03
VOLUME
IL SUPERAMENTO DELL’OPERA:
L’OTELLO DI GIUSEPPE VERDI
a cura di
LUCIANA DISTANTE
1. L’avvento di Otello.
Penultima opera di Verdi, che con il conclusivo Falstaff , segna un punto d’arrivo, di
sintesi e di apertura verso nuovi orizzonti. Grazie alla collaborazione di Boito, che gli
fornì due testi letterari a struttura continua, Verdi abbandona per la prima volta con
Otello, lo schema dell’opera drammatica suddivisa in arie, duetti, ecc…separati da recitativi, e fonde le forme chiuse in un discorso unico, dove il recitativo ha un notevole
rilievo, raggiungendo spesso una forza drammatica e lirica senza precedenti.
Sedici anni separano Otello da Aida. Un lungo periodo di silenzio interrotto solo dalla
Messa da Requiem, (1874) e dalla revisione del Simon Boccanegra (1884). Un lungo
periodo che per Verdi non può passare nell’ombra, poiché si trova al centro di tante
polemiche. Già nel 1872, dopo la prima milanese di Aida, si dovette difendere dall’accusa di essere un “imitatore di Wagner”. Così si allontana dal teatro e si dedica ai suoi
poderi.
Decise quindi di ritirarsi a Sant'Agata, e quando la sua grande amica, Contessa Clarina
Maffei, cercò d'indurlo a riprendere l'opera, la risposta fu inequivocabile: "Ma no, e
conto proprio di far niente. D'altronde a che servirebbe? Sarebbe cosa inutile e preferisco il nulla all'inutile." Ma non era facile, per un genio, mettersi a riposo e nel 1879,
a sessantasei anni, il genio di Verdi si era tutt'altro che offuscato. Anzi, proprio durante
quest'anno fausto, che doveva vedere l'avvio di Otello, Verdi s'era messo a cercare, in
gran segreto, un libretto appetibile. Ma fu l'editore Giulio Ricordi, maestro stratega, che
riuscì a mettere insieme l'ancora titubante del compositore e il brillante poeta-musicista
Arrigo Boito. Il primo incontro fra i due fu positivo: Boito trovò Verdi soddisfatto del
suo lavoro, tanto che gli comprò il libretto. La prima stesura della nuova opera iniziò
nell’estate del 1879, ma Verdi se ne occuperà seriamente un anno dopo, quando chiederà delle modifiche al librettista. Verdi reagì al libretto di Boito dapprima con una certa
titubanza, ma poi con un impegno senza precedenti. Carlo Gatti, biografo di Verdi,
riporta che "la partitura autografa dell'Otello, custodita negli archivi della Casa Ricordi, è la più tormentata di raschiature, di correzioni: cosa insolita, nelle altre partiture
del Maestro, che recano pochissime tracce di pentimenti". E lo stesso Verdi ammise
che la scrittura della partitura gli era costata uno sforzo fisico e intellettuale enorme. Le
ragioni dell'esitazione iniziale erano diverse: i tredici anni passati dall'ultima opera non
avevano certo indebolito il suo potere, ma gli avevano dato l'impressione di essere stato
superato da compositori più giovani. Temeva di non essere più "dentro il movimento”.
Il pubblico avrebbe accettato quello che aveva da offrire? (Va ricordato che Verdi scriveva per il pubblico e che "l'arte fine a sé stessa" era estranea alla sua filosofia). Per
giustificare il nuovo progetto, doveva aprire nuovi orizzonti, fare un balzo avanti, trovare soluzioni inedite. Ce l'avrebbe fatta, alla sua età?
L'esca di Ricordi fu irresistibile: Shakespeare. Provocato da un critico che lo aveva
accusato - dopo la produzione parigina del Macbeth (1865) - di poca dimestichezza con
Shakespeare, in una lettera al proprio editore francese, Escudier, Verdi rispose: “Hanno
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un gran torto. Può darsi che io non abbia reso bene il Macbeth, ma che io non conosca
e non senta Shakespeare no, per Dio, no. E’ un poeta di mia predilezione, che ho avuto
fra le mani dalla mia prima gioventù e che leggo e rileggo continuamente”. La scelta
stessa di Boito come librettista, poi rassicurò Verdi, perché ad onta degli attriti passati,
ne ammirava il talento come musicista, letterato e filosofo, e soprattutto perché sapeva
di avere un'anima gemella che condivideva la sua passione per Shakespeare. Anche la
relativa giovane età di Boito era un fattore positivo, perché dava a Verdi la possibilità
di compiere quel balzo in avanti che era chiaramente necessario.
Nonostante i timori, quando Otello prese la via, Verdi era pronto all'azione.
Maestro perfetto della scena lirica, ancora all'apice dell'ispirazione musicale e dell'orchestrazione raffinata, ora che così tante sue aspirazioni patriottiche erano divenute
realtà politica, era intellettualmente più libero di prima per sbrigare il suo estro inimitabile, drammatico e musicale in un lavoro che veramente lo meritava.
2. Giuseppe Verdi.
Giuseppe Francesco Verdi nasce il 10 ottobre 1813 a Roncole di Busseto, in provincia
di Parma. Il padre, Carlo Verdi, è un oste, la madre invece svolge il lavoro della filatrice. Fin da bambino prende lezioni di musica dall'organista del paese, esercitandosi su
una spinetta scordata regalatagli dal padre. Gli studi musicali proseguono in questo
modo sconclusionato e poco ortodosso fino a quando Antonio Barezzi, commerciante
di Busseto affezionato alla famiglia Verdi e al piccolo Giuseppe, lo accoglie in casa
sua, pagandogli studi più regolari ed accademici.
Nel 1832 Verdi si trasferisce quindi a Milano e si presenta al Conservatorio, ma incredibilmente non viene ammesso per scorretta posizione della mano nel suonare e per
raggiunti limiti di età. Poco dopo viene richiamato a Busseto a ricoprire l'incarico di
maestro di musica del comune mentre, nel 1836, sposa la figlia di Barezzi, Margherita.
