e discepoli. Bajo e Molinos oggimai son quasi deserti. Il razionalismo va dissipando le scuole protestanti e toglie seguaci a Giansenio… Conobbero e toccarono con mano i secoli trascorsi, e il conosceranno e toccheranno i futuri, essere impotenti tutti gli sforzi contro la S. Sede, né avervi scudo che possa rintuzzare que‟ fulmini i quali, partendo da lei, partono dal trono di Dio. Mi si permetta: ella è sempre cosa da Romani: parcere subiectis et debellare superbos. Chi erra può evitare quei 739 Se ne ha conferma ad un secolo di distanza in G. RICCIOTTI, Bibbia e non Bibbia: “Heilige Schrift! [Sacra Scrittura!]. Il ritornello risonò con la stessa fanatica intonazione dell‟altro, Tempio di Jahvé! che esprimeva la feticistica sicurezza dei Giudei al tempo di Geremia (Ger 7,4); ma, come l‟antico ritornello giudaico non era valso a preservare il tempio e la città di Jahvé dalla distruzione compiuta pochi anni dopo dai caldei, cosí quello protestante non impedí che il santuario della Bibbia fosse disertato e poi diroccato – oh, ironia divina! – proprio dai protestanti. Si veda, in un qualsiasi commento protestante moderno, come trattasi oggi la Bibbia, e si misurerà quanto dell‟antica Heiligkeit luterana le sia rimasto. C‟è stato pure chi, piú logico di tutti, le ha cambiato nome, e l‟ha chiamata in un titolo di libro Die grosse Täuschung [La grande illusione]. Questo si chiama parlar con franchezza, e dissipare ogni “illusione”!”, pp. 14s. 371 fulmini sottomettendosi ad un‟umile nell‟ostinazione non isperi scampo. e dovuta ritrattazione, ma La sorella santa Paola, ormai anziana e Giuseppe non piú tra i vivi, ricordava di aver avuto da fanciulla un fratello adolescente focosissimo. Quel fuoco cosí vivo nell‟adolescenza riappare di tanto in tanto ad infiammare lo zelo dell‟adulto quando vede insidiata la fede o attaccata Roma che ne è la rocca. Ne avevamo già dato un saggio riportando il sonetto Renan. Il Frassinetti, come l‟arcangelo san Michele, non sa resistere dallo snudare la spada e gridare il suo: Chi come Dio? Sopra lo studio della Morale740 Un argomento su cui dovremo trattenerci nella seconda parte parlando del suo Compendio di teologia morale scritto dopo una vita passata in confessionale. In questi consigli ai chierici teologi vediamo come si preparò a quel ministero che occupò tanta parte della sua vita. Vi riscontriamo i principi ai quali si rifarà in quella sua opera che lo renderà celebre. III-1. Per istruire il popolo, per sentire le confessioni ci vuole la sana morale… 2. Questa sana morale è nelle sante Scritture, chi lo negherà? ma per altro, come sarebbe impossibile studiare sulle divine Scritture, senz‟altro ajuto, la dogmatica teologia, cosí sarebbe impossibile studiarvi la teologia morale. Alcuni, disgustati dei teologi moralisti e del metodo che tengono comunemente, si accinsero a formare trattati di morale tutti cavati dalla Scrittura, ma non so se riuscissero a piú che a comporre trattati inutili per tutti quelli che vogliono studiar la morale, non per quistionare e argomentare, ma per servirsene. Si devono studiare i moralisti che usano bensí delle divine Scritture, ma usano pure la ragione che, insieme colle divine Scritture deve regolare la vita degli uomini. Se mi varrò soltanto delle divine Scritture, trovando a cagion d‟esempio: Os quod mentitur occidit animam741, conchiuderò che la bugia, anche officiosa, per questo che è bugia, è peccato mortale. 3. Ma di quai moralisti ci serviremo? Vi sono i larghi, vi sono gli stretti; vi sono gli stimati ed i disprezzati, anzi chi ha la stima di molti, ha pure di molti il disprezzo. Come faremo dunque in tanta confusione? Volete voi trovare un autore sicuro in tutto sicché non si possa errare mai seguendolo ciecamente? Voi nol trovate… Dio ci ha manifestato la sua legge, ma non ci ha fatto sapere espressamente come dovessimo regolarci in tutti i possibili 740 G. FRASSINETTI, Osservazioni… cap. III, pp. 24-30. 741 Sap. 1,11. 372 casi particolari. Ci ha dato la ragione, la quale, diretta dalla legge, che ha promulgato, ci guida sempre al retto e al giusto, ma questa ragione dell‟uomo non è infallibile. Per altro, se erra senza malizia, non ha alcuna colpa, né Dio se ne reputa offeso. Succede un disordine materiale, simile a quello d‟una giornata fredda nei mesi d‟estate. Se dunque non ha voluto manifestarci espressamente il suo volere in tutti i casi possibili particolari, non possiamo pretendere un autore che abbia tutto colto nel segno e renda infallibili i suoi studiosi. 4. Abbiamo però degli autori… di vita cosí santa e di sí pura coscienza che meritarono gli onori degli altari… seguendo i quali siamo certi di non mettere a pericolo né la nostra coscienza né l‟altrui… Questi teologi o non hanno sbagliato mai, o si sono salvati coi loro sbagli; se non hanno sbagliato mai, noi non potremo sbagliare seguendoli; se hanno sbagliato e si salvarono, noi ci salveremo errando con essi. Quegli errori ch‟essi sostennero e non hanno mai ritrattato, se furono per loro incolpabili, saranno incolpabili anche per noi finché non li riconosceremo per errori. Né si può mettere differenza tra la teorica e la pratica, quasi che incolpabilmente si potesse insegnare un errore, il quale poi incolpabilmente non si potesse commettere, ché anzi l‟errore in massima è sempre piú grave della pratica e ciascuno deve porre maggior attenzione a non errare insegnando che a non errare operando; essendo, a cagion d‟esempio, piú grave insegnar che sia lecito il furto di quel che sarebbe commettere un furto, perché recherebbe piú grave conseguenza quella dottrina che questo fatto… Ma a volte i Santi Teologi sono ne‟ punti controversi di parere tra lor contrario… Ci potremo allora salvare tanto con gli uni quanto con gli altri… Se non ci salveremo, a cagion d‟esempio, con San Tommaso, ci salveremo con San Bonaventura… 5. bisogna ancora notare che se i santi teologi canonizzati poterono incolpabilmente sbagliare in alcun punto, in altri punti potranno incolpabilmente sbagliare gli altri teologi non ancora canonizzati e forse non lo saranno mai piú… perciò se, per ipotesi, S. Tommaso poteva errare senza colpa formale, potrà errare senza colpa formale anche il Roncaglia, altrimenti bisognerebbe dire che l‟errore sia nei santi privilegiato. Questo sia detto per la sicurezza che dobbiamo avere nel seguire quelle opinioni che non sono condannate o riprovate in modo alcuno dalla Chiesa, e delle quali nel decorso del tempo non si è conosciuta chiaramente la falsità. 6. Ma voi… vorreste anche avere una regola per discernere tra le varianti le piú utili e le piú opportune le quali probabilmente saranno anche le piú vere, giacché dee credersi che sia piú utile ed opportuna la verità che l‟errore. Questa regola non è difficile assegnarla. Primieramente guardatevi da quelle opinioni le quali, sebbene non siano espressamente condannate dalla Chiesa, pure sembra che abbiano con le condannate qualche affinità. La strada che piú si scosta dal precipizio è la piú sicura: battete quella. 373 7. In secondo luogo preferite le opinioni dei Santi e dei teologi piú virtuosi… [che] sempre si lascian guidare dalla carità che è come la loro anima… 8. In terzo luogo preferite le opinioni di quelli i quali non furono contenti di essere moralisti in cattedra, ma vollero egualmente esserlo in confessionale… Sarà sempre da preferirsi un moralista di mediocre ingegno, ma molto pratico – penso debba intendersi con molta pratica di confessionale –, ad un altro di molto ingegno, ma poco pratico… perciò non sono da preferirsi le opinioni di quei moralisti dei quali consta, o per notizie storiche che se ne abbiano, o pel modo che tengono nel trattare le materie, che non ebbero molta pratica nel confessare, e nel confessare peccatori anche grandi. 9. Questa regola bisogna tenerla non solo coi teologi morti, ma ancora coi viventi. Quando ci dobbiamo consigliare in qualche dubbio importante, ricorriamo a quelli i quali, oltre di aver bene studiata la morale, la esercitano nelle chiese ove è concorso di tutta gente, la esercitano confessando nelle missioni, e non temono né meno il fetore degli ospedali, delle prigioni e degli ergastoli. Questi sono i teologi pratici e capaci di dar consiglio. Costoro è certo che sono animati da buono spirito, perché non li può guidare in certi luoghi che la sola carità. Conoscono il cuore umano e sanno per esperienza di quanto bene e di quanto male sia capace, sanno ciò che possa essere giovevole o dannoso per ogni sorta di gente. A tutto ciò si aggiunga una scienza almeno discreta delle materie morali, senza cui non val esperienza… Può sembrare strano che uno che s‟era scelto per maestro e guida sant‟Alfonso, nel comunicare ai giovani ecclesiastici le proprie esperienze, qui non l‟additi come il piú sicuro maestro a cui rifarsi. A dire il vero nel manoscritto “C”, pag. 154, aveva preparato una nota che pensò bene di non pubblicare: Grandissima scienza e pratica chi non riconosce nel B. Alfonso de Liguori? Questi fu il moralista del secolo trascorso e, non ostante gli sforzi dei suoi emoli, si può dire il maestro in morale del secolo presente. Lo splendore della sua santità va sempre piú dissipando que‟ pregiudizi pei quali la sua Teologia si volea far passare come pericolosa per eccessivo lassismo. Io spero che i secoli futuri non si risentiranno di questa proposizione che in lui ha dato Iddio un nuovo S Tommaso / stella / alla sua Chiesa742. Ma approva nella sua Morale alcune opinioni che non potranno mai andare al genio dei piú. E per questo? Opinioni generalmente non abbracciate non si trovano in S. Giovanni Grisostomo, in S. Girolamo, in S. Agostino, in S. Tommaso e forse in tutti i Padri e in tutti i Dottori? Il dono dell‟Infallibilità è degli Scrittori Canonici e solo a quelli bisogna credere fermamente in ogni 742 Cancellato nel manoscritto. 374 cosa che hanno scritto. Noi non diremo che ai nostri giorni il B. Liguori sia il moralista infallibile che in tutti e singoli i punti sia necessario seguir ciecamente. Siamo contenti di asserire che ai nostri giorni tra i moderni alcuno non ve n‟ha che gli possa andare di costa. Da questa nota risulta chiaro che il Frassinetti ha tracciato il ritratto del moralista ideale col pensiero rivolto alla figura del Beato Alfonso de Liguori743. Il motivo per cui pensò di non stamparla, o fu consigliato di lasciar stare, va ricercato nel putiferio suscitato due anni innanzi dalle Riflessioni proposte agli ecclesiastici dove aveva altamente elogiato le opere del Beato Alfonso744. Meglio fare il ritratto del Beato tacendone il nome e penetrare in tutti i seminari, piuttosto che parlarne e vedersi rigettato il libro. Sopra lo studio della Scrittura745 Anche in questo campo il Frassinetti consiglia ciò che egli ha praticato. Ne è prova la raccolta di Annotazioni sopra la Bibbia ricavate dalle annotazioni letterali e spirituali della Vulgata di Luigi Isacco le Maistre de Sacy. Tomo 1mo746. Un manoscritto di 305 pagine, cm 21x32, in scrittura minuta, con note e appunti su tutti i libri della Scrittura, eccetto i profetici, i due dei Maccabei ed il Nuovo Testamento, capitolo dopo capitolo. Da queste annotazioni si può fissare la data ante quem in grazia di una nota marginale a pag. 81 con cui rinvia al B. Liguori, anteriore quindi al 26 magio 1839, giorno in cui sant‟Alfonso fu canonizzato. Le annotazioni, che non riportano i testi e pongono frequenti richiami: si rilegga…, si riveda…, cosa da leggersi, da rileggersi e da studiarsi, ci dicono che si tratta di volumi che poteva facilmente riconsultare. Dubito che potesse già possederli – 32 volumi, se l‟edizione 1687-1702; 12 se quella del 1789-1804! – insieme 743 Il 23 maggio 1871 sarà proclamato dottore della Chiesa da Pio IX. Nel decreto del 23 marzo 1871 si legge: “Con dotte opere e con trattati, soprattutto di teologia morale, dissipò e rimosse le tenebre degli errori largamente sparse dagli increduli e dai giansenisti. Chiarí punti oscuri e sciolse dubbi, lastricando una strada sicura… che le guide dei fedeli potessero percorrere con piede sicuro”. Cfr. il breve Qui Ecclesiæ del 7 luglio 1871. 744 Ne parleremo nel prossimo capitolo. 745 G. FRASSINETTI, Osservazioni… cap. IV, pp. 31-41. 746 L‟unico che ci è pervenuto. Quel “Tomo 1mo”, rimasto unico, ci fa pensare che, non avendo piú a portata di mano i volumi del Sacy, non gli fu piú possibile continuare le annotazioni degli altri libri su indicati, tanto pú che ora non sarebbero piú bastati i rinvii: si riveda, ecc., ma avrebbe dovuto trascrivere i testi per intero. 375 ai molti altri a cui fa spesso riferimento nei lavori pubblicati negli anni 1837-1839, come s‟è già avuto modo di notare nel capitolo precedente. Sono quindi di un epoca in cui poteva facilmente accedere andando in biblioteca, né pensava doversi allontanare da Genova, perciò prima del luglio 1831 mese in cui andò parroco a Quinto per rimanervi fino al 1839. Ci si trova subito di fronte ad una sorpresa: prende appunti da La Sainte Bible en latin et en François di Luigi Isacco Le Maistre, conosciuto con il nome di Sacy, anagramma di Isac. Sí, il figlio di Caterina Arnauld, sorella di Madre Angelica e del Grande Arnauld; fratello, dunque, nipote e cugino dei famosi Solitaires, quanto dire dei padri del giansenismo, di cui egli stesso fu figura di primo piano, confessore e direttore spirituale di Port Royal, con tanto d‟aureola di martirio per i trenta mesi di Bastiglia sopportati a causa della sua fede747. 747 Già prima del 1657, Antoine Le Maistre, fratello maggiore di Sacy, anch‟egli giansenista, aveva tradotto dalla Vulgata i Vangeli e l‟Apocalisse. Il fratello Sacy e lo zio Antoine, il Grande Arnauld, ne rividero la traduzione e la completarono traducendo dal greco gli altri libri del Nuovo Testamento. Portata che fu a termine e non avendo ottenuto il permesso di stampa a Parigi, uscí nel 1667 ad Amsterdam in due volumi in -8°: Le Nouveau Testament de Notre Seigneur Jésus-Christ traduit en François selon l‟édition Vulgate, avec les différences du grec. Versione conosciuta col nome di Traduction du Nouveau Testament du Mons. Nello spazio di qualche mese se ne vendettero cinque mila esemplari solo a Parigi e, prima che spirasse l‟anno, s‟era già alla quinta edizione, alla nona l‟anno seguente! Nello stesso anno fu condannata per la temerità di alcune interpretazioni dall‟arcivescovo di Parigi, l‟anno appresso da papa Clemente IX e nel 1679 da papa Innocenzo XI. L‟Antico Testamento fu tradotto dal Sacy nel chiuso della Bastiglia, a cui, aiutato da altri, aggiunse spiegazioni sul senso letterale e note spirituali tratte dai santi Padri: La Sainte Bible en latin et en François avec des explications du sens littéral e du sens spirituel, in 32 volumi in -8°, Paris 16821702. Il Sacy era già morto dal 4.1.1684. Ebbe numerose ristampe. L‟edizione migliore è quella in 12 volumi in -8° del 1789-1804, anch‟essa stampata a Parigi. La traduzione è fatta dalla Vulgata. Le note sono secche e fredde come tutti gli scritti dei giansenisti. Piú che per la fedeltà, è pregevole per la chiarezza e l‟eleganza dello stile ed è considerata la piú bella di tutte le versioni francesi in quanto a purezza di lingua. Di nessun interesse dal punto di vista esegetico. Il benedettino Antoine Calmet la fece sua nel Commentaire littéral sur tous le livres de l‟Ancien et du Nouveau Testament, vol. 23 in -4, 1716. Siccome negli appunti e note del Frassinetti vediamo citato anche il Calmet, se non ci avesse dato il riferimento preciso, verrebbe da pensare che la Bibbia da lui usata fosse questa del Calmet: testo latino della Vulgata, traduzione del Sacy, introduzione ad ogni libro, senso letterale e commento d‟ogni versetto, riproduzione delle migliori spiegazioni di esegeti antichi e moderni, 114 dissertazioni. Non siamo in grado di dire quale edizione abbia usato il Frassinetti. Potrebbe 376 Già nelle Osservazioni sopra lo studio della Storia ecclesiastica, e ancor piú nell‟inedito Corso di storia ecclesiastica, il Frassinetti ci si presenta come uno che combatte non quasi aërem verberans, ma come chi si muove con disinvoltura in campo nemico sapendo dove posa i piedi, non quasi in incertum748. C‟è qualcosa di piú: la serenità di giudizio. Deplora, ma sa pure ammirare: Un giansenista avrebbe dovuto tremare scrivendo le parole seguenti… Non pare che il Sacy voglia parlare di quei mirabili Santoni di Porto Reale?… Se vi è veleno nel Sacy, qui ve ne è un saggio… I Signori di Porto Reale passano sempre i limiti… Si fa torto l‟annotatore col voler sempre sembrare piú rabbino che cattolico… Ecco Dio che giura di vendicarsi, Sacy!749. Ma si legge pure: Qui il Sacy fa un‟eccellente comparazione del Paradiso terrestre con la Chiesa. Ella è cosa che sminuisce il dolore di vederci privi dell‟Eden. Cosa da leggersi, da rileggersi e da studiarsi…750. Non si deve attendere – dice il Sacy – la gravezza della cosa, ma l‟autorità del comando… Si rilegga tutta l‟osservazione del Sacy sopra Eliezer, servo di Abramo, e si veda ciò che riporta dei reciproci doveri dei padroni e dei servi, cosa utilissima per il catechismo…751. Come una madre al mercato pensa a chi di casa può servire questo e quell‟oggetto ed ogni sua spesa è un atto d‟amore, cosí il Frassinetti tra i libri. Ce lo dicono le note marginali di questa sua raccolta di appunti. Aggiungiamo qualche altro esempio tratto dalle prime pagine: Per la predica del Paradiso – Per i peccatori che a volte fanno il bene per interesse… IIda conferenza – Possedeva grandi ricchezze in questa terra, senza possedere la terra; vedere se si può applicare a quelli che ricavano grandi meriti dal vivere in questa terra, ma niente vi hanno il cuore attaccato – aver usato anche la versione italiana pubblicata a Venezia (1769-1781). Anche L.-CL FILLION, nella sua Sainte Bible commentée, Paris 1888-1898, affianca al testo latino della Vulgata la versione del Sacy. La nota è ricavata dalla voce Françaises (Versions) de la Bible, stesa da E. MANGENOT in Dict. de la Bible, T. 2, cc. 2367-2369, Paris 1899. 748 1 Cor 9,26. 749 Nell‟ordine: pp. 84,87,112,119,205,68. 750 Di qui il titolo della sua operetta Il paradiso in terra del celibato cristiano? 751 Nell‟ordine: pp. 2,3,14. 377 IIIza conferenza – Si veda se si può applicare al sonno di Gesú nella tempesta dicendo che noi dormir dobbiamo con lui nella tempesta etc. – punti per la predica del paradiso – confidenza – dipendenza da Dio… Eucarestia… penitenza – si veda se si può applicare il fatto di Mosè per i prelati che non devono sdegnare l‟aiuto dei subalterni – Provvidenza – presenza di Dio752. Ogni pagina è poi piena di rinvii a questo e quel padre riportandone i passi, ma non v‟è nulla di quanto si studia a introduzione biblica o a scuola d‟esegesi, nessun problema critico, di cui è priva del resto anche la fonte a cui attinge. Si ha una lettura della Scrittura solo in vista del nutrimento delle anime. Ancora una volta ci ritroviamo avanti il pastore. Durante la lettura delle Osservazioni sopra la Sacra Scrittura, si tenga presente quanto fu detto nel capitolo precedente sullo studio della storia con un‟aggiunta: il Frassinetti mai dimentica il “di piú” di questi libri che ne fa un qualcosa di unico: l‟ispirazione. Non ignora lo studio critico dei libri santi come all‟epoca si presentava, ma sa che sono libri diversi, non solo per il modo in cui furono composti, ma per il fine a cui erano destinati: mostrare all‟uomo la via che conduce al cielo. In queste sue Osservazioni distingue lo studio di pura erudizione dallo studio che se ne deve fare per nutrire i fedeli. Non sempre lo studio erudito della Bibbia torna di utilità pratica al pastore d‟anime, né sempre tale studio è piú vicino alla verità, ripetendosi, tutt‟altro che di rado, ciò che fu degli scribi: sapevano tutto della lettera di quelle sante carte e quanto su di esse era stato detto, eppure non riconobbero il Cristo che quegli scritti annunciavano, sí da essere da lui bollati per guide cieche753. 752Nell‟ordine: pp. 3,6,13,14,15, 25, 30,31, 32,34. 753 Mt 23, 24. Altra cosa è l‟erudizione biblica, altra cosa la sapienza divina racchiusa nel libro santo, e, non poche volte, la prima soffoca la seconda fino a spegnerla. Un pericolo da cui poneva in guardia Francisco de Osuna, il maestro di spirito tanto apprezzato da santa Teresa d‟Avila: “Quando il superbo spande e semina dell‟abbondanza del suo proprio sapere, i mali crescono di tal misura da venir meno l‟unica fede e l‟unico battesimo. Ogni uomo di studio, se superbo, semina per il mondo le preziosità del suo cervello, e, perché le espone in un buon latino insaporito di greco e d‟un pizzico di spezie ebree, stuzzica l‟appetito nei palati degli amatori di novità. Ognuno poi li interpreta a modo suo. Maledetto sia questo sapere di cervelli superbi, cosí numerosi al giorno d‟oggi [1542], che ci ha tolto Cristo ed ha creato dissenso nella Chiesa – maldito sea el proprio seso de los altivos que abundan hoy día, que nos ha quitado a Cristo y puesto la Iglesia en diferencias –. Ci ha fatto perdere la vera sapienza, e solo ci resta: Así lee el griego, así lee el hebreo, así está aquí, así está acullá. Questa incontenuta curiosità di sapere umano, posta in voga da menti superbe, allontana gli 378 Né va dimenticato – servendosi il Frassinetti della Vulgata – che l‟apostolo Paolo, alunno di Gamaliele, padrone quindi del testo ebraico, se ne sente cosí poco condizionato da citare quasi sempre dalla versione greca dei Settanta. Nel capitolo precedente si è già accennato alla grande questione sulla natura precisa della pianta alla cui ombra Giona trovò refrigerio, se una zucca un‟edera o, come vogliono i moderni, un ricino. Per un pastore è già tanto degnarla d‟un‟occhiata, ciò che per lui conta non è il conoscere la natura di quella pianta, ma cosa voleva Iddio con essa insegnarci. La Vulgata, se è tutt‟altro che perfetta per tante e tante di queste particolarità di traduzione, era pur sempre la versione con tanto di garanzia per quello che riguarda la genuità dell‟insegnamento rivelato, ed è questo che importava al Frassinetti. La migliore esegesi, si dica quel che si vuole, rimane sempre quella che suscita santità. Le Osservazioni del Frassinetti mirano a questo. Ascoltiamolo. IV-1. L‟ecclesiastico debb‟essere persuaso dell‟importanza di questo studio della Scrittura, considerando che la Chiesa l‟affida a lui perché la spieghi al popolo. L‟ecclesiastico è quegli che deve sminuzzare questo pane divino ai figli della Chiesa. Come vi riuscirebbe, senza studiarla? Questo però è uno studio troppo pericoloso se non è bene diretto. 