Riserva Naturale Integrale
Piaie Longhe - Millifret
LA CARTA DI IDENTITÀ DELLA RISERVA
ASPETTI GENERALI
Denominazione: Riserva Naturale Integrale “Piaie Longhe - Millifret”
Atto di istituzione: D.M. 26.7.1971 (G.U. 235, 17.9.1971)
Comune: Farra d’Alpago (BL); Fregona (TV)
DATI TERRITORIALI
Quota minima: m 1360 s.l.m.
Quota massima: m 1577 s.l.m.
Superficie: 130 ettari
ASPETTI AMBIENTALI
Tipologie ambientali principali: faggeta, rimboschimenti di abete rosso.
Peculiarità floristico-vegetazionali: faggeta altimontana tipica (e montana);
presenza di specie vegetali endemiche, rare a livello locale, inserite in liste
rosse delle piante minacciate.
Peculiarità faunistiche: la riserva si trova lungo un’eccezionale “rotta di affilo”
dell’avifauna; presenza di lepre alpina, cinghiale, tetraonidi (gallo cedrone,
fagiano di monte, francolino di monte).
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geologia
ASPETTI GEOLOGICI E GEOMORFOLOGICI
Tratto da: Toniello V., 2000. Geomorfologia, singolarità naturalistiche e problematiche
connesse della Riserva Naturale Integrale di Piaie Longhe – Millifret e della Riserva
Orientata Pian di Landro - Baldassare. Inedito.
La Riserva Naturale Integrale “Piaie Longhe - Millifret”si trova nella parte sud-occidentale
dell’Altopiano del Cansiglio. Si presenta come un lungo rettangolo, orientato in direzione
NE-SW, con una lunghezza di circa 4 km ed una larghezza di circa 0,6 km; le quote sul livello
del mare sono comprese tra i 1360 ed i 1577 metri del Monte Millifret. Ad occidente è limitata dalla grande scarpata, spesso verticale, che dà sulla Val Lapisina.
La riserva ha una superficie di circa 130 ettari e si presenta con una morfologia dolce, con
grandi spianate sommitali, interessate da poche doline di medie dimensioni.
Stratigrafia
Sull’Altopiano del Cansiglio affiorano rocce appartenenti al Cretacico superiore, all’Eocene e
depositi sciolti quaternari.
Partendo dalle rocce più antiche, troviamo il Calcare del M. Cavallo del Cretacico mediosuperiore. Esso affiora in tutta la conca dell’Altopiano, prevalentemente ad Est e a Nord, più
raramente ad Ovest, ed ha uno spessore che va dai 600 ai 700 metri.
Calcare del M. Cavallo: si tratta di calcari bioclastici in genere biancastri, ricchissimi di macrofossili tipici di una barriera corallina, con strati poco evidenti, con una
potenza da 80 cm a tre metri circa, lungo la direttrice Crosetta - Candaglia.
Verso il margine occidentale dell’Altopiano, e quindi nella riserva, i calcari sono generalmente a grana più fine, ricchi di frammenti minuti di fossili: è la zona esterna e di transizione
della scogliera cretacica.
Nella riserva integrale gli affioramenti calcarei emergono in modo discontinuo e occupano
meno di metà area.
Essi prevalgono solo lungo la dorsale M. Pizzoc - M. Millifret, lungo il versante esposto a
SSE; li ritroviamo pure lungo una stretta fascia da Pian della Pita verso Casera Prese.
Si tratta in generale, nonostante rapide variazioni di facies, di calcari a grana fine, con fossili
meno abbondanti e a frammenti più minuti.
Sopra al “Calcare di M.Cavallo” troviamo il Rosso di Col Indes (Santoniano Maastrichtiano) non presente nella riserva.
Al Rosso di Col Indes segue la Scaglia grigia (Maastrichtiano).
Scaglia grigia: è costituita da una serie di alternanze: calcari marnosi, marne ed
anche rari interstrati argillosi; si notano anche dei livelletti di selce grigio-scura più o
meno abbondante che si presenta in noduli, in straterelli o in forme bizzarre simili a
rametti, di colore grigiastro scuro.
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Gli strati di scaglia variano da pochi centimetri al mezzo metro, in genere sono di color grigio; la potenza di questo orizzonte è di circa 35-40 metri.
La scaglia grigia affiora lungo la dorsale Pian della Pita - Casera Prese.
Si trova poi, sopra, la Scaglia rossa (Maastrichtiano - Paleocene sup.).
Scaglia rossa: calcare marnoso e marne ad evidente colorazione rosso mattone,
rosaceo, con intercalazioni grigiastre, senza selce.
La stratificazione è assai fitta, da 5 a 30 cm circa ed a causa o dell’intensa fratturazione, o
della mancanza del tetto stratigrafico, non è possibile dare uno spessore esatto che tuttavia
si dovrebbe aggirare su qualche decina di metri.
Interessanti anche i limitati affioramenti segnalati qui per la prima volta, in località Pianel e
in Pian della Pita.
Depositi quaternari
Nella riserva sono presenti depositi torbosi, peraltro molto limitati, che si possono osservare lungo il suo confine NE, zona Piaie Longhe, sul viale L, alla testata del torrente
Vallorghet. Depositi più numerosi, anche se un po’ limitati, si possono rinvenire sul fondo
delle vallette e delle numerose doline a fondo piatto.
Depositi torbosi: trattasi di depositi, tipici delle zone pianeggianti, costituiti da un
orizzonte ricco di sostanza organica, quasi sempre imbevuto d’acqua, più o meno
acquitrinoso, asfittico, color nerastro, simile ai tipici depositi di torba. La sua genesi
e conservazione è legata all’abbondante vegetazione (accumulo soprattutto di foglie)
ed ai sottostanti materiali argillosi impermeabili; questi ultimi sono dovuti all’alterazione della roccia calcarea e marnosa e alla parte più fine dei depositi fluvioglaciali.
