MAGAZINE OPERA ROMA ONLINE Henry Purcell dido and aeneas Direttore Jonathan Webb Regia Chiara Muti TERME DI CARACALLA Palestra orientale 13, 14, 15, 16 giugno 2013, ore 21.30 N. 7 - STAGIONE 2012 - 2013 Terme di Caracalla, Palestra orientale - Foto E. Giovinazzo, F. Caricchia per SSBAR (Soprintendenza Speciale per i beni Archeologici di Roma) SOVRINTENDENTE Catello De Martino DIRETTORE ARTISTICO Alessio Vlad IN COPERTINA Johann Heinrich Füssli, Dido, 1871,Yale Center for British Art, Paul Mellon Collection, USA DIDO AND AENEAS Argomento...........................................................7 Un capolavoro nato in un collegio di Fedele D’Amico .............................................11 Parche e Streghe dal mito greco a Purcell ..................................14 Didone e Enea tra la materia dei sogni Intervista a Chiara Muti di Leonetta Bentivoglio .......................................17 Virgilio, Eneide, VI ............................................21 Henry Purcell ..................................................25 Jonathan Webb biografia ...................................26 Chiara Muti biografia ........................................27 ORO OperaRomaOnline MAGAZINE D’INFORMAZIONE DELL’UFFICIO STAMPA DEL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA IDEAZIONE E DIREZIONE Filippo Arriva REDAZIONE Cosimo Manicone Maria Stefanelli GRAFICA E STAMPA Federica Sistopaolo Tipografica Renzo Palozzi - Marino Dido and Aeneas Opera in un prologo e tre atti Libretto di Nahum Tate tratto dall’Eneide di Virgilio Musica di Henry Purcell Direttore Jonathan Webb Regia Chiara Muti Maestro del Coro Roberto Gabbiani Scene Mario Torre Costumi Alessandro Lai Movimenti coreografici Micha van Hoecke Luci Vincent Longuemare ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA Nuovo allestimento TERME DI CARACALLA Palestra orientale 13, 14, 15 e 16 giugno 2013 Thomas Jones, Paesaggio con Didone e Enea, 1769, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage ARGOMENTO Atto Primo Quadro primo – Il palazzo reale a Cartagine. Didone è tormentata da presentimenti e Belinda, la sua confidente, la esorta a vincerli. Belinda intuisce che la regina è innamorata di Enea, il principe troiano esule; e cerca di persuaderla che questo amore non farà altro che rafforzare il suo regno. Appare Enea, il quale dichiara a Didone che sfiderà ogni destino per un suo sorriso. Belinda e il seguito di Didone festeggiano la nascita del nuovo legame. Quadro secondo – Una caverna. Una strega, chiamata a raccolta le compagne, propone il suo piano: prima del tramonto bisognerà far sì che Didone perda l’onore, l’amore, la vita. Poiché il Fato vuole che Enea raggiunga il suolo d’Italia, la strega stabilisce che uno spirito a lei devoto gli appaia in forma di Mercurio comandandogli di partire immediatamente; intanto, sui boschi dove Enea e Didone sono a caccia si scateni una tempesta che li costringa al ritorno. Atto Secondo Un boschetto. Enea e Didone col suo seguito sono a caccia, e Belinda magnifica il luogo frequentato da Diana; ma una donna del seguito ricorda che appunto presso quella fontana Atteone trovò la morte. Improvvisamente la tempesta sorprende i cacciatori costringendoli alla fuga; ma lo spirito in sembianza di Mercurio arresta Enea e gli comanda in nome di Giove di partire immediatamente per l’Italia. Enea dichiara che obbedirà, sebbene l’idea di comunicare a Didone questa decisione lo atterrisca. Uscito Enea appare la strega con le sue compagne, a far festa per la riuscita del suo piano. Atto Terzo Sulla riva del mare. I marinai troiani esultano per la partenza imminente mentre le streghe meditano nuovi incantesimi: una tempesta si abbatterà sulla flotta di Enea mentre Cartagine andrà in fiamme. All’arrivo di Didone Enea si mostra angosciato, ma la regina lo accusa d’ipocrisia: di rinunciare a lei per un regno. Allora Enea si offre di restare, disobbedendo a Giove. Ma Didone rifiuta: non accetterà più l’uomo che anche per un momento ha potuto rinunciare a lei. La flotta salpa e Didone, preso commiato da Belinda, muore. 