2. Quando prendiamo in mano la sagra Bibbia, non ci dobbiamo figurare di aver tra le mani un‟opera di qualche grand‟uomo, nella quale si troverebbero bellezze e difetti, verità ed errori, ma la dobbiamo considerare, qual è, opera di Dio… perciò non si ventili con quella critica, né si misuri con quella squadra che si adopererebbe colle scritture di Erodoto, oppur d‟Omero. Quando si trova oscura la sagra Bibbia, non si attribuisca alla inesattezza di coloro che scrissero illuminati dallo Spirito Santo, ma si attribuisca alla mancanza in noi di molte cognizioni, che sarebbero necessarie754, e forse piú al nostro poco intendimento delle cose di Dio… Quando ci pare ch‟ella in alcun luogo manchi di bella disposizione e di eleganza, consideriamo che Dio non ci ha compartito questo tesoro perché ci servisse di letterario trattenimento, né ad esemplare di belle inezie, ma perché umiliasse il nostro orgoglio e ci persuadesse che ciò cui l‟uomo piú stima, Dio meno cura. Le uomini dallo studio di Cristo e pone al suo posto storie profane e umane filosofie da cui ci metteva cosí bene in guardia san Paolo… Quale la causa di tanto male se non l‟attaccamento alle proprie congetture di cui tanto son pieni i superbi?”, F. DE OSUNA, Quinto abecedario espiritual, parte 1a, c. 30, in una mia traduzione. 754 Cfr. G. RICCIOTTI: Op. cit., “Locutus est in parabolis”, Brescia s. d., pp. 27-32. Libro che agli studenti della mia generazione insegnò a leggere la Bibbia con umiltà e rispetto. 379 bellezze della Scrittura sono spirituali, le sue grandezze sono divine, le sue eleganze sono celesti, e quelli che sanno meno di carne e di mondo le vedono, le ammirano, le sentono, senza poterne desiderare di piú. Non si dee faticare a persuaderli che, quanto Dio è sopra l‟uomo, altrettanto la Scrittura di Dio è sopra tutte le scritture degli uomini. 3. Mentre… prendiamo in mano la Bibbia, osserviamo chi a noi la presenti. Ce la presenta la Chiesa, cui è stata consegnata da Dio… Ascolteremo chi ci dirà: “Voi che desiderate studiare la Bibbia venite alla mia scuola. Io conosco profondamente tutte le lingue orientali, io ho confrontato i piú autorevoli manoscritti, io ho trovato molte cose che finora sfuggirono alla vista d‟ogni altro. Voglio comunicare i lumi che Dio mi ha dato, venite alla mia scuola”. “Chi vi manda?” risponderemo, “in nome di chi insegnate? Vi manda la Chiesa, insegnate in suo nome a norma delle sue decisioni, delle sue approvazioni, delle sue pratiche, sulla traccia de‟ santi Padri? Eccoci alla vostra scuola. Ma se invece vi manda lo spirito della superbia e della novità, se voi, invece di cercar lume dalla Chiesa, siete venuto per illuminarla, poco monta la scienza delle lingue e l‟autorità dei vostri manoscritti. I vostri ritrovati sono inganni del vostro orgoglio”. 4. Noi pertanto nello studio della Sacra Scrittura osserviamo bene ciò che la Chiesa ha definito, ciò che tacitamente approva o disapprova, osserviamo inoltre le sue pratiche, le quali possono dare gran lume… 5. È pure la Chiesa la quale ci comanda di seguire i Santi Padri nella interpretazione delle Scritture755; dunque tutti i ritrovati contrarii alle spiegazioni, che danno comunemente a qualche testo que‟ santi commentatori, si rigettino senza timore… Si sa che i primi a spiegare le divine Scritture furono gli Apostoli sprovveduti de‟ lumi del secolo, ma ben provveduti dei lumi dello Spirito Santo: Aperuit illis sensum, ut intelligerent Scripturas756. Né si può dire altrettanto d‟alcuno dei nostri dotti. Dagli Apostoli impararono le interpretazioni scritturali i Padri detti apostolici, e in poche generazioni di santi arrivarono quei sommi Dottori di santa Chiesa, che le tramandarono fino a noi. Perciò chi interpreta la Scrittura coi Padri, la interpreta cogli Apostoli e collo Spirito Santo. 6. I testi originali meritano in se stessi sommo rispetto, e si devono preferire a quante versioni si sono fatte, o si potessero fare. Non si deve perciò quistionare se siano in se stessi da preferirsi anche alla nostra Volgata…757. Per altro bisogna osservare che i testi originali ebraici non 755 Conc. Trid. Sess. 4, Decretum de editionibus et usu sacrorum librorum. 756 Lc 24,45. 757 Non si dimentichi – aggiungo io – che, rispetto a tutte le altre versioni antiche e moderne, la Vulgata, insieme con la Septuaginta e la Pescitta, occupano di diritto il posto d‟onore. 380 pervennero a noi cosí puri ed intatti come uscirono dalla penna degli Scrittori inspirati e perciò abbisognerebbero di correzioni anche importanti. Farebbe duopo aggiungervi degl‟interi capitoli e, nel complesso della Bibbia, degl‟interi libri canonici758. Queste correzioni poi bisognerebbe che fossero fatte dalla Chiesa per essere veramente autorevoli… che finora – 1839 – non ha creduto di dover emendare, ma le bastò da mille e piú anni la Volgata di San Girolamo… Ella la presenta a‟ suoi figli con gran sicurezza… – ne fa una breve storia –. Or noi, dopo queste osservazioni, ce ne staremo alla Volgata sempre tranquilli. 7. … I nei che ancora sono nella Volgata non ci fanno punto timore, perché, se fossero importanti, non sarebbero sfuggiti alla censura della Chiesa… Questa difesa della Volgata, oggi che non c‟è bibbia che non ponga in bella evidenza nelle locandine, nel frontespizio e persino in copertina che è stata tradotta dai testi originali, può suscitare un qualche sorriso. Piú sale la stima per le bibbie tradotte dai testi originali, piú si sente la Volgata come qualcosa di sorpassato, dimenticando che pur essa per la sua maggior parte fu tradotta da… testi originali, e da mano di uno che era padrone dell‟ebraico, del greco e del… latino in cui traduceva. Già, anche del latino, perché, per ben tradurre, non basta conoscere la lingua da cui si traduce, ma essere anche padroni della lingua in cui si traduce. Ma è proprio una versione da dimenticare in scaffale la Volgata? Nel mio Nestle, l‟edizione critica greco-latina del Nuovo Testamento piú diffusa anche tra cattolici, benché protestante e molto prima delle aperture conciliari, trovo quest‟attacco: “Quantum auctoritatis insit Latinæ versioni ad textum Novi Testamenti non est cur hic amplius exponam”. Quanto dire: il testo della Volgata, anche per il Nuovo Testamento – ed è la parte che san Girolamo si limitò solo a rivedere –, è tale che è tempo sprecato starci a spendere ancora parole. Come non bastasse, fa precedere la sua introduzione da un occhiello con il giudizio di un altro biblista, J. A. Bengel: “Latinæ versionis lectio… eximium ob singularem antiquitatem pondus habet”. Si noti: “singularem antiquitatem”, un‟antichità unica, quanto dire che Girolamo poté giovarsi di codici per noi irrimediabilmente perduti. I codici piú antichi del testo ebraico, fino alla scoperta dei manoscritti del Mar Morto, risalivano a non molto prima del Mille della nostra era, ossia erano di oltre un mezzo millennio piú recenti del lavoro di Girolamo. 758 Allude ai libri ed ai tratti deuterocanonici. 381 È spassoso ciò che racconta il Ricciotti di quel vecchio prelato, ormai vicino agli ottanta, che attribuiva alla sua devozione per Mosè l‟avere denti da far invidia ad un giovane, e della sua meraviglia che un biblista, quale il Ricciotti, se ne meravigliasse ignorando che a Mosè, a 120 anni, non uno dei suoi trentadue denti vacillava: “Nec dentes illius moti sunt!”759. È vero, il testo ebraico non parla di denti, ma della freschezza e del vigore goduto da Mosè fino ai centoventi anni. Però, però… Girolamo aveva fatto suo, e con che arte, l‟oraziano: Nec verbo verbum curabis reddere, fidus interpres…760, da lui divenuto legge per chi vuol ben tradurre: non parola a parola, ma sensum sensui, pensiero a pensiero, e nell‟indole della lingua in cui si traduce, perché non accada che, mentre si sta attentissimi alla sillaba, si perda l‟intelligenza del passo, dum syllabas sequimur, perdamus intellegentiam761. Stando cosí le cose, la traduzione è buona e viva: Mosè, a 120 anni, si sarebbe detto un giovanotto con tutti i denti, essendo, all‟epoca, una bocca priva di denti il simbolo della vecchiaia cadente762. Certo, se guardiamo le squisitezze che appassionano i filologi, sono mille gli appunti che si possono fare alla Volgata. Se ci fermiamo al pensiero si riducono a pochi e tali da non pregiudicare minimamente la genuità del messaggio rivelato – questo il riconoscimento ufficiale della Chiesa –, che, in fondo, e ciò che realmente conta e che ad un pastore, qual era il Frassinetti, stava a cuore. E sono mille altre le ragioni per cui si resti attaccati a quel testo. Su quel testo per secoli si era cominciato a compitare fanciulli come i bimbi dei greci su Omero. Per un buon millennio e mezzo la Chiesa ha pregato ed insegnato con quelle parole, con esse si è argomentato nelle università, si è meditato e sviluppato il pensiero teologico. San Tommaso non ebbe nulla di meglio su cui basare la sua teologia, e sant‟Agostino dovette servirsi di versioni molto meno felici di quella di Girolamo, eppure… Imparagonabili i mezzi tecnici di cui può servirsi oggi 759 Dt 34,7. G. RICCIOTTI, Bibbia e non Bibbia, 5a ediz. sd, Brescia, p.113. 760 ORAZIO, Ars poëtica, vv. 133s. 761 Per i criteri seguiti nel tradurre cfr. GIROLAMO, Epistola 57 Ad Pammachium (De optimo genere interpretandi) e Epistola 106 Ad Suniam et Fretelam. 762 Dt 34,7. Tanto piú che la Septuaginta, la venerata versione grega citata anche dall‟apostolo Paolo, e cui si rifaceva tutta la cristianità di lingua greca, aveva un ou)de\ e)fqa/rhsan ta\ xelu/nia au))tou, né gli si era afflosciata la mascella, che fa pensare abbiano letto nel codice da cui traducevano Iyx:l, lehî mascella, invece di hxole lehoh freschezza/vigore. Se si tiene conto che le vocali non erano segnate, il passaggio dall‟una all‟altra lezione è spiegabilissimo. 382 un pittore o uno scultore rispetto a quelli di cui potevano disporre Giotto o Michelangelo, eppure… Andiamoci piano nel sorridere dei nostri padri. Se il Lettore non si sapesse trattenere dal sorridere di questa mia difesa, ascolti uno che in materia ebbe autorità da vendere ed è sua la prima bibbia tradotta dai testi originali in italiano moderno, il padre Alberto Vaccari: Nessuno degli antichi interpreti, al pari di lui (Girolamo), colse il genuino pensiero dei sacri autori, e nessuno con pari lucidità lo espresse nelle propria lingua. In luogo di lunghe prove, sia lecito recare qui il giudizio di alcuni tra i piú recenti e piú riputati scrittori protestanti, punto sospetti, certo, di parzialità per l‟austero monaco di Betlemme… “Il lavoro di lui nell‟insieme è una meravigliosa produzione, che merita le piú alte lodi”…763. “L‟importanza della Volgata si parrà chiaramente, quando riflettiamo che fu preparata con gran cura dal piú grande letterato che abbia prodotto la cristianità latina… Essa si è dimostrata, alla prova, di primaria importanza, quale eccellente portavoce della divina parola”…764. “La Volgata è l‟opera d‟un letterato competente e rende il senso ebraico con accuratezza e perspicuità. Fu gran ventura della Chiesa latina che si levasse a tal lavoro un traduttore cosí eccellente, e grande gloria di Lei è che il lavoro di S. Girolamo, non ostante molteplici difficoltà, infine fu universalmente adottato”…765. la versione del Dottor massimo, quella che fu poi la Volgata della Chiesa latina, è dunque un terso specchio in cui si riflette limpida e sincera la mente degli ispirati scrittori766. Il Vaccari non si ferma qui. Aggiunge elogi ad elogi, non ultimo quello sull‟eleganza del dettato latino: Col parlare di eleganza della bibbia latina a molti che escono dalla scuola, c‟è rischio di farsi ridere e compatire. Non si suole appunto opporre al latino di Cicerone il latino di sagrestia, di cui è tipo e parte precipua la Bibbia Volgata? – Eppure è certo, e non si potrebbe mai abbastanza ripetere, che la Volgata è una versione elegante, anzi assai elegante… Non possiamo che… rendere omaggio alla bella eleganza che il nostro grande interprete seppe dare alla sua versione, senza venir meno a quel decoro che si deve alla parola di 763 C. H. CORNILL, Einleitung in die canon. Bücher des A. T., 7a ed. Tubinga, 1913, p. 315. 764 JAMES ORR, in The International Standard Bible Encyclopaedia, Chicago, 1915, p. 3059. 765 F. C. BURKITT, “nella sovente arditissima radicale” Encyclopaedia Biblica, v. 4, c. 5052. 766 A. VACCARI, S. Girolamo – Studi e schizzi, Roma 1921, pp. 110s. 383 Dio, a quella nobile semplicità che esige un libro popolare e religioso. Basti un solo esempio…767. Qui il Vaccari adduce un esempio di come Girolamo seppe mutare la monotonia della paratassi ebraica, una monotona sequela di periodetti di mezza riga tra loro legati da una serie senza fine di e… e… e… e…, con l‟ipotassi, mutando le sette proposizioni, appiccicate l‟una all‟altra con una e, in un periodo ben articolato senza aggiungere o togliere parola, fino a conservarne persino l‟ordine! Effetto che i traduttori moderni non tutti e non sempre riescono ad ottenere con uguale perizia. Chi vuol sorridere del Frassinetti, sorrida pure, ma mirandolo in sí bella compagnia. Riprendiamone la lettura e chissà che i suoi vecchi consigli non siano salutari ed opportuni anche per noi. 8. Chi non ammirerà poi l‟ardimento di quelli che trovarono il modo di far tacere la Chiesa… Tutta la Bibbia è composta di parole come qualunque altro libro – [affermano] –, tutte le parole sono soggette alla giurisdizione dei grammatici, dalle parole dipendono necessariamente i sensi del discorso… La Chiesa non fu infallibile nell‟intendere il significato delle parole dei testi, dunque le sue definizioni sono senza appoggio sicuro e perciò non possono formare dei dogmi. A confutare quest‟arditissima novità basta esporla… La Chiesa dunque ascolterà le varie opinioni de‟ grammatici del sagro testo, ma sarà sempre infallibile nella scelta di quelle che serviranno di fondamento alle sue decisioni… 10. Nessuno creda però ch‟io disapprovi lo studio de‟ sagri testi originali e delle altre antiche autorevoli versioni, questo è anzi importantissimo a‟ nostri giorni per confutare e confondere quei biblici di mala fede che a questi nostri tempi fan molto chiasso. Questo studio può essere utilissimo per l‟intelligenza della Sacra Scrittura, se però ce ne serviremo con quella umiltà, cautela, riserbo e sottomissione ai giudizi della Chiesa che usarono gli approvati commentatori cattolici quando si servirono di que‟ testi e versioni nelle loro interpretazioni scritturali. Sopra lo studio del Gius Canonico768 VI-1. La Germania ha le sue leggi… Credereste voi che tali leggi siano meglio intese in Russia o in Francia…? Nessuno si potrebbe persuadere d‟un tale paradosso. Con questo voglio dire che noi ragionevolmente dobbiamo credere nessuna autorità intendere le leggi ecclesiastiche meglio che la Chiesa 767Ivi, pp. 114s. L‟esempio è da noi riportato in Appendice I alla fine del presente capitolo. 768 G. FRASSINETTI, Osservazioni…, cap. VI, pp. 101-104. 384 medesima… Dunque ogni controversia di gius canonico, sempre che si può, si decida e si sciolga con la pratica della Chiesa… 2. Si osservi pure che un attentato violento contro le ecclesiastiche leggi non indebolisce punto la loro autorità, come un armato prepotente non acquista sul debole ed inerme diritto alcuno per quante violenze egli eserciti contro di lui. In nota aggiunge: Abbiamo veduto impedito al Papa l‟esercizio della sua giurisdizione sopra molti vescovadi, anzi si può dire sopra tutta la Chiesa, e lui imprigionato, malmenato. Qual diritto ha perduto la Santa Sede? Appena il prepotente o restò abbattuto, il Papa esercitò la sua giurisdizione come prima. 3. Certi estensori del gius canonico, i quali meritarono la disapprovazione delle Chiesa, dopo questa disapprovazione, non hanno piú diritto d‟insegnarci il gius canonico… Il loro non può essere gius canonico, ovvero ecclesiastico, perché la Chiesa nol riconosce per suo… 4. … I figli che amano la propria famiglia amano pure la conservazione dell‟ordine nella medesima e procurano, non di alterare le regole e le ordinazioni sulle quali si regge, sibbene di sostenerle. Un buon cristiano, non che un buon ecclesiastico, intende la forza del paragone. 385 Appendice I Mi piace porre una accanto all‟altra le versioni di Genesi 28,10s., la versione autorizzata dal re Giacomo d‟Inghilterra, la King James Version, che traduce pedissequamente parola a parola, qui con sette and i sette w> dell‟ebraico, con la Volgata di Girolamo e quella che farà poi lo stesso Vaccari: King James Version And Jacob went out from Beersheba, and went toward Haran, And he lighted upon a certain place, and tarried there all night, because the sun was set; and he took of the stones of that place, and put them for his pillows, and lay down in that place to sleep. Volgata Igitur egressus Jacob de Bersabee pergebat Haran; cumque venisset ad quendam locum et vellet in eo requiescere post solis occubitum, tulit de lapidibus qui iacebant et subponens capiti suo Versione del Vaccari Partito da Bersabea, Giacobbe si avviò verso Haran. Giunto a un luogo, dormivit in eodem loco. e si coricò quivi stesso quando il sole era già tramontato, vi si fermò; prese una delle pietre ivi trovate, se la mise per capezzale Appendice II Sopra lo studio della filosofia e della eloquenza769 1. Queste due scienze hanno molto a che fare cogli studi ecclesiastici, perciò ancora due riflessioni sul loro conto. Se la filosofia sia arrivata all‟altezza che si dice, qui non si definisce. Importa che nessuno si lasci abbagliare cercando luce e una sola avvertenza pare che possa guardarci da molti abbagli. La verità è una, e questo è suo essenziale carattere, perciò una cosa o è vera o è falsa: non si può trovare uno stato di mezzo. Quando dunque ci troveremo a discutere un‟opinione, la quale con le ragioni filosofiche sembri vera e colle teologiche falsa, o viceversa, che cosa diremo?… Un cristiano non può esitare. Sa che deve sottomettere la ragione alla fede e non la fede alla ragione. Dunque ciò che è vero in teologia è realmente vero, ciò che è falso in teologia è realmente falso. 2. Nella scelta poi delle opinioni, non trattandosi di quelle che in teologia sono dichiarate o assolutamente vere o assolutamente false, noi prudentemente ci appiglieremo a quelle che vedremo piú conformi alla verità 769 G. FRASSINETTI, Osservazioni…, pp. 105-112. 386 teologiche… Se noi ci diporteremo in tal modo, ci troveremo a minori pericoli e lo studio della filosofia ci illuminerà senza abbagliarci. In un tempo in cui generalmente la filosofia, quanto piú si discosta dalla teologia, è applaudita, sembrerà strana questa riflessione, ma io parlo non che a cristiani, a chierici studenti, e loro si può dire che non vi è verità tanto certa quanto la rivelata e che tutte le opinioni, le quali maggiormente a lei si conformano, sono perciò le piú salde. Il paragrafo 3 presente nei tre manoscritti, è omesso nella stampa. Vale qui riportarlo: Da pochi anni in qua abbiamo veduto nascere una novella filosofia che deferisce alla religione e alla fede piú che non vogliano la fede e la religione – un‟allusione alle recenti pubblicazioni del Rosmini e del Gioberti, soprattutto di quest‟ultimo? –770. Che diremo di questo nuovo parto dell‟immaginazione dell‟uomo?… Una filosofia che non riconosce l‟autorità della fede è una filosofia da empi, una filosofia che non riconosce l‟autorità della ragione è una filosofia da bestie. Media fra questi estremi stessi la filosofia dell‟uomo onesto, ossia cristiano. Continua scalando d‟un numero rispetto al manoscritto. 3. A riguardo dell‟eloquenza io non saprei riflettere altro di piú importante fuorché la necessità in cui ci troviamo che i sagri oratori predichino sul serio per conseguire seriamente il lor fine. Si cerca spesso il bello, il brillante… e comparisce la povera eloquenza come fanciulla vana tutta vestita d‟inezie… 4. … E che hanno a che fare tutte le inezie e le leziosaggini dell‟anacreontica in una sagra orazione? E perché, invece di raccogliere nella predica tutto il piú vago e il piú specioso, non vi si mette tutto ciò che potrebbe maggiormente colpire il cuore degli uditori per covertirli?… La Scrittura si considera come un emporio di ritrovati speciosi e di belle figure, né altro se ne vuol ricavare, anche sforzandola e sfigurandola. Ha nell‟orecchio le parole che Girolamo scriveva a Paolino? Lascio stare quei tali che, come già io, pervennero alla sante Scritture dopo gli studi letterari. Allettano l‟orecchio dell‟uditorio con discorsi ben elaborati e non c‟è cosa che esca dalla loro bocca che non spaccino per parola 770 A. ROSMINI, Nuovo saggio sull‟origine delle idee, 4 vol., Roma 1830.; V. GIOBERTI, Teorica del soprannaturale - Discorso sulle convenienze della religione rivelata con la mente umana e col progresso civile delle nazioni, Bruxelles, 1830, ove si sosteneva che il mistero cristiano è la vera rivelazione del mistero razionale. Vi si confondono teologia filosofia e politica. 387 di Dio. Non si degnano di studiare cosa abbiano inteso i profeti, cosa gli apostoli, ma sostengono quel che loro pare con sballate citazioni, convinti d‟aver fatto un mirabile lavoro invece che un pessimo uso dei detti della Scrittura sconciati ad esprimere il proprio pensiero con loro ripugnanza 771. Riprendiamo la lettura del paragrafo 4 delle Osservazioni: 4. Vi ha poi di tali altri, che non curano né Scrittura né Padri, introducendo un nuovo genere di parola di Dio, che si chiama parola di Dio formata al genio del secolo. Fra tutte le orazioni sagre le piú maltrattate però sono le panegiriche. Cantano un‟ode all‟eroe, come Pindaro faceva agli Olimpici, almeno ne avessero il genio… 5. … Per altro io vedo che, generalmente parlando, in bocca di quelli che si chiamano bravi, la parola di Dio non fa frutto, o almeno [é] troppo insensibile. Osservate l‟uditorio: quasi mai lo vedete commosso… Che vuol dir ciò? Che il popolo è ignorante, goffo, balordo, senza discernimento? Fa torto a se stesso chi dice cosí. Il popolo ha il senso comune della vera eloquenza. Un uomo che commuove e diletta un numeroso uditorio deve avere rimarchevoli pregi oratorii… riposti non già nelle scelte parole, non nella simmetrica disposizione delle parti, ma nel maneggio delle passioni del cuore umano, mediante il quale l‟oratore lo piega, lo commuove, lo trasporta a suo senno… 6. Felici noi se i sagri oratori trattassero seriamente la causa del sangue di Gesú Cristo, quanto seriamente trattava Demostene gli affari degli Ateniesi contro i Macedoni, e quanto seriamente Cicerone le cause de‟ suoi clienti e gl‟interessi della repubblica! Oh, non trovate voi in quegli oratori profani le fanciullaggini, le inezie, le meschinità de‟ nostri sagri [oratori]. E pure hanno costoro per le mani affari, cause ed interessi infinitamente piú importanti e piú serii. 