Tettonica
Nella riserva integrale “Piaie Longhe - Millifret” gli strati sono in gran parte suborizzontali,
ad eccezione nella zona del M. Millifret dove costituiscono il versante sinistro del Vallone
Vallorch; qui però sono molto inclinati (anche 60°), immergono verso SSW (la flessura già
citata).
La zona, inoltre, è interessata da numerose fratture e da alcune rare faglie di rilievo, dirette
NW-SE, che hanno condizionato sia il sistema di vallette, che la morfologia delle doline
(loro allungamento e allineamento). Sull’orlo della scarpata che delimita la riserva, numerose
e grandi fratture seguono invece il motivo tettonico della Val Lapisina che è NS.
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TETTONICA IN CANSIGLIO
Da un punto di vista strutturale, l’Altopiano del Cansiglio è costituito da un’ampia
brachianticlinale con asse NNE-SSW che presenta nella sua parte centrale una inflessione (sinclinale del Pian Cansiglio) avente lo stesso asse. Ne deriva che gli strati rocciosi sono, nelle zone periferiche e più elevate, orizzontali e si inflettono verso il centro
della brachianticlinale suddetta (che corrisponde al Pian Cansiglio) dove ritornano
orizzontali.
Lungo i margini e verso l’esterno dell’Altopiano, gli strati da suborizzontali tendono
ad immergersi rispettivamente verso la pianura veneto-friulana e verso la Val
Lapisina.
Si osserva in genere come la morfologia segua molto bene la tettonica: nelle parti periferiche pianeggianti (Candaglia e Pian della Pita) gli strati sono suborizzontali; poi essi
si presentano pressoché paralleli ai fianchi ovvero le superfici di strato coincidono
grosso modo con l’inclinazione dei versanti per poi tornare orizzontali nella parte pianeggiante dell’area centrale dell’Altopiano (sinclinale di Pian Cansiglio). Ad una più
attenta osservazione si nota però che l’asse tettonico della sinclinale è spostato un po’
a W-NW ed è parallelo a quello morfologico: questo perché il carsismo ha approfondito di più il margine sudorientale della conca, affiorando qui abbondantemente il calcare.
La sinclinale inoltre è asimmetrica, avendo gli strati molto inclinati (flessura) sul margine nord-occidentale dove si notano anche delle faglie a debole rigetto; invece essi
sono meno inclinati lungo il margine sud-orientale della conca.
Le principali linee di disturbo che hanno interessato l’Altopiano e che hanno, più o
meno, influenzato la morfologia della riserva sono le seguenti:
- linea di Vallorch. E’ una flessura sviluppatesi nella scaglia grigia e rossa che ha
interessato il margine SE della riserva integrale.
- linea di Pian Osteria. Da questa località si dirige verso E-NE e la Valmenera, dove
si perde, passando nei pressi di Casera Costalta ed ha una immersione da 40° a
60° verso N-NW.
Fra Casera Costalta e Casera Moretto si può osservare e seguire, anche se a fatica data
la copertura della vegetazione, una faglia che dalla linea di Pian Osteria scende, grosso modo a SW e S, verso il Piano di Valmenera.
Morfologia
Forme del modellamento normale: sono legate alle acque correnti e appaiono molto limitate tanto che non si evidenziano nel complesso del paesaggio.
Si tratta di vallette e solchi paralleli tra loro, diretti lungo la massima pendenza.
Interessante rilevare come siano numerosi i solchi, o tratti di essi, aventi andamento NE-SW,
che seguono quindi la direzione della sinclinale dell’altopiano, oppure con andamento NW-SE,
chiaramente legati alla tettonica e, infine, con direzione NS, legata alla tettonica della Val
Lapisina.
Nella riserva non ci sono né sorgenti, né ruscelli o piccoli corsi d’acqua attualmente attivi.
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Morfologia carsica: in località Pian della Pita si osservano doline e, nelle zone dei calcari,
alcuni allineamenti (che sono pressoché assenti sulla scaglia).
Dove la pendenza è maggiore, ad esempio versante SE del M. Millifret, ci sono alcuni notevoli esempi di carso a blocchi, molto belli.
Da segnalare sul bordo occidentale della riserva, soprattutto dove affiorano i calcari, la presenza di vallette profondamente incise, crepacci carsici, campi solcati, spaccature nella roccia, fratture spesso parallele tra loro, scarpatine tettoniche tutte rigorosamente orientate NS, interessate più o meno dalla corrosione carsica.
Netta è la prevalenza delle forme tipiche del carso coperto.
Per quanto concerne il numero delle cavità sotterranee, esso è assai limitato.
Si tratta di cavità a prevalente sviluppo verticale, di modesto sviluppo, con pozzi e sale
interne; tali morfologie sono legate ai calcari e alle fratture della roccia.
Non ci sono sistemi carsici di notevoli dimensione come nelle altre parti dell’Altopiano.
Nella scaglia il numero delle cavità è, in proporzione, ancor più esiguo e questo ben lo si
comprende considerando come essa sia molto meno carsificabile rispetto ai calcari; tuttavia
si possono avere dei piccoli cunicoli suborizzontali e delle modeste sale interne.
MORFOLOGIA CARSICA DEL CANSIGLIO
Assieme alla morfologia strutturale, quella carsica è prevalente.
I Carsologi parlano del “Polje del Cansiglio” intendendo con questo una grande
conca carsica chiusa, impostatasi su un accidente tettonico “brachianticlinale del
Cansiglio” che ha avuto una inflessione nella sua parte più elevata, come già detto.