Nei due anni successivi nascono Virginia e Icilio. Intanto Verdi comincia a dare corpo
alla sua vena compositiva, già decisamente orientata al teatro e all'Opera, anche se
l'ambiente milanese, influenzato dalla dominazione austriaca, gli fa anche conoscere il
repertorio dei classici viennesi, soprattutto quello del quartetto d'archi.
Nel 1839 esordisce alla Scala di Milano con "Oberto, conte di San Bonifacio" ottenendo un discreto successo, purtroppo offuscato dall'improvvisa morte, nel 1840, prima di
Margherita, poi di Virginia e Icilio. Prostrato e affranto non si dà per vinto. Proprio in
questo periodo scrive un'opera buffa "Un giorno di regno", che si rivela però un fiasco.
Amareggiato, Verdi pensa di abbandonare per sempre la musica, ma solo due anni più
tardi, nel 1942, il suo "Nabucco" ottiene alla Scala un incredibile successo, anche grazie all'interpretazione di una stella della lirica del tempo, il soprano Giuseppina Strepponi.
Iniziano quelli che Verdi chiamerà "gli anni di galera", ossia anni contrassegnati da un
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lavoro durissimo e indefesso a causa delle continue richieste e del sempre poco tempo a
disposizione per soddisfarle. Dal 1842 al 1848 compone a ritmi serratissimi. I titoli che
sforna vanno da "I Lombardi alla prima crociata" a "Ernani", da "I due foscari" a
"Macbeth", passando per "I Masnadieri" e "Luisa Miller". Sempre in questo periodo,
fra l'altro, prende corpo la sua relazione con Giuseppina Strapponi, sua cantante preferita.
Nel 1848 si trasferisce a Parigi iniziando una convivenza alla luce del sole con la Strepponi. La vena creativa è sempre vigile e feconda, tanto che dal 1851 al 1853 compone
la celeberrima "Trilogia popolare", notissima per i tre fondamentali titoli ivi contenuti,
ossia "Rigoletto", "Trovatore" e "Traviata" (a cui si aggiungono spesso e volentieri
anche "I vespri siciliani"). Il successo di queste opere è clamoroso.
Conquistata la giusta fama si trasferisce con la Strepponi nel podere di Sant'Agata, (in
provincia di Piacenza), dove vivrà gran parte del tempo.
Nel 1857 va in scena "Simon Boccanegra" e nel 1859 viene rappresentato "Un ballo in
maschera". Nello stesso anno sposa finalmente la sua compagna.
Alla sua vita artistica si aggiunge dal 1861 anche l'impegno politico. Viene eletto deputato del primo Parlamento italiano e nel 1874 è nominato senatore. In questi anni compone "La forza del destino", "Aida" e la "Messa da requiem", scritta e pensata come
celebrazione per la morte di Alessandro Manzoni.
Nel 1887, all’incredibile età di settantaquattro anni, dà vita all'"Otello", confrontandosi
ancora una volta con Shakespeare (nel 1847 con Macbeth); nel 1893 con l'opera buffa
"Falstaff", altro unico e assoluto capolavoro, dà addio al teatro e si ritira a Sant'Agata.
Giuseppina muore nel 1897.
Giuseppe Verdi muore il 27 gennaio 1901 presso il Grand Hotel di Milano, in un appartamento dove era solito alloggiare durante l'inverno. Colto da malore spira dopo sei
giorni di agonia. I suoi funerali si svolsero come aveva chiesto, senza sfarzo né musica,
semplici come la sua vita era sempre stata.
3. Arrigo Boito.
Arrigo Boito nacque nel 1842, il padre un pittore miniaturista e la madre una contessa
polacca. Di talento sia musicale che letterario, si affermò in entrambi i campi. La sua
opera Mefistofele, presentata alla Scala nel 1868, sebbene rielaborata più volte prima di
avere successo, è il frutto di un musicista compiuto. Sotto il profilo letterario, Boito,
oltre che poeta, fu un critico accorto dei lavori altrui. La sua poesia, specie la sua lunga
allegoria Re Orso, rivela un potente romanticismo nordico, dovuto sia alla propria ascendenza, che all'influenza di scrittori quali Baudelaire e Victor Hugo. Il Re Orso introduce un simbolo che rimarrà fulcro sia della sua scrittura poetica che di adattamento,
cioè del Verme Eterno, elemento ultimo e ineluttabile di distruzione. Ossessionato dal
dualismo inerente nella natura e soprattutto nell'uomo, vedeva il bene e il male, la forza
e la debolezza, la creazione e la distruzione, come forze in equilibrio, e la vita dell'uo-
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mo "Un oscillare eterno fra inferno e paradiso". Boito, come scrittore, si dilettava non
solo di concetti metafisici, ma anche di invenzione poetica nel gioco tra parole, ritmi e
rime. Secondo il suo biografo, Corrado Ricci, Boito aveva una passione sfrenata per la
polimetria e un istinto innato per la poesia melodrammatica - qualità che, insieme alla
sua conoscenza della musicalità del linguaggio, lo rendevano librettista ideale. Ma il
successo in tale direzione non era dovuto solo a un combinarsi fortuito di doti naturali:
aveva meditato profondamente e a lungo sui problemi specifici dei libretti ed era giunto
alla conclusione che s'imponeva urgentemente una riforma. Infatti nel 1864, in un articolo per il settimanale Figaro, postulava come riforme:
I - L'obliterazione completa della formula.
II - La creazione della forma.
III - L'attuazione del più vasto sviluppo tonale e ritmico possibile.
IV - La suprema incarnazione del dramma.
Boito aveva criticato le formule della tradizione italiana in un articolo dell'anno prima:
"Da quando il melodramma è esistito in Italia fino ad oggi, vera forma melodrammatica non abbiamo avuto giammai, ma invece sempre il diminutivo, la formula". Boito
aveva applicato tali principi all'adattamento del Faust di Goethe per il proprio Mefistofele, uno dei tentativi meglio riusciti di riduzione per la scena lirica di quel lavoro complesso. Gli stessi principi furono adottati nella preparazione dell'Otello di Shakespeare
per la musica di Verdi.