7. Si studii l‟arte oratoria, ché io non dirò doversi predicar rozzamente e senza discernimento, ma non si creda che alla parola di Dio convengano tutti gli ornamenti che possono convenire ai ragionamenti profani… Si trattano le verità eterne e chi potrà soffrivi le leziosaggini?… Procuriamo di essere ben compresi dalla santità, dalla sublimità del nostro ministero, pensiamo da chi abbiamo la nostra missione e perché siamo mandati, e tosto predicheremo sul serio, e un vivo impegno di corrispondere al fine della nostra eccelsa vocazione ci farà oratori veramente eloquenti. 8. A quale decadenza sia l‟eloquenza sagra, noi lo possiamo conoscere di leggieri da questa osservazione con cui finisco. Gli empii oggidí, senza poter mai parlare in pubblico, con soli privati discorsi riescono a sovvertire le intere popolazioni… Noi, frequentemente quanto ci aggrada, raduniamo il 771 GIROLAMO, Epistola 53, Ad Paulinum, cap. 7. 388 popolo cristiano… ma quanto poco è il frutto delle nostre parole!… Si dirà che questo avviene dall‟essere gli uomini piú inclinati al male che al bene, e questo in parte sarà vero; tuttavia la divina parola, quando sia bene amministrata, ha un‟efficacia quasi invincibile… Consigli che si possono compendiare nei due detti latini: rem tene, verba sequentur e ex abundantia cordis, os loquitur. Se si possiede la materia non c‟è da preoccuparsi che ci manchino le parole, e se il cuore ne è ripieno, il modo d‟esprimerlo viene da sé. Cosa è dunque rimasto delle Regole pratiche per fare un‟Orazione di quel Ristretto di precetti di “Rettorica”772 che il Gianelli gli aveva dettato ed illustrato in classe? È come chiedere ad un bambino che corre, salta e fa le scale a quattro a quattro, che ne è del girellino che l‟aiutò a fare i primi passi. Eppure è bene dargli una scorsa per vedere in che modo il Frassinetti seppe spogliarsene, a differenza d‟altri, del suo compagno ed amico il canonico Poggi, per esempio, che le regole le ricordò tutte nel tessergli l‟elogio funebre, come si è già mostrato riportandone uno squarcio. Dopo aver parlato della divisione classica dell‟orazione, dall‟esordio alla perorazione, il Gianelli passava alle regole per ben pronunciare un discorso, ossia trattava dell‟azione. Spulciamo qualcosa qua e là: L‟azione… consiste nel saper conformare la voce e la persona in maniera che convenga alle cose che noi diciamo e che giovi ad ottenere il nostro intento. Ella è poi di tale importanza che, senza di questa, anderebbe perduto il miglior frutto d‟ogni discorso. Riferisce Cicerone che, interrogato Demostene di ciò che tenesse il primo luogo nell‟arte del dire, rispondesse l‟azione, e che richiesto del secondo e del terzo, rispose sempre lo stesso… In tutto il corso dell‟azione debbonsi sempre osservare… La naturalezza:… in tutte le arti belle l‟artificio piú fino e delicato si è quello di nascondere l‟arte… Il decoro:… è riposto nel pronunziare con certa qual grazia e decenza il discorso… La forza:… Tre cose concorrono a dar forza: il coraggio, l‟autorità e la passione… la passione mal si finge da chi non la sente… La modestia:… L‟oratore si mostri timido di sé e rispettoso verso gli altri… La discrezione:… consiste nel saper adattare il gesto, la voce, la forza… La memoria:… imparato il discorso, prima di arrischiarsi alla recita, conviene rimembrare e fissar bene da capo a piè l‟orditura e la connessione e la distribuzione delle diverse parti… Se alcuno trovisi per avventura abbandonato dalla memoria nell‟atto di perorare, non dee per questo turbarsi, né ripetere il già detto, né starsi in silenzio, ma conviene dire bene o male 772 A. M. GIANELLI, Op. cit. I passi sotto citati son presi a pp. 82-151. 389 alcuna cosa e formare senza agitarsi un periodo qualunque, se è possibile concludente… non tarderà intanto a risovvenire la parte smarrita…; Il portamento:… diritta la persona, ma non stiracchiata e sforzata; alto e eretto il capo, ma non altero; modeste le ciglia, ma non aggrottate… Presentandosi agli uditori, e poi, da loro ripartendo, deve essere il passo piuttosto grave, ma sciolto, ma semplice, ma naturale…; Il volto:… l‟aria dolce piace assai piú dell‟austera, la lieta piú della triste, ma deve sempre proporzionarsi all‟oggetto che si rappresenta ed agli affetti che si dimostrano… Il guardo:… Assuefarsi per tempo a declamare con gli occhi aperti (essendo difetto enormissimo tenerli chiusi), ma mirando veramente le persone… nei tratti piú forti e affettuosi, giova talvolta avventar delle occhiate ardenti, poderose e piene di confidenza e di dominio… Deesi per altro guardar dall‟arditezza e dall‟arroganza… Dipartendo, gli occhi si tengano bassi e modestissimi… La voce:… Fuggansi a piú potere, siccome falsi e di pessimo gusto, quei tuoni vanamente predicatorii… ad un uomo che parli con passione non fa mestieri grand‟arte… Declamando, andare in falso è facilissima cosa… tre tuoni si distinguono nella voce umana: alto, mezzano e basso… Si cominci tra il basso e il mezzano… al terzo, l‟alto, non si dee arrivare quasi mai, se non in un vero eccesso di passione… Il piú eloquente dei Gracchi prendeva tuono dal flauto, tanto era convinto che dipendeva dal buon governo della voce il buon esito dell‟orazione… La pronuncia:… fare avvertenza ai difetti… pronunziare [le consonanti raddoppiate] una distinta dall‟altra, come se invece di … colle fosse scritto col-le…, la z pronunziata come s, mentre sappiamo che… differisce assaissimo, essendo composta di t e s; non può mai tanto addolcirsi che s‟abbia a pronunziare come semplice s senza fare del t verun conto…773. Il gesto:… la mancanza del gesto annoia e raffredda, ma il troppo gesto disturba e confonde… il gesto dee trar piuttosto al rotondo che al rettilineo… il braccio destro è quello che piú dee muoversi… le dita siano piuttosto unite, ma non ristrette… In questi due capitoli, Oltre la scuola, abbiamo riportato ampi estratti delle sue Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici pensando ai giovani che 773 Chissà come avrà ascoltato incantato un uditorio, che neppur sospettava l‟esistenza del suono z, ben scandite le due cosonanti da oratori che non le avevano mai essi stessi udite pronunciare da bocca non genovese: “Ammirate, fratelli, la costantsa, la fortetstsa, e la patsientsa con cui i santi sostennereo la sofferentsa…”. Il Frassinetti, tutte le volte che può, soprattutto nei catechismi, preferisce predicare in genovese ed avere cosí la certezza d‟essere compreso da tutti. 390 aspirano al sacerdozio perché vi trovino un esempio ed un suggerimento di come ci si deve preparare all‟alta missione a cui si è stati chiamati. Abbiamo messo in fine a raffronto le norme apprese alla scuola del Gianelli su come si deve parlare ai fedeli con ciò che viene da lui suggerito, per dire che tutto ciò che si apprende, anche se da un maestro per cui si ebbe ammirazione e stima sconfinata, va ripensato774. Anche le norme del Frassinetti vanno ripensate, e a lui non dispiacerà, perché, alcune affermazioni, che piú di un secolo e mezzo fa erano solo delle ipotesi, oggi, precisate e corrette, hanno acquistato ben altra autorità, e sarebbe stoltezza non prendere in considerazione. Rimane il grande insegnamento di non credere senza prima esaminare, con esame serio e convincente che tolga ogni dubbio, e non lasciarsi soggiogare da un gran nome, ma, soprattutto, e pongo la considerazione alla fine per darle maggior risalto, che lo studio del sacerdote non deve mirare alla cultura religiosa fine a se stessa, ornamento della mente aggiunto ad altri ornamenti, sapere pavonesco quando non è addirittura solo ingombro mentale, ma alla conoscenza delle cose di Dio in vista della propria santificazione e dell‟annuncio della salvezza alle genti. Questo crea in noi l‟istinto della scelta tra ciò che vale, e deve restare, e ciò che è già tanto se ci si ferma a dargli una scorsa veloce, attenendoci al suo consiglio di leggerle appena, se saranno trattate in breve, facendoci scrupolo di occupare nella loro lettura piú di pochi momenti. Non ci resta ora che da parlare del suo maestro, sant‟Alfonso M. de‟ Liguori, per mostrare quali debbono essere i rapporti tra discepolo e maestro: non perdere parola, ma non accettarle senza averle vagliate e ripensate, pronto a discostarsi in questo e quel punto, senza che ciò appanni la venerazione che gli si porta. Cosa che faremo al prossimo capitolo. CAPITOLO XXV 774 Il Frassinetti scriveva che era vivo il Gianelli che apprezzo molto la pubblicazione mandandone copia al Guala ed al nunzio accreditato presso il governo sardo. 391 L‟INCONTRO CON SANT‟ALFONSO Tristo è quel discepolo che non avanza il maestro LEONARDO DA VINCI Le Père ayant su que sur la route de son fils se trouvait une pierre, s‟empresse d‟aller devant lui et la retire... s‟il vient à connaître le danger auquel il vient d‟échapper, ne l‟aimera-t-il pas davantage? Eh bien, c‟est moi qui suis cette enfant, objet de l‟amour prévoyant d‟un Père...775 SAINTE THERESE DE L‟ENFANT JESUS Nel primo Ottocento in Liguria e Piemonte gli alfonsiani erano pochini, e pochi di quei pochini avevano il coraggio, non dico di farne pubblica professione, ma di far sapere di essere in possesso di una qualche opera dell‟allora “beato” Alfonso, o comprarne senza aver prima guardato chi si trovasse dal libraio, tanta era la guerra che gli avrebbero scatenata contro giansenisti e gli infetti di rigorismo giansenista. Ancora negli anni Venti dell‟Ottocento le opere del Liguori erano merce da vendersi sotto banco e farne scivolare distrattamente qualche copia delle ascetiche nei pacchi d‟altri titoli, benché non ordinate. A Torino alle spalle del “tanto benemerito Tipografo Giacinto Marietti” – e connivente – c‟era don Guala che pagava. Nel 1840, in data 4 aprile, il Gianelli, già vescovo di Bobbio, cosí scriveva al Frassinetti da Torino dove in quei giorni si trovava: Qui è tanto maggior difficoltà in quanto che le Dottrine di S. Alfonso non sono ancora vedute di buon occhio, non solo dai Giansenisti che qui abbondano, ma anche dai buoni cattolici, perché tutti formati sulla sesta del rigorismo. Aggiungete che per la Santa Sede tutti ne vogliono ben poco: affezionati, sí, ma sicut in quantum776. Ma già nel 1857 il Frassinetti, nella minuta di una recensione per Il cattolico con cui presentava la Vita di S. Alfonso M. de‟ Liguori scritta dal 775 S. THÉRÈSE DE L‟ENFANT JÉSUS, Manuscrit A, Folio 38 vo e 39 ro: ”Il padre, avendo saputo che sulla strada del figlio c‟era un sasso [in cui avrebbe inciampato], si premurò d‟andare innanzi e lo tolse... Se poi egli viene a conoscere il pericolo da cui è scampato, non l‟amerà in misura maggiore [che se si fosse prima ferito e poi fosse stato da lui curato]? Ebbene, questo figlio oggetto dell‟amore preveggente d‟un padre sono io”. 776 Originale nell‟AF, Lettere del Frassinetti. 392 P. Antonio Maria Tannoia, riveduta e corretta dal P. Antonio Chiletti, poteva affermare: Il tanto benemerito Tipografo Giacinto Marietti, dopo aver fatto la piú completa edizione di tutte le opere di S. Alfonso M. De Liguori, volle in quest‟anno darne alla luce la Vita piú copiosa e interessante, quale è questa descritta del P. Tannoia, che fatalmente giaceva sconosciuta nella maggior parte d‟Italia, perché l‟edizione fattane in Napoli, ed ivi esaurita, non aveva quasi valicato i confini di quello Stato... È da sperare che la pubblicazione di questa vita riesca sommamente utile e gradita ai divoti del Santo Vescovo e Fondatore che si possono dire numerosi quanto è numeroso il buon popolo cristiano. Nessuno vorrà mettere in dubbio che le Opere molteplici di questo gran Santo siano conosciute e diffuse non solo per tutta l‟Italia, ma anche per tutta l‟Europa e le altre parti del mondo quanto possono essere conosciute e diffuse le opere di qualunque altro grande e santo uomo; non v‟ha poi dubbio che non si potrebbero trovare altre opere la cui lettura sia altrettanto comune e frequentata quanto questa. Le opere morali di questo Santo sono alle [mani] di tutti gli operosi ministri di Dio dell‟uno e dell‟altro emisfero e ne formano in morale quel che si dice criterio teologico, di modo che ebbe egli primo quel vanto, che non si crederà possibile a conseguirsi da uomo mortale, di fare quasi scomparire la scissura di sentimenti che spartiva quasi in due campi presso che uguali i teologi moralisti. La morale praticata in tutto il mondo si può dire che adesso è una; la morale, cioè, informata ai principii di S. Alfonso; né meritano considerazione alcuna poche eccezioni che vanno quasi sfumando. È evidente che se si volesse adesso stampare e accreditare un‟opera morale informata da principii diversi, sarebbe tentare l‟impossibile, quindi tutti gli operosi ministri di Dio del vecchio e del nuovo mondo si professano divoti discepoli di S. Alfonso777. Le sue opere ascetiche tradotte in tutte le lingue, moltiplicatene le copie quanto le stelle del cielo e le arene del mare, sono un pascolo di tutte le anime pie dell‟una e dell‟altra estremità della terra; e giovano mirabilmente a coltivare una pietà soda, uniforme, tutta fondata sulla confidenza e sull‟amore di N. S. Gesú Cristo. V‟ha chi pensa che universalmente generalizzate le opere di ascetica di S. Alfonso, e quindi messe fuor d‟uso altre ben numerose che aveva prodotto l‟ultima metà del secolo passato, siasi rinvigorita nel popolo cristiano una divozione piú sostanziosa, piú operante, piú serena e 777 Qui il Frassinetti avrà ripensato ai tempi in cui era rischioso il solo far sapere che s‟era comprato un libro di sant‟Alfonso, tanta era la guerra che gli faceva il clero giansenisteggiante, e ne omette il nome nelle Osservazioni… per evitare, è da credere, che ne fosse impedito l‟ingresso nei seminari. Ciò non ostante, ci fu chi ne inviò una copia al Sant‟Ufficio per ottenerne la condanna. 393 tranquilla. Il fatto è che tutte le anime pie riconoscono come loro maestro di spirito S. Alfonso e gli professano perciò divozione singolare778. Un capovolgimento che ci riporta alla mente ciò che il 17 novembre, prima della riforma liturgica, si leggeva nel secondo notturno della festa di san Gregorio Taumaturgo: Stando per lasciare questa vita, chiese [san Gregorio Taumaturgo] quanti pagani ci fossero ancora nella città di Neocesarea. Gli fu risposto che arrivavano appena a diciassette. – Ne sia ringraziato Iddio, disse, erano appunto diciassette i cristiani quando io ne divenni vescovo –. La recensione del Frassinetti si direbbe una parafrasi delle parole di san Gregorio Taumaturgo. Com‟erano cambiate le cose dai giorni in cui, giovane chierico, aveva ardito scegliersi il Santo per maestro e guida. Tornerà ancora sul raffronto nel 1865 ripetendolo l‟elogio quasi ad verbum nella prefazione al suo Compendio della Teologia Morale di S. Alfonso Maria de‟ Liguori, con apposte note e dissertazioni779. Era un‟ultima mazzata al rigorismo giansenistico ed un tributo di riconoscenza al suo Sant‟Alfonso Maria de‟ Liguori, l‟arsenale che gli aveva somministrato le armi per le sue battaglie. Il “tanto benemerito tipografo” aveva fatto la sua parte, ma nulla avrebbe potuto senza il Guala e il Cafasso e, prima di loro, senza Pio Brunone Lanteri e, prima ancora, senza l‟anello di testa di quella catena di alfonsiani, l‟ex-gesuita Nicolao Giuseppe Alberto von Diessbach, ex forzatamente per lo scioglimento della compagnia di Gesú. Marietti fu il loro provvidenziale scudiero. I sacerdoti non piú tanto giovani ricorderanno i bei cataloghi della Marietti con l‟indicazione: “Casa fondata nel 1820”. Ebbene, già nel 1824 778 AF. G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. V, pp. 600s. 779 Quel Compendio fu un best seller. Prima che spirasse il 1867 era già pronta la quarta edizione che l‟Autore non ebbe la gioia di vedere avendo chiuso gli occhi il 2 gennaio del 1868. Continuamente ristampato e rivisto, tradotto, per quel che si sa, in francese, spagnolo e portoghese, divenne per quasi un secolo il vademecum d‟una infinità di confessori. Dell‟undicesima edizione italiana, rivista e aggiornata al Codex Iuris Canonici dal Cappello e dal Gennari, se ne ebbe l‟ultima ristampa nel 1948. Ancora ai miei tempi, anni Quaranta, eravamo non pochi che studiavamo qui a Roma sul Damen, sul Vermeersch, sul Merkelbach... in vista degli esami dei corsi accademici e di quei, piú terribili, de universa theologia morali in Vicariato da ripetersi per tre volte se si voleva essere definitivamente approvati per le confessioni, ma, appena si entrava in confessionale, ci si rifugiava nel Frassinetti. 394 Giacinto Marietti aveva intrapreso la pubblicazione dell‟Opera omnia del Liguori, divisa in tre serie: Opere ascetiche, Opere morali, Opere dogmatiche, 67 volumi portati a termine in soli cinque anni! Nel 1836 il “tanto benemerito Tipografo” metterà fuori la Summa theologica di san Tommaso. Questo a Torino. A Genova, la città commercialmente e psicologicamente capitale degli Stati Sardi, avrebbe pensato il Frassinetti a creare spazio a sant‟Alfonso e a san Tommaso, i suoi autori, divenuti gli autori dell‟Accademia del Beato Leonardo da Porto Maurizio da lui fondata. Potremmo pensare il Frassinetti quale egli è stato, anche se non si fosse incontrato con il Gianelli, a cui va tanto debitore, ma non lo potremmo pensare tale se, giovane chierico, non si fosse fatto discepolo del napoletano meraviglioso780 come Eliseo si fece discepolo di Elia. Sarebbe stato ugualmente un santo sacerdote, fuori di ogni dubbio, ma non il Frassinetti che noi conosciamo. Ma anche questo suo innamoramento per sant‟Alfonso deve essere stato un dono del suo Gianelli. Pur non avendo documenti su cui appoggiare questa mia affermazione, sono portato a credere che l‟incontro del Frassinetti con sant‟Antonio Maria Gianelli abbia portato con sé l‟incontro con le opere di sant‟Alfonso Maria de Liguori. Non vedo altri, all‟infuori del Gianelli, l‟innamorato del Liguori781, che possa aver detto al Frassinetti fin dagli anni di “rettorica”: Tolle et lege Alphonsum, passandogli anche qualche scritto ascetico del “Beato”, tanto piú che il Gianelli era ancora sotto l‟impressione dello scampato pericolo. Chissà quante volte in quegli anni il Gianelli s‟era trovato a ripetere le parole del salmista: Sia benedetto il Signore, che non mi ha lasciato in preda ai loro denti. Sono stato liberato come un uccello dal laccio dei cacciatori: 780 G. DE LUCA, Sant‟Alfonso uomo grande, da “L‟Osservatore Romano della Domenica”, 4 giugno 1939. 781 Una semplice scorsa ai cinque volumi delle Lettere del santo Vescovo di Bobbio, pubblicati a cura della M. Maria della Natività Tarquini, Roma 1978, è piú che sufficiente per farsi un‟idea del suo attaccamento a sant‟Alfonso. Al Gianelli si può forse aggiungere anche il Bolasco, suo professore di dogmatica alla fine del corso di teologia. 395 il laccio si è spezzato ed io ne sono scampato782. Nei suoi anni genovesi, ci racconta il Barabino: Il Gianelli si trovò a conversare di frequente con alcuni ecclesiastici [giansenisti che]… sotto colore di pietà e di austera morale, cercavano di insinuargli il veleno dell‟errore e, con fine malizia, valendosi della buona sua indole e virtuosa docilità, si adoperarono man mano a trarlo dalla loro. Egli, per essere ingenuo di sua natura… stette buona pezza senza sospettare che sotto quelle sembianze di pecore, ci covasse la frode e il malanimo di altrettanti lupi, e solo dopo qualche tempo alla malvagità delle conseguenze avvertí il guasto dei loro principi. Non ne volle piú per segregarsi subito da loro e, come chi, uscito di pericolo, trema sempre al pensare di averlo corso una volta, cosí egli, parlando di questo avvenimento ad alcuno suo confidente, tutto spaventato diceva: “Oh, sapeste! Poco andò che ne facessi una grossa, ma il Signore per sua grande bontà me ne ha liberato”783. Basta a volte che un professore, o persona assai stimata, dica una parola o indichi un libro perché la vita di un giovane ne resti segnata nel bene o nel male. Una spanna la linea di displuvio. Non sappiamo il nome degli ecclesiastici giansenisti che tentarono di attirare alla loro setta il Gianelli. Il Degola morí sessantacinquenne il 1826, quindi ancor vivo negli anni in cui il Gianelli insegnava a Genova ed il Frassinetti era in teologia, il tempo in cui un giovane cerca d‟avvicinare le persone di buona cultura e di contrarne l‟amicizia, né a queste dispiace di troneggiare e sentirsi mecenati. Tutt‟altro. Per un giovane di bella intelligenza, sarebbe bastato un po‟ di interessamento del Degola, d‟uno della sua scuola, una parola d‟elogio, un aprirgli la biblioteca di casa… Per sua fortuna il giovane s‟era incontrato con un Gianelli ancora sotto l‟impressione del pericolo trascorso e fu cosí della scuola del Liguori invece che di quella di Giansenio. Se il Frassinetti non fosse vissuto tre quarti di secolo prima di santa Teresa del Bambino Gesú, avrebbe potuto cosí adattare a sé la parabola su riportata ad inizio di capitolo: “Il Padre mandò innanzi a me due suoi angeli, il Gianelli ed il Liguori, a liberami il cammino da due insidie, in cui avrei potuto inciampare, l‟una e l‟altra mortali, di cui avrei conosciuto nomi e pericoli solo a studi fatti: Pelagio e Giansenio”. 782 Sal 124 (123),6-7. 783 N. BARABINO, Vita di mons. Antonio Gianelli, manoscritto 1847, in ACGSGpp. 35-36. 396 Non sembri strano l‟aver appaiato Pelagio a Giansenio, anzi Pelagio e il suo rovescio: Lutero. Pensare il giansenismo italiano della seconda metà del Settecento e della prima metà dell‟Ottocento un trapianto di Port Royal al di qua delle Alpi, è un volersi condannare a non comprenderlo. Il giansenismo era ormai solo la falsa coscienza di cattolici che se ne erano fatto una foglia di fico per mascherare a se stessi ed agli altri l‟aver sostituito alla fede la filosofia anglo-tedesca dell‟illuminismo massonico bevuta nella rielaborazione brillante leggera ed arguta dei francesi. Un giansenismo piú politico che religioso, ridotto ad un calderone in cui si andava riversando quanto si opponeva alla Chiesa di Roma, poco importa se in un miscuglio di elementi tra loro eterogenei e contraddittori, buono per chi voleva illudersi d‟essere ancora cattolico, non osando fare l‟ultimo passo che sarà fatto con piú coerenza dal Mazzini e da tanti altri. Mai Satana riuscirà a mandar giú l‟umanità congiunta ipostaticamente alla divinità nella persona del Cristo con tutto quel rifluire di "di piú" sugli uomini che ne fa degli dei per partecipazione. Impedire l‟accesso dell‟uomo a quel “di piú”, al soprannatura, questa la sua lotta: o negandolo, o dicendolo non necessario, o almeno tentando di ostacolarne gli effetti. Di qui l‟assalto senza tregua alla cittadella in cui riposano le certezze della nostra fede: Roma. Pelagio esalta talmente la natura dell‟uomo da rendere superflua e non necessaria la grazia; Lutero, pur essendo la negativa di Pelagio, giunge allo stesso risultato privando l‟uomo dei sacramenti, i canali che l‟adducono, eccetto il battesimo, cui, peraltro, nega l‟effetto rigeneratore sostenendo che non può essere risanato chi è intrinsecamente corrotto. Non piú rigenerazione, ma solo non imputazione. E c‟è di piú e di peggio. Da Lutero ebbe origine quel movimento di deriva che riporterà a Pelagio ed oltre Pelagio. Distaccandosi dalla tradizione e dal magistero per rivendicare all‟uomo il libero esame della Scrittura, apre la porta al libero pensiero, alle libere scelte e ai liberi rifiuti, inizio di quel libero vagare per il mondo delle idee senza piú stella a cui rifarsi. Lutero svincola la Bibbia da Roma, la filosofia si svincola dalla Bibbia, dalla teologia e da Roma784. Tutto va ridiscusso, nessuna risposta è certa e definitiva, certi sono solo i potrebb‟essere. 