7 Giambattista Tiepolo, Didone, abbandonata da Enea, disperata si dispera, 1757, Mosca, Museo Puškin UN CAPOLAVORO NATO IN UN COLLEGIO di Fedele d’Amico Il massimo compositore della storia britannica, Henry Purcell il giovane, visse soltanto trentasei anni, dal 1659 al 1695; ma gli bastarono a svolgere un’attività anche quantitativamente eccezionale. Nato a Londra (donde risulta si movesse mai), cominciò come fanciullo cantore alla Cappella Reale; alla muta della voce (1673) divenne apprendista presso l’ispettore degli strumenti reali, poi, all’Abbazia di Westminster, accordatore dell’organo ('74) e copista ('75). Nel '77 fu nominato compositore dei violini del re, nel '79 organista dell’Abbazia di Westminster, nel '82 anche di uno dei tre organi della Cappella reale (con incarico di istruire il coro), nell’83 ispettore dei reali strumenti a fiato. Compose in ogni genere, dato che i suoi incarichi lo spingevano in ogni direzione. Per il teatro, dall’80 in poi: ma di opere nel senso italiano del termine soltanto una, appunto Dido and Aeneas; il resto furono cinque «english operas» (cioè miste di recitazione parlata e di canto) e musiche di scena per trentasette drammi. Didone ed Enea ebbe origini estremamente modeste: fu commessa al poeta Nahum Tate e al compositore Purcell da Josias Priest, un maestro di ballo che teneva un collegio femminile a Chelsea, e voleva che le sue ragazze mettessero su un trattenimento scenicomusicale con canto e danze. Dunque, qualcosa di molto semplice: dei dilettanti erano chiamati a eseguirla, con pochi personaggi, pochi strumenti, allestimento economico. Per quanto se ne sa, l’opera andò in scena nel 1689 o nel 1690 per una sola recita. Poi nell’anno 1700 Charles Gildon la utilizzò inserendola come «masque», e il titolo The Loves of Dido and Aenea, in un adattamento del Measure for measure di Shakespeare, al Teatro dei Lincoln’s Inn Fields, per la compagnia di Thomas Betterton: e in questo stesso teatro l’opera fu ripresa, sembra come spettacolo a sé, nel 1704. Puramente ipotetico è il suo ritorno nel 1706, quando fu ripreso il Measure for measure allo Haymarket. E questo fu tutto, per oltre due secoli. Il capolavoro del teatro britannico fu ripreso a Londra in forma di concerto solo verso la fine dell’Ottocento, e come rappresentazione scenica per la prima volta nel 1895 al Lyceum Theatre, eseguito dagli allievi del Royal College of Music. In Italia arrivò per la prima volta nel 1940, al Maggio Musicale Fiorentino, sotto la direzione di Vittorio Gui. *** 11 A entrare sulla natura particolarissima di questa Didone niente è più utile che badare alle ragioni della sua nascita apparata, e poi della sua lunghissima scomparsa dalle scene. Ricordiamo anzitutto che l’opera lirica, nata in Italia alle soglie del Seicento, era rimasta per decenni un fatto esclusivamente italiano. Non nel senso che solo gl’italiani ne godessero: al contrario, là dove s’era presentata aveva quasi sempre incontrato grandi favori nel pubblico; ma sempre in quanto italiana, vale a dire in lingua italiana, cantata da italiani. Grandi resistenze avevano invece provocato i vari tentativi di creare, nei vari paesi, un’opera sul modello italiano ma in lingua nazionale; e le dispute che ne erano nate erano destinate a prolungarsi per tutto il Settecento. La polemica pareva gravitare sul famoso problema della «naturalezza»: com’è possibile che dei personaggi debbano esprimersi sulla scena cantando, mentre nella vita si parla? E anche arrivando ad ammettere che cantino in stile recitativo, come ammettere la melodia spiegata? In realtà dietro il problema se ne nascondeva un altro: la difficoltà che le varie lingue incontravano ad adattarsi ai principî del nuovo canto italiano, alla sua tecnica d’emissione; perché nel francese, nel tedesco e nell’inglese le vocali subiscono differenze fonetiche molto rilevanti a seconda delle consonanti su cui s’appoggiano, mentre nell’italiano una data vocale rimane sempre identica a se stessa. La vera «innaturalezza» dell’opera, fuori d’Italia, veniva probabilmente di qui. Certo è che quando Purcell scrisse Didone ed Enea la prima opera nazionale non italiana, quella francese, era nata da poco, e il suo primo esemplare importante, il Cadmus et Hermione di Lulli (1673) era stato eseguito a Londra soltanto nel 1686. Vero è che lo stile recitativo dei primi operisti italiani, così come quello di Lulli, era noto a Purcell, come ai compositori inglesi della generazione precedente, attraverso parecchie vie; e che in Inghilterra se n’era fatto suo. Ma solo per frammenti , non con la responsabilità che solo l’impegno di un’opera vera e propria gli può fornire. I soli lavori teatrali inglesi interamente cantati anteriori alla Didone, è d’altronde assai dubbio che possano esser detti opere. Il primo infatti