WHERE THE SOUR TURNS TO SWEET
Autrice:
Ghibli ([email protected])
Rating:
NC 17
Coppie:
JC/Anita, JC/Asher
Timeline: Dopo Burnt Offerings.
N.B. – Possibili spoiler sull’ardeur. Il termine “Esecutrice” è stato usato come traduzione di
“Executioner” invece della traduzione ufficiale “Sterminatrice”.
Disclaimer: Tutti i personaggi che riconoscete sono di proprietà esclusiva di Laurell Hamilton, gli
altri sono miei. Tranne uno che è un personaggio storico… leggermente riveduto e corretto da me.
Premessa
Un nuovo Master si è fermato a St. Louis, tornato dal passato di Jean-Claude e pronto, forse, ad
avere di nuovo un posto accanto a lui. Intanto Anita è alle prese con un nuovo sanguinoso caso,
che la metterà davanti a una scelta di lealtà e di fiducia. Verso i mostri o verso gli umani?
to Asher: Where The Sour Turns To Sweet – Genesis (From Genesis to Revelation)
We're waiting for you
Come and join us now
We need you with us
Come and join us now
Look inside your mind
See the darkness creeping out
I can see the softness there
Where the sunshine is gliding in
Fill your mind with love
Find the world of future glory
You can meet yourself
Where the sour turns to sweet
Leave your ugly selfish shell
To melt in the glowing flames
Can you sense the change
See your eyes, now listen
We're waiting for you
Come and join us now
We want you with us
Come and join us now
Paint your face all white
To show the peace inside
Drift away while the saffron burns
To the land where the rainbow ends
1
Can you sense the change?
See your eyes in focus
We're waiting for you
Come and join us now
We need you with us
Come and join us now
2
Indice
Prologo ......................................................................................................... 5
1. ................................................................................................................... 8
2. ................................................................................................................. 11
3. ................................................................................................................. 14
4. ................................................................................................................. 18
5. ................................................................................................................. 21
6. ................................................................................................................. 25
7. ................................................................................................................. 28
8. ................................................................................................................. 30
9. ................................................................................................................. 34
10. ............................................................................................................... 38
11. ............................................................................................................... 45
12. ............................................................................................................... 49
13. ............................................................................................................... 53
14. ............................................................................................................... 57
15. ............................................................................................................... 61
16. ............................................................................................................... 64
17. ............................................................................................................... 67
18. ............................................................................................................... 70
19. ............................................................................................................... 73
20. ............................................................................................................... 79
21. ............................................................................................................... 82
22. ............................................................................................................... 85
23. ............................................................................................................... 88
3
24. ............................................................................................................... 90
25. ............................................................................................................... 92
26. ............................................................................................................... 96
Epilogo. ...................................................................................................... 98
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Prologo
Quella musica le faceva venire le lacrime agli occhi. Esprimeva una tale potenza… da sentirsi
trascinare via, da sentirsela penetrare sotto la pelle, dentro le ossa.
Le aveva quasi fatto dimenticare ciò che si stava svolgendo sulla scena: l’entrata trionfale dei
Capuleti al ballo non era fondamentale, ma in quella musica… sembrava concentrarsi tutto il
tormento dell’amore e dell’ineluttabilità del destino.
I ballerini andavano avanti, ma l’impressione di quell’Andante non la abbandonava, e rimase ad
avvolgerla fino alla fine del primo atto, quando lo scroscio di applausi la fece quasi sobbalzare e la
riportò bruscamente nel mondo dei vivi.
Vivi, insomma, si fa per dire. Tirando leggermente su col naso Anita si voltò a sorridere ai suoi
compagni di palco: due vampiri. E non due vampiri qualsiasi.
I due uomini sembravano perfettamente a loro agio, ed erano entrambi molto più antichi del teatro
stesso. Il Master della città di St. Louis ed il suo ospite, arrivato in città da qualche settimana, ed a
quanto pare intenzionato a fermarsi piuttosto a lungo, si alzarono contemporaneamente,
commentando in modo animato la bravura della prima ballerina che interpretava una giovanissima e
poetica Giulietta e paragonandola alla rappresentazione di Londra diretta da Prokofiev in persona
nel 1914. Poi entrambi si girarono verso di lei e il Master le porse la mano per aiutarla ad alzarsi
dalla vellutata poltroncina rossa. Anita rimase immobile per un attimo. Era un’impresa quasi
impossibile convincere un figlio del XVII secolo che era perfettamente in grado di sollevarsi dalla
sedia autonomamente, ma l’atmosfera irreale del teatro, come sospesa in un altro tempo, la dissuase
per una volta dalle rivendicazioni. Ridendo e calandosi nella parte della fragile fanciulla bisognosa
di protezione accettò il braccio del suo cavaliere e si avviò insieme a loro verso l’atrio dove la folla
teatrale andava confluendo per l’intervallo.
Purtroppo la loro ciarliera intimità fu ben presto disturbata. Non c’era assolutamente modo che il
Master della città si presentasse in un luogo pubblico senza che qualche fotografo o giornalista
piombasse come un falco a cercare qualche succoso scoop. Anita non sopportava quelle intrusioni
nella sua privacy, e si fece da parte, notando che anche l’altro vampiro scivolava nell’ombra dietro
di lei, schermandosi gli occhi dalle luci dei flash.
Subito una piccola folla di ragazzine semiadoranti - il pubblico tipico dei balletti classici - si accalcò
intorno al Master cercando di farsi fotografare insieme a lui, neanche fosse stato una star del rock.
Jean-Claude sorrideva amabilmente a tutti, senza scomporsi, guardando tutte quelle giovanissime
ninfe senza cercare di ipnotizzarle, ma rispondendo alle domande dei giornalisti con la sua
incredibile, profonda, seduttiva voce, il cui effetto sembrava propagarsi come un’onda calda per
tutto il foyer. Anita si prese del tempo per rifarsi gli occhi osservandolo un po’ da lontano, e lasciò
scorrere languidamente lo sguardo su tutta la sua persona, avvolta dalla seta nera dello smoking che
sottolineava le spalle e i fianchi snelli.
“Anita…invece di fissarlo in quel modo, perché non vai a farti fotografare al suo fianco?”
“Non mi sembra proprio il caso, Asher. Perché non ci vai tu invece?” rispose Anita un po’ piccata,
senza distogliere lo sguardo dal suo vampiro, e chiedendosi con fastidio perché nella sua serata
libera con Jean-Claude doveva trovarsi in un angolo buio del foyer insieme ad un altro vampiro di
cui non si fidava affatto e che nella migliore delle ipotesi probabilmente era geloso di lei.
Asher sparì con un fruscio in una delle salette laterali, senza degnarla di una risposta. Ecco,
probabilmente lo aveva offeso, o ferito, o cos’altro. Ma non era suo compito curare l’ego lacerato di
un vampiro che era arrivato a St. Louis cavalcando la vendetta e che ora giocava il ruolo del
vecchio amico che voleva riallacciare i rapporti. Non riusciva a capacitarsi del fatto che JeanClaude gli avesse offerto di restare suo ospite in città. Peggio, di rimanere a *vivere* nella sua città.
Era un master anche lui, abbastanza potente da avere il controllo di un suo territorio. Come poteva
credere che non avrebbe cercato di sfidarlo e di eliminarlo dal gioco?
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Anita sbuffò, stanca di scervellarsi per capire le politiche vampiresche. Si chiese tristemente perché
non poteva frequentare delle compagnie un po’ più normali. Delle amiche, tanto per cambiare. Una
serata a teatro o al cinema, una bella uscita serale tutta femminile.
Peccato che le sue cosiddette amiche negli ultimi tempi non sembravano molto entusiaste di
frequentarla.
Catherine aveva smesso di invitarla alle sue feste da quando aveva saputo che si era lasciata con
Richard. Probabilmente aveva un sacro terrore che si presentasse a casa sua insieme al vampiro.
Quanto a Ronnie… la faceva soffrire molto non vedere più Ronnie, ma era una sofferenza anche
peggiore passare un intero pomeriggio ad ascoltare una delle campagne anti-Jean-Claude della sua
migliore amica.
La sensazione della calca intorno a lei stava diventando opprimente, così si avviò verso l’uscita del
teatro, davanti a cui piccoli capannelli di fumatori si godevano la fresca aria notturna. Lanciò
un’ultima occhiata verso Jean-Claude, ancora imprigionato tra i suoi ammiratori, e in quell’istante i
loro sguardi si incrociarono: lui le sorrise nello stesso momento in cui si inchinava in un perfetto
baciamano ad una graziosa ragazzina bionda, che esplodeva in una sequenza di risolini isterici.
La tiepida brezza della sera la avvolse, scivolandole piacevolmente sulle spalle nude e dandole
sollievo dal calore soffocante dell’interno. Aveva dimenticato la giacca nel palco, quindi tutte le
cicatrici spiccavano crudamente sulle sue braccia, provocando il repentino distogliersi di molti
sguardi, e creando un inquietante contrasto con il vestito che indossava. Sorrise chiedendosi come
aveva potuto lasciarsi convincere a mostrarsi in pubblico vestita in quel modo, però doveva
ammettere di sentirsi molto graziosa, e piuttosto a suo agio nel corpetto che fasciava il suo busto in
uno splendore di seta di un profondo blu elettrico – appena di una sfumatura più chiaro degli occhi
di Jean-Claude – e che si appoggiava sui suoi fianchi sottolineando l’ampia gonna formata da
diversi strati di morbido tulle nero che terminavano quasi sfiorando il pavimento con l’orlo
asimmetrico. Anche i capelli erano acconciati per darle un aspetto da bambola di porcellana,
delicatamente raccolti sulla nuca con pochi riccioli lasciati scendere in volute ribelli intorno al
volto.
Non aveva ancora finito di scendere la scalinata che conduceva all’esterno che si bloccò alla vista di
una coppia che rideva vivacemente al centro di una piccola compagnia. Stava per girarsi come un
fulmine su se stessa e fuggire di nuovo su per le scale, ma a causa dei tacchi la manovra non fu
abbastanza immediata, e ormai era troppo tardi: la ragazza si era già accorta della sua presenza, e
sembrava avere tutte le intenzioni di andare a salutarla. Ne era atterrita, ma non riusciva ad
immaginare come evitarlo.
Erano due anni che non incontrava Andria, e già due Natali in cui faceva in modo di non trovarsi
nella stessa casa insieme alla sua sorellastra. Ed ora eccola lì, bionda, luminosa, abbronzata, il
ritratto della salute ed il manifesto WASP della città di St. Louis, che la osservava con la mascella
un po’ troppo aperta rispetto a quanto le buone maniere avrebbero consigliato. L’unica cosa che
Anita poteva fare era scendere quegli ultimi scalini, stamparsi addosso il sorriso più ipocrita di cui
era capace e ricambiare il saluto.
“Aniitaaa! Ma sei davvero tu? Non credo ai miei occhi, sembri una DONNA con quel vestito! Forse
un po’ troppo romantico per la tua camminata… ma sei deliziooosa! Ah cosa darei perché ci fosse
anche la mamma a vederti! Devi ASSOLUTAMENTE passare a trovarla uno di questi giorni!”
squittì senza prendere fiato, mentre un elegante giovanotto, altrettanto biondo ed altrettanto
abbronzato, si preparava sorridendo alle presentazioni di rito. “Posso presentarti il mio Bill? E’
l’amministratore delegato della Lewis corporation… beh, veramente è anche il figlio di Billy Lewis
Senior” aggiunse lanciando risolini compiaciuti e rivolgendosi al rampollo di una delle industrie più
potenti della città “Bill, tesoro, questa è la mia sorellastra Anita.” e poi tornando a guardarla
dall’alto del suo metro e settantacinque “Tesoro, se sei da sola ti devi ASSOLUTAMENTE unire a
noi, c’è un posto che è rimasto libero proprio dietro di me!”
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Durante tutto questo tempo Anita era rimasta immobile e silenziosa, il sorriso congelato sulle labbra
che cominciava a farle dolere i muscoli facciali. “Ti ringrazio, Andria, ma non sono da sola. Mi
aspettano nel nostro palco.”
Perché, perché, doveva trovarsi da sola ad affrontare tutta quell’ipocrisia e superiorità?
“Oh, ma certo, che stupida, scommetto che non ti sogneresti mai di venire ad un balletto per conto
tuo!” rispose in fretta Andria “Scommetto che sei con quella tua amica sempre così elegante…. sì
l’avvocato! Dove siete? Verrei molto volentieri a salutarla!”
Grazie al cielo in quell’istante le luci iniziarono a lampeggiare per avvertire dell’imminente ripresa
dello spettacolo, e Anita rispose in fretta, mentre già si girava per rientrare “Mi dispiace, devo
andare, magari ci incontriamo all’uscita, va bene?”
“Posso dire a Judith che passerai a trovarla?” La domanda di Andria si perse nel brusio alle sue
spalle.
Fu difficile concentrarsi sul resto dello spettacolo. Per parecchio tempo rimase con le spalle
contratte in una morsa nervosa ripensando all’incontro con la sorellastra, immaginando quello che
avrebbe potuto dire per ricacciarle in gola quel sorriso odioso, e nemmeno la musica dolcissima e la
disperazione dei due amanti sul palcoscenico riuscirono a scuoterla da quella sensazione quasi
dolorosa di inadeguatezza che la colpiva ogniqualvolta si trovava a frequentare uno dei membri
femminili della sua famiglia. Poi all’improvviso una carezza fredda e leggera come una piuma le
sfiorò la spalla, cominciò a risalire verso il suo collo finchè le dita non si fermarono, forti e delicate,
a massaggiarle dolcemente la nuca, facendole inarcare la schiena e socchiudere gli occhi in un
momento di pura beatitudine. Andria, Romeo, Bill e Giulietta si persero nel vuoto e lasciarono solo
la musica, e il contatto della mano di Jean-Claude a mandarle brividi lungo tutto il corpo.
Quando lo spettacolo terminò, anche Anita come tutti gli altri si alzò in piedi per applaudire con
entusiasmo, mentre Jean-Claude si avvicinava alle sue spalle per avvolgerla nel suo abbraccio e
posare le labbra sull’incavo della sua spalla nuda. Il suo sguardo leggermente annebbiato vagò sulla
platea sotto di loro e sulla folla che chiedeva il bis. Poi fu il lampo di un istante, l’incontro con due
occhi conosciuti, folgorati da una consapevolezza improvvisa.
Andria, dalla parte opposta del teatro, immobile come una statua di sale, fissava attraverso un
piccolo binocolo la sua sorrellastra, il brutto anatroccolo, che stava tra le braccia dell’uomo più
bello che avesse mai visto in vita sua, e che assomigliava in modo inquietante alle fotografie che sui
giornali ritraevano il Master dei vampiri di St. Louis.
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1.
Quella notte Anita avrebbe dormito da sola. Sarebbe stato più esatto dire che quella notte avrebbe
dormito, tanto per cambiare. La scelta era stata sua, ma rientrando a casa dopo una giornata
infernale di lavoro, non potè fare a meno di pensare che sarebbe stato bello trovare qualcuno ad
aspettarla a casa. Magari seduto sul divano, qualcuno che fosse lì solo per lei, solo per vederla
rientrare in casa. Ma il motivo per cui non c’era nessuno era stata una sua decisione, una sua
“regola”.
Al diavolo le regole.
Il pensiero di Jean-Claude aleggiava intorno alla sua mente e intorno al suo corpo. Come tutte le
volte in cui pensava a lui la sensazione delle sue mani, della sua voce erano quasi fisicamente
palpabili, e bastavano da sole a farle scorrere sottili brividi sulla pelle. Era proprio per quel motivo
che gli aveva chiesto di … rallentare il ritmo dei loro incontri, dopo che si era trovata a pensare solo
a lui per tutto il giorno, e che la cosa aveva influito in modo disastroso sul suo rendimento sul
lavoro, sulla sua concentrazione, sulla sua vita di tutti i giorni.
Centellinare i loro incontri, sentirsi solo una volta ogni tanto. All’inizio era sembrato difficilissimo,
ma in questo modo mentre era lontana da lui poteva concentrarsi su ciò che doveva fare, sui clienti,
sulle collaborazioni con la polizia. Impossibile fare tutto questo mentre il pensiero di fare l’amore
con lui la tormentava e la distraeva in continuazione.
Dopo qualche giorno di separazione riusciva quasi a illudersi che Jean-Claude non fosse diventato
così importante per lei. Era dura ammettere che la sua vita ruotava intorno al desiderio smanioso per
un vampiro. E poi i sorrisini dei colleghi, l’insopportabile ghigno di Bert, lo sguardo di Ronnie che
la giudicava. Aveva bisogno di mantenere le distanze.
Era dalla notte dell’Opera che non gli telefonava. Forse avrebbe potuto chiamarlo, questa sera.
L’accordo era che sarebbe stata lei a farsi sentire, ma non si decideva a farlo da diversi giorni, e
man mano che il tempo passava e il contatto con il resto del mondo diventava più stretto era più
facile fare a meno di lui. Finchè di colpo, come quella sera, il desiderio di vederlo diventava intenso
quasi come un dolore fisico.
Il sole era sceso sotto l’orizzonte da pochissimo tempo, e Jean-Claude era sicuramente sveglio da
diverse ore, sotto il Circo dei Dannati. O forse a quest’ora si trovava già in qualcuno dei suoi locali.
Magari non avrebbe potuto lasciare tutto per andare da lei, e Anita si sentiva troppo stanca per
cambiarsi e uscire di nuovo. Così forse la soluzione più semplice era entrare in casa, fare la doccia e
infilarsi nel letto per una lunga notte di sonno. E senza sogni. Anche quella era una sua regola.
Niente invasioni di sogni non richieste.
Al diavolo le regole.
La chiave si inserì senza far rumore nella serratura della porta, ed Anita entrò senza accendere la
luce. Gli ultimi bagliori del crepuscolo illuminavano ancora l’aria intorno alla sua nuova casa,
qualche cicala friniva debolmente poco lontano e le sembrava di disturbare qualche naturale
equilibrio cosmico accendendo la luce. Inoltre la sua visione notturna era ottima, la disposizione dei
suoi mobili chiara nella sua mente tanto che poteva tranquillamente attraversare tutta la casa ed
arrivare in camera senza sbattere neanche contro uno spigolo. Come tante altre volte, richiuse con
attenzione la porta dietro di sé e si diresse verso il centro del soggiorno. Ma aveva mosso appena
pochi passi quando un campanello di allarme scattò dentro il suo cervello e ogni sua fibra muscolare
si tese di colpo. Una presenza, poco più di una percezione periferica dell’occhio, e un’ombra là,
contro il bianco dei cuscini, avevano allertato i suoi sensi esausti. Pietrificata, cercò di penetrare con
la vista in quell’angolo buio dove stava una figura inerte, tanto da non sembrare viva, mentre la
mano scivolava lentamente verso la pistola.
“Per favore, non spararmi, ma petite”
“Aahhhhh!” il cuore di Anita passò di colpo dall’assoluta immobilità al ritmo di un tamburo
impazzito “Jean-Claude! che cosa diavolo ci fai qui? e perché mai sei entrato di soppiatto in casa
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mia?” Lo spavento, e il disappunto per essere stata colta alla sprovvista, colmarono la sua voce di
un’ostilità improvvisa, senza darle il tempo di realizzare se la presenza del vampiro le faceva
piacere oppure no.
Jean-Claude non si era mosso dal divano, ma ora i suoi profondi occhi scuri scintillavano
sorridendo nell’oscurità. La sua voce uscì come un sussurro morbido, attraversando il buio per
posarsi sulla pelle di Anita “Vuoi che vada via? Pensavo di farti una sorpresa….” Una nota di
incertezza e di delusione aveva incrinato le sue ultime parole. Forse fu quello, o forse Anita aveva
avuto il tempo di riprendersi, ma la rabbia si dissolse leggera come vapore, sostituita da un’onda di
tenerezza per quella creatura, misteriosa e pericolosa, che stava seduta nel suo salotto.
Per qualche istante rimasero entrambi in silenzio, poi un roco sussurro uscì dalle labbra del vampiro
“Vieni qui, ma petite.”
“Cosa devo fare con te Jean-Claude?” mormorò Anita mentre si avvicinava a lui circospetta, come
se si stesse preparando ad affrontare una tigre fuggita dallo zoo e che non ha nessuna intenzione di
rientrare in gabbia.
“Avrei moltissime idee…. se solo tu fossi disponibile a…..”
“Fermo così. Non aggiungere altro. Stasera non era in programma che ci vedessimo” aggiunse
atteggiando un po’ di broncio, ma senza riuscire a smorzare la nota di dolcezza che si stava
insinuando dentro di lei.
“E fino a quando mi avresti lasciato ad aspettare una telefonata? Trovi molto divertente questo
gioco? Più divertente che passare la notte insieme a sperimentare nuove posizioni? Deve essere una
vera soddisfazione per te, sapere che il Master di St. Louis langue sottoterra aspettando solo un tuo
cenno per precipitarsi ai tuoi piedi” La nota ironica nella frase di Jean-Claude non riuscì a
mascherare l’amarezza, e un sottile senso di colpa, come una leggera fitta, attraversò il petto di
Anita.
“Mi dispiace. Non è affatto un gioco, per me, e non è assolutamente mia intenzione scherzare con i
tuoi sentimenti… però sai benissimo perché ti ho chiesto di non vederci tutti i giorni”
“Me l’hai detto, ma petite, ma questo non significa che io ne abbia compreso il motivo.”
Invece di rispondere, Anita avanzò ancora di qualche passo, arrivando a sfiorare lo schienale del
divano, e la spalla di Jean-Claude. Lui alzò con estrema lentezza la mano, fino a prendere quella di
lei, e se la portò vicino alle labbra, poi chiudendo gli occhi le posò un leggerissimo bacio sul palmo
della mano. Era un contatto appena percettibile, come lo sfioramento di una piuma, ma bastò per
farle correre un brivido tiepido lungo la spina dorsale, e strappare un tremolio al suo sospiro, mentre
lui la tirava dolcemente verso di sé, finchè lei non gli fu seduta in grembo. Sempre con la stessa
esasperante lentezza la bocca di Jean-Claude si spostò sul polso di Anita, aspirando profondamente
il profumo del suo sangue che pulsava velocissimo nella vena, sotto la sua lingua. Sentì
l’eccitazione di Jean-Claude spandersi nell’aria, palpabile, mentre lui, sempre ad occhi chiusi,
sembrava assaporarla attraverso una serie di lievissimi baci che la percorsero fino all’incavo del
braccio. Anita sentì qualcosa sciogliersi dentro di sè mentre lo guardava, mentre un’ondata di
desiderio e di tenerezza si riversava su di lei attraverso quelle carezze, e con la mano libera affondò
dentro la massa dei suoi capelli neri, sentendo sotto le dita la loro consistenza setosa, come quella
dei capelli di un bambino.
Il cercapersone scelse quell’esatto momento per suonare.
Jean-Claude aprì gli occhi e rimasero immobili a fissarsi per alcuni secondi. Mentre lui sorrideva
maliziosamente, Anita si sciolse a malincuore dall’abbraccio per aprire la borsetta e controllare chi
la stava chiamando. Un’imprecazione le sfuggì dalle labbra mentre la sua mente distratta registrava
con enorme fatica chi corrispondeva a quel numero di telefono.
“E’ Dolph. Devo richiamarlo subito” Sbirciò l’espressione sospesa di Jean-Claude, cercando di
scusarsi con gli occhi mentre sollevava il telefono e componeva il numero diretto del sergente Storr.
Lo scambio di battute fu essenziale e brevissimo, come sempre. La giornata infernale non era
ancora finita, e le promesse di una serata che per un attimo si era annunciata molto eccitante si
infransero come schegge di un bicchiere lanciato contro un muro. Più o meno quello che avrebbe
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avuto voglia di fare Anita per sfogarsi, invece si rivolse nel modo più neutrale possibile al sogno
erotico rimasto ad aspettare sul divano.
“Mi dispiace, Jean-Claude, era la polizia. Mi aspettano, e non ho neanche il tempo per fare una
doccia.”
“Qualcosa di grave?”
“Non lo so… cioè, veramente non ne posso parlare.” Anita rimase per un istante pensierosa, poi
abbassando la voce aggiunse “Però è stato bello trovarti qui. Forse dovremmo riparlare delle nostre
‘regole’…”
“Le tue regole, vorrai dire, ma petite. Io mi devo adeguare senza diritto di voto, a quanto sembra”
“Sono troppo stanca adesso, per discutere… cerca di darmi ancora un po’ di tempo… per favore”
Forse fu la stanchezza nella sua voce, forse fu il ‘per favore’, ma non c’era più ombra di amarezza o
ironia nello sguardo di Jean-Claude, quando si alzò per avvicinarsi a lei e stringerla tra le braccia.
“Vai dal sergente Storr, ma petite, e se ti fa piacere io rimarrò qui ad aspettare il tuo ritorno”
Anita appoggiò la fronte sul suo petto. La cosa che avrebbe desiderato di più era lasciarsi cullare da
quell’abbraccio fino ad addormentarsi e dimenticare tutta la fatica accumulata e quella che ancora la
attendeva in un remoto vicolo dei sobborghi di St. Louis dove la squadra stava aspettando la sua
consulenza prima di permettere la rimozione di un cadavere. Tirò un profondo respiro, aspirando
l’intenso profumo della colonia di Jean-Claude, e parlò con il viso affondato nella sua camicia
“Quando tornerò avrò a malapena la forza di trascinarmi fino al letto per crollarci sopra, non credo
che valga la pena che tu mi aspetti”
“Vorrà dire che ti aspetterò per metterti a letto e cullarti finchè non sarai addormentata.”
Anita alzò gli occhi e sorrise: a volte era sorprendente quanto quell’uomo riusciva a capire i suoi
pensieri e i suoi desideri, e l’avrebbe accusato di leggere nella sua mente se non fosse stata sicura
che lui non avrebbe infranto quella “regola”. O forse qualche volta semplicemente era meglio
mandare al diavolo le regole.
10
2.
Da lontano, il corpo disteso sul maciapiede sembrava piccolissimo, un mucchietto di vestiti
abbandonati in un vicolo oscuro.
Il problema era che anche avvicinandosi la sensazione non cambiava. Uno sparuto ammasso di
stracci colorati, dai colori vivaci, in mezzo ai quali si indovinava la presenza di un corpo gracile,
una posa scomposta a faccia in giù, la pelle delicata ed esangue, come quella di un bambino.
“Dio, fa che non si tratti di un bambino” pregò tra sé e sé mentre si avvicinava decisa al gruppetto
dei poliziotti, sopra i quali svettava la testa di Rudolph Storr. Qualcuno la apostrofò mentre si
avvicinava al capitano della RPIT - qualche battuta sul suo vestito da ufficio, non proprio ideale
quando ci si deve inginocchiare per esaminare un cadavere sul marciapiede – ma il tono tradiva in
modo fin troppo evidente il nervosismo che aleggiava intorno alla squadra. Il detective Zerbrovski
ammiccò verso di lei sorridendo e un altro alzò gli occhi al cielo.
“Spiacenti di aver rovinato i tuoi piani per la serata, ma se non ci dai qualche conferma il capo non
ci lascia tornare a casa!”
Dolph fulminò con uno sguardo molto eloquente il poliziotto che aveva parlato.
“Mi scusi, capo. Ma qui tutti hanno capito da soli che si tratta di un vampiro” si giustificò a testa
bassa, peggiorando ancora di più la sua situazione con il sergente. Con un certo senso di fastidio,
Anita si chiese se era stato proprio necessario chiamarla a notte inoltrata su quella scena: aveva
pensato che il nervosismo fosse provocato dall’orrore per quel crimine, ma forse era solo causato
dal fatto che non tutti ritenevano indispensabile la sua presenza in un caso apparentemente chiaro.
Molto bene, se il suo parere era solo necessario per archiviare ufficialmente il delitto come
soprannaturale, avrebbe fatto del suo meglio per non deluderli. Aveva la stessa voglia degli altri di
rimanere per strada a gelarsi il sedere, e almeno gli agenti non portavano la gonna corta.
Sotto lo sguardo inflessibile di Dolph, che come di consueto non aggiunse neanche un particolare
per non influenzare il suo giudizio, Anita si preparò ad esaminare la scena del delitto piegandosi
sulle ginocchia di fianco al cadavere e dopo aver avuto il benestare si apprestò a girarlo sulla
schiena.
La corporatura era piccola e snella, ma non si trattava di un bambino, nonostante la vittima fosse
talmente giovane da rendere difficile trovare un termine diverso per definirla: davanti ad Anita
infatti si rivelò il viso angelico di una ragazzina, non più una bambina ma la promessa delicata di
una piccola donna, i fini capelli biondi lunghi e scarmigliati, e incrostati di sangue. A parte quello,
era chiaro che nemmeno un’altra goccia del prezioso liquido vitale era andata sparsa su quel freddo
marciapiede.
Sul collo, nell’incavo della spalla, sull’avambraccio, sul polso: una serie di minuscole punture
appaiate denunciavano in modo più che evidente quello che l’aveva uccisa. Completamente
dissanguata dal morso di uno o più vampiri. Compiendo un enorme sforzo di autocontrollo davanti
allo scempio di quella giovane vita innocente, Anita mantenne il suo respiro regolare, fece i
rilevamenti necessari, misurando l’ampiezza di ognuno dei morsi, e fornì la sua conferma all’ipotesi
della polizia. Mentre si sfilava i guanti, ed i tecnici della scientifica facevano portare via quel
gracile corpo senza vita, non riuscì tuttavia ad allontanare un insolito senso di disagio, una
sensazione…. come un déjà-vu che continuava a tormentarla. Le sembrava di conoscere quel viso,
ma lo associava ad un sorriso, ad un momento gioioso, senza riuscire a collocarlo in un tempo e in
un luogo.
Dolph era rimasto a fissarla, in attesa che lei cominciasse a parlare.
“Almeno quattro vampiri diversi. I fori sono molto netti, quindi la vittima non stava lottando.
Sicuramente è stata ipnotizzata. Però c’è qualcosa di strano.” Anche ad Anita piaceva creare un
minimo di suspence quando faceva le sue relazioni a Dolph, ma in confronto a lui rimaneva sempre
una dilettante, e non riuscì a provocargli nessuna reazione che non fosse uno sguardo di attesa che
la invitava a continuare.
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Sospirò rassegnata. “Questo foro” si chinò indicando un piccolo segno nella piega interna del
gomito “questo non è un morso di vampiro. Oltre al fatto evidente che è un segno singolo… è
troppo piccolo per trattarsi di zanne. E da qui non è uscito sangue, piuttosto è entrato qualcosa.
Questo è il segno di una siringa.”
Dolph strinse leggermente gli occhi “Qualche ipotesi?”
“Oltre al fatto che questa ragazzina tutto sembra tranne una tossicomane adolescente… è anche
l’unico segno di questo genere. Se devo azzardare un’ipotesi direi che è stata drogata”
Il detective sospirò in tono conclusivo, come se finalmente fosse arrivato il momento di condividere
le informazioni. “Sono d’accordo. Secondo te è normale che dei vampiri droghino o narcotizzino la
vittima prima di dissanguarla?”
“Normale… no, non lo definirei proprio normale. Qualsiasi vampiro, anche alle prime… armi, per
così dire, è in grado di annebbiare la mente di un individuo che non sia preparato a resistere, almeno
per il tempo sufficiente a morderlo. E questi erano in gruppo, quindi che bisogno c’era di drogarla?
Anche se non voglio escludere qualche nuovo tipo di perversione praticata da questi vampiri…”
riflettè per un attimo mentre Dolph stringeva le labbra in un moto di disprezzo “Altrimenti
dobbiamo prendere in considerazione la possibilità della presenza o complicità di esseri umani”
“Anche gli esseri umani sono capaci delle azioni più terribili vero?” mormorò Dolph scuotendo la
testa “Ma diventare complici dei mostri…”
Ciò che Anita decise di tenere per sé era che, se i morsi appartenevano a più di un vampiro, questo
significava che in giro per St. Louis scorrazzava una banda di succhiasangue fuorilegge e fuori
controllo. Nella fattispecie, sfuggiti al controllo del capo dei succhiasangue della città, che in quel
momento se ne stava tranquillo proprio a casa di Anita, invece di fare attenzione a chi invadeva non
invitato il suo territorio.
Trattenne un moto di stizza a quel pensiero, ed al pensiero che, tornata a casa, invece di godersi la
presenza dell’essere più sensuale della città avrebbe dovuto fargli delle domande molto sgradevoli.
La voce di Dolph che si rivolgeva ad uno degli agenti la richiamò al presente.
“Peter, passami una busta per i reperti. E’ rimasto qualcosa sul marciapiede, dopo che l’avete
mossa” Il sergente, accovacciato nel punto dove crudi tratti di gesso bianco segnavano la posizione
originale del corpo, raccolse con precauzione un pezzo di stoffa dal marciapiede.
“Che cosa hai trovato?” gli chiese il detective Zerbrovski mentre si avvicinava, seguito da Anita.
“Sembra un fazzoletto da taschino”.
***
Quando rientrò finalmente in casa, dietro l’orizzonte cominciava a scorgersi il leggero chiarore
dell’alba, e Jean-Claude non si trovava più lì. Con lo stato d’animo confuso tra il sollievo e la
delusione per non averlo ritrovato ad aspettarla, Anita entrò in camera da letto senza fermarsi, e
mentre si toglieva le scarpe e cominciava a slacciarsi la camicetta adocchiò un biglietto appoggiato
sul suo cuscino.
“Ma petite, è quasi l’alba. Ho pensato che avresti preferito trovare il tuo letto senza cadaveri
dentro.”
Sotto la J puntata che costituiva la firma, c’era un post scriptum nella stessa calligrafia sottile ed
inclinata “Potremmo riparlare delle “nostre” regole domani sera, al ristorante. Sarebbe splendido.
Doux rêves, ma petite.”
Dolci sogni. Dopo alcuni minuti Anita si ritrovò ancora immobile, seduta sul letto, con un sorrisino
ebete stampato in faccia ed il bigliettino tra le dita.
Ma il pensiero delle ore passate con la polizia la riportò bruscamente alla realtà ed offuscò
quell’attimo di infantile piacere. Aveva pochissime ore di sonno davanti, poi sarebbe stata ora di
tornare in ufficio, così scivolò dentro una delle sue t-shirt taglia extra-large, poi lanciò un’occhiata
alla sua collezione di pinguini e ne prese due. Sigmund, il primo e il suo preferito da sempre, e
quello più nuovo di tutti, quello che portava ancora al collo il fiocco rosso e che le aveva regalato
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Jean-Claude. Poi stringendoli entrambi scivolò tra le lenzuola fredde e chiuse gli occhi. Ma invece
di crollare addormentata come sperava, scoppiò in una risatina isterica. Due pinguini, ecco come si
era ridotta … per sentirsi coccolata un peluche da solo non le bastava più. Senza riuscire a smettere
di ridere appoggiò Sigmund a fianco del cuscino e abbracciò più strettamente l’altro. Così il fedele
Sigmund avrebbe vegliato sul suo sonno, e il novellino avrebbe avuto la sua dose di coccole, e non
si sarebbe più sentito trascurato.
E poi i pensieri cominciarono a rincorrersi nella sua mente. Aveva ancora sotto gli occhi il macabro
risultato dell’azione dei vampiri. Come poteva sopportare di provare dei sentimenti per uno di loro,
per non parlare del fatto di farci del sesso. Cosa era successo alla se stessa che credeva di
conoscere? Era possibile che gli avvenimenti degli ultimi anni l’avessero cambiata così tanto che la
vecchia se stessa non si sarebbe più riconosciuta in questa nuova Anita? Era possibile che la
vicinanza di quel vampiro riuscisse ad offuscarle ogni residuo di lucidità mentale?
Tutte le persone che le volevano bene, che la apprezzavano per le sue capacità, ma anche per ciò
che era nel profondo, in questo momento la disapprovavano, si sforzavano di convincerla che aveva
imboccato una strada pericolosa e senza sbocchi. E se avessero avuto ragione? Che ne era stato del
suo sogno di una vita normale?
Infranto nel momento in cui Richard aveva sbranato il suo ex-capobranco. Voleva davvero che la
sua vita prendesse quella direzione senza ritorno? Perché non ci sarebbe stato ritorno, di questo
ormai era sicura. La sua vita correva come un treno lanciato su un binario, e ad ogni chilometro si
trovava davanti un bivio, ma il tempo per decidere quale direzione prendere era sempre troppo
breve, la scelta troppo rapida, dettata dall’emergenza del momento più che da una vera volontà. E
ormai tante scelte possibili erano rimaste alle sue spalle, non c’era speranza di riprendere il viaggio
dall’inizio e di provare altre strade.
Domani si sarebbe trovata di fronte un’altra scelta, un altro bivio. Dolph le aveva chiesto di fare
qualcosa, e quel qualcosa forse avrebbe di nuovo cambiato tutto. Però avrebbe riavuto la fiducia
della polizia, l’amicizia di Ronnie, il rispetto dei suoi colleghi. Che valore dava a tutto questo? Ma
soprattutto, che valore dava ad una innocente fanciulla il cui solo errore era stato trovarsi sulla
strada di un gruppo di belve assetate di sangue? Quel viso di bambina non la abbandonava, e si
sovrapponeva a quel ricordo di vivacità, allegria, bellezza, che alla fine le era ritornato in mente.
13
3.
La sera successiva Anita era come al solito in ritardo dopo una giornata frenetica. L’ansia non
l’aveva abbandonata nemmeno per un attimo, dal momento in cui era suonata la dannata sveglia e si
era catapultata in ufficio, dove Bert le aveva fissato una serie di appuntamenti senza soluzione di
continuità. L’ultimo era stato il peggiore ed il più snervante di tutti. La madre disperata di un
quattordicenne che era sparito da alcuni giorni senza lasciare traccia era andata a pregarla
praticamente in ginocchio di occuparsi delle ricerche. La polizia non aveva avuto nessun risultato, e
Anita aveva avuto un bel dire che lei non si occupava di persone scomparse, consigliandole di
rivolgersi ad una investigatrice privata, e chiedendosi se Bert avrebbe mai imparato a selezionare i
clienti non solo in base al portafoglio.
Ma la donna non aveva sentito ragioni, e ad un certo punto le aveva addirittura afferrato un polso e
aveva praticamente urlato “Lei mi deve aiutare! Io sono sicura che Danny è stato rapito dai
vampiri!” Anita era stata sul punto di estrarre la pistola per convincere la donna a lasciarla andare,
ma la sua presa si era affievolita come la sua voce, e alla fine, stremata da tanta angoscia, aveva
sussurrato “Lei non riesce a capire…. io ho un’altra figlia che è la gemella di Daniel ed il legame tra
di loro è talmente forte… Beatrix, la mia bambina, mi ha detto che l’ha visto…”
“Intende dire che sua figlia ha visto dei vampiri che rapivano il ragazzo?” aveva chiesto Anita,
cominciando a provare maggiore interesse per quel dramma.
“No… non mi piace che si sappia in giro ma… Bea a volte vede delle cose…. anche quando non è
presente…. lei capisce cosa intendo dire? lei mi può capire vero?” Lo sguardo della donna, velato
dalle lacrime, rivelava una scintilla di speranza, e a quel punto ormai era riuscita ad attirare
l’attenzione di Anita.
“Mi sta dicendo che sua figlia ha delle visioni… o delle premonizioni?”
“Premonizioni no, non è mai successo… ma dice che “vede” delle cose nella sua mente… quando
era più piccola io e mio marito pensavamo che avesse solo molta immaginazione, ma poi
cominciammo ad accorgerci che queste cose si rivelavano sempre vere quando avevamo la
possibilità di verificarle… ed è impressionante quando si tratta del fratello. E’ come se fossero
collegati in ogni istante, e lei vedesse quasi attraverso gli occhi di lui…” La signora era arrossita,
mentre parlava, e Anita sentì un moto di rabbia contro quei genitori che avrebbero preferito una
figlia “normale”, e di compassione verso la piccola Beatrix, con quel dono soprannaturale e
ingombrante che le avrebbe condizionato la vita ed i rapporti con il resto dell’umanità.
“E cosa ha visto, di preciso, dopo la sparizione del fratello?”
La madre si asciugò le lacrime e continuò a voce bassissima “Sta soffrendo, piange di continuo,
dice che vede dei mostri terribili che la terrorizzano … poi di colpo non vede più nulla, come se il
contatto si interrompesse. Non credo che sia in grado di controllare questa sua … questa …
capacità.”
Era stato il pensiero della sofferenza della bambina, non l’ansia della madre a convincere Anita,
insieme alla vaga sensazione che quel caso nascondesse qualcosa di più grosso, così le aveva
promesso che avrebbe cercato di scoprire qualcosa. Del resto sembrava che la sua occupazione per
la giornata fosse quella di andare a caccia di notizie sui vampiri… ed era solo il primo passo, prima
che partisse la caccia ai vampiri vera e propria.
Poi era arrivata la telefonata dalla centrale di polizia, che le chiedeva di passare per ascoltare la
deposizione di un testimone che era spuntato fuori con notizie utili per il caso di Corinne Bryce, la
ragazzina uccisa la notte precedente. E quella era stata un’altra esperienza che avrebbe volentieri
evitato, ma per altri motivi.
Ora era finalmente rientrata a casa, si era cambiata a velocità record e stava finendo l’ultimo ritocco
di rossetto sulle labbra quando il campanello suonò, facendole aumentare i battiti cardiaci e
arrotolandole lo stomaco. Era più o meno l’effetto che le faceva sempre un appuntamento con Jean-
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Claude, ma questa sera era diverso. Il piacere di vederlo era ora quasi annientato dal senso di ansia
che la pervadeva, eppure non poteva più tirarsi indietro, aveva fatto a Dolph una promessa.
Spense la luce del bagno, raccolse la giacca e la borsa mentre attraversava la camera, presentandosi
già pronta per uscire nell’attimo in cui aprì la porta. E lì rimase, immobile, per lunghissimi istanti a
fissare lo spettacolo che le si presentava davanti agli occhi, quasi dimenticandosi di chiudere la
bocca. Jean-Claude indossava uno spolverino nero lungo quasi fino ai piedi, di una pelle
dall’aspetto così morbido che sembrava modellarsi per accarezzare il suo corpo. Sotto, si
intravedeva la camicia, di classico taglio maschile ma di lucida seta e di un blu così intenso da
rivaleggiare con il colore dei suoi occhi. E poi la cravatta. Non aveva mai visto Jean-Claude
indossare una semplice, tradizionale cravatta. L’effetto era straordinariamente sexy.
Il vamprio stava in posa di perfetta nonchalance, sembrava pronto per un servizio fotografico di
moda, il braccio leggermente alzato sopra la testa ed appoggiato allo stipite della porta, mentre con
un guizzo degli occhi percorreva il corpo di Anita, per poi tornare a fissare lo sguardo nel suo.
Piegò le labbra in un sorriso che non lasciava nessun dubbio sulle sue intenzioni, mormorando “Sei
spettacolare, ma petite”.
Lei deglutì un paio di volte senza riuscire a parlare, mentre avanzava di un passo fuori dalla porta
tirandosela dietro alle spalle per chiuderla.
Si aspettava che lui si muovesse per lasciarla passare, invece Jean-Claude rimase immobile, e lei
finì per trovarsi quasi schiacciata tra il legno della porta alle sue spalle ed il corpo di Jean-Claude
davanti a lei, che all’improvviso le sembrò incredibilmente solido. Ma il vampiro non le lasciò il
tempo di protestare perché si chinò verso la sua bocca e con un bacio la inchiodò alla parete.
In un attimo, l’ansia che l’aveva attanagliata svaporò in una sensazione che aveva più o meno gli
stessi sintomi – tachicardia e farfalle nello stomaco – ma cause completamente diverse. La
sensazione di essere intrappolata era stranamente rassicurante e avvolgente, per niente minacciosa, e
Anita cominciò a sentire un’onda di calore che le saliva all’interno delle cosce, mentre la veemenza
di quel bacio sfumava nella tenerezza delle labbra di Jean-Claude, e della sua lingua tiepida che le
percorreva le labbra, fino a strapparle un sottile gemito di dispiacere quando si staccò da lei. Aveva
ancora gli occhi chiusi quando finalmente riuscì a parlare.
“Anche tu sei molto elegante, Jean-Claude.”
La sua calda risata la avvolse, prolungando la sensazione di essere accarezzata. “Ho fame” le
sussurrò nell’orecchio.
“Allora sarà meglio che ci avviciniamo al ristorante prima che tu mi mangi qui sulla soglia di casa”
Il vampiro mugolò sensualmente, roteando la testa. E quelli erano stati solo i preliminari.
***
Il percorso in macchina fino al ristorante continuò sullo stesso registro, con il vampiro che
stuzzicava Anita in ogni maniera possibile, al punto che quando finalmente riuscirono a
parcheggiare davanti al Broadway Oyster Bar lei tirò un sospiro di sollievo per essere arrivata fin lì
senza aver provocato neanche un incidente. Al momento di entrare nel ristorante si trovavano in uno
stato di eccitazione talmente avanzato che ad Anita era passato del tutto l’appetito. Perlomeno
quello relativo al cibo. Ma non si sarebbe persa per nessun motivo al mondo la scena di Jean-Claude
che assaporava il gusto dei cibi per interposta persona. Semplicemente adorava fare questo per lui,
adorava guardarlo mentre si abbandonava ad una gioia fanciullesca per la sensazione di sapori persi
nella sua memoria di secoli precedenti.
La scelta del ristorante di quella sera, però, era stato un atto di fiducia esagerata nei confronti di
Jean-Claude, ed Anita era già convinta che quell’esperimento non l’avrebbe affatto entusiasmata.
Ma era talmente tanto tempo che lui la pregava di assaggiare le ostriche, almeno un’ostrica, prima
di decidere che cibarsi di molluschi vivi non era nel suo stile, che alla fine aveva ceduto. A volte
Jean-Claude chiedeva le cose in un modo per cui era impossibile rifiutargli qualcosa… qualsiasi
cosa. Cosa sarebbe mai stata una piccola ostrica?
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Quindi non si soffermarono a lungo come al solito sul menu per contrattare le portate che Anita
avrebbe ordinato, ed evitarono tutte le squisite specialità creole del locale per ordinare il Coquillage
Imperial per una persona.