All’interno della conca si possono distinguere altre depressioni più piccole dette
“uvala” quali il Pian Cansiglio, Valmenera, Cornesega, Le Code; all’interno di queste ultime, ulteriori numerosissime piccole conche dette “doline”. Queste sono più
numerose e di maggiori dimensioni nelle zone pianeggianti e dove affiorano i calcari, rare e più piccole sui pianori dove affiora la scaglia e sui versanti calcarei; pressoché assenti sui versanti in scaglia.
Ad un così notevole sviluppo del carsismo superficiale, corrisponde un altrettanto
importante carsismo sotterraneo, non ancora ben studiato per oggettive difficoltà di
esplorazione.
Infatti in Cansiglio si contano circa 200 cavità in gran parte esplorate e catastate,
localizzate prevalentemente nei calcari, lungo il bordo NE dell’Altopiano. La maggiore cavità è il Bus della Genziana con quasi 600 metri di profondità e circa 4 km
di sviluppo.
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ELENCO DELLE SINGOLARITA’ NATURALISTICHE LEGATE ALLA
GEOLOGIA E AI PROCESSI MORFOGENETICI
Vengono di seguito elencate le più belle, tipiche e più didattiche singolarità naturalistiche legate al substrato, alla tettonica ed ai fattori morfogenetici, indicandone
anche la loro localizzazione d’insieme.
Affioramenti tipici di calcare: M.te Millifret.
Affioramenti tipici di scaglia grigia: dorsale all’altezza del Viale 22 fino a
Casera Prese e oltre, testata del T. Vallorghet.
Faglie: testata destra del T. Vallorghet.
Aree molto disturbate tettonicamente: tra Millifret e Pianel.
Spianate strutturali: Pian della Pita.
Incisioni da ruscellamento: lungo il confine dal cippo 13 al cip. 5 del Viale L.
Carsismo superficiale:
- Carso a blocchi: su tutte le sommità, anche se poco rilevate, o su qualche cresta;
esempio: testata di Vallorghet, lungo il margine del confine W della R.N.I..
- Crepacci e vallecole carsiche: lungo il margine del confine W.
- Doline: Pian della Pita.
Carsismo profondo:
- Bus delle Prese: ad andamento verticale, si sviluppa lungo una frattura verticale
ampliatasi per carsismo.
STUDI PRECEDENTI DI CARATTERE GEOLOGICO
E GEOMORFOLOGICO
Come dice bene il Cancian (1985), il Cansiglio è stato oggetto di osservazioni da
parte di diversi studiosi di geologia e carsismo. Per quanto riguarda gli studi geologici più recenti, va ricordato F. Ferasin (1958) che diede per primo una completa visione al cosiddetto “Complesso di Scogliera“ cretacico del Veneto orientale. Un notevole contributo dal punto di vista strutturale è stato dato poi da A. De Nardi (1965)
che si occupò della tettonica di tutto il massiccio del Cansiglio - Cavallo; successivamente (1977) lo stesso Autore ampliò questi studi con altre notevoli osservazioni di
carattere geologico e morfologico.
G.B. Castiglioni (1964) si interessò prevalentemente delle forme del carsismo superficiale dell’altopiano del Cansiglio.
Per quanto riguarda gli studi sul carsismo ipogeo, esiste una letteratura vasta ma
frammentaria. Infatti, su vari periodici e bollettini editi da Gruppi Speleologici compaiono note su varie cavità carsiche della zona.
Già nel 1915 G. De Gasperi pubblicò nel volume “Grotte e voragini del Friuli” diversi rilievi e brevi descrizioni di grotte del Cansiglio.
Nel 1925 uscì un lavoro di E. Boegan sul “Il Bus della Lum”, che allora era ritenuto
una delle più profonde voragini d’Italia; della stessa cavità si occupò anche Feruglio
(1929) e, più recentemente, E. De Beni (1960).
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M. Vianello (1961) e P. Guidi (1968) fornirono invece alcuni elementi inediti di
nuove grotte del Cansiglio-Cavallo, corredati da rilievi topografici e catastali.
Una nota sul fenomeno carsico profondo dell’Altopiano è stata data anche da V.
Toniello (1973), in una sintesi della sua tesi di laurea.
B. Baldassi et alii (1973) descrissero poi l’esplorazione del “Bus de la Genziana”,
che attualmente è la maggior cavità naturale del Cansiglio ed è tra le più profonde
d’Italia.
M. Piccin e V. Toniello (1979) descrissero anche il “Bus del Pal“ e il “Pozzo presso
Casere Code”, allegando rilievi topografici e diversi dati geologici e tettonici.
Infine il Gruppo Speleologico CAI di Vittorio Veneto, cura il Catasto Grotte
dell’Altopiano del Cansiglio.
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vegetazione
ASPETTI VEGETAZIONALI
Tratto da: Lasen C., 2000. Indagini floristico-vegetazionali per la redazione dei piani
di gestione delle riserve naturali “Pian di Landro - Baldassare” e “Piaie Longhe Millifret”. Inedito.
Per comprendere nella sua complessità l’assetto naturalistico della riserva, è opportuno
tenere in debita considerazione le modifiche avvenute nel più recente passato e ricordare
come, all’inizio del ‘900, questa superficie fosse per gran parte interessata dalla presenza di
pascoli e prati. Nel 1930 (AA.VV., 1930) vengono rilevati popolamenti radi, perticaie con
ceppaie e molte chiarie nei nuovi impianti. Nel 1940 si conferma la presenza di molte radure e di estesi danni da pascolo e da tagli abusivi. Dieci anni più tardi, la superficie era in
gran parte coperta da giovane vegetazione, stangaie, fustaie: era iniziata l’evoluzione a
bosco.
Oggi l’intero territorio della riserva è caratterizzato, salvo limitate eccezioni, dalla presenza
di una copertura forestale continua la quale, come si avrà modo di vedere, condiziona l’assetto e la dinamica delle comunità vegetali e animali.