fu the Siege of Rhodes (1656), un dramma di Davenant di cui la musica fu affidata, pezzo per pezzo, a mezza dozzina di compositori. Senonché l’idea di dare questo dramma in musica anzi che in versi recitati fu un semplice espediente per aggirare le leggi puritane del Commonwealth, le quali avevano vietato i drammi recitati; tanto è 12 vero che sopravvenuta la Restaurazione, The Siege of Rhodes, fu subito ripreso come dramma parlato. Il secondo, di qualità musicale certamente superiore, il Venus and Adonis di John Blow (1682); che però è un «masque», vale a dire quel caratteristico intrattenimento britannico dell’epoca che è essenzialmente un genere misto, contando sulle danze, gli scenari, l’elemento visivo insomma, in proporzioni molto notevoli. Questo spiega come la piccola opera di Purcell nascesse fuori di un processo storico pubblico, consacrato cioè in una generale tendenza del teatro: il quale è sempre un fatto sociale. L’opera era nata come magnificenza delle corti: per poi investire altri ceti, fino a diventare un fatto popolare. Didone ed Enea non fu né l’una né l’altra cosa; nacque come intrattenimento di dilettanti, commisurato alle loro possibilità, e con questo rinunciò a qualunque chance di avviare una storia dell’«opera inglese», la quale su quel terreno era impensabile. Di lì a poco, infatti, l’opera che fiorì a Londra fu nient’altro che quella italiana degli Haendel e dei Bononcini, fondata essenzialmente sul belcanto, sui grandi cantanti italiani: cose con le quali l’elementarissima tecnica vocale della Didone, il suo tono dimesso, la sua intimità ignara di grandi pubblici, non aveva nulla a che fare. Non è affatto da meravigliarsi che quest’opera sia rimasta ignorata per secoli, che non abbia fatto «storia»; e sia stata recuperata soltanto in tempi diversissimi da quelli della sua nascita, per virtù esclusiva dei suoi valori estetici. *** Questo spiega anche i suoi anacronismi stilistici; e, insieme, il fatto che non suonino affatto come difetti. A primo aspetto la poetica della Didone sembra rifarsi alle prime opere fiorentine e monteverdiane; eppure fu scritta in un’epoca in cui già operava Alessandro Scarlatti, e l’opera italiana aveva intrapreso vie ben diverse. Ma da questo l’opera di Purcell non ricava alcuna goffaggine, alcune di quelle guacheries arcaizzanti che mandano in estasi lo snob. In realtà Purcell amalgama vecchio e nuovo con profonda naturalezza. Conosce molto nettamente, per esempio, la distinzione fra aria e recitativo, che i primitivi dell’opera non conobbero o appena intravidero; d’altro canto la sua aria non è certo quella scarlattiana, non affrontai grandi slanci vocalistici, appare quasi soltanto un’intensificazione iterativa del recitativo, ma di portentosa pertinenza espressiva. In verità Purcell aveva assimilato per più vie lo stile italiano, sia del madrigale che del recitativo, come stimolo a raffinare all’infinito l’espressione verbale; e se questa sua opera per certi aspetti fa più pensare ai fiorentini che ai contemporanei, non è per un gioco di arcaismi ma per il suo tono intimo, evidentemente più prossimo a un Caccini che a uno Haendel. A conti fatti , non c’è da sorprendersi che un’opera nata da tanto umili origini, in tanta limitazione di mezzi, per un piccolo ambiente, pochi cantanti amatori, un clavicembalo e un quintetto d’archi, sia riconosciuta oggi in ogni paese come un capolavoro, e si dia tranquillamente persino sui grandi teatri. La ragione di questo apparente miracolo è nello straordinario equilibrio delle sue strutture in rapporto alla carica espressiva di ogni accento. E’ una miniatura capace di serbare intatti i propri valori anche se riprodotta nel clamoroso ingrandimento; e perciò un unicum nell’opera secentesca, così sovrabbondante anche nelle sue riuscite maggiori. Le forme più semplici (quale quella , prevalentissima, della variazione su un basso ostinato, a guisa di ciaccona) sono sempre arricchite da inflessioni interne di varietà inesauribile, toccanti come sentimenti còlti sul fatto. E’ così che Purcell, fra l’altro, conferisce al canto il suo aspetto inglese: le sue origini sono visibilmente italiane, eppure minimi spostamenti d’accento bastano a tradurlo nella lingua nazionale, raggiungendo senza sforzo quella naturalezza che per tanti altri non italiani rimane un problema secolare. *** Sino a pochi anni fa quest’opera si eseguiva nell’edizione di quel principe della musicologia inglese (e anche italiana) che fu Edward Dent. Ma Dent s’era basato sulla sola fonte nota sino a pochi anni fa, il cosiddetto manoscritto di Tenbury, che è una copia probabilmente della seconda metà del Settecento. Ma un’altra copia, pure settecentesca, è ora nota: quella che, dopo varie vicende, era finita nel 1917 in Giappone, e che è stata esposta a una mostra a Londra nel 1959. Di questa copia due perfetti conoscitori di Purcell, cioè Benjamin Britten e la musicologa Imogen Holst, hanno potuto avere il microfilm, e quindi intraprendere una nuova edizione attraverso il confronto delle due fonti. (Teatro dell’Opera di Roma 1964-65) Andrea Mantegna, Didone, 1495-1500, Montreal, Museum of Fine Arts Parche e Streghe dal mito greco a Purcell Chiara Muti - Foto Silvia Lelli / Teatro dell’Opera di Roma DIDONE E ENEA TRA LA MATERIA DEI SOGNI Intervista a Chiara Muti di Leonetta Bentivoglio Chiara Muti è un’attrice intelligente e sensibile che durante una carriera generosa di successi ha compiuto sempre scelte interessanti, sia in teatro che in cinema, puntando a ruoli non prevedibili, a percorsi avventurosi e a sperimentazioni che hanno messo in luce il suo talento multidisciplinare e la sua spiccata musicalità. Risale all’anno scorso il suo debutto nella regia operistica, con l’allestimento al Ravenna Festival di un’opera impegnativa e “femminilissima” come Sancta Susanna di Hindemith. Chiara Muti l’ha affrontata con un rigoroso senso della musica, un approfondito lavoro sugli interpreti e una lettura inventiva e poetica. Ora torna al ruolo di regista per montare, nella cornice impressionante delle Terme di Caracalla, l’opera seicentesca Dido and Aeneas del compositore inglese Henry Purcell. “Uno spettacolo all’aperto terrorizza ogni regista”, confessa, “perché immette in una situazione in cui non si può controllare appieno la pulizia delle luci. D’altro canto, lo spazio della Palestra Orientale di Caracalla è di straordinaria suggestione: vi si respira la Storia con la maiuscola... Perciò bisogna rispettarlo e far sì che il luogo viva di se stesso, senza sovrapposizioni scenografiche che ne disturbino la natura”. Quale sarà quindi l’ambientazione della regia? “Una semplice pedana circolare rappresenta il tempo che gira, così come girano le lancette nel quadrante di un orologio. Mi ha spinto verso questa scelta la velocità della trama di Dido and Aeneas, dove gli eventi si susseguono in modo frenetico. Dall’amore dei due protagonisti al suicidio di Didone che chiude l’opera, è come se il destino accerchiasse i personaggi con rapidità bruciante. Il tempo corre azionato dal fato, che in Purcell è raffigurato dalle streghe”. Cioè da creature in arrivo da dimensioni malefiche… “Malefiche, sì, ma anche ironiche, il che è tipico del teatro inglese, dove le sfere del fantastico sono narrate sempre con un’inclinazione al co- mico. E’ la risata che s’insinua nella tragedia, è lo scherzare sulla rovina degli altri. C’è humour, per esempio, nelle maligne apparizioni di tanto teatro shakespeariano, legate a un mondo incontrollabile e impalpabile di elfi, folletti, maghi e stregonerie. Basti pensare al Sogno di una notte di mezza estate e a La Tempesta. Inoltre, essendo lo spazio di Caracalla completamente aperto, senza entrate né uscite, il coro dev’essere sempre presente con funzione di commento, come nel teatro greco. E allora ho pensato di convogliare i vari livelli culturali che alimentano la bellezza di quest’opera dando al coro volti differenti”. Quali? “A tratti sembra un gruppo di cortigiani del Seicento, fantasmatici e illuminati da fiaccole. Visione che, abbinata alle rovine di Caracalla, fa immaginare i primi viaggiatori inglesi che a fine Seicento cominciarono a far turismo visitando le vestigia dell’antica Roma. Ma il coro, nei vari passaggi, può diventare anche il mondo della maschera greco-romana e quello dei lazzi della commedia dell’arte”. Prima accennava alle culture che convergono in quest’opera. Cosa intendeva dire? “Purcell, in Dido and Aeneas, è riuscito a fondere certe caratteristiche del lirismo italiano (ricorda l’opera italiana nelle arie e nel respiro complessivo) con la cultura musicale francese (Lully, le musiche e le danze di corte, le marce) e l’asciuttezza del teatro inglese, dove non c’è mai compiacimento e tutto scorre al servizio del dramma. Con quest’operazione di assemblaggio, Purcell ha definito il primo stile di barocco inglese, nell’ambito del quale