Diversamente dal solito, l’ordinazione non provocò perplessità nel cameriere che li serviva. Il piatto
Imperiale doveva essere così abbondante che era del tutto normale che una coppia ne ordinasse uno
in due. Per il resto, l’ingresso di Jean-Claude aveva suscitato reazioni quasi nella norma, volendo
considerare normali le occhiate di sfacciato apprezzamento da parte di tutte le donne presenti, ma
nessuno sguardo torvo o sospettoso di qualche cliente che rilevasse la presenza sgradita di un
vampiro. Nel patio dall’allegra atmosfera cajun aveva cominciato ad esibirsi un piccolo gruppo
jazz, che avrebbe offerto il vantaggio di coprire gli inevitabili mugolii di piacere di Jean-Claude…
quindi tutto sembrava perfetto.
Tutto tranne lo stomaco di Anita, che di fronte all’enorme vassoio stracolmo di ghiaccio frantumato
su cui stava artisticamente posata ogni sorta di crostacei e conchiglie varie, cominciò ad andare nel
panico.
“Non mi chiederai davvero di mangiare degli animali vivi, vero Jean-Claude?” gli chiese con la
voce non del tutto ferma.
“Ma petite… i crostacei non sono vivi, te l’assicuro. E per quanto riguarda le ostriche, ti chiedo solo
di assaggiarne una, e poi deciderai se mangiarne altre.” Gli occhi gli scintillavano e non riusciva a
trattenere il sorriso mentre prendeva tra due dita una contorta mezza conchiglia dal colore grigio
scuro, dall’aspetto assolutamente sinistro e malsano, e ne affogava il contenuto con il succo di
limone.
“Ora, per favore, chiudi gli occhi ma petite”
“Stai scherzando?”
“Me l’hai promesso.” rispose lui facendo il broncio. “E se chiudi gli occhi sarà più facile”
Anita sospirò con rassegnazione e strinse gli occhi. La voce vellutata di Jean-Claude la sfiorò
avvolgendola. “Ora pensa al mare. Al sapore del mare. Al suo profumo, su una spiaggia, di notte.
Al rumore della risacca che si infrange sulla riva. Respiralo.”
Anita tirò un sospiro più profondo, annusando l’aria, e una folata di pura essenza marina le sfiorò le
narici. Poi sentì qualcosa di morbido e fresco avvicinarsi alla bocca.
“Prendila tra le labbra, succhiala, senti la sua morbidezza che ti scende in gola…” Anita ubbidì.
Non aveva mai pensato che solo il pensiero di ingerire un cibo potesse rivelarsi un’esperienza così
erotica, o forse era solo l’effetto della voce di Jean-Claude, ma quando il delicato frutto del mare
scivolò dentro la sua bocca la sensazione fu sorprendente.
Il gusto era intenso e leggermente amaro, ed era come assaporare la natura più profonda degli abissi
marini, che però svaniva subito lasciando un retrogusto di limone aspro e piacevole. Non c’erano
altre parole per descriverlo.
Spalancò gli occhi appena in tempo per vedere Jean-Claude che rovesciava la testa all’indietro e
socchiudeva le labbra in una specie di estasi gastronomica.
La voce le uscì roca, come dopo un orgasmo. “Ne vorrei un’altra”
Questa volta gli occhi del vampiro si trasformarono in pozzi sul cui fondo bruciava una fiamma blu
scintillante e molto, molto eccitata.
Il rito dell’ostrica si ripetè più volte, poi, deliziata, Anita passò agli scampi. Dopo aver capito, da
un’occhiata furtiva verso gli altri commensali, che era lecito e onorevole sgusciarli e mangiarli con
le mani, cominciò a prendere gusto al loro sapore delicato e corposo, e quando fece il gesto di
pulirsi con la salviettina profumata, Jean-Claude le prese la mano e lentamente, guardandola negli
occhi, se la portò alla bocca, succhiando tra le labbra e avvolgendo con la lingua le sue dita, una per
una, finchè non furono tutte assolutamente pulite, ed Anita non fu assolutamente in preda ad un
desiderio quasi irrefrenabile di sedersi a cavalcioni su di lui per verificare se il resto del suo corpo
manteneva le promesse della sua bocca.
Quando Jean-Claude le lasciò libere le dita Anita fu investita da un’improvvisa consapevolezza di
se stessa, e degli altri clienti del ristorante che li circondavano. Non sembrava che il Mâitre fosse
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sul punto di cacciarli per atti osceni in pubblico, e solo un giovanotto, da un tavolo vicino, lanciava
furtive occhiate maliziose. Quello che a lei era sembrato l’ultimo stadio dei preliminari erotici
evidentemente era passato per un normale scambio di moine tra una coppietta di innamorati.
Buon per loro.
Il cameriere si era appena allontanato con l’ordinazione del caffè per Anita quando una voce
conosciuta, severa e dolce allo stesso tempo, risuonò alla sua destra.
“Anita, piccola mia, che sorpresa trovarti qui. Non ti abbiamo vista prima, come ci avrebbe fatto
piacere poter cenare insieme a te!.”
17
4.
Intorno ad Anita il tempo si fermò, tutto il mondo cominciò a muoversi al rallentatore e dentro il
suo cervello si aprì una voragine, un vuoto enorme dove neanche un pensiero coerente le veniva in
soccorso, per quanto lo cercasse. Si girò lentamente alla sua destra, e in mancanza di una frase
intelligente da dire, sgranò un sorriso a trentadue denti verso suo padre.
“Cara, perché non hai più risposto ai miei messaggi? Lo sai che Judith ci teneva ad averti alla cena
di famiglia la sera del 15”
La voragine si richiuse su una sensazione che le era dannatamente più familiare. La rabbia.
“Papà, sai benissimo che Judith mi invita alle sue cene solo per salvare le apparenze, e che aspetta
l’ultimo momento sperando che io sia fuori città. Non ho nessun motivo per venire a farmi insultare
dalla tua perfetta padrona di casa”
Le parole piene di astio le erano uscite di bocca troppo in fretta, e l’espressione mortificata di suo
padre le ricacciò in gola ogni altra osservazione acida che le era venuta in mente. Così si sforzò di
addolcire il suo tono e gli sorrise. Quell’uomo davanti a lei, elegante, piacente e giovanile, le
sembrava in realtà soltanto l’ombra spenta del padre che ricordava nella sua adolescenza, che era
stato il punto di riferimento della sua famiglia e che era andato in mille pezzi quando sua moglie era
morta e sua figlia aveva manifestato un potere spaventoso e inaccettabile. Anita assomigliava
troppo a sua madre, fisicamente, e la sua macabra magia l’aveva resa seria ed adulta molto prima
del tempo: suo padre non era stato capace di vivere con questo fardello e l’aveva allontanata da sé,
dalla sua confidenza e tenerezza, anche se le ripeteva che le avrebbe sempre voluto bene. Poi, quel
nuovo matrimonio, quella nuova serenità che Anita non aveva capito, e non aveva accettato. Ormai
anni luce li separavano, e solo un fragile legame di affetto e di tristezza li rendeva parenti. In fondo
non le costava molto essere gentile, per pochi minuti, poi lui se ne sarebbe andato e tutto sarebbe
rimasto come prima.
“Mi ha detto Andria che ti ha incontrato a teatro, la settimana scorsa, e che ti ha presentato Bill”
Ecco che si ritornava su un altro argomento sgradevole.
“Sì, è vero… ci siamo viste. Bill deve essere un ragazzo molto…” cercò disperatamente un
aggettivo gentile ma le uscì solo “…ricco”.
“Ma forse non sai ancora la bella notizia: hanno deciso di sposarsi la prossima primavera!” continuò
lui, mentre lo sguardo gli si illuminava. Solo in quell’istante sembrò finalmente fare caso a JeanClaude, che era rimasto fermo e composto dalla sua parte del tavolo, con lo sguardo un po’ assente,
come se si stesse chiedendo se era il caso di scomparire nel nulla o di restare lì.
“Ma Anita, non mi hai presentato al tuo amico! Avevo un tale timore che tutte quelle voci sul tuo
conto fossero vere! Non ho mai capito perché su quei giornalacci continuano a mettere il tuo nome
in relazione con il capo dei vampiri della città… con il capo di quel branco di mostri.” Una smorfia
di sincero disgusto gli storse per un attimo le labbra, mentre Anita percepiva chiaramente
l’irrigidirsi delle spalle di Jean-Claude. “Perché ci hai lasciati nel dubbio, perché hai permesso che
la tua famiglia si dovesse giustificare per non essere riuscita ad insegnarti dei principi morali e
religiosi che ti guidassero nella vita? Ora ti vedo qui, insieme a questo bel giovanotto e capisco che
ci siamo sbagliati sul tuo conto. Tu non potresti sopportare di degradarti a quel punto… di lasciarti
anche solo sfiorare da uno di quei putridi esseri senza vita e senza Dio!”
“Papà… papà!” dovette quasi gridare per interrompere la sua sparata anti-zannuti. Era tutto inutile,
l’unica emozione che la invadeva era l’irritazione, la rabbia di un’adolescente che non è ancora
riuscita a ribellarsi ai genitori, l’astio che ci fa desiderare di ferire chi ci ha fatto del male. Alla fine
il signor Blake tacque, guardando alternativamente verso Anita e verso Jean-Claude con sguardo
speranzoso.
“Scusa se non vi ho presentati prima. Papà, questo è Jean-Claude” Ed è il mio amante, il mio
vampiro preferito, nonché il Master dei vampiri di St. Louis, avrebbe voluto aggiungere, invece si
morse la lingua, e si sforzò di rimanere calma e indifferente. Ma dallo sguardo inorridito di suo
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padre, Anita capì che la spiegazione sarebbe stata superflua. Jean-Claude si stava alzando dalla
sedia, porgendo la mano da stringere, quando l’atterrito Mr Blake estrasse dal collo della camicia il
suo crocifisso e lo puntò contro il mostro che ora vedeva di fronte a sé, dissimulato nelle sembianze
di quell’uomo impensabilmente bello.
L’istinto immediato di Anita la fece balzare in piedi per frapporsi tra l’oggetto sacro ed il vampiro,
che girò di scatto la testa per distogliere gli occhi e rimase immobile, stringendosi leggermente nelle
spalle come se si aspettasse di essere colpito da un fulmine da un momento all’altro.
Ma la piccola croce d’argento non si infiammò. Brillò sì, di un tenero incerto bagliore, per poi
affievolirsi lentamente. Il padre di Anita osservò stupito la sua croce quasi spenta aggrottando le
ciglia.
“Ma cosa…. cosa significa questo?”
“Metti via quel crocefisso, per favore” chiese gelida Anita, calcando la voce su quel per favore
senza il minimo accenno di gentilezza. Suo padre alzò gli occhi verso di lei.
“Che cos’è questo essere? Deve essere un vampiro, è il Master vero? non credere che io non l’abbia
riconosciuto!” Il tono era accusatorio, e la voce vibrava di disprezzo, alzandosi di tono.
“Sì, è il Master di St. Louis, il capo dei maledetti succhiasangue, ed io esco con lui, che la cosa ti
piaccia o no.”
“Anita, non ci possso credere! allora era tutto vero! Come puoi aver rinnegato tutto quello in cui
credevi? Cosa ti ha fatto questo figlio del diavolo per irretirti e sedurti?” Ora suo padre stava quasi
gridando, e le si avvicinò protendendo una mano, afferrandole il polso come per trascinarla via.
“Non ti permetterò di rovinarti la vita! Adesso tu vieni via con me e con tua madre, vieni a casa da
noi per un po’, finchè la malvagia influenza di questo essere non ti avrà lasciata libera, a costo di
farti la doccia nell’acqua santa!”
Anita sgranò gli occhi per la sorpresa davanti a quella reazione quasi violenta, così aliena dal
carattere dolce del padre “Lasciami andare, papà, non mi dirai come devo vivere la mia vita! e poi
Judith NON E’ mia madre!” fremente di rabbia gli voltò le spalle e si rivolse a Jean-Claude
porgendogli una mano “Andiamo via, portami via da questo posto, subito!”
Jean-Claude socchiuse gli occhi con evidente fatica, lo sguardo velato dalla tristezza, mentre
sfiorava la mano di Anita. “Sei sicura di non voler rimanere? forse dovreste parlare da soli, per un
attimo”
“No, Jean-Claude, non ho nessuna intenzione di discutere della mia vita sentimentale con lui.
Davvero, andiamo a casa” mormorò le ultime parole.
***
Nel parcheggio l’aria le sembrò gelata, una cosa senza senso visto che in quella stagione le notti
erano ancora eccezionalmente miti. Qualcosa dentro di lei si era raggelato, e il magone le stringeva
un nodo in fondo alla gola che le impediva di parlare.
Quando furono vicino alla macchina Jean-Claude la tirò verso di sé, stringendole le spalle tra le sue
braccia. Era proprio quello che ci mancava per farla crollare, quindi Anita resistette all’abbraccio e
cercò di proseguire verso la parte del guidatore, ma lui la trattenne.
“Ma petite, per favore, non voltare le spalle alla tua famiglia per causa mia.”
“Non lo faccio per te. E’ passato un sacco di tempo da quando aveva il diritto di dirmi cosa potevo e
non potevo fare…”
“Ma è tuo padre, ma petite” sussurrò Jean-Claude. Il tono le fece sollevare lo sguardo, e di nuovo
scorse quella sensazione di struggente malinconia che velava gli occhi del vampiro.
“Ha perso quel diritto quando ha dimenticato mia madre per sposare Judith”
“Come mai non sei mai stata in grado di perdonarlo? Non è passato abbastanza tempo?”
“Non puoi capire… davvero…”
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“No, non posso capire. E’ difficile per me ricordare cosa significhi fare parte di una famiglia. E
forse non ho mai saputo cosa significhi ubbidire a qualcuno solo perché pensi sia giusto farlo, e non
perché minaccia torture, dolore o morte”
Capì di essere stata terribilmente insensibile. “Scusa, Jean-Claude, io… non intendevo questo. Mi
dispiace che tu non abbia mai avuto una vera famiglia. Però averla avuta, averne fatto parte e poi
perderla, non è granchè come consolazione. Conitinui a ricordare com’era, come avrebbe potuto
essere, e quello che avevi non c’è più, non tornerà. Finito. Lontano. E’ una tristezza che ti divora.”
“Ma tu non li hai persi. Tua madre non tornerà più, è vero, ma è rimasto qualcuno che ti vuole bene,
che si preoccupa per te. Sono vivi, Anita, c’è ancora tempo, non è troppo tardi.”
Anita trattenne un gesto di stizza “Allora cosa vuoi che faccia? Che ti lasci, corra da loro e prometta
a mio padre che non permetterò mai più ad un vampiro di sfiorarmi?”
Jean-Claude sgranò gli occhi “Oh mon Dieu, certamente no! Pensi che sia il solo fatto di uscire con
me a rappresentare l’ostacolo invalicabile nei vostri rapporti?”
“Mio padre non accetterà mai l’idea che ho una relazione sentimentale con un vampiro. Per non
parlare neanche di quella sessuale. Non è proprio previsto dal libretto di istruzioni ‘come educare
una figlia’. L’hai sentito no?”
Lesse un’ombra di esitazione negli occhi di Jean-Claude, e prima che lui le rispondesse un’altra
voce risuonò allegra alle sue spalle.
“Oh, io l’ho sentito eccome, e sono stupito che non l’abbia seccato un infarto! Se vuoi sapere, io
invece penso che sia veramente figo uscire con un vampiro!”
“Josh!!” Anita si divincolò dall’abbraccio di Jean-Claude per fiondarsi tra le braccia di un teenager
biondo alto poco più di lei.
“Non ho crocifissi, quindi puoi presentarmi senza pericolo al tuo amichetto” aggiunse ammiccando.
“Josh, fratellino… non va affatto bene se non porti il crocefisso! Quante volte ti avrò ripetuto che
non te ne devi mai separare? Non hai idea del momento in cui potrà tornarti utile!”
“Ora dimmi come si fa a sopportare una sorella maggiore così!” Il ragazzo si era rivolto
direttamente a Jean-Claude: il tono era disinvolto, ma la voce nascondeva una punta di nervosismo,
e Anita si chiese se era la prima volta che il suo fratellino minore si trovava così vicino ad un
vampiro.
Jean-Claude gli sorrise, senza mostrare il minimo indizio di zanne “E’ un vero piacere conoscerti,
Josh”. Quando voleva aveva un aspetto talmente… umano che perfino lei avrebbe potuto per un
attimo essere tratta in inganno. Ma solo per un attimo, e vederli che si stringevano la mano le diede
comunque una sensazione spiacevole e protettiva, da ansiosa sorella maggiore. Non voleva che Josh
avesse niente a che fare con il mondo dei vampiri, non così presto, non così giovane.
“Josh, non stavo scherzando. Non voglio che tu vada in giro senza un crocefisso addosso” aggiunse
seria.
Ottenne in risposta solo il tono spavaldo di un ragazzo a cui la vita non ha ancora tolto niente.
“Vorrà dire che se qualche vampiro mi darà fastidio gli dirò che conosco il Master di St. Louis, e di
starmi alla larga se non vuole fare una brutta fine!”
“Su questo ci puoi contare, ma credo che avresti un effetto anche più intimidatorio dicendo che sei
il fratello dell’Esecutrice” rispose il Master, allargando il suo sorriso.
20
5.
Ora che si trovavano sulla porta di casa sua, Anita non era più sicura che fosse stata una buona idea.
L’atmosfera di giocosa eccitazione che l’aveva quasi sopraffatta al ristorante era stata annientata dal
confronto con suo padre e con i suoi fantasmi di famiglia. Ed ora che era di nuovo da sola con JeanClaude, ma che non era più distratta dall’idea del sesso, ripiombò su di lei tutta l’ansia accumulata
durante il giorno.
Quella serata avrebbe potuto essere come tutte le altre… Beh, in realtà non c’erano mai due serate
uguali quando usciva con Jean-Claude… non poteva certo lamentarsi della routine! Ma c’era un
fattore diverso che interveniva quella notte. L’accordo fatto con Dolph. Perché si era immischiata in
quel casino?
Non che avesse avuto molta scelta. O accettava le condizioni del poliziotto, oppure lui avrebbe
agito a modo suo, e sul momento le era sembrato che questa fosse l’idea migliore, e che
proabilmente non ci sarebbero state conseguenze gravi.
Probabilmente.
Ma se la sentiva di rischiare?
Forse avrebbe dovuto dire a Jean-Claude di tornare al Circo dei Dannati e concludere la serata lì…
e lasciare che succedesse quello che doveva succedere senza farsi coinvolgere.
Ma non era possibile. Dolph ne aveva fatta una questione di fiducia, e lei gli aveva promesso che
sarebbe andata fino in fondo. Allora perché si sentiva così male in quel momento?
Appena varcata la soglia del suo ingresso Anita si diresse decisa in cucina, lasciando dietro di sé la
porta aperta per Jean-Claude. Aveva assolutamente bisogno di un caffè, visto che aveva rinunciato a
quello ordinato al ristorante per andarsene prima possibile. Ma si fermò prima di arrivare alla
macchina dell’espresso. Si appoggiò con le mani al bancone che separava la cucina dal soggiorno,
le braccia tese e le spalle contratte in uno spasmo doloroso, mentre una folla di pensieri la assaliva.
Suo padre, il disprezzo nei suoi occhi.
Dolph, la diffidenza nei suoi occhi.
Perché tutti dovevano giudicare le sue scelte di vita? Perché tutti dovevano metterla alla prova? Una
sensazione di impotenza, di panico e di frustrazione la travolse e le salirono le lacrime agli occhi
mentre rimaneva come paralizzata a pensare a quale via d’uscita le offrisse la situazione in cui si era
cacciata.
Jean-Claude era entrato dietro di lei, ma non aveva ancora detto una parola da quando avevano
lasciato il parcheggio del ristorante. Non era stato un silenzio pesante. Semplicemente Jean-Claude
era capace di lasciarla da sola con i suoi pensieri senza forzarla a condividerli.
Quando lo sentì parlare era molto più vicino di quanto si aspettasse. Talmente vicino che sentì il suo
respiro sfiorarle la nuca, ed il suo corpo come una presenza che aleggiava dietro le sue spalle,
accendendo un calore improvviso dentro di lei.
“Ma petite… porti il reggicalze stasera?” La voce era ironica e seducente - Jean-Claude al meglio
del meglio - e la domanda era talmente inaspettata che Anita spalancò gli occhi, inghiottì le lacrime
e scoppiò in una risatina nervosa.
“Come diavolo ti viene in mente di chiedermi una cosa simile… adesso?!”
“Veramente è tutta la sera che voglio chiedertelo…trovo irresistibile il solo pensiero che tu abbia
messo le calze per uscire con me” mentre parlava la mano di Jean-Claude era scesa ad accarezzarle
i fianchi, e si era fermata nell’esatto punto in cui il gancetto del reggicalze creava una lievissima
gobba nella linea aderente della gonna. “Penso di avere indovinato, vero?”
Anita continuò a ridacchiare insulsamente “Sembra che tu abbia scoperto il mio segreto…”
“Mais non…. veramente non l’ho ancora ‘scoperto’… ma sto per farlo proprio in questo istante”
Era ormai talmente vicino che le sue parole si persero in un mormorio sommesso tra i capelli di
Anita, ed attraverso i vestiti lei riuscì a sentire la solidità del suo corpo aderire contro di lei.
Muscoli, carne, le lunghe dita sottili che si facevano strada giù fino all’orlo della minigonna e che
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lentamente la sollevavano, finchè arrivarono a sfiorarle la pelle in quel ridottissimo spazio nudo tra
la giarrettiera e gli slip. Era bastato quel gesto, quel semplice, lento gesto, perché il desiderio
montasse fino a travolgerla, e si sentì improvvisamente umida e aperta ad aspettarlo. Si lasciò
andare contro di lui, inarcando la schiena e gettando indietro la testa, offrendogli così un accesso
privilegiato al collo, di cui il vampiro approfittò subito.
Sentì i denti che le scalfivano con gentilezza la pelle della gola, ma senza perforarla, in un gioco
allusivo in cui il rischio calcolato che lui la mordesse accresceva l’eccitazione con una punta di
paura. La consapevolezza di trovarsi in balia di una creatura feroce, tenuta a bada solo da un
esasperato autocontrollo e dall’amore che dichiarava di provare per lei… Un mugolio le sfuggì dalle
labbra insieme ad ogni residuo pensiero coerente.
Le labbra di Jean-Claude percorsero affamate il collo di Anita, dall’incavo della spalla fino al lobo
dell’orecchio ed un breve secco rumore di stoffa strappata la liberò in un solo istante delle
mutandine di pizzo. Ora soltanto la pelle dei jeans di Jean-Claude premeva contro la sua pelle nuda.
Anita si lasciò sollevare senza alcuno sforzo, finchè non si trovò riversa in avanti sul bancone della
cucina. Una mano si era insinuata sotto la sua camicetta, un altro lieve schiocco aveva segnalato lo
slacciarsi del reggiseno e già i polpastrelli le tormentavano un capezzolo. Jean-Claude non era
ancora arrivato a sfiorare le sensibili labbra del suo sesso, ma Anita si trovava già al limite
dell’eccitazione e del desiderio quando sentì il rumore della zip dei pantaloni che si abbassava. Lui
la penetrò senza esitazioni, aprendosi la strada nelle sue profondità, colmandola e premendola verso
il basso, come se la volesse inchiodare contro il legno del tavolo. La avvolse in un abbraccio che
avrebbe potuto stritolarla, e la sua voce le arrivò roca e ansimante, mentre cominciava a muoversi
dentro di lei. “Je t’aime à la folie, ma petite”.
In mezzo alle vertigini che stavano per trasportarla dritta verso l’orgasmo, la coscienza delle sue
emozioni la colpì come un fulmine. Anche lei lo amava. Si fidava di lui. Verso di lui provava quel
senso di lealtà che nasce dall‘intimità e dall’amore. E in quel momento capì cosa era giusto fare.
“NO!”
L’urlo era stato così forte e deciso che Jean-Claude rimase come congelato a metà movimento, il
respiro affannato che le risuonava nelle orecchie e le scorreva tiepido lungo la guancia, la voce un
sussurro tremante. “Co….. Come?”
Anita si sentì morire per la crudeltà di quell’istante, ma non poteva lasciare che continuasse.
“Non posso…. perdonami Jean-Claude, ma davvero non posso farlo.”
“Che… cosa, Anita?”
Jean-Claude era il tipo di uomo che anche all’apice di un travolgente atto sessuale, insomma nel bel
mezzo di una selvaggia scopata, era in grado di fermarsi davanti ad un semplice no?
Sì, era quel tipo d’uomo, e si era fermato, ma lo sforzo che gli era costato fu più che evidente.
Qualcosa si irrigidì dentro di lui, Anita lo percepì come se un crampo avesse fatto contrarre ogni
suo muscolo.
“Non posso farti questo… forse non mi perdonerai mai ma non posso permettere che succeda.”
“Di cosa diavolo stai parlando, Anita?”
L’incredulità nella sua voce era straziante. Anita scosse la testa mentre le lacrime che si era
dimenticata poco tempo prima ritornavano brucianti in superficie. “Ti prego… cerca di capire…”
“Che cosa Anita? che cosa ho fatto? che cosa ho sbagliato?” continuò Jean-Claude con la voce
appena udibile, mentre scivolava fuori dal suo corpo.
“No… tu non hai fatto niente, assolutamente niente di sbagliato. E’ tutta colpa mia, è stato un errore
enorme e non so se riuscirai mai a perdonarmi.”
“Per favore, ma petite. Dimmi di cosa stai parlando perché ora sono davvero preoccupato”
“Io… io…”
Niente da fare. Non sapeva da che parte iniziare. Si girò verso di lui per guardarlo, e svanì anche la
minima parte di coraggio che poteva essere rimasta. Jean-Claude la fissava con i suoi occhi color
della notte, due profondità oceaniche, ed Anita si sentì persa nella miriade di emozioni che le
trasmettevano. Prese fiato lentamente prima di parlare.
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“Devo prima farti una domanda”
Silenzio.
“Puoi dirmi dove hai passato la notte di due giorni fa?”
Jean-Claude aggrottò le sopracciglia in un’espressione perplessa, e rispose dopo aver pensato per
qualche istante. “Sono rimasto al Circo dei Dannati con Asher”
Asher. Anita si rese conto che non aveva pensato ad Asher.
“Maledizione”
“Allora?” il tono del vampiro cominciava ad essere spazientito.
“Sai quel caso della polizia… quello per cui mi hanno chiamata ieri notte.” Ancora una pausa, per
ritardare le spiegazioni, ma Jean-Claude aspettò che fosse lei a continuare. “Si trattava
dell’omicidio di una ragazzina. Aveva 13 anni, si chiamava Corinne Bryce, studiava danza ed era
appassionata di balletto classico.”
Ancora nessuna reazione.
“E’ stata completamente dissanguata dai vampiri, Jean-Claude, e come se non bastasse io l’ho
riconosciuta: è la ragazzina a cui facevi il baciamano quella sera a teatro… Romeo e Giulietta, ti
ricordi?”
Jean-Claude sbattè le palpebre “E’ terribile… immagino che la cosa ti abbia molto turbato, ma…
cosa c’entra con noi due?” Forse era normale che un vampiro non rimanesse particolarmente
sconvolto di fronte ad una morte umana, anche se per un attimo era stato vicino e aveva toccato
quella fragile vita. Ma Anita si sentì ferita da quell’apparente indifferenza, così andò avanti, tutto
d’un fiato.
“C’entra perché io l’ho vista con te, ho visto con che entusiasmo ti guardava e ti veniva vicino.
C’entra perché accanto al suo corpo hanno trovato un fazzoletto con le tue iniziali ricamate. C’entra
perché io ho riconosciuto quel fazzoletto, Jean-Claude, è senza dubbio tuo. C’entra perché oggi mi
hanno chiamato alla centrale per sentire un testimone, che giura di aver visto il Master della città
uscire dalla sua ‘tana’ al Circo trasportando tra le braccia un corpicino senza vita. C’entra perché
quel corpicino è stato ritrovato abbandonato sul marciapiede in un vicolo a due traverse di distanza
dal Circo dei Dannati”
Mentre parlava, lo sguardo di Jean-Claude era passato dalla sorpresa all’incredulità, all’orrore.
“Anita, mi stai dicendo che pensi che io abbia fatto del male…. no, che io abbia ucciso una
tredicenne e che mi sia sbarazzato del corpo nella strada dietro la mia casa?”
“No, Jean-Claude, io non lo penso affatto. Ma Dolph sì, Dolph ne è assolutamente convinto, e in
questo preciso momento si trova dentro il Circo dei Dannati con un mandato di perquisizione in
mano.”
Ecco, l’aveva detto. La bomba era scoppiata.
Jean-Claude la afferrò violentemente per le spalle “Hai detto perquisizione? La polizia sta entrando
a perquisire il Circo?”
“Probabilmente a quest’ora hanno già iniziato”
“E tu non mi hai avvertito? Anita! Stavi per fare l’amore con me mentre pensavi che io fossi un
barbaro assassino di bambine?” Per una frazione di secondo, l’espressione di dolore aveva devastato
il bel viso di Jean-Claude, ma un attimo dopo la sua maschera impenetrabile aveva preso il posto di
ogni apparenza di emozione.
“No! ti ho detto che non credo affatto che tu sia colpevole! Ma non ho potuto evitare di riconoscere
il corpo di quella bambina! e non ho potuto tacere a Dolph il fatto che sapevo di chi era il
fazzoletto. In quel momento era solo un’informazione, non sembrava un’accusa specifica, non lo
era finchè non è spuntato quel testimone. E dice di averti visto in faccia, dannazione, dice di essere
assolutamente sicuro della tua identità!”
“E io mi sarei lasciato osservare senza accorgermene mentre trafugavo un cadavere? Anita, come
possono credere una cosa simile?”
Lei non fu più capace di reggere il suo sguardo e abbassò la testa “Lo credono perché il testimone è
una persona assolutamente rispettabile, e tu invece sei uno dei mostri.”
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“Perché non me l’hai detto prima?” Il tono freddo di Jean-Claude le fece più paura di qualsiasi altra
cosa. La spiegazione non era finita, e forse veniva la parte peggiore.
“Me l’ha chiesto… no, me l’ha espressamente ordinato Dolph. Non voleva che i suoi uomini
dovessero avere a che fare con i tuoi trucchi da vampiro mentre cercavano delle prove in casa tua.”
L’espressione imperturbabile di Jean-Claude vacillò di nuovo.
“Cioè ti ha chiesto di uscire e fingere di divertirti e di intrattenere il sospetto di un feroce omicidio
per poter fare più comodamente una perquisizione?”
Anita si sentì quasi sopraffatta dalle lacrime. Era la terza o la quarta volta quella sera, veramente
troppo. La voce uscì inaspettatamente ferma, nonostante tutto. “No. Dolph non voleva che io venissi
all’appuntamento stasera. Ma io mi sono rifiutata di annullarlo perché non credo che tu sia un
assassino, e ho detto a Dolph che ero disposta a scommetterci la salute, e che sarei uscita comunque
con te. Allora mi ha fatto giurare di non rivelarti nulla, perché secondo lui mi sarei trovata in
pericolo. Ha fatto appello ad ogni residuo di fiducia che lui e la squadra potevano avere per me. E io
alla fine ho tradito sia te che loro”.
“Scommetterci la salute o la vita? Sei armata ma petite? Dove hai nascosto i tuoi pugnali d’argento,
stasera? Non nel reggicalze, evidentemente.”
Anita alzò lo sguardo velato di pianto verso il vampiro “Io porto sempre la pistola, con chiunque io
esca, e ovunque io vada, lo sai. Ma non ce l’ho addosso in questo momento.”
Jean-Claude si allontanò bruscamente, fissando furibondo il vuoto davanti a sé, pur di non posare
gli occhi su di lei.
“Avranno trovato solo Asher e Jason sotto il Circo. Augurati solo che non abbiano fatto loro del
male”
“Asher è un vampiro e Jason un licantropo. Non credo che siano in pericolo…”
“Infatti mi riferivo ai poliziotti. Hai idea di cosa fanno a uno dei mostri se si azzarda ad attaccare un
onorato membro delle forze dell’ordine?”
Il pensiero si formò nella mente di Anita, e una morsa di panico si aggiunse a tutte le emozioni di
cui era in balia. “Dobbiamo andare immediatamente al Circo.” disse muovendosi per prendere le
chiavi della macchina.
“Io, andrò immediatamente al Circo, Anita. Non vorrai rovinare la tua copertura con la polizia.”
Anita non fece in tempo a rispondere, perché Jean-Claude era semplicemente sparito, come se si
fosse volatilizzato nel nulla, con l’eccezione di un piccolo vortice d’aria lasciato dal movimento
troppo veloce per essere visto.
24
6.
Da quando era saltata sulla macchina, dopo essersi infilata in fretta e furia un paio di jeans, a
quando si era fermata davanti al Circo dei Dannati era passata meno di mezz’ora e circa una
dozzina di infrazioni stradali. Un tempo che le era sembrato interminabile. Era l’una di notte e la
porta laterale, quella da cui entravano i dipendenti e quelli che avevano le chiavi, era aperta, ma non
c’era nessuno davanti a controllare. Né un agente, né uno degli uomini o dei vampiri di JeanClaude. Bruttissimo segno.
Quasi per un riflesso automatico Anita estrasse la Browning, tenendola puntata verso il pavimento,
ed entrò dentro l’edificio misurando ogni suo movimento. Non incontrò nessuno fino alla seconda
porta, scese le scale indisturbata ed arrivò fino alle stanze dove si trovava il quartier generale del
Master della città. Solo davanti alla porta della camera di Jean-Claude avvistò un poliziotto imberbe
che montava la guardia, che fortunatamente la riconobbe e non le impedì di entrare. Varcata la
soglia si trovò di fronte una scena che nemmeno nei suoi incubi peggiori avrebbe potuto prevedere.
Il quadro aveva al centro Jean-Claude, inginocchiato sul pavimento, con le mani alzate all’altezza
delle spalle, la testa abbassata e gli occhi chiusi, nella posa fatidica di chi è circondato dalla polizia
e vuole sembrare il più possibile innocuo e collaborativo. Un grosso poliziotto calvo, uno che Anita
ricordava non certo per il temperamento calmo e controllato, teneva la canna della pistola
d’ordinanza premuta dietro la nuca di Jean-Claude, con la sicura disinserita e il dito sul grilletto. Le
sembrò di sentire il proprio cuore fermarsi. Di sicuro smise di respirare, almeno per un po’.
Il sergente Storr stava alla destra del poliziotto, un po’ discosto, ma anche lui teneva il vampiro
sotto tiro. Il resto della squadra, altri quattro uomini, si tenevano tutto intorno, con le armi in mano
ma puntate verso il soffitto. Nell’angolo più lontano, seduto sul divano con le mani bene in vista
davanti a sé, c’era Jason, un labbro spaccato e sanguinante, con un sesto agente che gli stava alle
spalle, ma almeno non gli puntava armi addosso.
All’ingresso di Anita l’agente calvo aveva distolto lo sguardo dal suo bersaglio per guardarla - dieci
punti in meno. Non se la sarebbe mai cavata contro la rapidità di un vampiro. Ma Jean-Claude
sembrava una statua di marmo, immobile nel modo impressionante in cui solo i vampiri riescono a
stare, anche se Anita sapeva che l’aveva sentita arrivare molto prima dei poliziotti. Dolph non aveva
mosso gli occhi, ma doveva avere una vista periferica eccezionale perché si rivolse a lei
immediatamente.
“Cosa fai qui, Anita?”
Lei non si curò di rispondere “Cosa cazzo sta succedendo Dolph? Non doveva essere una semplice
perquisizione?”
Il sergente le rivolse finalmente uno sguardo stupito. “L’hai avvertito tu. E’ per questo che è tornato
così presto vero? Non ti rendi conto di cosa hai rischiato Anita?”
“Non ho rischiato niente, Dolph” almeno non fisicamente, aggiunse tra sé e sé. “Non credo che
Jean-Claude sia il tuo killer, te l’ho detto. Si può sapere perché gli state puntando una pistola alla
testa?”
“Non sempre quello che crediamo risulta vero, Anita. Non vuoi sapere i risultati della
perquisizione?”
Solo in quell’istante Jean-Claude alzò gli occhi e la guardò. Ma il suo sguardo non rivelò nulla, solo
quella maledetta maschera. Né rabbia, né paura, né odio, ma vuoto freddo e assoluto. Il poliziotto
gli diede un colpetto sulla testa con la canna della pistola “Abbassa gli occhi bastardo assassino,
non ipnotizzerai nessuno stanotte”
Storr fece un cenno con la testa ad uno degli altri agenti, indicando la direzione di Anita, e quello si
avvicinò portando in mano una busta trasparente che conteneva quello che sembrava un piccolo
ammasso di stoffa un tempo rosa, tutta macchiata. Insanguinata, per la precisione.
“E’ questo che avete trovato Dolph? Dei vestiti sporchi di sangue? E’ un vampiro, maledizione,
cos’altro ti aspettavi?”
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“Dei vestiti da ragazzina? E’ normale che a casa del tuo amico vampiro ci sia una maglietta taglia
extra small con sopra delle farfalline colorate, coperta di sangue?”
Anita rimase zitta, ma il suo cervello cominciò a correre a mille. Pensa Anita, pensa. Jean-Claude
non ha un debole per le bambine. Può essere tutto, ma di sicuro non un vampiro pedofilo. E qui al
Circo ci sono di sicuro un sacco di vampiri che vanno e vengono e che io non conosco.
Alla fine l’unica frase che le uscì fu la più stupida e banale che tutti inutilmente pronunciano,
colpevoli o innocenti che siano. “Non è stato lui, Dolph”
“Cosa ti rende tanto sicura, Anita? Il fatto che te lo scopi? Hai idea di quante mogli, fidanzate,
amanti fiduciose fanno una brutta fine perché il loro amichetto ‘non farebbe mai una cosa simile’?
Fatti un favore, Anita, smetti di ragionare con parti del tuo corpo diverse dal cervello. Come fai a
sapere che non gli piacciono le bambine?”
“Potrebbe essere uno qualsiasi degli altri vampiri che vivono qui. Invece cosa ti fa accusare proprio
lui con questa sicurezza?”
“Ci sono altri vampiri che hanno accesso alle sue stanze private, alla sua camera da letto? Al suo
armadio?” chiese Dolph incredulo.
Anita sentì che le rimanevano pochissime opzioni.
“Asher ha di sicuro accesso a tutto quello che hai citato”
“E chi cazzo è Asher?” ringhiò Dolph, nello stesso momento in cui un *No* urlato a pieni polmoni
le esplodeva dentro il cervello. Nessun altro l’aveva sentito, ma Jean-Claude la stava fissando di
nuovo, e questa volta lo sguardo era disperato, e conteneva una preghiera silenziosa e furibonda
*Lascia fuori Asher da questa storia!* continuò la voce nella sua mente. Anita si scosse, cercando di
scacciarla o almeno di non ascoltarla.
“Asher è il secondo in comando, se così si può dire, di Jean-Claude, ma è in città da poco, e io non
mi fido di lui.”
“E il succhiasangue qui sarebbe così stupido da fidarsi e da sceglierlo come vice?”
“E’ una storia lunga di secoli, Dolph, non c’è tempo ora. Sappi solo che quando è arrivato a St.
Louis Asher cercava vendetta, e chiedeva la mia vita o la sua” rivolse lo sguardo verso Jean-Claude,
temendo di incontrare il suo colmo di dolore o di rabbia. Ma Jean-Claude aveva di nuovo chiuso gli
occhi. Il suo corpo era lì, ma niente denunciava che all’interno ci fosse qualcosa di vivo. Forse era
un training-autogeno da vampiri per mantenere la calma e non mettersi a massacrare tutti i presenti,
lei compresa.
“Faremo ancora delle indagini, Anita. Ma non dimenticarti il testimone. In ogni caso Jean-Claude
sarà tenuto in stato di fermo finchè non avremo i risultati delle analisi su quel sangue. Quindi stai
tranquilla” aggiunse prima che Anita potesse ribattere “non abbiamo intenzione di giustiziarlo qui
sui due piedi” Le ultime parole non mascherarono il tono di leggera delusione di Dolph “A meno
che il nostro cadavere che cammina, qui, non faccia qualche sciocchezza nello stile dei suoi
compari”
Anita sentì la sua cara vecchia rabbia montare come vapore dentro una pentola a pressione. “Cerchi
un pretesto per fargli saltare la testa, Dolph? C’era davvero bisogno di tutta questa messinscena?”
“Non sai come mi piacerebbe vederlo che tenta di scappare. Non hai idea. E comunque sei tu che ci
hai insegnato le regole, Anita. Mai lasciare che un vampiro ti guardi negli occhi. Mai abbassare la
guardia davanti a un vampiro. Puntare sempre alle parti vitali. Stiamo solo seguendo le regole.”
Se tentasse di scappare non avresti nemmeno il tempo di vederlo, pensò Anita, ma saggiamente
tenne per sé un’informazione che avrebbe solo esasperato ulteriormente i poliziotti, già con i nervi a
fior di pelle.
D’un tratto, Dolph sembrò accantonare la presenza di Anita, anche se la sua espressione tradiva il
senso di delusione che provava nei suoi confronti, e si girò verso il poliziotto che teneva JeanClaude sotto tiro.
“L’interrogatorio continuerà alla centrale. Steve, David, ammanettatelo e portatelo via”
Mentre il secondo agente si avvicinava portando un paio di manette d’argento con l’espressione di
chi sta per infilare le mani dentro un cestino di serpenti, Jean-Claude parlò per la prima volta da
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quando Anita era entrata, la voce più neutra e impersonale che mai “Jason, chiama il mio
avvocato”.
“Devi proprio farlo Dolph? Vuoi sfilare davanti a qualcuno dei tuoi superiori con il Master dei
vampiri in catene? Molto scenografico, senza dubbio. Molto ‘imperatore romano’.”
Il sergente non si scomodò nemmeno a guardarla e rinfoderò l’arma appna vide Jean-Claude in
piedi, con le mani strette dietro la schiena e quattro agenti che lo scortavano con le pistole in pugno
verso l’uscita. La sua bella camicia blu era rimasta aperta sul petto, e i lunghi capelli arruffati gli
cadevano davanti agli occhi. Anita si sentì stringere il cuore.
Visto che la polizia non sembrava più interessata ad ascoltarla, si rivolse direttamente a JeanClaude. “Io vengo con te alla centrale.”
Ma neanche il vampiro sembrava interessato a lei, in quel momento. Non che la cosa le avrebbe
fatto cambiare idea. Se doveva schierarsi dalla parte di qualcuno, aveva fatto la sua scelta, e non
avrebbe permesso che qualche poliziotto distratto chiudesse Jean-Claude in una cella con la finestra.
27
7.
Il risveglio dopo il sonno diurno sorprese Jean-Claude con una prepotente sensazione di allarme. La
stessa sensazione che l’aveva colpito un attimo prima di crollare nell’incoscienza al sorgere del
sole, quella mattina, e a cui non aveva potuto reagire.
Steso sulla rigida panca della cella, si alzò a sedere con la stessa agilità di quando usciva dalla sua
bara o dal suo letto. Durante il giorno non c’era scomodità che potesse rovinargli il sonno.
Non era una cella con le sbarre affacciate su un corridoio, come quelle normalmente utilizzate per
gli arresti in attesa di interrogatorio. Era una stanza cieca, chiusa da una porta di ferro, dove si
apriva soltanto uno sportello quadrato schermato da una grata, davanti alla quale era fissato un
crocifisso. Altri crocifissi erano incastonati tutto intorno al telaio della porta.
Una fredda luce al neon era rimasta sempre accesa. Non aveva senso preoccuparsi di tenere sveglio
un vampiro durante il giorno, e di notte era più prudente illuminare bene l’interno dell’ambiente per
limitare il più possibile qualche trucco vampiresco complice del buio. Jean-Claude passò una mano
sulla superficie scabra del muro. Era molto spesso, e al di là non trapelava nessuna presenza umana,
né di altri vampiri. Quanto alla porta, i crocifissi non brillavano, ma ugualmente il desiderio di
tenersene lontano era molto forte.
Si soffermò a ricordare gli eventi della notte precedente, mentre cercava di decifrare la causa di
quella sensazione di pericolo e di urgenza che non lo abbandonava.
L’interrogatorio era stato breve, dato che le ore notturne a disposizione erano già agli sgoccioli
quando erano arrivati alla centrale di polizia.
Anita era riuscita a distrarre i giornalisti che bazzicavano continuamente intorno alla sede della
Spook Squad a caccia di novità, così l’entrata del sergente Storr con il suo trofeo in catene non
aveva ricevuto tutta l’attenzione che avrebbe meritato. Poi aveva voluto essere presente
all’interrogatorio, ed aveva talmente rotto le palle a Dolph e agli altri agenti che alla fine glielo
avevano permesso. Un sorriso sfuggì dalle labbra di Jean-Claude a quel pensiero.
La sua piccola esecutrice, trasformata per l’occasione in paladina del Master dei vampiri di St.
Louis. Si era data un gran daffare per farsi perdonare il suo tradimento. Ma in fondo l’unica cosa
che gli importava davvero era che lei non pensasse a lui come ad un assassino capace di qualcosa di
abominevole. Aveva impiegato troppo tempo per convincerla di non essere un mostro, e non
sopportava l’idea di perdere di nuovo la sua fiducia. Per il resto… poteva perdonarle qualsiasi cosa.
O quasi. Il fatto di aver deviato una parte dei sospetti su Asher non era tanto disposto a
perdonarglielo.
Asher aveva un pessimo rapporto con le forze dell’ordine, e soprattutto con le prigioni. Per nessun
motivo al mondo Jean-Claude avrebbe permesso che qualcuno arrestasse Asher e lo tenesse
rinchiuso in una cella tappezzata di oggetti sacri. Fortunatamente il suo amico aveva sentito arrivare
i poliziotti con abbastanza anticipo da sparire dalla circolazione. Se Anita non l’avesse tirato in
ballo la polizia non sarebbe nemmeno venuta a sapere della presenza di un nuovo Master sul
territorio di St. Louis. Merde.
Poi c’era stato il confronto con il testimone. Un testimone terrorizzato, tirato giù dal letto nel cuore
della notte per riconoscere ed accusare un vampiro che, nonostante la parete a specchio e la stanza
insonorizzata, aveva sentito benissimo la sua voce, ne aveva persino sentito l’odore impregnato di
paura e di falsità. Chi lo aveva costretto a quella testimonianza doveva avere un considerevole
potere su di lui. E doveva decisamente odiare Jean-Claude.
Prima di andare via, Anita gli aveva promesso che avrebbe passato la giornata a indagare su chi
poteva desiderare incastrarlo per omicidio. E su chi potesse avere l’opportunità di farlo. E che
sarebbe tornata per il suo risveglio.