784 Il filosofo cristiano nei suoi ragionamenti prescinde dai dati della rivelazione, ma sa avvalersi di quella larga ricaduta di verità naturali, prodotta da secoli di lavoro per illustrare le verità della fede, per arricchire il pensiero strettamente filosofico. Non solo, ma i dati della rivelazione gli ingenerano il sospetto d‟essere caduto in errore se le conclusioni a cui egli è 397 Luce dell‟uomo diventa la sola ragione. Il dubbio metodico invade anche il campo della fede: che Dio esista o non esista nulla muta. Se esiste, non gli occorrono intermediari. Di costoro, dei ministri della Chiesa cattolica soprattutto, la colpa dell‟oscurantismo che ha impedito per secoli il rifulgere dei lumi. Sono i presupposti filosofici dell‟illuminismo e di un ecumenismo massonico tinto di vaga religiosità. Dio, se proprio il cuore dice che un qualcuno ci deve pur essere, è un assente al di là degli spazi, in nessun modo interessato ai nostri casi. Cosí, di degrado in degrado, si è giunti allo stato agnostico e al relativismo morale. Misura del diritto e della morale è l‟uomo, l‟uomo che ha in sé quanto gli occorre per tracciarsi la sua via e percorrerla. Cosí, pur partendo da punti opposti, le ultime conseguenze del luteranesimo vengono a coincidere con quelle di Pelagio, e le scavalcano, sfociando nella filosofia dei lumi e nell‟individualismo materialista. Un ritorno a Pelagio, ma ad un Pelagio areligioso che si fa spesso irreligioso. Il giansenismo italiano, anche se non giunse a questi estremi, ne aprí a molti la via con il suo rabbioso anticattolicesimo785. Questo giansenismo, a differenza di quello originario, è apertamente anticattolico. Se si considera che le ideologie illuministiche sono la negazione del dogma fondamentale del giansenismo – il peccato originale e la conseguente corruzione della natura umana, che solo la grazia gratuita di Dio può riscattare –, appare chiaro che il giansenismo, pur di realizzare le sue riforme, si trova alleato del piú intransigente “pelagianesimo”: una eresia teologica si affianca ad un‟altra che ne è l‟antitesi. Il piú attivo giansenismo italiano si spingeva alla distruzione della Chiesa di Roma786. Sullo scorcio del Settecento, allo scoppio della Rivoluzione francese, sentendosi i giansenisti abbandonati dai príncipi illuminati e riformatori, da cui erano stati protetti, da sostenitori del Princeps Janseniorum, Giuseppe II, nella sua lotta contro la Curia, si fanno giacobini e aderiscono al nuovo regime facendo proprie le innovazioni in campo ecclesiastico apportate dagli eserciti invasori: secolarizzazione dei beni ecclesiastici, soppressione degli ordini religiosi, costituzione civile del clero... Cosí, il giansenismo, da sostenitore dell‟assolutismo del principe contro i privilegi del clero e la potestà assoluta del Papa, diverrà fautore della Repubblica contro ogni forma giunto sono incompatibili con le certezze della sua fede e lo spingono a riesaminare i suoi ragionamenti e a scoprire l‟errore che l‟ha portato fuori strada. 785 Ne presenteremo un esempio in Ausonio Franchi nella seconda parte. 786 M. F. SCIACCA, Il pensiero italiano nell‟età del Risorgimento, Milano 1963, p. 62. 398 di tirannide... crederà di trovare nel regime democratico la condizione migliore per il vagheggiato rinnovamento, e crederà di conciliare libertà e religione 787. L‟incontro con sant‟Alfonso fu per il giovane chierico il faro che lo salvò dallo smarrirsi, non solo, ma, averlo conosciuto innanzi tutto come maestro di spiritualità, lo tenne lontano dal ridurre la morale probabilista a scienza del peccato, come può facilmente accadere se delle due discipline, la scienza morale e la spiritualità, si facessero due materie distinte, se non addirittura autonome: la prima per i comuni mortali, l‟altra per quei consacrati, non molti, che si fossero messo in capo di farsi santi da altare, e, appunto perché casi rari, potersene trascurare lo studio. Finezze da eruditi. Il probabilismo, separato dall‟ascetica, come allora era detta la spiritualità, fa cadere nel minimismo morale, ossia in quel minimo a cui si è tenuti per non precipitare nell‟inferno. Se con il probalismo sant‟Alfonso indica al confessore fin dove si può scendere per andare incontro ad un‟anima poco disposta e non spegnere un lucignolo fumigante788, con le opere di spiritualità sa toccare quel punto vivo presente anche nel peccatore piú incallito e su di esso far leva per una rimonta spirituale presentandogli Dio come il padre da amare. Il Frassinetti è alfonsiano anche in questo e sarà conosciuto innanzi tutto come maestro di spiritualità. Saranno queste sue opere di spiritualità che gli creeranno un nome garanzia ed invito ai suoi scritti di pastorale e di morale. Il Liguori ed il Frassinetti prendono l‟uomo come è sconciato dal peccato per incamminarlo verso le cime di quella perfezione di cui è perfetto il nostro Padre celeste789. Questo attaccamento del Frassinetti a sant‟Alfonso nel rapporto di discepolo a maestro cominciò fin dalla sua prima giovinezza. Ne abbiamo la riprova in una copia della Theologia moralis di sant‟Alfonso da lui posseduta, tre tomi legati in un unico volume d‟un mille e cinquecento pagine, editi dal Remondini a Bassano. Si tratta della dodicesima edizione pubblicata nel 1822, anteriore di qualche anno all‟edizione della Marietti. Ciò lascia pensare che se la fosse procurata agli inizi del suo corso di teologia, 1823-1827, per poter raffrontare su sant‟Alfonso l‟insegnamento 787 N. RODOLICO, Gli amici e i tempi di Scipione de‟ Ricci: Saggio sul giansenismo italiano, Firenze 1920, pp. 54-55. 788 Mt 12,20. 789 Mt 5,48. 399 che riceveva in classe, con ogni probabilità in linea con l‟Antoine 790, rigorista la sua parte. Quando poi cominciarono ad uscire i volumi di tutte le opere alfonsiane, editi dalla Marietti, il possedere l‟edizione del Remondini non lo dispensò dal procurarseli man mano che venivano pubblicati, volumi a noi non pervenuti, ma che certamente possedette. Ce lo fa pensare lui stesso: “Ordinato sacerdote da poco tempo – 22 settembre 1827 – io leggeva nel compendio della Vita del Santo, premessa all‟edizione delle opere fatta in Torino dal Marietti...” 791. Ad apertura dell‟edizione del Remondini troviamo l‟immagine del Santo. Nel margine superiore il Frassinetti scriveva: Ostium mihi apertum est magnum et evidens, et adversarii multi. S. Paul: 1, Corint: c. 16. v. 9. Ciò sucede (sic) tuttavia a chi ha molto zelo, ed opere grandi per le mani come osserva S. Giov: Grisost:. Nel margine inferiore, e qui in bella scrittura: Pater mi, pater mi, currus Israel, et auriga eius.... obsecro ut fiat in me duplex spiritus tuus. Reg: IV. C. II. Con la prima citazione applicava a sé le parole dell‟apostolo Paolo: “Mi si è aperta una porta grande e ricca di prospettive, ma molti gli avversari”792. Il giovane teologo aveva trovato in sant‟Alfonso una porta grande e promettente con il presentimento delle lotte che avrebbe dovuto sostenere per questa sua fedeltà alla dottrina e all‟esempio del Santo napoletano. Nel margine inferiore faceva sue le parole rivolte dal profeta Eliseo al profeta Elia: “Padre mio, padre mio, carro armato d‟Israele e suo carrista... ti scongiuro, trasmettimi il tuo spirito raddoppiato”793, stabilendo tra sé e sant‟Alfonso un uguale rapporto di discepolo-maestro. Né è poco quello che gli chiede supplicandolo che, per 790 Nei corsi di teologia il professore usava “dettare” – era il termine tecnico per “insegnare da una cattedra” – le sue lezioni e non ci risulta che a Genova fossero adottati libri di testo. Il “lettore” non mancava di fare dei rinvii agli autori di morale di cui condivideva le tendenze. Un autore molto seguito era Paul Gabriel Antoine, S.J., di cui si è già parlato nel cap. Lo studente di teologia. L‟Antoine aveva già pubblicato la Theologia universa speculativa et dogmatica ad usum theologiæ candidatorum accomodata, Pont-à-Mousson, 1723, divenuta tosto un‟opera classica e diffusissima. 791 G. FRASSINETTI, Compendio della Teologia Morale..., vol. II, Genova 1866, p. 76. 792 Un presentimento che si avverò oltre la misura. Ne parleremo nella seconda parte. 793 2 Re 2, 12.10. Traduco carro armato e carrista, l‟equivalente del carro falcato dell‟epoca e dell‟auriga che ne era alla guida. Era l‟apparato piú potente di cui disponessero nelle battaglie e a cui era impossibile resistere. Invece di i due terzi, come traducono le versioni dall‟ebraico, lascio il doppio della Vulgata, il testo a cui si rifaceva il Frassinetti. 400 ciò che gli è di piú sacro794, lo renda irresistibile di fronte ai molti nemici di Dio ottenendogli un vigore doppio di quello che egli ebbe. Cosí, sui vent‟anni, il Frassinetti ebbe il suo grande incontro con sant‟Alfonso. Il giovane seminarista, prima ancora che iniziasse gli studi di teologia, dovette trovare detto con chiarezza negli scritti del Santo ciò che egli già avvertiva in sé come in enigmate, per usare un‟espressione paolina, tanto è indubbia la loro congenialità. Del resto uno è lo Spirito. Il Frassinetti aveva trovato in sant‟ Alfonso non solo il maestro sicuro alla cui scuola prepararsi per il ministero del confessionale e per la guida delle anime sulla via della santità, ma anche l‟esempio da imitare. La prima a beneficiare di questa sua scoperta – si è visto – fu la sorella Paola, e, attraverso Paola, ne beneficeranno tosto le sue amiche di Quinto, il primo nucleo delle suore dorotee. Il parallelo Liguori-Frassinetti si potrebbe spingere fino ai piccoli particolari, fino a porre in doppia colonna le opere dell‟uno e dell‟altro 795, 794 Questo il valore della voce latina obsecro da *obsacro. 795 Riporto qui il raffronto tra sant‟Alfonso e il ven. Giuseppe Frassinetti fatto da G. Capurro, Giuseppe Frassinetti e l‟opera sua, Genova 1908, p. 4. S. Alfonso Pratica della perfezione Trattato della preghiera Consigli di confidenza per un‟anima desolata Avvertimenti pei sacerdoti sulla messa e l‟officio Le glorie di Maria Sullo stato religioso Teologia morale Visite al Santissimo Verità della fede Pratica di amare Gesú Cristo Visite a Maria Divozione a S. Giuseppe Riflessioni ai vescovi Monaca santa Frassinetti Arte di farsi santi Il pater noster di s. Teresa-Trattato della preghiera Conforto dell‟anima divota con un‟appendice sul santo timor di Dio Gesú Cristo regola del sacerdote Avviamento dei giovinetti alla divozione a Maria Ora di santa allegrezza - Le dodici stelle, ecc, Scelta di uno stato (inedito) Teologia morale Culto perpetuo al Santissimo Convito del divino amore Catechismo dogmatico Amiamo Gesú Amiamo Maria Amiamo S. Giuseppe - Vita di S.Giuseppe Proposte agli ecclesiastici Brevi parole ai sacerdoti - Parroco novello Monaca in casa - Religioso al secolo 401 fino alla composizione di strofette da cantarsi dai fedeli per sollevare l‟animo a Dio. Questa è la scuola a cui si formò, e a questa scuola avrebbe indirizzato tanta parte del clero del suo secolo, cominciando con quei sacerdoti e chierici genovesi che andarono a gravitare intorno a lui nella Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio796. Qui il Frassinetti, nell‟Accademia di studi che ne sorse in seno, darà cattedra a sant‟ Alfonso, e furono tanti i sacerdoti e i chierici teologi che ne assimilarono dottrina e spirito. Si può affermare che il risveglio religioso ligure, e non solo ligure, si verificò nel nome di due grandi napoletani: san Tommaso d‟Aquino e sant‟Alfonso, ed ebbe per centro d‟irradiazione non ultimo la canonica di Santa Sabina. Al Frassinetti, difatti, si può rivendicare a giusta ragione una parte cospicua del merito d‟aver largamente diffusa la conoscenza delle opere di sant‟Alfonso tra i fedeli. Adesso che quasi tutti imparano a leggere, e i nostri nemici sono cosí liberali nel diffondere i perversi scritti – scriveva nel 1837 e ci si perdoni se in parte ci ripetiamo –, è necessario che noi altrettanto ci adoperiamo, anzi che li prevenghiamo… Che se mi fosse chiesto di quali opere, tra l‟altre molte, si dovrebbe particolarmente promuovere la lettura, io direi dell‟opere del B. Alfonso Maria de Liguori. Queste servono pel dotto egualmente che per l‟ignorante, essendosi egli fatto tutto a tutti: vi trovi una purità di dottrina che nulla puoi desiderarne di piú; un fervore di spirito che difficilmente ti verrà fatto riscontrare il maggiore in altra scrittura d‟uomo, una semplicità che, quantunque spesso rozza e disadorna, ti piace e ti tocca fortemente il cuore… Il libricciuolo delle sue Massime eterne per me vale un tesoro… Nella Pratica poi d‟amar Gesú Cristo parmi trovare raccolto il fiore dei libri buoni797. Se per l‟obbedienza e la fedeltà al Papa il Frassinetti si rifà a sant‟Ignazio, se per lo studio del dogma a san Tommaso, per la morale, la pastorale, la vita spirituale ed il modo di comportarsi di un sacerdote, gli fu modello e maestro sant‟Alfonso Maria de Liguori. Ce lo attesta egli stesso: Vedo che S. Alfonso consigliava siffatta astinenza [dalla comunione] una volta la settimana; ma vedo pure ch‟egli per sé non voleva farne 796 M. FALASCA, Rapporti di Francisco Cabrera con Giuseppe Frassinetti e Miguel Sureda, in “Regnum Dei”, Roma XL(1984), pp. 431-446. 797 G. FRASSINETTI, Riflessioni..., pp. 19-20.42-43. Per la completezza dell‟esposizione mi si perdoni se riporto passi già altrove citati. 402 volontariamente né anche una in tutto l‟anno. Ordinato sacerdote da poco tempo (22 settembre 1827), io leggeva nel compendio della Vita del Santo, premessa all‟edizione delle opere fatta in Torino dal Marietti: “ordinato che fu sacerdote, non solo non lasciava giammai di celebrare la S. Messa, ma se mai si fosse trovato in missione nella Settimana Santa, procurava di tornarsene in que‟ giorni a casa per poter celebrare, e non rimaner privo in alcun giorno del Pane Eucaristico”. E vado debitore al suo esempio, se ho sempre celebrato tutte le funzioni della Settimana Santa nei trentadue anni da che sono parroco, tolti li anni 1848-49, nei quali, in grazia dei liberali, non ho potuto essere alla mia residenza798. A sant‟Alfonso si può far risalire la scoperta della grande Teresa d‟Avila e della spiritualità teresiana, non foss‟altro per quel chiudere del Santo, o iniziare le sue lettere, con i suoi: “Viva Gesú, Maria, Giuseppe e Teresa”. Santa Teresa gli portò con sé san Giovanni della Croce e santa Maria Maddalena de‟ Pazzi. L‟attaccamento del giovane teologo al suo Elia fu tale da venire soprannominato il "Liguorista" fin dai primi anni del suo sacerdozio. Scherzosamente dagli amici, con scherno dagli affetti di giansenismo. Lo ricaviamo da una sua lettera del 5 ottobre 1832 al prevosto di Santo Stefano, don Francesco Tagliafico: Perdonerebbe uno scrupolo V. S. M. Rda ad un liguorista?799. Sant‟Alfonso divenne talmente il maestro e la guida del Frassinetti, che potremmo chiamarlo un nuovo sant‟Alfonso Maria de‟ Liguori ben piú a ragione che un secondo Curato d‟Ars. Dire come non è però lo stesso che dire uguale800. Già si è notato non esistere santo copia di un altro. Per affermarlo non si dovrebbe tener conto 798 G. FRASSINETTI, Compendio della Teologia Morale..., vol. II, Genova 1866, p. 76. Una nota personale nel trattato XV, dissertazione IX, sulla comunione quotidiana. 799 AF, Lettere. 800 Impensabile, per esempio, supporre uscita dalla penna del Frassinetti una lettera come questa scritta dal Liguori in data 21 luglio 1733 da Scala ad un sacerdote che era in dubbio se entrare o no nella sua congregazione: “D[on] Giuseppe mio, e quando vieni, quando? Insomma ci vuoi proprio fare stentar questa venuta tua. Sbrigati mo: Che aspetti? Noi ti desideriamo, Cristo ti chiama, mamma Maria ti aspetta, e tu te ne stai a dire, Spiritus promptus est, caro autem infirma? Ma io ti replico: Qui non odit matrem, fratrem etc., non potest meus esse discipulus. Spicciati mo per carità che ti voglio far fare l‟istruzioni, che serviranno per queste missioni. Vieni, trova la solitudine: vieni, trova Dio... e se non, non ti fai santo, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no. Viva Gesú, Maria, Giuseppe e Teresa”. A. M. DE LIGUORI, SANTO, Opere, vol IV, Marietti, Torino 1847, p. 810. Edizione 403 della irripetibilità d‟ogni figura di santo, dei suoi idòla specus et fori, ossia dei condizionamenti d‟ambiente e di formazione che differenziavano un genovese figlio di umile merciaio e nipote di cuoco da un napoletano figlio d‟aristocratici. Sant‟Alfonso aveva avuto da natura doni che non ebbe il Frassinetti, ed incomparabilmente piú elevato fu l‟ambiente culturale in cui visse la sua giovinezza il primo, e perché Napoli era in questo molto al di sopra di Genova, anzi la prima in Italia, e perché il nome “de‟ Liguori” e l‟educazione ricevuta gli aprivano le porte dei salotti letterari ove aveva modo di incontrarsi con i piú begli ingegni confluiti a Napoli da ogni parte del Reame, nonché le porte delle dimore dei principi e della stessa corte – il giorno della sua conversione aveva disgustato il padre per essersi mostrato restio ad accompagnarlo al grande ricevimento in onore dell‟Imperatrice Isabella dato a corte dal cardinale Althan, viceré dell‟ imperatore Carlo VI801. Sant‟Alfonso, questo napoletano meraviglioso, era stato bimbo precocissimo e precocemente affidato ai migliori maestri. Educazione completa, diremmo rinascimentale: italiano, latino, greco, filosofia, francese, storia, musica, tanta musica, tre ore ogni giorno seduto al cembalo, e un padre che lo seguiva da presso e non transigeva – il pensiero va al padre di Mozart –, e poi disegno, pittura, architettura, matematiche, cosmografia,... e nessuna di queste discipline a livello mediocre, e, anche se il Tannoia pensa non gli venissero permesse le “due applicazioni molto ordinarie, anzi credute indispensabili ad un cavaliere, cioè il ballo e la scherma”, un padre capitano dei navigli da guerra, leggeri e veloci, le galere dell‟imperatore, gli inviti a corte e quella sua spada che si slaccia dal fianco per offrirla alla Vergine quel 28 agosto 1723, giorno della sua conversione, ci fanno sospettare che dovesse essere tutt‟altro che digiuno di tali arti. Che partecipasse a cacce, e sono le cacce clamorose del Settecento, ce lo narra divertito egli stesso: del suo schioppo e della sua mira mai un uccello s‟era dato serio pensiero. A dodici anni sapeva già tanto di “humanæ litteræ” da poter essere presentato a Giovan Battista Vico perché lo esaminasse per l‟ammissione all‟Università ed il Vico lo trovò idoneo. A soli sedici anni e qualche mese fatta sulla prima Marietti del 1824-1825, che, con ogni probabilità, fu quella usata dal Frassinetti insieme con la Theologia moralis edita dal Remondini nel 1823 a noi pervenuta. 801 A. TANNOIA, Op. cit., pp. 21s. 404 veniva proclamato dottore in utroque iure summo cum honore maximisque laudibus et admiratione, a Napoli, la terra di sommi giuristi. L‟imberbe avvocatino Alfonso cominciò a frequentare il salotto dei Caravita, padre e figlio, Niccolò e Domenico, entrambi famosi avvocati, entrambi studiosi e amici di studiosi, e lo frequentò a lungo e con assiduità quotidiana. Vi convenivano giuristi, filosofi e letterati, uno Giovan Battista Vico. Vi si discuteva di giure. Domenico Caravita proponeva “gli articoli piú intrigati, ed ogni sera tenendosi ruota, si dilucidavano con suo compiacimento, facendo egli da giudice, e i giovani da avvocati con sommo loro profitto”802. Non si trattava solo di diritto, ma anche delle nuove filosofie giunte d‟Oltralpe, e delle antiche e delle rinascimentali: neoplatonismo, antiaristotelismo, atomismo democriteo-epicureogassendiano, sperimentalismo galileiano-baconiano, razionalismo cartesiano, e pensiero di Bruno e di Telesio... Persino gli ateisti trovavano aperte le porte del salotto di quell‟uomo savio e timorato di Dio. Niccolò aveva avuto la sua ora di rinomanza nel 1707, anno in cui aveva pubblicato il suo Nullum ius pontificis romani in Regnum neapolitanum. Ambiente apertissimo, quindi, e come Vico, pur avendo bevuto di Cartesio in quei salotti letterari, lo seppe ripensare e farsene critico, cosí Alfonso saprà servirsi di quanto apprese in quella palestra per tenere i giovani lontani dall‟errore: “Essendo che nei tempi correnti serpono tanti errori... io mi sono ingegnato... di raccogliere... per uso dei nostri giovani... le piú convincenti risposte”803. In essa, e nelle altre opere apologetiche, ritroviamo i nomi che avevano riempito le dispute dai Caravita: Leibniz, Locke, Hobbes, Berkeley, Spinoza... cui si aggiunsero Voltaire, Rousseau, Helvetius..., perché il Liguori, e cosí il Frassinetti, non cessò mai dal seguire quanto si andava scrivendo in pregiudizio della sana dottrina. Mi sono indugiato a descriverlo perché, anche se non certo per influsso di quello dei Carovita, vedremo sorgere a Genova una simile palestra, L‟Accademia della “Beato Leonardo”, messa su dal Frassinetti, non per formare ottimi avvocati, ma santi pastori d‟anime. Con grande disappunto del padre, Alfonso abbandonò il foro dove si era gia fatto un nome, dimenticò scherma e danza, da far pensare al Tannoia che ne fosse digiuno, ma ritenne tutte le altre arti riciclabili nel sacro, e si mise a 802 A. TANNOIA, ivi, p. 12. 803 A. M. DE‟ LIGUORI, Breve dissertazione degli errori de‟ moderni increduli oggidí nominati materialisti e deisti. 