Dido and Aeneas spicca come un capolavoro assoluto”. L’acceso dinamismo del racconto condiziona la regia? “Sì, molto. Nello spettacolo tutto si muove e ogni cambiamento avviene a vista. Il letto degli amanti diviene la nave con cui parte Enea, e le stesse assi che suggellarono l’amore si trasformano nella sua condanna. Tramite un gruppo 17 di mimi, che sono un po’ come i servi di scena nella commedia dell’arte, gli oggetti si animano e si disfano in continuazione, come se fossero plasmati dalla materia dei sogni. Così facendo ci mostrano quanto ingannevole e illusoria sia la realtà. Niente rimane uguale a se stesso, come accade nella vita, e per esempio un bastone può fungere da spada: il gioco è inesauribile, come nella prospettiva di Shakespeare, la stessa che pare aver generato le streghe di Dido and Aeneas. Questi esseri maligni irrompono provocando ogni volta un fermo immagine nel flusso accelerato dell’azione. Hanno la capacità di bloccare il tempo perché riflettono il destino, che tessendo la sua tela rende il tempo una nozione relativa. Nel totale dinamismo dell’esposizione degli eventi, solo i protagonisti, in quanto miti, restano immutabili, poiché ogni mito ha valenze simboliche che trascendono la temporalità. Enea e Didone, più che individui, sono delle essenze: il maschile e il femminile, la ragion di Stato e quella dei sentimenti”. Il libretto di Dido and Aeneas s’ispira al quarto canto dell’Eneide di Virgilio. Lo spettacolo fa riferimento a questa fonte? “Diversamente da quel che avviene in Purcell, il testo di Virgilio fa comparire nella vicenda il figlio di Enea, Ascanio. Io lo metto in scena all’inizio come lo vuole il racconto di Virgilio, cioè tramutato in Eros. Ho voluto reinserirlo perché sono convinta che quel personaggio sia una componente decisiva dell’innamoramento di Didone. Vedere Enea come un padre che s’occupa teneramente del figlio tocca in profondità i suoi sentimenti, così come succede spesso alle donne, e in particolare a una donna che desidera tanto una famiglia come Didone, la quale ci fa comprendere, nel libro quarto dell’Eneide, di anelare a un figlio dal suo amato in fuga. E’ Virgilio stesso che le fa dire: “Se almeno da te avessi avuto un figlio…”. In Purcell le streghe mandano a Enea uno spirito col sembiante di Mercurio per dargli l’ordine di partire da Cartagine, facendogli credere che questa sia la volontà di Giove. Il falso messaggero, nello spettacolo, diventa un elfo travestito. L’incontro tra quest’ultimo, che rappresenta il teatro inglese, ed Eros, emblematico del mondo classico, indica l’unione delle due dimensioni, ed è un modo per segnalare come, in quest’opera, la tradizione del teatro inglese si riappropri della cultura classica”. 18 19 Mosaico romano, Virgilio con le Muse mentre scrive l’Eineide, III sec., Tunisi, Museo Nazionale del Bardo VIRGILIO, ENEIDE, VI (440-444, 450-476) Quinci non lunge si distende un'ampia campagna che del Pianto è nominata; per cui fra chiusi colli e fra solinghe selve di mirti, occulte se ne vanno l'alme, c'ha feramente arse e consunte fiamma d'amor, ch'ancor ne' morti è viva. […] Era con queste la fenissa Dido, che, di piaga recente il petto aperta, per la gran selva spazïando andava. Tosto che le fu presso, Enea la scòrse per entro a l'ombre, qual chi vede o crede veder tal volta infra le nubi e 'l chiaro la nova luna, allor che i primi giorni del giovinetto mese appena spunta; e di dolcezza intenerito il core, dolcemente mirolla e pianse e disse: «Dunque, Dido infelice, e' fu pur vera quell'empia che di te novella udii, che col ferro finisti i giorni tuoi? Ah, ch'io cagion ne fui! Ma per le stelle, per gli superni dèi, per quanta fede ha qua giú, se pur v'ha, donna, ti giuro che mal mio grado dal tuo lito sciolsi. Fato, fato celeste, imperio espresso fu del gran Giove, e quella stessa forza, che da l'eteria luce a questi orrori de la profonda notte or mi conduce, che da te mi divelse; e mai creduto ciò di me non avrei, che 'l partir mio cagion ti fosse ond'a morir ne gissi. Ma ferma il passo, e le mie luci appaga de la tua vista. Ah, perché fuggi? e cui? Quest'è l'ultima volta, ohimè! che 'l fato mi dà ch'io ti favelli, e teco sia». Cosí dicendo e lagrimando intanto placar tentava o raddolcir quell'alma, ch'una sol volta disdegnosa e torva lo rimirò; poscia o con gli occhi in terra, o con gli omeri vòlta, a i detti suoi stette qual alpe a l'aura, o scoglio a l'onde. Alfin, mentre