Anita. Con la mente Jean-Claude passò allo scanner l’edificio che sovrastava i sotterranei in cui era
rinchiuso, ma non riuscì a sentire la sua presenza. Allora socchiuse gli occhi e si spinse più lontano,
attraverso le strade, fino ai confini della città, ma nessuna percezione della vita e del sangue di lei lo
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raggiunse. Invece di nuovo quella sensazione di pericolo, come nell’attimo in cui si era
addormentato: una specie di soffocata richiesta di aiuto aveva colpito i suoi sensi, ma era stata
spazzata via dall’inevitabile incoscienza. Ed ora quel silenzio, quel senso di assenza mentre cercava
di mettersi in contatto con lei.
Fece ancora uno sforzo, la cercò con tutta l’energia di cui era capace. In condizioni normali le
sarebbe esploso nella mente come un pugno, e ne avrebbe ricevuto in cambio uno schiaffo
metafisico altrettanto forte che l’avrebbe ricacciato fuori. La sua petite era estremamente
suscettibile alle intrusioni mentali. Ora invece trovava solo un vuoto totale che gli provocò un
brivido di panico. Non c’era distanza che potesse impedirgli di penetrare nella mente di lei, quindi
due sole spiegazioni erano possibili: o era morta, nel qual caso neanche lui si sarebbe sentito troppo
in salute visti i marchi che li collegavano, oppure si trovava in un profondo stato di incoscienza.
Non bastava il semplice sonno ad impedire la comunicazione tra di loro.
E poi cominciarono ad arrivare le immagini. Immagini mentali di qualcosa di mostruoso, di
terrificante, che emergeva dal buio e affondava le sue zanne. Dolore, e debolezza, la sensazione
debilitante di perdere le forze, di sentire la propria linfa vitale fluire via fuori dal proprio corpo, e
una sconvolgente paura. Anita si stava dissanguando, e in mezzo al terrore che la travolgeva
cercava di attingere alle risorse del triumvirato, ma Jean-Claude non aveva molte energie da
spartire, dato che ovviamente non si era potuto nutrire, e si rese conto che in quel modo stava
drenando anche lui. Con tutta la concentrazione di cui era capace bloccò le sensazioni, interruppe il
contatto. E cominciò a battere il pugno contro la porta della cella.
29
8.
Non passarono che pochi minuti e sentì una mente umana avvicinarsi alla sua prigione. Una mente
molto semplice, un gioco da ragazzi. Jean-Claude si chiese per quale insensato motivo lasciavano
un agente dalla psiche così disarmata al turno di guardia vicino alla cella di un Master antico di
qualche secolo. Presuntuosi e ingenui mortali.
Il vampiro catturò lo sguardo dell’uomo in divisa mentre si stava ancora avvicinando alla porta. Il
crocifisso sullo spioncino poteva tenerlo lontano fisicamente, ma in mancanza di qualche uomo di
fede che lo impugnasse non interferiva nemmeno un po’ con i suoi poteri mentali.
“Per favore, agente…”
“Kennan” rispose il poliziotto, già sprofondato nel pozzo degli occhi del vampiro.
“Agente Kennan, ho bisogno di parlare con il sergente Rudolph Storr.” mormorò con gentilezza
Jean-Claude “Per favore vai a chiamarlo, e digli che Jean-Claude deve dirgli qualcosa di estrema
importanza. Digli che è una questione molto, molto urgente, che non può aspettare per nessun
motivo.” E poi aspettò, mentre l’uomo si girava e si avviava verso le scale docile come un
agnellino.
Meno di cinque minuti dopo il corridoio che portava alla cella era pieno zeppo di uomini con le
armi spianate e con le piccole deliziose spilline a forma di crocefisso che brillavano sui risvolti delle
loro giacche. Davanti a tutti torreggiava il sergente Storr. “Mettiti immediatamente contro la parete
e abbassa gli occhi, altrimenti mi occuperò personalmente di chiuderteli con un colpo in mezzo alla
fronte!”
“Sergente… è stato molto gentile a scendere così in fretta… ma non c’era bisogno di portare
l’esercito” Jean-Claude non riuscì ad evitare un leggero tono divertito.
“Ti sei già giocato la testa, con il tuo trucchetto mentale su Kennan. Sta solo a te decidere se
preferisci aspettare l’alba, in modo che l’esecuzione sia indolore, oppure se vuoi che la facciamo
finita adesso per legittima difesa. Ma mi stupisce che un cadavere navigato come te non si ricordi
qual è la pena per aver provato i tuoi giochetti da illusionista su un agente di polizia.”
Jean-Claude rispose girato di profilo, le mani appoggiate al muro, gli occhi abbassati verso il
pavimento. “Se fosse stata mia intenzione fuggire, ora avrei già le chiavi della cella e voi stareste lì
a chiedervi dove sono sparito. Ho davvero bisogno di parlarle, Storr, e non potevo rimandare.”
Un attimo di perplessità fece abbassare di qualche centimetro la pistola di Dolph, mentre il vampiro
continuava a parlare.
“Anita è in pericolo. Per favore non mi faccia il terzo grado sul come e perché ho questa
informazione. Non possiamo perdere altro tempo.” lasciò andare un profondo respiro “Se
aspettiamo potrebbe essere troppo tardi per Anita”
“Di cosa stai parlando? Che cosa hai fatto ad Anita?”
Jean-Claude alzò gli occhi al cielo spazientito “Io non ho fatto niente ad Anita. Ho dormito come un
angioletto per tutto il giorno, non l’ha notato? Ma posso percepire molto chiaramente che si trova in
guai molto seri. L’hanno presa probabilmente già all’alba, quindi è tutto il giorno che si trova nelle
mani di qualcuno con pessime intenzioni.” Si girò di scatto e fissò negli occhi Storr “Mi ascolti, per
favore. Dovete trovarla. Dovete fare in fretta, e io potrei aiutarvi.” Poi distolse lo sguardo e lo lasciò
andare. Per alcuni istanti il sergente era rimasto come abbagliato dal colore degli occhi di JeanClaude e la sua voce gli era sembrata la melodia più persuasiva che avesse ascoltato in tutta la sua
vita. Quando il vampiro allentò la presa sulla sua mente si rese conto di quello che era appena
successo.
“Maledetto” ringhiò arretrando di qualche passo.
In quell’istante la voce di Zerbrovski emerse incerta dal fondo del corridoio. “E’ strano, sergente, è
tutto il giorno che Anita non risponde al cercapersone. Aveva assicurato che per il tramonto sarebbe
stata qui con le prove dell’innocenza del suo amico zannuto… E come se non bastasse, in questo
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momento al piano di sopra nel suo ufficio c’è un altro maledetto vampiro che fa paura solo a
guardarlo e che vuole parlare con lei.”
Jean-Claude sentì una fitta di panico e seppe immediatamente di chi si trattava, maledicendosi per
non aver percepito prima la sua presenza. Perché diavolo era venuto lì?
Nel frattempo il sergente Storr, forse per la prima volta dopo anni di specchiata carriera, stava
vivendo un istante di totale impasse. Le ultime parole del vampiro cercavano ancora di insinuarsi
nel suo cervello con il loro inarrestabile potere di convincimento. Non poteva lasciare un altro dei
suoi uomini in balia di quell’essere. Però non poteva nemmeno sparargli sui due piedi come avrebbe
desiderato sopra ogni cosa. Doveva ammettere che dopo quella dimostrazione di potere sembrava
strano che il vampiro non se ne fosse servito per fuggire o per attaccare i suoi uomini. Ma non
riusciva a comprendere qual era il suo scopo. Perché mettersi volontariamente nelle condizioni di
applicazione di una condanna a morte quasi istantanea quando avrebbe semplicemente potuto farsi
aprire la cella e volatilizzarsi? E poi ora c’era quell’altro mostro che stava aspettando al piano di
sopra.
“Peter, Steve, Thomas. Restate qui. Rimanete sempre insieme e se cerca di parlare o di ipnotizzare
uno dei tre, piazzategli una pallottola in testa. Non dovrebbe riuscire a tenere sotto controllo più di
una persona contemporaneamente, se Anita ce l’ha raccontata giusta.” Rinfoderò l’arma e si avviò a
passi decisi verso le scale che portavano ai piani superiori. “Voi seguitemi”.
Quando entrò nel suo ufficio seguito da Zerbrovski e dal detective Perry il sergente dovette
trattenere un gesto di sorpresa. Seduta molto compostamente sulla poltroncina di fronte alla
scrivania, le lunghe gambe accavallate e le mani appoggiate morbidamente ai braccioli, stava una
persona vestita in un elegante completo maschile grigio chiaro.
L’elemento di sorpresa era la massa fluente di capelli dorati che si allargava sulle sue spalle
arrivando fino a metà schiena, e che copriva completamente il volto. Solo quando si girò verso i tre
poliziotti fu chiaro che era un maschio e che non era umano. Per niente umano. Gli occhi, che si
intravedevano attraverso il velo dei capelli, erano freddi e non-vivi come il ghiaccio, e del ghiaccio
mostravano la sfumatura di azzurro più pura che si potesse immaginare. Quando si alzò in piedi
porgendo la mano sovrastò tutti in altezza tranne Dolph, ed il movimento lasciò trasparire per pochi
istanti una parte del viso – che era sembrato bellissimo – completamente deturpata da orrende
cicatrici, prima che con un gesto rapido la cortina dei capelli discendesse di nuovo a mascherare
quel profilo deforme.
“Ho saputo che mi stavate cercando. Io sono Asher”
Mentre i due detective restavano quasi a bocca aperta, Dolph rimase immobile, senza accettare la
stretta di mano, e fece del suo meglio per osservare attentamente il soggetto senza mai incrociarne
lo sguardo.
“E’ venuto a costituirsi?”
Il vampiro biondo strinse leggermente gli occhi. “Sono accusato di qualcosa di specifico?”
“E’ vero che lei vive al Circo dei Dannati ed ha libero accesso ad ogni locale?”
“Sì, è così” Il senso di calma che trapelava da lui era snervante.
“Anche nelle camere private del Master?”
“Sì, se necessario. Ma non ho l’abitudine di entrarci se non sono invitato”
“E c’è qualcun altro, qualche altro vampiro, che ha questa libertà?”
“Direi di no, attualmente. Ma questo non significa che non esista questa possibilità. Molte persone,
uomini, vampiri e licantropi, vivono o lavorano al Circo. E’ un interrogatorio, questo?”
“No. Chiamiamola piuttosto una amichevole richiesta di collaborazione. E’ disposto a rispondere o
vuole chiamare un avvocato?”
Asher tacque per alcuni istanti. Poi scosse la testa. “Sono qui per vedere Jean-Claude. Il suo
avvocato mi ha detto che non avete abbastanza prove per tenerlo qui ancora a lungo. E voglio
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mettere in chiaro il fatto che ieri non sono scappato dal Circo per qualche senso di colpevolezza o
misfatto da nascondere. Semplicemente mi trovavo fuori quando siete arrivati.”
“In che rapporti è con il Master di St. Louis?”
Per la prima volta, l’impassibilità del vampiro mostrò un tentennamento. Dolph incalzò. “E’ vero
che è qui da poco e che la sua amicizia per il Master non era così provata fino a poco tempo fa?”
“L’amicizia tra me è Jean-Claude è di antichissima data. Mi sono fermato come suo ospite a St.
Louis proprio per rinnovarla.”
“Vuole dire che non è venuto in città con il proposito di vendicarsi di qualche vecchio torto subito?
Come si è procurato quelle cicatrici al volto?”
Anche senza guardarlo negli occhi, Dolph si sentì addosso lo sguardo perforante del vampiro, che
rispose chiaramente in preda alla rabbia.
“Pensa che queste cicatrici siano qualcosa che *ci si procura*? Il mio aspetto non ha nessuna
relazione con il motivo per cui sono qui.”
“Infatti parlavo del motivo che l’ha spinta a venire in questa città. E che potrebbe spingerla a
organizzare qualche piccolo trucco di scena a discapito del suo vecchio *amico*.”
“Chi le ha raccontato queste cose?” Il tono di furia repressa trapelava nella sua voce, e sia Dolph
che i due colleghi avevano portato le mani sull’impugnatura delle armi. Il vampiro doveva
essersene accorto, perché respirò a fondo per recuperare la calma, almeno apparente. “Se non ha
intenzione di accusarmi di qualcosa o di trattenermi per un interrogatorio, vorrei vedere JeanClaude e sapere quando avete intenzione di rilasciarlo.”
Dolph non aveva accuse abbastanza precise per arrestare un altro vampiro, ed avere due master
centenari vicini di cella non era la sua massima aspirazione per la serata. Però la situazione poteva
essere sfruttata. Era difficile che questo vampiro decidesse di attaccarli nel bel mezzo di un
dipartimento di polizia pieno di agenti, quindi decise di capire fin dove poteva spingerne la collera
per carpire qualche altra informazione.
“Non credo proprio che il rilascio del suo amico sia imminente. Ha appena violato una delle regole
fondamentali della convivenza pacifica tra uomini e vampiri. Ha usato i suoi poteri per ipnotizzare
degli agenti di polizia, e per cercare di convincerli ad agire secondo i suoi ordini. Non credo proprio
che il suo amico uscirà da quella cella se non a pezzi. La testa da una parte, il cuore dall’altra, le
ceneri chissà dove…”
Studiando la reazione di Asher, Dolph si aspettava di dover decifrare la tipica e imperturbabile
inespressività vampiresca. Invece quello che vide sul viso del vampiro fu una tempesta di emozioni.
Orrore, ansia, smarrimento. Sembrava talmente umano che per un attimo Dolph non vide più le
fattezze soprannaturali, né le orrende cicatrici.
“Non è possibile che Jean-Claude abbia fatto una cosa simile. Non è un pazzo suicida. E nemmeno
uno stupido. Se proprio avesse voluto attirarsi una condanna a morte, l’avrebbe fatto per fuggire.”
Era esattamente la stessa cosa che aveva pensato Dolph, appena aveva riacquistato la sua lucidità
mentale.
“Allora secondo lei per quale motivo l’ha fatto, e così apertamente?” chiese con sincera curiosità.
“Che cosa ha chiesto di fare ai poliziotti ipnotizzati?”
Il sergente ci pensò per un attimo. “In effetti ha detto che voleva parlare con me. Poi ha cercato di
convincermi che Anita Blake si trova in qualche tremendo pericolo”
“Anita è in pericolo?” sibilò Asher “Allora è ovvio perché l’ha fatto! Farebbe qualsiasi cosa pur di
arrivare in tempo a salvarla” Il vampiro chiuse gli occhi, colpito da un pensiero improvviso “Questa
volta *deve* arrivare in tempo.”
Un’ombra di dubbio cominciò ad insinuarsi nella mente del poliziotto, che si rivolse a Zerbrovski
“Hai detto che Anita non ha risposto al cercapersone?”
“Sì, esatto.”
“Non hai provato a cercarla sul telefono di casa o al lavoro?”
“Naturalmente ho provato, ma a casa risponde la segreteria, e Mr. Vaughn ha detto che non l’ha
vista tutto il giorno…. era piuttosto incazzato perché Anita ha bucato quattro appuntamenti, oggi”
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In quell’istante due telefoni squillarono contemporaneamente. Dolph rispose al portatile che aveva
allacciato alla cintura, mentre Clive Perry prendeva la cornetta sulla scrivania.
Quello che il sergente sentì nell’apparecchio gli ghiacciò il sangue: era uno degli uomini rimasti di
sotto, che urlava per sovrastare il suono degli spari alternati a rumori di oggetti distrutti. “Sergente!!
deve mandare giù dei rinforzi! Quel bastardo non ci ha parlato né guardato, ma sta dando fuori di
matto e ha cominciato a fare a pezzi ogni cosa nella cella! Ora ha iniziato a tirare pugni nel muro e
stanno scendendo dei calcinacci dalle pareti! Dobbiamo sparargli oppure no? In fondo non ci ha
attaccati…”
“Tom! Tom, ascoltami! non sparate. Sto scendendo. Ditegli che sto andando a parlare con lui.”
Dolph chiuse la comunicazione con un gesto rabbioso, ma prima di uscire dall’ufficio si fermò a
guardare interrogativamente Perry che aveva a sua volta finito la telefonata. “Cos’altro c’è?”
ringhiò. Il detective sembrò quasi intimorito.
“Dobbiamo andare subito nel Blood District. Hanno trovato un altro ragazzino nelle stesse
condizioni di Corinne Bryce. Ma questo forse è ancora vivo.”
Almeno una cosa era chiara. Forse due. Se la nuova vittima non era ancora morta, il crimine era
troppo recente per essere stato commesso personalmente da Jean-Claude. E se il Master della città
rischiava di farsi giustiziare solo per riuscire a parlare con un poliziotto, forse poteva avere qualche
buon motivo.
Quando Dolph arrivò davanti alla cella del vampiro, Zerbrovski e Perry erano già partiti con una
squadra per raggiungere la scena del crimine, Asher invece era stato lasciato nell’ufficio controllato
a vista da quattro uomini, armati di pistole e crocifissi, e sembrava che questi lo intimorissero molto
più delle armi.
Alla vista di Storr, Jean-Claude si calmò immediatamente, gli ultimi resti di furia che si spegnevano
nel suo respiro affannato.
“Ok, hai attirato la mia attenzione. Parla”
“Ho già detto tutto quello che serviva. Anita è in pericolo, il suo sangue e la sua vita si stanno
consumando ad ogni istante che passa. Non riuscirete a trovarla in tempo se non mi fate uscire e
collaborare alle ricerche. Io la posso trovare più in fretta di voi.”
“Noi puoi dirci semplicemente dov’è?”
“Non è così semplice. E’ come un contatto che ho con lei… ho bisogno di avvicinarmi per capire
dove la tengono”
Dolph riflettè molto rapidamente. L'essere che aveva davanti era qualcosa di malvagio, di dannato,
qualcosa che non apparteneva al regno di Dio e degli uomini. Di questo era convinto. Ma c'era una
cosa che la sua esperienza di sbirro gli aveva insegnato, e per quanto la ritenesse in quel momento
una delle azioni più stupide che avrebbe potuto fare, era l'unica che gli avrebbe permesso di
prendere una decisione.
Sperando di non pentirsene amaramente, alzò la testa e fissò negli occhi il vampiro. E non sentì
nessun potere, tranne quello della disperazione che rigava quel viso con lacrime insanguinate.
“Quando è successo che non sei arrivato in tempo?”
Jean-Claude sbattè le palpebre fermandosi un istante a fissare il poliziotto.
“Sono passati più di due secoli.”
“E ci pensi ancora?”
“Ogni giorno della mia eternità”
“Apri la cella, Steve”.
33
9.
Solo a fatica e dopo aver esercitato tutta la sua autorità, Dolph era riuscito a convincere l'agente di
non trovarsi sotto l'effetto dell'ipnosi del vampiro. In effetti tutte le sue facoltà intellettive gli
urlavano che stava facendo un’enorme cazzata, che se anche non ci avesse rimesso le penne di
sicuro ci avrebbe rimesso la carriera, e solo una solitaria voce in fondo al cervello gli ripeteva che
invece aveva fatto la scelta giusta. Ma a quel punto anche lui aveva cominciato a preoccuparsi per la
sorte di Anita, quindi la voce solitaria aveva avuto la meglio.
Se l’idea di collaborare con un vampiro gli ripugnava, la possibilità di dover collaborare con due di
loro contemporaneamente non l’aveva nemmeno sfiorato, finchè non erano arrivati di fronte ad
Asher. Improvvisamente l’aria sembrava piena di emozioni, di sguardi e di parole trattenute.
Jean-Claude si era fermato di botto fissando l’altro.
“Perché se venuto qui Asher?”
“Dove altro dovrei essere? Io non abbandono gli amici in pericolo”
Le parole del vampiro biondo sembrarono una stilettata dolorosa per Jean-Claude, che abbassò gli
occhi.
“Mi aiuterai a cercare Anita?” rispose in un sussurro.
“Certamente” la voce di Asher si addolcì “Vedrai che la troveremo in tempo”
“Che ne dite di cominciare a darvi da fare?” li interruppe Dolph, poi si rivolse a Jean-Claude. “Non
pensare che i tuoi problemi con la giustizia siano finiti, Master di St. Louis. Non so ancora come ho
fatto a convincermi a farti uscire dalla cella.”
“Forse ha capito che non sono io il suo assassino.”
“Forse invece ho capito che in qualche tuo modo distorto ci tieni alla vita di Anita. Non so ancora
quali siano i tuoi scopi, ma finchè lei non è al sicuro possiamo anche giocare nella stessa squadra.
Ricordati che ti terrò sotto tiro, e se ne approfitti per scappare, forse non riusciremo a riprenderti,
ma potrai dire addio a tutti i tuoi locali alla moda ed alla tua ricca vita a St. Louis. Sarai la preda più
ambita da tutti i cacciatori di taglie degli Stati Uniti.”
Jean-Claude lo fissò con freddezza “Ne deduco che dovremo viaggiare insieme. Avete delle
macchine veloci?”
“Ci stanno già aspettando fuori. Richards, Joyce, il resto della squadra che ho chiesto è pronto?”
“Ci siamo tutti, sergente” rispose uno degli agenti interpellati, senza riuscire a dissimulare la
perplessità sull’azione che stavano per affrontare.
***
Jean-Claude salì nell’automobile a fianco di Storr, con due agenti nervosissimi nei sedili posteriori
incaricati di stare pronti con le armi cariche. Sentendo la loro paura che riempiva l’abitacolo si
augurò che le loro dita non tremassero sul grilletto, e che l’auto non prendesse troppe buche. Asher
era stato obbligato ad andare nell’altra macchina e a sedersi dietro, nel posto che occupava di solito
chi era in arresto, e poi era iniziata la corsa, per le strade e contro il tempo.
Anita doveva essere cosciente, almeno da quando lui aveva lasciato cadere ogni protezione mentale
che aveva eretto per non lasciarsi trascinare nel vortice del suo dolore, ed ora poteva inseguire
tracce sconnesse del suo terrore attraverso la città, guidando i poliziotti fuori dal centro, verso la
periferia e la vecchia zona delle industrie che erano state gradatamente confinate lontano dalla vita
pulsante della città nell’ultimo decennio.
Aveva pensato più di una volta di allargare i suoi affari comprando e ristrutturando quegli edifici,
come aveva già fatto sul Riverfront, ma non aveva ancora avuto l’occasione di esaminarli con
attenzione. Ed era un vero peccato, perché ora sentiva distintamente che Anita si trovava lì, da
qualche parte, in quel labirinto di vecchie fabbriche, decrepiti gusci vuoti in cui chiunque poteva
trovare un nascondiglio.
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Ogni volta che cercava di entrare in comunicazione con lei riceveva indietro solo immagini distorte,
come se fosse circondata da creature mostruose, voci mostruose, in cui la voce di Jean-Claude non
si distingueva dalle altre. Che cosa le avevano fatto? Era come se la mente di Anita gli trasmettesse
delle allucinazioni, come se tutte le sue paure si fossero materializzate di fronte a lei, e il suo
cervello cercasse di sfuggire, di non guardare e di non sentire i mostri che la circondavano.
Che cosa le avevano fatto?
Ora si trovavano tutti fermi di fronte ad uno di quegli edifici. Lei c’era. Doveva essere lì dentro, e
doveva essere viva. Jean-Claude cercò con gli occhi quelli di Asher, e li sentì appannarsi dietro un
velo di sangue mentre vedeva l’espressione dell’altro vampiro che gli diceva che era con lui, che il
rancore era lontano, e che lo avrebbe aiutato a salvare Anita, che non avrebbero fallito un’altra
volta.
Fu Asher a rompere il silenzio.
“Qualcuno ha un piano? Direi che ci sono almeno tre vampiri all’interno di quell’edificio, e forse
cinque umani…. e Anita è con loro”
“E deve essere allo stremo delle forze. E’ talmente debole che non sta neanche provando ad
attingere alla mia energia.” aggiunse Jean-Claude sottovoce.
Dolph si girò a guardarlo con diffidenza. “Intendiamoci bene. Questa è un’operazione di polizia.
Voi l’avete rintracciata, adesso tocca a noi. E se ci sono degli umani coinvolti in tutto questo, di
sicuro non lascerò l’operazione nelle vostre mani.”
“Non potete affrontare tre vampiri. Non c’è neanche un cacciatore tra di voi, sarebbe un inutile
massacro” osservò Asher, l’unico che sembrava mantenere ancora la calma.
Ma Jean-Claude sentiva di avere avuto anche troppa pazienza. “Abbiamo perso abbastanza tempo.
Io vado a prenderla, provate a fermarmi se potete”
Un attimo dopo era scomparso dalla loro vista, e mentre Dolph urlava “Non ti azzardare ad
allontanarti!” si trovava già vicino alla porta.
Asher lo seguì immediatamente, con la stessa velocità impressionante che dava l’illusione di una
dissolvenza magica e Dolph li seguì imprecando, facendo cenno ai suoi uomini di seguirlo.
L’atmosfera all’interno della fabbrica era resa spettrale dalla luce fioca della luna, che filtrava
attraverso le polverose finestre degli shed sul soffitto, riempiendo di ombre il vasto salone
ingombro di macchinari in disuso, ma i sensi del vampiro erano di gran lunga troppo acuti per
essere ingannati dalle ombre, al contrario di quelli dei poliziotti che impiegarono molto più tempo
per adattarsi al buio.
Jean-Claude procedette lentamente attraverso i rottami, sussurrando mentalmente il nome di Anita.
“Ma petite, sono io, sono Jean-Claude. Aiutami, dove sei?”
La risposta gli arrivò in un farfugliare confuso “No… no….basta… vai via… per favore andate via”
Ma bastò per localizzarla. Si diresse senza esitazioni sul fondo dello stanzone principale, e aprì una
porta che dava su un ambiente più piccolo, senza finestre ed immerso nel buio più assoluto.
Sentì dietro di sé i rumori soffocati di una lotta, ma percepì solo la presenza di umani.
Probabilmente i vampiri avevano già tagliato la corda da un pezzo. Vigliacchi parassiti, annotò
mentalmente Jean-Claude.
Poi di fronte a sé vide Anita.
Era seduta su una sedia, esattamente al centro della stanza, per il resto completamente vuota.
Avvicinandosi capì che era legata, ai polsi e alle caviglie, con diversi giri di nastro adesivo, la testa
innaturalmente reclinata all’indietro, come se qualcosa la costringesse a guardare verso l’alto e ad
esporre la gola nuda estendendo al massimo i muscoli del collo.
“Ma petite…. Anita…. sono qui. E’ finita, ma petite, siamo venuti a portarti via”
In un attimo fu accanto a lei, ma si fermò rendendosi conto che lei era in preda al panico. Non era
bendata, lo stava guardando con gli occhi sbarrati, con quella strana angolazione del collo, ma non
sembrava che stesse vedendo lui. O almeno lo sperava, perché quello sguardo terrorizzato non le
apparteneva, non era da lei.
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La voce le uscì rauca e aspra, come consumata da urla troppo prolungate “Vai via…. vai via…. tu
non sei Jean-Claude, io non sono la tua petite. Ti ucciderò, se mi tocchi ti ucciderò….”
Jean-Claude si inginocchiò davanti a lei e allungò esitante una mano per liberarla dal nastro
adesivo, ma Anita iniziò a gridare e lui rimase immobile, con il braccio alzato a metà. Ora capiva
che cosa le tratteneva la testa riversa all’indietro. Una spessa corda le stringeva il collo, sopra la
carotide, e scendeva dietro lo schienale, fissata da qualche parte in modo che ogni tentativo di
muoversi provocasse un inizio di soffocamento. Sotto il mento già si intravedeva il livido viola che
si allargava dove il cappio aveva quasi tagliato la pelle, e sulla vena che pulsava impazzita
spiccavano i fori rossi e slabbrati di un morso. Jean-Claude si sentì invadere da un odio
incontrollabile. Li avrebbe annientati. Tutti. Di loro, di quelli che avevano osato fare questo non
sarebbero rimaste nemmeno le ceneri per testimoniare la loro passata esistenza.
La voce di Asher alle sue spalle lo riscosse.
“Cosa succede? cosa aspetti Jean-Claude?”
“Non vedi come è terrorizzata? Non mi vede…. e solo dio sa quale inferno ha visto e sta ancora
guardando davanti ai suoi occhi…”
Un attimo dopo i primi due agenti irrompevano nella stanza, guidati dalle grida di Anita, e bucando
il buio grazie all’aiuto di una torcia elettrica si diressero verso la fonte di quei rumori strazianti.
Senza perdere tempo, e senza fermarsi ad aspettare che Anita si calmasse, uno di loro estrasse un
coltellino e recise con attenzione la corda che le segava il collo, poi passò al nastro adesivo che
fissava le mani ai braccioli della sedia, e per ultimo alle caviglie.
Ma nessuno dei due notò lo sguardo allucinato con cui Anita, appena ebbe le mani libere, allungò la
mano ad afferrare la pistola dalla fondina del poliziotto più vicino a lei.
Si alzò in piedi rovesciando la sedia e con tutte e due le mani puntò la pistola davanti a sé, prima
con incertezza, poi trovando un bersaglio appropriato. La fronte di Jean-Claude.
“Lasciatemi stare! andate via! non berrete più il mio sangue, maledetti!”
Come per un’entrata in scena ad effetto, la sagoma di Dolph apparve nel vano illuminato della
porta. “Anita, stai tranquilla, sono Dolph. Non ti lascerò nelle mani dei mostri.” Anche lui brandiva
la pistola, puntandola contro i due vampiri. Asher si girò verso di lui con uno sguardo di incredulità.
“Non fare una mossa.” gli gridò Dolph, mentre gli agenti arretravano con circospezione,
allontanandosi sia dai vampiri che da Anita, ora sola al centro della stanza, l’arma che cominciava a
tremare nella mano ancora intorpidita, mentre lanciava sguardi frenetici intorno a sé.
Solo Jean-Claude era rimasto immobile. Poi lentamente si mosse per alzarsi, e mentre lo faceva
iniziò a parlare, mettendo nella sua voce tutto il potere di cui disponeva. Le frasi uscirono dalla sua
bocca e si attardarono ad accarezzare l’aria che lo circondava, poi si diressero morbidamente ad
avvolgere Anita. Era a lei che erano rivolte, ma tutti gli uomini dentro la stanza, persino Dolph,
sembrarono trattenere il respiro per un attimo.
Asher si sentì travolgere da antiche sensazioni e pensò che sarebbe stato disposto a rinunciare alla
sua vita immortale pur di sentire ancora una volta quella voce rivolta a lui.
“Guardami, ma petite. Sono io. Chi ti ha fatto del male non è più qui. Li prenderemo, noi due
insieme. Non mi vuoi davvero sparare vero? Ti prego, metti giù la pistola. Lascia che ti porti via.
Lascia che mi prenda cura di te.” Mentre parlava, si era avvicinato quasi impercettibilmente ad
Anita, che lo fissava con aria smarrita, come se stesse cercando disperatamente dentro il suo
cervello qualche punto fermo a cui aggrapparsi, qualche realtà a cui credere.
“Sei…. tu. Sei tu davvero?”
“Sì ma petite”
“Jean-Claude …” Ormai la canna della pistola era premuta contro il petto del vampiro, che
continuava lentamente ad avanzare, obbligandola a piegare il braccio. L’unico modo per fermarlo
sarebbe stato sparargli. In quella posizione gli avrebbe spappolato completamente il cuore. Percepì
l’accelerare dei battiti di quel cuore. Il cuore di Jean-Claude. E allora abbassò l’arma, e permise al
vampiro di fare ancora un passo verso di lei e avvolgerla tra le sue braccia.
“Hm…. non l’abbiamo già fatto, un’altra volta?” le sussurrò Jean-Claude nell’orecchio.
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“Solo la parte della pistola. E più di una volta se non ricordo male”
***
Qualcosa nel suo cervello era stato assente per parecchio tempo. Anita aveva sentito la nebbia
pesante che le soffocava la mente dissolversi, spazzata via dal suono rassicurante di una voce
inconfondibile. Ma il senso di confusione non l’aveva del tutto abbandonata. Era come se le
mancassero intere parti di memoria.
E poi si sentiva dolorante in ogni parte del corpo, ma era in piedi e si trovava tra le braccia del suo
vampiro preferito. Quindi le cose non potevano andare tanto male. In più, nella destra stringeva una
pistola, quindi era pronta per ogni imprevisto. Ma come cazzo era finita lì?
Senza sciogliersi dalla stretta di Jean-Claude girò la testa a guardarsi intorno. Vicino a loro c’era
Asher, che la guardava con un sorriso incerto sulle labbra.
Più lontani, quattro agenti di polizia che li circondavano con le armi in pugno. Questo non andava
bene.
E in fondo alla stanza, Rudolph Storr con la sua arma puntata con precisione in mezzo alla schiena
di Jean-Claude. Questo era assolutamente cattivo segno. Ma non fece in tempo a chiedere cosa
cazzo stava succedendo e dove erano i cattivi, perché Dolph la anticipò.
“Lasciala andare bastardo! La tua trappola non ha funzionato!”
“Di cosa sta parlando? Quale trappola?” era stato Asher a parlare, mentre si spostava dietro Anita e
le cingeva protettivamente le spalle. Avvinta nell’abbraccio dei due vampiri, Anita si sentì
incredibilmente al sicuro, e la paura che l’aveva posseduta per lunghe interminabili ore cominciò
piano piano a dissolversi.
“Abbiamo preso i tuoi ruffiani, Jean-Claude, che non ci hanno pensato due volte prima di tradirti.
Sappiamo che stavano lavorando per te. Lascia andare Anita, non hai via di scampo.”
Nella stanza cadde un silenzio raggelante. Anita lottò contro la confusione nel suo cervello che le
impediva di valutare lucidamente la situazione. Gli agenti aspettavano tesi che il capo desse l’ordine
di sparare, aggiustando le loro posizioni per non interferire nelle linee di tiro.
“Asher?” mormorò Jean-Claude.
“Sì”
“Dobbiamo andarcene. Adesso”
I due vampiri si fissarono per un attimo negli occhi, poi si mossero contemporaneamente, come
azionati da una sola volontà.
Asher si gettò di lato, ma non con la velocità di cui sarebbe stato capace. Il suo spostamento lasciò
nell’aria una scia di movimento a cui Dolph reagì d’istinto, mirando e tirando là dove pensava che il
vampiro si sarebbe trovato per saltargli addosso. Ed Asher era là, in effetti: fermo a fronteggiarlo, il
braccio sanguinante dove la pallottola l’aveva colpito.
Anita si sentì stringere più forte e sollevare, poi la velocità la stordì mentre volavano attraverso la
porta, e non vide lo sguardo furibondo di Dolph, non vide la sua distrazione di una frazione di
secondo in cui distoglieva il suo sguardo da Asher per cercare Jean-Claude. E subito dopo loro non
erano più là. Né Jean-Claude, né Asher, né Anita.
37
10.
“Che fine hanno fatto i tre vampiri?”
“Je n’ sais pas, Jean-Claude. Quando siamo entrati non c’erano più. Ma ricordati che eravamo sulle
auto della polizia. Avranno sentito il rumore, non la nostra presenza, e sono fuggiti, lasciando i loro
scagnozzi a finire il lavoro.”
“Ma prima li hanno attentamente istruiti…”
“Pensi che si siano lasciati arrestare troppo facilmente?”
“Non hanno neanche tentato di fermarmi, Asher. Ci hanno lasciati passare rimanendo nascosti, e poi
si sono fatti beccare dagli agenti.”
“Avresti potuto occuparti di loro prima di arrivare ad Anita”
“No, non l’avrei fatto prima di trovarla e assicurarmi che era viva. E forse loro lo sapevano.
Altrimenti non sarebbero rimasti in quell’edificio rischiando di affrontare due Master.”
“La tua relazione con Anita sarà anche di dominio pubblico, ma non lo sono i tuoi sentimenti. Come
potevano essere sicuri che saresti riuscito ad andare da lei? Che avresti rischiato un’esecuzione per
convincere i poliziotti a farti uscire di cella?”
Una breve risata tagliente come schegge di vetro. “Non lo so, mon ami. La maggior parte di loro
non pensano che un vampiro possa avere dei sentimenti.”
“Se non malvagi.”
“Se non malvagi, esatto.”
“La maggior parte di noi è così Jean-Claude. Sei stato troppo tempo lontano dalla Corte”
“Ti metti anche tu nel numero?”
Un sospiro. Nessuna risposta.
“Comunque possono aver ipotizzato che non mi sarei lasciato tenere rinchiuso in prigione. Che
avrei usato i miei poteri per fuggire. Non gli bastava che fossi accusato e tenuto sotto chiave.
Volevano la certezza di un mandato di esecuzione.”
“E ora probabilmente ce l’hanno”
“Grazie di avermelo ricordato, Asher. E tra le altre cose, non eri tenuto a seguirmi in questa storia.
Sei a St. Louis come mio ospite, ma ora che sei stato coinvolto in tutto questo avrai molte difficoltà
a lasciare gli Stati Uniti.”
“Ti pesa la mia presenza? Credevo che fossi d’accordo sul fatto che mi fermassi qui” Il tono era
imbronciato, o forse ferito.
“Sai che sono d’accordo. Sai benissimo che…”
“Che cosa, Jean-Claude?”
Le parole furono mormorate a voce appena udibile “Che non avrei mai osato sperare che noi due
potessimo di nuovo…”
“Sì?”
“Fidarci uno dell’altro”
“Ah… oui. La fiducia. Ti fidi di me Jean-Claude?”
“Bien sûr”
“E perché? Cosa ti fa pensare che non sia stato io a nascondere quel vestito insanguinato nei tuoi
cassetti? Anita l’ha pensato, la polizia l’ha pensato. Sarebbe una vendetta perfetta.”
“Sì, in effetti sarebbe geniale. Ma tu non faresti del male ad Anita.”
“Sei ancora così maledettamente sicuro di te stesso, come due o trecento anni fa. Non hai mai dei
dubbi Jean-Claude?”
Anita sentì muoversi il letto, e capì che Asher si era alzato di scatto e si era allontanato a grandi
passi. Lentamente aprì gli occhi, cercando di ricordare dove si trovava. Sentiva un dolore sordo
pulsare in ogni parte del corpo. Aveva una vaga coscienza di quello che era successo, fino al
momento in cui si era sentita trasportare verso l’alto, aveva sentito un freddo terribile e aveva perso
i sensi.
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Si era risvegliata in un letto sconosciuto, con la testa appoggiata nel grembo di Jean-Claude, e
sentiva la sua mano che giocherellava con una ciocca dei suoi capelli. Le voci sommesse dei due
vampiri avevano cullato il suo dormiveglia, ma a riportarla alla realtà era stata una sensazione di
malinconia talmente intensa che gli occhi le si erano riempiti di lacrime. Non era suo, quel
sentimento. Era di Jean-Claude. Ma nel cuore di Anita si insinuò il suo struggimento, il suo dolore
nel guardare quel vampiro che amava, che continuava ad amare anche dopo tutto quel tempo, e la
sua acuta sofferenza nel vederlo tormentarsi in quel modo. Cioè, che Jean-Claude continuava ad
amare. Lei lo conosceva appena, Asher, e non era ancora sicura di quali fossero i suoi sentimenti
per lui.
Si mosse leggermente, e Jean-Claude subito le dedicò la sua attenzione.
“Ma petite… sei sveglia? come ti senti?”
Non potevano essere passate molte ore dalla loro fuga, quindi probabilmente mancavano ancora
parecchie ore all’alba. Ma il buio che la circondava e il senso di non appartenenza a quel luogo le
ricordarono le ore che aveva vissuto in balia dei mostri e si sentì invadere da un freddo improvviso.
“Dove siamo?”
Jean-Claude rispose dopo un lungo sospiro “Mi dispiace averti trascinata nella mia fuga. Non era
mia intenzione …”
Asher lo interruppe bruscamente “Smettila di scusarti Jean-Claude. Non vedi che se siamo qui con
te è perché vogliamo starci? Nessuno mi ha obbligato ad aiutarti a fuggire. E nessuno ha obbligato
Anita a mettersi nei guai e a rischiare la pelle per cercare di scagionarti da quelle accuse assurde.
Non ci offendere chiedendoci scusa!”
Jean-Claude prese fiato come per iniziare a parlare, ma richiuse la bocca senza un suono. La sua
mano le accarezzò la nuca e poi si strinse a pugno intorno ai suoi capelli.
“Se è il momento delle scuse, credo di dovertene anch’io. Non avrei mai dovuto permettere a Dolph
di andare al Circo dei dannati mentre tu non c’eri.”
“Delle scuse da te, ma petite? Forse questa notte potrebbe considerarsi fortunata dopotutto!” il tono
era sarcastico, ma prima che Anita potesse ribattere, la voce di Jean-Claude si addolcì “Sarebbe
successo comunque, Anita. Non potevi immaginare che qualcuno volesse incastrarmi ad ogni costo.
Anzi, se ti avessi lasciata con Dolph ed i poliziotti… forse sarebbe stato meglio per te.”
“Forse invece sarei da qualche parte a morire di ansia chiedendomi dove sei. E ora potrei per favore
sapere dove mi trovo?”
Un sorrisetto divertito increspò le labbra del vampiro “Non ti piacerà affatto scoprire dove siamo,
ma petite. Probabilmente rimpiangerai di non essere alla centrale con il sergente Storr…”
“Cosa intendi dire?” ora l’ansia cominciava decisamente a crescere.
“Diciamo che… siamo in un luogo sicuro… dalla polizia e dalla luce del sole…”
“Smettila di fare giochini, Jean-Claude e dimmi immediatamente dove mi hai portato!” poi si
guardò attorno con un po’ di attenzione.
Le pareti della stanza erano formate da grandi conci di pietra grigia. L’ambiente era molto raccolto,
e coperto da una volta a crociera, tipo chiesa gotica, ma in miniatura. Non si vedeva nemmeno una
finestra, ma questo c’era da aspettarselo in un luogo che fosse sicuro per dei vampiri.
La stanza era disadorna, c’era solo il letto, appoggiato a una parete. Era molto alto, di foggia antica,
e le lenzuola di seta rossa facevano un effetto… molto à la Jean-Claude, senza dubbio. Sulla destra
c’era un piccolo tavolo rotondo, coperto da una tovaglia di una stoffa purpurea ricca ed elaborata di
ricami, su cui era appoggiato un candeliere d’argento a cinque bracci. Per terra un tappeto
dall’aspetto lussuoso e molto antico copriva una parte del pavimento grigio, anche quello di pietra.
Le candele, l’unica fonte di luce della stanza, tremolavano impercettibilmente, illuminando a tratti
la parete di fondo, dove la sagoma confusa di una croce sembrava testimoniare la traccia di
qualcosa che era stato rimosso. Un improvviso senso di claustrofobia le chiuse lo stomaco, e le
tremò la voce “Dimmi che non mi hai portata dove penso che ci troviamo…”
“Ti ho detto che mi dispiace ma petite…”
“Dimmi subito dove cazzo siamo!” ringhiò Anita.
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“Nella cripta sotto la tomba di famiglia di Monica Vespucci.” (*)
Anita cercò di balzare giù dal letto, ma un giramento di testa la fece esitare, dandole la nausea, e la
stretta di Jean-Claude la trattenne vicino a lui. “Anita, per favore, non c’è assolutamente niente da
temere. E’ un posto sicuro, e non abbiamo avuto molto tempo per decidere dove andare. Non siamo
chiusi dentro, non sei sepolta viva, te lo assicuro, e potrai uscire quando vuoi.”
Anita fece una serie di respiri, prima affannati, poi sempre più lenti, cercando di riguadagnare il
controllo e di attutire il dolore che era diventato più acuto.
“E all’alba cosa succederà?”
“Vivian si troverà qui fuori ad aspettarti.”
“Vivian?”
“Sì. Ho pensato che ti fidassi di lei”
“Uh… sì, certo” In effetti tra tutti i nuovi leopardi che ora confidavano nella sua protezione, Vivian
era tra quelli che avrebbero fatto qualsiasi cosa per sdebitarsi e per ricambiare l’aiuto di Anita.
“Perché non Jason?”
“Jason sarà controllato dalla polizia anche mentre dorme.”
Mentre loro parlavano, Asher era rimasto in piedi a braccia conserte, appoggiato vicino all’unica
porta che si vedeva nella stanza. Li fissava assorto, e stranamente aveva trascurato di fare ricadere
la cascata di capelli dorati sulla parte destra del viso, così le sue cicatrici erano perfettamente
visibili, rese più profonde dalle ombre delle candele. Anita vide i suoi occhi posarsi su Jean-Claude
e il suo sguardo diventare più dolce, e nello stesso tempo possessivo, e subito dopo malinconico,
come se stessse inseguendo ricordi del passato troppo intensi per essere soffocati. Poi di colpo si
riscosse, accorgendosi che Anita lo stava osservando, e un’espressione indifferente si pietrificò sul
suo volto, mentre chinava la testa da una parte e lasciava ricadere i capelli a coprirgli la
devastazione del viso.
“Credo che Anita abbia bisogno di riposare ancora, quindi vi lascio. Abbi cura di lei Jean-Claude.”
Non lasciò loro il tempo di rispondere, voltandosi e richiudendo la porta dietro di sé dopo essere
uscito.
Jean-Claude rimase in silenzio a guardare la porta.
“Dove è andato? Ci sono altre stanze?”
“No. Però ci sono delle tombe vuote.” le rispose Jean-Claude senza cambiare espressione. Poi
abbassò gli occhi verso di lei e le sorrise.
“Non ti preoccupare, ma petite. Asher starà bene.”
“Che cosa è successo, Jean-Claude? Come siete finiti in quella vecchia fabbrica insieme a Dolph?”
“Ti basta la versione corta o vuoi i particolari?”
“Va bene una sintesi”
***
Quando Jean-Claude finì di parlare, riferendole i fatti a partire dal suo risveglio nella cella, Anita
rimase pensierosa per alcuni istanti, la testa appoggiata nell’incavo della sua spalla. In qualche
momento mentre lei dormiva lui si era cambiato, ed ora indossava sui jeans neri una delle sue
morbide camicie retrò, nera anche questa, ma completamente aperta sul pallido petto, come se non
avesse avuto tempo, o attenzione, per abbottonarla. Non riusciva ad immaginare dove avesse
trovato un cambio pulito pronto all’uso in una cripta sotto il cimitero.
Si rese conto che neanche lei indossava più i vestiti lacerati dai vampiri che l’avevano tenuta
prigioniera. Quel pensiero per un attimo la riempì della stessa sensazione di orrore che ricordava di
aver provato per tutta quell’interminabile giornata. Ora aveva adosso una t-shirt - anche quella nera,
ovviamente – che le arrivava fino a metà coscia. Non aveva più il reggiseno, quello gliel’avevano
strappato diverse ore prima, ma aveva ancora gli slip.
