LE COMPETENZE ISTITUZIONALI DI IMMATRICOLAZIONE BATTELLI IN LAGUNA: ALCUNI FATTI E CONSIDERAZIONI DEI Non è chiaro se la laguna veneta se sia da considerarsi “acqua interna” od “acqua marittima”: per la sua importanza geografica ed economica, è convenuto a molti attribuirle, secondo convenienza, l’una o l’altra natura. Originariamente, la giurisdizione e la disciplina nella laguna di Venezia era esclusiva 1 alla Magistratura alle Acque, pallida erede dei Magistrati alle Acque della Serenissima Repubblica, e negli anni Ottanta via via delegata alla Regione ed alla Provincia. Per tutte le imbarcazioni a motore con potenza superiore a 10 HP, e stazza lorda inferiore a 25 tonnellate, impegnate in navigazione interna, la regolamentazione tecnica era in origine (1925 circa) compito del ‘Circolo costruzioni ferroviarie’ dell’Ispettorato generale delle ferrovie, tramvìe ed automobili, Ministero delle Comunicazioni. Per quelle dedicate alla navigazione marittima, era invece compito dell’Amministrazione Maritima, Ministero della Marina, cioé della Capitaneria di Porto, dopo visita di un ingegnere del Registro Navale ed Aeronautico 2. Le due autorità si rifacevano però alla medesima normativa 3, e le due licenze, od ‘immatricolazioni’, erano per legge equivalenti e valide in entrambi i contesti. Se la stazza superava le 25 tonnellate, l’imbarcazione motorizzata diventava una piccola nave, ed a quel tempo navi per acque interne non ne esistevano: le navi erano quindi una competenza esclusiva della Autorità Marittima, non per legge 4, ma per le circostanze. Si escludeva poi ogni differenza fra imbarcazioni ‘per uso proprio’, cioè da diporto, e per ‘uso 1 Dal regio Decr. 18 giugno 36 nro 1853 “Norme relative alla polizia della laguna di Venezia”, art. 3, convertito in legge nro 191 il 7 gennaio 1937, con esclusione dei canali marittimi attribuiti all’Autorità Marittima. E’ chiaramente scritto che “..in dette zone la navigazione va regolata dalle norme vigenti in materia di polizia marittima e protuale, e, nella rimanente laguna, da quelle che disciplinano la navigazione interna del Regno” 2 Il RI.N.A. aveva assorbito i compiti tecnici dell’Amministrazione Marittima a partire dagli anni Venti, e si occupò di aeroplani fino al 1938. In quell’anno nacque il Registro Aeronautico Italiano, che è stato sciolto nel 1998. I compiti sono ora assolti da CIVILAVIA, direzione generale dell’Aviazione Civile del Ministero dei Trasporti. 3 Regio Decr. 9 maggio 1932 nro 813 “Disposizioni sulla circolazione dei motoscafi e delle imbarcazioni a motore” e Decr. Min. 31 gennaio 1933, per le sue norme attuative. 4 Infatti, una eventuale nave passeggeri da acque interne non avrebbe avuto necessità di classe RINA. Esplicitamente, la legge 16 giugno 1938 nro 1018 “Modificazione al riordinamento del Registro Italiano Navale ed Aeronautico”, stabilisce “.. la classificazione dell’Istituto è obbligatoria … per navi e galleggianti da passeggeri .. eccettuati quelli con stazza lorda uguale od inferiore a 25 tonnellate o che richiedano l’abilitazione al trasporto passeggeri in acque tranquille (porti, canali, estuari, lagune)” . Ma non per le acque interne. di lucro’. Era quindi un quadro semplice, adatto ai tempi ed al numero limitatissimo di imbarcazioni a motore che circolavano negli anni Trenta.5 Il riferimento normativo d’anteguerra sopravvisse purtroppo al conflitto, con stratificazioni e stravolgimenti che lo resero inestricabile. Il Codice della Navigazione, regio Decreto 327 del 30 marzo 1942, che tanto fece per cominciare la confusione aveva già stabilito che per le acque ed i porti interni erano istituiti gli ‘uffici di porto’. Per Venezia, le eventuali dispute di giurisdizione fra il Comandante del porto (Autorità Marittima, Ministero della Marina) ed il capo dell’Ispettorato di porto (Ministero delle Comunicazioni) erano od avrebbero dovuto essere arbitrate dal Prefetto 6. Una complicazione ulteriore, con la nascita di un terzo ente (Ispettorato di Porto) oltre a Motorizzazione e Capitaneria, perfino l’interessamento di un quarto (Prefettura). Infatti, per le acque dolci interne sopravviveva la competenza dell’Ispettorato della Motorizzazione, con relativa normativa e registro di iscrizione. Il Codice della Navigazione stabiliva poi, all’art. 28, che la laguna facesse parte del demanio marittimo, in quanto acqua salmastra (?!), e fosse quindi soggetto all’Autorità Marittima come organo di polizia, al Comune per le acque urbane, alla Marina militare per le aree e canali fortificati ed al Magistrato alle Acque per gli aspetti manutentivi, ma solo dove non era competente il Genio civile Opere marittime. Ulteriore confusione ‘marittimo-centrica’ fu fatta nel Codice della Navigazione all’art 136, introducendo il concetto di nave maggiore (in sintesi, quella che va in alto mare), iscritta al Compartimento Marittimo, e di nave minore, fra cui quelle destinate alla navigazione interna, iscrivibili all’Ispettorato di Porto (od all’Ispettorato della motorizzazione, equivalente). Per nave si intende “…qualsiasi costruzione destinata al trasporto per acqua, anche a scopo di rimorchio, di pesca, di diporto o ad altro scopo”, senza distinzione di dimensione o potenza installata. Dal sandolino