405 servizio del suo Signore, conservando una punta di rammarico per le troppe ore passate a suonare il cembalo804. Il foro perse un grande avvocato, la Chiesa ebbe un missionario, fondatore di Ordine religioso, vescovo, scrittore di devozione, autore dottissimo di Morale, [che] si mette a dipingere. Musicista, pittore, poeta, uomo di spirito e di garbo, capace di risolvere una questione con una uscita, e di raddrizzare un mondo capovolto con un sorriso, ebbe qualcosa della accorta profondità del Vico e qualcosa della vivacità profonda del Galiani... gesti bellissimi e originali, riflessioni argute e spassose, brani caldi e splendenti, uscite d‟una miracolosa bonomia e profondità, prese in giro caritatevoli ma tremende, repliche vivaci e repentine... grande poeta, no, ma poeta sí... un santo che scrive un oratorio, sia pure in nuce, non è frequente....805. Se aveva saputo mirare alto il Frassinetti nello scegliersi il maestro e modello! La differenza di condizione sociale non creò pregiudizio. Accidentalità. Parola di Paolo: “Non esiste giudeo o greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, perché siete un sol tutto in Cristo Gesú, quanti siete stati battezzati in Cristo e di Cristo vi siete rivestiti” 806. Ne era prova viva l‟amicizia sua, figlio d‟un modesto merciaio, con Giovan Battista Cattaneo, marchese. Ammirazione affettuosa per il Liguori sí, tanta; idolatria no. Il Frassinetti seppe tenere conto di quella figura retorica a cui si appellò in suo componimento poetico per giustificarsi di aver fatto morire Temistoche di spada invece che di veleno: la variatio: “Si avverta – pose in nota di quel componimento – che per poetica licenza si finge che non col veleno, come 804 “Essendo don Giuseppe suo padre molto appassionato di musica tre ore al giorno se le doveva egli passare in camera col maestro; ed era tale l‟impegno di suo padre, che non potendoci talvolta assistere, come soleva, chiudeva al di fuori l‟uscio a chiave, e lasciandoli soli lui partiva pe‟ suoi affari. Cosí non era ancora Alfonso all‟età di dodici in tredici anni che già toccava il cembalo da maestro... Pazzo che sono stato, disse un giorno guardando il cembalo, in averci perduto tanto tempo! ma dovevo ubbidire, perché cosí voleva mio padre ”, A. TANNOIA, Vita di S. Alfonso Maria de Liguori, ritoccata da A. CHILETTI, Torino 1880, pp. 9s. Ci rifacciamo all‟edizione “ritoccata” dal Chiletti perché il Frassinetti ne fece una recensione sul “Cattolico” all‟uscita nel 1857. 805 G. DE LUCA, Sant‟Alfonso uomo grande, in “L‟Osservatore Romano della Domenica”, 4 giugno 1939. 806 Gal 3,27s. 406 scrivono certi storici, ma col ferro si sia ucciso; si dirà che sia licenza presa a spese della storia, ed io nol niego”807. Seppe rifarsi al modello cosí come Virgilio seppe rifarsi a Omero, e come Dante a Virgilio, si parva licet componere magnis. Fu un discepolo che sapeva ripensare l‟insegnamento, raffrontarlo con gli altri autori, tornarci su e, dove gli pareva bene, liberamente discostarsene, adattarlo ed anche correggerlo. Con quale libertà dipenda e si rifaccia a sant‟Alfonso ce lo dice egli stesso nella prefazione al Compendio della teologia morale, che noi possiamo compendiare nel detto: Amicus Cicero, amicus Plato, sed magis amica veritas. La verità al disopra dello stesso suo sant‟Alfonso, e al disopra di se stesso. Lo stato d‟animo con cui la cercava Agostino: Chiunque tu sia che leggi queste mie pagine, lí dove sei certo e sicuro al pari di me, avanza pure con me, lí dove esiti ed io pure esito, indugia nella ricerca insieme con me. Se ti accorgi di essere fuori strada, torna a me. Se poi ti accorgi che io vado fuori strada, richiamami: cosí entreremo insieme nella via dello carità, protesi verso Colui del quale è stato detto: Cercate sempre la Sua faccia808. Né, invero, mi rincrescerà cercare dove esito, né mi vergognerò di apprendere se mi capita di sbagliare… Io, invero, sono uno che medita la parola del Signore, se non di giorno e di notte, almeno in tutti i momenti che posso, e perché non abbia a scordare quel che ho pensato, lo fisso sulla carta, sperando che Dio, per sua misericordia, mi faccia perseverare in tutte le verità di cui mi sono reso certo 809. L‟insistenza con cui si metterà in risalto come il Frassinetti ripensò il Liguori non è troppa, potendo un meccanico probabilismo portare il confessore ad addormentarsi sulla sentenza etiam unius Doctoris speciali scientia et pietate præditi810 e riposare sicuro sull‟ipse dixit, senza chiedersi i perché, specie se il maestro si chiami Alfonso Maria de‟ Liguori. Il Frassinetti ripensa “i perché” di un tanto Maestro ed invita i lettori a ripensare le sue proprie soluzioni con la stessa libertà con cui egli ha ripensato sant‟Alfonso. Li aiuta nello studio, non li dispensa dallo studio. Ma uno studio umile, di cui in questa sua opera dà il bell‟esempio: non 807 AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. 19, p. 534. 808 Sal 105(104),4. 809 AGOSTINO, De Trinitate, cap. III (passim). 810 J. AERTNYS-C. DAMEN, Theologia moralis, T. I, Torino 193913, n. 93, p. 79. 407 scrive riga senza sottoporla al giudizio di uomini dotti, pii e sperimentati e prega i lettori di volergli mandare le loro osservazioni811. Quante cose erano cambiate dai tempi in cui scriveva il Liguori! Un secolo che valeva un millennio. Tra la morte del Santo e gli anni della formazione del Frassinetti, c‟era stato lo scompiglio della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche. Se nel secondo Settecento, specie a Napoli, il centro italiano delle riforme piú avanzate, si poteva già avvertire il tossico che avrebbe avvelenata l‟aria dell‟Ottocento812, la lotta sorda alla Chiesa poteva ancora essere scambiata con l‟eterno contenzioso tra i due poteri, l‟ecclesiastico ed il civile, roba piú da diritto canonico che da dogma. Lo stesso scioglimento della Compagnia di Gesú ad alcuni – al Sismondi, per esempio – poté sembrare dovuto a cause non dissimili da quelle che avevano determinato tanti secoli prima lo scioglimento dei Templari 813. Nell‟Ottocento, invece, la congiura delle forze del male era ormai chiara: distruggere alle radici quanto sapeva di cattolico. Ai tempi di Alfonso, a leggere anche noi la storia con gli occhi del Vico, v‟è un ritorno di titanismo culturale in cui l‟uomo è talmente inebriato della potenza della sua ragione da ridere dei timori che nelle età precedenti avrebbero dato origine alle religioni, che altro per loro non erano se non superstizioni buone per i secoli bui, ma nel secolo dei lumi appena tollerabili nelle donne, nei fanciulli e nella plebe ignorante. “Solo un‟élite è 811 Se un tale esempio valeva ieri, molto piú vale oggi, che la fama d‟essere di speciali scientia et pietate adorno è facile che ad un moralista venga, piú che dal riconoscimento di uomini dotti, pii e sperimentati, dalle sue frequenti comparse in televisione o dall‟averne visto il ritrattino in capo alla rubrica “Il moralista risponde” nei rotocalchi venduti alle porte delle chiese. Frassinetti non pensò mai di essere “Il moralista”, ma solo un confessore che comunicava la propria esperienza ai confratelli e, illuminandoli, chiedeva di essere da essi illuminato. 812 Don Manuel de la Roda – già ambasciatore di Spagna a Roma, poi ministro di grazia e giustizia, colui che secolarizzò la scuola con l‟avocare a sé la nomina dei rettori e cattedratici delle università, nonché la supervisione dei piani di studio – scriveva allo Choiseul, l‟uomo che per 12 anni ai tempi di Luigi XV fu il vero governatore della Francia: “La operación – l‟espulsione dei gesuiti dalla Spagna – nada ha dejado que desear; hemo muerto el hijo; ya no nos queda más que hacer otro tanto con la madre, nuestra santa Iglesia romana”, M. MENENDEZ Y PELAYO, Historia de los Heterodoxos Españoles, vol II, ediz. BAC, Madrid 1956, pp. 507.525-530. 813 D. ROPS, Histoire de l‟Église du Christ, l‟Ère des Grands Craquements, Paris 1958, p. 289, n. 11. 408 illuminata; la massa [è] gregge sciocco e zotico”814. Non c‟è eresia che non sia alimentata da un vano credersi di piú. Mai come in quel secolo cosí povero di filosofia – “non a torto il Lachelier lo definì l‟âge barbare de la philosophie” –815 si fu piú convinti di essere un popolo di filosofi. Piú che una scalata al cielo per tirarne giú gli dei, come si racconta dei Titani, o la costruzione d‟una torre, fatica d‟uomo, per penetrarvi, ritenevano d‟avere scoperto che il cielo era vuoto, valendo il dio dei teisti il non-dio degli atei. Quando il titanismo filosofico tentò di inverarsi nella realtà della storia, i genocidi e gli eccidi crearono la sensazione di vivere un titanismo eroico che ben presto si mutò in titanismo guerriero rivolto non piú alla “liberazione” dei popoli dall‟oppressione dei re e della religione, bensí ad assoggettarli con la violenza ad un impero straniero, asservendo il cosmopolitismo culturale allo sciovinismo nazionalista. Ci fu l‟imprevisto di Waterloo e di Sant‟Elena. Ha sempre Iddio qualche imprevisto per ricordare la sua presenza. Avevano risognato con Adamo ed Eva di essersi resi autonomi, perché pari a Dio, e si risvegliarono nudi, e i loro figli smarriti al pari dei figli dei 814 M. F. SCIACCA in Il pensiero italiano nell‟età del Risorgimento, Milano 19632, p. 42. Fuori di Francia l‟infatuazione per Voltaire nel suo secolo non varcò molto i confini di quest‟élite illuminata che ne visse incantata, ma “nei primi decenni dell‟Ottocento – gli anni della formazione del Frassinetti – mentre gli intellettuali lo sprezzavano, le classi borghesi se ne nutrivano”, G. DE LUCA, Art. cit. 815 M. F. SCIACCA, Op. cit., p. 125, nota 3. Affermazione a prima vista pare azzardata, se non si precisa quale filosofia dette il nome al secolo che fu pure chiamato Siècle de Voltaire. È vero, il secolo s‟era aperto con le cento trenta pagine de De antiquissima italorum sapientia del nostro Vico, in cui è già delineata una redazione unica e definitiva della dottrina vichiana, G. De Ruggiero, Da Vico a Kant, Bari 1973, p. 31, e si chiudeva con la triplice Critica di Kant (1781.1788.1790, ma non fu né per l‟uno né per l‟altro se il secolo XVIII fu fregiato d‟un tal nome. Il Vico, al suo tempo, passò quasi inosservato e, in quanto a Kant, all‟apparire delle sue grandi opere “l‟interesse dei dotti e dei letterati tedeschi fu dapprima pigro e distratto”, G. DE RUGGIERO, L‟età del Romanticismo, Bari 1971, p. 7. Il nome al secolo venne dalla filosofia francese che faceva moda, che ebbe Voltaire per vetrina e l‟Enciclopedia per spaccio. Moda che aveva instaurato terrore psicologico nel mondo delle lettere. O uno vi si uniformava o “la ghigliottina dell‟Enciclopedia era la diffamazione che tagliava teste, fermava carriere letterarie, abbatteva idoli, ne creava degli altri per poi eventualmente abbattere anche quelli”, A. COCHIN, La meccanica della Rivoluzione, Milano 1971, p.252. Si confr. pure P. GAXOTTE, La Rivoluzione francese, trad. di L. ZALAPY, Milano 1949, cap. IIIs.; M. F. SCIACCA, Op. cit., p. 26, n. 15; D. ROPS, Histoire de l‟Église – L‟ère des grands craquements, Paris 1965, pp. 57s. 409 costruttori della Torre. Dopo Waterloo, soprattutto i nati troppo tardi per aver potuto imbracciare un fucile, ricchi soltanto di sogni di gloria, ma non di gloria, e privi dell‟esperienza delle brutalità della guerra, furono i maggiormente colpiti dal dramma della prostrazione dell‟uomo. Quella Torre fatta rudere divenne a questi giovani disperazione, sbandamento e ricerca d‟un semi-eroico in cui credere e che surrogasse il divino. A tanti si fece vangelo il Jacopo Ortis che, se per i piú fu solo disperazione letteraria, – tra questi mettiamoci pure il Mazzini –, per altri fu morte suicida, come per il figlio del conte Porro, la cui fine restò rimorso nel ricordo del suo precettore Silvio Pellico. Sono i giovani nati all‟inizio del secolo, la generazione del Frassinetti. Un eco, anche se puramente letterario, si ha anche nello stesso Frassinetti in un compito scolastico in terza rima: Parlata d‟un disperato816. Questi giovani, ai quali erano venute a mancare le presuntuose certezze degli atei, ma non il retaggio della scristianizzazione, condivideranno con i padri l‟avversione per quanto sapeva di cattolico e si illuderanno di aver trovata la strada buona o rivestendo l‟umano di vaga religiosità, il caso del Mazzini, o tentando di deviare la Chiesa ad impegni puramente terreni, il caso del Gioberti. Il dio dell‟uno e dell‟altro era l‟Umanità, il Progresso, la Patria..., solo che mentre nel Gioberti si conservavano i vecchi nomi ed i vecchi riti, nel Mazzini si ebbe ripudio totale. In realtà, si trattò spesso piú che altro solo di differenze tattiche: un marciare separati per colpire uniti 817. Anche per i figli di genitori ignari di crisi religiosa – ed è il caso del nostro Servo di Dio – la religione aveva cessato di essere ciò che era stata per i loro padri: un bene ereditato da vivere nella tradizione. L‟ansia religiosa si era ora fatta problema da risolvere, un problema personale, che esigeva ricerca, ripensamento e conquista. Sono loro, e tra i primi il Frassinetti, quei che ci scoprono che si può vivere la pienezza della vita cristiana improtetti dall‟ambiente, e persino meglio di quei che ne furono custoditi come fiori in serra. È il nuovo del Frassinetti rispetto al suo maestro sant‟Alfonso. 816 AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. 9, pp. 515s. 817 La crisi che allora non varcò il ceto borghese, nel secolo successivo la vediamo largamente diffusa, essendo per molti titolo di superiorità la professione di non credente, mentre altri non vanno oltre la vaga affermazione di ispirazione cristiana, liberi, si intende, di ridiscutere tutto quel che la Chiesa insegna, prenderne le distanze ed accettare solo quel tanto che collima con il loro pensiero. 410 CAPITOLO XXVI UBI PETRUS IBI ECCLESIA 411 Sciogliete il freno, o Sacre Muse, al pianto E voi lire d‟Arcadia, in triste metro, Dei dolenti pastor seguite il canto... Dunque fra noi piú non respiri, o Pio? Lasciasti in lutto e pianto i figli tuoi, E desti lor l‟amaro ultimo addio. E già consorte de‟ celesti eroi in capo cingi l‟immortal corona Che virtude prepara a‟ figli suoi... GIUSEPPE FRASSINETTI818 Da quanto si è detto, e soprattutto dagli scritti che abbiamo citato, traspare cosí evidente l‟attaccamento del Frassinetti alla Chiesa e al Papa, che si sarebbe potuto non aggiungere altro. Ma mi è parso di togliergli qualche cosa a lui carissima: mettere in risalto come questo suo attaccamento e questa sua devozione alla Sede di Pietro e alla parola del suo Vicario fosse stata in lui connaturata fin dalla fanciullezza. Se il Manzoni non poté trattenersi dallo scrivere il Cinque maggio all‟annunzio della morte di Napoleone, il giovane teologo si risvegliò poeta per piangere la morte del papa Pio VII. Quando, sul finire d‟agosto del 1823, giunse a Genova la notizia della sua morte, il diciottenne Giuseppe Frassinetti aveva già completato il corso di filosofia e si accingeva ad entrare in teologia. Il Capitolo in terza rima di 88 versi In morte di Pio VII Pontefice Massimo non è quindi un tema scolastico. Fu un‟effusione spontanea che ci rivela, sia pure nell‟osservanza scolastica dei precetti dell‟arte poetica, quali erano fin da allora i suoi sentimenti verso il papa. Per comprendere cosa provasse – come abbiamo già avuto modo d‟osservare – bisogna rifarsi ai primi anni della sua vita. Il Papa per quel bimbo non era piú ciò che era stato per i suoi genitori fanciulli: una rispostina del catechismo. Era persona viva per cui aveva sofferto ascoltandone nelle ore dell‟intimità della famiglia le sofferenze dalla bocca dei suoi. Quante ne avevano fatte a quel venerando vecchio di Pio VI, portato a morire in Francia, e ne facevano ancora al suo successore, a Pio VII, tenuto prigioniero a Savona, cosí vicina a Genova, senza che si potesse andare a riceverne la benedizione. Venne poi il giorno indimenticabile che poté vederlo con i suoi propri occhi nella bella chiesa 818 AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. XIX, pp. 550-553. 412 dell‟Annunziata quando tornò a Genova, durante i Cento giorni di Napoleone, questa volta in una lunghissima visita trionfante. Cresciuto, lo guardò con gli occhi della fede. Non aveva piú importanza si chiamasse Pio VI, Pio VII o Clemente XIV – ci insisterà nella polemica con il Gioberti che faceva di Clemente XIV un grande papa per aver sciolto la Compagnia di Gesú e di Pio VII un dabben uomo per essersi fatto raggirare nel restaurarla –819. Il papa è grande perché papa, perché vicario di Cristo, poco importa chi sia. Il Frassinetti àncora la sua fede a Roma, alla cattedra di Pietro, in un epoca in cui era messa in discussione ogni parola che venisse da Roma e non era ancora stato definito il dogma dell‟infallibilità. Lo sarà trenta mesi dopo la sua morte. Gli stessi suoi sentimenti suggerisce agli ecclesiastici nelle Riflessioni, e qui sarebbe piú vero il vecchio titolo apposto nel manoscritto: Esortazioni: O miei fratelli, quanto grande è l‟odio de‟ nostri nemici contro Roma, altrettanto sia grande il nostro amore per lei. Ella è il cuore del cristianesimo; noi suoi membri non possiam vivere che del suo sangue: apprezziamo, difendiamo il nostro cuore. La nostra credenza sia la romana, le pratiche romane sieno le nostre pratiche, il nome di cui piú andiamo gloriosi sia di romani… È uno dei pochi scritti, se non l‟unico, in cui il Frassinetti si fa prendere dall‟enfasi, lui cosí pacato e misurato. Vi sono tratti in cui, ponendo degli a capo suggeriti dal ritmo, la prosa si fa salmo: È in Roma il successor di quel Pietro sopra cui Cristo fondò la sua Chiesa, è in Roma l‟immobile colonna della cattolica verità… Ella è la Gesrusalemme del nuovo Israello… In lei è l‟inespugnabile torre di Davide… in lei la santa Sionne… Io non volgerò i miei occhi da te, tu se‟ quel monte da cui mi aspetto ogni aiuto; tu mi dai luce, tu mi dai lena e speranza, avrò salute per te. A che mi varrebbe senza di te 819 ID., Saggio intorno alla dialettica e alla religione di Vincenzo Gioberti, Genova 1846, pp. 10-11. 413 il Calvario e il Taborre? Questo il cuore mi accenderebbe di viva brama per un‟eterna beatitudine che non potrei sperare, quello mi mostrerebbe il prezzo di mia salute, che ottener non potrei... O Vaticano, o monte santo, ti riconoscano una volta tutte le nazioni e sieno salve per te…820. 820 ID., Riflessioni..., pp. 26-35. . 414 CAPITOLO XXVII SACERDOTE UN FUOCO ARDENTE GLI BRUCIAVA IL CUORE Il tuo cuore sia cenacolo ampio e bene adornato allorché devi celebrare la santa Messa. Ampio per cosí grande confidenza nella mia infinita bontà, che non vi abbia grazia che tu non isperi per te e per gli altri. Va‟ desideroso al mio altare, e desideroso con tutta la forza del tuo spirito, da poter dire con me: Desiderio desideravi hoc Pascha manducare… 821. Desideroso che la santa Messa ti sia manna, altrettanto soprasostanziale che saporosa, dove trovi ogni bene. Desideroso di giovare con essa a tutti i bisogni della santa Chiesa. Ma spera, e spera fortemente, che i tuoi desideri non saranno defraudati, che anzi saranno sorpassati dalle benedizioni della mia infinita liberalità, accordate al valore della santa Messa. Il tuo cuore sia pure il cenacolo bene addobbato dove io possa convenientemente cenare con te in magnificenza di amore. Vedi se v‟abbiano da essere virtú grandi delle quali non debba essere adornato il tuo cuore quando celebri la santa Messa! Solo per questo tu dovresti aspirare alla maggior santità, anche pel caso che tu dovessi celebrare la santa Messa una volta e non piú in tutto il corso della tua vita. Ora, pensa che tu celebri tutti i giorni! Procura, frattanto, di dispormi per questo modo i cuori cristiani che 821 Lc 22,15. 415 ammetto alla mia cena, e ricordati che anche per essi io sono pane quotidiano. Ricordalo per non impedirmi l‟accesso a quelle anime dove io metto il continuo desiderio di me e colle quali, parimenti come con te, io vorrei cenare ogni giorno. A tutte le anime che odiano ogni peccato lascia pur sempre aperto il mio cenacolo. Non mi infastidirò di loro, finché esse non s‟infastidiranno di me. Non essere troppo rigoroso pei loro difetti e per le loro imperfezioni; pensa che anche tu hai imperfezioni e difetti, forse maggiori, eppure celebri ogni giorno. Giuseppe Frassinetti, Regola del sacerdote. Come si accostò all‟altare la prima volta questo giovane con cui ci siamo cosí a lungo intrattenuti? come vi si preparò? cosa provò? Domande destinate a restare senza risposta su uno che non tenne mai un diario per annotarvi pensieri e sentimenti. Ciò che si prova quando il gran giorno si appressa, piú è intenso, meno si pensa ad annotarlo. È cosa che passò tra il giovane levita e Dio. Una voglia di fuggire lontano, al pari di Giona?822, trovare scuse come Mosè?823, protestare con Geremia, dimenticando che sta parlando con Dio? dirgli che si sta sbagliando, ci dev‟essere un errore di persona, non può essere lui, uno neppure capace di dire: “a a a”? 824. Mandi che deve mandare, non può essere lui!825. Ma c‟è una forza piú forte ancora che ci avvinghia e trascina all‟altare di Dio, a salire quei tre gradini, a dire anche noi: Introibo ad altare Dei826: Mi hai sedotto, Signore, ed io mi sono lasciato sedurre, mi hai fatto forza ed hai prevalso… Mi dicevo: “Non penserò piú a lui, non parlerò piú in suo nome! Ma nel mio cuore c‟era come un fuoco ardente chiuso nelle mie ossa; 822 Gn 1,3s. 823 Es 4,13. 824 Ger 1,6. 825 Es 3-4. 826 Sal 43(42),5. Era il versetto con cui ci si accostava all‟altare nella vecchia liturgia. 416 mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo827. Quante cose per secoli hanno detto al cuore dei sacerdoti quei versetti del salmo 42: Mi accosterò all‟altare di Dio… Ma perché ti rattristi anima mia? Perché mi turbi? E lí un chierichetto a far coraggio: Ma spera in Dio! Tutto qui: sperare in Dio e andare avanti. Signore crea in me un cuore puro828. Maria santissima… Aggiunte aliturgiche sgorganti dal cuore da nessuna rubrica mai proibite. Eppure qualcosa ci è pervenuto ad insaputa del Frassinetti. La pagina riportata ad apertura di capitolo vale una pagina di diario scritta negli esercizi che precedettero l‟ordinazione. C‟è poi la sorella Paola che ci viene in aiuto con la prima lettera del suo epistolario: Ti raccomando di prepararti bene al S. Sacerdozio e questa preparazione in modo particolare farla consistere in lunghe visite al SS.mo Sacramento e fervorose preghiere a Maria SS.ma e ai Santi Apostoli, pregandoli che ti ottengano quello spirito che essi ricevettero nel cenacolo acciocché a sua somiglianza tu fatichi molto per la Gloria del Signore e salvazione delle anime, tenendo sempre fisse nella mente quelle parole dette a S. Pietro da Gesú: Se mi ami, salva le mie pecorelle829. Non è una lettera al fratello Giuseppe, ma al fratello Giovanni. Con Giuseppe non le sarebbe riuscito scrivere con quel tono di sorella-madre. Ma in quelle raccomandazioni c‟è tanto ricordo di come anni prima aveva visto Giuseppe prepararsi all‟ordinazione. Quel fratello di cui era stata testimone quotidiana dei suoi primi otto anni di sacerdozio, e dei sacerdoti che facevano gruppo con lui, le rimarranno termine di paragone a cui raffrontare tutti gli altri. Giunta a Roma, gli comunica le sue impressioni. Roma non era né Quinto, dove sembrava che tutto l‟anno fosse missione, né Santa Sabina: “Oh quanto qui starebbe bene la Congregazione del Beato Leonardo! I preti, generalmente parlando, sembrano preti da salotto…”830. Dallo scandalo di ciò che vedeva si arguisce cos‟era stato ai suoi occhi il mondo del fratello nei suoi primi anni di sacerdozio; ne sente la mancanza e 827 Ger 20, 7.8-9. 