Si chiese con un brivido se Asher avesse aiutato Jean-Claude a spogliarla e a infilarle la maglietta,
ma decise che preferiva non saperlo.
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“Non riesco a capire. Secondo Dolph che scopo avrebbe potuto avere il mio rapimento da parte
tua?”
Jean-Claude scosse piano la testa “Come stratagemma per uscire di prigione non ha senso. Sarebbe
stato molto più semplice farmi consegnare le chiavi della cella da Dolph in persona. Però potrei
essere impazzito. Aver cominciato a massacrare ragazzine e volerti impedire di trovare altre prove a
mio carico.”
“Non ci credo”
“Lo spero bene” le sussurrò il vampiro
“Intendevo dire, non credo che Dolph possa cascarci così….”
“Storr mi odia. Non so perché, ma mi odia più degli altri poliziotti. Il fatto di essersi fidato di me
per un attimo e di avermi permesso di uscire di cella per venire a cercarti deve essere stata una delle
decisioni più difficili della sua vita. Non mi stupisce che abbia accolto con entusiasmo le nuove
accuse contro di me, che l’hanno riportato sull’opinione originale che il suo cattivo sono io.”
“Ma quando ci ragionerà con calma…”
“Si ricorderà solo che sono volato via portandoti con me. Con la forza, per quanto ha visto, e dopo
averti disarmata.”
“Davvero ti ho minacciato con la pistola?”
Jean-Claude piegò la testa di lato “Né più né meno di molti altri nel corso delle ultime
ventiquattr’ore. Continui a non ricordare che cosa è successo?”
“Ricordo solo a tratti. E ogni volta che mi torna un po’ di memoria vengo quasi sopraffatta dalla
paura. Una sensazione che non è mia, Jean-Claude. Non sto dicendo che non ho mai paura, ne ho
eccome!! Ma non così cieca, non il tipo di paura che mi paralizza e mi fa cadere in potere dei
miei… aguzzini.”
“Piuttosto del tipo che ti fa infuriare e ti spinge a provocare con qualche battuta sarcastica il capo
dei cattivi?” Anche senza guardarlo Anita sentì la dolcezza del suo sorriso nelle parole.
“Esattamente.”
“Ti hanno quasi sicuramente drogata, Anita. Non ho idea di che cosa ti abbiano iniettato, ma era
qualcosa che ti dava allucinazioni…. mostruose.”
“Come fai a saperlo?”
“Le ho viste attraverso i tuoi occhi. E ho visto come mi hai guardato quando sono arrivato alla
vecchia fabbrica. Hai visto un mostro vero?” L’improvvisa tristezza nella sua voce le fece alzare lo
sguardo verso di lui.
“Io… sì…. è quello che vedevo, credo. Ma lo so che non sei un mostro Jean-Claude. Lo so”
Il vampiro aveva chiuso gli occhi. “Cosa ti hanno fatto ma petite? Dimmi cosa ti hanno fatto quei
bastardi”
“Non so se ci riesco.” Si strinse più vicina a lui. Poi cercò di ripensare a quello che le era successo.
Un colpo alle spalle che l’aveva tramortita. Il risveglio già in preda ad un terrore incontrollabile, la
sensazione di perdere il contatto con se stessa, e poi le facce di quelle figure mostruose e deformi
che la circondavano, come demoni partoriti dalla fantasia di qualche regista horror amante degli
effetti splatter. Quelle voci che sghignazzavano, distorte nelle sue allucinazioni. Le mani artigliate
che le strappavano i vestiti, le zanne nude sopra di lei, dappertutto… che…. che la mordevano!!
O mio Dio. Quella non era stata un’allucinazione.
Le uscì un urlo soffocato.
“Mi hanno morso, Jean-Claude! mi hanno morso! hanno bevuto il mio sangue, e c’era più di uno di
loro, e continuavano a mordermi, e a bere, e mi sentivo talmente debole, quasi non mi sentivo più
dentro il mio corpo!” Fissò Jean-Claude con l’orrore negli occhi. “Come ho fatto a non morire?
Erano in quattro o cinque. Avrei dovuto morire dissanguata!” scosse la testa freneticamente “No….
no…. non è possibile!”
“Anita… Anita! che cosa?” Jean-Claude le prese il viso tra le mani e la obbligò a guardarlo negli
occhi “che cosa pensi che sia accaduto?”
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Anita deglutì un paio di volte. “Potrei ancora morire, e risvegliarmi come un vampiro, o peggio
come un belluino… non voglio Jean-Claude, ti prego non lasciare che mi accada questo. Non
voglio…”
“Ma petite, non sei morta dissanguata perché probabilmente li abbiamo interrotti con il nostro
arrivo. O forse ti volevano tenere in vita. In ogni caso non ti trasformerai in vampiro, non stai per
morire.”
“Ma i loro morsi… potrebbero prendere il controllo mentale su di me? Dovrei…. mio Dio, dovrei
fare il bagno nell’acqua santa!”
Sentì chiaramente un brivido che percorreva il corpo di Jean-Claude.
“Mi dispiace, credo proprio che qui siamo a corto di acqua santa…. Però potrei aiutarti, se me lo
permetti.”
Anita si staccò da lui mentre un pensiero le congelava la mente, e lo guardò con diffidenza “Non ho
intenzione di permetterti di darmi il quarto marchio. Scordatelo. Non ne approfitterai per legarmi a
te per l’eternità.”
Ogni espressione di Jean-Claude sparì di colpo, risucchiata dalla maschera vuota del suo volto che
ora sembrava di marmo. Era impressionante, e doloroso vederlo fare così. Capì di averlo ferito, ma
non aveva intenzione di ritirare ciò che aveva detto. Era ciò che pensava.
“Non mi convincerai a bere il tuo sangue. Preferisco l’acqua santa, e se qui non c’è andrò a
cercarmela. Ci sarà un po’ di acqua benedetta in un cimitero!”
“Non ho mai pensato di importi il quarto marchio, anche se ovviamente sarebbe una soluzione che
escluderebbe ogni possibilità presente e futura di essere trasformata in vampiro. So benissimo come
la pensi, e non dovresti dubitarne, se mi conoscessi almeno un po’.”
“Oh, Jean-Claude, non fare l’offeso adesso. Vuoi dire che il tuo aiuto non implica del sangue
versato, o qualche trucco mentale che mi legherebbe ancora di più a te?”
“Non implica nessun trucco mentale come lo chiami tu, e quanto al sangue versato… non implica
che tu debba bere il mio sangue.” Jean-Claude lasciò andare un sospiro stizzito. “Oh, maledizione,
non riesci proprio a fidarti di me, vero? Preferisci soffrire come un cane e rischiare di rimanere
collegata a qualcuno di quei vampiri piuttosto che … Sei talmente testarda ma petite… a volte non
ti capisco affatto.”
“Okay, okay…scusa. Scusa se sono leggermente sensibile sul tema dei vampiri questa sera. Mi
hanno solo quasi uccisa dopo avermi drogata e torturata”
“Sei libera di andartene in qualsiasi momento. Sempre che tu ti regga in piedi”
Anita lo guardò dal sotto in su. Una leggerissima ruga gli increspava la fronte, e le labbra erano
chiuse in un broncio. Era adorabile. Aveva passato le ultime ore in balia di quattro vampiri
assassini, eppure in quel momento l’unico posto al mondo in cui si sentiva sicura era tra le braccia
di un altro vampiro, praticamente sepolta in una cripta. Forse la droga non aveva smesso di fare
effetto e lei stava perdendo il senno definitivamente. Cercò di muovere il braccio per accarezzargli
il viso, ma una fitta lancinante al polso la fermò, facendole strizzare gli occhi per il dolore.
“Lascia che mi prenda cura di te, ma petite, per favore.”
Anita sospirò arrendendosi. Era troppo stanca per ribattere, troppo dolorante per alzarsi e andare a
cercare dell’acqua santa che sarebbe stata come acido sopra tutti quei morsi.
“Va bene. Fai quello che devi fare”
Jean-Claude le sollevò delicatamente la testa, spostandola sul cuscino, e si girò su un fianco
appoggiandosi ad un gomito per guardarla.
“Dimmi dove ti hanno morso”
Anita ricambiò lo sguardo, ma riuscì a fatica a sostenerlo. “Polso, collo…” esitò un attimo e alla
fine chiuse gli occhi “e altre parti più intime”
“Pagheranno per questo, te lo prometto Anita” rispose lui, allungando una mano per sollevarle il
polso, e se lo portò vicino alle labbra. Continuando a fissarla negli occhi, ma senza forzare nessun
potere in quello sguardo se non un’intensità che penetrava nelle sue parti più profonde, il vampiro
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socchiuse la bocca, espose i canini e si scalfì la lingua con essi, fino a fare uscire una goccia di
sangue. Poi abbassò la bocca e con la punta della lingua le sfiorò il polso, nell’esatto punto dove i
segni di un morso si stavano allargando in un livido viola. Non era rimasta ferma e impassibile
mentre la azzannavano, dato che invece di ipnotizzarla le avevano dato un allucinogeno che aveva
moltiplicato il terrore e il dolore, e lei si era dibattuta fino allo stremo delle forze. Evidentemente a
quei bastardi non interessava fare un lavoro pulito.
Una goccia di sangue cadde sopra i fori del morso, poi il vampiro aderì con la bocca alla sua pelle, e
leccò e succhiò con le labbra, mandandole un leggero piacevole solletico a risalire su per il braccio,
le spalle, la nuca. Quando si staccò dal suo polso, il livido viola era sparito, e l’unico segno rimasto
erano i due minuscoli forellini, netti e puliti. Ma il dolore non c’era più.
Lo guardò stupita. “Come hai fatto?”
Il vampiro le sorrise, facendo balenare la punta brillante delle zanne. “Il tuo corpo reagisce al mio
sangue, ma petite. Dopotutto sei la mia serva umana, e questo ha qualche…. benefit, oltre
all’handicap di costituire un potente legame con me”
Poi si chinò sul suo collo, ripetendo lo stesso giochino dei denti e della lingua, la cui ferita si era già
rimarginata. Sentire le sue labbra che premevano e succhiavano sulla sua gola provocò qualcosa di
più del piacevole solletico, e molto più in basso delle braccia e della nuca.
“Dove ancora, ma petite?”
Anita si sentì improvvisamente la gola arida, e per un attimo non riuscì ad incrociare lo sguardo del
vampiro. Poi si forzò ad alzare gli occhi, a sostenere quello sguardo e rispose con un mormorio
sommesso “Sul seno, e poi all’interno della coscia. Sulla femorale.”
Jean-Claude sgranò gli occhi, colmi di qualcosa simile al panico e al dolore.
“Cosa c’è?”
“L’arteria femorale. E’ estremamente difficile per un vampiro imparare a mordere in quel punto
senza dissanguare completamente la sua vittima. Hai idea di quanti novellini diventano
involontariamente assassini solo perché pensano che sia un punto molto erotico per mordere la
propria compagna?”
“Sì, Jean-Claude, ne ho una vaga idea, dato che dopo di solito chiamano me per giustiziare il
vampiro colpevole.”
“Questo significa che tra di loro c’era un master, o in ogni caso un vampiro con secoli di
esperienza… non è un’abilità che si acquisisce facilmente”
“Stai dicendo che sai chi è stato?”
Jean-Claude scosse la testa “No, ma petite. Ho detto che è difficile, ma non che sia una rarità. Ci dà
qualche informazione sull’età del vampiro ma nulla di più”
Anita abbassò gli occhi mascherando un’ombra di delusione. “Ma tu conosci dei vampiri che sono
in grado di farlo?” insistette
All’improvviso il viso di Jean-Claude diventò del tutto inespressivo, e la voce risuonò distaccata e
neutrale. “Uno sta dormendo nella stanza a fianco. Un altro ce l’hai di fronte a te”
Un pensiero sgradevole le attraversò la mente, e l’accusa le uscì d’impulso, colma di acredine.
“E quanta esperienza hai dovuto fare, prima che il trucco ti riuscisse bene?”
Gli occhi distanti del vampiro furono animati da un’aria di sfida. “Molta, ma petite. Più di quanta tu
voglia conoscere.”
Il silenzio pesò per istanti lunghissimi tra di loro, finchè Anita non riuscì più a sopportarlo e lo
spezzò. “Continua, per favore”
Qualcosa di impercettibile cambiò sul volto di Jean-Claude e lui era di nuovo lì, gli occhi pieni di
tenerezza, di malinconia, di desiderio. Era esasperante vederlo cambiare in quel modo senza riuscire
a percepire l’attimo in cui la maschera spariva e la vita tornava ad animarlo, ma poter leggere le
emozioni rifluire dentro il suo sguardo le sembrava ogni volta un privilegio inestimabile.
Jean-Claude si spostò con circospezione sopra di lei, mentre una mano scivolava sotto la t-shirt per
sollevargliela fin sopra il seno. Abbassò la testa sopra il suo petto, fino a sfiorare con la punta della
lingua il dolore pulsante provocato dal morso vicino al capezzolo. Uno spasimo la percorse quando
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il sangue caldo cominciò a scorrere sulla sua pelle resa molto più sensibile dallo strazio compiuto
delle zanne, poi si sentì avvolgere dal calore umido della sua bocca, e un’intensa e languida
sensazione di piacere cominciò ad irradiarsi dentro di lei.
Lo sentì spostarsi verso il basso, scivolare lentamente lungo il suo corpo con le mani e con la bocca,
sfilarle le mutandine e aprirle con delicatezza le cosce, rendendosi conto solo in quel momento di
avere chiuso gli occhi e inarcato la schiena per assecondare i suoi movimenti. Quando non sentì più
il contatto con la pelle fredda del vampiro spalancò gli occhi e lo guardò, ai piedi del letto, tra le sue
gambe, la testa sollevata a fissarla con lo sguardo più predatorio che gli avesse mai visto negli
occhi, ma non era paura quello che le mozzò il respiro. Jean-Claude dischiuse la bocca fino a
mostrare le zanne, poi si passò con sensuale lentezza la lingua sulle labbra, lo sguardo felino di un
gatto che sa di avere la preda in suo potere, e pregusta l’istante in cui si avventerà su di essa. Una
goccia di sangue brillò improvvisa sulle sue labbra e le morbide onde nere dei capelli gli nascosero
il viso mentre si chinava su di lei.
La fitta dolorosa dei lividi si attenuò sotto la carezza di quelle labbra tiepide, che dopo averla
guarita si attardarono a giocare pericolosamente vicino all’epicentro di quel piacere che cominciava
a darle le vertigini. La lingua del vampiro la sfiorò, la assaggiò, e improvvisamente penetrò dentro
di lei, stuzzicando e accarezzando le sue profondità finchè l’onda del piacere si allargò a
sommergerla, strappandole un gemito soffocato dalla gola mentre implorava il suo nome.
“Ti prego…. Jean-Claude …. ti prego”
“Sì, ma petite?” lui si fermò per un istante, e Anita affondò le mani tra i suoi capelli tirandolo verso
di sé.
“Jean-Claude… scopami…. adesso!”
Le sembrò di impazzire dal desiderio mentre lui si sfilava i jeans e si allungava sopra di lei, e poi si
lasciò trascinare via dalla sensazione di lui che entrava lentamente, e la riempiva, e spingeva sempre
più forte dentro di lei come se volesse raggiungere con ogni colpo un punto più profondo al centro
del suo corpo, e della sua anima. I loro respiri ansimanti si mescolarono, spezzati da urli inarticolati
e quasi silenziosi. Anita sentì il corpo di Jean-Claude perdere il ritmo lento del movimento, ora
sempre più veloce, percepì l’attimo in cui stava per venire, in cui abbandonava ogni controllo ed
ogni freno e questo moltiplicò la sua eccitazione, sentì qualcosa di devastante che si diffondeva
come lava dal centro del suo corpo, raggiungendo l’orgasmo mentre Jean-Claude irrigidendosi in
uno spasmo finale si riversava dentro di lei.
Passarono diversi minuti prima che uno dei due riacquistasse la capacità di muoversi e di parlare.
Jean-Claude scivolò via da lei, lasciando un braccio abbandonato di traverso sopra il suo ventre, la
testa appoggiata alla sua spalla, gli occhi chiusi e il respiro in cui piano piano diminuiva l’affanno.
Anita si schiarì due volte la gola, ma la voce le uscì comunque rauca.
“Sei vivo?” poi riflettè per un istante su quello che aveva detto e scoppiò in una risatina
incontrollata.
Il vampiro non si mosse, né aprì gli occhi. “Oh, sì ma petite, non hai idea di quanto mi fai sentire
vivo, certe volte.”
[(*) Questo “nascondiglio” è un’invenzione della geniale BeElleGee, che si trova nella sua
Fanfiction “Asher’s kiss”. Io l’ho utilizzato perché era troppo bello per non sfruttarlo ancora
una volta, e perché le sue FF ormai nella mia mente si confondono con i libri…]
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11.
“Vai a casa, ma petite”
Il peso dell’alba premeva debolmente, ancora distante, ma Anita aveva già iniziato a percepire
l’intorpidimento che si stava impossessando del vampiro mentre ancora la stringeva tra le braccia.
“A casa troverò la polizia ad aspettarmi”
“Se li troverai saranno lì per assicurarsi che tu stia bene, non certo per arrestarti. Questa volta sei tu
la vittima, ma petite.”
“Mi chiederanno di dire dove ti trovi.”
Gli occhi di Jean-Claude la fissavano con malinconica tenerezza, e per un attimo le si strinse il
cuore, realizzando quanti rischi e quante questioni irrisolte si sarebbero frapposte tra di loro nelle
ore successive.
“Se tu potessi non rivelare il mio nascondiglio… almeno per oggi… te ne sarei grato” un’ombra di
divertimento gli attraversò lo sguardo.
“Non scherzare. Lo so che non avrei dovuto…”
Jean-Claude socchiuse gli occhi e le posò un dito sulle labbra. “Vai a casa, ma petite”
“Troverò i colpevoli, Jean-Claude, te lo prometto”
“Lo so. Ti amo Anita”
E poi non era più lì con lei. Il suo corpo c’era ancora, ma lui, la sua vita, quella forma magica di vita
che lo animava, semplicemente non c’era più.
Era maledettamente difficile abituarsi, probabile che non si sarebbe abituata mai. Eppure era sempre
più difficile staccarsi da lui. Era l’unico momento in cui lei assumeva il totale controllo, e
l’abbandono fiducioso con cui Jean-Claude si “addormentava” tra le sue braccia non smetteva mai
di meravigliarla.
Riluttante, Anita scese dal letto, si rivestì e salì verso l’aria aperta del giorno.
Non sentiva più il dolore pulsare in ogni parte del suo corpo, e solo piccoli segni erano rimasti a
testimonianza di quello che aveva passato nelle ore del suo rapimento, ma il ricordo dell’orrore e
della paura sarebbe rimasto a lungo, inciso nel suo cervello. La brezza fresca del mattino le pizzicò
la pelle, mentre attraversava il piccolo antico cimitero. Con quella parte latente di potere che era
sempre dentro di lei sentì vagamente il contatto con i morti che giacevano sotto la terra che stava
calpestando. Il pensiero le infondeva un senso di pace e di sicurezza, quella terra, quelle ossa, erano
il suo terreno di gioco.
Appena fuori dal cancello, appoggiata ad una piccola utilitaria di un rosso fiammante, la aspettava
Vivian, stringendosi le spalle come se avesse freddo. Ma di certo non era il freddo che la
preoccupava. I licantropi hanno una temperatura interna talmente alta che un po’ di venticello
mattutino non basta di certo a farli rabbrividire. Doveva essere il luogo, l’ora, la solitudine e il
silenzio che regnava nel cimitero a darle i brividi. Vivian era una creatura di calore e di vita, non
aveva nulla da spartire con i cimiteri, e di sicuro non amava i vampiri. Eppure Jean-Claude aveva
contattato proprio lei, sapendo che non avrebbe mai rifiutato un favore ad Anita, non dopo che
l’aveva sottratta alle torture di Padma e di Fernando.
“Mio dio, hai un aspetto orribile Anita.”
Nonostante tutto, le due donne non erano mai entrate in grande confidenza: la giovane licantropa
sembrava sempre troppo rispettosa e sottomessa, due sentimenti che male si associano all’amicizia,
quindi l’accoglienza lasciò Anita un po’ sorpresa. Tutto sommato i segni della sua disavventura
dovevano essere ancora piuttosto visibili, nonostante la “cura” somministratale da Jean-Claude.
“Grazie mille, dovevi vedermi ieri sera. Quello sì era un aspetto orribile.”
Vivian si girò per entrare in macchina e le aprì lo sportello del passeggero. “Dove vuoi che ti
porti?”
45
Anita ci pensò per un attimo, entrando nell’auto, e poi capì che tutto quello che doveva fare in
quella giornata - parlare con Dolph, catturare i colpevoli, trovare le prove per discolpare JeanClaude – poteva aspettare finchè non si fosse fatta una doccia.
“A casa. Portami a casa mia per favore.”
***
Dopo una doccia bollente Anita si rese conto che da tempo immemorabile non mangiava qualcosa,
e la preoccupazione di Vivian per assicurarsi che lei stesse bene e che fosse tutto a posto la convinse
a prepararsi un sandwich che le restituì una parvenza di energia. Ma la stanchezza, fisica e psichica,
per le ore estenuanti che aveva passato, le crollò addosso inesorabilmente. Vivian non dovette
lottare molto per convincerla che tutto poteva aspettare ancora un paio d’ore e che poteva
permettersi il lusso di un sonnellino.
Sprofondò nel sonno quasi prima di toccare il letto, con la promessa di Vivian che sarebbe rimasta
in casa con lei a tenere la situazione sotto controllo. Non era stata Anita a chiederglielo, lei di certo
non era il tipo che ha bisogno dell’angelo custode che vegli sul suo sonno, ma il fatto che avesse
accettato senza protestare l’offerta della licantropa dava la misura dell’insicurezza che si era
insinuata dentro di lei. Era una sensazione intollerabile, ma anche quello poteva aspettare, ci
avrebbe pensato più tardi.
La voce insistente che la chiamava per nome emerse come da un luogo remoto, e con la fastidiosa
sensazione di essersi appena addormentata Anita sbattè a fatica le palpebre cercando di riemergere
verso uno stato cosciente.
La faccia di Vivian si trovava ad un palmo dal suo naso, e la ragazza le stava scuotendo una spalla.
Il primo pensiero fu che non era per niente normale fare tanta fatica a svegliarsi mentre una
licantropa le stava così vicino. Per quanto fosse amichevole, rimaneva pur sempre un leopardo
mannaro. Con un brivido di panico pensò alla droga che le avevano iniettato, alla possibilità che
qualcosa ancora circolasse nel suo corpo come una bomba a orologeria.
Vedendola aprire gli occhi, Vivian smise di scuoterla.
“Anita, devi alzarti. Ho detto a quel poliziotto che dovevi assolutamente riposarti ancora un po’, ma
non vuole sentire ragioni, è un miracolo che sia riuscita a trattenerlo giù in soggiorno, però se non
scendi subito te lo ritroverai in camera da letto nel giro di pochi minuti!”
A quel punto era perfettamente sveglia.
“Poliziotto? Che poliziotto?” Dannazione.
“Si chiama Storr, e non vuole credere che sei qui e che stai bene se non ti vede di persona”
Con un senso di sollievo seguito subito dopo da un crampo di ansia allo stomaco Anita si catapultò
giù dal letto, raccattando i primi jeans e la prima t-shirt che le venivano sottomano, mentre si
stropicciava gli occhi e la faccia nel disperato tentativo di avere la mente sveglia e sgombra prima
possibile.
Quando arrivò a metà scala scorse Dolph in piedi in mezzo al salotto, con un telefono portatile
all’orecchio. Nell’istante in cui la vide, il poliziotto cambiò espressione, da preoccupata ad
arrabbiata, nello spazio di un secondo, e fissandola parlò ad alta voce nel telefono.
“Potete tornare in centrale, tu e Zerbrovski. E’ proprio qui davanti a me, e a quanto pare l’ho
disturbata mentre schiacciava un pisolino.”
L’astio nella voce di Dolph le fece seccare la gola. Prima di tutto, fidarsi delle vecchie regole: la
miglior difesa è l’attacco.
“Non ci posso credere che mi hai fatta cercare da una pattuglia. E non stavo schiacciando un
pisolino, stavo recuperando sacrosante ore di sonno perdute”
“Dimentichi che ti ho vista trascinata via in un turbine di vento da due maledetti vampiri. Pensavi
che ti avremmo abbandonata al tuo destino senza cercarti? Pensi davvero che la squadra non ci
tenga alla tua salute? Scusa se ho disturbato il tuo sonno sacrosanto in modo da permettere anche
agli altri di potersi riposare dopo aver setacciato la città per tutta la notte.”
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Se lo scopo era farla sentire in colpa, l’obiettivo era raggiunto. Anita aprì la bocca per parlare ma il
poliziotto non le permise di ribattere.
“Dove cazzo sei stata tutta la notte, per poi farti ritrovare a casa mezza addormentata come
un’adolescente che è stata di nascosto ad un rave party? Per quanto ne sapevamo potevi essere il
prossimo cadavere lasciato su un marciapiede.”
Anita si morse la lingua per evitare di rispondere qualcosa del tipo “non sei mica mio padre” ed
optò per una linea più conciliante.
“Dolph, perché avrei dovuto essere in pericolo? Avete arrestato quelli che mi tenevano prigioniera,
ed io ero con Jean-Claude ed Asher…” azzardò, ma il tentativo di rabbonirlo ottenne il risultato
opposto.
“Maledizione, Anita, ma cosa ti hanno iniettato? Ti sei bevuta il cervello? Ci sono i vampiri dietro
tutto questo.” Stese la mano come per zittirla “Quei – vampiri. Gli uomini che abbiamo preso hanno
confessato. Adesso dobbiamo solo trovare il loro nascondiglio. Non sappiamo ancora quanto sia
implicato quello con le cicatrici, ma il tuo maledetto succhiasangue master della città non vivrà
abbastanza per fare una terza vittima.”
“Aspetta! Hai detto una terza vittima? Da quando sono diventate due?”
“Da quando Daniel Symons è morto mentre tentavano di fargli la prima trasfusione nell’ambulanza.
Aveva perso troppo sangue. Aveva perso tutto il sangue che aveva. Non aveva neanche tredici anni,
come Corinne Bryce. Un segno di iniezione nel braccio, come Corinne Bryce…”
“Daniel Symons.” Disse Anita con un soffio di voce. Osservando la sua espressione sconvolta,
Dolph realizzò che Anita conosceva anche la seconda vittima.
“Conoscevo sua madre. Mi aveva assunto per cercarlo, era sicura che fosse nelle mani dei vampiri”
Dolph sbottò con rabbia “Allora come puoi stare dalla loro parte Anita? Come puoi stare a guardare
mentre fanno questo, e continuare a proteggere quell’infame essere dannato?”
“Non voglio stare a guardare! No! Io voglio farli smettere quanto te Dolph! Ma non è arrestando il
vampiro sbagliato che si metterà fine a questo orrore!”
“Il vampiro sbagliato? Tu non sei lucida, Anita. Smettila di coprirlo, sono sicuro che tu sai dove si è
rintanato a dormire. Dimmi dove si nasconde. Il mandato ha già la firma del giudice.”
Anita rimase a bocca aperta, incredula, mentre il cuore cominciava a battere all’impazzata.
“Di quale mandato stai parlando?”
“Del mandato di esecuzione per Jean-Claude, master dei vampiri di St. Louis. Se non fossero state
sufficienti le prove e le testimonianze che lo inchiodano, basterebbe anche solo lo scherzetto
ipnotico che ho subito personalmente e che mi ha convinto ad aprirgli la cella. Era un bel trucco, per
uscire di prigione senza farla sembrare un’evasione. Ma non gli è servito a niente, sarà inchiodato
alla sua bara anche per quello.”
Un silenzio spesso e soffocante calò tra di loro per un attimo.
“Te lo chiedo ancora una volta, Anita. Dove si nasconde? Se preferisci non sarai obbligata ad
effettuare tu l’esecuzione, possiamo chiamare un tuo collega.”
“No, no, no, Dolph. Ascoltami. Io sono stata rapita e torturata da quattro vampiri, e nessuno di loro
era Jean-Claude o Asher. Gli uomini che hai arrestato stanno mentendo. E poi io conoscevo
Corinne, conosco la famiglia di Daniel, pensi che permetterei al loro assassino di restare libero – di
restare in vita – accecata dai miei sentimenti? Come puoi credere che metterei a rischio la vita di
qualche altro ragazzino innocente se avessi anche solo un minimo sospetto sulla colpevolezza di
Jean-Claude? Non puoi pensare davvero questo di me!”
“Non vorrei pensarlo, Anita, ma non mi lasci alternative.”
“Io non ho dubbi, Dolph, e intendo provarlo. Mi avevi chiamata per le indagini sul primo omicidio
no? Allora lasciami fare il mio lavoro, lasciami tempo per fare la mia indagine”
“E rischiare la vita di qualche altro innocente? Ti assumi questa responsabilità? Io non posso, non
me la sento di assumerla.”
“E’ giorno Dolph. I vampiri stanno tutti dormendo. Non sarà di certo in queste ore che si compirà il
destino di un’altra vittima. Lasciami un giorno. E’ già stato reso pubblico il mandato?”
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“Non ancora. L’ho appena avuto dal giudice dopo la firma.”
Un minuscolo respiro di sollievo le sfuggì dalle labbra. Quando un mandato di esecuzione veniva
diffuso, per quel vampiro si apriva la stagione di caccia. Libera e aperta a tutti i titolati, anche nel
caso non fossero gli esecutori incaricati ufficialmente.
“Un giorno Dolph. Ventiquattr’ore. Per favore, fidati ancora una sola volta del mio giudizio.”
Il poliziotto la fissò a lungo senza battere ciglio.
“Dodici ore, Anita. Al tramonto voglio delle prove e un colpevole, altrimenti il tuo vampiro sarà
carne morta.” Si voltò per andarsene, ma si trattenne ancora sulla porta. “E sai già che ti farò
seguire. Stagli lontano, non ti permetterò di aiutarlo a sfuggirmi.”
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12.
La sgradevole sensazione di angoscia e di incertezza avvolse Jean-Claude nello stesso istante del
suo risveglio notturno nella cripta.
Conosceva bene quella sensazione. Fuggire, celarsi al mondo degli umani, trascinare la propria
esistenza senza vedere vie d’uscita. Quante volte si era risvegliato, nella città di Julian, con l’unica
prospettiva di fornire un nuovo divertimento agli altri vampiri riducendosi alla più completa
aberrazione. O alla corte di Belle Morte, chiedendosi se la sua master lo avrebbe accolto nel suo
letto oppure gli avrebbe comandato di andare a sedurre qualcuno contro cui tramava. O sotto il
regno di Nikolaos, con il dubbio di avere il permesso di nutrirsi, o di essere imprigionato in una
bara a tempo indeterminato, a seconda del capriccio di quella orripilante antica bambina.
Un senso di rabbia impotente lo travolse. Ora che finalmente aveva ottenuto tutto ciò che desiderava
non avrebbe permesso a nessuno di ridurlo di nuovo così, di costringerlo a nascondersi sottoterra
come un topo in una fogna.
L’improvvisa percezione di un’altra presenza poco distante lo riportò al presente, ricordandogli che
non era solo. C’era Asher con lui. Dopo tutto quel tempo, dopo tutti quei secoli di odio, il suo
compagno era di nuovo al suo fianco. E un’ondata di altri ricordi gli fece curvare le labbra in un
sorriso. Il calore di lunghe notti passate insieme, i giochi di luce che le fiamme del camino creavano
sui capelli dorati di Asher, la morbidezza dei loro corpi aggrovigliati a quello di Julianna. Come
erano stati ingenui, e sventati nel godere senza freni di quel senso di libertà e di onnipotenza durante
i loro vagabondaggi per l’Europa… E poi avevano perso tutto.
No, per nessun motivo al mondo avrebbe accettato passivamente che un’altra volta gli portassero
via ciò che amava di più. Non senza battersi fino all’ultima goccia di sangue.
Un lieve movimento d’aria gli rivelò che Asher era entrato nella stanza. Sentì il suo peso
appoggiarsi al letto, e un’esitazione nel gesto del braccio che si avvicinava a lui. Quando sentì una
mano posarsi lievemente sui suoi capelli Jean-Claude si irrigidì e si girò a guardarlo.
Asher abbassò in fretta gli occhi e trattenne un sospiro, ritirando la mano.
“Ero sicuro che ti avrei trovato sveglio. Dov’è Anita?”
“E’ andata via all’alba”
“Come mai?”
"Perchè non gradisce dormire accanto ad un corpo senza vita.”
“Pensavo che lei non fosse il tipo da fermarsi alle apparenze. Mi sembrava di aver capito che il
vostro rapporto fosse un po' più profondo”
"E' così infatti. Ma non neghiamo la realtà, mon ami. Durante il giorno siamo dei cadaveri.”
Asher sembrò riflettere per un attimo, senza trovare una risposta, così cambiò argomento.
"Che cosa hai intenzione di fare stanotte?”
Jean-Claude si tirò su, mettendosi seduto con le spalle appoggiate all’elaborata testata del letto,
piegando le gambe contro il petto e avvolgendosi nello scivoloso lenzuolo di seta.
Rimase pensieroso per alcuni istanti, poi chinò la testa appoggiando una guancia sulle ginocchia e
rispose a bassa voce.
"Scoprire chi sta cercando di incastrarmi.”
Asher evitò di incrociare i suoi occhi, indugiando con lo sguardo sulle spalle nude coperte da una
cascata di onde, nere come l’ala di un corvo. In quella posizione rannicchiata sembrava quasi
indifeso, nella sua espressione disarmante era difficile leggere la spietatezza necessaria per essere il
Master della città. Ma quello era, adesso, quindi Asher lottò per scacciare dalla mente e dal corpo la
reazione che provocava in lui la vista di Jean-Claude nudo dentro un letto, coperto solo da un
lenzuolo di seta rossa, dove gli sarebbe bastato allungare un braccio per toccarlo.
Cercò di concentrarsi sul problema che dovevano affrontare.
“Hai almeno qualche sospetto?”
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“Ho molti nemici, Asher. Ma al momento non mi viene in mente nessuno in particolare in grado di
elaborare un piano tanto complesso per tendermi una trappola.”
“Chiunque sia ti vuole morto. Forse un aspirante Master della città?”
“Qualcuno che non ha il coraggio di sfidarmi apertamente? Difficile da credere. Negli anni di
Nikolaos ho dissimulato talmente bene il mio reale potere che ancora adesso molti tendono a
sottovalutarmi”
“Allora qualcuno che conosce perfettamente il tuo effettivo potenziale.”
“Quindi qualcuno che ha la possibilità di osservarmi da vicino. Che ha potuto intrufolarsi nelle mie
stesse stanze per spargere prove insanguinate” una smorfia di disgusto gli deformò le labbra.
“Qualcuno come me, per esempio” sussurrò Asher.
“Smettila, Asher. Di questo abbiamo già parlato”
“Ok, va bene, come vuoi. Mentre mi trovavo alla centrale di polizia, ieri, è arrivata una chiamata
per avvisare di un’altra vittima, un altro ragazzino, e questo mi ha fatto tornare in mente una cosa.”
“Sì?”
“Durante la nostra visita a New Orleans e Chicago con il Viaggiatore, Padma e gli altri
rappresentanti del Consiglio, ci è arrivata più di una volta una strana proposta. Alcuni umani, che
sembravano conoscere molto bene le abitudini e le necessità dei vampiri, ci hanno offerto la
possibilità di ottenere una …. come dire… una riserva di sangue per il viaggio, a nostra completa
disposizione e molto particolare. Si sono prima di tutto informati se qualcuno di noi aveva un
debole per il sangue… molto giovane. Nessuno di noi ha indagato più a fondo perché il Viaggiatore
ci ha imposto di rifiutare. Desiderava che il nostro diritto di caccia fosse ufficialmente riconosciuto
nella città ospite: ci tiene troppo a non incrinare i rapporti con la legge degli umani, e comunque i
vampiri locali sono stati costretti volenti o nolenti a sopperire alle nostre energie…”
“Vai avanti”ora Jean-Claude lo ascoltava con grande attenzione.
Asher ricominciò a parlare soppesando le parole.
“A New Orleans la proposta è stata fatta segretamente, sottobanco, come se il Master non ne
sapesse niente. Infatti ci è stato chiesto addirittura di pagare. Puoi immaginare una simile assurdità?
Invece a Chicago è stato diverso. L’offerta sembrava un omaggio per il Consiglio, quasi che
arrivasse, pur in forma anonima, dal Master della città in persona. Erano talmente orgogliosi della
loro piccola disgustosa idea che la nostra curiosità gli ha sciolto la lingua e alla fine siamo riusciti a
capire come funzionava questo traffico.”
“Ma la proposta è stata sempre da parte di umani?”
Asher riflettè prima di rispondere “Sì, ma c’erano anche dei licantropi. Gli animali di Romanov
sono i rapaci, e giurerei che tra di loro ci fossero almeno un paio di aquile mannare.”
“Che traffico dunque?”
“Un traffico di giovani pommes de sang. Minorenni presi e venduti a prezzi esorbitanti a vampiri
molto ricchi, poco rispettosi delle regole umane e con un gusto spiccato per la carne giovanissima.”
Jean-Claude spalancò gli occhi incredulo.
“Presi dove? La polizia locale non può non essersi accorta dell’aumento di vittime dei vampiri,
minorenni per giunta! Merde! Che imbecilli incoscienti! Non si rendono conto che così minano le
basi della convivenza legale tra umani e vampiri?”
“Aspetta, Jean-Claude. Non ho parlato di omicidi. I ragazzini sparivano e basta, niente cadaveri.
Venivano rapiti, immagino prima drogati e poi venduti, ma non per essere uccisi. Non stiamo
parlando di vampiri novelli alle prime armi, che non sono capaci di nutrirsi senza uccidere. Che
senso avrebbe spendere tanti soldi per avere una riserva di sangue di una specie rara e illegale di
questi tempi, per poi dissanguarla tutta in una volta? Per uccidere tanto vale andare a caccia per le
strade come si è fatto per secoli. Quel tipo di vampiro non può permettersi di avere una pomme de
sang che si offre volontariamente, quindi gode di quel potere comprato, tenendo prigioniero nel suo
nascondiglio un giovane schiavo a disposizione per una bevutina quotidiana…”
Jean-Claude scosse la testa, a metà tra l’incredulità e il disgusto.
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“Mi sembra comunque strano che la polizia non si insospettisca per la sparizione dei ragazzi.
Quando si tocca un bambino diventano tutti molto più suscettibili, e molto più tenaci nelle
indagini.”
“Jean-Claude, proprio tu ti stupisci di questo? Da quanti secoli i figli dei più deboli, poveri,
dimenticati dalla società, sono oggetto di un abominevole mercato? Non sono di sicuro i giovani
che abitano nelle villette con giardino dei quartieri residenziali che vengono portati via.
Credo che in alcuni casi estremi i primi ad offrire questa ‘merce’ siano addirittura i genitori nelle
situazioni più disperate…”
Jean-Claude strinse gli occhi, abbassando la fronte a toccare le ginocchia.
“Già, io dovrei saperlo vero?”
La voce di Asher si fece incredibilmente dolce. “Certe cose non cambiano, chéri. Non ci sono solo
uomini buoni e vampiri malvagi.”
“Non ho mai avuto sentore che esistesse un traffico del genere a St. Louis. Pensi che avrei potuto
non accorgermene?”
“Sinceramente no. Il master di New Orleans è una mezza cartuccia, e Romanov, che è molto più
giovane di te, sono certo che ne è al corrente e tollera la cosa.”
“Quindi avrebbero deciso di espandere il mercato? Ma qui a St. Louis il metodo sarebbe troppo
diverso. Se questi sono i primi casi, sono stati scelti tra la classe media benestante…. E sono stati
uccisi. Non ha senso”
“A meno che in realtà non sia affatto un tentativo per allargare il mercato, ma un attacco personale
contro di te. Contro il Master di St. Louis.”
“E ritorniamo a chi mi odia abbastanza da correre tutti questi rischi.”
“Oltre a me.” Aggiunse Asher, ma questa volta ridacchiando.
“Esatto, oltre a te.” Jean-Claude gli restituì il sorriso, e per un attimo rimasero a fissarsi senza
parole.
Poi quel silenzio cominciò a pesare, a diventare denso di emozioni inespresse, ed il sorriso
scomparve dalle labbra di entrambi.
Lentamente Asher iniziò a sporgersi in avanti, portandosi più vicino a Jean-Claude, piegò la testa di
lato e si chinò fino a portare le labbra ad un respiro di distanza dal suo collo.
Era un antico gesto di saluto, tra i vampiri. Appoggiare le labbra in un bacio appena sfiorato sulla
vena nell’incavo del collo. Rifiutare quel saluto poteva scatenare una guerra. Accettarlo era un
segno di profonda fiducia verso l’altro.
Jean-Claude non si ritrasse, e socchiuse gli occhi nell’anticipazione delle labbra di Asher che gli
sfioravano la gola. La sensazione arrivò improvvisa, e lo colpì con una vampata di desiderio,
riportandolo di colpo in un passato quasi dimenticato, avvolgendolo in un’onda di emozioni vive e
pulsanti come se non fossero passati più di due secoli dall’ultima volta che le aveva provate. La
bocca di Asher sfiorò appena il suo collo, ma invece di ritirarsi subito, come era abitudine nel
porgere quel tipo di saluto, rimase ad aleggiare sulla sua pelle, il contatto appena percettibile, il
fiato freddo che lo accarezzava e gli faceva rizzare i capelli dietro la nuca. Jean-Claude dischiuse le
labbra per lasciar andare un silenzioso sospiro. Non si era ancora nutrito, quella notte, ma sentì
ugualmente il battito del suo cuore dentro il cervello, che rimbombava come colpi di tamburo.
“La tua pelle ha sempre lo stesso profumo” gli sussurrò Asher, e le sue labbra si posarono con
decisione sulla sua gola, percorrendola verso l’alto, fino ad arrivare all’orecchio, stuzzicandolo
intorno e dentro con la lingua, finchè non si staccò da lui per guardarlo di nuovo negli occhi.
Jean-Claude gli restituì uno sguardo annebbiato dal desiderio e dall’eccitazione, lo stesso sguardo
confuso e sensuale con cui l’aveva fissato secoli prima, quando Asher aveva posato gli occhi su di
lui per la prima volta.
A quello sguardo Asher non era mai stato capace di resistere, la bellezza di Jean-Claude gli toglieva
il respiro, ora come allora, e l’idea di possederlo lo travolse. Si precipitò sulla sua bocca con
violenza, concentrando in quel bacio tutto il bisogno, la fame, e la solitudine che erano state
compagne di tante fredde interminabili notti. Una goccia di sangue scaturì dalle labbra di Jean51
Claude, scalfite dalle zanne di Asher nella veemenza del gesto, ed un gemito soffocato uscì dalla
gola di entrambi mentre il sapore del sangue si mescolava nelle loro bocche. La mano di Asher si
insinuò sotto le lenzuola, in mezzo alle gambe di Jean-Claude, sfiorandogli l’interno delle cosce, ma
prima che potesse proseguire Jean-Claude gli afferrò il polso, bloccandolo, e interruppe il bacio.
Sbattendo gli occhi come risvegliato da un sogno, Asher lo fissò con espressione interrogativa.
Anche Jean-Claude sembrò lottare per riacquistare il controllo, mentre il desiderio nei suoi occhi
veniva sostituito lentamente da un’espressione impenetrabile.
“Non può più essere come allora, Asher.”
Jean-Claude vide la fredezza delle sue parole ferire Asher e cancellare dai suoi occhi la tenerezza
che era stata lì un attimo prima, per riacquistare lo sguardo cinico e distaccato che aveva indossato
dal momento del suo arrivo a St. Louis. Non voleva ferirlo, ma non poteva lasciarsi andare a quelle
emozioni, non poteva permettersi di lasciarsi sopraffare dal desiderio per Asher. Soprattutto non
poteva rischiare di perdere l’amore di Anita. Lei non avrebbe capito, si sarebbe sentita tradita, non
sarebbe mai riuscita ad accettare di dividerlo con un altro. E lui non voleva rischiare questo.
Asher non disse una parola, si alzò in piedi e gli voltò le spalle per allontanarsi, ma Jean-Claude non
lasciò andare il suo polso e lo trattenne sussurrando il suo nome.
“Asher…… Asher…”
“Smettila. Non devi sforzarti di cercare le parole Jean-Claude. Ora sei tu il Master, puoi avere chi
vuoi, di sicuro non desideri nel tuo letto un vampiro deforme tornato da un passato lontano e da
dimenticare”
Jean-Claude trattenne una risatina “Deforme? Pensi che siano le tue cicatrici quello che io vedo?
Non essere stupido.”
“Lasciami andare”
“Asher, dopo tutto questo tempo, secoli, dopo aver pensato che non sarebbe mai più successo, io
sono innamorato. Anita è umana, è americana, è nata nel ventesimo secolo. Non posso avervi
entrambi, e non posso rinunciare a lei. Non voglio.”
Il vampiro biondo tornò a girarsi verso di lui, ora con uno sguardo stupito e un po’ sospettoso nei
gelidi occhi azzurri.
“Cosa significa? Che Anita è la tua unica amante?”
Jean-Claude non abbassò lo sguardo “Sì.”
“Stai scherzando?” Un sorriso canzonatorio gli increspò gli angoli della bocca. “Allora è vero
quello che ho sentito dire… che da quando c’è Anita tu non…”
Gli occhi di Jean-Claude si strinsero e la voce si indurì. “No. Io non.”
“Non ci posso credere… proprio tu…. No, non è possibile” Asher scosse la testa incredulo
“Ora che abbiamo fatto chiarezza sulla mia vita sessuale, possiamo tornare a preoccuparci di chi mi
vuole incastrare e sta lavorando per ottenere la mia esecuzione?” Mentre parlava, Jean-Claude
lasciò scivolare via le lenzuola e si alzò dal letto, chinandosi a raccogliere i suoi vestiti finiti in un
mucchio sul pavimento in qualche momento della notte precedente.
Il sorrisetto ironico morì sulle labbra di Asher, mentre rimaneva a fissare il corpo nudo e perfetto di
Jean-Claude che iniziava a rivestirsi. Si passò la lingua sulle labbra prima di riuscire a parlare.
“Pensi di andare a Chicago per fare qualche indagine?”
“Se necessario. Ma non possiamo usare il mio jet privato, dovremo prendere un volo di linea.