al transatlantico. Unica distinzione, maggiore o minore. Il Codice della Navigazione è ancora in vigore, inalterato, anche nell’articolo che prescrive che la costruzione di navi maggiori e minori e galleggianti per acque marittime ed interne avvenga in cantieri riconosciuti e sotto la direzione di personale abilitato alla dimensione 5 6 La legge stabiliva anche che il costo delle visite scafo e macchine di un motoscafo, per il rilascio della licenza, assommasse alla non piccola cifra di 45 lire complessive, più spese di trasferta del perito. Codice della Navigazione ed. 1942, art.21 della costruzione, e comunque di qualifica non inferiore a maestro d’ascia 7 (art. 232 e 236). Questo orientamento ad omologare come nave o galleggiante tutto quello che sta sull’acqua, disciplinandolo in modo omologo e grezzo, è un riflesso tipico del clima politico dell’epoca. Un criterio simile, ingestibile, si reggeva solo perché la già esigua flotta italiana era stata decimata dalla guerra, e le strutture dello Stato avevano ben altre priorità che sorvegliare la costruzione dei gozzi a remi, mosconi e pattini, ed iscriverli in svariati registri diversi a seconda della convenienza o della destinazione d’uso. La crescita tumultuosa delle barche motorizzate più piccole, resa possibile da motori più potenti e più leggeri, e la rinascita economica resero evidente negli anni Sessanta la inadeguatezza del Codice della navigazione, almeno per parte relativa alla navigazione da diporto. Nel 1971 si aggiunse confusione a confusione introducendo un ulteriore criterio discriminante, quello della navigazione da diporto 8 appunto, che seguì a questo punto in gran parte norme proprie, a fianco della navigazione a scopo di lucro, che si rifà al Codice della Navigazione come fonte principale di diritto. Due navi minori identiche, (ad esempio, un mototopo, od un motoscafo), una destinata al diporto (senza scopo di lucro, perché ricreativo e sportivo) ed una destinata al trasporto di acqua minerale, hanno regime fiscale, norme e criteri di costruzione, limiti di navigabilità, dotazioni ed abilitazioni diverse usando le identiche acque. Che l’imbarcazione da diporto potesse essere noleggiata, e quindi diventasse uno scopo di lucro, era un caso inconcepibile che fu contemplato solo vent’anni dopo. La nuova fonte normativa per il diporto aveva l’ovvio scopo di non strangolare ulteriormente il mercato della nautica minore, ma produsse anche altre categorie anomale, a seguito la differenziazione fra i “natanti”, le “imbarcazioni” e le “navi da diporto” 9. • I natanti da diporto hanno lunghezza inferiore a 7.50 metri, se a motore, e 10 m, se a vela. Non devono essere immatricolati, e non potrebbero allontanarsi più di 7 E’ prassi comunissima che la norma sulle abilitazioni per la progettazione sia disattesa anche da molti cantieri navali di cospicua dimensione, o soddisfatta con firme di compiacenza. Il controllo è inesistente, e le sanzioni non sono mai state applicate. 8 “E' navigazione da diporto quella effettuata a scopi sportivi o ricreativi, dai quali esuli il fine di lucro” (art.1 – legge 11 febbraio 1971 n. 50). Da non confordersi con la c.d. “navigazione ad uso privato”. 9 La legge 11 febbraio 1971 n. 50 sulla navigazione da diporto è stata modificata dalle leggi: 14.8.1971 n. 823; 14.8.1974, n. 378; 6.3.1976 n. 51; 26.4.1986, n. 193; 5.5.1989, n.171; 8.8.1994 n.498, 23.12.1996 n.647 (Artt. 6,10,11,15 e 17) e 30.11.1998 n. 413 (Artt. 12 e 14). Inoltre dal Decreto legislativo 14.8.1996 n. 436 come modificato dal decreto legislativo 11.6.1997 n. 205 e dal D.P.R. n.431 del 9 ottobre 1997 recante il regolamento sulle patenti nautiche. sei miglia (circa 10 kilometri) dalla costa. Possono essere installati motori di qualunque potenza, ma se supera i 40 HP, o ci si allontanano più di sei miglia, fino a dodici, il conduttore deve avere la patente. 10 • Le imbarcazioni da diporto hanno lunghezza compresa fra 7.50 metri, se a motore, e 10 m, se a vela, e 24 m fuoritutto. Occorre la patente (un tempo vela, vela e motore o solo motore, ora solo più vela e motore o motore) per navigare entro od oltre 12 miglia dalla costa. Sono immatricolate in registri sono tenuti dalle Capitanerie di Porto, dagli Uffici Circondariali Marittimi, dagli Uffici Locali Marittimi, dalle Delegazioni di Spiaggia autorizzate dal Direttore Marittimo a tenere i registri delle navi minori e galleggianti, nonché dagli Uffici della Motorizzazione civile. Tutte le immatricolazioni sono equivalenti, ma non esiste un registro unico, e quindi il loro censimento è estremamente difficile. • Le navi da diporto, a vela od a motore, hanno lunghezza superiore a 24 metri, e richiedono un’abilitazione particolare. Le navi da diporto sono iscritte solo in registri tenuti dalle Capitanerie di Porto e dagli Uffici Circondariali Marittimi, quindi il loro censimento è ipoteticamente più semplice, ma non è probabilmente mai stato tentato. Per tutta la nautica da diporto, anche quella immatricolata, infatti non esiste un’anagrafe unica. Per la nautica da diporto, poi, non esiste alcun discrimine fra navigazione interna e navigazione marittima, e relative immatricolazioni.11 Un battello immatricolato da diporto può navigare ovunque, entro i suoi limiti di abilitazione, in acque marittime ed interne, dolci, salmastre e salate. La costruzione dei natanti è libera, come pure per le imbarcazioni sotto le cinque tonnellate di stazza lorda 12 . I progetti per la costruzione di imbarcazioni da diporto di 10 Ulteriore complicazione. Un tempo non potevano allontanarsi e basta. La normativa europea concede invece loro questa possibilità se di classe costruttiva adeguata. 