4. Innovazione dell’opera.
Otello è l'opera in cui Verdi è riuscito a scavare più in profondità nella psiche umana. Il
contesto socio-politico (l'isola di Cipro sotto il dominio veneziano e la guerra contro i
Turchi) influisce solo marginalmente sulle azioni dei protagonisti. Questa è una differenza fondamentale rispetto, ad esempio, al precedente Don Carlos, in cui la situazione
esterna ai personaggi condiziona in modo determinante il loro agire. Lo ha fatto partendo da un dramma dell'ammiratissimo William Shakespeare, in cui Il compositore si
concentra sull'evoluzione dei sentimenti del generale al servizio della Repubblica veneziana Otello nei confronti della moglie Desdemona, che passano dall'amore sconfinato
alla gelosia mortale. A scatenare la follia di Otello è il suo alfiere Jago, risentito nei
suoi confronti per avergli preferito Cassio per la promozione al grado di capitano. Un
ulteriore fondamentale cambiamento rispetto a Shakespeare è legato alla figura di Jago,
che nell'opera di Verdi - Boito assume un’importanza molto maggiore. Se nella tragedia teatrale Jago impersona colui che, a causa della sua invidia, gelosia, rabbia, perfidia, trascina verso la morte Desdemona e quindi Otello, nell'opera lirica egli diventa la
personificazione stessa del Male, una figura satanica che prova gioia nel distruggere il
Bene. É subito dopo aver convinto Cassio a chiedere a Desdemona di intercedere presso Otello affinché gli venga reso il grado di capitano che Jago intona il suo "Credo".
5.
5. La storia1.
Atto I - La vicenda si svolge a Cipro, dominio veneziano del XVI secolo. Esterno del
castello, residenza di Otello, governatore dell’isola, di fronte a un porto. È sera. Una
furiosa tempesta flagella il mare, una folla di cittadini veneziani e di soldati, assiepata
sugli spalti, assiste impotente agli sforzi della nave del moro Otello per guadagnare il
porto. Solo l’alfiere Jago non partecipa all’apprensione di tutti per la salvezza del suo
signore: egli lo odia perché ha promosso capitano, al suo posto, Cassio, e medita la
vendetta. Otello festeggiatissimo giunge finalmente al sicuro e annuncia trionfalmente
che la flotta turca è stata sgominata. Quando il Moro entra nel castello, si accendono i
fuochi di gioia e si beve alla vittoria. Nel tripudio generale, Jago comincia a tessere la
trama che dovrà portare alla perdizione il comandante: insinua perfidamente a Roderigo, il quale gli ha confidato di amare la moglie di Otello, Desdemona, che anche il capitano Cassio nutre gli stessi sentimenti per la donna. Poi riesce a far ubriacare il capitano e aizza i due uomini l’uno contro l’altro, ma il duello che nasce è interrotto da
Montano. Il paciere è però ferito da Cassio. Jago lancia l’allarme, ingigantendo la portata dell’episodio fino a farne nascere un tumulto. Richiamato dalle grida, Otello, falsamente informato da Jago, punisce Cassio e lo degrada. È la prima vittoria di Jago, che
ne esulta.
Atto II - Una sala terrena nel castello; una porta nel centro che dà sul giardino. Continua la trama di Jago; egli suggerisce a Cassio di chiedere a Desdemona di intercedere
per lui presso Otello. In un monologo, l’alfiere enuncia la sua cinica visione della vita,
riesce poi a gettare il seme della gelosia nell’anima del Moro, lasciandogli nascere il
sospetto che fra Cassio e Desdemona ci sia un amore segreto. E quando la donna, apparsa dal giardino, cerca di intercedere per il capitano degradato, la gelosia di Otello ne
è acuita ed egli respinge aspramente la richiesta. Ancora Jago insinua di avere colto
alcune frasi compromettenti sfuggite a Cassio nel sonno, e, riuscito ad ottenere con
l’aiuto della moglie Emilia un fazzoletto che la giovane aveva avuto in regalo dal Moro, afferma di averlo visto nelle mani di Cassio. Per Otello questa è la prova sicura e
giura una terribile vendetta.
Atto III - Grande sala nel castello. La vedetta ha segnalato una galea che porta gli ambasciatori di Venezia. Desdemona, ignara, chiede ancora grazia per Cassio, e per tutta
risposta Otello le impone di mostrargli il fazzoletto che le aveva donato come talismano. Poiché la donna non può consegnarlo, il Moro, in un eccesso di furia, l’accusa di
1. Personaggi: Otello, moro,generale dell’armata veneta (tenore); Jago, alfiere (baritono); Cassio, capo di
squadra (tenore); Roderigo, gentiluomo veneziano (tenore); Lodovico, ambasciatore della Repubblica Veneta (basso); Montano, predecessore di Otello nel governo dell’isola di Cipro (basso); Desdemona, moglie di
Otello (soprano); Emilia, moglie di Jago (mezzosoprano); un araldo (baritono).
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essere una cortigiana e la scaccia. Solo, rimpiange la felicità perduta. Ma l’arrivo di
Jago lo riscuote; l’alfiere vuole completare la sua ragnatela e gli prepara alcuni inganni;
fa in modo che Otello nascosto, ascolti una conversazione con Cassio a proposito di
una cortigiana, dandogli a credere che si parli di Desdemona. Otello giura di uccidere
la moglie infedele. Ma intanto gli ambasciatori veneti hanno preso terra e annunciano
che Otello è rimasto a Venezia e che sarà sostituito da Cassio. Alla presenza dei dignitari, Otello, ormai fuori di sé: ""noi salperemo domani"", dice alla moglie e afferratala
per un braccio la getta a terra. Jago dà allora il via all’ultima parte del suo diabolico
piano, spronando Roderigo a uccidere Cassio, mentre Otello maledice Desdemona e
tutti escono inorriditi. Delirante, il Moro sviene. Jago con gesto di trionfo indica il corpo inerte.
Atto IV - La camera di Desdemona. La donna si accinge a coricarsi, aiutata da Emilia.