Comunque prima c’è un posto in città dove possiamo raccogliere qualche informazione”
“Pensi che possiamo andare in giro per St. Louis indisturbati?”
“No. Dovremmo trovare un modo per …. passare inosservati.”
Asher rise, pregustando quella che si preannunciava come un’interessante avventura. “Vuoi
ipnotizzare tutti quelli che ci vedono passare, o preferisci semplicemente travestirti?”
Jean-Claude si girò a guardarlo, mentre finiva di allacciare i fitti bottoni della camicia, fino a
chiudere l’alto collo di pizzo intorno alla sua gola; non gli rispose, ma gli sorrise apertamente,
facendo balenare le zanne.
52
13.
Il rientro a casa quella sera era stato il peggiore degli ultimi tre giorni.
In effetti da un po’ di tempo per Anita la fine della giornata andava peggiorando in modo
esponenziale. Questa volta era sicura che non avrebbe trovato Jean-Claude ad aspettarla, né che la
prospettiva della serata fosse un appuntamento con lui, per quanto funestato dal pensiero di dovergli
mentire per non intralciare il lavoro di Dolph. Non poteva neanche pensare di mettersi a dormire e
rimandare tutto al momento in cui sarebbe stata più riposata: doveva fare ancora troppe cose, e
comunque non sarebbe riuscita a chiudere occhio al pensiero di non aver trovato nemmeno una
prova dell’innocenza di Jean-Claude e al pensiero di quel maledetto mandato di esecuzione che
Dolph non avrebbe tardato a rendere operativo. Certo, almeno questa sera non si era risvegliata
legata e imbavagliata in mano a un branco di vampiri pazzi e assassini, ma il senso di sconfitta, la
sensazione di essere stata mandata a sbattere con la testa in un vicolo cieco non riusciva proprio a
scrollarsela di dosso.
Eppure la sua giornata di indagini era stata frenetica.
Fortunatamente Bert non aveva protestato per la richiesta di due giorni di vacanza dopo che aveva
saputo che cosa aveva passato nelle ultime ventiquattr’ore. Però l’incontro con la signora Symons,
la madre di Daniel e Beatrix, era stato devastante. Il fatto che Anita fosse rimasta vittima degli
stessi bastardi che avevano preso Danny non era stata una scusa sufficiente, agli occhi della madre
distrutta, per giustificare il fatto che non fosse riuscita a salvare il suo ragazzo. Non è che Anita non
si sentisse comunque colpevole. Quella donna aveva chiesto il suo aiuto, e lei aveva fallito.
Anche il gracile corpicino senza vita di Corinne le aveva chiesto giustizia, e lei aveva fallito.
Lasciare che accusassero e giustiziassero un innocente, per quanto fosse un vampiro, non avrebbe
aiutato nessuno e non avrebbe fermato quegli orrendi delitti, quindi non poteva permettersi di fallire
di nuovo.
Eppure niente di quello che sarebbe stato in suo potere fare avrebbe cambiato quei fatti. Di questo
era assolutamente certa. Danny era stato rapito diversi giorni prima della morte di Corinne, quando
nessuno aveva ancora pensato di mettere in relazione la sparizione dei ragazzi con gli omicidi.
Inoltre era stato ritrovato senza vita mentre lei era prigioniera di quegli stessi aguzzini. L’unica cosa
che le sfuggiva era il motivo per cui quattro vampiri a caccia di adolescenti avessero deciso di
prendere anche lei. E qui entrava in ballo Jean-Claude. Qualcosa univa questi vampiri a JeanClaude, ad un piano per incastrarlo e farlo accusare di omicidio, e in quest’ottica il rapimento e
magari l’uccisione della sua serva umana poteva trovare un senso, che però a lei sfuggiva ancora.
Solo per impedirle di indagare? Allora come mai non avevano più cercato di fermarla?
Ma certo, ormai il mandato di esecuzione per il Master della città era pronto, e forse erano talmente
sicuri che lei non avrebbe trovato niente che non si erano più dati la pena di darle la caccia.
I pensieri si rincorrevano nel suo cervello, come tessere impazzite di un puzzle.
Era anche passata al Dead’s Dave, e Luther si era dimostrato come sempre disponibile a parlare con
lei: ma a cosa poteva servirle sapere che un gruppo di farabutti venuti da fuori città si erano vantati
di essere stati assoldati dal Master di St. Louis per un nuovo remunerativo traffico illegale? – una
vera miniera d’oro a sentirli – Erano certamente quegli stessi quattro brutti ceffi che ora affollavano
le celle del RPIT, che come dei dischi rotti ripetevano la loro lezioncina a memoria…. stringendo
sempre di più il cappio intorno al collo di Jean-Claude. Per fortuna i poliziotti non si fidavano più di
Dave, quindi non erano andati al suo locale per estorcere qualche soffiata, ma in ogni caso la
situazione non poteva peggiorare più di così.
O poteva?
Entrando in garage con la jeep Anita si rese conto che un’automobile sconosciuta era parcheggiata
esattamente davanti al suo cancelletto d’ingresso. Con lo stomaco improvvisamente stretto dalla
tensione, scese dalla macchina impugnando la sua pistola e si avvicinò circospetta alla porticina
pedonale sul retro del garage, che dava direttamente sul cortile posteriore.
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Lì tutto era tranquillo. Si spostò con attenzione lungo il muro perimetrale del piccolo terreno che
circondava la sua casa, poi strisciò tra le siepi lungo di esso fino ad arrivare in vista del cancelletto.
Il viale che portava alla porta d’ingresso era deserto, le luci in casa tutte spente. L’automobile era
accostata talmente vicina che le mancava solo un passo per vedere chi stava seduto al posto del
guidatore.
Trattenne il respiro, raccolse tutto il coraggio che aveva, sgranchì le dita intorno al grilletto
dell’arma mentre la impugnava con tutte e due le mani, poi con uno scatto girò su se stessa e uscì in
vista, puntando la pistola esattamente al centro del finestrino laterale dell’auto.
Lo sguardo smarrito di suo padre la fissò al di là del vetro, mentre lei con un piccolo gemito alzava
la pistola puntandola verso il cielo e rimaneva a bocca aperta.
“Papà! Cosa diavolo fai qui?”
“Anita…”
Il signor Blake aprì lentamente lo sportello, senza che Anita si decidesse a rinfoderare l’arma,
quindi uscì dall’auto tenendo le mani leggermente alzate, quasi indeciso tra un gesto di resa e una
richiesta di aiuto.
Cercando di riprendersi dalla sorpresa, Anita lo osservò con attenzione, mentre lentamente
abbassava l’arma lungo il fianco: era da solo, aveva gli occhi di chi ha perso parecchie notti di
sonno e sembrava piegato e ingobbito sotto un peso immane che lo rendeva quasi irriconoscibile da
quell’uomo che aveva incontrato appena un paio di sere prima al ristorante. Lui le afferrò la mano
che non impugnava più la pistola.
“Anita, aiutami ti prego. Aiutaci” sussurrò a denti stretti, come se quella richiesta di aiuto gli
costasse uno sforzo enorme.
Anita si sentì dibattuta tra la rabbia e la preoccupazione. Cos’altro poteva capitare per rendere più
difficile la sua giornata? Lasciò la mano tra quelle del padre e lo guidò verso l’ingresso di casa.
Solo quando furono tutti e due seduti sul divano lei lo apostrofò con aria sospettosa.
“Spiegami perché sei qui.”
Le parole di suo padre erano confuse e balbettate, e l’uomo continuava a scuotere la testa mentre
parlava “Judith non voleva che venissi da te… dopo quello che ha visto l’altra sera… ma ho sentito
i poliziotti che parlavano di te… ho paura che solo tu ci possa aiutare…”
“Aspetta, aspetta un attimo… cosa vuol dire che i poliziotti parlavano di me? Quali poliziotti? E
cosa dicevano? E cosa ci facevi tu con dei poliziotti?”
“Josh…. Il nostro piccolo Josh…”
Anita sentì un crampo doloroso attanagliarle le viscere “Cosa c’entra Josh? E’ successo qualcosa a
Josh?” quasi urlò l’ultima domanda
“Non è più a casa… non sappiamo dov’è…”
“Da quando? Cosa gli è successo?” Anita gli strinse le spalle disperatamente cercando di scuoterlo
“Dimmi quello che sai papà!!”
Lo vide cercare di recuperare la calma mentre la fissava attraverso le lacrime. Alla fine parlò con
voce più ferma.
“La sera del ristorante, abbiamo visto che veniva a parlare con te e con quel…. quel…. vampiro”
“Sì, è venuto a salutarmi, e poi?” gli fece fretta Anita
“Dopo ci ha detto che andava a prendere la macchina… e noi l’abbiamo aspettato, e aspettato… e
lui non è più arrivato.” Fece una pausa, mentre Anita lo fissava sconvolta e senza parole “Siamo
scesi nel parcheggio e la macchina era là, ma lui non c’era, così abbiamo pensato che avesse deciso
di seguire voi. E’ così irrequieto negli ultimi tempi, così attirato dal lato oscuro della vita… non
faceva che parlare di te, di venirti a trovare, di voler conoscere dei vampiri… ci stava spezzando il
cuore…”
“Vederlo seguire il mio esempio?”
“NO! Josh non ha strani poteri, non possiede arti oscure… è solo un adolescente ribelle…”
Anita ricacciò in gola l’amarezza nel sentire le parole di suo padre. Era così facile per lui
giudicarla? Etichettarla come persona che ha ceduto al suo lato oscuro, al maligno? Ma il pensiero
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del suo adorabile fratellino nelle mani di quei pazzi pedofili…. Perché neanche per un attimo
l’aveva sfiorata il dubbio. Qualcuno aveva tramato nell’ombra contro Jean-Claude, e contro di lei,
ed ecco un altro tassello che li collegava in quella rete mortale.
“Perché sei venuto da me allora?”
“Perché la polizia ha fatto delle allusioni… mentre eravamo lì a denunciare la scomparsa. Si sono
lasciati sfuggire che poteva essere un caso come quelli di cui ti stavi occupando, ma poi hanno
capito che ero tuo padre e non mi hanno rivelato nient’altro… Tranne che sanno chi è il colpevole e
che sono sulle sue tracce. E che è un vampiro.”
Anita imprecò fra i denti. “Maledizione! Si stanno sbagliando. Stanno dando la caccia al vampiro
sbagliato!”
“Allora è vero che stai indagando?”
“Sì, è vero. Ma non mi credono.” Si morse le labbra… non poteva dire tutto a suo padre, neanche
lui le avrebbe creduto.
“Ma perché? Mi aiuterai Anita? E’ tuo fratello… Chi è che l’ha portato via? Che cosa gli faranno?
Oh mio Dio… lo morderanno…”
Se si limitassero a morderlo non avrei così paura…. Anita sentì il panico salirle dentro. Suo padre
non sapeva degli omicidi, non gli avevano detto di che genere erano quei fantomatici “casi” su cui
lei stava indagando. Come poteva dirgli la verità senza vederlo spezzarsi per il dolore davanti ai
suoi occhi?
Si accorse che non gli aveva ancora risposto, e che lui stava prendendo il suo silenzio come un
rifiuto. Qualcosa di disperato si agitò dentro gli occhi di suo padre, all’inizio le era sembrata
incertezza, ma ora il tono della sua voce denunciava chiaramente lo sforzo fatto per pronunciare
quelle parole, il disprezzo di chi pensa di essere caduto molto molto in basso.
“Pensavamo che…quel … quel…” una smorfia di disgusto gli deformò le labbra per un istante
“vampiro che conosci, non potrebbe sapere qualcosa? Non ci potrebbe aiutare?”
Un sorriso amaro increspò le labbra di Anita. Suo padre doveva essere davvero disperato se era
disposto ad implorare l’aiuto di uno dei mostri. Ma almeno alla polizia non gli avevano detto chi era
il loro ricercato numero uno.
“Certo che mi aiuterebbe. Se potesse” Doveva parlare con Jean-Claude, doveva in qualche modo
mettersi in contatto con lui, senza portare la polizia fino al suo nascondiglio.
“Se io e Jean-Claude ti aiuteremo, possiamo fidarci di te? Perché abbiamo… un piccolo problema.”
***
C’era voluta quasi un’ora per convincere suo padre ad aiutarla a sfuggire al controllo dei due
poliziotti che stazionavano all’angolo del suo isolato e che l’avevano seguita senza troppa
discrezione per tutto il santo giorno.
Alla fine aveva dovuto spiegare che la polizia la teneva d’occhio perché era stata anche lei vittima
della banda di vampiri, e che non voleva che la seguissero fino al rifugio di Jean-Claude perché
doveva rimanere segreto. Non era sicura di potersi davvero fidare di suo padre, anche se la paura
per Josh e il pensiero di poterlo aiutare unendo le forze con i vampiri l’avevano momentaneamente
convinto a collaborare.
Fortunatamente dietro la sua casa il piccolo cortile sconfinava nel prato al bordo dei boschi che si
espandevano per un vasto tratto di territorio, delimitato solo dalle strade provinciali.
Lo svantaggio di una casa così isolata era che per fare qualsiasi cosa era indispensabile
l’automobile. Il vantaggio era che tutti sapevano che per allontanarsi da casa Anita avrebbe dovuto
usare l’automobile.
Quindi non c’era stato motivo di seguire la macchina di suo padre, che si era allontanato da solo,
per andarla poi a recuperare a più di mezzo chilometro di distanza, lungo una curva della strada che
Anita aveva raggiunto attraversando i boschi.
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Quando giunsero al cancello del piccolo cimitero di periferia il cielo era di un blu molto intenso, ma
nel giro di poco tempo il nero della notte li avrebbe avvolti, e già suo padre mostrava i primi segni
di disagio camminando in mezzo alle tombe. Quando la vide avvicinarsi ad una cappella di stile
gotico ricoperta dall’edera cominciò a farsi ripetutamente il segno della croce, mormorando qualche
litania tra i denti.
Anita non si prese il fastidio di aspettarlo o rassicurarlo, aprì la stretta e alta porticina adorna di vetri
cattedrale e si introdusse all’interno della cappella, scendendo nella camera mortuaria sottostante
dopo aver acceso la torcia elettrica.
Dopo pochi passi una sensazione inquietante la fece fermare a metà scala. Dal piano inferiore non
arrivava nessuna luce né rumore, eppure i due vampiri dovevano essere svegli già da alcune ore.
D’istinto abbassò la voce per chiamare. “Jean-Claude? Asher?”
Come risposta le giunse solo una flebile eco contro le pareti di pietra. Quasi trattenendo il respiro,
cominciando a sentire le pareti che si stringevano intorno a lei come se fossero vive e con una loro
malevola volontà, continuò la discesa, cercando di acuire i sensi per captare il minimo rumore.
Ma nella stanza dove aveva passato la notte insieme a Jean-Claude c’era solo silenzio tombale e
nient’altro. Il fascio di luce della torcia percorse le pareti e il pavimento, ma del letto, del tavolino,
del tappeto e soprattutto di tutte le candele accese non era rimasto più nulla.
Un’enorme crocifisso di legno si stagliava sulla parete in fondo, e dominava con un’espressione di
dolorosa minaccia la stanza completamente vuota, tranne per un grande sarcofago proprio al centro.
Il rumore alle sue spalle le strappò quasi un urlo, e roteò su se stessa piantando la luce negli occhi
attoniti e spaventati di suo padre.
“Dove mi hai portato, Anita?”
Respirando profondamente per ricacciare indietro l’ondata di adrenalina, cercò di pensare a una
risposta, ma l’unica cosa che le uscì fu una domanda.
“Dove cazzo saranno andati?”
56
14.
La commessa del negozio di abiti antichi non poteva credere alla sua fortuna. Non si sarebbe mai
più lamentata con il suo capo per quella mania di tenere aperto fino alle dieci di sera.
Il suo capo la sapeva lunga, e non disdegnava di avere a che fare con i vampiri, che rappresentavano
la maggioranza della clientela notturna. Lei invece ne avrebbe fatto volentieri a meno, quel via vai
di personaggi pallidi e freddi le faceva accapponare la pelle. Ma non poteva permettersi di perdere
quel lavoro, e i non-morti della città sembravano tenerci molto ad indossare pezzi autentici
dell’epoca in cui erano… morti.
Ma questa sera…. mioddio, in tutta la sua vita non aveva mai visto due uomini tanto belli.
Soprattutto tra gli umani. E quei due dovevano per forza essere umani, ormai un certo occhio se
l’era fatto a distinguerli. E adesso erano lì, davanti a lei, che si provavano uniformi militari
dell’epoca del primo zar Nicola lasciandola a bocca aperta dalla meraviglia. Qualsiasi altro maschio
che pretendesse di girare per Chicago con una giacchetta stretta in vita, bordata di pelliccia di
zibellino e tenuta chiusa da una ventina di alamari dorati l’avrebbe fatta morire dal ridere, invece su
quei due l’effetto era non solo magnifico ma naturale, come se non avessero mai indossato altro in
vita loro.
L’unica cosa che la infastidiva un po’ era il fatto di non riuscire mai a scorgere interamente il viso
di quello biondo poiché, per quanto sbirciasse, la parte destra del volto era sempre completamente
nascosta dalla cascata dei capelli di quel pazzesco colore dorato. Non poteva essere un colore
naturale, però sembrava scortese chiedere dove se li era fatti tingere. E quello bruno? Santo cielo
quando le aveva parlato era stato veramente imbarazzante. Aveva sentito delle cose… reagire
dentro di lei… come se una mano la stesse accarezzando in luoghi oscenamente intimi.
“Siete invitati alla festa del Master?” Non aveva potuto fare a meno di notare che i due erano
interessati esclusivamente ad alte uniformi dell’esercito russo, e tutti sapevano come si faceva
chiamare il Master di Chicago… chi poi fosse stato davvero, nella realtà, probabilmente nessuno
aveva mai osato chiederglielo.
Quello bruno lanciò un’occhiata divertita all’altro, prima di rispondere.
“Sì, ma chérie, proprio così. Siamo arrivati all’improvviso perché i nostri inviti sono andati perduti,
così non c’è stato tempo per farci preparare gli abiti. E’ una vera fortuna che siamo stati indirizzati
nel suo delizioso negozio!”
La giovane arrossì fino alla punta dei capelli. “Oh… sapete, la festa del 17 luglio è un evento in
città di cui tutti parlano per settimane ogni anno …. Sia gli uomini che i vampiri! Essere invitati è
un privilegio molto ambito, e solo personaggi eminenti lo ottengono… Ci sarà persino il sindaco! E
poi incontrerete star del cinema… O dio, che stupida!! Voi di sicuro fate parte del mondo dello
spettacolo!”
Il biondo uscì dal camerino indossando un’uniforme da ussaro bianca, con l’alto colletto dritto ed i
polsi di pelliccia, il petto completamente coperto da alamari e le maniche adorne di fini ricami
dorati di una sfumatura identica a quella dei capelli. Aprì le braccia per mostrare l’effetto del vestito
all’amico, e le rispose con nonchalance “Oh, sì, lo sappiamo… ma il nostro affascinante Jean è
molto ben introdotto qui a Chicago… vecchi scambi di favori, sa come succede…” rivelò alla
ragazza con una strizzatina d’occhio.
“Sei perfetto mon ami. Credo che possiamo concludere i nostri acquisti e permettere a questa
deliziosa signorina di chiudere il negozio”
“Oh, no no! Non c’è assolutamente fretta!” rispose la ragazza, mentre correva dietro all’ammaliante
uomo dai capelli neri che si avviava alla cassa estraendo un libretto degli assegni da sotto la
mantella rossa, anche questa bordata di pelliccia, gettata su una spalla sopra la corta giacca da
Generale dello Zar che stringeva la sua vita sottile in una maniera incredibilmente sexy.
***
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“Credevo che svenisse quando le hai sfiorato la mano porgendole l’assegno!”
“Ti sbagli, mon ami, aveva occhi solo per te.”
“Solo perché voleva scoprire cosa si nascondeva sotto i capelli”
“O sotto quegli attillati calzoni che hai scelto”
Camminando nell’umida aria notturna appena rinfrescata dalla pioggia, i due vampiri arrivarono
fino al locale dove si teneva la festa. Jean-Claude osservò sorridendo il suo biondo amico,
godendosi ogni istante di quell’improvviso senso di eccitazione ed allegria, che per poco gli aveva
fatto dimenticare il vero motivo per cui avevano fatto quel viaggio.
L’euforia era iniziata quando Asher con uno sguardo aveva convinto l’hostess del volo St.LouisChicago a rischiare l’overbooking per farli salire sull’aereo. Il viaggio aveva improvvisamente
assunto l’aspetto di una delle loro “missioni”, come era stato secoli prima quando si aggiravano
come una coppia letale in mezzo alle più nobili corti europee.
L’incredibile combinazione per cui erano capitati a Chicago esattamente nella notte dei grandi
festeggiamenti per l’anniversario della “morte” del Master aveva fornito alla loro visita un motivo
ufficiale e poco minaccioso con cui giustificare il loro arrivo inaspettato. Ma in ogni caso il giovane
Romanov aveva un debito troppo grande con Jean-Claude per rifiutargli il libero passaggio nelle sue
terre. Se non fosse stato per il suo aiuto nella fuga al di là dell’oceano, nemmeno come vampiro
sarebbe sopravvissuto alla furia dei bolscevichi.
Il “Rasputin” era a tutti gli effetti una discoteca, ma ogni particolare era ispirato all’arte russa, in
una sovraccarica accozzaglia di epoche diverse, come se il proprietario non sapesse decidere a
quale periodo storico delle sue terre d’origine ispirarsi.
Per entrare non fu necessario esibire un invito. Bastava avere il proprio nome scritto sulla lista del
buttafuori, e quelli di Jean-Claude ed Asher erano apparsi in quella lista circa due ore prima.
All’interno la musica pompava ad un volume altissimo, ed entrando si veniva quasi subito immessi
nella grande sala che fungeva da pista da ballo su cui si affacciavano tre giri sovrapposti di
balconate. L’oro, il nero, il rosso dominavano la scena suscitando l’impressione di trovarsi sul
palcoscenico di un teatro barocco di dimensioni sproporzionate… se non fosse stato per il ritmo
frenetico e assordante della musica e per i corpi che si dimenavano, che producevano un effetto più
simile ad un girone dantesco. La balconata più alta, dove si trovavano i personaggi davvero
importanti, correva appena sotto l’imposta dell’immensa cupola, e al centro sporgeva una specie di
palco reale, la balaustra riccamente intagliata con un bassorilievo dorato raffigurante lo stemma
dell’aquila bifronte.
Probabilmente l’intera comunità soprannaturale di Chicago si trovava raccolta lì quella sera, e i due
vampiri arrivati da St. Louis scivolarono in mezzo alla folla quasi inosservati, avviandosi a salire
verso il livello più alto.
Prima di giungere al palco centrale furono fermati da quattro minacciosi licantropi.
Nasi a uncino, capelli simili a piume multicolori, dita sottili simili ad artigli. Aquile mannare.
Romanov amava esibire il suo potere, e il fatto di essere diventato un master dopo meno di
cent’anni di non-vita vampiresca gli aveva provocato una smania quasi ossessiva di ostentazione.
C’era solo un argomento più pericoloso del mettere in dubbio i suoi poteri di master, ed era
ricordargli in qualche modo di non essere mai diventato Zar. E uno zar era ciò che voleva essere,
ciò che voleva dimostrare di essere adesso, a capo dei vampiri di Chicago.
Adagiato su una poltrona intarsiata come la balaustra e imbottita di velluto rosso, circondato da
cinque affascinanti mannare molto poco vestite, praticamente prostrate ai suoi piedi, stava un
ragazzo snello, con corti capelli neri, lo sguardo annoiato e crudele, che poteva dimostrare forse una
ventina d’anni, nonostante ne avesse avuti solo quattordici all’epoca della sua morte.
Quando si accorse della presenza dei due vampiri fece un gesto svogliato alle guardie del corpo, che
si scostarono per lasciarli passare. Jean-Claude si avvicinò per primo, e giunto di fronte al ragazzo
fece un elegante svolazzo con la mano e si piegò in un grazioso inchino, ossequioso ma non troppo
profondo.
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“Alessio”
I licantropi che li attorniavano scattarono allarmati sentendo pronunciare quel nome, il cui uso era
un privilegio concesso a pochissimi, ma il Master si alzò sorridendo e andò incontro ai nuovi
arrivati “Jean-Claude! Se avessi saputo che desideravi partecipare alla mia festa ti avrei spedito un
invito ogni anno!”
“Non oserei importi un simile impegno, mon petit prince, e come ti ho fatto riferire, il motivo che
mi ha portato nella tua città è coinciso con il giorno della tua festa solo per una casuale
fortunatissima coincidenza. Abbiamo sentito parlare dei tuoi festeggiamenti ben lontano da qui, e ci
è sembrata un’occasione imperdibile venire personalmente a godere della tua ospitalità.”
Romanov sorrise compiaciuto, ma guardò verso Asher con una punta di inquietudine.
Quando Jean-Claude era diventato master di St.Louis ne era stato felice. L’infante pazza, come lui
chiamava Nikolaos, era stata un tormento in una città così vicina. Era troppo antica e troppo forte
per competere con lei, e Chicago era rimasta per lunghissimo tempo una sorta di centro periferico
del territorio di Nikolaos, con un “vicerè”, Romanov, con limitati poteri di comando. Il fatto che
Jean-Claude gli avesse concesso ufficialmente la guida della città l’aveva ovviamente compiaciuto,
ma in questo modo il suo debito con il master francese era raddoppiato, e avendo sempre saputo che
Jean-Claude era più antico e più potente di quanto avesse sempre fatto credere non era rassicurante
ora che se lo trovava davanti, perdipiù con il suo secondo in comando al seguito.
Almeno non era arrivato con la negromante. Gli erano giunte voci inquietanti sulla storia del
triumvirato, a cui non sapeva se dover credere o no. E comunque prima di lasciare l’Europa aveva
sentito troppi racconti delle mitiche azioni intraprese secoli prima dai due lieutenants di Belle
Morte. Si diceva che spesso, dopo il loro passaggio, dei re venivano deposti, delle regine venivano
condannate a morte, delle principesse si ritiravano in convento.
“Permetti che ti presenti i miei omaggi. Asher, per favore” continuò Jean-Claude, accennando verso
il suo accompagnatore, che si fece avanti, fece un inchino leggermente più profondo e porse un
piccolo involucro rosso chiuso da un nastro di seta nera.
Romanov lo liquidò con un cenno del capo, cercando di mascherare il nervosismo, evitando di
guardare le cicatrici, e concentrò la sua attenzione sul regalo mentre lo scartava con attenzione. Ne
estrasse un minuscolo oggetto, un uovo, la cui superficie di smalto era istoriata da gemme e fili
d’oro. Lo sguardo diventò molto più intenso e un oscuro scintillio gli accese gli occhi.
“L’organizzazione improvvisa del nostro viaggio non ci ha permesso di poterti offrire qualcosa di
più degno….” La voce gentilmente neutra non tradì il senso di trionfo provato da Jean-Claude nel
vedere l’espressione bramosa di Romanov. Ogni vampiro aveva le sue piccole manie ed ossessioni,
bastava conoscerle ed arrivare preparati. Per alcuni era la tortura, per altri le cose imputridite, per
Romanov la sua collezione di uova di Fabergé.
Il ragazzo vampiro aprì delicatamente l’uovo, nel cui cuore stava appollaiato un minuscolo falcone
di giada. Non distolse gli occhi dall’oggetto mentre parlava.
“Dunque qual è lo scopo del tuo viaggio Jean-Claude? Come posso esserti d’aiuto?”
“Mon prince, sono estremamente interessato ad alcune voci che mi sono giunte dopo che il nostro
illustrissimo Consiglio è stato tuo ospite, al punto che ho sentito la necessità di venire di persona ad
accertarne la credibilità, prima che le stesse voci si diffondessero a St. Louis”
Sentendo nominare il Consiglio, Romanov alzò di scatto lo sguardo, immediatamente attento e
inquieto. Il passaggio di Padma e del Viaggiatore, meno di un mese prima, aveva lasciato segni
profondi nella sua comunità di vampiri.
“Quali voci?”
“Hm… dunque… vorrei conoscere meglio le possibilità che si offrono ad un vampiro a cui pesi
assoggettarsi a quelle assurde leggi umane che parlano di minorenni e maggiorenni… un concetto
che a vampiri antichi come noi può sembrare assolutamente aleatorio.” Continuò Jean-Claude,
elargendo al Master un sorriso colmo di doppi sensi.
Romanov sembrò rilassarsi. “Ah, quelle voci.” Tacque per un attimo pensieroso, poi il suo sorriso
di risposta fu ancora più malizioso, se possibile. “Non pensavo che fossi interessato a prede così…
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acerbe. Per lo meno, non lo eri quando ci siamo incontrati, altrimenti non ti saresti lasciato sfuggire
certe occasioni…”
Quando, nel 1917, avevano viaggiato insieme verso ovest per lunghe interminabili notti attraverso
la sconfinata Russia, il novello vampiro-non più futuro zar-in fuga aveva temuto di dover subire
pesanti e intime attenzioni da parte di quel vampiro francese famoso per il suo sensuale e
irresistibile potere. Era stato mandato lì per aiutarlo, e Romanov era stato trasformato da pochi
giorni, quindi sarebbe stato impossibile rifiutare di assoggettarsi ad ogni suo volere. Ma quelle
“attenzioni” non erano mai arrivate, anche se alla fine del viaggio lui le aveva desiderate
ardentemente.
“Non ho parlato di un interesse personale, in effetti.” Precisò Jean-Claude “Professionale, più che
altro. Come Master della città non intendo tollerare che qualcuno si arricchisca impunemente senza
dimostrare il dovuto rispetto alla mia autorità”.
Una sfumatura di minaccia trapelò dalle sue parole, e Romanov dovette trattenersi per non arretrare
di un passo. “Comprendo perfettamente.” rispose invece senza scomporsi “Anche qui a Chicago ho
dovuto imporre la partecipazione di qualcuno dei miei per tenere sotto controllo questo fenomeno.”
Si interruppe per guardare Asher. “Pensavo che i membri del Consiglio sdegnassero questo tipo
di… business”
“Non viaggio più come rappresentante del Consiglio, Romanov, ma come amico e luogotenente del
Master di St. Louis, come avrai sentito dire” rispose Asher, alzando la testa e rivelando durante il
gesto una parte più ampia del viso sfigurato.
Il russo distolse lo sguardo senza dissimulare un brivido di raccapriccio. Tutti i vampiri che
arrivavano dall’Europa conoscevano la storia di Asher e delle torture che aveva subito, e tutti
sapevano che Asher ne riteneva responsabile Jean-Claude e per secoli aveva atteso la sua vendetta.
Quindi perché mai ora si trovava lì, al fianco di colui che gli aveva causato tanto dolore? Quale
nuovo potere doveva aver acquisito il Master di St. Louis per ridurre all’obbedienza un vampiro
antico come Asher?
Meglio non scoprirlo. Romanov non aveva nessuna intenzione di rischiare la sua gente come aveva
fatto Serephina pochi mesi prima, soprattutto per mettersi contro un vampiro che fino a quel
momento aveva considerato un possibile alleato.
Tutti questi pensieri attraversarono non visti la sua mente, mentre valutava la convenienza di
consegnare ai due vampiri la sua più recente amante, nonché la licantropa che faceva da tramite tra
lui e i loschi trafficanti di ragazzini.
“Scendete nel salone. Chiedete al bar di Bittersweet. Lei sarà già informata di mettersi a vostra
completa disposizione, per qualsiasi chiarimento abbiate bisogno…. O per qualsiasi altro bisogno,
in ogni caso.”
60
15.
Seduta al bancone del bar, Bittersweet controllava i movimenti della sala aspettando infastidita
l’arrivo dei due vampiri forestieri. Il richiamo mentale del suo Master l’aveva appena avvertita che
si trattava di ospiti illustri, a cui lei doveva fornire la sua assoluta collaborazione.
E anche qualsiasi altra cosa, nel caso l’avessero chiesta. Sangue? Sesso? Romanov non l’aveva
specificato, sicuro che la sua ragazza non l’avrebbe deluso. Quell’atteggiamento da tiranno assoluto
– oh, no, mi scusi, da Zar – era odioso. Ma da quando l’aveva morsa – e l’aveva scopata – per la
prima volta, Bitter si era volontariamente assoggettata a qualsiasi richiesta le avesse fatto quel
ragazzino viziato e perverso. Non poteva più fare a meno di lui e del suo potere, che si riversava
nelle sue vene e la portava all’estasi ogni volta che stavano insieme, e poi non sopportava l’idea che
si stancasse di lei, come era successo con tante altre.
Quindi anche questa volta non avrebbe avuto scelta. I vampiri si sarebbero arrogati il diritto –
concesso dal Master in persona – di farle tutto ciò che la fantasia poteva suggerire alle loro menti
deviate senza arrecarle danni permanenti, e lei avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco, tanto
nessuno sarebbe arrivato a interromperli.
Non le erano mai piaciuti i vampiri, prima di stare con Romanov. Emanavano qualcosa di viscido e
di freddo che le faceva accapponare la pelle. Ma con lui era diverso, lui le parlava nella mente, il
suo richiamo non era qualcosa a cui poteva opporre un rifiuto, nemmeno una femmina alpha come
lei, ed era quello il motivo per cui rimaneva lì.
*Speriamo almeno che siano carini* pensò.
E poi li vide, e un brivido sottile cominciò a percorrerle la spina dorsale.
Non era solo paura. Le movenze feline con cui si avvicinavano emanavano una carica sensuale che
si sentiva a dieci metri di distanza, anche attraverso i corpi della folla che ancora si intrometteva tra
loro, e che si scostava al loro passaggio come se quel brivido stesse sfiorando anche tutti loro.
Ma era anche paura. Erano predatori, e la loro bellezza non l’aveva ingannata nemmeno per un
istante. Sapeva riconoscere i suoi simili.
Quando arrivarono vicino a lei si separarono: il biondo si appoggiò al bancone del bar alla sua
sinistra, il suo profilo perfetto stagliato contro le luci stroboscopiche che roteavano sulla sala.
Quello con i capelli neri scivolò alla sua destra e le rivolse un sorriso pieno di malizia e di
qualcos’altro. “Bittersweet? Io sono Jean-Claude.”
Bitter dovette chiudere gli occhi per trattenere insieme i pensieri che si stavano disgregando al
suono di quella voce. Per un attimo le era mancato il respiro. Da sinistra un’altra voce, con lo stesso
tono carezzevole, la avvolse e la toccò con una sensualità quasi brutale.
“Io sono Asher. Alessio ti ha chiesto di essere gentile con noi?”
“S… sì.” Deglutì cercando di controllare l’insensato tremito delle sue labbra “Il suo messaggio mi è
arrivato”
Jean-Claude le sfiorò il braccio nudo con la punta delle unghie, salendo fino alla spalla, fermandosi
sopra la vena del collo. “Allora forse potremmo andare in qualche luogo più… riservato?”
Bitter si leccò le labbra, e scese dallo sgabello. Forse questa volta seguire gli ordini di Romanov
non sarebbe stato tanto sgradevole. Anche se l’idea di essere in balia di quei due vampiri
contemporaneamente la terrorizzava, nello stesso tempo la riempiva di un’eccitazione quasi
incontenibile.
***
La licantropa li precedette percorrendo un corridoio laterale, aprendo una porta chiusa a chiave e
introducendoli in una saletta abbastanza grande da contenere un enorme letto a baldacchino e alcuni
altri accessori di arredamento che sembravano arrivare direttamente da un bordello russo. Richiuse
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la porta dietro di sé e la musica si ritirò aldilà delle pareti imbottite fino a diventare un sordo battito
di sottofondo.
Jean-Claude si sedette sul letto osservando i movimenti della ragazza. Un’altra aquila mannara,
senza dubbio. I capelli platinati, lunghi e lisci, avevano una consistenza soffice simile alle piume,
gli occhi, di un color arancio dorato, erano leggermente troppo distanti, ma al contrario di molti altri
della sua stirpe non presentava il caratteristico naso aquilino, e l’effetto complessivo era di originale
bellezza. Una femmina alpha, anche, che non avrebbe risposto alle loro domande senza opporre
resistenza, neanche se ipnotizzata.
Mentre lei si avvicinava lentamente al letto, Asher le sfilò di mano le chiavi e bloccò la serratura
della porta. Dalla ragazza emanava il profumo della sua paura, e della sua brama sessuale, e JeanClaude permise al suo corpo di rispondere all’eccitazione che gli provocava, permise al predatore
dentro di lui di farsi strada attraverso strati e strati di civile autocontrollo. Gli serviva. Odiava quello
che stavano per fare, troppe volte lui e Asher erano stati costretti ad agire in questo modo, ma
adesso era diverso, continuava a ripetersi. Questa volta non era per il piacere ed il potere di qualcun
altro. Era necessario non solo per conservare il *suo* potere, ma la sua stessa esistenza.
*Diamo inizio alle danze* pensò mentre catturava tra le proprie gambe quelle della mannara, ed
Asher si avvicinava alle sue spalle, scostandole i capelli dal collo.
Il respiro della ragazza era diventato un ansimare tremante, e quando Jean-Claude cominciò a
slacciarle i jeans, insinuando le dita tra la stoffa e la pelle nuda, le ginocchia le cedettero per un
attimo, e solo la stretta di Asher la mantenne in piedi.
La mano di Jean-Claude si fermò a stuzzicare i morbidi peli biondi del suo pube, e Bittersweet si
lasciò sfuggire un gemito. I pensieri coerenti si erano già dissolti da parecchio tempo, e si era
abbandonata alla sensazione di quelle mani che la percorrevano senza riuscire più a distinguere di
quale dei due erano. Per quello ci mise un attimo a capire il senso della domanda, sussurrata dalla
più suadente delle voci.
“Chi è il responsabile del traffico di pommes de sang?”
“Co… cosa?” sbattè le palpebre freneticamente per cercare di riprendere il controllo di se stessa e
delle sue sensazioni, ma senza riuscirci. Il desiderio frenetico che quelle mani continuassero a
muoversi su di lei ed entrassero dentro di lei soffocava il terrore che capiva ragionevolmente di
dover provare.
“Rispondi alla domanda, dolcezza, non complicarci le cose” ribadì la voce alle sue spalle, con una
velatissima nota di minaccia che le gelò il sangue, mentre il vampiro continuava ad accarezzarle le
spalle e il collo. E l’unica cosa che Bittersweet desiderava in quel momento era lasciarsi andare a
quelle carezze, lasciarsi stritolare da quell’aura sensuale che la circondava come le spire di un
serpente, e tutto quello che doveva fare era rispondere ad una semplice domanda… una piccola
semplice domanda di cui lei conosceva benissimo la risposta…
“Vedi, mon aiglon, qualcuno sta esportando un remunerativo traffico da Chicago a St. Louis. E tu
capirai che St. Louis è la mia città, e nessun remunerativo traffico si può espandere senza il mio
permesso”.
Quella voce…. Come poteva negare una risposta a quella voce? Ma quella era un’informazione
custodita gelosamente nella parte più remota della sua coscienza, dove qualcun altro l’aveva riposta
al sicuro da intrusioni mentali.
“Non so di cosa state parlando”
Jean-Claude percepì l’istante in cui la ragazza si irrigidiva per cercare faticosamente di spegnere
quel fuoco liquido che sentiva bruciare tra le gambe, e lasciò andare un sospiro rassegnato.
Quello sguardo terrorizzato e consapevole gli rivelava molte cose, anche senza parole. La ragazza
sapeva benissimo di cosa stavano parlando, e probabilmente anche di più, ma come previsto non
sarebbe stata un’informatrice ingenua e facile da manovrare. Era inevitabile passare al piano B.
“Oh, no, mon aiglon, così non va…Il tuo Master avrebbe dovuto avvertirti di assecondare tutte le
nostre richieste!” Il tono divertito di Jean-Claude non raggiunse l’espressione degli occhi.
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“Bastardi figli di puttana, era solo una trappola! Non è possibile che Romanov conoscesse le vostre
intenzioni! Non avrebbe permesso…” Bittersweet cominciò a divincolarsi, ma la presa dei due
vampiri non le lasciava nessuno spazio di manovra, e nemmeno la sua forza da licantropo l’avrebbe
liberata.
“Romanov non arriverà a proteggerti, dolcezza, dovresti averlo capito” La minaccia alle sue spalle
non era più velata, ora era fredda e tagliente.
“Sai, Bittersweet, il morso del mio amico può essere molto convincente, però dopo che ti avrà
assaggiata la tua mente gli apparterrà, e dopo che ci avrai detto comunque tutto quello che sai, il tuo
unico pensiero e desiderio sarà di essere la sua schiava per il resto dei tuoi giorni” Le parole di
Jean-Claude la avvolsero con la viscosità del miele, mentre con dita inflessibili la faceva ruotare in
modo da fronteggiare Asher.
La ragazza si ritrovò all’improvviso a pochi centimetri di distanza dal volto del vampiro, che aveva
tirato indietro i capelli e si era sbottonato la camicia.
Fissò per un istante ad occhi sgranati le orribili cicatrici che gli sfiguravano tutta la parte destra del
corpo, poi iniziò ad urlare.
Il piano B era quello, ma davanti all’evidenza dell’orrore provato dalla donna di fronte al corpo di
Asher, Jean-Claude fu investito da un’ondata di gelida rabbia.
Quante volte negli ultimi due secoli Asher doveva essere stato sottoposto ad un simile trattamento?
Quante volte era stato obbligato a giocare la parte del mostro, e a subire questo tipo di reazione
mentre fino a poco tempo prima bastava un suo sorriso per far innamorare le donne?
Bittersweet continuava a strillare e a dimenarsi per sfuggire alla sua stretta, e lui non si era reso
conto che era diventata talmente forte che un’ulteriore minima pressione le avrebbe spezzato le ossa
del braccio.
La lasciò andare di colpo, vedendola afflosciarsi come un mucchietto sul pavimento, ma non osò
incrociare lo sguardo di Asher.
“Posso supporre che ora risponderai alle nostre domande senza opporre altra inutile resistenza?”
Nonostante tutto la ragazza si rivolse ancora verso Jean-Claude, come se da lui potesse arrivare una
speranza. “Ti prego, non darmi a lui, non darmi a lui…. Ti dirò tutto quello che vuoi.”
63
16.
*Dove sei, Jean-Claude, maledizione. Dove sei* Anita parcheggiò l’auto sul lato della villa, spense
il motore e rimase ancora un attimo ferma, cercando con la mente di seguire quel filo sottile che la
collegava a Jean-Claude. Sapeva che poteva farcela, ma era sempre talmente impegnata ad evitare
che lui le entrasse nella mente, che non le era mai passato per la testa che il sistema poteva tornare
utile nella direzione opposta, e ora, senza il minimo allenamento, non sapeva da che parte
cominciare.
*Giuro che alla prima occasione gli regalo un telefono cellulare*
Provò di nuovo a concentrarsi, urlando il suo pensiero nel vuoto con tutta la forza di cui era capace.
*DOVE SEI?? Mi servi qui!!*
All’inizio le rispose solo una fitta di mal di testa, ma subito dopo la sensazione di una risposta, di
una domanda ansiosa, le sfiorò la mente dolorante.
“Sei sicura che sia questo il posto, Anita?”
La voce diffidente di suo padre, al suo fianco, interruppe quel tentativo di comunicazione.
Jean-Claude doveva essere ben lontano per trovare così faticoso collegarsi mentalmente a lei. Dove
diavolo era scappato?
“E’ questo l’indirizzo che hai trovato nel diario di Josh. Non sappiamo quando è venuto qui per la
prima volta, ma è certo che se conosceva questo indirizzo il suo contatto con i vampiri non era
casuale, e non era nemmeno una novità. Non vieni a sapere dove si trovano posti come questi se
non sei immischiato fino al collo con i vampiri.”
Anita guardò suo padre impallidire, e solo un istinto remoto di pietà e di affetto le impedì di andare
avanti con la spiegazione.
Quella era una delle case in cui si svolgevano i “freak-parties”, feste segrete a cui partecipavano gli
umani che desideravano provare il brivido di farsi assaggiare dai vampiri…. o che erano già
compromessi al punto da non riuscire a fare a meno di farsi mordere, come veri e propri
tossicodipendenti. Junkies. Suo fratello non poteva essere un junkie, ma allora come poteva
conoscere questo indirizzo? Inutile stare lì fermi a farsi domande inutili. Dovevano entrare e
chiedere.
Quello che la preoccupava era trovarsi lì insieme a suo padre – non c’era stato modo di convincerlo
a rimanere a casa ad aspettare – e senza nessun “vampiro di scorta”. Non aveva chiamato il Circo
perché non se la sentiva di fidarsi di nessuno, nella situazione attuale. Ma i vampiri presenti
l’avrebbero riconosciuta come la “ragazza del Master” oppure li avrebbero considerati un paio di
succulenti piatti di portata? Beh, lei era comunque l’Esecutrice, e certo non stava per entrare
disarmata.
Dalla villa arrivavano soffocati rumori di musica e di voci, ma prima che riuscisse a scendere
dall’auto, la notte fu riempita dal suono delle sirene, e quattro auto della polizia frenarono stridendo
nel cortile davanti al portico d’ingresso.
Mentre fissava sconvolta il roteare dei lampeggianti che illuminava la notte, le giunse in un sussurro
la voce di suo padre. “Sì, è questo il posto giusto”
Anita si voltò furibonda verso di lui, ma parlò con calma mentre reprimeva la rabbia. “Che cosa hai
detto?”
Nessuna risposta. Non c’era niente da spiegare di fronte all’evidenza. “Quando hai telefonato alla
polizia?”
Quel tono gelido scosse Mr. Blake.
“Quando ci siamo fermati a fare benzina. Ho capito che era un luogo pericoloso da come hai reagito
vedendo questo indirizzo, ho capito che conoscevi questo posto. Quanto sei coinvolta con i vampiri
Anita? Non potevo permettere che arrivassimo qui da soli a fronteggiare queste mostruosità.”
Anita imprecò sottovoce, appoggiando la fronte al volante.
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La polizia stava facendo irruzione dentro la casa. Un certo numero di vampiri erano già volati via
dalle finestre, ma i più giovani e inesperti, insieme alle loro vittime – volontarie e non – sarebbero
stati arrestati e portati via, dato che quelle feste ovviamente non si svolgevano nei limiti della
legalità… E quale speranza sarebbe rimasta a loro di carpire qualche informazione utile?
Si girò rassegnata ad affrontare il poliziotto che si stava già avvicinando all’auto, puntandole il
fascio di luce della torcia diritto negli occhi.