11 Articolo 8 comma 4 legge 50/71: “Le imbarcazioni (da diporto) munite di licenza rilasciata dagli uffici marittimi possono navigare, senza altro documento, nelle acque interne. Le imbarcazioni munite di licenza rilasciata dagli uffici della motorizzazione civile possono navigare, senza altro documento, nelle acque marittime.” 12 Il titolare della ditta costruttrice dovrebbe indicare un responsabile delle costruzioni in possesso dei requisiti previsti per le relative progettazioni o sia riconosciuto esperto dalla competente Autorità marittima o della Navigazione interna, sulla base di requisiti stabiliti con decreto emanato dal Ministro della marina mercantile di concerto con il Ministro dei trasporti . Il relativo decreto non è mai stato emanato, e ciascuno quindi continua a fare come vuole. stazza lorda superiore alle cinque tonnellate dovrebbero invece essere firmati da persona abilitata alla progettazione delle costruzioni navali. 13 Con l’inizio degli anni Settanta quindi il mercato della nautica minore, quello dei natanti, era stato completamente de-regolato. Era, ed è, possibile disegnare, costruire, motorizzare e condurre qualunque oggetto, anche per trasporto di altre persone, purché non si trasportino persone paganti ed entro un miglio dalla costa, senza render conto pubblico neppure della propria identità o del giusto diritto di possesso 14 . Infatti, malgrado la legge del diporto da trent’anni preveda requisiti costruttivi minimi, non li ha mai definiti. 15 . Solo la norma europea è intervenuta, quantomeno, per bandirne la commerciabilità in assenza di un requisito di qualità minimo. Sotto questo aspetto, anche la immatricolazione decisa nell’estate del 2002 per tutti i natanti non altrimenti immatricolati di potenza superiore a 10 HP circolanti nella laguna di Venezia si configura come un ‘contrassegno personale del conduttore’ e non come una ‘targatura’ dell’oggetto nautico motorizzato 16 , dato che non c’è collegamento univoco fra ‘oggetto’ e la ‘targa di identificazione’, ma solo fra la targa ed il firmatario della domanda della targa stessa, redatta magari in termini volutamente generici per adattarsi a più barche. Ad aumentare ulteriormente la vischiosità della materia, altre modifiche e varianti introdotte alla normativa del diporto negli ultimi anni hanno eliminato ogni differenza fra ‘natante’ ed ‘imbarcazione’ se sono impegnati in navigazioni in acque interne 17 : come 13 A norma degli artt. 277 e 278 del regolamento per l'esecuzione del codice della navigazione (navigazione marittima), approvato con D.P.R. 15 febbraio 1952, n. 328, e successive modificazioni. I progetti per la costruzione di imbarcazioni da diporto possono però essere firmati anche da coloro che abbiano conseguito apposita abilitazione (scuole di progettazione per il diporto) e che siano iscritti nel registro di cui all'art.275 del Regolamento per l'esecuzione del Codice della Navigazione. Esistono fondati motivi per ritenere che anche questa norma comunque sia del tutto disattesa. 14 Anche la c.d. ‘marcatura CE’, di omologazione per tipo ad requisiti tecnici minimi a livello europeo dal 1998 in poi, per i natanti è solo facoltativa. 15 All’art. 13 comma 6 “Con decreto del Ministro dei Trasporti e della Navigazione vengono stabilite le norme tecniche per determinare il numero massimo delle persone trasportabili, il numero minimo delle persone componenti l'equipaggio dei natanti di cui al presente articolo, nonché la potenza minima e massima dei motori installabili a bordo di detti natanti, in base al loro dislocamento ed alle altre caratteristiche strutturali”.Il relativo decreto non è mai stato emanato. 16 Al contrario ad esempio dei ciclomotori, che hanno un libretto di circolazione ed un numero matricolare di telaio individuale. Almeno se ne può denunciare il furto. I natanti lagunari possono infatti ancora essere venduti, modificati, demoliti ed autocostruiti (e rubati) senza che esista alcun riscontro. Nel 1947, il protagonista di ‘Ladri di biciclette’ cercava la sua bici rubata sbirciando il numero di telaio: oggi numerosi natanti da 50.000 € sono del tutto anonimi ed irrintracciabili. 