A prescindere dalla vegetazione reale oggi esistente, in larga misura condizionata da vicende storiche più ancora che da fattori topografici e naturali (comunque da considerare nei
dettagli per valorizzare la biodiversità), si può, sulla base di valutazioni complessive di ordine
fitogeografico, affermare che la vegetazione potenziale (corrispondente anche al concetto
classico di climax) è rappresentata, nella riserva naturale “Piaie Longhe - Millifret”, dalla
faggeta altimontana tipica. Qualsiasi altro tipo identificabile può essere considerato di
carattere secondario o quale stadio di transizione sulla cui evoluzione hanno pesato fattori
storico-antropici o pesano tuttora condizionamenti edafici e microclimatici che bloccano l’evoluzione verso il climax.
In realtà nella riserva del Millifret una modesta porzione, quella situata a quote più basse,
potrebbe a ragione rientrare nella faggeta montana tipica, soprattutto considerando la
quota e la sostanziale mancanza di specie differenziali di alta quota.
Oltre alla faggeta, altimontana in massima parte ma, in misura minore anche montana, una
notevole estensione è occupata da rimboschimenti di abete rosso che versano attualmente in situazioni precarie e che sono i più meritevoli di essere interessati da auspicabili
interventi di rinaturazione. Si tratta di situazioni con età variabili ma comunque di alte perticaie o giovani fustaie, spesso molto dense e prive, o quasi, di sottobosco erbaceo. Tutte
queste situazioni sono riconducibili a peccete secondarie su potenziali faggete (altimontane
o montane). A prescindere dal fatto che l’abete rosso, qui in Cansiglio come altrove, abbia
dimostrato elevata capacità di crescita e di adattamento, non vi sono segnali naturali che
lascino intendere una sua possibile e definitiva affermazione.
In questa riserva, oltre alle formazioni marcatamente forestali, sono riconoscibili due altre
tipologie di habitat che meritano alcune considerazioni. La prima è rappresentata dalle creste in cui sono riconoscibili stadi arbustivi ed erbacei che possono assolvere importanti funzioni a livello di mantenimento della biodiversità e la seconda dalle radure di alte erbe, in
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passato favorite dal pascolo e oggi dall’azione della neve.
Sul crinale che da sudovest conduce verso la cima del Millifret si riconosce una ristretta
fascia nella quale si concentra gran parte della biodiversità specifica della riserva.
L’affioramento di calcari, associato all’azione del vento e ad altri fattori topografici, favorisce
la residua permanenza di entità di Seslerietalia anche se, per la limitata estensione delle
aree libere da vegetazione arborea, non è possibile eseguire rilievi che abbiano un preciso
valore fitosociologico per la mancanza dei requisiti minimi dell’omogeneità stazionale. Si
tratta di frammenti che, con ogni probabilità, sono riferibili al Caricion austroalpinae. Il
recente lavoro della scuola di Poldini (Chiapella Feoli I. & Poldini I., 1994) sui prati calcarei
del Friuli, pur illuminante, non risolve tutti i problemi di natura sintassonomica che restano
aperti, soprattutto nel caso in oggetto dove l’intenso dinamismo favorisce situazioni ecotonali non assimilabili a unità vegetazionali stabili. Tali situazioni sono diverse anche da quelle
osservate nel massiccio del Grappa (Lasen C., 1995). L’aspetto probabilmente più originale
e significativo è rappresentato dalla consistente presenza di grandi ombrellifere, in particolare da Molopospermum peloponnesiacum, specie interessante con ampie lacune nel suo
areale al sud delle Alpi. Questa specie vegeta anche in consorzi di megaforbie all’interno del
bosco. La coesistenza di specie tendenzialmente xerotermofile ed altre più mesofile rivela la
forte competizione in atto dove lo spazio vitale è conteso sulla base della morfologia di dettaglio che genera, entro limiti molto ristretti, suoli estremamente superficiali con roccia
affiorante oppure di buon spessore in corrispondenza della formazione di sacche più
profonde. In zone aperte, presso i crinali e anche nelle radure soggette a ruscellamento
superficiale, sono diffusi aspetti, sempre frammentari, a Calamagrostis varia dominante.
Per quanto concerne aggruppamenti di alte erbe, assai diffusi nelle radure boschive, sono
stati osservati aspetti molto differenziati in cui, di volta in volta, predominano: Aconitum
(soprattutto lamarckii), Senecio cacaliaster, Urtica dioica. Presenti anche Impatiens nolitangere e Senecio cordatus. L’abbondanza di Veratrum ed Helleborus è in relazione al
pascolo pregresso. Non mancano i lembi in cui è riconoscibile il Rubetum idaei (consorzi a
dominanza di lamponi) che caratterizza i margini boschivi e le zone di depressione o pendio
in cui vi è accumulo di nutrienti con attivi processi di decomposizione. Anche la neve svolge, a tal proposito, un ruolo significativo.
Tra i consorzi arbustivi si segnalano, sempre su estensioni molto limitate ma che è opportuno citare nell’ambito del mantenimento della biodiversità, frammenti di Salicetum appendiculatae e di aggruppamenti a Laburnum alpinum, con apprezzabile partecipazione di
Salix glabra. Si tratta di formazioni di transizione che interessano terreni abbandonati sui
quali è apprezzabile l’effetto della neve.
Si segnala infine, nelle rare zone rupestri in prossimità del crinale, la presenza di SpiraeoPotentilletum caulescentis, di indubbio interesse naturalistico come tutta la vegetazione
pioniera di pareti rocciose e detriti di falda.