***
Dopo essere rimasta per mezz’ora ad aspettare in macchina, come le avevano “consigliato” i
poliziotti che fortunatamente l’avevano subito riconosciuta, i nervi di Anita erano giunti al limite
della sopportazione, fremendo dal desiderio di un po’ di azione, o almeno di un po’ di
partecipazione, che invece le era stata negata.
Gli agenti cominciavano già a sfilare fuori dalla casa con una serie di persone ammanettate, e
nessuno le aveva chiesto di entrare a collaborare, almeno negli interrogatori. Ed era certa che gli
agenti non avrebbero fatto le domande giuste, e anche in quel caso, non avrebbero ottenuto le
risposte che forse lei avrebbe potuto ottenere.
Poi si accorse del poliziotto più alto e imponente di tutti gli altri che stava camminando verso di
loro, e capì che la situazione poteva peggiorare anche più di così.
Imprecando di nuovo, scese dalla macchina per affrontare Dolph Storr, ma si bloccò subito,
completamente spiazzata dall’espressione sulla sua faccia. Rabbia, sdegno, ma anche compassione,
e tristezza. Non era abituata ad un tale sfoggio di emozioni da parte del sergente, e non sapeva come
interpretarle.
Poi capì che almeno una parte di esse non erano destinate a lei, perché Storr si rivolse
esplicitamente a suo padre, senza salutarla né degnarla di un’occhiata.
“Mr. Blake, suo figlio è stato visto qui, stanotte. E apparentemente stava bene. Ma non sappiamo
chi l’ha portato in questo posto: chiunque fosse l’ha portato via diverse ore fa.”
Poi si girò con glaciale lentezza verso Anita.
“Sappiamo anche chi altro è stato visto in questa casa, nelle prime ore della serata.”
Anita si limitò a restituirgli un silenzio freddo. Qualcosa le diceva che anche lei sapeva chi era
passato di lì.
“Diversi testimoni hanno notato il Master di St. Louis tra gli invitati, subito dopo il tramonto.
Sembra che Jean-Claude non riesca proprio a passare inosservato.”
“Maledizione” Anita si sentì addosso lo sguardo smarrito di suo padre, che pesava su di lei insieme
allo sguardo inquisitore di Dolph.
“E’ tutto quello che sai dire Anita? Anche adesso che c’è tuo fratello in pericolo?”
“Cosa vuoi che ti dica Dolph? Sai come la penso”
“Mi hai portato le prove della sua innocenza?”
Anita si sentì scivolare giù lungo la superficie liscia e senza appigli della sua fiducia in JeanClaude, senza niente di concreto da offrire come risposta.
“La sua presenza qui non prova nulla…” riuscì a nascondere il tremito nella sua voce, ma qualcosa
dentro di lei cominciò a tremare di rimando come se l’avesse investita un vento gelido.
L’incredulità di suo padre si intromise a rincarare la dose “Era lui il ricercato? E’ lui il colpevole di
tutto questo?” ma Dolph lo ignorò, senza mollare la presa su di lei.
“Prova che ovunque indaghiamo, c’è sempre lui di mezzo, Anita. E’ lui la chiave di tutto. Delle
sparizioni, degli omicidi, del collegamento che c’è tra te e tutte le vittime. Dimmi dove si nasconde,
per Dio, Anita, non perdiamo altro tempo.”
Davanti al suo silenzio, suo padre rispose con voce sconvolta e delusa “Tu sapevi, sapevi dove
trovarlo e non gliel’hai detto! E ora è troppo tardi!” poi si rivolse direttamente al poliziotto,
scuotendo la testa come per negare a se stesso l’evidenza “Io l’ho aiutata a raggiungere il
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nascondiglio, ma quel maledetto vampiro se n’era già andato! E adesso neanche lei sa dove è
scappato.”
“Non si preoccupi, Mr. Blake. Da questo momento il mandato di esecuzione sarà reso pubblico, e
l’alba è vicina. Troveremo quel mostro prima che faccia del male a suo figlio.”
Anita si sentì invadere da una furia velenosa. “E a chi pensi di affidare il mandato, se posso
saperlo?”
Il sergente aggrottò le sopracciglia “All’esecutore di turno in questo momento. Non mi sembra che
tu sia nello stato d’animo per…”
“Dammi quel mandato, Dolph”
“Hai improvvisamente cambiato idea?”
“Dovete prima prenderlo no? Dammi quel mandato.”
“Questo è un mandato ufficiale, Anita. Non puoi intascarlo e far fuggire il colpevole senza
affrontarne le conseguenze. Devi decidere da che parte della linea stai. Con la legge o contro?”
“Dammi quel maledetto pezzo di carta! Non ho intenzione di mandare un altro a rischiare al mio
posto. E nessun altro esecutore riuscirà ad avvicinarsi a Jean-Claude senza farsi ammazzare.”
***
Appoggiata al cofano della sua auto, Anita rimase a fissare il vuoto davanti a sé per parecchi minuti,
mentre la sua mente correva all’impazzata nella ricerca frenetica di una via d’uscita. Per lei. Per
Jean-Claude. Ma soprattutto per Josh. Il suo Josh non poteva finire dissanguato su un marciapiede.
Maledetto chiunque aveva osato mettere le mani su suo fratello. L’avrebbe preso e cancellato dal
mondo, fosse stata l’ultima cosa che faceva in questa vita.
Dopo che Dolph le aveva consegnato il mandato con sopra il nome di Jean-Claude i poliziotti
avevano smesso di guardarla con gelida diffidenza, addirittura aveva colto degli accenni di sorriso,
però nessuno si era avvicinato a parlarle. Forse la furia cieca che le ribolliva dentro non era così
abilmente dissimulata come credeva.
In compenso suo padre non l’aveva nemmeno più guardata in faccia. I suoi pregiudizi su JeanClaude, il suo odio, la sua paura avevano trovato ogni conferma possibile nelle parole della polizia.
E sua figlia aveva tradito la famiglia per un cadavere che si nutriva di sangue. Quale abominio.
Gli arresti erano quasi conclusi, e due poliziotti stavano uscendo dalla villa in tutta fretta, per evitare
che l’ultimo vampiro ammanettato si friggesse sotto il sole dell’alba imminente.
Anita li guardò passare con indifferenza, ma qualcosa la colpì nell’aspetto del vampiro.
Si presupponeva che i vampiri più vecchi e più potenti fossero tutti fuggiti via, ancora prima che le
auto irrompessero sgommando nel cortile. Invece quel vampiro le trasmetteva un brivido a fior di
pelle, come solo i più antichi erano in grado di fare. Un attimo prima di rendersi conto di ciò che
stava capitando, i suoi occhi incrociarono quelli della creatura, e la sua voce le forzò la mente,
esplodendole nel cervello come un urlo a squarciagola, e lasciandola un attimo dopo come se una
forza bruta avesse violentato la parte più intima della sua coscienza.
Rimase a bocca aperta, senza reagire mentre il vampiro, quasi senza sforzo, spezzava le manette,
colpiva mortalmente gli agenti che lo tenevano, e spariva nel cielo appena colorato dal primo
chiarore dell’alba.
Rimase a bocca aperta mentre gli altri agenti correvano verso di loro, e sparavano verso il nulla
nella direzione in cui era scomparso.
Rimase a bocca aperta mentre sentiva quelle parole rimbombare dentro il suo cervello.
*Esegui il mandato. Solo il nuovo Master della città ti dirà dove trovare tuo fratello. Vivo*
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17.
“Non puoi arrivare da lei adesso. Non fare stupidaggini Jean-Claude. L’alba è troppo vicina”
“Se salissi sull’aereo entro una decina di minuti….”
“Non pensarci nemmeno! Non sai neanche se c’è un aereo nei prossimi dieci minuti, e non puoi
trovarti in un aeroporto mentre spunta il sole! Dove penseresti di nasconderti? Nel deposito
bagagli?”
“Merde… merde!”
Asher non cercò neanche di avvicinarsi a Jean-Claude, che camminava furiosamente avanti e
indietro lungo il marciapiede deserto, però mise nella sua voce la nota più dolce e persuasiva di cui
era capace “Se ti ha potuto chiamare significa che per ora sta bene… e se si fosse trovata in un
pericolo immediato non avrebbe perso tempo concentrandosi per mettersi in contatto con
te…avrebbe reagito e basta.”
“Perso tempo? PERSO TEMPO? Sono mesi che cerco di convincerla a permettermi di comunicare
con lei mentalmente… e se ci ha provato significa che ha bisogno di comunicare con me adesso…
Che ha bisogno di me ADESSO!”
“Chéri…” Lo sguardo perso negli occhi di Jean-Claude gli trafisse il cuore. Non c’era niente che
potevano fare, finché il sole non avesse fatto il suo giro per tramontare di nuovo. “Dobbiamo
andare, ora.”
Jean-Claude si lasciò condurre passivamente dentro l’edificio, attraverso i bui corridoi e giù per le
scale che conducevano al luogo che avevano scelto come rifugio diurno.
Non sarebbero stati molto comodi nei magazzini sotterranei del museo archeologico, ma non si
erano fidati delle stanze gentilmente offerte dal Master di Chicago per passare la giornata. Non
dopo aver scoperto, grazie alla terrorizzata Bittersweet, che una buona parte delle aquile mannare
dell’entourage di Romanov avevano optato per la sottomissione ad un altro master… il Master of
Beasts.
Così avevano declinato cerimoniosamente l’invito e si erano diretti verso uno degli innumerevoli
nascondigli che Jean-Claude aveva localizzato all’epoca in cui Nikolaos lo mandava a rinsaldare il
suo potere sulla città “satellite”. Una successione di cantine che correva sotto tutto l’antico palazzo,
dove oggetti inestimabili e ingombranti stavano accatastati senza ormai speranza di trovare una
collocazione più degna, e dove durante le ferie estive nemmeno il custode avrebbe mai messo piede.
In una delle ultime stanze Asher adocchiò un grande sarcofago egiziano, sorrise tra sé all’idea di un
così nobile letto e spostò il pesantissimo coperchio di pietra finemente decorato.
Poi si girò verso Jean-Claude e tese una mano verso di lui “Qui non staremo troppo stretti”.
Accettando il suo aiuto per infilarsi dentro il sarcofago, Jean-Claude sembrò scuotersi dallo stato
apatico in cui era sprofondato da quando erano entrati nell’edificio, ma il suo sguardo
improvvisamente diffidente fu come una stilettata per Asher, che ripensò di colpo ai momenti dopo
il loro precedente risveglio. “Mi è sembrato l’unico posto adatto, ma sicuramente ce ne sarà un
altro, da qualche parte. Lascia che vada a cercare” si affrettò ad aggiungere.
Jean-Claude non lasciò andare la sua mano “No, Asher. Questo andrà benissimo per tutti e due”
Il sarcofago poteva ospitare quasi comodamente due corpi snelli come i loro, e una volta richiuso il
coperchio sopra di sé Asher si allungò con cautela con il volto rivolto verso il fianco di pietra.
Quando sentì Jean-Claude scivolare di fianco a lui, si rese conto che non gli dava le spalle, e prima
di poter reagire in qualsiasi modo sentì il corpo dell’altro aderire al suo, una mano cingere il suo
petto, e il respiro tiepido di Jean-Claude insinuarsi tra i suoi capelli, accarezzandogli il collo.
Asher strinse gli occhi, rimanendo assolutamente immobile. Si chiese se Jean-Claude aveva una
pallida idea dell’effetto che produceva la sensazione della sua pelle, dei suoi muscoli, del suo sesso,
contro di lui, separati solo da un sottile strato di stoffa.
Il desiderio che l’aveva tormentato in modo costante per tutta la notte, per tutto il tempo in cui
erano stati anche solo nella stessa stanza, gli formicolò sotto la pelle, ma esteriormente si permise
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soltanto di lasciar andare un sospiro tremante. Per fortuna il sorgere del sole avrebbe messo fine in
poco tempo a quella dolcissima sofferenza…
“Se oggi le capitasse qualcosa…”
La voce di Jean-Claude suonò roca e strozzata, mentre la mano si stringeva a pugno intorno ad un
lembo della camicia di Asher, come se fosse l’ultima zattera a cui aggrapparsi in mezzo ad un
oceano in tempesta.
“Lo so, chéri, so esattamente quello che provi”
“Scusami, Asher. Ma so che non potrei sopportarlo…”
“Jean-Claude, sei tu che mi ha fatto capire come è fatta Anita… Sei tu che hai detto che lei non è il
tipo che aspetta che tu vada a salvarla…”
Il soffio di una risatina incerta gli mosse i capelli sulla nuca.
“Hai ragione… è uno dei motivi per cui la amo… Devo essere stressato più del dovuto se penso che
ma petite abbia bisogno del mio intervento per togliersi dai guai!”
“Già, è abbastanza stressante scoprire di avere Padma alle costole che tira i fili dei suoi burattini per
ottenere vendetta”
“Maledetto. Anita avrebbe dovuto ucciderlo quando ne ha avuto l’occasione.”
“Così adesso ci sarebbero due seggi del Consiglio vacanti, e tutti e due spetterebbero a te. Non ti
sembra di esagerare?”
“Sì, forse sì.” Il tono compiaciuto di Jean-Claude rassicurò un po’ Asher.
“Bene, ora dobbiamo solo catturare Feodor, portarlo a St. Louis e convincerlo a produrre prove
sufficienti che tutto quanto era solo una trappola creata da Padma per vendicarsi della morte di
Fernando e per collocare un nuovo Master al tuo posto al comando della città.”
“Un gioco da ragazzi. La cosa difficile sarà conservare Feodor vivo abbastanza a lungo da
testimoniare”
“Quoi?”
“Quando Romanov capirà che il suo stormo di aquile è rimasto sotto il controllo di Padma tutto
questo tempo… non posso biasimarlo se sarà lievemente incazzato”
“Hm… bella scelta di parole… hai detto ‘quando’ e non ‘se’…”
Asher sentì il corpo di Jean-Claude scosso da una sommessa risata. Una nota crudele nella sua voce
carezzevole gli sussurrò dentro l’orecchio facendogli correre un brivido lungo la schiena “Non
vorrai lasciare un vecchio amico all’oscuro di un’informazione così importante, vero?”
“Pensi che ci aiuterà a prendere Feodor?”
“Feodor è lo Headflight, l’alpha delle aquile mannare, quindi è da ritenere il responsabile
dell’infedeltà di tutti gli altri. Senza dimenticare il fatto che è un rivale nel letto di Bittersweet.
Romanov sarà entusiasta di toglierselo di torno!”
“Ma lo stormo lo appoggerà, e scatenerà una guerra tra licantropi e vampiri…”
“Hm… non ne sarei così sicuro. Il potere di Romanov su di loro è comunque molto forte, inoltre
come in tutti gli stormi, o branchi, c’è sempre un vice-Headflight entusiasta all’idea di fare
carriera.”
“E’ sempre stato un piacere spargere il terrore insieme a te, Jean-Claude”
“Lo so” il sussurro sensuale di Jean-Claude si sparse sulla sua pelle come una carezza.
“Ci vorrà un po’ di tempo. Non sono sicuro che basterà una notte”
“Questa notte io devo tornare a St. Louis” Il tono diventò improvvisamente neutro, l’affermazione
di un dato di fatto, e le spalle di Asher si contrassero per la tensione.
“Allora io resterò a Chicago, e ti porterò Feodor su un piatto d’argento.” Le labbra si aprirono in un
ghigno “Anzi, pensandoci bene, ti porterò Feodor attaccato ad una catena d’argento”
“Grazie mon ami. Non metterci troppo tempo però”
“Dovrai essere molto prudente a St. Louis.”
“Sì, Asher.”
“Finchè non avranno una confessione convincente, sarai ancora ricercato. Probabilmente con il
comando di sparare a vista.”
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“Sì, Asher. Troverò un modo di ingannare il tempo mentre aspetto il tuo ritorno”
Perché quella frase che avrebbe dovuto suonare rassicurante gli sembrava così minacciosa?
69
18.
Il volo notturno Chicago-St. Louis era poco affollato, le luci si erano abbassate, permettendo ai
passeggeri di rilassarsi durante quella breve ora di viaggio, mentre il velivolo procedeva ad alta
quota cullandoli con il suo attutito rimbombo.
Il posto accanto a quello di Jean-Claude era rimasto libero, anche se fino a pochi minuti prima era
stato occupato da una delle hostess che aveva risolto con grande entusiasmo il suo problema di
nutrimento. Era troppo che andava avanti senza sangue fresco, e una volta in città avrebbe dovuto
usare tutte le sue energie per non farsi catturare, inoltre non era sicuro della situazione che avrebbe
trovato, e del momento in cui avrebbe potuto nutrirsi di nuovo.
Si era sentito un po’ in colpa ad approfittare in quel modo dell’offerta, ma come aveva fatto notare
la ragazza ridacchiando, il suo lavoro era quello di prendersi cura dei passeggeri, e non poteva
lasciare una creatura così affascinante a soffrire la sete dopo aver distribuito bibite a tutti gli altri.
Sorrise ripensando a come aveva dovuto trattenersi perché il suo morso non provocasse reazioni
troppo evidenti, che avrebbero attirato l’attenzione degli altri passeggeri su di loro, ma nessuno era
seduto abbastanza vicino da cogliere quello che stava succedendo, e l’hostess era stata molto
discreta.
Il sorriso si allargò immaginando un po’ di gelosia da parte di Anita. Gli mancava. Sentiva un
calore doloroso dentro di sé pensando a lei, sognando il sapore della sua pelle, e del suo sangue che
aveva così raramente la possibilità di assaggiare. Timidamente, con circospezione, mandò un
pensiero verso di lei, cercando di contattarla, aspettandosi una barriera chiusa e protetta da scudi di
acciaio.
Invece di colpo si trovò davanti a lei, e scivolò fluidamente dentro la sua mente attraverso una serie
di porte aperte.
*Jean-Claude! Dove sei? E che cosa cazzo hai intenzione di fare?*
Jean-Claude trattenne uno scoppio di risa mentre un’allegria improvvisa lo riscaldava.
*Ma petite! E’ così che accogli il mio ritorno?*
*Il tuo …. dove sei stato? Perché te ne sei andato senza darmi neanche un indizio su quello che
avevi in mente?*
*Appena sarò a St. Louis ti aggiornerò su tutto, stai tranquilla*
*Non sto tranquilla per niente. Non immagini nemmeno il casino in cui siamo!*
Anche senza sentire la sua voce, poteva percepire chiaramente che era furibonda, ma l’aura di
disperazione e di profonda stanchezza che si avvertiva in sottofondo lo allarmò.
*Con ‘siamo’ intendi noi due o tu e altre persone?*
Per un attimo non ci fu nessun pensiero, poi la sentì ritornare.
*E’ più complicato di quanto credi. E mi fa già male la testa con questo sistema. Quando arrivi?
Quando ci possiamo incontrare?*
*Posso essere in città in meno di un’ora. Possiamo vederci alla cripta?*
Ansia e incertezza
*No. Mi dispiace, la cripta non è più un posto sicuro.*
*Uno dei locali, allora?* chiese Jean-Claude senza nascondere il suo disappunto.
*No. Alla villa Chaillot, magari.*
*La villa Chaillot. Come fai a conoscere quel posto Anita?*
*E’ una lunga storia. Fidati, in quel posto la polizia non tornerà per un po’. Comunque cerchiamo di
non farci notare.*
*Ovviamente, ma petite. Tra un’ora?*
*Sì, ma dove sei Jean-Claude?*
*Sto per atterrare a Lambert.*
***
70
Jean-Claude scese con calma dall’aereo in mezzo alla calca degli altri passeggeri, ma appena posato
piede a terra prese la direzione opposta al resto del gruppo che si avviava a prelevare i bagagli, e si
allontanò senza che nessuno si accorgesse della sua improvvisa assenza, come una presenza
anonima e quasi invisibile che li abbandonava dopo essere scivolata silenziosamente tra loro.
Naturalmente non era invisibile, ma l’illusione di non averlo notato affatto avvolse chiunque avesse
posato anche solo per un istante gli occhi su di lui. Camminò per un po’ verso l’aperta campagna
allontanandosi dalle piste di atterraggio, e quando si trovò immerso nel buio più completo si sollevò
rapidamente da terra.
Villa Chaillot.
Quel nome continuava a rimbalzargli nella mente, ponendo un milione di domande.
Un secolo prima, quell’antica villa era stata la sontuosa dimora extraurbana di una ricca famiglia
europea, il cui ultimo erede era diventato un vampiro. Dopo la sfortunata fine del proprietario, in un
malaugurato e non del tutto accidentale incendio, era rimasta vuota e solitaria, mentre la città le
cresceva intorno, protetta dal grande parco che la circondava e isolata da ogni possibile contatto
umano. Dopo il riconoscimento legale dei vampiri nessuno aveva rivendicato ufficialmente la
proprietà della villa, ma, in alcune occasioni, selezionati ed eterogenei gruppi di ‘persone’
tornavano a ripopolarne le stanze con le loro voci, la musica, le luci….. e i gemiti e le grida.
I gruppi erano talmente ben selezionati e discreti che finora era risultato impossibile alla polizia
riuscire a cogliere in flagrante reato i vampiri e i loro junkies.
Come poteva Anita conoscere quell’indirizzo? E poi quell’accenno alla polizia. Qualcosa di molto
sinistro doveva essere successo mentre lui si trovava a Chicago.
Per quanto ansioso di arrivare all’appuntamento con Anita, Jean-Claude si prese il tempo per
avvicinarsi con circospezione alla cripta. E lo spettacolo non gli piacque per niente.
Davanti al piccolo cimitero si vedevano quattro auto della polizia ed una cabriolet nera. Si
scorgevano gruppi di agenti intorno al cimitero, come se ne stessero pattugliando i confini, e lo
spazio intorno alla cappella che Jean-Claude aveva regalato alla famiglia Vespucci era quasi
illuminato a giorno dai fasci di luce dei fari alogeni.
Le voci delle persone davanti al cancello, che Jean-Claude non aveva difficoltà a sentire nonostante
la distanza, suggerivano l’idea di un’accalorata discussione, che stava per finire in un alterco. Poi
all’improvviso la donna girò le spalle al poliziotto contro cui aveva gesticolato furiosamente e salì
sulla quinta auto sbattendo nervosamente la portiera e partì facendo schizzare la ghiaia sotto le
ruote.
Dopo la seconda curva la cabriolet inchiodò a pochi centimetri di distanza dalla silhouette scura che
si era stagliata all’improvviso in mezzo alla strada.
La donna fissò intensamente la sagoma illuminata dai fari, poi la voce uscì in un sussurro, con
appena un’ombra di paura che la incrinava. “Jean-Claude?”
“Monica. Grazie di esserti fermata.”
“Sali, in fretta. Non sono sicura che non mi stiano tenendo d’occhio”
Jean-Claude scivolò con grazia nel posto del passeggero, Monica rimise in marcia e dopo pochi
minuti prese uno sterrato laterale, fermandosi ai bordi di uno spiazzo erboso, in mezzo al nulla della
notte.
Aprì la bocca per parlare ma Jean-Claude la precedette.
“Che cosa sta succedendo alla cripta?”
“Alla cripta? E’ successo che a mezzogiorno i poliziotti sono arrivati a casa mia con un mandato di
perquisizione per la cappella nel cimitero di famiglia. Cioè per la ‘tua’ cappella.”
“Che però ormai è tua a tutti gli effetti.”
“Infatti. C’è il mio nome sull’atto di proprietà, ed io sono stata obbligata a fornire le chiavi per
entrare nella cappella. Credevo di morire d’infarto mentre spalancavano tutto quanto, e scendevano
nella stanza sotterranea.”
“Pensavi che io mi trovassi ancora lì?”
71
“Non ne ero sicura. Speravo di no, ma temevo quello che avrebbero potuto trovare. Avevo già
ricevuto una telefonata da uno dei vampiri fuggiti da Villa Chaillot ieri notte, quindi ritenevo
improbabile che tu fossi tornato a dormire là, però vederli fare irruzione ad armi spianate….”
L’espressione di Jean-Claude le congelò il resto della frase sulle labbra.
“Hai detto villa Chaillot?”
“S- sì.”
Jean-Claude fece un profondo respiro. “Raccontami tutto dall’inizio per favore.”
“Oh, è presto detto. Ieri notte c’era una festa alla villa…”
“Questo lo sapevo”
Monica lo guardò interrogativamente.
“Sono passato di là a cercare informazioni ieri notte.”
“Ah. Beh, poco prima dell’alba è arrivata in gran forze la polizia, accompagnata da Anita Blake.”
Fece un’altra pausa, osservando di sottecchi l’effetto delle sue parole sul vampiro, ma nessuna
reazione aveva incrinato l’impassibilità di quel viso perfetto.
“I più svegli sono fuggiti ancora prima che le auto frenassero davanti alla villa, però è stata fatta una
vera e propria retata, e qualcosa deve essere andato storto perché ci sono stati due morti tra i
poliziotti. Ma la cosa che ti può interessare maggiormente è un’altra.”
Monica abbassò gli occhi, come presa da un’improvvisa paura.
“Allora?” la incitò spazientito il vampiro.
“Senti, Jean-Claude, io ti riferisco solo quello che mi è stato detto. Ma questo vampiro era presente,
ed è uno dei tuoi.”
Jean-Claude sentì delle dita di ghiaccio strisciare intorno al suo cuore, mentre il suo sguardo gelido
inchiodava Monica occhi negli occhi. “Arriva al punto, Monica”
“Rhys ha visto Rudolph Storr, quel poliziotto che lavora sempre con Anita, consegnarle un mandato
di esecuzione.”
“E’ tutto qui?” le dita di ghiaccio strinsero la loro presa.
“No. Non è esatto… mi dispiace Jean-Claude, ma lui ha *sentito* Anita che chiedeva a Storr di
affidarle il mandato di esecuzione contro di te. Contro il Master di St. Louis.”
Il lento ritmo dei battiti si fermò, ogni cosa si fermò dentro di lui e intorno a lui. Non stava
mentendo. Sapeva che Monica non stava mentendo.
“Jean-Claude…” il timido sussurro lo riportò lentamente alla realtà. “Jean-Claude, mi dispiace,
davvero. Nessuno dei tuoi vampiri pensa che tu sia colpevole di quanto ti accusano.”
Il vampiro continuava a tacere, e Monica si agitò nervosamente sul sedile.
“Il timore di tutti è che lei ti contatti, che ti tenda una trappola. E’ l’unica che può riuscirci. Devi
difenderti da lei, Jean-Claude, i vampiri in questa città dipendono da te.” Un dubbio le attraversò
l’espressione del viso. “Non ha ancora cercato di mettersi in contatto con te?”
Jean-Claude sbatté le palpebre, ma il suo volto non riprese vita. “No.”
Monica scosse la testa. “Mi dispiace davvero. A me Anita piaceva sai, ma non puoi più fidarti
dell’esecutrice, sul serio.”
“Chi c’è adesso a villa Chaillot?”
“Adesso… beh, non credo che ci sia più nessuno. Per tutto il giorno avranno perquisito, rovistato,
tirato nastri per isolare la zona. E’ la procedura. Non credo che per un po’ ci saranno feste a villa
Chaillot.”
“Ti ringrazio Monica. Sei sempre un’amica.”
Lei abbassò gli occhi. “Tu sei di più per me… per noi. Non devi ringraziarmi. Vuoi che ti
accompagni da qualche parte?”
La voce del vampiro si addolcì. “No, grazie. E’ più sicuro che nessuno sappia dove andrò, finchè
questa storia non sarà risolta.”
“Come vuoi. Fai attenzione Jean-Claude. E non fidarti di lei, ti prego.”
Jean-Claude scese dalla macchina, e mentre la donna si allontanava rimase immobile nell’oscurità,
mentre il sangue gli rombava con un frastuono insopportabile nelle orecchie.
72
19.
Nella notte rischiarata dalle stelle, lontano dalle luci della città, la villa si ergeva decadente e
sinistra, il portico d’ingresso annegato nell’ombra degli alberi circostanti, i muri percorsi dalle linee
scure dei rampicanti.
Jean-Claude fece scattare senza sforzo il lucchetto che sigillava la porta d’ingresso e si insinuò
silenziosamente all’interno del grande salone. Per un attimo si attardò ad osservare l’ampio spazio
circolare, su cui si affacciava una balconata al primo piano sorretta da grandi colonne corinzie,
ammirando gli affreschi giocosi e sensuali che rivestivano completamente le pareti e la finta cupola
a trompe-l’oeil. Formose ninfe al bagno, puttini dagli sguardi maliziosi, divinità lascive si
rincorrevano sui muri e coloravano la penombra di sfumature azzurre, verdi e dorate.
Il vampiro si appoggiò dietro una colonna sul lato opposto rispetto alla porta, rimanendo nascosto
allo sguardo di chi fosse entrato dopo di lui.
*
E dopo poco tempo, eccola, la sua piccola esecutrice.
Circospetta, silenziosa, armata fino ai denti.
Da sola. Non riusciva a percepire nessun'altra presenza, umana o soprannaturale. Non aveva con sé
la sacca con il “kit da vampiro” come lo chiamava lei.
Ovviamente, del resto. Se doveva essere una trappola, la sua petite l’avrebbe organizzata bene, non
avrebbe rischiato per nessun motivo di farsi scoprire prima del tempo. Prima di trovarsi abbastanza
vicina da piantargli un paletto nel cuore. O una pallottola d’argento. Sentì di nuovo quella mano
ghiacciata percorrergli la spina dorsale.
Non ci credeva. Non ci poteva né voleva credere.
Anita sapeva che lui era innocente, e non avrebbe giustiziato un innocente, nemmeno se fosse stato
un estraneo, quindi nemmeno lui. Nemmeno lui.
Perché lei lo sapeva no? Non aveva sentito odio o paura nella sua mente. Disperazione, sì. Cosa
poteva essere accaduto nello spazio di due giorni per convincere Anita della sua colpevolezza?
Questo non poteva saperlo. Poteva solo fidarsi del suo istinto, e del suo amore, invece che degli
avvertimenti degli amici.
*
Il silenzio assoluto della sala non la spaventava. Era già spaventata da se stessa, da quello che aveva
pensato di fare. Ora non c’era più tempo per le incertezze. Per tutto il giorno si era sbattuta per la
città, continuando le sue indagini di nascosto, dato che ormai la polizia aveva decretato il suo
colpevole, e non stava cercando nessun altro.
Intanto gli altri mostri, nell’oscurità, stavano aspettando che lei si decidesse ad agire per rilasciare
suo fratello.
Per tutto il giorno si era posta una domanda. Se io davvero, *davvero*, uccidessi Jean-Claude, sarei
sicura che Josh tornerebbe da me sano e salvo? O quantomeno vivo?
La logica le diceva che lo avrebbero ucciso comunque. I mostri fanno sempre così, minacciano e
terrorizzano e uccidono per il puro piacere di farlo. Però questo o questi mostri avevano uno scopo:
sostituire il Master della città. E uccidendo Josh avrebbero solo ottenuto di scatenare contro di loro
la vendetta dell’Esecutrice. E lei… oh no … non si sarebbe fermata davanti a niente e nessuno per
quella vendetta. Potevano uccidere anche lei, ma la cosa non sarebbe passata inosservata. Lei e
Jean-Claude avevano ancora degli amici, che non avrebbero reso la vita facile al nuovo master. Chi
avrebbe voluto ricevere in eredità una città così ostile? Non aveva senso.
Invece con la morte “legale” del precedente Master avrebbero avuto tutto il tempo e le occasioni per
instaurare il loro nuovo… regime. Sotto gli occhi benevoli delle autorità umane.
Quindi forse, *forse*, la morte di Jean-Claude avrebbe davvero salvato Josh.
Anita si fermò al centro della sala, e girò lentamente su se stessa cercando di penetrare con gli occhi
il buio del vestibolo che correva tutto intorno.
73
Dopo aver ruotato di centottanta gradi, lo vide uscire da dietro una colonna, le mani infilate con
nonchalance nelle tasche dei pantaloni, lo sguardo distaccato e freddo. Non riusciva a percepire
alcuna emozione sul suo volto.
Perché stava indossando la sua maschera impassibile se c’erano solo loro due nella villa? C’era
qualche pericolo di cui non si era resa conto?
Con un riflesso quasi automatico appoggiò la mano sul calcio della pistola che portava nella cintura.
*
Ma petite.
Le sue labbra si mossero, ma la voce non riuscì a venire fuori.
Perché sei qui, ma petite? Perché hai la mano sulla pistola? Non sono ancora un po’ troppo lontano
se hai deciso di spararmi? Ti faccio così paura?
Gli mancava la forza di dare voce a quelle domande. Se doveva essere la loro ultima volta voleva
avere il tempo di guardarla ancora per qualche istante.
Come la desiderava. Anche in quel momento, con il dubbio che lei fosse sul punto di sparargli,
continuava a desiderarla.
Lui era un professionista della sopravvivenza. Era la cosa che gli era riuscita meglio per secoli.
Avrebbe potuto facilmente lottare, schivare le sue pallottole, contrattaccare e salvarsi la vita.
Ma in quell’istante si rese conto che se lei, se la persona che amava di più, si trovava lì per
ucciderlo, non era sicuro di avere ancora voglia di lottare per la sua sopravvivenza.
Non era sicuro che si sarebbe difeso contro di lei. Un senso di stanchezza e di tristezza lo invase, e
lasciò che il suo viso tradisse tutte le emozioni che lo stavano trafiggendo come frecce avvelenate.
Continuò ad avanzare verso di lei, fermandosi a pochi metri di distanza.
*
L’improvvisa ondata di emozioni sul viso di Jean-Claude la immobilizzò al centro della sala. Come
al solito un attimo prima aveva davanti una statua di marmo, un essere che non aveva niente di
umano e di vivo, l’attimo dopo il suo Jean-Claude era lì, con i suoi occhi profondi e calmi, le sue
labbra sensuali, il suo petto bianchissimo segnato solo dalla cicatrice a forma di croce.
Perché non si allacciava mai le camicie?
E quello sguardo tenero e disperato. Scosse lievemente la testa. No. Non ne sarebbe mai stata
capace.
Forse se avesse creduto alla sua colpevolezza. Sarebbe stata dura, ma se davvero Jean-Claude si
fosse rivelato colpevole dell’omicidio crudele e dissennato di due bambini, avrebbe avuto il
coraggio di ucciderlo.
Ma non così, non per barattare la sua vita con quella di un altro. Anche se era suo fratello.
Josh, Josh, Josh… perdonami, ma non ne sono capace. Non sono capace di scegliere chi di voi due
lasciar morire. Lo so che tu sei mio fratello, che tu non hai vissuto già quattro secoli e ti meriti di
avere tutto il tempo per percorrere l’arco della tua esistenza, ma io non ne sono capace. Non riesco
ad uccidere a sangue freddo questo vampiro, questo mostro, neanche se in cambio potrei restituirti
alla tua vita e alla tua - alla nostra - famiglia.
Qualcosa di caldo le scese lungo la guancia, e Anita si rese conto che stava piangendo. Piangendo
per la sua incapacità di fare quello che doveva fare, di scegliere la strada più facile.
Allentò la presa sulla pistola e con l’altra mano si asciugò rabbiosamente le lacrime.
*
“Ma petite”
“Jean-Cl…”
Non ebbe il tempo di terminare il suo nome perché lui aveva superato la distanza che li separava,
l’aveva stretta contro di sé circondandole la vita con un braccio e l’aveva obbligata a sollevare la
testa verso di lui afferrandola per i capelli. E ora la stava baciando, le stava divorando la bocca,
famelico, accarezzandola e trapassandola con il calore bruciante della sua lingua. E ad ogni colpo,
ad ogni carezza, qualcosa dentro il suo corpo fremeva, si scaldava, cominciava a divampare.
74
*Se questa deve essere l’ultima volta, lascia che succeda mentre sono dentro di te, ma petite, per
l’ultima volta*
*Perché dovrebbe essere l’ultima volta?*
*E’ tua la scelta, ma petite, non ho intenzione di oppormi*
Durante quell’attimo di perplessità, mentre Anita cercava di dare un senso a quelle frasi, il vampiro
l’aveva sollevata da terra e l’aveva sbattuta con la schiena contro la colonna più vicina, quasi
mozzandole il fiato, tenendola ferma con il peso del suo corpo premuto contro quello di lei, e
lasciando libere le mani di farsi strada sotto i suoi vestiti fino a trovare la sua pelle nuda.
Senza oppore resistenza alla morsa delle sue braccia che la stringeva, Anita si aggrappò al suo collo
e gli circondò la vita con le gambe, avvinghiandosi ancora più strettamente a lui, senza mai
interrompere quel bacio furibondo.
La gonna le scivolò verso l’alto, e mentre sentiva il classico snap della seta strappata una parte di lei
si chiese perché mai si ostinava ad indossare biancheria intima. Un’altra parte di lei si rallegrò di
avere lasciato inserita la sicura della pistola. Ma la maggior parte del suo cervello era impegnata
altrove.
Sentì una mano di Jean-Claude che si staccava da lei per armeggiare con la zip dei pantaloni, e
l’eccitazione che l’aveva investita nello stesso istante in cui i loro corpi si erano toccati continuò a
crescere fino a esplodere quando finalmente sentì la punta del pene di Jean-Claude che la sfiorava, e
la stuzzicava, ma senza decidersi ad entrare.
Scendendo con una mano a toccarlo, lo afferrò e scese lentamente verso il basso, gemendo mentre
lo sentiva immergersi completamente nel suo corpo, e solo la tensione delle sue gambe intorno a lui
impedì che la penetrazione arrivasse fino al limite estremo che sconfinava tra il piacere e il dolore.
Il vampiro si spinse dentro di lei, con colpi calmi e violenti, mentre con la lingua le tracciava un
percorso infuocato lungo la vena pulsante della gola. Anita emise un sospiro rantolante di desiderio,
poi sigillò nuovamente le loro bocche in un bacio selvaggio che soffocò i suoi gemiti mentre il
piacere si spandeva ad ondate dentro di lei.
Quel movimento prepotente, lento, inesorabile era una deliziosa tortura, talmente intensa da portarla
oltre il limite delle sensazioni che pensava di poter sopportare. Di colpo si lasciò andare, cedette la
presa attorno ai suoi fianchi e si calò su quella spada lasciando che la trafiggesse nelle sue
profondità più intime, urlando contro la bocca di Jean-Claude mentre gli spasmi dell’orgasmo li
scuotevano entrambi.
Il sapore del sangue si sparse sulla sua lingua, e anche Jean-Claude urlò, mentre crollava in
ginocchio sul pavimento.
“Perchè dovrebbe essere l’ultima volta?”
Jean-Claude socchiuse gli occhi con lo sguardo appannato di qualcuno che sta per annegare.
“Perché sei qui per giustiziarmi?” mormorò contro le sue labbra, continuando a tenerla stretta,
restando dentro di lei.
Anita si sentì raggelare il sangue. “Come fai a sapere del mandato?”
“Mi hanno avvertito prima che venissi qui. Mi hanno detto che era una trappola”
“E tu sei venuto lo stesso?”
“Non ho detto di averci creduto. E se anche fosse la verità, non avrei rinunciato a *questo* per
nessun motivo al mondo” Un riso incerto gli increspò la voce, ma lo sguardo rimase offuscato dalla
tristezza.
Anita chiuse gli occhi e gli posò le labbra sulla fronte, poi sulle palpebre semichiuse, sull’angolo
della bocca, gli accarezzò le labbra con la lingua convincendolo ad aprirle per poi percorrerle con
un bacio tenero e leggero come una piuma. Si attardò sull’incavo della sua mascella, mentre lui
sospirando piegava all’indietro la testa, scese lungo il suo collo mordicchiandolo lievemente, e alla
fine si fermò con la fronte appoggiata sulla sua spalla, il volto affondato nel groviglio dei suoi
capelli. Come poteva rinunciare a lui?
75
“Non avresti dovuto temere un mandato di esecuzione nelle mie mani. So che non sei tu il
colpevole” mormorò mentre, insinuando le mani sotto la sua camicia, sfiorava le linee delle cicatrici
sulla sua schiena con la punta delle dita.
“Ma?...”
“Ma qualcuno si è dato da fare perché avessi una motivazione molto più forte per ucciderti.”
“Quale?”
“Hanno preso mio fratello. Qualcuno vuole il tuo posto di Master, e lascerà libero Josh solo dopo
che ti avrò eliminato.”
Jean-Claude si irrigidì, le posò le mani sulle spalle e la allontanò abbastanza da guardarla negli
occhi. “E tu pensi che funzionerà? Allora questa è sul serio l’ultima volta?”
“Jean-Claude…” Anita scosse la testa rabbiosamente “Jean-Claude… come puoi credere che sarei
capace di ammazzarti a sangue freddo? Io… lo sai che non ci riuscirei… Io… ti amo.” aggiunse a
bassa voce.
“Davvero?” la voce era un sussurro, con dentro una nota sensuale e ironica “Allora vuoi che ti renda
le cose più semplici cercando di fuggire? Oppure lottando per salvarmi la pelle? Sarebbe diverso
così?”
“Stupido… Smettila, stupido vampiro.”
“Se credevi alla mia innocenza, perché hai accettato che il sergente Storr ti affidasse il mandato di
esecuzione?”
Anita sospirò. “Se al mio posto ci fosse stato qualcuno altro… se ti fossi trovato davanti un altro
esecutore… come avresti reagito?”
Jean-Claude ci pensò per alcuni istanti. “Lo avrei ucciso”
“Ecco perché ho preso quell’incarico.”
“Ma così hai fornito ai servi di Padma l’arma con cui distruggerci”
Anita spalancò gli occhi, di colpo la sua attenzione al massimo: “Padma? Hai detto …. *quel*
Padma?”
“Hmpf…. Spero che non ne esistano altri.”
“Ma come… cosa…. Ma dove diavolo sei stato per due interi giorni?” concluse Anita esasperata.
Jean-Claude la sollevò dolcemente, staccandosi alla fine da lei “Tecnicamente parlando, si è trattato
di una sola notte, per me. Comunque se sei sicura di non volermi più uccidere posso aggiornarti su
quello che abbiamo scoperto io e Asher a Chicago”
Lo sguardo di Anita gli sembrò una risposta fin troppo eloquente.
***
“Avrei dovuto ammazzarlo quando ne ho avuta l’occasione”
“E’ la prima cosa che ho pensato anch’io”
Erano immersi nel buio, spezzato soltanto da una pozza di tenue luce lunare che filtrava da una
finestra della villa, e Anita si era accoccolata tra le braccia di Jean-Claude, permettendo al suo fisico
provato di cedere per alcuni minuti alla stanchezza, alla tensione, e alle emozioni.
“Riassumendo, dopo che il Consiglio ha lasciato St. Louis, quel figlio di puttana di Padma è riuscito
a imporre il suo potere sugli avvoltoi del Master di Chicago…”
“Aquile. Aquile mannare”
“Schifosi avvoltoi che già erano implicati in quell’abominevole traffico… e li ha obbligati a
realizzare la sua elaborata vendetta. E già che c’era ha pensato di approfittarne per installare a St.
Louis un master di suo gradimento.”
“Riassumendo, sì la tua sintesi è molto precisa ma petite”
“E sei certo che non ci sia anche Romanov dietro a tutto questo?”
“Che cosa si può dire che sia davvero certo a questo mondo, amore mio?” Jean-Claude le rivolse un
sorriso che riusciva ad essere insieme dolcissimo ed ironico. “Diciamo che ne sono
ragionevolmente convinto, e conto sulla sua collaborazione per consegnare Feodor ad Asher”
76
“E qui arriviamo ad Asher”
“Ah sì?”
Anita sospirò indecisa tra l’impazienza e la rassegnazione.
“Tutte le prove della tua innocenza dipendono in questo momento dalla capacità di Asher di
arrivare a St. Louis con un licantropo pronto a confessare tutto.”
“Non ho dubbi sulle capacità persuasive di Asher”
“E sulla volontà di Asher? Visto che nulla è certo, come fai ad essere così convinto che lui *voglia*
davvero aiutarti? Per non parlare dei sospetti che in qualche modo anche lui sia…”
“No, ma petite. La mia fiducia nei confronti di Asher non è argomento di discussione.”
“Ma perché? Spiegami come è possibile che due – o quanti sono – secoli di odio feroce si
dissolvano così in un batter d’occhio e lo trasformino nel tuo più fedele collaboratore!!”
“Asher non è un collaboratore Anita.” Il tono si era fatto mortalmente serio “Asher è un amico, è…
Non chiedermi di spiegartelo, per favore. Asher non mi tradirà.”
“Hai dubitato perfino di me…”
“Oh… ma petite… ti amo troppo per riuscire a controllare razionalmente le mie emozioni quando ci
sei di mezzo tu. E tu lo sai”
“Ah, sì, l’ho notato. Sei venuto qui sospettando che ti tendessi una trappola per farti fuori… e la
sola cosa che hai pensato di fare è stata del sesso!”
Una scintilla maliziosa gli luccicò nello sguardo “Il sesso è un altro pensiero che non posso fare a
meno di associare a te”
“Oooh… Jean-Claude…” Anita sorrise esasperata. Le mani del vampiro avevano iniziato
lentamente a massaggiarle le spalle, e la sensazione era talmente piacevole che le impediva quasi di
pensare… “Smettila, ti prego. Dobbiamo salvare Josh.”
“Mentre valutavi se uccidermi o meno, hai per caso pensato a un piano di riserva?”
“Ho considerato diverse idee”
Rendendosi conto che Anita sembrava essersi incantata inseguendo qualche pensiero che le faceva
aggrottare la fronte, Jean-Claude le mordicchiò il collo per riconquistare la sua attenzione “Pensi di
comunicarmele?”
“Noi abbiamo un solo vantaggio nei loro confronti. Sappiamo dove trovarli.”
Jean-Claude non cercò di nascondere il suo stupore. “Lo sappiamo? E cosa aspettavi a dirmelo?”
“Quando sono entrata nella villa l’avevo appena scoperto e stavo ancora pensando alle implicazioni
di quell’informazione… poi qualcosa mi ha distratto…”
Il vampiro fece un leggero sbuffo divertito “E allora?”
“Subito prima di venire all’appuntamento con te mi sono fermata ad un telefono pubblico ed ho
ascoltato la mia segreteria telefonica. L’unico messaggio era quello di Jason. Ha solo farfugliato
una frase ed ha riattaccato, poi deve essere arrivato qualcuno ad interromperlo. Ma una cosa è
chiara: dei vampiri hanno occupato il Circo. Non so come ci siano riusciti. Quando mi hanno rapita
io ne ho visti solo quattro, e non riesco a capire come abbiano potuto, solo in quattro, impossessarsi
del Circo dei Dannati.”