17 Norme transitorie in materia di nautica da diporto introdotte con D.L. 16.6.94 n. 378 convertito con legge 8.8.94 n° 498. All’art. 2bis “Disposizioni per la navigazione in acque interne”, dice testualmente “Per la navigazione in acque interne, alle imbarcazioni si applicano le disposizioni di legge e di regolamento dire, che fino a 24 metri di lunghezza un battello da diporto che naviga in laguna non ha nessun obbligo di conformità ad alcun criterio o sorveglianza, e neppure di farne risultare in qualche anagrafe il nome del proprietario. Fortunatamente non risulta che nessuno abbia finora approfittato di questa generosa concessione del legislatore, probabilmente per semplice consuetudine di rispetto inerziale della normativa precedente18. Riepilogando questo lungo excursus normativo, in cui si è cercato di fare un minimo di chiarezza forse solo rappresentandone con ampie manchevolezze il quadro contorto, la situazione della disciplina delle costruzioni navali, dei vincoli tecnici e delle abilitazioni necessarie alla condotta nella laguna di Venezia è la seguente : A grandi linee, i battelli professionali (cioè ad ‘uso per lucro’) si dividono quindi in • Battelli da passeggeri (taxi, lancioni, motoscafi degli alberghi etc) • Battelli merci (bettoline, chiatte autopropulse, mototopi, etc) • Battelli da lavoro (idroambulanze, draghe, mototopi-pompa, pescherecci etc) Ciascuno di loro ha tre diverse possibilità di immatricolazione • Registro navi minori presso l’Autorità Marittima, che comprende almeno una mezza dozzina di sotto registri nella sola gronda lagunare (Venezia, Chioggia, Caorle, etc), riferita tecnicamente ad un certificato di classe di primario registro di classifica 19 ma secondo le regolamentazioni proprie di ciascun registro. E’ un obbligo che la legge regionale (ma non quella nazionale) impone solo ai battelli impegnati in servizi passeggeri su licenza. I pescherecci sono iscritti in apposito registri delle navi da pesca tenuto in Capitaneria, tranne poche unità per mitilicultura che sono immatricolate con la Motorizzazione, ed un numero imprecisato che rientrano nel diporto tout court. previsti per i natanti”.Alla lettera, quindi, non è necessaria l’immatricolazione per battelli di lunghezza fino a 24 metri impegnati in navigazione su acque interne, compresa la laguna di Venezia fuori dai canali marittimi. Neppure è richiesta abilitazione o patente, purché la potenza sia inferiore a 40 HP. 18 19 Un battello da diporto da 23.9m, per dare l’idea, è lungo una volta e mezza un camion autoarticolato, e può pesare sessanta o settanta tonnellate. A condurlo in acque interne bastano sedici anni (diciotto e la patente nautica se la potenza supera i 40 HP, ma senza limite superiore di potenza). Certificazione che è rilasciata dal RINA nel 99% dei casi. A seguito però di una sentenza della Corte Europea del 1999, il RINA non è più organo tecnico esclusivo dell’Amministrazione Marittima italiana. Le funzioni statuali del RINA, i c.d. ‘Compiti di Stato’, in Italia possono essere ora svolte anche dal Det Norske Veritas (DNV) e dal Lloyd’s Register of Shipping (LR), entrambi con sede locale a Venezia. • Ispettorato di Porto di Venezia, con propria sorveglianza tecnica e normativa 20 , per battelli che non portano passeggeri con licenza. • Ispettorato della Motorizzazione provinciale, con propria sorveglianza tecnica e stessa normativa dell’Ispettorato di Porto 21 . Funzione trasferita dal 1996-97 all’Ispettorato di Porto. A grandi linee, i battelli per uso privato non da lucro si dividono poi in • Natanti da diporto, sotto i 7.5m. Se navigano in laguna ed hanno motori sopra i 10 Hp, devono avere un contrassegno del conduttore (sigla LV). Possono navigare sia in mare che in acque interne. Possono (dovrebbero) però essere iscritti presso l’Ispettorato di Porto, se non destinati a ricreazione o sport. • Imbarcazioni da diporto. Possono essere iscritte alla Motorizzazione Civile, all’Ispettorato di Porto od ai Registri di Capitaneria, hanno una sigla d’immatricolazione e possono navigare sia in mare che in acque interne. Vedi sopra. • Battelli da uso privato. Sono iscritti presso l’Ispettorato di Porto. A questo sia aggiunge che le iscrizioni possono avvenire presso qualunque ufficio italiano, (eccetto che per la sigla LV, per cui è competente solo la regione Veneto), quindi in laguna può circolare in piena regola un’imbarcazione immatricolata a Mazara del Vallo (che ha il rango di Capitaneria di porto) , od a Cefalù (che ha il rango di Ufficio Circondariale Marittimo), ma anche nei rispettivi uffici della Motorizzazione Civile e, se esistono, in qualunque Ispettorato di Porto nazionale. Il problema è rilevante per un eventuale controllo della circolazione dell’usato, di cui si ignora completamente l’estensione sul totale navigante. 20 Funzione delegata nel 2000, a quanto appreso, al RINA. stesso. Esistono dubbi che questa delega abbia valore giuridico, alla luce della citata sentenza antimonopolistica della Corte dell’Aja. 21 Cfr nota precedente. COMPETENZE NORMATIVE PASSATE E PRESENTI DEL REGISTRO ITALIANO NAVALE (RINA) IN MATERIA DI CONTROLLI TECNICI La cessazione della posizione monopolistica del RINA spa come registro di classifica è stata sempre fortemente osteggiata dal management del Registro stesso, per comprensibili motivi di tutela della posizione dominante sul mercato interno. Ci sono volute due leggi di riordino dell’Istituto, una delle quali cassata dalla Corte Europea di Giustizia, per trasformare il RINa da ente morale di ambigua natura (parapubblica ad impronta privata ma con obliquo controllo politico), in una Spa di proprietà, al momento, ignota. Era d’altra parte l’intento della sentenza della Corte Europea l’eliminazione di questa posizione di ambiguo monopolio. A questa nuova condizione, mal subìta e poco accettata, da parte del RINA è stata è stata data ovviamente pochissima pubblicità all’esterno. Dalla primavera 1999, l’Amministrazione di Stato italiana non può fare solo ed esclusivo riferimento al RINA Spa come organo tecnico, ma deve accettare anche Det Norske Veritas, Bureau Veritas, Lloyd Register of Shipping, nonché l’Istituto Giordano e svariati altri enti privati parimenti certificati. 