dicea, come nimica gli si tolse davanti, e ne la selva al suo caro Sichèo, cui fiamma uguale e par cura accendea, si ricondusse. Né però men dolente, e men pietoso restonne il teucro duce; anzi quant'oltre poté con gli occhi, e lungo spazio poi col pianto e coi sospiri accompagnolla. Traduzione di Annibal Caro Ah che dissi, infelice! A qual eccesso mi trasse il mio furore. Oh dio cresce l'orrore! Ovunque io miro mi vien la morte e lo spavento in faccia: trema la reggia e di cader minaccia. Vado... Ma dove?... Oh dio! Resto... Ma poi, che fo! Dunque morir dovrò senza trovar pietà? E v'è tanta viltà nel petto mio? No no. Si mora. E l'infedele Enea abbia nel mio destino un augurio funesto al suo cammino. Precipiti Cartago, arda la reggia e sia il cenere di lei la tomba mia. Pietro Metastasio, Didone abbandonata (1724) Virgilio fece male a far incontrare questo povero, piccolo borghese, inadatto alle grandi passioni, con una creatura come Didone… Benedetto Croce, “L’Opinione letteraria” (7 dicembre 1882) E non mi rivolgo a te fiduciosa di poterti commuovere con la mia supplica… Il motivo della morte e la spada fornì Enea; con la sua stessa mano si tolse la vita Didone. Ovidio, Heroides, Epistola VII, 197-198, (I secolo a.c.) Ovidio, Heroides, Epistola VII , 5 (I secolo A.C.) L’altra è colei che s’ancise amorosa, e ruppe fede al cener di Sicheo… Dante, Inferno V, 61-62 (1308 ca.) Affresco da Pompei, Casa del Citarista, Enea e Didone, 10 a.C. – 45 d.C., Napoli, Museo Archelogico Nazionale Oh se tu vedessi l’immagine di colei che ti scrive! Scrivo e in grembo tengo la spada troiana; lungo le guance le lacrime scivolano giù sulla spada sguainata, che fra poco sarà bagnata non di lacrime, ma di sangue. Ovidio, Heroides, Epistola VII, 185-186, (I secolo A.C.) Coro III Ora il vento s’è fatto silenzioso E silenzioso mare; Tutto tace; ma grido Il grido, solo, del mio cuore, Del cuore che brucia Da quando ti mirai e m’ha guardata E più non sono che un oggetto debole. Grido e brucia il mio cuore senza pace Da quando più non sono Se non cosa in rovina e abbandonata… Giuseppe Ungaretti, Cori descrittivi di stati d’animo di Didone, da La Terra Promessa (1935-53) Sono queste le vele che, contro il mio volere, hanno cospirato con i venti per portare Enea lontano? Vi appenderò in camera da letto. Se ci riuscite, portate la mia casa in Italia: spalancherò le finestre per permettere ai venti di entrare e di tramare ancora una volta contro la mia vita, povera me, regina di Cartagine. Ma, anche se va via, egli rimane pur sempre a Cartagine; e navighi pure la ricca Cartagine sui mari: potrò così tenere Enea tra le braccia. E questo il legno cresciuto nelle pianure di Cartagine che senza risparmio avrebbe solcato i gonfi marosi per derubare la loro padrona del suo ospite troiano? Albero maledetto... Christopher Marlowe, Tragedy of Dido Queene of Carthage (1584-86) Il motivo della morte e la spada fornì Enea; con la sua stessa mano si tolse la vita Didone. Ovidio, Heroides, Epistola VII, 197-198, (I secolo A.C.) John Closterman, Henry Purcell, 1695 ca, Londra, National Portrait Gallery Henry Purcell Henry Purcell 24 Godfrey Kneller, Henry Purcell, Londra, British Museum HENRY PURCELL Henry Purcell appartenne a una famiglia di musicisti che operò a corte continuativamente per quasi un secolo. Appena reinsediata la monarchia (1660), dopo la parentesi repubblicana di Cromwell, comincia la fortuna dei Purcell alla corte di Carlo II. Henry senior (morto nel 1664), padre di colui che diverrà il più importante compositore inglese, era maestro di coro a Westminister Abbey e cantore della cappella del re. Suo fratello Thomas (morto nel 1682) sarà anch’egli cantore della stessa cappella. Non stupisce che il piccolo Henry junior (1659-1695), perso il padre a soli cinque anni, sia entrato prestissimo nel coro della cappella come voce bianca. Thomas Purcell, ormai suo tutore, gli permetterà di restare nella cappella anche dopo la muta della voce (1673) come assistente di John Hingeston, conservatore degli strumenti musicali. Da quel momento inizia la sua attività creativa diventando già nel 1677 compositore dell’orchestra reale al posto del defunto Matthew Locke. Anche suo fratello Daniel (1664-1717) seguì la stessa strada di cantore della cappella e poi compositore presso il Magdalen College di Oxford. Edward (1689-1740), figlio di Henry Purcell, rimase orfano poco prima di raggiungere la maggiore età (la madre Elizabeth morì nel 1706), ma sarà valido organista e compositore in numerose chiese londinesi. Nel 1637 fonderà la Royal Society of Musicians con Händel, Arne, Pepusch e altri. L’ultimo Henry (morto nel 1765), figlio di Edward, seguirà anch’egli le orme del padre. 