Il vampiro emise un ringhio rabbioso “Maledizione, maledizione! Senza la presenza mia o di Asher
e con l’andirivieni della polizia il Circo deve essere rimasto assolutamente sguarnito! Ma non ci
sarebbero riusciti da soli… devono avere con loro un esercito di aquile mannare. Maledetti.”
“Ho paura che Jason si trovi in guai seri…” Anita strinse gli occhi, stropicciandosi la fronte con le
dita “Quante possibilità abbiamo di salvarli se facciamo irruzione al Circo con l’unico vantaggio
della sorpresa?”
“Ma petite… temo che l’unico risultato possibile sarebbe quello di farci ammazzare entrambi…
magari portando con noi all’Inferno qualcuno di loro… ma alla fine saremmo lo stesso morti.
Definitivamente morti, intendo dire.”
“E allora?” sibilò Anita “Io non posso rimanere qui senza far niente mentre Josh è nelle loro mani, e
non sono capace di ucciderti e cedere al loro ricatto. Hai qualche altra proposta?”
77
Jean-Claude le accarezzò il volto con la punta delle dita “Abbiamo anche un altro piccolo
vantaggio. Io conosco la Master a cui Padma ha promesso il potere sulla mia città.”
“Hai detto *la* Master? Perché qualcosa mi dice che non siete vecchi amici?”
“Ottimo intuito. Si possono definire in vario modo i rapporti tra me ed Ecate, ma nessuno neanche
vagamente assomiglia all’amicizia.”
Come era possibile avere il tempo per sentire una fitta di gelosia in quella situazione? Anita cercò di
mostrare la massima indifferenza “Siete stati amanti?”
Jean-Claude rise amaramente. “Direi che anche qualsiasi parola la cui radice sia ‘amore’ non sia
adatta per definire quei rapporti. Se vuoi sapere se abbiamo fatto del sesso probabilmente la risposta
sarebbe sì, ma la storia è un po’ più complicata di quello che sembra.”
“Allora come pensi di sfruttare questo vantaggio?” chiese Anita cercando di nascondere il fastidio
che provava.
“Penso che dovremmo darle almeno un assaggio di quello che vuole, in modo da farla uscire allo
scoperto, possibilmente portandosi dietro tuo fratello.”
“E sarebbe?”
“Me. Lei vuole me.”
“Ti vuole morto per la precisione. Si ritorna sempre al piano A”
“Ho detto un assaggio, non un pasto completo”
Lo sguardo intento di Jean-Claude le diede un brivido di paura, mentre cominciava a farsi un’idea.
“Stai pensando di proporti come esca vero?”
“Hai un’idea migliore?”
“No, Jean-Claude. Ma non posso permetterti di farlo. Non lascerò che tu ti offra a qualche suo gioco
sadico…”
“Ripeto, ma petite, hai un’idea migliore?”
Maledizione, maledizione, maledizione.
78
20.
I polsi gli facevano male, quelle dannate catene d’argento gli facevano un male d’inferno, e ad ogni
respiro il movimento delle spalle si trasmetteva alle braccia legate sopra la sua testa, permettendo
alle catene di sfregare contro la sua pelle, e all’argento di penetrare un po’ di più nella sua carne.
La droga che gli avevano iniettato gli impediva di trasformarsi, così l’unica cosa che poteva fare era
osservare i muri che lo circondavano… gli oggetti che lo circondavano. Oggetti che aveva imparato
ad amare, che aveva scelto per quel posto che era stato suo, e che sarebbe stato perso per sempre.
Per lui era finita.
Aveva capito che era finita mentre ascoltava la telefonata tra la sua aguzzina ed Anita.
Lui aveva cercato di avvertirla. La prima cosa che aveva pensato di fare, mentre quei bastardi si
impadronivano del Circo dei Dannati, era stata di avvertire lei, di farle sapere che il Circo non era
più un posto sicuro. D’altra parte con Jean-Claude e Asher nascosti chissà dove non aveva molte
alternative. Anche se aveva potuto parlare pochissimo perchè le aquile mannare l’avevano beccato
quasi subito, sperava che Anita avesse ascoltato il messaggio, e che avesse capito quello che era
successo.
Oh, eccome se aveva capito. Allora come mai non aveva ancora fatto irruzione al Circo sparando a
qualsiasi cosa si muovesse? La risposta era semplice.
In quel momento Jason desiderò ardentemente di non avere un udito soprannaturale. Di non essere
stato costretto ad ascoltare ogni singola parola di quella telefonata. Perché ora sapeva cosa c’era sul
piatto della bilancia. Da una parte Jean-Claude, lui stesso e la comunità soprannaturale fedele al
Master. Dall’altra parte il giovane indifeso fratellino minore. Non c’era da stupirsi sulla scelta fatta
da Anita.
***
Il telefono al Circo dei Dannati suonò otto volte prima che una voce maschile sollevasse la cornetta.
“Pronto? Qui è il Circo dei Dannati. Chi parla?”
“Sono Anita Blake. Passami la tua Master.”
Dopo un attimo di perplessità la voce all’altro capo del filo diventò aggressiva.
“Chi ti credi di essere per avere diritto di parlare con la mia Master? Puoi parlare tranquillamente
con me.”
“No, bello. A quanto pare la tua Master tiene molto a qualcosa che io posso fare per lei. E dato che
lei ha preso qualcuno a cui io tengo molto, credo che l’accordo debba essere stretto tra me e lei.”
“E cosa ti fa pensare di essere nella posizione di poter proporre un accordo? Mi hanno detto che il
messaggio ti è stato recapitato. Fai quello che ti si chiede e avrai in cambio quello a cui tieni.”
“Oh, sì, certo. Il messaggio era forte e chiaro. Ma io ne parlerò solo con lei, ti è chiaro anche
questo?”
Alcune voci arrivarono confusamente ad Anita attraverso l’apparecchio telefonico. Poi si ritrovò ad
ascoltare una musichetta di attesa e trattenne un’imprecazione.
Dopo pochi istanti la comunicazione riprese, e una voce femminile le squillò nelle orecchie. Una
voce da ragazzina, ma con una nota maliziosa che la rendeva allo stesso tempo sensuale e crudele.
“Mi volevi parlare, Esecutrice?”
Anita deglutì, resistendo alla tentazione di schiarirsi la voce. “Sei tu la Master che ha occupato il
Circo dei Dannati? Sei tu che hai rapito mio fratello?”
“Sono io che faccio le domande qui, Esecutrice. Comunque lasciami il piacere di presentarmi. Io
sono Ecate, e sarò la nuova Master di St. Louis. Hai con te la testa di Jean-Claude?”
“No. Veramente non ancora. Ma so dove trovarlo. Solo che in cambio voglio che mio fratello…”
“Ti è già stato detto che lo riavrai non appena Jean-Claude sarà stato eliminato” la interruppe
seccamente la vampira.
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“Non ho nessuna garanzia che tu libererai Josh dopo che avrò ucciso Jean-Claude. La tua parola per
me non ha valore, Ecate. Chi rapisce e uccide dei ragazzini innocenti non si guadagna il mio
rispetto. Non farò nulla se prima non avrò visto che mio fratello sta bene e non sarò sicura che sarà
libero.”
La vampira rise dentro il telefono, e una sensazione sgradevole percorse la pelle di Anita, come un
formicolio raccapricciante.
“Oh… molto bene… Vuoi giocare… Che cosa proponi, Esecutrice?”
“Ti propongo uno scambio. Io ti dirò dove trovare Jean-Claude dopo che avrai liberato Josh.”
“Mi hai preso per una stupida, esecutrice?” ringhiò Ecate.
“E tu? Perché non vuoi affrontare Jean-Claude personalmente? Hai paura di sporcarti le mani? Ma
certo che no…. ai vampiri piace sempre un sacco sporcarsi le mani…. Ah, ecco. Hai paura di JeanClaude. Sai che non potresti mai batterlo in un duello.”
La voce raggelante che rispose non sembrava più quella di una ragazzina “Io. Non. Ho. Paura. Di
quella puttana di Jean-Claude. Ho sempre fatto di lui ciò che volevo. E ora che ci penso, non sono
sicura se mi divertirebbe di più vedere la sua splendida faccia mentre la donna che ama gli pianta un
paletto nel cuore o se preferirei giocare ancora un po’ con lui prima di eliminarlo.”
Anita fissò dritto negli occhi Jean-Claude, seduto davanti a lei, senza riuscire a rispondere. Poi lui le
fece un silenzioso cenno di assenso incoraggiandola ad andare avanti. Lei strinse gli occhi e
continuò.
“Allora perché vuoi che lo faccia io per te?”
“E’ molto semplice, piccola mia - lui ti chiama così vero? – I vampiri di questa città sono
cocciutamente fedeli al loro master.” La voce sbuffò nella cornetta “Se fossero furbi dovrebbero
avere già capito chi è il vampiro più potente e allearsi con me, invece di opporre questa sgradevole
resistenza. Io voglio comandare questa città, e quando tutti sapranno che Jean-Claude è stato
giustiziato per aver commesso quei crimini disgustosi…. addirittura giustiziato dalla sua stessa
serva umana… o, povero caro… nessuno rimpiangerà la sua fine!”
Presuntuosa puttana, pensò Anita mordendosi la lingua per non dirlo ad alta voce. Stava soffocando
le sue reazioni istintive con tutta la forza di volontà che le era rimasta, e se non fosse stato per la
mano di Jean-Claude che le accarezzava una coscia disegnando piccoli cerchi con il pollice, era
sicura che sarebbe esplosa.
“Siamo in stallo, vampira. Io non ucciderò Jean-Claude senza la certezza di riavere Josh. E sono
l’unica che ti può portare abbastanza vicina a lui da avere una speranza di sconfiggerlo.”
“Sei disposta a portare lui da me?”
Anita fece di no con la testa ma Jean-Claude la fermò con una mano e le accennò un altro sì.
“Se mi proponi delle condizioni ragionevoli sul rilascio di Josh, potrei farlo”
La vampira si prese parecchio tempo per rispondere.
“Se verrà al Circo da solo a sfidarmi, io ti farò trovare tuo fratello pronto per andarsene, insieme a
te.”
“Intendi dire che sarà una sfida leale tra te e Jean-Claude?”
“Sì, è quello che intendo”
“E libererai Josh prima del duello?”
“Sì, esecutrice. Però tu andrai via con lui, non potrai fermarti ad aiutare Jean-Claude.”
“E libererai anche Jason?”
“Chi?” Ecate soffocò una risata “Ah, sì, il lupacchiotto… Perché no. Ma ad una sola condizione:
quando avrò ucciso Jean-Claude tutti dovranno sapere che sei stata tu a giustiziarlo per i crimini che
ha commesso.”
La voce di Jean-Claude si insinuò nella sua mente *Dille che va bene*
*Sei sicuro di poterle tenere testa? Sei sicuro di poterla sconfiggere?*
*Sì ma petite. In un duello la sconfiggerò*
Non era convinta. Non era per niente convinta. Tutto questo le ripugnava. Ma dovevano in qualche
modo tirare fuori di lì Josh. In qualsiasi modo.
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“Affare fatto, Ecate. Possiamo arrivare tra mezz’ora”
“Ti aspetto, esecutrice. E dì a Jean-Claude che per me sarà un vero godimento rivederlo”
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21.
“The Eagle’s Eyry” era il locale più frequentato dai mannari di Chicago, ma Romanov era un
Master che teneva il guinzaglio molto corto a chi gli apparteneva, quindi il pub era altrettanto
affollato di vampiri. Tutti avevano un atteggiamento di imperturbabile neutralità, ognuno sembrava
farsi i fatti propri, ma attraverso l’aria densa di fumo Asher riusciva a percepire come tutti si
tenevano silenziosamente sotto controllo.
Era seduto da più di venti minuti in una posizione laterale che gli offriva una vista perfetta
sull’ingresso e stava fumando la quarta sigaretta quando finalmente la sua preda entrò e si avvicinò
al bancone del bar.
Aveva pensato a lungo al sistema più persuasivo per attirare Feodor a St. Louis, e quello che aveva
in mente era un gioco pericoloso, ma il fatto di essere da solo semplificava le cose, e dalle
informazioni fornite da Bittersweet avrebbe dovuto trovare un terreno fertile. Una mente avida e
ribelle, ma non abbastanza coraggiosa da osare sfidare apertamente il suo Master. Il controllo di
Romanov era forte e gli stava maledettamente stretto. Ma di Padma aveva molta più paura. Se
Romanov poteva controllarlo, Padma poteva spingerlo a fare qualsiasi cosa anche contro la sua
volontà. Poteva trattenerlo nella sua forma di aquila finchè non sarebbe stato più in grado di
mangiare qualcosa senza afferrarla con il becco.
Dopo aver scambiato poche parole con il barista, Feodor guardò nella sua direzione e si diresse
verso di lui.
“Molto bene. Ecco qui il famoso Asher”
“Feodor. Accomodati, je t’en prie”
Il licantropo appoggiò il bicchierino di vodka al tavolo mettendosi seduto.
“Tutti dicono che sei il secondo in comando del master di St. Louis”
“Quello in effetti è il mio ruolo. Ufficialmente.”
“Hm. Hai anche un ruolo non ufficiale?” Feodor strizzò un occhio maliziosamente, ma il sorrisino
gli morì sulle labbra e si agitò sulla sedia incontrando lo sguardo gelido del vampiro.
“Tutti dicono che tu sei l’uccellino in gabbia del Master di Chicago”
La risposta a denti stretti del licantropo lo investì con la sua rabbia “Quel succhiasangue pensa di
poter schioccare le dita e di trovarmi pronto a portargli fuori la spazzatura. Ma deve ancora capire
chi è l’Alpha in questa città”
Asher sorrise malignamente “Oh… quanto astio nelle tue parole. Sembra che non tutto quello che la
gente dice corrisponda alla verità.”
“Vieni al dunque, cadavere ambulante. Mi hanno detto che mi volevi parlare, ma non amo trattare
con i non-morti.”
“Che termini scortesi e antiquati, Feodor! Molto bene. A volte si sentono dire in giro anche cose
molto interessanti. Sembra che il passaggio di Padma abbia lasciato il segno in questa città… si dice
che si preparino interessanti novità a Chicago… e anche a St. Louis.”
“Tu eri con Padma e il Consiglio. Cosa ci fai adesso a St. Louis?”
Asher si portò una mano vicino al volto e con studiata lentezza si scostò i capelli dalla parte destra
del viso, portandoli dietro l’orecchio, e osservò la reazione di spavento e di disgusto dipingersi negli
occhi di Feodor.
“Sai che cosa ha provocato queste cicatrici?”
“S-sì. Se ne è parlato alla corte di Romanov mentre eri qui con il Consiglio. Per quello ti chiedo
ancora: cosa ci fai al fianco del Master di St. Louis?”
Un sibilo rabbioso uscì dalle labbra di Asher. “Il Consiglio mi ha negato la mia vendetta. Ma tu
pensi che si possa rinunciare così facilmente a ciò che è stato l’unico scopo della propria esistenza
per più di duecento anni?”
Feodor deglutì faticosamente. “Come hai convinto Jean-Claude a fidarsi di te allora?”
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“Jean-Claude è sempre stato troppo sentimentale per capire di chi poteva fidarsi davvero. Parliamo
di affari Feodor. Tu sai che Romanov è un alleato di Jean-Claude.”
“G-già.”
“Come pensi che la prenderà quando scoprirà che hai orchestrato per conto di Padma il piano per
incastrare e far giustiziare il suo vecchio amico francese?”
“Hai intenzione di riferirglielo?”
“Devo ancora decidere. Pensi che con Ecate al comando ti andrà meglio?”
Sentendo quel nome, Feodor sbattè le palpebre nervosamente, chiedendosi di quanti altri particolari
fosse a conoscenza il vampiro che gli stava seduto di fronte.
“Lei almeno non ha i rapaci come animali da richiamo! Con lei sarà un’alleanza basata su favori e
scambi, non sullo stramaledetto potere di imporci la sua volontà!”
“E pensi che sarà abbastanza forte da opporsi a Romanov per proteggerti?” Asher ridacchiò
sommessamente.
Il mannaro strinse gli occhi e lo fissò con odio. “Lei forse no, ma Padma sì. Perché sei qui? Cosa
vuoi da me Asher?”
“Voglio il posto di Jean-Claude. Romanov è suo alleato, ma ha paura di me. Non si metterà contro
di me per aiutarlo.”
“Sembri molto sicuro di te, vampiro.”
“Ecate non ce la farà contro Jean-Claude. Non riuscirà a sconfiggerlo. E quando tu avrai fatto fallire
il piano di Padma, ti troverai allo scoperto senza nessuno che ti pari il culo. Pensaci, Feodor. Non ti
conviene allearti a qualcuno che ha un po’ più di potere? E Padma sarà comunque contento di te.
Ecate è solo una pedina, l’unica cosa di cui gli importa è vendicarsi di Jean-Claude.”
“Wow. Sembra che il Master di St. Louis ne abbia combinate delle belle per attirarsi tanti rancori…
Comunque non ti devi preoccupare di lui. Ecate riuscirà ad eliminarlo. Ha un piano perfetto, e a
quest’ora l’Esecutrice avrà già fatto il suo dovere.” concluse con una risatina malevola.
Asher sentì accelerare le pulsazioni “Hai detto l’Esecutrice?”
“Oh sì…” sorrise compiaciuto Feodor “Ecate ha rapito suo fratello… e il solo sistema per liberarlo
sarà portarle la testa di Jean-Claude. Ci libereremo di lui molto più facilmente di quanto pensassi,
sei contento?”
“Stiamo parlando della stessa esecutrice? Di Anita Blake?”
“E di chi altro se no? Chi altro potrebbe avvicinarsi abbastanza a Jean-Claude da riuscire a
piantargli un paletto nel cuore se non la sua amata e traditrice serva umana?”
Asher soffocò a fatica l’odio violento che rischiava di travolgerlo, e non permise a nessuna
emozione di rivelarsi sul suo volto. La situazione era molto più grave di quanto aveva pensato. Ma
Anita? La conosceva da poco e quello che aveva visto in lei…. No, non poteva essersi sbagliato.
Jean-Claude si fidava completamente di lei. Era mai possibile che…?
Ma per un fratello. Che cosa si fa per un fratello? Chi si sceglie tra un fratello e un amante?
Feodor lo stava osservando pieno di aspettativa.
“Sembra un piano geniale. Anzi, è perfetto. Così noi dovremo solo occuparci di Ecate.”
“Perché dovrei allearmi con te e tradire Ecate?”
“Perché io ti posso proteggere da Romanov. Oppure ti posso uccidere prima che sorga il sole. Tu mi
servi per arrivare ad Ecate e distruggerla. Altrimenti tanto vale che ti elimini adesso, non credi? Non
ho aspettato tutto questo tempo per poi permettere ad un mannaro intraprendente e ad una Master
capricciosa di rovinare la mia vendetta. Il consiglio si è già messo in mezzo una volta di troppo, e
ora che mi ha fornito un’occasione perfetta non intendo sprecarla.”
Lo sguardo del vampiro terrorizzò Feodor. Tutto quell’odio, quella crudeltà, gli dicevano che era
capace di tutto quello che minacciava. Un vampiro che era sopravvissuto alla corrosione dell’acqua
santa sparsa sul suo corpo goccia a goccia per giorni e giorni doveva essere capace di quello e di
molto peggio, di questo era assolutamente certo.
“Qual è il piano?”
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“Dobbiamo arrivare a St. Louis più in fretta possibile. Prima che Ecate abbia la possibilità di
dichiararsi ufficialmente nuova Master. Appena i vampiri di St. Louis percepiranno la morte di
Jean-Claude sarà corsa aperta alla posizione di Master, a meno che non ci sia già un vampiro
abbastanza potente da scoraggiare ogni sfida. Quindi vorrei arrivare in città almeno un attimo prima
dell’avvenuta esecuzione.”
Feodor sembrò incerto per un attimo. “Potrebbe già essere troppo tardi. Fammi fare una telefonata,
ho un amico pilota che forse ci può essere utile.”
Il licantropo si alzò per chiedere il telefono al barista, e Asher chiuse per un attimo gli occhi, senza
permettere al nodo che gli serrava la gola di trasformarsi in lacrime.
Era già abbastanza dura dover giocare a mentire e ingannare Jean-Claude. Al pensiero che forse
tutto sarebbe stato inutile perché sarebbe arrivato troppo tardi sentì qualcosa spezzarsi dentro di lui.
Il cuore, doveva essere il suo cuore che si stava frantumando in mille pezzi.
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22.
Ecate si era già sistemata al Circo dei Dannati come se fosse casa sua.
Mentre entrava nella sala che un tempo era stata quella del trono di Nikolaos, e poi era diventata il
soggiorno di Jean-Claude, Anita provò un’acuta irritazione nel vedere le pareti di pietra
drappeggiate in nero e i tetri pezzi d’arredamento in stile pseudo-gotico che avevano sostituito il
tavolino di cristallo e i bianchi divani in pelle. Si bloccò senza parole accorgendosi che sopra il
camino era stato appeso un lugubre quadro raffigurante un inferno pieno di dannati urlanti al posto
del ritratto di Asher, Jean-Claude e Julianna.
L’irritazione si trasformò in rabbia, nella sensazione che il suo territorio fosse stato violato, invaso.
Ed era così, in effetti, anche se a rigore non si trattava del suo territorio ma di quello di Jean-Claude.
Erano scesi fianco a fianco, scortati da due aquile mannare, e Anita si sentiva molto come un
carnefice che porta un agnello a farsi macellare. Era assolutamente ridicolo pensare a Jean-Claude
come ad un agnello. Però lei era stata invitata come esecutrice, quindi il paragone non era così
azzardato.
La presenza della vampira, attorniata dai suoi tre seguaci e da diversi altri mannari distolse Anita
dalle sue elucubrazioni.
Ecate sedeva su una specie di alto scranno nero, e indossava un completo in pelle rossa che lasciava
pochissimo all’immaginazione. I pantaloni a vita bassa aderivano come un guanto ai suoi fianchi
magri, il top si fermava appena sotto il seno, ed una giacca molto corta e senza bottoni arrivava
appena a sfiorarle il punto vita. Quando si alzò in piedi Anita si rese conto che era molto alta, e
molto bella. Il pallido viso un po’ spigoloso era incorniciato dalla frangia e da un velo di capelli
neri, perfettamente dritti e lucidi, che le scendevano appena sotto le spalle. Gli occhi di un azzurro
chiarissimo erano scintillanti di entusiasmo. Per un attimo le ricordarono il colore degli occhi di
Asher, ma quelli della vampira non avevano il minimo accenno di tristezza. Solo una crudele
allegria.
Non dovette sforzarsi di evitare il suo sguardo perché la vampira non la stava guardando affatto. La
sua attenzione era tutta per Jean-Claude. Dal momento in cui era entrato nella stanza l’aveva
praticamente divorato con quei glaciali occhi azzurri, soffermandosi su ogni parte del suo corpo
come se la stesse pregustando.
Sì, pregustare era il termine adatto: se fosse stata un gatto, si sarebbe leccata i baffi osservando il
canarino che pensava di avere per cena.
Poi lo sguardo di Anita si abbassò ai piedi della vampira, e un grido le rimase soffocato in gola.
Josh era rannicchiato per terra, lo sguardo terrorizzato e perso nel vuoto come se non riconoscesse
nessuno, come se non riuscisse neanche a capire dove si trovava. Dovevano averlo drogato, e
rabbrividì ripensando a quello che aveva provato mentre era stata in loro potere, al cieco terrore, ai
mostri irriconoscibili che aveva visto intorno a sé.
A fianco di Josh, con i polsi incatenati ad una specie di guinzaglio tenuto da un altro vampiro, c’era
Jason, che alzò gli occhi a guardarla. A quanto pare era l’unico interessato a lei, ma ciò che lesse
nella sua espressione non servì certo a rincuorarla. C’era rabbia, delusione, disprezzo negli occhi
del licantropo, e Anita si rese conto sbalordita che Jason pensava davvero che lei stesse
consegnando Jean-Claude al nemico.
Quello sguardo la ferì molto più profondamente di quanto si aspettasse, ma non c’era niente che
poteva fare in quel momento per rassicurarlo. Lo scopo era farli uscire di lì vivi.
Finalmente Ecate la degnò della sua attenzione.
“E così questa è la nostra piccola esecutrice… Devi avere delle doti segrete per aver stregato il
nostro bel Jean-Claude!”
Una risata fanciullesca inondò la stanza, ma a dispetto del timbro gioioso Anita si sentì la pelle di
tutto il corpo come percorsa dallo zampettio di migliaia di insetti, e si rese conto che Jason si stava
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dimenando nel tentativo di alleviare quella sensazione ripugnante, con l’unico risultato di riaprire le
ferite ai polsi legati.
Jean-Claude parlò con voce ferma e assolutamente calma “Noi siamo qui secondo i patti, Ecate.
Libera gli ostaggi e affronta la sfida”
“Non avere tanta fretta, ma jolie pute, il mio accordo è con l’Esecutrice, non con te.”
C’era qualcosa di sbagliato nell’atteggiamento di Ecate, ma Anita non riusciva a identificare cosa.
Poi la vampira si rivolse direttamente a lei, e Anita percepì che il suo potere non era enorme, ma
un’ombra sinistra la avvolgeva, come se il potere di qualcun altro la accompagnasse discretamente
in ogni suo movimento, e cominciò a preoccuparsi.
“Allora, esecutrice… sei proprio sicura di non voler essere tu a mettere fine a questa sua triste
esistenza? Un colpetto veloce… Te lo lascerà fare, sai? Scommetto che non si difenderà contro di
te…”
“L’accordo era chiaro, Ecate. Mi consegnerai gli ostaggi e voi due vi sfiderete”
“Sì… certo… gli ostaggi” Con un gesto annoiato si rivolse agli altri vampiri che afferrarono Josh,
tagliarono le corde che lo legavano e lo gettarono come un peso morto contro Anita, facendola
vacillare.
Josh si aggrappò disperatamente alle sue ginocchia e Anita cercò di non perdere l’equilibrio, mentre
con un occhio continuava a tenere sotto controllo la situazione della stanza e con l’altro cercava di
capire in che condizioni era ridotto suo fratello.
Ma l’improvviso gemito terrorizzato di Josh richiamò per un istante tutta la sua attenzione
distraendola per una frazione di secondo, il tempo di abbassare lo sguardo per rassicurare il ragazzo.
E poi fu troppo tardi.
Con la coda dell’occhio percepì un fulmineo movimento, un urlo di rabbia e uno scatto di JeanClaude come se cercasse di sfuggire a qualcosa … e poi nello spazio di un istante, troppo,
veramente troppo veloce perché avesse una sola possibilità di reagire, una massa pulsante di enormi
ali brune, piume e corpi muscolosi aveva sommerso Jean-Claude.
Anche se non le avevano permesso di portare la Browning dentro il Circo, era riuscita a tenere di
nascosto la Firestar, ma mentre pensava di impugnarla capì che non sarebbe mai stata abbastanza
veloce.
Uno dei vampiri teneva già per la gola Jason, mentre Jean-Claude era stato costretto in ginocchio e
messo in manette, sovrastato da un numero imprecisato di uomini-aquila.
Anita fissò con orrore uno dei mannari che lo avvolgeva nelle spire di una spessa catena argentata, e
un altro che gli annodava una benda sopra gli occhi.
*Prendi Josh e Jason ed esci di qui, ma petite* La voce di Jean-Claude nella sua mente suonò calma
e decisa.
*Lo sapevi!! Tu avevi previsto che sarebbe andata così! Perché non mi hai avvertita Jean-Claude?
Perché?*
Gli altri erano di nuovo tutti immobili, ed Ecate aveva un sorriso maligno stampato sulla faccia.
“Sei libera di andare, esecutrice, come eravamo d’accordo. Prendi tuo fratello e portalo fuori di qui.
Ti sarà risparmiato il lavoro sporco, per questa volta.”
Anita sentì il cuore battere così velocemente che per un attimo pensò che tutti lo potessero
ascoltare. “Maledetta puttana… l’accordo parlava di una sfida, questa invece sarà un’esecuzione
vero?”
“Ti dà fastidio che ti rubi il lavoro, piccola? Non ti preoccupare, come d’accordo, il merito sarà
tutto tuo!” di nuovo quella risata raccapricciante zampettò sulla loro pelle.
“L’accordo prevedeva anche la libertà di Jason”
“No!” un urlo arrivò dal fondo della sala, da Jason che era ancora tenuto per i capelli da un
vampiro, con i denti già scoperti sulla sua gola. “Non scambiare la mia vita con quella del Master!
Non puoi farlo! Io non lo tradirò abbandonandolo qui.”
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Ecate si lasciò sfuggire una risata gioiosa “Ecco, vedi… il lupacchiotto preferisce restare con noi.
Ma stai tranquilla, non credo che ci sarà bisogno di ucciderlo…. Di questi tempi le pommes-de-sang
sono una merce così rara e costosa…”
Josh tremava e gemeva ai suoi piedi e Anita si rese conto con rabbia che l’unico modo per portarlo
fuori di lì sarebbe stato prenderlo di peso ed uscire insieme a lui.
“No. Jason deve venire via con noi.”
“Deve… deve… deve…” Ecate fece un cenno con il polso, sbuffando capricciosamente. “Ma sì…
non mi sono mai piaciuti i lupi tutto sommato… e di certo non vogliamo che l’Esecutrice ci accusi
di non stare ai patti… Stanley, sii gentile, accompagna all’uscita la nostra ospite”
Il vampiro che teneva stretto Jason non mollò la presa e trascinò di peso il licantropo in mezzo alla
sala, davanti ad Anita.
“Sai, piccola esecutrice…” continuò la vampira avvicinandosi a Jean-Claude “credo proprio che
aspetterò a giustiziarlo ancora qualche giorno… era talmente divertente giocare con lui… ti ricordi
jolie pute?” Nessun movimento tradì la reazione di Jean-Claude mentre la vampira gli passava
un’unghia affilata lungo la guancia, lasciando una sottile striscia di sangue al suo passaggio, poi si
portò languidamente il dito alla bocca, leccando via il fluido rosso. E continuò a rimanere
assolutamente immobile quando Ecate si piegò su un ginocchio e insinuò una mano tra le sue
gambe incominciando ad accarezzargli l’inguine con il palmo della mano.
“Io mi ricordo com’eri dopo giorni e giorni in cui non ti era permesso di nutrirti… di nutrire il tuo
incubus… oh, sì, allora era delizioso quello di cui eri capace a letto. Immagino che tu non abbia
perso il tuo tocco. Tu che ne pensi, piccola esecutrice?” si girò di scatto verso Anita “Si è tenuto in
allenamento in tutti questi secoli, o la tua mente puritana e piccolo borghese non è stata capace di
apprezzare tutte le sfumature della sua perversione?”
La voce roca e trattenuta di Jean-Claude attirò di nuovo l’attenzione di Ecate su di sé “Se non fossi
stato sul punto di impazzire per la fame non avrei mai nemmeno lontanamente desiderato toccarti,
Ecate.”
La vampira scoppiò a ridere, gettando la testa all’indietro “Jean-Claude… non ti preoccupare…
quando avrò finito con te mi supplicherai di potermi toccare… oppure mi pregherai di ucciderti. Sì
c’è anche questa possibilità Ma sei troppo bello per andare sprecato! Credo che sarà molto più
divertente ridurti nello stato di non poter nuocere troppo e tenerti qui in salotto a disposizione degli
ospiti per un po’ di tempo!”
Anita si sentì sommergere da un’ondata di odio, e si rese conto che non era solo il suo, ma era
quello di Jean-Claude, insieme a lampi di immagini crudeli che le fecero chiudere gli occhi. Peccato
che quelle immagini fossero nella sua mente, e non davanti ai suoi occhi, e che chiuderli non
sarebbe bastato a farle scomparire.
*Per favore ma petite, porta via tuo fratello* in mezzo a tutto quel dolore la voce mentale di JeanClaude non sembrava più così imperturbabile, e le comunicò un senso di urgenza pericolosa.
La stretta convulsa delle mani di Josh la riportò al presente. Voleva agire, smaniava per estrarre la
pistola e fare il tiro al bersaglio con quei maledetti bastardi… ma le aquile mannare erano troppo
numerose, Jason avrebbe avuto la gola squarciata immediatamente, e suo fratello non avrebbe avuto
la minima possibilità di uscirne vivo.
Allungò la mano per aiutare Josh ad alzarsi, gli circondò la vita con un braccio e cominciò a
camminare all’indietro verso l’uscita, cercando di ignorare le lacrime di Jason, che veniva trascinato
verso la porta dal vampiro Stanley, e le risatine della vampira che continuava a stuzzicare le parti
intime di Jean-Claude incatenato sul pavimento.
“Vai… vai via esecutrice prima che cambiamo idea…”
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23.
Stanley aveva spinto per terra Jason, senza slegarlo, e aveva sbattuto dietro di loro la porta del
Circo. Erano fuori.
Quello che avrebbe davvero desiderato fare Anita, era lasciarsi andare per terra e vomitare anche
l’anima. Invece continuò a sorreggere suo fratello, sussurrandogli parole rassicuranti, finchè non
arrivò alla macchina, e lo fece salire.
Stava per tornare indietro ad aiutare Jason quando di colpo se lo ritrovò addosso alle spalle, la
catena che gli legava i polsi trasformata in un cappio per strangolarla.
“Non ti permetterò di abbandonare Jean-Claude a quei mostri! Come hai potuto fare una cosa simile
Anita? Come puoi condannarlo così?”
Il licantropo urlava e piangeva e stringeva, mentre Anita si dibatteva cercando di non soffocare, ma
alla fine lei riuscì a raggiungere con la mano la pistola, sfilarla dalla cintura e premerla contro la
gola di Jason.
Lo scatto della sicura rimbombò sinistramente nel silenzio notturno.
Jason allentò piano la presa, la sua voce si spense nelle lacrime e il suo corpo si afflosciò intorno ad
Anita, trascinandola nella sua caduta.
“Io credevo che tu lo amassi… e io … Jean-Claude è sempre stato gentile con me… io non posso
lasciarlo nelle mani di quella… quella…”
“Jason… Jason per favore, lasciami andare. Non ho intenzione di abbandonare Jean-Claude. Adesso
rialzati e pensiamo a toglierci di qui.”
Una scintilla di speranza brillò negli occhi lucidi del lupo mannaro. “Allora torniamo a prenderlo?”
“Sì, Jason. Ma non adesso. Non da soli. Devo portare al sicuro Josh. E poi torneremo a prendere
Jean-Claude.”
“Oh.” Di nuovo calmo, Jason la aiutò ad alzarsi e la seguì docilmente fino all’auto, dove Anita
spezzò le catene che lo stringevano sparando un paio di colpi ben assestati.
Poi lei salì e mise in moto, abbassando il finestrino per parlargli.
“Troviamoci al Lunatic Cafè. Cerca di radunare un po’ dei lupi. Io penserò a chi altro chiamare
come rinforzi.”
“Con Richard fuori città non sarà semplice radunarli e convincerli a collaborare”
“Inventati qualcosa Jason. Hai visto meglio di me quante aquile mannare ci sono dentro il Circo. Ci
serve il maggior numero di rinforzi possibile. E avere una nuova Master con uno stormo di aquile ai
suoi ordini potrebbe dare parecchi fastidi anche al Branco”
“Farò del mio meglio Anita.” Il licantropo abbassò lo sguardo “Dovevo capire che non avresti
scambiato la vita di Jean-Claude con quella di Josh. Mi dispiace…”
Lei rispose con una smorfia. “A quanto pare non sei stato l’unico a pensarla così. Per qualche
motivo tutti mi credono capace di ammazzare sui due piedi il mio amante senza pensarci troppo su”
Jason sgranò gli occhi “Vuoi dire che anche lui ha creduto che tu lo avessi tradito?”
“In effetti non lo so… se anche l’ha pensato non gli ha impedito di concedersi un’ultima…” Anita
arrossì di colpo e non finì la frase. “Ti raggiungo al Café appena ho messo al sicuro mio fratello.” E
poi partì.
Mentre guidava freneticamente fino al più vicino posto di polizia si sforzò di ragionare e di
riacquistare il suo proverbiale sangue freddo. Durante il tragitto Josh aveva continuato a gemere,
mormorando frasi sconnesse. Gli effetti della droga avevano appena cominciato a diminuire, ma
Anita non era riuscita a pensare un’opzione migliore se non lasciarlo di fronte al distretto dopo
avergli ripetuto un centinaio di volte che doveva chiedere di parlare con il sergente Storr e
raccontargli tutto quello che era successo, tutto, dall’inizio alla fine, quando, dove, come… ma
soprattutto *chi*.
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Poi ripartì alla ricerca di rinforzi. Non poteva andare tanto per il sottile, le servivano tutti gli alleati
possibili. Dato che i lupi sarebbero stati un po’ latitanti avrebbe dovuto chiamare i leopardi. Non
erano certo dei guerrieri, ma erano mannari, avrebbero dovuto farselo bastare. E poi i ratti. Rafael
non avrebbe esitato un istante, ne era sicura, e sarebbe andato con lei a tirare fuori Jean-Claude da
quel casino.
Sì, forse per primi avrebbe contattato proprio i ratti, e sicuramente il posto più adatto per raccogliere
le truppe era il Lunatic Café. Così guidò per altri venti minuti con il cuore in gola e accostò l’auto
inchiodando sui freni a lato della strada. Non aveva tempo di cercare un parcheggio.
Per fortuna analizzandola a mente lucida la situazione non era così disperata, visto che Ecate non
sembrava intenzionata ad uccidere immediatamente Jean-Claude. Sì, c’era un po’ di tempo e i
mannari l’avrebbero aiutata.
Immersa nel conteggio dell’armata di rinforzi che poteva mettere insieme, non si accorse subito dei
tre vampiri che la aspettavano poco distante dall’ingresso del Lunatic Café. Non se ne accorse
finchè non le furono minacciosamente attorno.
“Salve ragazzi. Cosa fate nel quartiere dei mannari? Non siete di turno al locale stasera?” Sospirò di
sollievo. Li conosceva di vista, erano tre vampiri che lavoravano al Danse Macabre.
Uno dei tre cominciò a camminarle intorno come uno squalo, bloccandole il passo appena lei
cercava di scantonare.
“Pensi di potertela cavare così facilmente?”
Lo sguardo malevolo del vampiro non le diceva nulla di buono.
“Di cosa cazzo stai parlando Rhys? Lasciami passare.”
“Hai fretta di farti mangiare dai lupi Anita? Neanche loro saranno molto contenti di te, stasera.”
Anita lo guardò interrogativamente. Non capiva davvero di cosa cazzo stava parlando, e le stava
facendo perdere tempo prezioso. “Sì, ho una fretta dannata. Togliti di mezzo!”
Gli altri due vampiri erano scivolati alle sue spalle, e improvvisamente l’avevano afferrata per le
braccia, uno per parte.
Maledizione! Che stupida ad abbassare la guardia con dei vampiri! E solo perché li conosceva!
Stupida, stupida, stupida! Non aveva imparato niente in tutti quegli anni di caccia ai mostri?
Non cercò neanche di divincolarsi perché la presa ferrea delle loro mani le avrebbe solo fatto
guadagnare dei lividi gratuiti. Però stavano stringendo veramente troppo.
“Dormirai tranquilla stanotte, esecutrice? Dopo aver tradito il tuo Master?”
“Tradito?” Anita sgranò gli occhi sbalordita.
“Io dico che non possiamo lasciarla dormire tranquilla…” riprese la voce alla sua destra.
“Io dico che non dovrebbe dormire affatto questa notte… Dico che dovrebbe essere ripagata della
stessa moneta con cui ha venduto Jean-Claude.”
“Ehi, ragazzi, non avete capito niente… mpf!”
Un quarto vampiro era arrivato alle sue spalle, e mentre una mano le tappava la bocca, una voce
femminile le sibilò dietro la testa.
“Che tu sia maledetta Anita Blake. Jean-Claude ti amava, Jean-Claude ti ha messa davanti a tutti, si
è fidato di una cacciatrice di vampiri invece di confidare nei suoi compagni più antichi e leali. E tu
l’hai portato davanti al suo plotone di esecuzione. Che tu sia maledetta Anita Blake, se non pagherai
caro quello che hai fatto!”
Mentre si dibatteva disperatamente nonostante la morsa che minacciava di spezzarle le ossa delle
braccia, Anita intravide un pugno che le veniva incontro alla faccia, ad una velocità e con una forza
decisamente soprannaturali. Un attimo prima che il buio la inghiottisse il suo ultimo pensiero fu:
“Nooo… di nuovo!”
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24.
Un ronzio furibondo le rintronava la testa. Provò lentamente ad aprire gli occhi ma la palpebra
gonfia cominciò a pulsare dolorosamente e decise che per il momento poteva anche tenerli chiusi.
Però poteva ascoltare e rendersi conto della sua situazione. Si trovava sdraiata su un fianco, su
qualcosa di duro, ma non freddo come un pavimento. Delle corde la tenevano legata come un
salame dalle caviglie fino al petto, le braccia strette e immobilizzate contro i fianchi.
Aveva ancora addosso i vestiti, e questo era già un miglioramento rispetto al rapimento precedente.
Un profumo intenso e dolciastro impregnava l’aria della stanza, e il rumore di movimenti e di voci
mescolate le arrivava dalla parte verso cui era girata.
Poi all’improvviso una risata sovrastò gli altri suoni, facendole accapponare la pelle. Sembrava che
milioni di formiche stessero prendendo d’assalto il suo corpo. Anita trattenne un gemito ed
incurante della fitta che le trapassava il cervello spalancò gli occhi. Subito dopo desiderò non averlo
fatto, ma ormai non poteva fare a meno di guardare.
Doveva essere una delle numerose camere da letto inutilizzate del Circo dei Dannati perché
riconosceva le inconfondibili e cupe pareti in pietra, ma la disposizione della stanza le risultava
sconosciuta.
C’era un letto a baldacchino, con quattro colonne di legno agli angoli che reggevano un drappeggio
di velluto viola. Intorno al letto si aggiravano i tre vampiri di Ecate. Al centro spiccava sopra a tutti
la testa bruna di Ecate stessa, che si era tolta la giacca: ora il suo busto era coperto unicamente dal
reggiseno di pelle rossa.
Poi i vampiri si spostarono e Anita potè vedere chi giaceva sul letto, ed era oggetto di tutte quelle
attenzioni.
Jean-Claude era stato legato con mani e piedi alle colonne ai quattro angoli del letto. Era nudo dalla
cintola in su, i pantaloni erano stati abbassati e strappati scoprendo il suo sesso. Ed era evidente che
non si stava divertendo affatto.
Il suo pallore era impressionante. Non l’aveva mai visto assomigliare così tanto al colore di un
cadavere. Poi osservando i movimenti dei vampiri capì cosa avevano fatto, cosa continuavano a
fare.
A turno, in una specie di danza sgraziata, si chinavano su di lui e affondavano le zanne nelle parti
più tenere del suo corpo. Gli stavano succhiando via tutto il sangue, ed Ecate si era tenuta il
bocconcino migliore. Lo montava a cavalcioni, percorreva sensualmente il suo petto con le unghie
tracciando sottili linee rosse, e ogni tanto scopriva le zanne e si abbassava a colpire.
Jean-Claude aveva ancora la benda sugli occhi, una fascia rossa che spiccava con una bellezza
oscena contro il nero dei suoi capelli e il bianco splendore della sua pelle. Aveva le labbra
socchiuse, come in una specie di sospiro languido, ed Anita si sentì percorrere da un brivido. Era
raccapriccio, panico, ma nascosta sul fondo c’era anche una minuscola scintilla di eccitazione.
Bastò la voce di Ecate per soffocare quella scintilla.
“Non potrai resistere ancora a lungo, joli. Prima o poi dovrai nutrirti, in un modo…. o nell’altro. E
dato che, come puoi certo immaginare, non ti permetterò di bere il sangue di nessuno… io e i miei
vampiri saremo qui per soddisfare la tua fame… e sono sicura che quando l’ardeur ti monterà ci
implorerai ad uno ad uno di fotterti … esattamente come ai vecchi tempi!” la vampira finì la frase
mentre gli disegnava nuovi graffi sanguinanti intorno ai capezzoli, e poi si chinava a prosciugarli
con la punta della lingua. Jean-Claude sussultò inarcando leggermente la schiena, e Anita non riuscì
a trattenere un singhiozzo. Di colpo tutti i vampiri si girarono a guardare verso di lei. Brava Anita,
così sei riuscita ad attirare la loro attenzione. Complimenti.
“Sembra che la tua serva umana si voglia unire a noi, tesoro.” cinguettò Ecate “E’ stato veramente
un gesto gentile da parte dei tuoi vampiri consegnarcela già impacchettata a dovere! L’hanno presa
così male quando si è sparsa la voce che Anita ti aveva teso una trappola per portarti da me…”
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“No… Anita…” il suo nome uscì come un debole soffio dalle labbra completamente esangui di
Jean-Claude.
Non poteva rimanere ancora in silenzio.
“Perfetto. Ho sempre pensato che i vampiri fossero dei viscidi succhiasangue senza nessun onore. E
tu non fai eccezione. E’ la seconda volta stanotte che ti rimangi la parola data!”
“Tu non sai niente di onore Anita Blake!” le sibilò contro Ecate, mentre scendeva dal letto e si
avvicinava a grandi passi verso di lei. Forse, pensò Anita, non era stata una grande idea distoglierla
dal suo piccolo gioco sadico.
“E non sai niente del nostro passato… credi che alla fine non gli piacerà, che alla fine non urlerà di
piacere mentre nutre l’ardeur?”
“Dammi della stupida se vuoi, ma non penso che lo stupro di gruppo faccia parte della sua idea di
piacere.”
“Ne sei così sicura, esecutrice? O sei solo gelosa perché non sei in grado di soddisfare le sue
aspettative?”
“Ma sei una pazza squilibrata o cosa? Prima lo vuoi uccidere, poi lo vuoi torturare all’infinito,
adesso sembri un’innamorata che cerca di riconquistare una vecchia fiamma che l’ha scaricata …
un po’ di coerenza mai, vero? Non hai mai sopportato l’idea che Jean-Claude facesse sesso con te
solo perché era obbligato…”
Anita si accorse distintamente di un rumore soffocato che veniva dalla parte di Jean-Claude. No,
non si era sbagliata. Lui stava *ridendo*.
Probabilmente era troppo debole per parlarle mentalmente, ma le sembrò quasi di sentire il suo
commento - Ma petite, prima di dare della pazza squilibrata ad Ecate sarebbe meglio avere un piano
di riserva -.