22 23 Oltre alle desiderate conseguenze economiche di più libera concorrenza sul mercato, che non si sono ancora avvertite, la sentenza della Corte Europea ha però avuto un altro effetto pratico basilare: cioè che le norme tecniche del RINA, che fino a ieri avevano di fatto valore di regolamento attuativo della legislazione nazionale in materia di navigazione, adesso sono soltanto più le opinioni di una ditta privata riconosciuta come autorevole dall’Amministrazione italiana, ma assolutamente equivalenti a quelle di una analoga istituzione estera, perfino non comunitaria (come è il DNV, con sede ad Oslo) 24. 22 I maggiori registri di classifica mondiali , enti di diritto privato, sono raccolti in una associazione di mutuo riconoscimento denominata IACS (International Association of Class Surveyors). L’associazione esercita un controllo stretto sui comportamenti dei propri mebri, che ha portato recentemente alla espulsione del Registro Polacco (1999) ed alla pesante ammonizione del RINA in conseguenza del caso Erika (2000) 23 Gli Istituti di certificazione di qualità sono riconosciuti dal Ministero dell’industria con riferimento a specifici settori di competenza. Quelli citati sono alcuni di quelli abilitati ai controlli in materia di diporto. 24 In effetti, un ulteriore piccolo obbrobrio giuridico che era diretta conseguenza del dirigismo fascista, dove si mescolava disinvoltamente pubblico, semipubblico, paraprivato e parastatale. Che un ente di diritto privato, che non fa parte della pubblica amministrazione e non è soggetto in pratica ad alcun controllo gestionale dall’Amministrazione nazionale, possa supplire pro domo et peculio suo al legislatore naturale era un’idea bislacca che è sopravvissuta più di settant’anni, prima della decapitazione da parte della Corte di Giustizia europea. In altre parole, fino a due anni fa la normativa tecnica dello Stato italiano in materia di navigazione era la normativa del RINA, ed il RINA stabiliva in modo ampiamente autonomo adattamenti ed adeguamenti, oltre che ovviamente le proprie tariffe. Lo Stato italiano si limitava a dire :”quel che fa il RINA è la mia legge”. La vera normativa tecnica dello Stato italiano – quella emanata cioè dal Ministero preposto, non dal RINA, e valida per tutti i cittadini ed erga omnes, se non in contrasto con la normativa comunitaria – quindi semplicemente e nella maggior parte dei casi non esiste: quella del RINA è solo un’opinione fra le tante, ma non è più la legge. Solo in questi ultimi anni il Ministero dei Trasporti, per le navi maggiori, ha iniziato un’opera di ‘riempimento della lacuna’, attingendo spesso direttamente alla normativa internazionale o comunitaria.25 E’ il caso, a quanto è dato di sapere, del limite di potenza ammissibili sui natanti da diporto: è normativa del RINA, non legge dello Stato. Legalmente, non esiste: è la privata opinione di una ditta privata. Il risultato è che una certificazione di appropriatezza tecnica, che non è più appannaggio esclusivo del RINA e che non è mai stata riferibile ad alcuna legge, decreto o regolamento dello Stato, può adesso essere emessa da altri enti riconosciuti, secondo i propri criteri interni, in via non esclusiva ma del tutto equivalente gli uni agli altri. Ma anche da amministrazioni locali delegate a legiferare, in virtù del principio di sussidiarietà. Un lancione classificato RINA può in teoria essere diverso, tecnicamente, da un lancione classificato Lloyd Register, perché lo Stato italiano non ha mai detto lui come vuole il lancione, ha solo detto sempre che quel che andava bene per il RINA andava bene anche per lui. E se quel che chiede il Lloyd Register è diverso ? Ora che questa situazione è cambiata, nel vuoto di requisiti tecnici quelli stabiliti dal LR piuttosto che dal DNV devono andar bene, per forza, anche allo Stato italiano, se questi non legifera in materia. Questa situazione, è chiaro, non ispira certo ai Registri la emissione di norme nuove più restrittive, o l’applicazione più efficace di quelle esistenti, o comunque il turbamento dello status quo di confusione normativa che esiste in laguna. A parte la sostanziale debolezza autoritativa che è derivata al RINA da questa sentenza nei confronti dell’utenza (il RINA non è più l’organo tecnico dello Stato, è solo un consulente come altri), è pacifico che ogni iniziativa autonoma lo esporrebbe a perdere quote di mercato a favore di una concorrenza di consulenza tecnica che ancora non si è fatta sentire, grazie anche al 25 In questo quadro si interpreta il posizionamento a Genova della neonata Direzione per la Sicurezza della Navigazione del Comando generale delle Capitanerie di Porto, nel 1997. caso raro se non unico di una direzione generale di un ministero che non è stata collocata a Roma. vischioso sostegno offerto dall’Autorità marittima nel segno della consuetudine di un rapporto quasi centenario. Elementi nuovi nello scenario inoltre