E' ferita dall’atteggiamento di Otello che le riesce inspiegabile. Ha appena terminato di
pregare, quando entra Otello: l’accusa apertamente di averlo tradito e inutilmente Desdemona proclama la sua innocenza. Il Moro l’ha ormai condannata e la strangola. Emilia rientrando annuncia che Roderigo è rimasto ucciso nel tentativo di uccidere Cassio. Vedendo Desdemona morta, accusa Otello e gli grida di aver ucciso un innocente.
A Jago sopraggiunto, la donna rinfaccia il suo intrigo e a questi non resta altro scampo
che la fuga. Otello, sconvolto e improvvisamente illuminato dell’inganno nel quale è
caduto, dopo un ultimo bacio alla sposa si trafigge con un pugnale.
6. La musica.
Boito e Verdi eliminarono il primo atto della tragedia shakespeariana, che costituiva un
antefatto ambientato a Venezia, allo scopo di rendere la drammaturgia più serrata possibile2. Otello contiene numerosi elementi di novità rispetto alle opere precedenti di
Verdi. Le forme chiuse sono sempre meno riconoscibili, ormai per gran parte sostituite
da un flusso musicale continuo, che molti all'epoca considerarono di ispirazione wagneriana. I pezzi chiusi o i rimandi alla tradizione non mancano, benché la loro condotta non sia mai prevedibile. Si pensi al colloquio tra Jago e Roderigo nella vecchia forma di recitativo, al coro Fuochi di gioia, al brindisi di Jago, al quartetto del secondo
atto, alla cabaletta Sì pel ciel marmoreo giuro che chiude il secondo atto, al grande
concertato del finale del terzo atto o all'Ave Maria. La novità sta però nel fatto che i
2. La verità dell'invenzione drammatica di Verdi non stava nell'imitazione «veristica» della realtà, come fu
per Puccini, né corrispondeva alla verità astratta del mito, come avvenne per Wagner. In lui il «vero» s'incarnava nel groviglio delle passioni umane tradotte sulla scena nel linguaggio universale della musica. In questo
difficile gioco, tipico del teatro, fra realtà e finzione, essere e apparire, va ricercata non solo la unicità del
maestro di Busseto, ma anche la ragione del profondo legame con Shakespeare. «Inventare il Vero» è, appunto, la direttrice fondamentale della ricerca verdiana nel segno del drammaturgo di Stratford: il suo referente
per tutta la vita.
7.
collegamenti tra i singoli episodi non avvengono più per cesure nette, ma il tessuto
musicale appare in continua evoluzione, anche grazie al sapiente uso dell'orchestra, che
viene a costituire una sorta di substrato unificante. Nei passaggi tra le singole scene,
Verdi elabora i materiali tematici appena ascoltati in modo da creare transizioni impeccabili, come quella che collega la scena del duello tra Cassio e Montano al duetto d'amore che chiude il primo atto. Allo stesso modo, alcuni brani a struttura apparentemente chiusa evolvono inaspettatamente in passaggi dialogici, come nel caso del celebre
Credo di Jago o del monologo di Otello Dio, mi potevi scagliar. L'abilità verdiana a
giocare con le convenzioni, evocandole per stravolgerle, è testimoniata anche dal brano
con cui Otello si presenta in scena, poco dopo l'inizio dell'opera: il famoso Esultate!,
che costituisce una sorta di minuscola cavatina, racchiusa in 12 battute. Verdi operò
alcune modifiche alla partitura per la versione francese che andò in scena al Théâtre de
l'Opéra di Parigi, il 12 ottobre 1894. Il libretto fu tradotto dallo stesso Boito e da Camille du Locle. La differenza più vistosa riguarda l'aggiunta delle danze nel terzo atto,
secondo la convenzione francese. Verdi aveva dovuto fare altrettanto quando Macbeth e Il Trovatore erano state rappresentate a Parigi, ed ora commentava l'aggiunta definendola una «mostruosità»: «Nel furor dell'azione interrompere per un balletto?!» Probabilmente per compensare, almeno in parte, l'aggiunta del balletto, Verdi
accorciò il grandioso concertato finale del terzo atto, che in questa forma è stato talvolta ripreso anche in anni recenti, senza particolare successo.
7. Otello, un dramma romantico.
La prima rappresentazione di Otello di Shakespeare al Teatro Re di Milano nel 1856,
nell’interpretazione dell’attore Gustavo Modena, venne interrotta dal pubblico che aveva scambiato la tragedia con una farsa. La prima importante traduzione in Italiano, dall’originale inglese a cura di Carlo Rusconi venne pubblicata nel 1838 e fu a lungo la
versione italiana di riferimento. Questa era nota e venne utilizzata da Verdi e anche da
Boito che fece però principalmente ricorso ad una traduzione francese del 1860 di François-Victor Hugo. Queste traduzioni, pur molto fedeli all’originale shakespeariano,
risentivano tuttavia del clima romantico dell’epoca, ed erano accompagnate sempre da
note introduttive e commenti che davano una lettura dei personaggi e della vicenda,
legata al loro tempo. Il romanticismo aveva preso molto sul serio l’opera shakespeariana - a differenza del settecento in cui la tragedia era stata ridotta a farsa- ma, da una
parte la razza di Otello (negro o moro?), dall’altra la natura di Iago, e ancora la stessa
figura di Desdemona così moderna e spregiudicata avevano una carica troppo dirompente per il pubblico dell’epoca, e quindi si cercò di neutralizzarle. Le due principali
interpretazioni romantiche della tragedia di Otello sono quelle di Schlegel e di Coleridge. Secondo la visione di Schlegel, l'essenza del carattere dell'eroe Otello era la sua
primitività e barbaria. Ecco quindi un Otello selvaggio, brutale, pronto a dimenticare
tutti gli usi e costumi occidentali per cadere vittima delle sue origini in un’Africa infuo-
8.