828 Sal 51(50),12. 829 P. FRASSINETTI, Lettere, p. 1. Archivio della Curia Arciv. di Genova. 830 ID., Ivi, Lettera al fratello Giuseppe da Roma in data 13.10.1841. 417 pensa quanto sarebbe provvidenziale una sua venuta a Roma per ripetervi quanto aveva fatto a Quinto e stava facendo a Genova. Qualcosa ci ha lasciato scritto: le date di avvicinamento al grande giorno: Ego Joseph Frascinetti Frassinetti, Joannis Baptistæ, Archidiœcesis Januensis, anno Domini 1824, die 11ma Aprilis, Dominica Palmarum, habitum clericalem indui ex licentia illustmi et Reverssimi D. D. Aloysii Lambruschini, Archiepiscopi Januensis, Thelogiæ curriculi anno 1mo sub Lectore Marco Decotto Canco Thelogo Metropolitanæ S. Laurentii…831 Il giorno della vestizione, oggi dice piú poco, ma per secoli ha rappresentato per i sacerdoti l‟inizio di un nuovo stato. Anche in casa si avvertiva di essere guardati in modo diverso. Non solo le sorelle ed i fratelli, ma anche la mamma. Lo avvertivamo nel vederla baciarci le mani. Un bacio cosí diverso da quelli di sempre. Nei vecchi registri della mia parrocchia non si era piú registrati con gli altri familiari, ma a parte, tra gli ex hominibus assupti832. Non si era piú dei nostri, ma della Chiesa, di Dio. Il sette giugno dello stesso anno – risparmio al lettore il latino – lunedí di Pentecoste, Giuseppe ricevette la tonsura, rito che piú non si pratica, ed i primi due ordini minori, ostiariato e lettorato833. Nei vecchi sacerdoti risuonano ancora nell‟orecchio l‟esortazione del vescovo: Preghiamo, fratelli carissimi, il Signore nostro Gesú Cristo per questi suoi servi che s‟appressano a farsi recidere i capelli per suo amore, perché doni loro lo Spirito Santo che conservi in loro l‟abito della religione e ne difenda i cuori dagli ostacoli e dai desideri del mondo…834. 831 Ci è pervenuto l‟Ordo ad divina officia peragenda, missasque celebrandas… dell‟archidiocesi di Genova per l‟anno MDCCCXXVII, l‟anno della sua ordinazione. Nell‟ultima pagina bianca annotò a penna le sue date. 832 Eb 5,1. 833 Questa materia è stata tutta ritoccata. Fino a qualche decennio fa, si accedeva al sacerdozio salendo sette gradini, un ottavo era riservato ai vescovi. Quattro ordini detti minori, ricevuti in due tempi separati, e tre maggiori in tre tempi distinti. Dei maggiori piú non esiste il suddiaconato. 834 Pontificale Romanum, De clerico faciendo. 418 Poi ci rivestiva della cotta con le parole: “Ti rivesta il Signore dell‟uomo nuovo, quello creato secondo Dio…”, e noi si cantava: “La mia parte di eredità è il Signore. Sei tu che mi tieni riposta la mia eredità” 835. A casa si trovava il compagno esperto in chieriche che ci radeva la prima in vertice capitis, bianca e rotonda proprio come una particola. Per i secondi due minori, esorcistato e accolitato, il giovane teologo dovette attendere ben tre anni. Genova era senza vescovo, essendo il Lambruschini stato fatto nunzio e mandato a Parigi. Questa la ragione addotta dal Fassiolo836. Per non rinviare l‟ordinazione sacerdotale, esistevano le litteræ dimissoriæ, ossia la lettera con cui un vescovo delega un altro vescovo ad ordinare un suo suddito. Cosí, a Savona il vescovo Giuseppe Vincenzo Airenti, che succederà nel 1830 al Lambruschini nell‟archidiocesi di Genova, il 25 marzo 1827, quarta Domenica di Quaresima, conferí al giovane chierico i secondi minori. Il Sabato successivo, 31 marzo, sabato Sitientes, il suddiaconato. Il suddiaconato era il primo degli ordini maggiori, ed era l‟ordine della grande scelta: indietro piú non si torna! Il vescovo lo diceva a chiare parole: Se ricevete quest‟ordine non vi è piú lecito tornare indietro, perché dovete restare per l‟intera vita al servizio di Dio. Servirlo è regnare, conservando con il suo aiuto la castità e restando per sempre addetti al servizio della Chiesa. Pensateci dunque bene finché siete in tempo, e se volete perseverare nel santo servizio, fate un passo avanti nel nome del Signore837. Un passo che il Frassinetti aveva già fatto da tempo con il cuore. Quel giorno aggiungeva all‟impegno di vivere casto l‟intera vita, l‟impegno della recita quotidiana dell‟ufficio divino, ossia di pregare con la Chiesa e a suo nome per sé ed il popolo cristiano. 835 Sal 16(15),5. 836 D. FASSIOLO, Op. cit., p. 22. Ragione valevole però solo per gli ordini maggiori, i secondi minori il Lambruschini avrebbe avuto tutto il tempo di conferirglieli, avendo ricevuto la comunicazione dell‟incarico solo il 15 ottobre 1826. Ne fece partecipi i diocesani a metà gennaio 1827 e raggiunse Parigi il 10 febbraio. (Da una nota del Capurro). 837 Pontificale Romanum, De ordinatione subdiaconi. 419 Da parte sua la Chiesa gli garantiva una esistenza povera, ma decorosa, esistenza che non gli aveva potuto garantire la famiglia costituendogli una dote838. La famiglia del Frassinetti non fu in grado di costituirla né a Giuseppe, né poi a Giovanni e Raffaele, né a Paola che voleva farsi suora. Per Francesco, fattosi canonico lateranense, non si pose il problema. Per i tre chierici pensò la diocesi. Ma non era un‟esistenza povera e decorosa che Giuseppe chiedeva in cambio al Signore. Gli chiedeva di condividere la sua passione: Signor mio Gesú Cristo, mio unico Bene e Sposo dell‟anima mia, vi prego, pel merito del vostro prezioso Sangue, a non permettere che giammai m‟infastidisca della vostra croce qualunque sia essa. Deh, non permettete che per la mia ignoranza e sensualità vi faccia questo indegnissimo torto; datemi invece grazia che io la ami con tutto il mio cuore come il piú prezioso pegno del vostro amore839. Un‟offerta totale, senza condizioni o riserve, con patto scritto, che ricorda i patti contratti da Dio con Noè, Abramo, Giacobbe…, un pactum pacis, a noi pervenuto in un foglio volante di cm 21x15,5, in latino840, patto da rinnovarsi ogni giorno, e piú volte al giorno, perciò trascritto in un fogliettino di cm 10x6,5 ed incollato nella faccia interna della copertina delle Horæ diurnæ841, uno di quei libri che i sacerdoti usavano portare sempre con sé nelle capaci tasche della loro tonaca: 838 Se ne è già parlato. A Giuseppe il patrimonio glie lo costituí il suo parroco. Ammontava a L. 450 l‟anno coll‟onere di celebrare o far celebrare tante messe giornali (sic) quanto ne porta il frutto annuo.ti. 839 Preghiera del Venerabile pervenutaci in un fogliettino volante. 840 Voi, o Signore, perdonate i miei peccati e cancellate tutte le mie iniquità – Insegnatemi a fare la vostra volontà – Datemi lo spirito buono – Mettetemi appresso di voi – Non permettete che io mi separi da voi - Custoditemi come la pupilla dell‟occhio - Senza di voi, io polvere e cenere, niente posso fare - Io frattanto, in virtú del vostro Nome, confidando nell‟aiuto della vostra grazia, propongo di non riserbarmi nulla per me, se non l‟amato adempimento della legge e l‟abbraccio della vostra santa croce - Per la qual cosa io per me niente altro dimanderò a voi. – Né per le cose, né per la vita, né per la morte, niente altro dimanderò a voi. – In questo modo, in virtú della vostra grazia, sia fatta la pace tra la vostra e la mia volontà 841 Ce ne è pervenuta l‟ultima copia da lui usata. In AF. 420 Tu, Domine, parce peccatis meis, et omnes iniquitates meas dele. Doce me facere voluntatem tuam. Da mihi spiritum bonum. Pone me iuxta te. Ne permittas me separari a te. Custodi me ut pupillam oculi. Sine te, pulvis et cinis, nihil possum facere. Ego autem, in nomine tuo, confisus auxilio gratiæ tuæ, propono nihil mihi reservare nisi dilectum adimplementum legis, et amplexum sanctæ crucis tuæ. Propterea pro me nihil aliud petam a te. Neque pro rebus, neque pro vita, neque pro morte, nihil aliud petam a te. Hoc modo inter tuam et meam voluntatem fiat pax in virtute tua. Il nove giugno dello stesso anno, Sabato delle tempora di Pentecoste e vigilia della SS. Trinità, ricevette il diaconato. Con la stola a tracolla poteva toccare il Santissimo, esporre e riporre l‟ostia santa nelle benedizioni con il Santissimo e, in determinati casi, poterla anche distribuire ai fedeli, e sempre in determinati casi battezzare con tutta la solennità del rito, ed annunciare il vangelo, ma quel che piú conta è la mano del vescovo posta sul capo: diacono in eterno! Diacono anche in cielo, come Stefano, come Lorenzo, come Francesco d‟Assisi. Finalmente il 22 settembre di quello stesso anno 1827, Sabato delle tempora d‟autunno, lo stesso vescovo, sempre a Savona, lo consacra sacerdote in eterno! Il sacerdote deve offrire il divin sacrificio, benedire, presiedere, predicare, battezzare. A tale alta dignità si deve salire con grande timore… perciò, figli carissimi, conservate nei vostri costumi una castità illibata congiunta a santità di vita. Siate consapevoli di ciò che trattate, e perché celebrate il mistero della morte del Signore, mortificate le vostre membra tenendovi lontani da ogni vizio e concupiscenza. La vostra dottrina sia medicina spirituale per il popolo di Dio; l‟odore della vostra vita gaudio per la Chiesa di Cristo, sicché con la predicazione e con l‟esempio ne edifichiate la casa, quanto dire la famiglia di Dio, e che il Signore non abbia a condannar noi per avervi conferito un tale ordine, né voi per averlo ricevuto, ma piuttosto ricompensarci. Ce lo conceda per la sua grazia842. 842 Pontificale Romanum, De ordinatione presbyteri. 421 A Paola non sarà sfuggito nulla del rito: quei candidati suddiaconi, diaconi e presbiteri stessi con la faccia a terra mentre il popolo chiedeva per loro l‟intercessione dei santi cantandone le litanie, l‟imposizione delle mani, prima il vescovo, poi tutti i sacerdoti presenti al rito, la consegna dei vasi sacri, la pianeta arrotolata sulle spalle, l‟unzione delle mani mentre il popolo canta il Veni Creator, e il chiudergliele e legargliele con quel fazzoletto di lino che il fratello s‟era fatto orlare da lei con punto a giorno. Sarebbe toccato alla mamma, ma la mamma assisteva dal cielo insieme con i fratellini, le sorelline, zia Annetta e la nonna. Di tutti si avvertiva la presenza. Troppe le emozioni, per dire la prima messa da solo il giorno appresso? Sant‟Ignazio di Loyola aspettò un anno e mezzo843. Stando al suo compagno ed amico, il canonico Poggi844, il Frassinetti la prima messa l‟avrebbe detta nella sua parrocchia di santo Stefano soltanto il sabato successivo, festa di san Michele Arcangelo. Una conferma si potrebbe vedere nel suo Ordo missarum, quello di cui si è sopra parlato, in cui solo dal 29 i giorni cominciano ad essere marcati con un grosso punto ad inchiostro nero, e cosí fino alla fine dell‟anno, salvo sette marcati con un cerchietto, e ne tiene conto: 87 i primi, 7 i secondi. Ma c‟è un‟altra spiegazione – una mia ipotesi, e valga quel che può valere –. Da suddiacono aveva contratto l‟onere di celebrare o far celebrare tante messe giornali (sic) quanto ne porta il frutto annuo di detti due appartamenti, perciò le segnate con punto potrebbero essere le messe celebrate da lui per assolvere l‟obbligo contratto, quelle con il cerchietto le fatte celebrare da altri passando loro l‟elemosina – ce lo dice anche quel tenerne il conto preciso –. Quelle senza notazione alcuna, dal 23 al 28 settembre, saranno state le messe dette per i propri morti e per sua devozione. La prima messa, di cui parla il Poggi, deve essere la prima solenne in canto, detta appunto in parrocchia. Questa spiegazione si accorda con ciò che il Frassinetti afferma in un suo scritto: non aver mai saltato una messa, eccetto il giovedí ed il sabato santo nei due anni che visse 843 Ricevette l‟ordinazione il 24 giugno 1537 e celebrò la prima volta la notte di Natale del 1538 all‟altare della Natività in Santa Maria Maggiore. S. IGNACIO DE LOYOLA, Obras completas, BAC, Madrid 1952, Autobiografia, p. 103, n. 9 e Carta a los señores de Loyola in data 5 febbraio 1539, p. 671 e n. 2. 844 F. POGGI, Della vita e degli scritti di Giuseppe Frassinetti priore di Santa Sabina – Discorso nelle solenni rinnovate esequie il dí 14 febbraio 1868, Genova 1868, p. 10: “Il Frassinetti l‟anno mille ottocentoventisette il dí faustissimo di San Michele ascese la prima volta al tremendo altare, operatore del grande sacrificio”. 422 nascosto845, anche se l‟affermazione di per sé si potrebbe restringere ai due giorni della Settimana santa da quando, nei primi tempi del suo sacerdozio, gli venne fatto di leggere l‟esempio di sant‟Alfonso846. Il Frassinetti giunse al sacerdozio armato di tutto punto per combattere le battaglie del Signore: Provenisse da buono o da cattivo spirito (lascio che altri giudichi), appena fui ordinato sacerdote s‟impossessò del mio cuore una brama forte di giovare, per quanto potessi nella mia nullità e confidando unicamente nel divino aiuto, al giovane clero…847. Buono o cattivo spirito… Con quanta insistenza chiede al Signore il Buono Spirito in cambio dell‟offerta di tutto se stesso! Ci sono pervenuti due fogli volanti con delle preghiere non datate, a lui care, di cui diamo in nota la traduzione. Uno, il Pactum pacis, di cui sopra si è parlato, l‟altro in un foglietto piegato in due da formare 4 paginette di cm 12x7,5, la misura giusta per farlo stare tra le pagine del breviario e col breviarlo recitarlo tutti i giorni, e forse piú volte al giorno, ed una Oratio ad petendum Spiritum Bonum di cui diamo in nota la traduzione848: 845 Giorni in cui la liturgia prima della riforma permetteva una sola messa per ogni chiesa in cui si poteva celebrare, si c‟era all‟epoca possibilità di concelebrare. 846 G. FRASSINETTI, Compendio della Teologia Morale..., vol. II, Genova 1866, p. 76. Una nota personale nel Trattato XV, Dissertazione IX, sulla comunione quotidiana. 847 G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. V, Rischiarimenti sul mio passato, p. 2. 848 Si premettano un Pater, Ave e Credo recitati con cuore fervente e fede viva, poi, perché si accresca la fede ed il fervore, si rivada con la mente alle parole del vangelo… (Lucas 11,9-13). Signore abbi pietà, Cristo abbi pietà, Signore abbi pietà. - Cristo ascoltaci, Cristo esaudiscici. - O Padre che sei nei cieli, Dio, dà lo Spirito Buono a me che te lo chiedo… Le invocazioni litaniche, sono un latino che non occorre tradurre. O Padre buono, Padre amante, Padre clemente, Padre misericordioso, Padre pio, affido nel modo piú completo alla tua santissima volontà la mia anima, il mio corpo, la salute e la vita, e tutti i doni da te ricevuti, corporali e spirituali. Disponi di me e delle mie cose come tu vuoi, prenditi qualunque cosa ti piaccia, ma da a me che te lo chiedo lo Spirito Buono. O Padre buono, Padre amante, Padre clemente, Padre misericordioso, Padre pio, dà a me che te lo chiedo lo Spirito Buono te lo chiedo per Cristo nostro Signore, Figlio tuo, per il suo sudore di sangue, per la terribile agonia nell‟orto del Getsemani, per quel che ebbe a soffrire per i flagelli, per la corona di spine, per le ferite dei chiodi nella mani e nei piedi, per la ferita della lancia nel suo fianco. 423 Oratio ad petendum Spiritum Bonum de quo Lucas 11,9-13: Ferventi corde et viva fide præmittatur Pater, Ave et Credo. Dein, ut fides augeatur et favor, recolantur verba: Ego dico vobis: Petite et dabitur vobis; quærite et invenietis; pulsate et aperietur vobis. Omnis enim qui petit accipit, et qui qærit invenit, et pulsanti aperietur. Quis autem ex vobis patrem petit panem, numquid lapidem dabit illi? Aut piscem, numquid pro pisce serpentem dabit illi? Aut si petierit ovum, numquid porriget illi scorpionem? Si ergo vos cum sitis mali, nostis bona data dare filiis vstris, quanto magis Pater vester de cælo dabit spiritum bonum petentibus se!Kyrie, eleison, Christe eleison, Kyrie,eleison; Christe audi nos, Christe exaudi nos; Pater de cælis, Deus, da mihi petenti te Spiritum bonum. Pater bone, da mihi etc.; Pater amans, da mihi etc.; Pater Clemens; da mihi etc.; Pater Misericors, da mihi etc.; Pater Pie; da mihi etc.; Fili, Redemptor Mundi, Deus, per mysterium Sanctæ Incarnationis tuæ da mihi petenti te Spiritum Bonum; Fili, Redemptor mundi Deus, per adventum tuum, da mihi etc.; Fili, Redemptor mundi Deus, per nativitatem, tuam, da mihi etc.; O Padre buono, Padre amante, Padre clemente, Padre misericordioso, Padre pio, dà a me che te lo chiedo lo Spirito Buono te lo chiedo per Cristo nostro Signore, Figlio tuo, per il suo sudore di sangue, per la terribile agonia nell‟orto del Getsemani, per quel che ebbe a soffrire per i flagelli, per la corona di spine, per le ferite dei chiodi nella mani e nei piedi, per la ferita della lancia nel suo fianco. 424 Fili, Redemptor mundi Deus, per baptismum et sanctum jejiunium tuum, da mihi etc.; Fili, Redemptor mundi Deus, per crucem et passionem tuam,da mihi etc.; Fili, Redemptor mundi Deus, per mortem et sepulturam tuam,da mihi etc.; Fili, Redemptor mundi Deus, per sanctam resurrectione tuam, da mihi etc.; Fili, Redemptor mundi Deus, per admirabilem ascensionem tua, da mihi etc.; Spiritus Sancte Deus, per adventum tuum, da mihi etc.; Spiritus Sancte Deus, per unctionem tuam, da mihi etc.; Spiritus Sancte Deus, per charitatem tuam, da mihi etc.; Sancta Trinitas, unus Deus, per magnam gloriam tuam, da mihi etc.; Sancta Maria, pete pro me spiritum bonum; Sancta Dei Genitrix, pete pro me spiritum bonum; Omnes sancti et sanctæ Dei, petite pro me spiritum bonum. Pater Bone, Pater Amans, Pater Clemens, Pater Misericors, pater Pie, sanctissimæ Voluntati tuæ plenissime committo animam meam et corpus meum; salutem et vitam; simul omnia dona tua, tam spiritualia quam corporalia; fac de me et de rebus meis quodcumque volueris, tolle tibi quæcumquæ placuerint; verbera etiam me quoquomodo tibi libuerit; attamen da mihi petenti te Spiritum Bonum. Pater Bone, Pater Amans, Pater Clemens, Pater Misericors, Pater Pie, da mihi petenti te Spiritum Bonum. Da mihi petenti te Spiritum Bonum quem peto per Christum Dominum N., Filium tuum, per sanguinis eius sudorem et acerbissimam agoniam in hortu Getsemani. Per flagella et coronam spineam quam passus est, per vulnera clavorum in manibus et pedibus, per vulnus lanceæ in latus eius . 425 Altri giudichi, non pensava certo il novello sacerdote che un giorno l‟avrebbe giudicato la Chiesa con il decreto del 14 maggio 1991 con cui riconosceva l‟eroicità delle sue virtú. PARTE II IL PASTORE 1827-1868 426 Piacerebbe raccontare più a minuto la vita del venerabile Padre Benedetto… Se uno volesse conoscerla più a puntino, legga la sua Regola, perché in nessun modo quella santa persona poté scrivere diversamente dal come la visse. GREGORIO MAGNO, Dialogorum liber II, XXXVI Lo stesso può dirsi del venerabile Giuseppe Frassinetti: Se vuoi piú a puntino conoscere la sua vita, leggi i suoi scritti, poiché in nessun modo quella santa persona poté scrivere diversamente dal modo in cui li viveva. Nota Mentre nella prima parte non ci è stato difficile seguire l‟ordine cronologico dei fatti, senza per altro sentircene imprigionati, nella seconda ci è impossibile per la molteplicità dei campi in cui vediamo impegnato il nostro Venerabile, ciascuno dei quali sarebbe stato sufficiente a riempire la vita d‟un santo sacerdote. Inevitabile quindi procedere per temi senza volerci fare di tale divisione una camicia di forza. Ne diamo di seguito il prospetto. 427 Nell‟attesa che il Vescovo gli assegni il suo compito Il parroco Triboli e spine La vita consacrata Il moralista Cursum consummavi, fidem servavi Resta con noi ché si fa sera Documenti raccolti dal Frassinetti Documenti non del Frassinetti Bibliografia fatta da Giuseppe Capurro Indici 428 Nell‟attesa che il Vescovo gli assegni il suo compito Cap. 28 – Come atleta al via Cap. 29 – Gli oratori festivi Cap. 30 – Era Don Bosco a conoscenza delle cose di Genova? Cap. 31– La “Beato Leonardo” 429 CAPITOLO XXVIII COME ATLETA AL VIA Prometti a me ed ai miei successori rispetto ed ubbidienza? Prometto Quel sabato delle Tempora del 22 settembre 1827 il vescovo di Savona, alla fine dell‟ordinazione, tenendo racchiuse nelle sue mani le mani di ogni novello sacerdote inginocchiato ai suoi piedi, completò il rito dell‟ordinazione con le parole riportate nell‟occhiello, e li congedò con la sua benedizione. Per Giuseppe Frassinetti e gli altri genovesi, non essendo suoi sudditi, ci fu una variante: “Prometti rispetto ed ubbidienza al vescovo tuo ordinario per il tempo che regge la diocesi?”. La continuazione della nostra storia altro non è che il racconto di come il nuovo ordinato mantenne la promessa fatta al vescovo ed alla Chiesa, e la fedeltà con cui fu fedele a tutte le ammonizioni che quel giorno gli furono rivolte dal vescovo e da noi riportate a conclusione della prima parte. Non aveva dunque che da aspettare che il vescovo gli affidasse il campo del suo lavoro, che fu una parrocchia anche se “non ebbe mai il desiderio di essere Parroco”. Furono le circostanze che vollero cosí.849. Nell‟attesa non perde tempo. Fa tirocinio, ne fa quanto piú ne può, mentre completa la sua formazione, come ci testimoniano le referenze del suo parroco e quelle del rettore del seminario quando ne furono richiesti da vescovo prima di affidargli la parrocchia. Il latino le rende solenni: 1832. 22 Iulii. Testor Rev.dum Ioseph Frassinetti Ioannis Baptistæ, mihi ab eius adulescentia notum, studii singulari cultu, morum eximio candore, zeli peculiaris fervore in hac parochiali Ecclesia, Congregationibus Missionis Urbanæ, ac Operariorum Evangelistorum et Misericordiæ erga detentos in carceribus, ac in pueris sedulo excolendis, eximie excellere; atque superiorum 849 D. FASSIOLO, Memorie…, p. 29. 