si stanno facendo strada, in particolare la normativa europea in materia di sicurezza del trasporto passeggeri per acqua, nelle costruzione e motorizzazione per il diporto, nelle norme antinquinamento e nella costruzione di navi da trasporto per acque interne. La normativa europea per il trasporto marittimo di passeggeri E’ abbastanza curioso che la ambiguità lagunare della natura delle acque (interne o marittime o metà e metà ?) sia del tutto sconosciuta al legislatore europeo, non si sa se per scelta ponderata, per dimenticanza o per manifesta irrilevanza. Nelle acque interne, secondo la definizione europea di “acqua interna”, cioè zona 4, si comprendono la laguna veneta, ma anche la c.d. ‘litoranea veneta’, la rotta marittima ridossata a Jesolo e Cortellazzo, fino alle lagune di Grado e Marano.26. Un’interpretazione logica e piuttosto estensiva, quindi, che fa diventare le acque della laguna acque interne a tutti gli effetti, e ci attacca pure una fettina di mare. Considerando le acque marittime, invece, i requisiti tecnici per le navi da passeggeri europee di dimensioni superiori a 24m sono fissati nella direttiva 98/18/CE, divenuta legge italiana con decreto legislativo nro 45 del 4 febbraio 2000 anche per ambiti limitati di navigazione (la c.d. “classe D” entro 6 miglia dalla costa, che è la minima prevista ed è equivalente a quella dei natanti non immatricolati), poi modificata dal DL 492 del 1marzo 2002. Cominciamo col chiarire alcuni concetti che sono forse poco familiari ai non addetti, e che sono stati utilizzati invece nella formulazione del DL 45. Si parla di una nave da passeggeri (nave, nel seguito) per qualunque battello che trasporti più di dodici persone paganti oltre all’equipaggio, senza considerazione per le dimensioni. Questo è d’altra parte il criterio storicamente utilizzato nella normativa marittima internazionale. Un HSC (High speed craft, mezzo ad alta velocità) è un battello da passeggeri che ha una velocità massima superiore a 20 nodi (37 km/h). Questo battelli devono seguire una normativa particolare, che si chiama HSC Code, ed è ancora più complessa. Una nave nuova è una nave impostata dopo il 18 luglio del 1998. Il DL 45 escluderebbe le navi in servizio nelle aree portuali, che definisce come “aree che si estendono fino alle strutture portuali permanenti che fanno parte integrante del sistema portuale, o fino ai limiti definiti da elementi geografici naturali che proteggono un estuario od un’area protetta affine”, richiedendo però la emissione di norme nazionali di equivalente 26 Decreto 28 novembre 1987, nro 572 “Attuazione della direttiva CE 82/714 che fissa i requisiti tecnici delle navi in navigazione interna”. Allegato I capitolo III. sicurezza, che è come dire, in sostanza, che il rilassamento possibile è abbastanza piccolo e poco conveniente. Comunque lo Stato nazionale si dovrebbe attivare positivamente e queste norme equivalenti, naturalmente, in Italia al momento non esistono. In Italia si applica infatti il c.d. ‘Regolamento di Sicurezza’ ed 1992, che fra l’altro, essendo antecedente, non può considerarsi equivalente in termini di sicurezza alla norma successiva Il RINA dovrebbe applicare a buon senso, dove applicabile quindi il DL45 per le navi passeggeri nuove anche alle navi di lunghezza inferiore a 24 m in servizio portuale, in quanto più stringente della (obsoleta) norma nazionale. Non lo fa perché considera i battelli lagunari confacenti al proprio regolamento (acque tranquille limitatamente alla laguna veneta), valutazione che non deriva da una legge dello Stato, ma che è solo un’interpretazione del RINA di quando poteva interpretare, e che continua ad essere applicata ancora oggi. I punti qualificanti della normativa europea, senza scendere nel dettaglio tecnico, sono i seguenti • Entro i prossimi otto anni al massimo, le navi esistenti che portano più di dodici passeggeri vanno adeguate al DL45 o perdere la qualifica, di fatto essere demolite per assenza di mercato. Questo obbligo di ‘uscita dal servizio’ è una novità: in precedenza, le navi esistenti erano graziate senza limite di tempo, fino alla loro fine naturale. Per moltissime l’adeguamento è impossibile od antieconomico. La scaletta di rottamazione prevede l’uscita dal servizio nel 2007 per le navi costruite fino al 1962, nel 2008 di quelle costruite fino al 1974 e nel 2009 di quelle costruite fino al 1984. Nel 2010 tutte le altre. Ciò implicherebbe alla lettera il rinnovo di tutta la flotta lagunare passeggeri in otto-dieci anni. • Le navi nuove non potranno avere velocità superiori a 20 nodi (37 km/h), a meno di corrispondere alle più complesse norme dell’ HSC Code. Molti battelli lagunari superano questo limite. • Le navi nuove devono invece corrispondere al DL 45 da subito. Ciò significa, ad esempio, che non possono essere più costruite in vetroresina od in legno (a meno che non siano HSC code), ma esclusivamente in acciaio. • La sicurezza antincendio è fortemente incrementata, come pure le capacità di sopravvivenza e stabilità a nave intatta ed in caso di falla. • Le navi devono essere provviste di impianti vitali duplicati. Come si vede, le norme DL45 potrebbero avere conseguenze pesanti sulla flotta lagunare da passeggeri, se applicate