cata piena di belve feroci e piante velenose, appena viene instillato in lui il veleno della
gelosia. Iago invece, per Schlegel è ‘nero dentro’ ed è “il più sottile furfante che sia
mai stato ritratto”. La versione di Coleridge, invece, risolveva il problema della negritudine di Otello affermando che egli fosse in realtà un “moro del Nord – Africa” quindi
non era proprio negro ma scuro di pelle, la qual cosa si conciliava meglio col fatto che
potesse avere sposato una bianca. Quanto a Iago, veniva dipinto come un carattere senza passioni, puro intelletto, le cui motivazioni dell’agire malvagio ricadevano su un
piano metafisico, demoniaco. Se Otello era un nobile Moro e Iago una creazione fantastica ispirata al diavolo, qualsiasi imbarazzo che la tragedia potesse provocare alla ricezione del pubblico dell’epoca era risolto. Furono le grandi interpretazioni di Tommaso
Salvini e di Ernesto Rossi a portare al successo nei teatri italiani la tragedia shakespeariana. Grazie anche a loro si creò una fase di nuovo entusiasmo generale in Italia per
Shakespeare, un periodo in cui egli veniva considerato il 'nuovo' dominante e la forza
liberatrice della riforma del teatro ottocentesco italiano. Rossi interpretava Otello secondo la visione di Schlegel che all’epoca era dominante nell’Europa continentale: Iracondo, feroce , sanguigno, ‘negro’. La versione di Salvini, del 1856 come
quella di Rossi, era più complessa e moderna, e influenzò notevolmente il teatro anche
negli anni successivi a partire da Stanislavskij che, sulla base anche di quella interpretazione, prese spunto per il lungo lavoro che lo avrebbe portato al ‘metodo’. Otello non
era più tanto un dramma della violenta gelosia quanto quella di un profondo amore
idealistico.
E’ in questo clima che si inserisce il lavoro di Boito e di Verdi, e le loro scelte saranno
influenzate molto da Rossi e da Schlegel.
8. La soppressione dell’atto veneziano.
Contrasti e analogie - Con la soppressione di gran parte del I atto veneziano della tragedia di Shakespeare3, Boito e Verdi sottraggono alcuni importanti elementi alla caratterizzazione dei personaggi principali che così semplificati divengono più accessibili
alla sensibilità di fine ottocento. Il protagonista, nell’Otello di Shakespeare si presenta
fondamentalmente come un eroe classico, una persona che ha costruito la sua gloria
mattone su mattone passando per avventure indescrivibili e che ora, giunto all’apice del
successo, scopre, turbato, l’amore nelle vesti della giovane e nobile Desdemona. Egli è
senz’altro genuinamente e teneramente innamorato di Desdemona ma su questo amore
3. È noto che Shakespeare significò per Verdi la scoperta di una nuova concezione drammaturgica incentrata
sulla rappresentazione della condizione umana e delle sue problematiche; la conoscenza di un linguaggio
teatrale libero da ogni regola accademica, la mescolanza dei generi, il valore della «parola scenica», lo scardinamento della forma «chiusa». In altri termini, il tragico inglese fu l'occasione, il correlativo oggettivo di
tutta la vicenda artistica del maestro italiano ben al di là delle tre scritture - Macbeth, Otello, Falstaff- e dei
progetti per un Amleto, una Tempesta e un Re Lear.
9.
poggiano anche considerazioni politiche. Viene accolto nelle famiglie patrizie come un
simpatico oggetto d’interesse ma resta sempre uno straniero e un moro e attraverso il
matrimonio con Desdemona, Otello crede di realizzare anche il suo desiderio di essere
accettato come veneziano tra suoi pari. Queste problematiche sono leggibili nel primo
atto della tragedia shakespeariana, nelle dure parole di Brabantio che accusa Otello di
stregoneria e di delitto contro la natura, intendendo con questo la civiltà occidentale,
per avere ‘circuito’ Desdemona, nella nobile autodifesa di Otello, nella ferma e assai
ardita, per l’epoca, rivendicazione di indipendenza di Desdemona, nell’audacia con cui
ella stessa chiede di partire con suo marito per poter assolvere ai «riti d’amore» mentre
Otello, imbarazzato, chiede che le venga concesso di seguirlo «non per indulgere alla
passione …. ma per essere liberale e generoso con il suo spirito».Infine in questo atto
veneziano, c’è l’avvertimento di Brabantio che potrebbe aiutarci a comprendere meglio
la facilità con cui Otello si lascerà catturare dalle trame di Iago: «Bada a lei, Moro, se
hai occhi per vedere: ha ingannato suo padre e può ingannare te.».
Tralasciando le molte interpretazioni ‘strutturali’ sulle motivazioni che portarono alla
eliminazione del primo atto veneziano, in particolare di Degrada, Powers, Budden,
Pianigianie Marica, mi voglio soffermare sulla semplificazione dei caratteri dei personaggi che ne deriva, in chiave romantica. Di Otello, in seguito a questi tagli, veniamo a
sapere - e solo alla fine del primo atto dell’opera di Verdi - che ha conquistato Desdemona col racconto delle sue avventure ma non abbiamo nessun indizio delle problematiche legate al suo sentirsi sempre straniero e diverso socialmente, mentre il tema razziale viene posto sullo sfondo e verrà solo parzialmente evocato dallo stesso Otello nel
quartetto del secondo atto. Guardando quest’eroe cadere repentinamente viene da domandarsi con Lodovico: «quest'è dunque l'eroe? Questo il guerriero dai sublimi ardimenti?». Di Desdemona ignoriamo con quanta energia e capacità di ribellione avrà
strappato il consenso sociale al suo matrimonio con Otello, e quanto essa stessa rivendichi il suo essere donna che vuole dare e ricevere piacere dal proprio rapporto coniugale. Così operando, Verdi e Boito sono fedelissimi al quadro schlegeliano; Otello non
è che un selvaggio pronto a cadere nella trappola di Iago. In sostegno di questo basti
pensare che Boito unifica, nel II atto, i primi due dialoghi tra Desdemona e Otello, eliminando così la contraddizione costituita dal vedere Otello un’ultima volta veramente
innamorato di Desdemona (anche la frase “quel canto mi conquide” alla fine del coro
degli omaggi sembra alludere più a un desiderio carnale che a un pensiero d’amore), e
presentandocelo fin da subito irragionevolmente offuscato dalla gelosia. Desdemona,
privata del confronto con il padre e il doge nel I atto, perde quella dimensione
"guerriera", nonché molta della sua esplicita sessualità. Diviene un angelo di innocenza
verosimilmente tale perché è proprio la sua innocenza che la rende cieca e completamente vulnerabile alla minaccia che incombe. Corrisponde così all’immagine che ne
aveva Verdi, sulla falsariga del pensiero schlegeliano. Un’altra importante semplificazione dovuta alla soppressione del primo atto riguarda anche Iago e l’uso della figura
10.