Non sembra il caso di accennare ai frammenti di vegetazione ruderale e sinantropica, spesso effimeri, che sono dislocati lungo i sentieri e le piste forestali, dal momento che, sulla
base delle indagini effettuate, non sono emerse peculiarità degne di menzione.
Un approfondimento merita invece una lama caratterizzata dalla presenza di Phragmites
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australis. Indipendentemente dal loro valore intrinseco e dalle eventuali rarità che potrebbero albergare, tutti i microbiotopi umidi, di qualsiasi genesi ed estensione, meritano assoluto
rispetto e un adeguato censimento. La vegetazione degli ambienti umidi è infatti un’importante e affidabile spia per rilevare la qualità dell’ambiente e, in particolare, l’eutrofizzazione.
Emergenze floristiche
Mentre il Cansiglio è ambiente famosissimo per l’esistenza di specie uniche a livello di
microfauna invertebrata, non altrettanto si può affermare per le piante vascolari ma, notoriamente, gli ambienti nemorali sono quelli meno adatti ad interpretare l’originalità e la specificità di un territorio, dato che si tratta di suoli evoluti in cui prevalgono, necessariamente,
entità più o meno mesofile la cui distribuzione è piuttosto ampia.
Ci si limita quindi, in questa sede, a segnalare brevemente le specie significative a livello floristico e biogeografico in quanto rare o con areale disgiunto o situate al limite dello stesso o,
ancora, che rientrano nell’elenco delle specie protette.
Nella lista rossa delle piante minacciate (Conti F., Manzi A., Pedrotti F., 1997) compare una
sola specie tra quelle comprese nell’elenco nazionale e si tratta del non raro Leontopodium
alpinum, la nota stella alpina che essendo stata oggetto di raccolte indiscriminate nel recente passato, ha consigliato gli autori a inserirla in elenco con la qualifica (derivante dalle normative IUCN) di specie vulnerabile. Fra le specie (di solito vistose od officinali) che secondo
l’allegato V della direttiva habitat (92/43) potrebbero richiedere l’adozione di provvedimenti
atti a limitarne la raccolta si citano Lycopodium annotinum, Arnica montana, e
Galanthus nivalis. Sono presenti anche specie rare a livello locale quali Laserpitium krapfii subsp. gaudinii (specie al limite di areale, non segnalata nel vicino Friuli-Venezia Giulia),
Molopospermum peloponnesiacum (uniche stazioni in provincia di Belluno). Infine vanno
ricordate le specie endemiche Ranunculus venetus (gruppo di R. montanus, predilige i
prati e i pascoli sassosi), Spiraea decumbens subsp. tomentosa (casmofita), il già citato
Laserpitium krapfii (margini boschivi e cespuglieti asciutti), Campanula carnica (rupi),
Phyteuma scheuchzeri (sempre la subsp. columnae, entità di ambienti erboso-rupestri) e
Carex austroalpina che solo occasionalmente entra in consorzi forestali radi in pendii calcarei soggetti a ruscellamento.
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BIODIVERSITÀ, RARITÀ, ENDEMISMI VEGETALI
Il concetto di biodiversità è ormai entrato nel linguaggio comune in seguito alla ratifica della convenzione di Rio de Janeiro e al suo recepimento. Sia in Italia che nei
paesi dell’UE si stanno attuando programmi sulla base di direttive generali che sono
imperniate sulla conservazione della biodiversità quale presupposto per uno sviluppo cosiddetto sostenibile (meglio sarebbe utilizzare il termine “durevole”). Esistono
più livelli di biodiversità e in questa relazione ci si riferisce principalmente a quella
specifica e, in misura più marginale, a quella cenotica. Si stanno ora moltiplicando i
contributi che hanno lo scopo di mettere a fuoco dei criteri di stima quantitativa
della biodiversità ma per le nostre finalità conviene senza dubbio riferirsi ancora ad
un approccio di tipo classico senza scomodare sofisticate tecnologie satellitari che
potrebbero, eventualmente, essere utilizzate in futuro,nelle fasi di monitoraggio.
Le riserve naturali “Piaie Longhe - Millifret” e “Pian di Landro - Baldassare” presentano sia lembi di elevata naturalità che situazioni pesantemente condizionate dagli
interventi antropici. Pascolo, rimboschimenti, trasemine e concimazioni per aumentare la produzione foraggera hanno avuto il loro peso nel determinare l’attuale composizione floristica e i conseguenti livelli di biodiversità. Il fatto che siano state istituite delle riserve integrali è probabilmente il sintomo di una intuizione che porta
l’uomo a conservare beni preziosi prima che sia troppo tardi. Ciò non significa affatto che le aree di riserva naturale corrispondano a territori integri. Un confronto sui
livelli di biodiversità impostato su parametri quantitativi avrebbe, al momento, un
significato trascurabile. Né, d’altra parte, una stima del livello di biodiversità fondata solo sul numero di specie presenti in un certo territorio, rappresenterebbe un criterio valido per esprimere il maggiore o minore valore biogeografico di quel sito. Un
bosco climax, che è indubbiamente espressione di un elevato valore biogeografico,
potrebbe essere intrinsecamente povero di specie e relativamente omogeneo su
vaste superficie. Un intervento antropico, quale la costruzione di una pista forestale,
creerebbe nuove nicchie ecologiche che porterebbero ad un sicuro incremento del
numero di specie, ma in nessun caso tale intervento può essere spacciato come atto
a migliorare il valore naturalistico e biogeografico di quell’ambiente.
Si potrebbe facilmente supporre che ad una foresta relativamente ed apparentemente omogenea qual è il Cansiglio, corrispondano valori modesti di biodiversità. In
realtà non è così in quanto la geomorfologia di dettaglio e l’ambiente carsico introducono molte nicchie nelle quali vengono ospitate, sia pure entro spazi ristretti,
peculiari comunità vegetali.