così come previsto attualmente. Se non venissero applicate, invece, come alla lettera è possibile, si apre un divario considerevole fra il livello di qualità e sicurezza garantito ai passeggeri, ad esempio, che vanno da Jesolo al Trochetto, rispetto a quelli che dal Tronchetto vanno a Punta Sabbioni. E’ intuibile che deve esistere un giusto punto di equilibrio. Tanto per rendere l’idea, i granturismo attuali dotati di certificato RINA dovrebbero essere tutti sostituiti con minime eccezioni entro il 2010, dato che sono essenzialmente costruiti in legno o vetroresina. Ricostruirli secondo HSC code è estremamente costoso, e fuori dalle possibilità economiche e di gestione degli attuali cantieri e degli stessi operatori, e di ogni redditività economica 27. La flotta ACTV, in massima parte costruita in acciaio, invece è già fondamentalmente in regola – almeno sotto il profilo della sicurezza antincendio e della velocità. Gli altri operatori professionali del trasporto passeggeri lagunare, cioè taxi, motoscafi da noleggio e granturismo iscritti all’Ispettorato di Porto od alla Motorizzazione sono un’anomalia già adesso: infatti, in senso stretto, non potrebbero navigare nei canali marittimi in quanto il loro livello di sicurezza non è equivalente a quanto è già ora richiesto sui battelli passeggeri muniti di certificato di classe pieno e che percorrono le stesse rotte. Il riconoscimento mutuo della licenza di navigazione fra Ispettorato e Motorizzazione, d’un lato, e Autorità Marittima, dall’altro, presupponeva una comunanza di norme tecniche di riferimento che l’entrata in vigore del DL 45 ha dissolto, se mai è esistita di fatto. Non c’è dubbio infatti che un taxi acqueo è una nave da passeggeri ai sensi tanto della normativa europea per trasporto in acque interne, che della normativa europea per il trasporto in acque marittime.28, piccola, ma nave Manca infatti in modo totale una specifica e diversa normativa italiana od europea per inquadrare questa tipologia di battelli 27 L’HSC code richiederebbe una organizzazione a terra certificata, titoli professionali per la condotta, navigazione esclusivamente diurna etc. Oltretutto esistono dubbi che praticamente si possano costruire HSC di lunghezza inferiore a 40 metri: gli HSC esistenti sono in relatà assai più lunghi. 28 I taxi veneziani tipici hanno abilitazione al trasporto di 20 persone in estate, e 16 in inverno, e velocità fino a 40 nodi. Esistono anche motoscafoni a noleggio da 30-50 posti, più lenti ma sempre capaci di 22-25 nodi. specializzati veneziani (cioè, in sostanza, per poterli non considerare navi da passeggeri veloci, anche se di dimensioni molto ridotte), se non la ‘non-regolamentazione’ del Regolamento di Sicurezza’: quanto si fa adesso a Venezia, per prassi consolidata, è in aperto contrasto con quanto richiesto sulle tipologie di battelli simili nel resto d’Europa, e senza nessun supporto normativo. L’argomento non è di poco conto o specioso come può sembrare a prima vista. La mancanza di norme compatibili con il regime generale europeo del trasporto pubblico passeggeri per una larga fetta del trasporto acqueo veneziano è tollerabile finché va tutto bene e non bisogna cercare giustificazioni, ma in caso di disgrazia a poco serve dire che l’incidente sia statisticamente raro, o che Venezia fa mondo a sé. La situazione generale emerge in questi casi con estrema rapidità. L’esperienza insegna che la compressione dei costi, l’aumento del traffico e la iniziativa privata senza controllo inevitabilmente si riflettono sulla affidabilità dei mezzi: è successo nel traffico aereo, nei trasporti marittimi di massa, e perfino nelle ferrovie britanniche, dopo la privatizzazione. Non c’è ragione apparente perché a Venezia il comportamento debba essere diverso che altrove, anzi per taluni aspetti è proprio quanto sta accadendo. La prima conseguenza della mancanza di una normativa coerente e rispettata è il possibile coinvolgimento sul versante assicurativo verso i terzi trasportati di chi concede una licenza pubblica di esercizio dell’attività 29 senza riscontrare l’esistenza dei requisiti legali di navigazione. La seconda conseguenza, ancora più grave negli effetti economici, è il riflesso negativo sull’immagine della città in caso di incidente grave. 29 Una richiesta tipica di risarcimento in caso di morte, secondo gli standard statunitensi, può andare da dieci a venti anni di imponibile tassabile del defunto, quindi tre o quattro milioni di dollari per un singolo evento non sono cifre eccezionali. E’ inoltre sempre più frequente in campo europeo la chiamata a corresponsabilità di chi non ha esercitato il dovuto controllo, come dimostra il caso del RINA nell’evento Erika presso i tribunali francesi. LA NORMATIVA EUROPEA PER NAVI DA TRASPORTO MERCI IN NAVIGAZIONE INTERNA La normativa europea per trasporto merci in acque interne esiste già, è stata ratificata e si applica alle unità motorizzate o no, purché con peso superiore a 15 tonnellate a pieno carico. Ciascuno Stato potrebbe esentare dalla direttiva le sue navi, se navigano in percorsi non collegati con la rete di altri Stati (come è il caso dell’Italia, e della laguna in particolare), e l’Italia ha sfruttato questa possibilità, visto che la