retorica dell’ipotiposi, la volgarità soprattutto a sfondo sessuale. Ma quello di addolcire
i pesanti riferimenti sessuali di Iago (che è un puritano che vive la sessualità come un
abominio ma è anche fortemente attraversato da desideri libidini e soprattutto da fantasie sui desideri altrui), è un obiettivo di tutto il libretto boitiano, anche qui seguendo il
pensiero schlegeliano.
9. Il credo scellerato - Il grande, demoniaco, Credo, quest’aria sui generis, definita
«aria fatta di parlato» o «declamato melodico», scritto da Boito in versi sciolti, ci presenta Iago come «un malvagio che non possiede neppure la metà delle motivazioni del
suo omonimo shakespeariano. Iago è malvagio senza ragione ma come conseguenza
naturale del suo esistere». Il Credo esplicita anche un altro aspetto tutt’affatto assente
nella tragedia shakespeariana: la questione religiosa, che rivedremo anche nel ‘coro
degli omaggi’. Ancora una volta ci ritroviamo immersi nelle parole di Schlegel. Nel
‘Credo scellerato’ Iago viene presentato, a dispetto del testo introduttivo alla disposizione scenica, come un personaggio diabolico. Le sue blasfeme anafore mettono in
parodia il Credo Romano e vanno ben oltre il primo Iago che Boito aveva tratteggiato
in un’aria a versi più regolari e tutta impostata sul tema dell’invidia umana. Anche subito dopo il credo, Iago, quando invoca Satana e guarda il dialogo tra Desdemona e
Cassio somiglia molto a un Klingsor che si prepara a mettere in atto tutti i suoi strumenti magici per fermare Parsifal.
Jago, il quale a quanto si dice era destinato a essere il protagonista dell’opera, è musicalmente quasi il personaggio principale. La caratterizzazione di questo mostro umano
non era certo facile e Verdi ricorre, in realtà, a dei mezzi spesso molto curiosi per imprimergli sulla faccia quella che, a quanto è dato presumere, è la maschera appropriata.
Per esempio, nel passo «Temete, signor, la gelosia!» appare una serie graziosissima di
quinte e ottave cromatiche parallele che, solleticano piacevolissimamente l’organo uditivo. II carattere di Jago ci si presenta nella sua piena nudità in un monologo, preceduto
da un tema vigoroso di energiche ottave: «Credo in un Dio crudel, che m’ha creato
simile a sé, e che nell’ira io nomo». Ma più tardi compare un altro motivo, che vorrebbe avere un carattere assolutamente diabolico, ma a noi sembra soltanto goffo e che
ritorna alla fine, alle parole: «È vecchia fola il Ciel». Questa alternativa di idee buone e
vigorose e di trastulli vuoti e bambineschi accompagna il personaggio di Jago per tutta
l’opera.
10. La gelosia che uccide - Dopo di lui, il più significativo è Otello, in cui si rivela,
alle volte, uno stato d’animo profondamente sentito, ma che molto spesso non ci permette di dimenticare che egli è il tenore eroico della vecchia opera italiana.
Per esempio nel passo:
«Addio, schiere fulgenti, addio vittorie,
dardi volanti e volanti corsier!
11.
...............
Della gloria d’Otello è questo il fin!»
e più tardi nel giuramento:
«Sì, pel Ciel marmoreo, giuro! per le attorte folgori!
per la Morte e per l’oscuro mar sterminator!»
il quale, secondo le vecchie concezioni italiane, è tanto impressionante che persino
Jago, oscuro di sé, esce dalla parte e lo intona anche lui.
Otello ritiene sacro il vincolo dell’amicizia, infatti lui viene descritto come una persona
che ripone piena fiducia nei suoi due amici, Cassio e Jago, tanto da non accorgersi del
doppio gioco di quest’ultimo. Ciò dimostra anche l’ingenuità di Otello.
Il famoso ingresso di Otello nella camera di Desdemona, guardato in partitura, è qualche cosa che si potrebbe chiamare un monologo musicale, ma, in fondo, non è altro che
una frase uso recitativo nei contrabbassi, interrotta periodicamente da una rapida e serrata figurazione delle viole.
Desdemona, a tratti, è una figura molto ben riuscita. È sempre molto dolce, ma non
sdolcinata, e si muove su ritmi lenti. Nell’ultimo atto le è assegnata la «canzone del
salce» che, come nell’opera romantica tedesca, rappresenta il «brivido premonitore».
Ella ne rifugge e cerca protezione nella fede. Un’Ave Maria, intonata all’uopo, inizia
con un mormorio liturgico e si perde allo stesso modo più tardi.
Cassio, il povero innocente Cassio, è un giovane del tutto incolore, a cui solo nel primo
atto le gote si arrossano un po’, per il vino. Qui Verdi ha trovato l’occasione di sviluppare il suo senso realistico: nella sua ebrietà lo fa addirittura balbettare, interrompe
senza riguardo la melodia e le parole, non solo, ma gli fa riprendere la parola sulla seconda sillaba e commettere altre sconvenienze del genere.
11. Il “coro degli omaggi” - Questo sublime affresco musicale, una luce improvvisa e
folgorante nel bel mezzo della prima iniezione di veleno di Iago, spesso esagerata da
direttori e registi troppo presi dal loro narcisismo, offre ai nostri sensi la sublimazione e
la santificazione di Desdemona.