25 JONATHAN WEBB Ha acquisito una vasta esperienza sia nei teatri d’opera, dove ha diretto più di settanta opere, sia nelle stagioni sinfoniche. Ha debuttato in direzione d’orchestra a 21 anni all’Opera House di Manchester con la produzione West Side Story. Laureato all’Università di Manchester, ha avuto diversi incarichi, tra cui direttore musicale per Opera Ireland, Maestro del Coro al Wexford Festival e direttore stabile alla New Israeli Opera di Tel Aviv dove ha diretto molte produzioni tra cui Der Freischütz, Tosca, Madama Butterfly, Macbeth, Samson et Dalila, La Juive, Faust, Cenerentola, L’Italiana in Algeri, L’elisir d’amore, Lucia di Lammermoor, Jenůfa, The Cunning Little Vixen. È stato ospite dei teatri d’opera europei, tra cui Berlino (Deutsche Oper): Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny, La forza del destino, Carmen; Vienna (Volksoper) Don Pasquale, Der Zigeunerbaron, Die Zauberflöte; Colonia La traviata; Lisbona (Teatro Sao Carlo) Ein Florentinisches Tragödie, The Miserly Night, Il barbiere di Siviglia, La Navarraise, Cavalleria rusticana; Siviglia (Teatro Maestranza) The Rape of Lucretia; Marsiglia The Saint of Bleeker Street; Nizza L’histoire du Soldat; Dublino Le nozze di Figaro, Falstaff; Tenerife The Turn of the Screw. In Italia ha diretto numerose produzioni operistiche e sinfoniche a Roma (Teatro dell’Opera), Napoli (Teatro San Carlo) Elegy for Young Lovers di Henze, Così fan tutte di Mozart; Venezia (Teatro La Fenice) Tancredi; Palermo (Teatro Massimo), Genova (Teatro Carlo Felice) di Britten The Rape of Lucretia, Peter Grimes, Billy Budd, di Rossini Il Turco in Italia; Reggio Emilia, Bari (Teatro Petruzzelli) The Turn of the Screw, A Midsummer Night’s Dream di Britten; Bologna, Parma, Catania, Cagliari, Verona Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte; Ravenna, Pisa, Lucca, Livorno, Trento Die Entführung aus dem Serail; Cremona, Como, Brescia, Ferrara; Modena The Death of Klinghoffer di Adams; Livorno, Modena Cavalleria rusticana e Pagliacci. Ha collaborato con numerosi importanti registi tra i quali Daniele Abbado, Goetz Friedrich, Hugo de Ana, Robert Carsen, Graham Vick, David Poutney e David Alden. Invitato da Valery Gergiev ha diretto Lady Macbeth of Mtsensk, coproduzione tra la Kirov Opera e la New Israeli Opera. Ha diretto l’Orchestra di Santa Cecilia a Roma con i Kings Singers e l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino a Firenze in occasione del settantesimo compleanno di Henze. In Israele ha diretto in diverse occasioni la Jerusalem Symphony Orchestra, Israel Sinfonietta e Israel Chamber Orchestra. Ha collaborato con numerosi solisti tra cui Shlomo Mintz, Vadim Repin, Fazil Say, Arabella Steinbacher, Louis Lortie, Alexander Toradze. È stato invitato dalla Camerata Strumentale di Prato e dalla Real Filarmonica di Galicia, ha registrato con le etichette R.T.E. Radio e R.T.E. Concert Orchestra in Irlanda. Ha partecipato a diversi festivals tra cui Caesarea, Coruña, Wexford, Caracalla, Settembre Musica con l’orchestra della RAI di Torino e il Liturgica Festival di Gerusalemme. Invitato da Seiji Ozawa al Saito Kinen Festival in Giappone, ha diretto The Festival Orchestra e gli ensembles in tournèe in Giappone e China; cembalista per il progetto di Ozawa per giovani musicisti, Ongaku Juku. Ha diretto anche orchestre di giovani strumentisti: l’Orchestra Giovanile Italiana in partiture di Stravinskij e Mahler a Roma, Firenze e Udine, la Young Israel Philharmonic Orchestra e l’Orchestra e il Coro Giovanile di Santa Cecilia con musiche di Mendelssohn per Oedipus in Kolonus, manifestazione Colosseo 2000 per la riapetura dell’anfiteatro di Roma, primo concerto dopo 1500 anni. È stato coinvolto nel progetto Opera Studio nei Teatri di Pisa e Livorno; al RADA di Londra ha diretto Sondheimâs Company. Ha inaugurato la stagione sinfonica 2011 del Teatro San Carlo di Napoli dirigendo la prima mondiale di Terra di Luca Francesconi alla presenza del Presidente della Repubblica. Ha ricevuto il Premio Internazionale Ultimo 900, Pisa 2000. Nel Mondo” (novembre 2004) e la medaglia dell’Associazione Pisana Amici della Lirica come riconoscimento del