Le differenze più significative, in termini di contributo alla biodiversità, sono determinate dalle specie orofile ed eliofile localizzate sul crinale del Millifret e dalle
profonde doline, con specie microterme, sciafile e di forra, nella riserva Pian di
Landro - Baldassare. A ciò si devono aggiungere, indistintamente, tutti gli ambienti
umidi e, a maggior ragione, le discontinuità derivanti dall’affioramento di rocce.
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fauna
ASPETTI FAUNISTICI
Tratto da: Lombardo S., 2000. Indagine faunistica sulle riserve naturali “Pian di
Landro - Baldassare” e “Piaie Longhe - Millifret”. Inedito.
La riserva è costituita da una stretta fascia di crinale, ricoperta da popolamenti forestali generalmente giovani, che confina con ambienti molto vari (zone rupestri impervie, faggete mature, pascoli). Tale posizione crea condizioni favorevoli al transito di molte specie animali, sia
mammiferi che uccelli. In particolare, la zona che va dal Monte Millifret al Monte Pizzoc è
nota da tempi molto remoti per il massiccio transito autunnale di uccelli migratori (fringillidi e
turdidi). Cacciatori, uccellatori, bird-watchers, ornitologi hanno da sempre frequentato quest’area dove gli avvistamenti interessanti sono frequenti.
Per quanto concerne i mammiferi, invece, la zona è utilizzata per gli spostamenti tra il
Cansiglio e i versanti della Val Lapisina, tra le zone di pascolo (Prese e Pizzoc) e la foresta,
nonché come rifugio.
Dal punto di vista delle condizioni ambientali non si può tuttavia non sottolineare come l’assetto delle fitocenosi, caratterizzate da formazioni arboree chiuse e prive di radure e sottobosco, condizioni in modo non positivo l’assetto e le dinamiche delle popolazioni di fauna vertebrata, soprattutto di fauna erbivora.
Pur tuttavia l’assetto faunistico è comunque meritevole di attenzione e, quanto meno a livello
potenziale, il territorio della riserva si pone certamente come un’area di non disprezzabile
interesse.
Anfibi e Rettili
Nella riserva mancano raccolte d’acqua dove gli anfibi si possano osservare in gran
numero; non mancano tuttavia specie quali il tritone alpino (Triturus alpestris), l’interessante ululone dal ventre giallo (Bombina variegata), il rospo comune (Bufo bufo) e la
rana montana (Rana temporaria).
Fra i rettili, all’ubiquitario orbettino (Anguis fragilis) si associano la lucertola vivipara
(Zootoca vivipara) e l’aspide (Vipera aspis francisciredi).
Uccelli
Rappresentano, come già accennato, una componente molto importante della comunità animale della riserva. Qui sono stati osservati interessanti uccelli rapaci quali il falco pecchiaiolo
(Pernis apivorus), il biancone (Circaetus gallicus), l’astore (Accipiter gentilis), lo sparviere
(Accipiter nisus), il gheppio (Falco tinnunculus), il pellegrino (Falco peregrinus). Riveste
eccezionalità la segnalazione del grifone (Gyps fulvus).
I tetraonidi, sono rappresentati da francolino di monte (Bonasa bonasia), gallo cedrone
(Tetrao urogallus) e fagiano di monte (Tetrao tetrix). Le popolazioni di queste interessanti
specie sono purtroppo in uno stato di sofferenza, dovuto principalmente alle dinamiche di sviluppo della foresta, che in questi ultimi anni ha manifestato una tendenza a chiudersi, comportando l’eliminazione delle radure e delle macchie arbustive tanto importanti per questi gal21
liformi. Il francolino di monte, a esempio, manca nei popolamenti coetanei con conifere
dominanti e nelle faggete mature prive di sottobosco della riserva.
Anche i rapaci notturni sembra abbiano risentito di questo fenomeno in maniera non positiva; essi sono comunque tutt’ora rappresentati da numerose specie come, (civetta nana
(Glaucidium passerinum), allocco (Strix aluco), gufo comune (Asio otus), civetta capogrosso
(Aegolius funereus). Queste specie spesso sfruttano per la nidificazione le cavità scavate dal
picchio nero (Dryocopus martius) e dal picchio rosso maggiore (Picoides major), che peraltro nell’ambito della riserva sono molto ridotte.
Nei cieli della riserva è possibile osservare specie quali il rondone (Apus apus), il rondone
maggiore (Apus melba), la rondine montana (Ptyonoprogne rupestris), la rondine (Hirundo
rustica), il balestruccio (Delichon urbica).
I passeriformi sono numerosissimi; fra le specie nidificanti si ricordano scricciolo
(Troglodytes troglodytes), passera scopaiola (Prunella modularis), pettirosso (Erithacus
rubecola), codirosso spazzacamino (Phoenicurus ochruros), merlo dal collare (Turdus
torquatus), merlo (Turdus merula), tordo bottaccio (Turdus philomelos), tordela
(Turdus viscivorus), bigiarella (Sylvia curruca), luì piccolo (Phylloscopus collybita), regolo (Regulus regulus), cincia bigia alpestre (Parus montanus), cincia dal ciuffo (Parus cristatus), cincia mora (Parus ater), cinciallegra (Parus major), picchio muratore (Sitta
europaea), ghiandaia (Garrulus glandarius), fringuello (Fringilla coelebs), ciuffolotto
(Pyrrhula pyrrhula).