Avevo già accennato alla forte presenza religiosa nell’opera, a differenza della tragedia di Shakespeare, e questo piccolo, meravigliosa quadro, che si svolge in uno spazio
quasi retroscenico, un retroscenico visibile perché protetto solo da vetri, ci mostra un
rito di devozione per Desdemona.
Un canto semplice come quello della Messa, in cui bambini, marinai e donne come in
un rito di offertorio portano all’altare di Desdemona i loro semplici doni. Naturalmente
non sfugge il significato di questo quadro: già conosciamo le opinioni di Verdi (e quindi di Schlegel) sull’argomento Desdemona - Ella è un agnello sacrificale, vittima inconsapevole del suo eroe brutalizzato dal veleno demoniaco di Iago. I cori sono distribuiti nell’opera con parsimonia, eppure sembrano introdotti a forza (effetto inevitabile
12.
data la fedeltà serbata, per il resto, al testo di Shakespeare), che per il loro contenuto
musicale, corrispondente al posto che prendono nel testo poetico, hanno importanza
secondaria.
12. L’Ave Maria di straordinaria semplicità - Un arco di 44 anni separa le due più
belle Ave Maria della musica lirica, e il loro confronto denuncerebbe senza dubbio due
menti diverse e lontane. Ma l’ascoltatore che si sia dotato di una certa sensibilità, riconosce l’inconfondibile timbro verdiano, volto certo al conseguimento dell’effetto, ma
ben più alla traduzione sonora dello stato d’animo, obiettivo questo che assicura quello,
e garantisce quindi il successo. Formula specifica del Maestro emiliano, che non si
lascia ipotecare come Rossini dalla Restaurazione, fondare come Bellini dal gusto neoclassico, plasmare come Donizetti dal Romanticismo e trasformare nella società sentimentale - borghese di fine Ottocento e inizio Novecento come Puccini. In definitiva,
nelle sue radici Verdi è sempre se stesso: e se la preghiera di Giselda (I Lombardi) dista
anni luce da quella di Desdemona (Otello), resta la presenza di un potente desiderio di
fede, che il Maestro esprime nella magia del suono e pare comunicarne la profonda e
purtroppo inesaudita nostalgia.
È stato comunque l’unico musicista, Verdi, ad affrontare Shakespeare e ad uscirne vincitore. Vi sono infatti, nella storia della musica, vari tentativi di approccio soprattutto
ad Amleto, ma il risultato è molto esiguo o pressoché nullo.
La tragedia dell’infelice amore di Giulietta e Romeo venne condensata in melodia purissima e superlativa da Bellini (1830), ormai lanciato sul sentiero del Romanticismo;
altri, di altre nazioni e culture, si cimentarono con quella fonte troppo elevata e insicura, e naufragarono inappellabilmente.
L’insieme è in Shakespeare4 molto complesso, e costituisce uno dei capolavori massimi
dell’umanità; al gran cimento della riduzione in libretto d’opera si misurò Arrigo Boito
(Padova 1842 - Milano 1918), uno dei maggiori letterati del momento. La gran quantità
di personaggi fu ridotta ai tre essenziali, più alcuni di complemento. Verdi, con la sua
gioielleria musicale, espresse la generosità e l’ottusità di Otello, la crudeltà pura di Jago
e il candore e la fede di Desdemona.
Spartito essenzialmente moderno, resta il passaporto dell’immortalità del suo autore e
la carta che gli permette di far parte dei grandi geni dell’umanità. Nel quarto atto la
tragedia esplode in tutta la sua violenza. Desdemona tuttavia continua a nutrire fiducia:
il suo uomo l’ha maltrattata e vilipesa perché oppresso dalle difficoltose strategie mili4. II rapporto fra Verdi e Shakespeare, pertanto, non fu né di sudditanza né di pedissequa imitazione, ma una sorta di affinità elettiva che consentì al compositore di sfidare
il mondo musicale del suo tempo per riportare il melodramma italiano a livelli europei
fino a orientarne il corso verso la contemporaneità (Stravinskij, Nono, Berio).
13.
tari. Neppure la sfiora il pensiero che il disastro sia stato causato dalla malvagità. Con
squisito tatto, Verdi e Boito evitano che questa creatura celeste dialoghi con Jago. Desdemona non è soltanto l’espressione della purezza personale, ma è soprattutto la personificazione dell’amore, che non può e non sa vedere il male. Di questo si ha prova
nella stupenda Ave Maria,dove l’eterea fiducia palesa profondi sentimenti religiosi. Per
questo, l’Ave Maria di Desdemona è preghiera di fede. Una preghiera che dissipa le
spaventose nubi dell’atto precedente, grevi di violenza e rabbia; una preghiera accompagnata da autentica armonia divina, che, senza rispettare schemi convenzionali, trasporta l’orante in un’atmosfera di completa libertà e amore. L’amplissimo repertorio
lessicale del Boito qui si frena e presenta una preghiera di straordinaria semplicità e
delicatezza (va perdonato al suo funambolismo verbale il termine adorando rivolto a
Maria):
Ave Maria,
piena di grazia, eletta
fra le spose e le vergini sei tu;
sia benedetto il frutto,
o benedetta,
di tue materne viscere, Gesù.
Prega per chi
adorando a te si prostra,
prega pel peccator,
per l’innocente,
e pel debole oppresso
e pel possente,
misero anch’esso,
tua pietà dimostra.
Prega per chi sotto l’oltraggio
piega la fronte,
e sotto la malvagia sorte;
per noi tu prega sempre
Nell’ora della morte.
Come tutte le grandissime tragedie, rese ancor più vicine a noi dall’immediatezza musicale e dalla semplificazione teatrale, Otello abbatte ed insieme esalta. Ciò che alla fine
resta, nonostante il terrificante corso degli avvenimenti, è un senso di elevatezza d’animo, di grande dignità dell’uomo che soffre. L’Ave Maria del IV atto costituisce l’invocazione alla Madre che ha raccolto in sé tutta la sofferenza umana, e la presenta al trono dell’Altissimo. Il prega per noi, ripetuto quattro volte con intensità crescente, indica
la gratuità dell’amore che entra di necessità nella nostra vita, come il vino evangelico
14.
alle nozze di Cana. L’odio esiste, non viene meno, e nella tragedia, come nell’opera,
Jago non perisce; periscono Otello e Desdemona, ma per entrambi splende la luce dell’amore come garanzia della capacità della coscienza di risorgere e avviarsi verso il
cammino della pace.