suo lavoro con i Teatri della Toscana compresa la Città Lirica. CHIARA MUTI Studia alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi e perfeziona i suoi studi alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano fondata e diretta da Giorgio Strehler. Attrice, cantante e regista, debutta in teatro nel 1995 nel ruolo di Euridice nell’Orfeo di Claudio Monteverdi per la regia di Micha van Hoecke. Con il coreografo e regista belga instaura un legame artistico che la vedrà interprete e co-autrice di tre nuove creazioni presentate in prima assoluta al Festival di Ravenna: Pèlerinage del 1997; Salomè del 2008, su testi di Oscar Wilde e Le baccanti del 2009, su testi di Euripide. Fruttuosa la sua collaborazione con il compositore Azio Corghi per il quale è interprete principale in tre nuove composizioni: Pia, del 2005, su testi di Margherite Yourcenar con la regia di Valter Malosti per il Teatro dell’Opera di Roma; Il dissoluto assolto, del 2006, su testi di José Saramago con la regia di Andrea De Rosa per il Teatro di Lisbona e Giocasta, del 2009, su testi di Maddalena Mazzocut-Mis con la regia di Riccardo Canessa per il Teatro Olimpico di Vicenza. Nel 1996 è Tatiana in Eugene Onegin di Puškin su musiche di Prokof’ev per l’Accademia Chigiana di Siena. Nel 2000 è Jeanne d’Arc au Bûcher di Honegger per il Festival di Spoleto. Nel 2007 è Marie Galante per il Teatro dell’Opera di Roma e interpreta Sherazade nel concerto-spettacolo Le due lune diretto da Damiano Giuranna per il Parco della Musica di Roma ed il Teatro Nazionale di Algeri. Nel 2008 dà voce ai canti di Dante Alighieri sulle musiche della Dante Symphonie di Franz Liszt per la Sagra Musicale Umbra, ed è Elia, opera composta da Giovanni Tamborrino, per la Cattedrale di Bari. Per Ravenna Festival è interprete di Passiuni, opera su musiche e testi di Giovanni Sollima diretta da Riccardo Muti. Nel 2009 è interprete del melologo Le martyre de Saint Sébastien di Debussy con l’Orchestra National de Montpellier diretta da Alain Altinouglou. Dal 2002 lavora a stretto contatto con lo scrittore e regista Ruggero Cappuccio per il quale è interprete principale nell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, in Desideri mortali, del 2008, per il Teatro Massimo di Palermo e in Natura viva, del 2010, su musiche composte da Marco Betta per il Maggio Musicale Fiorentino. Per il teatro di prosa è stata, nel 1995, Angelique ne La madre confidente di Mariveaux per la regia di Franco Però. Nel 1996 è Giulia in Liliom di Ferenc Molnár per la regia di Gigi dall’Aglio e Coro in Medea di Euripide per la regia di Marco Bernardi. Nel 1997 è Ifigenia ne Le Erinni di Paolo Quintavalle e nel 1998 è Lady Macbeth in Macbeth Clan di Angelo Longoni per il Piccolo Teatro di Milano. Nel 2001 è la Figliastra nei Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello per la regia di Maurizio Scaparro. Nel 2004 è Francesca da Rimini e nel 2005 è Teresa Guiccioli in Ridono i sassi ancor della città per la regia di Elena Bucci. Dal 2004 al 2006 è Antigone ne L’Antigone di Sofocle di Bertolt Brecht per la regia di Federico Tiezzi. Intensa la sua attività cinematografica. Tra i suoi film: Rosa e Cornelia di Giorgio Treves, La via degli angeli di Pupi Avati, Il partigiano Johnny di Guido Chiesa, Musikanten di Franco Battiato. Chiara Muti ha ricevuto nel 1996 il Premio Anna Magnani e nel 1997 il Premio Eleonora Duse, conferitole dalla critica teatrale italiana come miglior attrice giovane. Nel 1999 vince La Grolla d’Oro come migliore attrice per il film Rosa e Cornelia. Come regista debutta nel 2007 con due spettacoli di cui è anche autrice e attrice. Il Regno di Rucken per il Teatro Comunale di Salerno e Il sogno di Ludwig per il Ravello Festival. Nel 2010 mette in scena Cardo rosso su testi di Maddalena Mazzocut-Mis e musiche composte ed interpretate da Giovanni Sollima. Nel 2012 debutta nella regia d’opera con Sancta Susanna di Hindemith, diretta da Riccardo Muti per il Ravenna Festival. Seguiranno, nel 2013, Dido and Aeneas di Purcell per il Teatro dell'Opera di Roma e Orfeo ed Euridice di Gluck per l'Opéra National Montpellier. &'% $ % % "' " (" $%# # # '% % ''# '% ''# + ( (! '' ' % # "%* (% #" ' " % (' * ' %!$ $ ' * (/ *,# -* ,* '$ % $ %%( )- + & * $%( % ('(* % 2 ' ,, 00- ,( $ * ( '" %( ,* '( $ * ( $+ '$ # %'# " % # #%% && " %# ) " # " "' #" ( ! % 3 -(.( %% +,$& ',( . ' * 1 "$(. 1 "$-"'( (* "$-"'( (* + ,( "$-"'( (* (& '$ "$-"'( (*