Durante le migrazioni la comunità ornitica si arricchisce in numero e varietà. In questi
periodi si possono osservare altre interessanti specie quali il culbianco (Oenanthe
oenanthe), il tordo sassello (Turdus iliacus), il luì verde (Phylloscopus sibilatrix), il luì grosso (Phylloscopus trochilus) e, ancora, pigliamosche (Muscicapa striata), balia nera
(Ficedula hypoleuca), rigogolo (Oriolus oriolus), nocciolaia (Nucifraga caryocatactes),
peppola (Fringilla montifringilla), verzellino (Serinus serinus), verdone (Carduelis chloris), cardellino (Carduelis carduelis), lucherino (Carduelis spinus), fanello (Carduelis cannabina), organet to (Carduelis flammea), crociere (Loxia curvirostra), frosone
(Coccothraustes coccothraustes).
Di notevole interesse la segnalazione, per la zona del monte Pizzoc e per le aree limitrofe,
di specie non comuni o comunque poco conosciute quali sterpazzola (Sylvia communis),
beccafico (Sylvia borin), averla maggiore (Lanius excubitor), venturone (Serinus citrinella),
organetto artico (Carduelis (h) exilipes), crociere fasciato (Loxia leucoptera), crociere delle
pinete (Loxia pytyopsittacus), ciuffolotto scarlatto (Carpodacus erythrinus), zigolo delle
nevi (Plectrophenax nivalis), zigolo golarossa (Emberiza leucocephalos), zigolo nero
(Emberiza cirlus), ortolano (Emberiza hortulana), migliarino di palude (Emberiza schoeniclus), zigolo minore (Emberiza pusilla), strillozzo (Miliaria calandra).
Dalle zone contermini talora raggiungono questo territorio anche sordone (Prunella collaris), picchio muraiolo (Tichodroma muraria), gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus),
corvo imperiale (Corvus corax), fringuello alpino (Montifringilla nivalis).
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Mammiferi
La riserva è popolata da un buon numero di specie diverse di mammiferi. Molto attivi al
suolo sono alcuni insettivori quali il toporagno comune (Sorex araneus) e il toporagno nano
(Sorex minutus); è segnalata inoltre anche la talpa (Talpa europaea).
Di notevole interesse la presenza di una popolazione di lepre alpina (Lepus timidus), mentre più comuni sono lo scoiattolo (Sciurus vulgaris) e il ghiro (Myoxus glis), il primo osservabile di giorno, il secondo con abitudini per lo più notturne.
Tra i roditori vanno ricordati inoltre l’arvicola rossastra (Clethrionomys glareolus), tipicamente forestale, l’arvicola campestre (Microtus (M.) arvalis), il topo selvatico dal collo giallo
(Apodemus (Sylvaemus) flavicollis) e il topo selvatico (Apodemus (Sylvaemus) sylvaticus).
La volpe (Vulpes vulpes) frequenta la riserva in ogni periodo dell’anno ed è segnalata
anche la presenza di tasso (Meles meles) e donnola (Mustela nivalis), tutte specie che qui si
riproducono.
Poche notizie si hanno dell’elusiva martora (Martes martes), un mustelide forestale che può
essere annoverato fra la fauna della riserva.
Le popolazioni di ungulati sono interessanti; qui infatti, oltre al capriolo (Capreolus capreolus) e al cervo (Cervus elaphus) (quest’ultima specie non abbondante), si possono osservare
camoscio (Rupicapra rupicapra) e cinghiale (Sus scrofa), quest’ultimo rappresenta una
recente acquisizione della fauna del luogo.
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Lepre alpina (Lepus timidus)
Descrizione della specie
Sostituisce la lepre comune in ambienti subalpini e alpini. È tipica per la colorazione del
mantello, variabile nell’anno: grigio bruno d’estate, bianco d’inverno, evidente adattamento
in presenza di neve. La sua alimentazione è più spostata, rispetto alla lepre comune, verso
gli arbusti (ontano verde, betulla, ecc.). Questa specie, soprattutto negli areali più settentrionali, dà luogo a forti fluttuazioni periodiche, i cui motivi non sono del tutto chiariti. È una
preda tipica dell’aquila reale.
Habitat e distribuzione
È legata a climi continentali con inverni nevosi. Sulle Alpi, dove è presente come relitto glaciale, vive oltre il limite della vegetazione arborea. In Cansiglio è presente nel gruppo del
monte Cavallo, a partire da Casera Palantina. Da lungo tempo è comunque segnalata nella
fascia di cresta dal monte Pizzoc, Millifret, Pian de la Pita, Campon, mentre nella restante
parte del territorio è presente la lepre comune. Questa piccola popolazione è limitata e isolata, e ciò ne aumenta la vulnerabilità; gli inverni poco nevosi, frequenti negli ultimi decenni,
rendono inoltre difficile la sopravvivenza di questo animale a causa del suo bianco mantello,
particolarmente visibile in assenza di neve.
Camoscio (Rupicapra rupicapra)
Descrizione della specie
Tipico ungulato alpino, di medio-grosse dimensioni la cui struttura fisica è perfettamente
adattata a muoversi in ambiente roccioso. Di colore rosso bruno d’estate e più scuro
d’inverno, il ventre e il sottocoda sono bianchi, le zampe sono nere e il muso presenta
due strisce nere che attraversano gli occhi; entrambi i sessi presentano corna uncinate.
Ha una dieta erbivora. Fra le curiosità si ricorda che le femmine possono custodire i piccoli di altre femmine formando i cosiddetti asili; spettacolari inoltre sono le rincorse dei
maschi durante la stagione degli amori.
Habitat e distribuzione
È regolarmente presente sul massiccio del monte Cavallo, nella zona di Palantina. Da
alcuni anni (1995) alcuni esemplari (max 5) sono stati ripetutamente osservati sulla sinistra idrografica della Val Lapisina, tra Agnelleze (Pizzoc), Pian de la Pita e Prese. Si tratta
di un primo ripopolamento spontaneo di tale specie in provincia di Treviso. Questa piccola colonia sembra tuttavia crescere piuttosto lentamente.