direttiva è stata regolarmente convertita in decreto legge nel 1987, negandone l’applicazione. Per le unità di peso a pieno carico inferiore a 15 tonnellate non risultano invece esistere norme specifiche, né europee né italiane. Esisterebbero, a dire il vero, norme relative agli apparati installati (ad es. le benne, le gru, i battipali etc), ma di fatto, anche queste non vengono applicate che molto raramente.30 I battelli da trasporto merci lagunare, o da lavoro in senso ampio, come piccole draghe, idrovore, idroambulanze, rimorchiatorini o spintori, si trovano quindi nelle medesime condizioni di vuoto normativo delle unità passeggeri lagunari, anche se il loro problema è meno critico. E’ difatti illogico che gli apparecchi da lavoro installati sulle unità lagunari, ad esempio di escavazione, o di sollevamento, siano soggetti ad un doppio regime (di blandissimo controllo, in presenza di un certificato di classe; di nessun controllo, in pratica, per i battelli iscritti alla Motorizzazione od all’Ispettorato di Porto), a fronte di normative antinfortunistiche e di tutela dei lavoratori ‘di terraferma’ sempre più puntuali e stringenti; tutto sommato però questa illogicità comporta minori rischi per la collettività rispetto all’analogo doppio regime delle navi da passeggeri, sia perl’entità del danno eventuale che verso la collettività. Esiste però una importante eccezione a questa affermazione rassicurante, ed è costituita dalle bettoline di approvvigionamento di idrocarburi dai depositi costieri. In particolare per gasolio e benzine, in misura minore per la nafta pesante riscaldata destinata a rifornire le navi (fuel oil). Queste imbarcazioni hanno dimensioni rilevanti, diverse centinaia di tonnellate di portata, ed una età considerevole. Sono state di solito costruite in vaga 30 Un tipico esempio di extraterritorialità fattuale della laguna rispetto al territorio nazionale sono le norme che a terra prescrivono il collaudo periodico degli organi di sollevamento a fune, con sovraccarico del 10% e verifica di intervento delle sicurezze obbligatorie. Molti impianti di sollevamento a fune su mezzi lagunari sono invece meccanici e sprovvisti quindi di protezione dal sovraccarico,e quindi ogni verifica sarebbe priva di senso. Non sono però impianti illegittimi, in quanto ormai ‘esistenti’. analogia delle disposizioni del Registro Navale per le navi maggiori dello stesso tipo 31, ma l’efficacia di questi accorgimenti è dubbia, e la loro trasposizione su queste micropetroliere è molto opinabile. Nel frattempo le norme per le navi maggiori che fecero all’epoca da riferimento sono cambiate radicalmente, basti pensare agli obblighi antincendio o del doppio scafo per le petroliere. Queste bettoline, ed in servizio sono relativamente numerose di varia dimensione, sono tutte costruite con scafo singolo, e non si può ignorare quale rischio questa soluzione comporti secondo i moderni criteri di sicurezza della navigazione lagunare, nello scenario del possibile incidente e conseguente inquinamento 32 . Paradossalmente, agli occhi di un esperto questo traffico petrolifero in laguna dà garanzie di sicurezza molto minori rispetto a quello di grosse petroliere che parte dell’opinione pubblica vorrebbe bandire, dato che queste ultime navigano ben trattenute da rimorchiatori potenti ed hanno a bordo impianti di sicurezza complessi, continuamente sorvegliati e controllati dai Registri, addirittura ad ogni approdo, impianti antincendio, equipaggi addestrati e controlli minuziosi .33 La periodicità dei controlli sulle imbarcazioni lagunari da trasporto, che trova la sua criticità sui carichi pericolosi, è infatti un altro tasto delicato del confuso regime normativo del trasproto lagunare: mentre una classificazione ‘da nave marittima’, a cura di un primario registro di classifica, prevede una rotazione cadenzata di ispezione a vari livelli – scafo, macchine, dotazioni di sicurezza, sistemazione antincendio etc –, al limite, per i carichi pericolosi anche ad ogni approdo, queste ispezioni mancano di analoga sistematicità nei battelli immatricolati con l’Ispettorato di Porto o con la Motorizzazione civile. Sono istituzionalmente assenti, poi, nei natanti da diporto. Non esiste quindi un comune vaglio di efficacia confrontabile fra le condizioni di navigabilità di identici battelli con immatricolazioni diverse, e la cura della manutenzione è lasciata al buon scrupolo dell’armatore. 31 Ad esempio, con doppie valvole ai manifold di imbarco-sbarco degli idrocarburi leggeri tipo benzine, retine parafiamma agli scarichi etc. 32 Non per rischio di incaglio, che sul fondale limaccioso della laguna non presenta nessun rischio serio di danno né per le bettoline né per le petroliere, bensì per caso di urto in banchina o collisione con altro mezzo. La vulnerabilità di questi carichi sta nel basso punto di infiammabilità e nella possibilità di esplosione (per le benzine), oppure nella bassa viscosità con minima volatilità (per il gasolio). Quindi, il rischio di esplosione accidentale o di spandimento incontrollabile in caso di lesione allo scafo è reale, non solo ipotetico. 33 Impianti di inertizzazione delle cisterne, schiumogeni, presidi sanitari ed antincendio, personale specializzato etc.