430 laudes ac remunerationes sibi adscitum. In quorum… Franciscus Tagliafico, P.tus S. Stephani850. I Missionari Urbani erano sacerdoti diocesani impegnati nel dare le missioni nelle parrocchie della città851; gli Operai Evangelici erano chierici e sacerdoti impegnati nel fare catechismo ai fanciulli; gli ascritti alla Congregazione della Misericordia si prendevano cura dell‟assistenza spirituale dei carcerati. Di quei quattro anni trascorsi a Genova prima di andare parroco a Quinto, oltre alle testimonianze dei vari archivi – ed ancora una volta vada la nostra riconoscenza al lavoro umile disinteressato e diligente fatto all‟inizio del secolo scorso da don Giuseppe Capurro –, abbiamo quella del Fassiolo, il chierico presente al suo transito, che ne fu il primo biografo il quale dice di riferire di quei tempi cose udite dai fratelli del Priore Giovanni e Raffaele: Appena fu ordinato Sacerdote si considerò come tutto di Dio; quindi lo prese un aborrimento singolare per tutto ciò che sa di passatempo o di mondana ricreazione, e senza altro si accinse alla santificazione del prossimo. Dato il suo nome alle benemerite Congregazioni dei Missionarii Urbani e dei Fransoniani852, ei vi lavorò indefessamente con un impegno straordinario. Predicare, confessare, istruire nel catechismo i giovinetti, erano cose che egli 850 Il presente documento ed il successivo si conservano nell‟archivio della Curia arcivescovile di Genova, nella busta della parrocchia di Santo Stefano. Eccone la traduzione: “Attesto di conoscere il reverendo sacerdote Giuseppe Frassinetti di Giovanni Battista fin dalla sua adolescenza. Ha mostrato un amore allo studio fuori dell‟ordinario, è d‟un candore unico in quanto a costumi. Ha collaborato in questa parrocchia con zelo fervoroso. È membro delle congregazioni dei Missionari Urbani, degli Operai Evangelici e della Misericordia verso i carcerati; si è inoltre molto distinto nella formazione dei fanciulli, meritando apprezzamento e lodi dei suoi superiori”. 851 Accanto ad essa si aveva quella dei Missionari Rurali, impegnati nel dare missioni nelle parrocchie extra mœnia. I Missionari Urbani, detti anche di San Carlo dal loro protettore, erano sorti sotto il cardinale Stefano Durazzo nel 1643; i Rurali nel 1713 ad opera di un santo sacerdote, Francesco Olivieri. Operai Evangelici, detti anche Fransoniani, dal loro fondatore, l‟abate Paolo Fransoni, nobile genovese, che aperse oratori in diversi sestieri della città per la catechizzazione dei fanciulli e, ad un tempo, congregazioni ed accademie di scienze sacre per la formazione del giovane clero per poter disporre di sperimentati collaboratori. Il Frassinetti aveva aderito a tali istituzioni fin da quando era chierico. Se ne riparlerà quando tratteremo della “Beato Leonardo”. 852 Dal nome del loro fondatore sono cosí chiamati gli operai evangelici. 431 faceva col massimo gusto, sempre pronto a correre dove maggiore scorgeva il bisogno dell‟opera sacerdotale853. Adduce un paio di esempi. Ad un anno dalla sua ordinazione, il nove ottobre 1828, alle tre ed un quarto del mattino, Genova fu scossa da un forte terremoto. Per l‟occasione nella chiesa della Consolazione fu data una missione di quindici giorni. Vedendovi anche il Frassinetti, dovette trattarsi d‟una missione data dai Missionari Urbani di cui anch‟egli faceva parte. Il Fassiolo ci dice che in quei giorni, attese indefessamente a udire le confessioni degli uomini. Il giorno dodici, domenica, la mattina per tempissimo entrato nel confessionale degli uomini, tranne l‟ora della celebrazione della S. Messa, non ne uscí che ad un‟ora dopo mezzogiorno. Il per tempissimo, all‟epoca, era anche le sei del mattino, se non ancora prima! Non solo in chiesa, ma si recava alle carceri di Sant‟Andrea anche due volte al giorno per ascoltare le confessioni. Ancora dal Fassiolo854: Non è da tacere come il M. R. C. De Gregori, Rettore del Seminario e poi canonico della Metropolitana, spiegando il Catechismo nella Chiesa di N. S. delle Vigne855, in occasione di una Missione, volutolo seco perché disimpegnasse la parte cosí detta dello Scolaro856, vi riuscí cosí bene, che il De Gregori se n‟ebbe tanto a lodare, massime per la giustezza delle ripetizioni e per l‟unzione che traspariva dalle sue parole, onde poi l‟invitò a fare in Seminario la spiegazione del vangelo ai chierici interni ed esterni. In queste spiegazioni unite ad alcune conferenze che si ritrovano scritte per esteso, si vede la sua umiltà e quella fede viva che lo animava in tutte le sue azioni. Sono cosí piene di sante massime e di profondi consigli, che traggono profondamente l‟anima nel leggerle ed eccitano il cuore allo zelo per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime. Si potrebbe chiedere, onde mai tanta esuberanza di celeste dottrina in un giovane sacerdote? Certo dalla santità 853 D. FASSIOLO, Memorie storiche intorno alla vita del sac. Giuseppe Frassinetti, Priore a S. Sabina in Genova, Genova 1879, p. 25. 854 D. FASSIOLO, Memorie…, pp. 25s. 855 La parrocchia dove il Frassinetti era stato battezzato. 856 Il metodo sotto forma di dialogo tra Maestro e Scolaro (o Ignorante), lo vedremo adottato dal Frassinetti nei catechismi domenicali agli adulti, fatti in dialetto genovese, lui nella parte del maestro, il fratello Giovanni in quella d‟ignorante zoticone che fa fatica a capire o capisce il contrario, a cui bisogna ripetere le cose fino a che non gli entrino bene in capo. 432 della sua vita, e da quello spirito di fervorosa orazione che egli coltivò fin da secolare857. Tale missione la conosciamo solo attraverso il Fassiolo. Ne conosciamo altre dai registri della Congregazione della Missione Urbana. Aveva chiesto di farne parte il 5 novembre 1827 ancora fresco di ordinazione. Superata l‟inchiesta pro informatione de scientia et moribus, la vigilia di Natale tenne il discorso di prova alla presenza di tutta la congregazione. Il sette gennaio del 1828 la Consulta ne approvò l‟ammissione all‟unanimità come coadiutore, cosa che avvenne il 14 colla pluralità della [assemblea] generale. Le prime prove le fece alla fine d‟aprile nel Cantiere della Foce per quelli della catena militare “con consolante successo per lo zelo dei missionari… e piú per la premura grande di due novizi, Maggi e Frassinetti, nell‟insegnare a quelli infelici la dottrina cristiana”858. Non meno lusinghiera l‟attestazione del nuovo rettore del seminario, il Cattaneo, che conferma e completa quella del Fassiolo: 1831. 24 Iulii. Supradictum Rev.dum Sacerdotem, duobus abhinc annis in hoc Seminario pietati in Clericorum animis fovendæ augendæque Evangelium edisserens, diebus Dominicis quibus congregationes aguntur, zelo quam maximo præstitisse operam testor. P.ter I. B. Cattaneo859. Si noti il “da due anni”, chiamatovi quindi dal rettore dell‟epoca, il De Gregori, prima ancora che il Cattaneo ne prendesse la direzione. Il Cattaneo non fece che confermargli l‟incarico che tenne fino alla partenza per Quinto. Dall‟ ordinazione sacerdotale all‟assunzione della parrocchia, furono quattro anni pieni. Se ci fu una preferenza, stando al Fassiolo, fu per i fanciulli: 857 D. FASSIOLO, Memorie…, pp. 26s. 858 Doveva quindi trattarsi di prigionieri addetti ai lavori di quel cantiere. Oltre alle missioni su riportate, dai registri dei Missionari Urbani, figura la sua partecipazione alle seguenti: nel 1829, nella Chiesa del Rimedio, dove fece la predica sul peccato, nel 1830; nella chiesa del SS. Salvatore, tema del discorso fu la bestemmia; nel 1835, nella chiesa di S. Stefano che era stata la sua parrocchia, parlando dell‟inferno; nel 1844, nella chiesa del Carmine trattando del giudizio di Dio; nel 1855, all‟Albergo dei poveri, spiegando il Decalogo; nel 1862, di nuovo alle Vigne, dalla quarta domenica di Quaresima a quella di passione, trattando della penitenza. Di tali interventi ci è pervenuta la stesura. Di come preparasse i suoi sermoni se ne parlerà trattando del parroco. 859 Il su nominato reverendo sacerdote [Giuseppe Frassinetti] da due anni ha prestato la sua opera con grandissimo zelo nell‟alimentare ed accrescere la pietà dei chierici spiegando il vangelo la domenica, giorno in cui si tiene l‟adunanza. 433 Egli si faceva a tutti e con bel modo e affabile giovialità ammoniva, correggeva gli erranti; ed era bello il vederlo in mezzo ai giovinetti spezzar loro il pane della divina parola, istruirli amorevolmente, sopportarne con una certa noncuranza i difetti. Stavano attenti alle sue parole e quasi non se gli sapevano dispiccicare dal fianco tratti a quel suo fare lieto e festivo che mostrava verso di essi. Il perché gli riusciva piú facile a tenerli in chiesa e a farli accostare ai Sacramenti; la qual cosa gli stava grandemente a cuore. Né già si teneva pago di mandarveli, ma ottenne che molti di essi a lui stesso si confessassero e perciò non credeva male spese le lunghe ore che anche alla sera ben tarda impiegava in quest‟opera di carità. Però vuolsi notare che se egli soleva mostrarsi tutto affabile coi giovinetti, si asteneva tuttavia da ciò che potesse dare alcun sentore di soverchia famigliarità… A questo modo riusciva a farsi conciliare quel rispetto che è dovuto al sacro carattere, e li avezzava ad usare un contegno modesto e cosí silenzioso, che a mala pena e raramente si sentiva il cicalio di qualche giovinetto. Dal che si può argomentare quanta industria fosse la sua, mentre si sa per esperienza come sia difficile tenere in silenzio le turbe dei giovinetti che si recano alla Dottrina. Quanto egli amasse di coltivare la gioventú si può anche vedere dal libretto degli Esercizi spirituali che egli stampò molti anni dopo ad uso dei giovinetti860. I suoi scritti ci dicono quanta familiarità aveva preso con quei grossi tomi negli anni del chiericato ed i primi quattro del suo sacerdozio quando con maggior frequenza “correva alle biblioteche e sopra i grandi volumi dei Teologi e dei Padri spendeva lunghe ore pensando e meditando senza risparmiare fatica alcuna”861, avendo dovuto negli otto anni di Quinto, se non rinunciare, certo limitare una tale assiduità alle biblioteche per non averle piú a dieci passi da casa. Come l‟aver conosciuto le opere di Sant‟Alfonso da studente gli aveva aperto un mondo che sarà il suo per tutto il resto della vita, cosí, a metà di quei quattro anni, la venuta a Genova di don Luca dei conti Passi gli determinò scelte d‟apostolato su cui ci fermeremo nei prossimi capitoli. Intanto chiudiamo il presente riportando una sua conferenza tenuta da giovane sacerdote ai seminaristi. Essa ci offre un‟immagine di quel che egli si proponeva di essere e del tono piano e discorsivo del suo parlare, cosa all‟epoca cosí rara. 860 D. FASSIOLO, Memorie…, pp. 27s. Di questa fortunatissima pubblicazione si parlerà piú avanti. 861 D. FASSIOLO, Memorie…, p. 20. 434 Del modo di contenersi verso gli ecclesiastici862 Dovendo supplire per il vostro Direttore, tuttavia impedito dal farvi la conferenza, io ho pensato di trattenervi, o miei fratelli, sopra un punto di grande importanza; e cioè sul modo con cui ci dobbiamo diportare nel trattare con gli ecclesiastici. In questo mondo pieno di lacci, non solo troveremo inciampi se tratteremo troppo famigliarmente coi secolari (al quale pericolo voi non siete esposti, perché, come si conviene a buoni ecclesiastici, sfuggite la famigliarità coi secolari); ma, bisogna pur dirlo, potrete trovare anche dei pericoli trattando con qualche ecclesiastico; il che avverrà certamente, se non vi regolerete col dovuto riserbo, come avviene a chi cammina tra i lacci con troppa sicurezza. Ciò che piú facilmente farà sí che noi cadiamo, sarà il dare ascolto a ciò che comunemente si va dicendo, che tutto sia bene ciò che si fa o che è approvato da certi ecclesiastici. Il tale, il tal altro fa cosí; il tale, il tal altro dice cosí; e sono uomini dei quali i fatti e le parole, a giovani ecclesiastici, siano chierici, siano sacerdoti, possono fare autorità. Questo si sente dire frequentemente, certo molte volte a ragione, ma alle volte a torto. Il gran punto sta qui: nel saper distinguere. Quando i fatti e le parole di quelli ecclesiastici dei quali parliamo sono conformi allo spirito ecclesiastico che sta nel Vangelo e nella pratica dei Santi, in questi casi dobbiamo venerarli come esemplari autorevoli e sopra di essi dobbiamo conformare la nostra vita; ma in casi diversi?... Veniamo alla pratica.. Se mai vi fosse tra gli ecclesiastici alcuno che, pieno di vanità, altro non stimasse che se stesso, che non cercasse altro che gloria ed onori, che poco stimasse anche le anime, se non sono di grandi e di ricchi, che conoscesse appuntino tutte le regole dell‟onore e del decoro per sostenerle anche a spese della carità, che altro non facesse che gonfiare i poveri giovani ecclesiastici con certe parole di onore; di prodursi, di far spiccare il loro talento e simili; e mai loro dicesse: “Abbiate zelo per le anime redente dal Sangue di Gesú Cristo; siate umili; non cercate la vana gloria del mondo; tutto il vostro impegno sia di amar Gesú Cristo”; che direste voi, che siete saggi, di questo ecclesiastico? Eh! la sua conversazione sarebbe a noi come un laccio; ci infonderebbe con la sua autorità lo spirito del mondo, nemico di quello del Vangelo, che dice: væ cum benedixerint vobis homines863. Se mai vi fosse un altro che stimasse anche piú dell‟onore il denaro, e cercasse di aver proventi da ogni parte, e fosse tutto braccia e robustezza per faticare quando trova i propri vantaggi, e non avesse poi né mani, né sanità, 862 Ci è pervenuto un quaderno di 195 pagine con spiegazioni di vangelo e conferenze ai seminaristi. AF, Manoscritti, vol. XV, pag. 1-195. La conferenza qui riportata fu pure stampata a parte: Discorsi a sacerdoti e chierici, Roma, 1924, p 27-32. 863 Lc 6,26. 435 né possibilità per far del bene, quando la mercede si debba avere dalla carità che non ha danari; che si gloriasse di aver già in pochi anni accumulato terreni e case; che dicesse buoni, non quei benefizi nei quali si può far piú bene, ma quelli nei quali si può guadagnare di piú; che diremmo di quest‟altro? Eh! la sua conversazione con la sua autorità sarà a noi un laccio: se daremo a lui ascolto ci farà venire tanto interessati, che non vorremo poi senza mercede recitare neanche un De profundis, nonché applicare una Messa: e impareremo a dire væ vobis pauperibus, mentre il Vangelo ci grida: væ vobis divitibus864. Se mai altri fosse tutto delicatezze, temesse il puzzo delle galere, delle prigioni, degli ospedali, temesse il rozzo tratto della gente di campagna, non potesse soffrire l‟irrequietezza dei fanciulli, fosse tutto garbo, tutto inezie e comoduzzi; altro non facesse che dire ai giovani chierici: “non fate troppo, non vogliate ammazzarvi, abbiatevi piú riguardo, vi è chi lavora, vi è chi fa; non vi prendete tanti impegni, tanti fastidi”; che diremmo di costui? Che la sua conversazione, stante la sua autorità, ci sarebbe un laccio, e invece di acquistare i sentimenti di zelo e di fervore per la salvezza delle anime, saremmo vili idolatri di noi stessi, di tutti i riguardi della vanità e dei nostri comodi, a fronte al Vangelo che dice: si quis non odit... animam suam, non potest meum esse discipulus865. Vedendo altri che si pregia di non esser bigotto; che, quando ha fatto un buon preparamento di ciarle e di frottole, prende l‟amitto per andare a celebrare la santa Messa, e continua i suoi discorsi, forse anche coi poveri chierici che scandalizza, e alterna le ridicolaggini o le notizie con le preghiere annesse al vestirsi dei sacri paramenti; che poi ritorna dall‟altare e non ha ancora posato il calice, e già ciarla, e fa vedere che non sa dove sia andato, né donde venga; che motteggia sulle meditazioni, sulle letture spirituali, sulla pietà, sulla divozione; che non sa parlare che di gazzette e di notizie, o al piú di letteratura; che burla i sacerdoti che celebrano con divozione e dicono divotamente l‟ufficio, e mette in canzone i chierici modesti, composti. e divoti, che diremmo di costui? Diremmo, che se noi dessimo ascolto alle sue parole, stante la sua autorità, ne avremmo danno grandissimo, e facilmente perderemmo l‟amore alla pietà e alla divozione, che sono il pascolo dello spirito ecclesiastico; e addiverremmo facilmente quei tali, dai quali la religione non ha altro bene che Messe, Uffizi strapazzati e qualche tratto di letteratura, e che non sono altro che nubes sine aqua866. 864 Lc 6,24. 865 Lc 14,26. 866 Gd 12. 436 Cosí si potrebbe ancor continuare il discorso senza timore che mancasse materia. Ma manca il tempo. Come dovremo noi diportarci, trattando con costoro, per non dare nei loro lacci? Quantunque siano ecclesiastici, quantunque siano persone distinte e fornite di doti, noi dobbiamo starcene da essi lontani per quanto è possibile, perché la loro famigliarità sarebbe a noi troppo contagiosa; o, se altro non fosse, saremmo quasi costretti ad approvare i loro costumi e i loro detti, il che non si può senza colpa. Oltre a ciò bisogna che ci persuadiamo, che questi tali non sono abili a farci autorità in quelle cose che non si accordano coi principi del Vangelo e con lo spirito ecclesiastico; anzi questi tali ci devono muovere ad una santa indignazione. Poiché, vedete, essi sono la causa della freddezza e dell‟indifferenza nel popolo cristiano. Quei secolari che sono da loro diretti restano come stupidi ad ogni buon sentimento; e i chierici, ancora inesperti, vedendo che questi ecclesiastici hanno qualche autorità e distinzione, fissano gli occhi sopra di essi e li prendono ad esemplari, perché credono di non poter errare col seguirli e con l‟imitarli. Infatti quei chierici che trattano piú alla famigliare con costoro, si vedono piegare a poco a poco alle loro pratiche, e poi si incaricano di dettare i ricevuti ammaestramenti ai loro compagni. Riguardo dunque, fratelli miei. Gli esempi e i sentimenti poco ecclesiastici non riceveteli da nessuno. La storta massima per cagione di certuni fece ormai troppo guasto nel clero. Procuriamo di essere buoni ecclesiastici e i nostri insegnamenti, per non errare, prendiamoli dal Vangelo e dalla pratica dei Santi: prendiamoli anche dagli ecclesiastici, e in modo particolare da quelli che il Signore distinse per cariche e talenti, ma prendiamoli soltanto in quelle cose che col Vangelo e con la pratica dei Santi si possono combinare. Nelle altre cose non temiamo di andar contro la corrente del mondo. Il mondo purtroppo è anche nel clero. In tal modo eviteremo quei lacci nei quali sí facilmente si può incappare. Oh! quanti, particolarmente tra i giovani, vi son caduti e vi cadono! Una saggia prudenza, diretta dal lume dello Spirito Santo, ci guardi da tali cadute. 437 CAPITOLO XXIX GLI ORATORI FESTIVI867 L‟Opera di San Raffaele: Oratorio festivo per i ragazzi Il Frassinetti nella vita di don Luigi Sturla da lui scritta868, ci narra come a Genova nacquero gli oratori festivi, quale fu la loro attività e come si fosse riusciti a radunare tutti i giorni di festa piú di 700 ragazzi in una sola parrocchia intrattenendoli l‟intera giornata tra funzioni religiose, catechismi e giochi su per i prati che all‟epoca circondavano la città. Il Frassinetti e lo Sturla son due che dobbiamo abituarci a vedere sempre appaiati. Narrando il primo la vita del secondo, narra ad un tempo anche tanta parte della propria vita senza dichiararlo. Meglio dire: i Frassinetti e lo Sturla, perché a Giuseppe è doveroso aggiungere non solo Paola, ma anche il fratello 867 Non meraviglino i raffronti con Don Bosco dovendo trattare in questa parte dei rapporti tra i due: uguale la dedizione per le cose di Dio, ma ciascuno con un suo stile. 868 G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla vita del sac. Luigi Sturla, opera postuma, Genova 1871. 438 Raffaele, che dedicò tanta parte del suo ministero alla cura dei fanciulli, ed il fratello Giovanni, pur lui validissimo collaboratore869. In quanto alla sorella, si deve a lui se non fu soltanto una donna oggetto passivo di direzione spirituale, ma divenuta a lato del parroco suo fratello un soggetto attivo della sua azione pastorale, e si deve sempre a lui l‟averla lanciata per la strada che la porterà fino alla Gloria del Bernini870. [Ancora chierico Luigi Sturla] dimandò tosto di essere ammesso tra i chierici della tanto benefica istituzione degli Operai Evangelici – anche lui, il Frassinetti che scrive, ne era parte –, detti comunemente Fransoniani dal suo fondatore l‟abate Girolamo Fransoni… Gli venne assegnato l‟oratorio festivo di Prè… e, poiché ivi venivano tutti quelli del sestiere di S. Teodoro, volle prendersi particolare sollecitudine della loro cultura… Per tempissimo si partiva di casa… e andava a raccogliere tutti i fanciulli di quel sestiere, chiamando e anche svegliando i piú trascurati e accidiosi. Quindi, ordinati in lunga fila, li conduceva all‟oratorio su indicato. Dopo che ivi avevano ascoltato la santa Messa, l‟istruzione della dottrina ecc., li riconduceva alle loro case, perché si prendessero la colazione. Poi li portava sulla collina di S. Benigno e li tratteneva per il rimanente della mattina in ricreazioni e giuochi, cui provvedeva a proprie spese. Venuta l‟ora del desinare, li rimenava a casa ed egli andava da una povera e pia donna a farsi ammannire il suo pranzo, il quale consisteva in una libbra circa di vermicelli recata seco da casa sua. Terminato questo pranzo, che doveva essere di assai corta durata, ritornava a chiamare i suoi fanciulli per condurli alla dottrina in parrocchia. Questa finita, li riconduceva sulla collina di S. Benigno, dove li tratteneva sino a notte come al mattino, accompagnandoli finalmente alle loro case. Cosí passava la sua giornata alla festa, e cosí durò per molto tempo, ch‟io non saprei bene determinare. Da questo si può argomentare con quale zelo coltivasse i fanciulli e gli adolescenti871. Don Luca dei conti Passi 869 Francesco, fattosi religioso, fu anch‟egli parroco nel suburbio di Genova. 870 Tratteremo ampiamente in seguito degli istituti femminili che si ricollegano al Frassinetti ed alla sorella. L‟accenno basti per far notare come anche questa istituzione, la congregazione delle Dorotee, sia germogliata nel giardino della “Beato Leonardo” ed abbia avuto nei suoi membri il suo piú valido sostegno, soprattutto nel Frassinetti e nello Sturla, ai quali, almeno per i primi tempi, si deve aggiungere il Passi. 871 G. FRASSINETTI, Memorie intorno…, pp. 8-10. 