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Cinghiale (Sus scrofa)
Descrizione della specie
È un suide selvatico di grosse dimensioni (fin oltre il quintale) che si muove in branchi
nutrendosi di frutti, semi, bulbi, radici, larve, invertebrati, micromammiferi, carcasse, cibo
che viene reperito sia sopra che sotto la superficie del terreno.
L’attività di scavo, attuata con il grugno, può essere molto ingente e raggiungere profondità
di decine di centimetri, con il ribaltamento del cotico erboso. Questa specie, più di altre,
entra in attività di notte e può attuare grandi spostamenti, non essendo territoriale. Il cinghiale può partorire una o due volte all’anno un numero di piccoli che arriva a sei. La mortalità dei cinghialetti può essere elevata ed è legata più all’andamento climatico e alle disponibilità alimentari che non alla predazione.
Habitat e distribuzione
Il cinghiale è specie molto adattabile e nel suo areale occupa ambienti disparati: da zone
semidesertiche a foreste di conifere, dal livello del mare fino alle praterie sopra il limite della
vegetazione arborea. Oltre alla disponibilità alimentare, un’esigenza essenziale è la presenza
d’acqua e quella di zone tranquille in cui trovare rifugio. In Cansiglio questa specie sta conoscendo una forte fase espansiva, che parte dai versanti prealpini friulani e trevigiani. Le
zone più frequentate sono proprio quelle ai confini esterni del demanio, come la riserva,
che rappresenta una zona di rifugio (per la densità del bosco) e di passaggio tra le tranquille
zone di riposo della Val Lapisina e le zone di alimentazione in Pizzoc e Prese.
La popolazione presente ai margini della foresta demaniale sta crescendo velocemente per
la presenza di un habitat adatto.
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Scarpata su Val Lapisina (V. Toniello)
Carso a blocchi (V. Toniello)
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Cicutaria fetida (C. Lasen)
Stella Alpina (G. Paoletti)
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Rana rossa maschio (S. Lombardo)
Astore (F. Mezzavilla)
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Volpe (S. Lombardo)
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Riserva Naturale Orientata
Pian di Landro - Baldassare
LA CARTA DI IDENTITÀ DELLA RISERVA
ASPETTI GENERALI
Denominazione: Riserva Naturale Orientata “Pian di Landro - Baldassare”
Atto di istituzione: D.M. 26.7.1971 (G.U. 256, 11.10.1971)
Comune: Tambre d’Alpago (BL)
DATI TERRITORIALI
Quota minima: m 907 s.l.m.
Quota massima: m 1086 s.l.m.
Superficie: 266 ettari
ASPETTI AMBIENTALI
Tipologie ambientali principali: boschi misti con abete bianco, faggio, abete
rosso; radure con vegetazione erbacea; zone umide.
Peculiarità floristico-vegetazionali: abieteto esomesalpico montano; presenza
di grandi alberi; presenza di specie vegetali endemiche, rare a livello locale,
inserite in liste rosse delle piante minacciate.
Peculiarità faunistiche: area di rilevante interesse per la fauna autoctona stanziale dei boschi alpini. Presenza di francolino di monte, civetta nana, civetta
capogrosso, cervo, anfibi.
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geologia
ASPETTI GEOLOGICI E GEOMORFOLOGICI
Tratto da: Toniello V., 2000. Geomorfologia, singolarità naturalistiche e problematiche
connesse della Riserva Naturale Integrale di Piaie Longhe - Millifret e della Riserva
Orientata Pian di Landro - Baldassare. Inedito.
La Riserva Naturale Orientata “Pian di Landro - Baldassare” si trova al margine nord-orientale dell’Altopiano; ha forma piuttosto irregolare, allungata in direzione NW-SE, con dimensioni massime di km 5 per km 2.
Grosso modo presenta due aree pianeggianti rispettivamente a NW, con quote medie sui
1000-1050 m s.l.m. (Pian di Landro e Baldassare), e a SE, con quote medie sui 900-950 m
s.l.m. (Valmenera); esse sono raccordate da un ripido versante piuttosto regolare, orientato
in senso E-W.
Stratigrafia
Sull’Altopiano del Cansiglio affiorano rocce appartenenti al Cretacico superiore, all’Eocene
e depositi sciolti quaternari.
Partendo dalle rocce più antiche, troviamo il Calcare del M. Cavallo: gli affioramenti calcarei occupano la maggioranza dell’area nella Riserva Naturale Orientata. Da Valmenera
verso Baldassare si nota una progressiva diminuzione di grana e di clasti. Questi sono costituiti da fossili o da loro frammenti nei quali si possono riconoscere Rudiste, Nerinee, rari
coralli e Crinoidi.
Sopra al Calcare di M. Cavallo troviamo il Rosso di Col Indes (SantonianoMaastrichtiano).
Rosso di Col Indes: Si tratta di un calcare marnoso rosso violaceo, in grosse bancate, aventi numerose intercalazioni grigiastre. Le sue caratteristiche e lo spessore
sono assai variabili e spesso è difficile identificarlo in campagna. Ha una potenza di
una decina di metri ed il suo spessore diminuisce progressivamente verso Sud.
Nelle riserva affiora nei pressi di Casera Costalta e proprio sull’orlo del ripiano sottostante
alla Casera, a quota 1060 circa.
La Scaglia grigia (Maastrichtiano) affiora soprattutto nella parte centrale e lungo il margine dell’Altopiano; nella riserva nei pressi di Casera Costalta e nella parte sud delle
Baldassare, dove occupa aree assai limitate.
La Scaglia rossa (Mastrichtiano-Paleocene sup.) affiora tra Casera Pich e Pian Osteria;
nella riserva troviamo affioramenti (anche se molto limitati ma significativi) presso Casera
Costalta (Valmenera).
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Piaie Longhe - Millifret