13. Conclusioni.
La più nota trasposizione cinematografica è quella firmata da Franco Zeffirelli,
con Placido Domingo e Katia Ricciarelli che cantano assieme all'orchestra del Teatro
La Scala di Milano diretta da Lorin Maazel (1986). Si tratta tuttavia di una libera rivisitazione della partitura verdiana, oltre che del libretto di Boito, che portò tra le altre cose
alla soppressione dei Fuochi di Gioia (sostituiti da un balletto arabeggiante) e della
celebre Canzone del salice che apre l'atto IV. Numerosi anche i piccoli tagli all'interno
di singoli brani. Della "colonna sonora" di questo film esiste una edizione discografica
pubblicata dalla EMI, che invece è assolutamente integrale e comprende tutta la musica
espunta dalla pellicola.
Verdi era un conservatore, un romantico e Boito un innovatore, più tendente al decadentismo. Eppure alle grandi innovazioni di tipo musicale del conservatore Verdi corrispose una stretta osservanza della lettera del pensiero prevalente da parte di Boito, l’innovatore. Questo probabilmente perché entrambi vivevano nel proprio tempo ed entrambi capivano, forse meglio di altri, dove stessero andando la poesia musicale e l’opera. Il ritorno sulle scene di Verdi non sarebbe potuto essere più fertile di sviluppi per
il teatro europeo del tempo.
Egli si mosse in sintonia con la sensibilità della fin de siècle scegliendo come soggetto
uno dei drammi psicologici più inquietanti di tutto il teatro di prosa, dove l’azione è
prodotta dall’intreccio di passioni tanto assolute quanto devastanti - dall’odio maligno
di Jago alla cieca gelosia di Otello sino all’amore innocente di Desdemona.Verdi coronò l’evoluzione naturale del suo teatro, cresciuto in ambiente romantico e sviluppatosi
in una direzione ricca di chiaroscuri.
Da tempo aveva preso atto, Verdi, che i valori intorno a lui erano mutati, e che se era
tramutato il tempo delle battaglie per i grandi ideali, era venuta l’ora di sondare gli abissi vertiginosi dell’animo umano, scavando in profondità dalla traccia indicata da
alcuni suoi personaggi tenorili come Stiffelio, Riccardo (Simon Boccanegra) e Don
Carlo. Otello è l’esito di queste sue riflessioni estreme consegnato alla posterità, e figura ancora oggi nei repertori come uno dei drammi più moderni e sconvolgenti.
Nell’universo musicale, le cui misure sono in pratica sconfinate, Giuseppe Verdi rappresenta un fenomeno unico. Affermando che non vi sono stati musicisti come lui non
si vuole certo dire che non vi siano stati altri creatori di melodie di bellezza superiore
alle sue.
Si vuole sottolineare il fatto che probabilmente nessun musicista ha saputo con altrettanta intuizione e sicurezza seguire costantemente l’evoluzione della cultura e della
15.
realtà sociale, inserendosi nella storia del proprio tempo con la stessa intelligenza e
duttilità. Prova ne è il fatto di una carriera che, in quanto a durata, ha superato qualsiasi
altra, e ha prodotto lavori che, ad un primo ascolto, sembrano provenire da due autori
diversi e lontani nel tempo. Il risultato è questo immenso capolavoro chiamato Otello.
16.
INDICE
IL SUPERAMENTO DELL’OPERA:
L’OTELLO DI GIUSEPPE VERDI.
1. L’avvento di Otello
2. Giuseppe Verdi
3. Arrigo Boito
4. Innovazione dell’Opera
5. La storia
6. La musica
7. Otello, un dramma romantico
8. La soppressione dell’atto veneziano
9. Il credo scellerato
10. La gelosia che uccide
11. Il “coro degli omaggi”
12. L’Ave Maria di straordinaria semplicità
13. Conclusioni
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Pag. 2
Pag. 3
Pag. 4
Pag. 5
Pag. 6
Pag. 7
Pag. 8
Pag. 9
Pag. 11
Pag. 11
Pag. 12
Pag. 13
Pag. 15
Indice
Bibliografia
Sitografia
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Pag. 16
Pag. 17
Pag. 18
17.
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18.
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www.latheotokos.it
www.magiadellopera.com
www.cinemedioevo.net
www.lafrusta.net
19.
Indice della collana, pubblicata con la rivista ASSODOLAB del 20
dicembre 2013.
1. Giuseppe Verdi: L’uomo, l’artista e le sue Opere.
2. Il trittico di Puccini: Fonti e Librettisti
3. Il superamento dell’opera: L’Otello di Giuseppe Verdi.
4. La Cenerentola di Gioacchino Rossini.
5. Le folli donne di Gaetano Donizetti.
6. L’Orientalismo di Giacomo Puccini.
7. Pietro Mascagni e i suoi librettisti.
8. Romeo e Giulietta: L’opera di un amore impossibile.
9. Voce e registri nell’Opera Lirica.
10. Le nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart.
03
VOLUME
Volume n. 3
Allegato alla rivista ASSODOLAB - Anno XIV n. 3 del 20.12.2013.
Rivista registrata al Tribunale di Foggia n. 16/2000
Direttore Editoriale: Prof. Agostino Del Buono
Direttore Responsabile: Arcangelo Renzulli
Direzione, Amministrazione e Redazione:
ASSODOLAB - Via Cavour, 76 - 76015 TRINITAPOLI BT - Italy
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Stampa: REME-GRAF - Tratturo Castiglione cap. 3/B - 71121 FOGGIA FG - Italy
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Il superamento dell`Opera: L`Otello di Giuseppe Verdi