439 A far divampare tanto zelo bastò una scintilla, la venuta a Genova di don Luca dei conti Passi nel 1829. Era stato chiamato a predicare il quaresimale nella chiesa del Carmine dal 4 marzo, giorno delle ceneri. Il Passi era un grande suscitatore di entusiasmi. Ne suscitava ovunque passasse. Aveva fondato l‟Opera di S. Raffaele per la catechizzazione dei maschietti e di S. Dorotea per le femminucce. Incontrarlo e sentirsi bruciare di zelo era un tutt‟uno. Non si contano quanti dovettero a lui ed al fratello don Marco la buona spinta a realizzare le grandi cose, come non si conta di quanto Don Bosco fu debitore del Guala e del Cafasso, non solo nei tre anni di quotidiana convivenza nel Convitto Ecclesiastico di Torino, ma finché essi vissero. Ma anche il Guala aveva subito l‟incanto di don Luca Passi, cosí la Barolo, cosí Silvio Pellico, tutte persone con cui il giovane sacerdote dei Becchi in quei suoi primi anni di sacerdozio ebbe strette relazioni. Una rete. Torniamo ai ricordi del Frassinetti. Durante la Quaresima, e poi pel tratto di circa due mesi che D. Luca si fermò a Genova, lo Sturla non ebbe riposo. E per l‟entratura che già aveva coi parrochi, e per la sua attività impareggiabile, la pia Opera fu stabilita in quasi tutte le parrocchie della città e in molte dei dintorni. Solo chi conosce l‟organamento di detta Pia Opera può immaginare la fatica che dovette costare il suo impianto allo Sturla, senza di cui il fondatore [Don Luca] non faceva nulla, e senza di cui non avrebbe fatto né anche la decima parte di quanto ha fatto. Partito il fondatore, la pia Opera restò appoggiata a lui quasi interamente, essendone stato esso solo l‟anima ed il motore. È vero che si interessarono per la medesima molti sacerdoti e chierici, ragguardevoli signori e signore, buon numero di pii popolani e un numero stragrande di pie zitelle – si osservi come il Frassinetti tenda subito a slargarsi e a porre il solista nel coro creando concerto –, ma chi animava, chi incalorava, chi dirigeva e, si può dire, governava tutti, era lo Sturla. Pareva si moltiplicasse per ritrovarsi da per tutto. In città e fuori di città non si faceva funzione o radunanza dove non si trovasse… fino all‟anno 1847 ad onta di tutte le contraddizioni e le persecuzioni, cui era fatto cenno… Cessò in quell‟anno quando prevalendo i cosí detti liberali, si dovette cessare da ogni opera che avesse sapore o sentore, come suol dirsi, di gesuitismo, quando egli stesso doveva prepararsi ad esulare in Arabia… A dimostrazione del cambiamento che tale zelo aveva prodotto nelle parrocchie, il Frassinetti adduce ciò che si era verificato nella sua, in quella di Santo Stefano. 440 In un corridoio… si radunavano tutte le domeniche i giovinetti della parrocchia che intervenivano alla dottrina. Erano dai 40 ai 50… numero estremamente scarso per la parrocchia che si diceva avesse una popolazione di quindicimila anime. Nella prima domenica in cui fu organizzata la pia Opera di S. Raffaele, intervennero tanti giovinetti di piú che, letteralmente parlando, ne fu piena zeppa la sacristia, il corridoio, il coro. Io – la sua presenza è sempre ridotta al minimo –, io, ch‟era incaricato d‟insegnare la dottrina a quei giovinetti, pregai allora il M. Rev. Prevosto Tagliafico che venisse a vedere se era mai possibile ch‟io facessi la consueta istruzione. Il Prevosto non poté trovare altro spediente che rimandarli tutti, promettendo che avrebbe provveduto un locale per la domenica vegnente. Pregò allora i RR. Operai evangelici a permettergli di mandare i fanciulli nell‟ oratorio di S. Maria della Pietà… Quel capace oratorio ne fu pieno: erano in numero di 700. Allora furono necessari, invece di uno, circa quattordici, tra sacerdoti e chierici, per istruire quei giovinetti, divisi in classi e numerosi drappelli. Lo stesso, presso a poco, fu il risultato della Pia Opera di S. Dorotea per le fanciulle872. La Congregazione del Beato Leonardo e l‟Accademia di studi ecclesiastici873 Citazione lunga, la precedente, ma necessaria, ricollegandosi a questa attività catechetica la fondazione della “Congregazione di ecclesiastici sotto la protezione di Maria SS., dei SS. Apostoli e del Beato Leonardo da Porto Maurizio”, nata per preparare chierici e giovani sacerdoti a tale apostolato, e poi l‟Accademia di studi che vi fu annessa. In queste opere, accanto al Frassinetti, vediamo sempre, immancabile, lo Sturla, a parti invertite: primo il Frassinetti, secondo lo Sturla, mentre, nella riforma del Seminario, primo sarà il Cattaneo, compagno di classe del Frassinetti e dello Sturla, sorretto, inutile dirlo, dallo Sturla e dal Frassinetti. Cosí, di lí a qualche anno, all‟origine delle Suore Dorotee per dare stabilità all‟Opera di S. Dorotea per le fanciulle, accanto al Frassinetti e la sorella Paola non manca lo Sturla. Nessuna presenza è di sola comparsa. Sono tutti “Ragazzi del Gianelli”, come mi è piaciuto chiamarli nella storia della formazione del Frassinetti al sacerdozio, eccetto Paola, anche se, sia pure indirettamente, non poté non subirne l‟influsso attraverso il fratello, 872 G. FRASSINETTI, Memorie intorno…, pp. 13-14. 873 Della Beato Leonardo e dell‟Accademia di studi ecclesiastici parleremo con maggior respiro trattando dell‟opera del Frassinetti a favore del clero. 441 sentendolo ad ogni suo ritorno da scuola: “Oggi il Gianelli…”. Erano stati tutti suoi alunni a scuola di lettere in seminario nei due anni di “Rettorica”. Tutti con tanta voglia di operare per l‟avvento del regno di Dio. In quel 1829, il Frassinetti ed il Cattaneo erano da poco piú di un anno sacerdoti, lo Sturla ancora chierico, avendo dovuto sospendere gli studi alla morte d‟uno zio per aiutare il padre nel commercio. Sarà sacerdote solo nel 1832. Legna secca e bene stagionata. Don Luca fu la scintilla che la fece avvampare. Poi cosa tirò cosa, e vediamo sempre piú in prima fila il Frassinetti. Accanto a lui allo Sturla ed al Cattaneo si ritrovano i vecchi compagni di scuola in un patto d‟azione comune a favore dei giovani. La “Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio” nacque per provvedere un numero sufficiente di catechisti all‟Opera di San Raffaele”. Ma per educare alla vita cristiana i giovanetti, occorrono educatori… educati, ed ecco affiancare la “Beato Leonardo” con un‟Accademia di scienze sacre per giovani sacerdoti e chierici in sacris874. Raduno quotidiano eccetto il sabato, un‟ora, non un minuto in piú o un minuto in meno: Sacra scrittura, dogmatica, morale, storia ecclesiastica, spiritualità ed eloquenza. Al Convitto di Torino si studiava solo morale, ed ad insegnarla bastavano il Guala e poi il Cafasso. A Genova si mira ad una formazione completa, ed ad insegnare è chiamato il meglio del clero genovese: lo stesso Frassinetti, il Cattaneo, Gaetano Alimonda, futuro arcivescovo di Torino e cardinale, i futuri arcivescovi di Genova, Salvatore Magnasco ed il beato Tommaso Reggio, Filippo Gentile, poi vescovo di Novara ed amico del Rosmini,… Anche in questo, non uno, ma piú, che, per avere un cuore solo, si sentono uno. Non l‟assolo di una tromba per quanto prestigiosa, ma concerto di tanti strumenti. Mi viene da chiamare la cosa “effetto eucaristia”, ossia i molti che diventano uno in virtú di quell‟unico pane di cui essi si nutrono875. Torneremo ancora sulla Beato Leonardo, qui basta avervi accennato. Le norme pedagogiche Il racconto, che a tanti anni di distanza il Frassinetti ci ha fatto di quelle domeniche dello Sturla, e sue, vissute fra centinaia di ragazzi, altro non era 874 All‟epoca, come era stato per il Frassinetti, un gran numero di seminaristi frequentavano dall‟esterno il seminario solo per la scuola, vivendo a casa propria o presso qualche famiglia che faceva loro pensione. 875 1 Cor 10,17. 442 che l‟attuazione di norme da lui stesso poste per iscritto in opuscoli usciti anonimi, ma ripubblicati nel 1857 sotto il suo nome nelle Memorie intorno alla Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio, come Documento 1876. Tra testo e note, vi si trovano in nuce quelle che poi saranno le linee direttive del sistema educativo di Don Bosco, conosciuto con il nome di Metodo preventivo. Ridiamo la parola al Frassinetti: X. Quando per le strade si trovassero giovinetti trascurati ne‟ loro doveri, se si stimerà cosa conveniente, si farà loro una amorevole correzione all‟istante, altrimenti si inviteranno a venire alla Chiesa nel giorno e ora piú comoda per ivi farla877. XI. Quanto il giovane sarà piú insolente, caparbio, ostinato, si userà con lui maggiore dolcezza, e modi piú amorevoli, ne altre minacce (purché non fosse piccolo) che dei divini castighi878. Non si sdegnerà, per dir cosí, di inginocchiarglisi innanzi e pregarlo per amore di Gesú Cristo a ricevere i salutari avvisi, né si dovrà alcuno risentire di qualunque ingiuriosa risposta o cattivo trattamento che ne ritraesse879. Colle aspre correzioni certuni si induriscono maggiormente nel male dicendo: chi ha dato al R. N. N. questa autorità di maltrattarmi? A lui non devo rendere conto delle mie azioni, ecc. Sfuggono880 di incontrarsi con lui e resta chiusa la strada a una seconda correzione, se è infruttuosa la prima. Colla mansuetudine S. Francesco di Sales – un altro punto di riferimento comune con Don Bosco: san Francesco di Sales – convertí una infinità di Eretici (peggiori certamente di qualunque discolo giovinetto); non si sa se ne avrebbe convertito un solo usando minacce e bravate881. 876 Le aveva stese nel 1847 in difesa della “Beato Leonardo” fatta oggetto di virulenti attacchi. Rimaste per un decennio inedite, furono pubblicate ad Oneglia per cura di un membro della “Beato Leonardo”, don Luigi Bottaro, con dei ritocchi rispetto all‟originale a noi pervenuto. In esse il Documento 1 occupa le pagine 47-55, seguito dal Documento 2 che riporta l‟approvazione della Curia rilasciata in data 2 luglio 1831 dal vicario generale mons. Lorenzo Viale, futuro vescovo di Ventimiglia. 877 [G. FRASSINETTI], Memorie…, pp. 53s. 878 L‟espressione può sembrare poco chiara. Penso che vada cosí sciolta: “Se non sono piccoli, le uniche minacce siano quelle dei divini castighi”. Don Bosco a volte metteva biglietti fra le lenzuola di questo e quel ragazzo con scritto: “Se morissi questa notte?”, ed il ragazzo, invece che infilarsi nel letto, andava a confessarsi. 879 Ivi, § XI, pp. 54s. 880 Nel manoscritto: oppure sfuggono. 881 Ivi, in nota al § XI. 443 Siano molte le umiliazioni che si debbano fare da un peccatore per salvare un‟anima, saranno sempre un nulla al paragone di quelle che N. S. Gesú Cristo ha già sofferto per la salute di quell‟anima stessa882. Nessuno mai dirà ho fatto abbastanza per il tale o per il tal altro, ma si moltiplicheranno le sollecitudini e le premure a misura che crescerà il bisogno883. Finché Dio non si stanca di dar tempo al peccatore onde convertirsi, un peccatore suo fratello non si stanchi d‟invitarlo a ravvedimento884. I Sacerdoti trovando qualche giovine il quale avesse un Confessore poco adattato a bene dirigerlo885, procureranno con bel garbo di assegnargliene un altro; se questo inconveniente si osservasse da un Chierico, [egli] non si prenderà questo incarico, ma ne avviserà un Sacerdote886. Quando si vorrà fare una correzione, dare avvisi, consigli ecc., si alzerà prima la mente a Dio dicendo: “Eterno Padre, in nome di Gesú Cristo, date forza alle mie parole”887. Si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis (Se chiederete al Padre un qualche cosa nel mio nome, Egli ve la darà). Cosí Neemia quando voleva impetrare dagli uomini qualche cosa importante, prima faceva orazione a Dio, e poi esponeva la sua dimanda: Oravi Deum cæli, ed dixi888. Il Frassinetti torna sull‟argomento in una Appendice al suo Compendio di teologia dogmatica pubblicato agli inizi del 1842 – l‟approvazione ecclesiastica è del 10 gennaio –. In una dozzina di pagine ci dà un vero trattatello di come educare i ragazzi, un anticipo del metodo preventivo di Don Bosco. Ne riportiamo un ampio stralcio qui di seguito. 882 Ivi, in nota al § XI. 883 Ivi, § XII, p. 55. 884 Ivi, in nota al § XII. 885 Allusione ai confessori rigoristi che rendevano odiosa la confessione. 886 Ivi, § XIII, p. 55. 887 Ivi, § XIV, p. 55. 888 Ho pregato il Dio del cielo, ed ho detto. Ivi, in nota al § XIV, p. 55. Cita Gv 14,14; Ne 2,4. 444 Appendice Sul modo di insegnare la Dottrina cristiana ai fanciulli889 Ci avvisa l‟Apostolo che senza le fede è impossibile piacere a Dio. La fede si comunica all‟anima mediante l‟udito fides ex auditu, non si può sperare che imparino da sé stessi… In secondo luogo è importante l‟insegnamento della Dottrina Cristiana ai fanciulli, perché l‟infanzia e l‟adolescenza è il tempo piú adatto per instillare nelle loro menti le verità della fede. Le prime cognizioni che loro si danno quando cominciano ad usar di ragione sono quelle che formano il cristiano. I fanciulli si trovano formati tali senza avvedersene, quasi nati e non fatti. Le prime impressioni dell‟infanzia restano piú profondamente radicate e hanno influenza piú potente sopra tutta la vita dell‟uomo; né questo fa bisogno provare mostrandone la verità un‟esperienza costante. Ci vuole uniformità. Perciò ai fanciulli si deve insegnare soltanto i catechismo della Diocesi… se ciascuno usasse un catechismo diverso si produrrebbe una considerabile confusione; non solo è necessario che tutti sappiano le stesse verità, ma è anche bene che tutti le sappiano esprimere allo stesso modo. Bisogna poi procurare che i fanciulli imparino il catechismo materialmente, perché la materialità delle parole piú facilmente si ritiene, e questa conserva nella memoria piú lungamente la sostanza, ossia l‟intelligenza delle cose. Non si vuol dire però che si debba insegnare il catechismo solo materialmente. Lo devono mostrare soltanto materialmente le persone che non sono istruite nella teologia… perché mancanti delle opportune cognizioni teologiche insegnerebbero alle volte dei gravi errori; chi è poi istruito sufficientemente procuri di sminuzzarlo, di spiegarlo secondo la capacità dei fanciulli, affinché meglio lo comprendano e le verità che vi contengono facciano piú viva impressione nei loro animi. Ma qui si avverta di non credere sempre cosa facile ed opportuna lo sminuzzare molto sottilmente ai fanciulli le verità della dottrina cristiana. Ella non è sempre cosa facile, perché nei misteri della fede non si può sapere tutto ciò che si vorrebbe, ma soltanto quello che dei medesimi Dio ha voluto manifestare… Non è poi cosa opportuna, perché quantunque chi insegna la dottrina cristiana fosse dottissimo… non sarebbe questa cosa adatta per li fanciulli i quali appena intendono le cose principali e all‟ingrosso… Un‟altra importante avvertenza è quella di non toccare quelle obbiezioni alle quali non si può dare una risposta che appieno soddisfi il grosso ingegno dei fanciulli, né quelle difficoltà che non si possono appianare con ragioni palpabili… Ai fanciulli si debbono dare quelle cognizioni che sono importanti 889 G. FRASSINETTI, Compendio di teologia dogmatica, Genova 1842, pp. 225-236. 445 a sapersi per tutti, e con la possibile chiarezza e semplicità. Essi non debbono confutare gli eretici o salire le cattedre. Questa avvertenza è importante per i chierici studenti i quali alle volte vorrebbero insegnare ai fanciulli tutto ciò che essi vanno imparando nelle scuole. Bisogna istruire i fanciulli gradatamente cominciando dalle cose piú necessarie a sapersi, e da quelle progredendo a tutte le altre… Si avverta che nell‟istruire i fanciulli non si può pretendere da tutti la stessa riuscita. Perciò si dee procurare che i piú svelti, d‟ingegno pronto e di memoria tenace, imparino piú cose, e convien contentarsi che tanti altri tardi d‟ingegno e di poca memoria imparino soltanto le cose piú necessarie. Si perde tempo quando si vuole che uno di questi impari molte cose come le imparano tanti altri di maggior capacità, e non si fa che confonderlo… L‟insegnamento della dottrina cristiana ai fanciulli non dev‟essere un insegnamento nudo e secco delle verità della fede,… ma dev‟essere un insegnamento sugoso il quale mentre illumina la mente formi anche il cuore. Si riesce a questo con l‟insegnamento e la dilucidazione delle buone massime cristiane… La prima massima è quella che Dio ci ha messo al mondo… perché lo conosciamo, amiamo, serviamo e lo andiamo poi a godere in paradiso, e questa massima come fondamento bisogna spiegarla bene… Che la grazia di Dio è il maggior tesoro, anzi l‟unico vero tesoro che sia al mondo… Che la peggior cosa è il peccato il quale ci priva di quella grazia… Che chi ha compagnie cattive non ha bisogno di demonio che lo tenti per andare all‟inferno… Che è meglio non confessarsi che confessarsi male tacendo dei peccati… Che bisogna esercitarsi negli atti d‟amor di Dio i quali, al dire di S. Teresa, sono come le legna che mantengono e fanno crescere nel nostro cuore il santo fuoco dell‟amor di Dio… Che un vero divoto della Madonna non si è dannato mai… instillare nel cuore dei fanciulli questa divozione tenera e fervente, procurando che tengano Maria in conto della piú buona Madre e a lei ricorrano in tutti i loro bisogni… Queste massime bene impresse nella prima età, non si scancelleranno mai piú in avvenire. Chi si accinge all‟importantissima cosa di istruire i fanciulli bisogna che sia paziente, grave e manieroso890. Bisogna che in primo luogo che sia paziente, perché i fanciulli, o per indole alquanto trista, o per rozzezza di educazione e leggerezza, sono alle volte difficili e tediosi. Bisogna compatirli. Tutto il male in loro non è malizia. Di certi difetti a volte non ne possono far di meno. Dicea però bene quel santo ai fanciulli: State fermi, se potete. Molte leggerezze e mancanze, che non sono d‟altronde di gran 890 Nel senso che ha belle maniere, che si comporta con garbo. Cfr. N. TOMMASEO, Dizionario dei sinonimi della lingua italiana: 1775 – Nel manieroso riguardasi segnatamente la piacevolezza e la grazia del parlare e del conversare; 2244- Manieroso, uomo di buone maniere, e segnatamente di miti e soavi. 446 conseguenza, conviene far mostra di non anche osservarle. Bisogna sgridarli o castigarli all‟opportunità quando le mancanze sono veramente considerabili. Se il fanciullo si sente sempre sgridare e si vede sempre castigare per ogni bagattella, non sapendo come evitare tanti gridi o castighi, non bada piú né a questi né a quelli, e si forma di un‟indole insensibile, e quindi incorreggibile. Bisogna quindi che conservi la conveniente gravità, affinché i fanciulli abbiano sempre per il maestro il necessario rispetto, senza cui non vi sarà né attenzione, né profitto. Pertanto richiedesi che il Catechista si tenga sempre in certo decoro di aspetto e di maniere, sicché i fanciulli lo rispettino. La quale avvertenza è necessaria, anche per altri titoli, a chi istruisce le fanciulle. La gravità non deve essere disgiunta dalla buone maniera, affinché i fanciulli gustino di trattenersi con chi loro insegna la dottrina. Chi usa aspre maniere e ributtanti aliena gli animi dei fanciulli dalla dottrina cristiana. Quei pochi che v‟intervengono si tediano, si divagano e nulla apprendono. Quelli per altro che insegnano la dottrina cristiana con vero zelo, non si trovano mai privi delle richieste qualità, perché l‟amor di Dio loro insegna ogni modo opportuno per far profitto. Abbiano dunque molto amor di Dio, considerino quanto sia cosa importante istruire le menti e formare i cuori dei giovinetti, e quindi sperino abbondanti frutti dalle loro fatiche. Fatiche le quali agli occhi di alcuni sembrano poco onorevoli e poco stimabili, perché sono dirette alla tenera età, e il piú delle volte a fanciulli rozzi e malnati, ma che sono preziosissime agli occhi di Dio, il quale non riguarda le cose coi pregiudizi dell‟umana vanità891. Il Compendio della Teologia Dogmatica vedeva la luce nel gennaio del 1842. L‟abbia subito conosciuto Don Bosco, non l‟abbia conosciuto, quando un giorno l‟ebbe tra mano – ne curò la ristampa nelle sue Letture cattoliche nel 1872, e fu piú volte ristampato lui morto: 1892, 1903, 1926 –, non poté non riconoscersi in quei suggerimenti e vedervisi preceduto nel suo sistema educativo. Di piú: a voler insistere sulle probabili dipendenze, potrebbe non essere casuale la scelta dello stile fatta da Don Bosco per le prime edizioni della sua Storia ecclesiastica – la prima è del 1845 –, che richiama quello del Frassinetti usato in questo Compendio di Teologia Dogmatica uscito due anni prima. Uno stile a domanda e risposta, ma a parti invertite: non è il maestro che controlla il discepolo per vedere se ha studiato o non ha 891 G. FRASSINETTI, del Compendio della Teologia Dogmatica, Genova 1842, pp. 225236. 447 studiato, ma è il discepolo che, spinto dal desiderio di sapere, pone domande al maestro892. CAPITOLO XXX ERA DON BOSCO A CONOSCENZA DELLE COSE DI GENOVA? La San Raffaele e l’Oratorio di Don Bosco A questo punto, chi conosce la storia dell‟Oratorio di Don Bosco, per le analogie che si riscontrano con la San Raffaele, non può non porsi la domanda se il Santo in qualche modo ne sia stato influenzato. Da quel che si è detto, si possono già vedere delineate convergenze e divergenze tra la San Raffaele di Genova e l‟Oratorio che Don Bosco farà sorgere a Torino di lí a dodici anni. Uguale zelo per la salvezza dei giovani, attirati dai giochi e dalle scampagnate, un extra che all‟epoca sapeva tanto di innovazione e di stranezza. L‟una e l‟altro basavano la formazione sul catechismo e la frequenza ai sacramenti. A Genova non abbiamo però un corpus separatum, 892 G. BOSCO, Storia ecclesiastica ad uso delle scuole, Torino, 1845. La quarta edizione, curata dall‟Autore, 1871, muta lo stile a domanda e risposta in racconto continuo. 448 ma un qualcosa che parte dalla parrocchia e porta alla parrocchia, divenendo parte della sua vita. Fin dagli inizi a Genova c‟è un aggancio con i giovani sacerdoti e con i chierici di teologia raggruppati nella “Beato Leonardo”, ai quali, nell‟annessa Accademia, si offriva un perfezionamento spirituale, teologico e pastorale. Giovani che restano legati alla propria diocesi e che consumeranno la vita al suo servizio, meno pochi passati in questo e quell‟istituto religioso. Sono qualcosa di corale, non l‟opera di uno. A Genova c‟è, inoltre, in parallelo l‟Opera di Santa Dorotea per le fanciulle. Ragazzi e ragazze, non i soli maschi, dunque, con la presenza fin dalle origini di sante donne che, animate dallo stesso spirito, fanno per le fanciulle ciò che chierici e sacerdoti fanno per i fanciulli. Del Frassinetti ci sono pervenuti oltre cento titoli tra libri, opuscoli ed opuscoletti. Dei primi dodici anni di sacerdozio soltanto un duecento pagine di formato tascabile. Eppure quelle poche pagine parvero tali ai giansenisti da poter fortemente influenzare il giovane clero in modo a loro discaro. Ne fu influenzato anche il chierico e sacerdote novello Giovanni Bosco in tutt‟altro modo? Nel leggere quelle prime pagine del Frassinetti, in parte riportate nel capitolo precedente, me le vidi animate con ciò che l‟otto dicembre 1841 era accaduto a Torino nella sagrestia di San Francesco: l‟incontro di Don Bosco con Bartolomeo Garelli. Ebbi l‟impressione che i due stessero recitando su un copione del Frassinetti, ripetendo a Torino ciò che già da dodici anni si faceva a Genova dallo Sturla, il Frassinetti ed i loro amici. Tali rassomiglianze ci spingono a porre il quesito: Quell‟otto dicembre 1841, data a cui si fa risalire l‟origine dell‟ Oratorio festivo e dell‟Opera salesiana, fu Don Bosco in qualche modo influenzato dal Frassinetti e da quanto si faceva a Genova e, perciò stesso, almeno indirettamente, da don Luca Passi? Qui si tratta di stabilire non se Don Bosco conoscesse le opere del Frassinetti e ne fosse un attento lettore, riconoscendone egli stesso l‟influsso ed essendosene anche fatto editore, ma da quando le aveva cominciate a leggere e ad apprezzare fino al punto da chiamarlo il “Suo Autore”893. 893 "Il mio Protettore è San Francesco di Sales / il mio Maestro è San Tommaso /