In effetti lo sguardo furibondo della vampira le fece capire che l’unico risultato ottenuto era stato
quello di farla incazzare con lei. Beh, almeno avrebbe lasciato un po’ di respiro a Jean-Claude.
“Presto non ci troverete più niente da ridere… né tu né lui. Non ti ha mai mostrato cosa significa
l’ardeur, vero? Non hai idea di quello che è disposto a fare quando non può più evitare di
nutrirlo…”
“Io so benissimo cosa significa l’ardeur”
La voce, profonda e sensuale, era sopraggiunta alle spalle di Anita, che vide Ecate sgranare gli
occhi e rimanere congelata a metà della frase.
La vampira cominciò ad arretrare con passi lenti e circospetti, mentre Asher avanzava nell’arco
visivo di Anita, scortato da un licantropo in forma di uomo-aquila che li sovrastava tutti con
un’impressionante apertura alare, e che portava a tracolla un Mini-Uzi.
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25.
“Complimenti, Ecate. Mi hai risparmiato un sacco di lavoro con questa pittoresca messinscena.”
Anita guardò Asher a bocca aperta. Sembrava che tutte le sue peggiori previsioni si stessero
avverando.
Ecate continuava a indietreggiare guardinga, senza permettere ad Asher di avvicinarsi troppo a lei.
Gli occhi lampeggiavano alternativamente verso di lui e verso il licantropo che lo accompagnava.
Alla fine si rivolse a quest’ultimo.
“Feodor! Che cosa sei venuto a fare qui? E perché sei con lui?”
Fu Asher però a rispondere.
“E’ molto semplice. Feodor è un vero politico, e sa sempre esattamente con chi gli conviene
allearsi.”
“Padma non te la farà passare liscia, stupido rapace!”
Feodor rimase ancora in silenzio, ma puntò l’arma dritta verso la testa della vampira.
“Ti sbagli, Ecate. A Padma non interessa davvero chi sostituirà Jean-Claude come Master a St.
Louis. Quello che gli sta veramente a cuore è vederlo definitivamente morto. Se poi nel conto ci
mettiamo anche Anita Blake che è la vera responsabile della morte di Fernando… penso proprio
che lo faremo felice. Indipendentemente dal fatto che tu e la tua minuscola congrega sopravviviate
oppure no.”
Anita poteva vederlo di profilo, il suo profilo sinistro, liscio e perfetto, poteva intravedere la piega
crudele che gli increspava le labbra, ma non poteva credere ai suoi occhi.
Alla fine non riuscì a trattenere oltre l’odio e la rabbia. “Bastardo…. bastardo traditore… dovevo
ammazzare anche te, insieme a Fernando e a quel vigliacco di suo padre!”
Asher si girò di scatto verso di lei, con un’espressione leggermente stupita sul volto, che
rapidamente si trasformò in diffidenza. Si avvicinò alla panca su cui era immobilizzata e si abbassò
per portarsi a livello del suo sguardo.
“Sei tu che mi vieni a parlare di tradimento, Anita?” la sua voce era dolce, melliflua, con un
sottofondo di minaccia. “Però hai fatto male i tuoi calcoli, visto che non sei esattamente nella
posizione di fare minacce… Mi hanno detto che il tuo compito era giustiziare Jean-Claude… e mi
sarebbe dispiaciuto molto che tu mi privassi di quel piacere. Ma che cosa è andato storto?”.
Anita gli restituì uno sguardo carico d’odio “Ti hanno informato male … Mi fai schifo Asher, sei un
mostro senza cuore e stai distruggendo l’unica possibilità che avevi di rimettere insieme i pezzi rotti
della tua misera esistenza.”
Asher la fissò senza alcuna espressione sul volto, poi si rialzò lentamente. Era sicura che la sua
freccia aveva colpito il segno, e godeva di quella perfida soddisfazione, visto che al momento non
c’era nient’altro di cui rallegrarsi.
“Te lo dico io che cosa è andato storto, Asher” ora che era affiancata dai suoi tre tirapiedi Ecate
sembrava aver riacquistato un po’ della sua confidenza. “La nostra graziosa esecutrice è stata
abbastanza furba da attirare qui Jean-Claude e da far liberare il suo innocente fratellino senza
sporcarsi le mani… non del sangue di Jean-Claude perlomeno” aggiunse ridacchiando “ma poi è
stata così stupida da farsi beccare da tre vampiri molto arrabbiati con lei… che me l’hanno
gentilmente rispedita in confezione regalo. Immagino che potrai capire… non potevamo rinunciare
ad un intrattenimento tanto allettante! Ma se proprio la vuoi te la posso lasciare, caro Asher. Penso
che avrai mille idee per divertirti con la serva umana del tuo nemico… e a me basta Jean-Claude…”
“Non hai capito, Ecate.” Asher scosse la testa con condiscendenza, torreggiando su di lei, i lunghi
capelli dorati che gli ricadevano morbidamente lungo la schiena, un contrasto stridente con quella
voce dura e glaciale “Sono io che voglio Jean-Claude. Sono io che mi occuperò di lui
personalmente. E tu non ti metterai in mezzo rovinando una vendetta che aspetto da secoli. Quanto
ad Anita sarà solo un interessante fuori programma… un bonus per la gioia e la gratitudine di
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Padma. Ma quello che devi capire, Ecate, è che tu non rientri affatto in questo gioco. La città di St.
Louis sarà mia, come tutto quello che apparteneva a Jean-Claude.”
Ecate sembrò restringersi in mezzo ai suoi vampiri e soffiò come una gatta rabbiosa contro di lui.
“Cosa credi di fare, freak? Hai idea di quante aquile mannare ci sono in questo momento al Circo?
E aspettano solo un mio ordine per saltarti addosso e metterti di fianco al tuo vecchio amico su quel
letto… hmm, sì potremmo lasciare un po’ di cicatrici anche su Jean-Claude così sarete di nuovo la
coppia perfetta di stalloni di Belle Morte…”
“Mi dispiace Ecate. Ma le aquile mannare non aspettano un tuo ordine… aspettano il mio.” Feodor
aveva parlato per la prima volta dal suo ingresso nella stanza, ma già un certo numero di mannari si
erano radunati dietro il loro alpha, come attirati da un silenzioso richiamo.
Asher e Feodor si scambiarono uno sguardo. “Sbarazzami di questi vampiri parassiti, Headflight,
per favore. Voglio godermi la morte del mio nemico senza dovermi preoccupare di loro.”
La voce frenetica di Ecate suonò stridente nell’improvviso silenzio della stanza “Feodor, non
oserai… Padma ti ucciderà!”
“Ti sbagli, vampira. Quando tu e Jean-Claude sarete morti, io sarò a fianco del nuovo Master con le
mie aquile e comanderò i mannari di questa città.” Non si girò per rivolgersi ai suoi uomini, ma la
sua autorità non lasciò spazio a dubbi. “Ora portateli via!”
In un attimo una miriade di aquile mannare confluirono nella stanza, e circondarono
minacciosamente i quattro vampiri stringendoli sui lati e calando dall’alto ad ali ed armi spiegate.
Nel giro di pochi minuti la vampira veniva trascinata via mentre urlava e scalciava e scopriva le
zanne, insieme ai suoi tre compari.
Improvvisamente nella stanza era calato un pesante silenzio, e solo Feodor era rimasto con Asher
quando Anita sbottò, vomitando tutta la sua rabbia e il suo disprezzo contro il vampiro che aveva
creduto un amico. Che Jean-Claude aveva creduto un amico.
“Puoi anche ammazzarci tutti e due, ma non la passerai liscia, Asher, St. Louis è piena di vampiri
fedeli a Jean-Claude, e la polizia saprà che c’eri anche tu dietro tutto questo … mio dio, Asher come
puoi allearti con questi assassini di bambini? Come è possibile che le cicatrici ti abbiano sfigurato
così anche l’anima?” poi scoppiò in una risatina isterica “ma che anima… è ovvio che tu non hai
un’anima… sei un orripilante creatura che si eccita solo odiando…. Sei… sei ripugnante Asher, e
resterai da solo con la tua vendetta e le tue schifose cicatrici per tutto il resto della tua squallida
infinita esistenza!” le lacrime le strozzarono in gola le ultime parole, mentre Asher la ignorava e si
rivolgeva freddamente a Feodor.
“Lasciami solo adesso. Ho aspettato troppo tempo questo momento, e non voglio condividerlo con
nessun altro.”
Il licantropo fece un cenno con la testa e scivolò silenziosamente fuori dalla stanza.
Asher si appoggiò con le spalle alla porta chiusa, per un attimo chiuse gli occhi lasciando andare la
testa all’indietro, poi estrasse da sotto la giacca un coltello sottile e dall’aspetto feralmente affilato.
Anita cercò ancora di divincolarsi. Era tutta legata, completamente impotente di fronte ad un
vampiro che stava per scannare lei e Jean-Claude ma l’odio che provava non era per il fatto che
sapeva di essere sul punto di morire, ma perché pensava a quanto si era illuso Jean-Claude da
quando Asher si era fermato a St. Louis, quante speranze di perdono, e di amicizia e fiducia stavano
andando in frantumi in quella stanza.
“No… no… no… aspetta!” gridò scalciando inutilmente mentre lo vedeva avvicinarsi al letto dove
Jean-Claude era rimasto in silenzio, il corpo pallido e striato del suo stesso sangue, tenuto fermo dai
lacci che lo rendevano accessibile e indifeso in ogni parte vitale.
“Stai zitta Anita!” L’ordine di Asher fu così secco e autoritario che la voce le morì in gola, e rimase
furiosa e impotente a guardare.
Il vampiro traditore girò intorno al letto, poi si appoggiò sul materasso a fianco di Jean-Claude, e
con un gesto rabbioso gli strappò la benda dagli occhi.
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Jean-Claude sbattè le palpebre per riabituarsi alla luce, e piegò leggermente la testa verso l’altro
vampiro, ma nella sua espressione non c’era traccia di paura, né di odio o di dolore.
Anita vide gli occhi di Asher percorrere lentamente il corpo di Jean-Claude, dalla testa ai piedi, il
suo sguardo offuscarsi mentre la sensazione palpabile del suo desiderio pervadeva tutta la stanza.
Le labbra di Jean-Claude si piegarono in un sorriso “Adesso non farti venire in mente strane idee,
mon ami.”
Asher si riscosse, ridacchiò per un attimo, e insinuando la lama affilata vicino ai polsi e alle caviglie
di Jean-Claude recise con un colpo netto i lacci che lo imprigionavano.
“Quanto sangue ti hanno portato via quei parassiti?” gli domandò sottovoce mentre lo aiutava a
riallacciare i pantaloni e a sollevarsi dal letto. Jean-Claude fece una smorfia. Sembrava
estremamente debole, e riuscì appena a tirarsi seduto prima di abbandonarsi con la fronte contro il
petto dell’altro vampiro.
“Troppo, Asher. Non credo che sarò di alcun aiuto prima di essermi nutrito.”
“Pensi che io possa slegare Anita senza che lei cerchi di uccidermi?”
“Non credo, però è disarmata quindi probabilmente non riuscirà a farti del male” rispose JeanClaude con una debolissima risata.
Anita richiuse la bocca che si era dimenticata aperta mentre seguiva i loro movimenti. Asher si era
alzato e veniva verso di lei, con un’espressione seria e impassibile. Gli aveva detto delle cose
orribili, ma, dannazione, cosa ne poteva sapere lei delle sue vere intenzioni?
Con lo stesso coltello Asher tagliò tutte le corde che la stringevano e le porse una mano per aiutarla
ad alzarsi, che Anita pensò opportuno accettare, giusto per non peggiorare ancora di più la
situazione con un rifiuto. Poi finalmente ritrovò un filo di voce.
“Immagino di doverti delle scuse… Mi dispiace per le cose che ti ho detto”
“Perché, ma chérie? Per come la vedevi tu, erano tutte vere.” Il suo tono distaccato la ferì, ma
avrebbe pensato più tardi a fare pace. Forse le sfuggiva qualcosa, ma aveva la netta impressione di
non essere ancora del tutto fuori dai guai.
Poi la loro attenzione fu richiamata su Jean-Claude, che aveva provato ad alzarsi ma aveva ceduto
al primo passo, aggrappandosi alle lenzuola per non crollare sul pavimento, mentre un leggerissimo
tremito gli scuoteva le spalle.
Li guardò con espressione di scusa. “Mi dispiace. Se non risolvo il problema non riuscirò a
controllare l’ardeur ancora a lungo…”
“Non abbiamo molto tempo. Anita, pensi di poterlo aiutare?” L’espressione intensa di Asher le
suggerì che non c’era spazio per le incertezze, così cercò di mostrarsi decisa malgrado il panico che
l’aveva subito aggredita.
“Uh, sì, credo di sì. Cioè… certo. Preferisci del sangue o del sesso?”.
La risposta le fece guadagnare uno sguardo sbalordito e subito dopo un sorriso malizioso da parte di
entrambi i vampiri.
Gli occhi scintillanti di Jean-Claude si fissarono nei suoi, la sua voce carezzevole si sfregò contro di
lei come un gatto che fa le fusa. “Dovrei prenderti troppo sangue per recuperare le forze. Non
voglio indebolirti, quindi… preferirei l’altro modo.”
Anita aggrottò la fronte “Come davanti al Consiglio?”
“Più o meno… però almeno questa volta non abbiamo un pubblico indesiderato.”
“Sei sicuro che l’idea del sesso non ti disturbi dopo… dopo quello che hai subito dai vampiri di
Ecate?”
“L’idea del sesso *con te* non mi disturberà mai e poi mai, ma petite. Ti prego, vieni da me.”
Mentre Anita si lasciava attirare come una falena verso la luce, Asher girò loro le spalle
appoggiandosi ad occhi chiusi contro la porta. “Mi dispiace ma non posso uscire dalla stanza
adesso, altrimenti Feodor mi chiederà conto dei vostri cadaveri.”
Anita si inginocchiò davanti a Jean-Claude, lasciò che le emozioni del vampiro la avvolgessero e si
insinuassero dentro di lei, poi senza voltarsi chiamò.
“Asher, per favore, unisciti a noi. Ti stiamo aspettando.”
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“Sì Asher.” continuò Jean-Claude “Abbiamo bisogno di te.”
I suoi pensieri passarono dentro la mente di Anita, diretti ad Asher, e in qualche modo lei fu sicura
che l’altro riuscisse a sentirli.
*Guarda dentro di te, lascia che l’oscurità strisci via, lasciami rivedere la tua dolcezza.*
Il vampiro biondo si era girato, un’espressione incredula e ferita negli occhi, che per un attimo
strinse il cuore di Anita.
Fece alcuni passi riluttanti verso di loro, ancora diffidente. Li guardava con una tale speranza…
quel genere di speranza timorosa di chi ha subito innumerevoli rifiuti… Jean-Claude si girò a
guardarlo e la stessa forza irresistibile che aveva attratto Anita finì per sedurre anche lui.
Con un sospiro incerto scivolò alle spalle di Jean-Claude, che si appoggiò contro il suo petto
lasciandosi avvolgere nel suo abbraccio.
Asher gli insinuò le braccia intorno alla vita, e stese le mani verso Anita, tiradola verso di sè, finchè
Jean-Claude non fu stretto tra i loro due corpi. Poi studiatamente appoggiò le labbra sul collo di
Jean-Claude, e si mosse verso l’incavo della spalla sfiorandolo appena lungo il percorso,
solleticando la sua pelle nuda con il suo fiato freddo ed i suoi capelli, finchè non riuscì a strappargli
un rauco sospiro.
Osservando Asher quasi ipnotizzata, Anita fece da specchio ai suoi movimenti, sollevò una mano di
Jean-Claude e se la portò alle labbra, succhiando per un attimo la punta delle sue dita. Girandogli
verso l’alto il palmo della mano vi posò in mezzo un bacio lievissimo e risalì verso l’alto,
soffermandosi nell’incavo del gomito, assaporando la morbidezza della sua pelle lungo
l’avambraccio, fino alla piega dell’ascella, e sentì un fremito che si trasmetteva dalle sue labbra al
corpo di Jean-Claude, percorrendolo come una scarica elettrica mentre lui rovesciava la testa
all’indietro abbandonandosi a quelle carezze.
Poi la sua vista si annebbiò, si sentì trascinata dentro una spirale di desiderio che non lasciava
spazio a nessun’altra emozione o pensiero coerente e percepì la sua bramosia, insieme a quella di
Asher, volteggiare e rincorrersi intorno a Jean-Claude, legandoli insieme in un vortice di potere.
Si ritrovò a strisciare lungo il suo corpo per risalire verso la bocca, come un assetato nel deserto che
cerca di raggiungere una fonte di acqua fresca, bramando quel bacio mentre un calore bagnato la
scioglieva dall’interno. Sentì Asher gemere sommessamente, mentre la stretta delle sue braccia li
incatenava tutti e tre in un abbraccio sempre più serrato. Aveva quasi raggiunto la sua meta quando
una mano di Jean-Claude la bloccò un attimo prima che le loro labbra aderissero.
Il vortice si fermò di colpo, i pensieri smisero di girare all’impazzata e lei si sentì precipitare dentro
il vuoto finchè non incontrò gli occhi di Jean-Claude. Il suo sguardo intenso e appassionato la
afferrò e la riportò in superficie, e si ritrovò a fissare il suo volto sorridente e non più tanto pallido.
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26.
Il frastuono degli spari e del ringhiare e stridere di una cinquantina di mannari di tutte le specie che
se le davano di santa ragione risuonò nelle orecchie di Jason mentre correva per i corridoi nel livello
sotterraneo più basso del Circo dei Dannati.
Aveva aperto una dozzina di porte, ma non riusciva a trovare il suo Master e Anita. L’impossibilità
di potersi trasformare l’aveva indebolito moltissimo, quindi aveva rinunciato subito alla battaglia,
lasciando l’impresa ai compagni del branco e ai ratti mannari che si erano uniti a loro. E ai quattro
leopardi che avevano risposto al suo richiamo in aiuto di Anita.
Tutti loro dovevano qualcosa ad Anita o a Jean-Claude, quindi non era stato così difficile
convincerli a seguirlo, anche senza la presenza di Anita al Lunatic Café. Anzi, nel momento in cui
era stato evidente che le era successo qualcosa, tutti si erano immediatamente messi in azione. A
quanto pare nessuno dei ratti o dei leopardi pensava che lei potesse tradirli e abbandonarli al loro
destino solo per salvare un congiunto. Ma nessuno l’aveva vista arrivare disarmata insieme a JeanClaude, e battere in ritirata lasciandolo tra le grinfie di quell’agghiacciante vampira. Va bene, pensò
Jason, l’importante è che ora sono qui per aiutarla, lei non me lo rinfaccerà… o almeno spero.
Quello che lo angosciava adesso era un altro problema.
Quando pochi minuti prima avevano assaltato le aquile mannare, il loro alpha, lo Headflight, aveva
urlato il nome di Asher. Era un urlo di avvertimento, un urlo soprannaturale di richiamo e di
richiesta di aiuto.
Quindi Asher era lì al circo, era tornato da qualunque posto si fosse cacciato, e si trovava
evidentemente dalla parte sbagliata delle barricate.
Come Anita, e come tanti altri nel clan di Jean-Claude, anche Jason aveva accolto con una certa
diffidenza la presenza di Asher. Quel suo voltafaccia repentino, da nemico giurato a secondo in
comando, aveva stupito tutti quanti. Ma ovviamente nessuno aveva neanche lontanamente osato
mettere in dubbio il giudizio del Master della città.
Bene, a quanto pare Jean-Claude aveva fatto un errore, si era fidato della persona sbagliata. E chi
poteva sapere come stava pagando quello sbaglio in quel preciso momento?
Il panico fece accelerare la corsa di Jason nel labirinto di stanze del Circo. Se il suo giudizio sulla
situazione era corretto, in quel momento Jean-Claude si trovava da qualche parte da solo, o più
probabilmente insieme ad Anita, completamente alla mercé del suo vecchio amico. E Dio solo sa
nella mente perversa e malata di Asher quale idea di vendetta poteva aver preso forma durante tutti
quei secoli.
La morte di Jean-Claude avrebbe significato una sola cosa: il passaggio di Asher al comando. Un
Master senza animali da richiamo, senza alleati in città. Che altro sistema avrebbe potuto usare se
non il terrore e la crudeltà per mantenere il suo controllo?
Jason rabbrividì al pensiero. Ma quando fosse finalmente riuscito a trovarli, cosa avrebbe potuto
fare da solo contro un Master vampiro di quella forza? Un lupo mannaro talmente basso nella
gerarchia del branco che solo allontanandosi dai suoi simili era riuscito a ritagliarsi un ruolo sociale
superiore allo zerbino su cui pulirsi i piedi? Sembrava che nessuna opzione fosse a suo favore. A
quanto pare sarebbe morto comunque, e sarebbe stato a discrezione di Asher se ipnotizzarlo e
dissanguarlo per dargli una morte dolce, o se torturarlo e sgozzarlo insieme alle altre due vittime.
Improvvisamente percepì molto vicino un impetuoso flusso di potere, qualcosa che lo attirava
irresistibilmente, che nello stesso tempo eccitava i suoi sensi e gli faceva accapponare la pelle.
Si bloccò di fronte ad una porta chiusa, trattenne il respiro in un istante di esitazione, terrorizzato da
quello che avrebbe trovato dietro quella porta, poi prese la sua risoluzione e diede un calcio contro
la serratura che strappò l’anta dallo stipite, mandandola a sbattere violentemente contro il muro.
Rimase congelato sul posto, lottando per riuscire a dare un’interpretazione coerente allo spettacolo
che si presentava di fronte a lui.
Era bellissimo, spaventoso ed eccitante.
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Anita stava rannicchiata per terra, le braccia strette intorno alla vita di Jean-Claude, le labbra posate
sul suo petto nudo e rigato di sangue rappreso.
Asher stava alle spalle del suo Master, cingendo lui e Anita nello stesso abbraccio, la guancia
appoggiata contro quella di Jean-Claude, gli occhi e le labbra socchiusi, il respiro leggermente
ansimante, l’oro dei suoi capelli scarmigliati intrecciato con i ricci neri dell’altro vampiro.
L’unico che lo stava guardando con occhi simili a due scintille infuocate, l’unico che sembrava in
possesso delle sue facoltà fisiche e mentali era Jean-Claude, al centro di quella composizione
erotica, una mano teneramente immersa nei capelli di Anita, l’altra protesa dietro di sé, a trattenere
vicino Asher.
“Jason. Che piacere vederti. Scommetto che ci porti delle buone notizie.”
La voce di Jean-Claude riscosse il licantropo dallo stato di fascinazione in cui era caduto, mentre gli
altri due membri del terzetto sembravano riprendere coscienza di sé, e si giravano lentamente a
guardarlo, come risvegliandosi da un sogno.
“S-sì Master. Credo che le aquile mannare ormai siano fuori combattimento.”
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Epilogo.
Un altro giorno di vacanza.
Bert gliel’avrebbe fatto scontare a caro prezzo, di sicuro, ma dopo la settimana che aveva passato
non gliene poteva fregare di meno. Un giorno interamente passato in casa, a smistare la posta,
leggere un libro, rilassarsi in un bagno caldo. Senza essere tramortita e rapita dai vampiri, senza
dover fare una corsa contro il tempo per salvare le persone a cui voleva bene, senza dover guardare
corpi martoriati e dissanguati in mezzo ad una strada. Che sogno.
Seduta con una tazza fumante di caffè in mano e i piedi appoggiati contro il mobiletto della cucina,
Anita si dondolò pigramente godendosi le prime ore di vera tranquillità dopo gli avvenimenti degli
ultimi cinque giorni.
Aveva deciso di staccare il telefono. Qualsiasi notizia poteva aspettare, tanto tutto quello che le
interessava si trovava lì, a casa sua.
Storse le labbra cercando di trattenere un sorrisetto. Anita, non fare la stupida. Sembri una liceale
con una cotta. E mancano ancora diverse ore al tramonto. Eppure il solo pensiero di che cosa le
avrebbe portato il calare del sole riusciva a farla sorridere stupidamente beata.
Al piano di sopra, nel suo letto, c’era l’uomo più sexy che fosse mai esistito sulla faccia della terra.
Almeno da quattro secoli a questa parte.
Aveva un solo piccolo difetto. Quando dormiva sembrava morto… Beh, nessuno è perfetto, no? E
tra poco la sera sarebbe stata a loro disposizione, senza nessuna intromissione esterna sgradita.
Poliziotti, mostri, parenti…
Mentre fantasticava sulla serata imminente si accorse che la spia rossa del cercapersone che aveva
lasciato sul divano stava lampeggiando disperatamente nel tentativo di attrarre la sua attenzione.
Per un attimo pensò di fare finta di niente e lasciarlo dov’era a lampeggiare…. ma c’era ancora
parecchio tempo prima del tramonto, quindi tanto valeva dare un’occhiata. Poteva anche non essere
lavoro.
Invece era lavoro.
No … no… no. Merda! Non ora! Il numero di Dolph era apparso e sarebbe rimasto lì finchè lei non
si fosse decisa a richiamarlo. In effetti aveva *bisogno* di parlare con Dolph, ma non aveva ancora
avuto il coraggio di affrontarlo. Così era stato lui a cercarla per primo.
Rassegnata riattaccò il telefono e compose il numero diretto del Sergente Storr, maledicendosi per
non aver spento quell’aggeggio infernale.
Dolph rispose un attimo dopo il primo squillo.
“Anita. E’ tutto il giorno che ti cerco. Stavo per mandare una volante sotto casa tua.”
Anita alzò gli occhi al cielo esasperata.
“Ciao Dolph. E’ che oggi sarei in vacanza… avevo staccato il telefono.”
“Sì, il tuo capo me l’ha detto. Ma volevo raccontarti una cosa strana che mi è successa.” Fece una
pausa “Una cosa molto strana”.
Anita si agitò sulla sedia.
“Dimmi.”
“Questa mattina, poco dopo l’alba, ho ricevuto una telefonata del tutto inaspettata da un collega
dell’FBI da Chicago.”
Anita rimase prudentemente in silenzio.
“Non ti fa suonare qualche campanello?”
“Hm… direi di no. Puoi darmi qualche altro indizio?” ringraziò il cielo di non trovarsi faccia a
faccia con il sergente della RPIT.
Dolph sospirò dall’altra parte della linea.
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“Il collega mi ha passato un’informazione piuttosto riservata. Sembra che i federali abbiano appena
sgominato una banda che da mesi gestiva un traffico illegale di ragazzini rapiti e venduti ai vampiri,
che poi li tenevano segregati e li dissanguavano lentamente…”
Le sembrò quasi di vedere l’espressione di disgusto sulla faccia del poliziotto.
“Sembra che nella banda fossero implicati umani e … licantropi. Mi ha anche detto di quale
specie…” Anita sentì un rumore di fogli e immaginò Dolph che consultava il suo taccuino. “Ecco.
Aquile mannare. A quanto pare queste aquile sono mannari molto diffusi a Chicago, e sono
collegati in qualche modo al Master dei vampiri della città, che però li ha prontamente scaricati alla
polizia denunciandoli come soggetti turbolenti e fuori controllo, e ovviamente negando ogni
coinvolgimento in quel crimine. Comunque sia, i federali non hanno trovato lo straccio di una prova
per coinvolgere il Master, e hanno dovuto accontentarsi dei licantropi.”
“E’ sempre un piacere sentire che la giustizia trionfa, Dolph. E’ tutto?”
La voce di Dolph suonò spazientita.
“No, Anita, non è tutto. Non c’è niente che mi vuoi dire prima che io vada avanti?”
Non ricevendo nessuna risposta il poliziotto riprese a parlare.
“Alcuni membri di questa banda hanno svuotato il sacco con molto entusiasmo. Sembra che
piuttosto che affrontare il Master vampiro preferissero di gran lunga un soggiorno nelle patrie
galere. Così, e finalmente arriviamo al motivo per cui i federali hanno pensato di avvertirmi, è
saltato fuori che una parte della banda ha pensato bene di esportare quella lucrosa attività qui a St.
Louis. Ma nella nostra città i vampiri ci sono andati giù pesanti e hanno ammazzato due ragazzini.”
Anita trattenne il fiato aspettando il seguito. Non ricordava di aver mai sentito Dolph farle un
discorso così lungo.
“E non basta. Sempre questa mattina, neanche mezz’ora dopo la telefonata da Chicago, si è
presentato alla centrale della RPIT un gruppo di … uomini … maschi … insomma un gruppo di
stramaledetti licantropi. Gente mai vista prima in città. Sono venuti a consegnarci - testuali parole di
quello che sembrava il capoccia - il responsabile della “tratta delle pomme-de-sang”, un russo
originario di Kiev, tale Feodor Orel.”
Un’altra pausa.
“Se non ti fosse ancora chiaro, abbiamo preso chi ha organizzato il rapimento di Corinne Bryce e
Daniel Symons. Continui a non avere commenti?”
Anita lasciò andare un respiro profondo. “E’ un’ottima notizia. Però non mi hai detto se avete preso
anche chi li ha uccisi.”
“Non ti sfugge niente. Questo Feodor… anche lui sembrava terrorizzato dall’idea di capitare tra le
grinfie del Master di Chicago. Così ci ha riferito i nomi dei vampiri che hanno assassinato il ragazzo
e Corinne, e ci ha raccontato una storia molto elaborata, di un piano per eliminare il Master dei
vampiri a St. Louis, e sostituirlo con un altro. Insieme alla testimonianza rilasciata da tuo fratello
ieri sera, quando si è presentato al distretto in stato semiconfusionale, ci ha permesso di mettere
insieme tutti i pezzi mancanti.”
“Quindi i sospetti su Jean-Claude sono caduti?” chiese Anita molto circospetta.
“Sì Anita.” Le sembrò di sentire un sospiro rassegnato. “Ti ho chiamato essenzialmente per dirti
che puoi stracciare il mandato di esecuzione per il tuo amico vampiro. E appena li avremo trovati,
avrai tra le mani il mandato per i veri colpevoli.”
“Sembri quasi deluso.”
“Non sono certo contento quando mi sbaglio clamorosamente. Ma so fare il mio lavoro, Anita, non
dimenticarlo.”
“Lo so, Dolph, lo so.” Riflettè per un attimo. “E le false prove in casa di Jean-Claude?”
“Zerbrovski sta ancora interrogando Feodor. Comunque se vuoi un consiglio dì al tuo amico di
guardarsi le spalle dai vampiri che gli girano troppo intorno.”
“Quindi non sai ancora il nome?”
“Ci stiamo lavorando, Anita. Tu cosa mi puoi di quell’altro vampiro? Quello sfregiato? Non mi
sembra che la sua posizione sia ancora del tutto chiara.”
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“Se puoi ancora darmi un po’ di credito, Dolph, è inutile cercare in quella direzione. Sono sicura
che Asher non c’entra. Io penso che sia qualcuno che si è insinuato tra la gente di Jean-Claude in
modo abbastanza anonimo da non farsi notare…”
Aveva sbagliato a sospettare di Asher… Ripensando con imbarazzo a quello che era successo la
notte precedente Anita capì esattamente perché il vampiro si era fermato a St. Louis, e perché JeanClaude si fidava di lui incodizionatamente. Le emozioni che percepiva quando quei due erano
insieme… erano talmente intense… Non voleva assolutamente soffermarsi ad approfondire
l’argomento, ma ormai le era chiaro che per Asher la vendetta non era più un’opzione valida.
Si riscosse rendendosi conto che Dolph aveva ripreso a parlare.
“Anita, non voglio che tu cerchi di fare giustizia da sola” le stava dicendo molto seriamente.
“Dolph, io non mi faccio giustizia da sola.” replicò quasi offesa.
“Forse tu no, ma i tuoi nuovi amici tendono a travalicare i limiti della giustizia umana con una certa
leggerezza.”
“Lo so, Dolph. Ma quando conoscerai la sua identità, io potrei aiutarti a trovarlo. Non credere che i
vampiri non faranno le loro indagini per togliere di mezzo un traditore…”
Il poliziotto sospirò di nuovo, la sua voce era stanca, sfiduciata. “Ti terrò informata.”
“E le altre accuse contro Jean-Claude?”
Ci fu un lungo momento di silenzio all’altro capo del telefono.
“Quali altre accuse?”
Anita sospirò silenziosamente di sollievo. “Grazie Dolph.”
La fiamma inghiottiva la firma del giudice sopra il foglio di carta che stava bruciando.
Anita rimase intenta ad osservarla finchè la carta non fu del tutto consumata, poi si rese conto che il
sole era molto basso, e che ormai il piccolo giardino davanti alla cucina era completamente in
ombra, così decise di salire in camera a controllare cosa stava combinando il suo vampiro. Era
molto strano che non fosse ancora sveglio.
La stanza era immersa nel buio più completo, ma la porta aperta lasciò filtrare un leggero chiarore.
Jean-Claude era sdraiato voltandole la schiena, il viso affondato nel cuscino, un braccio steso verso
l’altra metà del letto, nell’esatta posizione in cui l’aveva lasciato al mattino.
Dopo che i loro licantropi avevano sbaragliato Feodor, le altre aquile mannare non avevano opposto
un’estrema resistenza. Nel momento in cui era mancato qualcuno che impartisse i comandi non
avevano tardato a comprendere che il nuovo Headflight li aspettava a Chicago insieme a Romanov
… e che mettersi contro quei due sarebbe stata una scelta per niente sana.
Astute aquilotte mannare.
Mentre Asher si incaricava di ripristinare l’aspetto originario delle stanze al Circo, era sembrata una
buona idea che Jean-Claude trascorresse la giornata da Anita, in attesa che la situazione si chiarisse
su tutti i fronti.
Fece alcuni passi finchè non fu vicino al letto, e si sbilanciò in avanti per spiare il suo viso, rivolto
dalla parte opposta.
Poi, senza fare in tempo a reagire al movimento fulmineo, si trovò di colpo ribaltata sopra il letto,
con un braccio che le cingeva la vita, e Jean-Claude sopra di lei.
“Eri già sveglio” Anita mise il broncio facendolo suonare come un rimprovero.
“Da un pezzo.” le sussurrò il vampiro, il sorriso che si allargava sulle labbra e raggiungeva gli occhi
sfavillanti di desiderio e di divertimento.
“E cosa aspettavi a scendere?”
“Che tu salissi. Speravo così tanto di svegliarmi e trovarti vicino a me…”
“Se sapessi di preciso a che ora ti svegli, magari potrei anche farlo una volta o l’altra…” sbuffò lei
“Dovresti sentirlo, quando mi sveglio… dovresti sentire un piccolo brivido che ti sfiora la pelle….”
La voce del vampiro, appena un basso mormorio, materializzò quel brivido, lasciandola quasi senza
fiato mentre con la punta delle dita lui si insinuava nella scollatura della camicetta, cominciando
metodicamente a sbottonarla.
100
Anita non riuscì a trattenere un sorriso furbesco. Certo che sentiva il suo risveglio. Ormai lo sentiva
quasi sempre, anche quando erano lontani. C’era sempre quell’istante in cui qualcosa si ridestava e
si stiracchiava dentro di lei, e lei sapeva che lui era sveglio. A volte, quando lei non opponeva
alcuna resistenza, come adesso, riusciva a percepire la sua fame, o la sua sete per essere più esatti.
Ma non c’era motivo per dirglielo, e perdere quel piccolo vantaggio…
Intrappolata sotto di lui, lo guardò fisso negli occhi. Quello sguardo insieme malizioso e gioioso la
invitava a giochi il cui solo pensiero la faceva arrossire. Sentendosi come tutte le volte annegare in
quel blu, si arrese alla corrente del proprio desiderio e si lasciò trascinare via, chiudendo gli occhi
con un sospiro.
Sentì Jean-Claude che scendeva ad esplorarla con le labbra, giù dal collo, lungo la clavicola e il
seno, fermandosi intorno ad un capezzolo per mordicchiarlo teneramente. Il desiderio trattenuto del
vampiro era una sensazione quasi tangibile: i denti la sfioravano appena, ma la lingua sembrava
assaporare il gusto della sua pelle… o di quello che scorreva subito al di sotto di quella fragile
superficie.
Poi, seguendo la strada tracciata dalle mani, quella bocca incredibilmente morbida e fredda proseguì
fino all’ombelico, si spostò verso i suoi fianchi, solleticandole il punto vita e strappandole una
risatina. Maneggiandola abilmente la fece girare su se stessa, finchè Anita non si trovò a faccia in
giù sul letto, inchiodata dal peso di Jean-Claude che ora aderiva perfettamente al suo corpo,
adattandosi alle sue forme come una colata di metallo fuso in uno stampo.
La pelle di Jean-Claude era quasi gelida, allora come mai le sembrava di essere avvolta dalla lava
bollente?
Mentre una mano si insinuava dentro i suoi jeans, trovando l’esatto punto da sfiorare per scatenare
il piacere più intenso, la bocca di Jean-Claude vagabondava lungo il suo collo, e Anita percepì di
nuovo lo sforzo del vampiro per non morderla, in modo quasi doloroso. Quasi come il piacere che
stava crescendo, e che urlava dentro di lei per il desiderio di sentirsi penetrare, attraversare,
inchiodare definitivamente al materasso.
Ma sapeva benissimo che mancava un elemento essenziale. Pressione sanguigna. Sarebbe bastato
un piccolo morso, un piccolo contributo di sangue e quell’eccitazione che la stava divorando
sarebbe stata appagata. I canini di Jean-Claude la provocavano accarezzandole gentilmente la gola,
come una silenziosa supplica. Cosa le impediva di fare quel piccolo passo? Valeva la pena torturarsi
e torturarlo in quel modo quando tutto quel piacere poteva essere a portata di mano nel giro di un
istante?
Forse no…. Forse era arrivato il momento di….
Il campanello della porta scelse quel preciso momento per suonare.
Questa volta Jean-Claude non trattenne un inequivocabile verso di protesta, seguito da
un’imprecazione in francese.
Rimase rigidamente immobile sopra di lei mentre le sussurrava in un orecchio “Per caso aspettavi
qualcuno?”
Anita lottò per riacquistare un po’ di controllo sul proprio respiro e battito cardiaco, e gli rispose
ansimando leggermente “Ovviamente no.”
“Pensi di dover andare ad aprire?”
“Hm… chi potrebbe essere?”
Lo sentì tremare in una sincera risata, con l’unico risultato di acuire la sua eccitazione insoddisfatta.
“Sono un vampiro, ma petite, non un indovino…. Comunque posso dirti che è un’umano… anzi più
probabilmente un’umana.”
“Maledizione. Dovrò scendere e vedere chi è.”
Jean-Claude sospirò pesantemente, e la lasciò libera afflosciandosi sul letto al suo fianco.
Maledicendo tra i denti chiunque si trovasse in quel momento alla sua porta, Anita scese dal letto
ricomponendo una parvenza del suo abbigliamento.
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Dopo aver controllato nello spioncino, rimase quasi un minuto davanti alla porta chiusa,
considerando seriamente la possibilità di risalire in camera senza fare rumore.
Invece alla fine si risolse ad aprire.
“Ciao, Anita.”
“Ciao Judith. Cosa ci fai da queste parti?”
“Io… posso entrare un attimo?”
Mentre si scostava per lasciare entrare la sua matrigna, Anita la osservò con diffidenza.
Era perfettamente tirata a lucido, come sempre, del resto. La sua età era molto abilmente mascherata
sotto il trucco impeccabile, la leggera abbronzatura faceva risaltare i capelli biondi sicuramente
schiariti, e il completo casual ma elegante le calzava a pennello, come se fosse pronta per una
sfilata.
Però qualcosa nel suo sguardo comunicava un senso di agitazione, imbarazzo… forse addirittura
timore. Tutti sentimenti normalmente estranei alla moglie di suo padre.
Di cosa aveva paura? Che qualche passante la vedesse entrare nell’antro della strega?
Anita pensò per un attimo dove sarebbe stato più opportuno intrattenerla… poi decise che non le
importava affatto quello che Judith pensava fosse conveniente. Lei si sarebbe sentita molto meglio
con la sua tazza di caffè in mano, quindi si diresse tranquillamente verso la cucina, facendo cenno
in direzione di una sedia accanto al tavolo e tirando fuori un’altra tazza dal mobiletto.
Judith odiava il caffè, e Anita non perdeva occasione per fingere di dimenticarselo, quindi si voltò
verso l’altra donna con il suo migliore sorriso offrendole una tazza piena, se ne versò un’altra per sé
e le portò al tavolo, mettendosi poi a sedere di fronte a lei.
In quel modo dava le spalle alla porta della cucina, e questo la fece sentire leggermente a disagio.
Ma caspita, era casa sua, non avrebbe certo dato la soddisfazione a Judith di chiederle di spostarsi,
ammettendo in questo modo che il tipo di vita che conduceva non le permetteva di stare seduta
tranquillamente nemmeno nella propria cucina.
Era sempre così.
Tutte le volte che incontrava quella donna il suo cervello smetteva di funzionare correttamente,
cominciava a crearsi un migliaio di paranoie, e il risultato era sempre lo stesso: sentirsi inadeguata
di fronte alla donna che aveva voluto sostituire sua madre.
Visto che Anita non si preoccupava di sostenere la minima conversazione, Judith si schiarì la voce e
prese l’iniziativa con evidente fatica, ma dopo un’esitazione iniziale sembrò optare per un
argomento abbastanza neutrale.
“E’ carino questo posto… ma non è un po’ isolato dal resto del mondo?”
“Sì, l’ho scelto apposta” Non aggiunse: ‘per evitare ai vicini di casa di farsi sbranare da zombie
infuriati, o impallinare da killer professionisti’.
“Bene… immagino che debba essere tu a ritenerti soddisfatta…”
“Come mai sei qui Judith? Non sei mai venuta da sola a trovarmi negli ultimi anni” e si morse
subito la lingua. Non voleva mica farle pensare che avesse aspettato con ansia una sua visita?
“Io… sono qui perché…” lasciò andare un sospiro e sparò la frase come un proiettile “perché Josh
mi ha raccontato tutto”
Oh. Questo. Chissà che versione pittoresca doveva averle rifilato il suo adorabile fratellino, per farla
sentire obbligata ad andare fino a casa sua per parlarle. Anita la guardò con diffidenza.
“Josh sta bene vero?”
“Sì, per fortuna ora sta bene, e la cosa più importante è che non è stato morso.”
Il senso di sollievo fece decontrarre le spalle ad Anita.
“Grazie per avermi portato la notizia… ma non dovevi disturbarti, sarebbe bastata una telefonata.”
“No, no… Josh ci ha detto davvero *tutto*. Tutto quello che hai fatto per lui. Il rischio che hai
corso, e anche del … di quel … del tuo … amico che è rimasto con quei mostri al posto suo!”
Ora il discorso stava prendendo una piega davvero interessante. Anita aspettò in silenzio.
“Oh, insomma, Anita, ho pensato che era doveroso almeno venire a ringraziarti! Ti dobbiamo la
salvezza di Josh e… questo per noi è importante. Molto importante. Significa che nonostante tutto
102
la tua famiglia è ancora nel tuo cuore, che sotto la facciata da dura i tuoi sentimenti sono ancora
buoni, che…”
Anita non riuscì a reggere oltre.
“Non l’ho certo fatto per te o per quella sacra enità che tu consideri la famiglia. Josh è mio fratello,
gli voglio bene, avrei fatto qualsiasi cosa per riportarlo a casa sano e salvo.” Guardò freddamente
Judith che era rimasta interdetta.
“Ma certo, cara! Ascolta… tuo padre mi ha detto che decidere di metterti contro i mostri è stata una
scelta difficile. Liberarti della loro influenza, del loro fascino malvagio che ti ha irretita,
probabilmente è stata una delle prove più difficili che hai dovuto affrontare… ma finalmente ce
l’hai fatta! Ora devi aver capito che la tua vita non si deve mescolare con la loro!”
Anita si sentì montare il sangue alla testa. Ecco qual era il vero motivo per cui Judith era lì. Altro
che ringraziamento. Quello era stato solo la scusa banale, l’imbarazzo di non poter fare finta che lei
non esistesse dopo quello che era successo a Josh. Ma ciò che premeva di più ai suoi premurosi
familiari era che lei non si ‘mescolasse’ più ai vampiri. O forse a *quel* vampiro. E Judith era lì per
averne la conferma. Magari se fosse stata sicura che la sua figliastra non andava più a letto con un
mostro avrebbe potuto smettere di vergognarsi con le sue amiche.
“Sai, Judith, è stato molto gentile da parte tua venire a ringraziarmi. Però forse c’è qualcun altro a
cui dovresti porgere i tuoi ringraziamenti.”
“Ah. Sì?”
“Intendo dire a Jean-Claude, ovviamente. Si è prestato ad uno scambio che poteva risultargli
fatale… ed è finito tutto per il meglio solo grazie ad una serie di fortunati eventi. Quindi penso
proprio che un minimo di gratitudine sarebbe doverosa…”
La faccia di Judith si deformò in una specie di smorfia, abbassò gli occhi nervosamente, poi li rialzò
torcendosi le mani. Un assortimento di esternazioni fisiche veramente impagabile.
“S-sì. Immagino che tu abbia ragione. Immagino che potresti riferirgli quanto siamo riconoscenti
anche a lui quando avrai occasione di incontrarlo…”
“Ma non mi hai appena detto che speravi che io avessi definitivamente smesso di frequentare i
vampiri? Vorresti per caso che lo chiamassi, che magari mi incontrassi apposta con lui per
ringraziarlo da parte tua?”
Anita osservò con un sorrisino beffardo la sua matrigna. Le sembrava di vedere le rotelline del suo
cervello arrovellarsi per uscire dalla situazione in cui si era cacciata. Oh, certo. Sarebbe stata molto
contenta di potersi far di nuovo vedere in pubblico con la sua figliastra…. Ma non a costo di dover
andare di persona a ringraziare un master vampiro. Judith era terrorizzata dai vampiri, ed era già
tanto che riuscisse ad ammetterne l’esistenza. Aveva sempre negato di averne mai incontrato uno, e
magari era anche vero.
“In effetti non hai tutti i torti cara…. Però immagino che il Master della città non abbia tempo per
incontrare una persona qualsiasi come me, o tuo padre. Magari potrebbero bastare due righe? Cosa
ne pensi?”
Anita si trattenne per non scoppiare a ridere davanti allo sguardo speranzoso di Judith. Oh, sì,
questa volta forse non sarebbe stata lei ad uscire dal loro incontro con la coda tra le gambe.
“Ma non ce n’è affatto bisogno, Judith! Posso darti anche immediatamente l’occasione di
ringraziarlo in modo adeguato e di persona!”
Judith le sembrò per un attimo perplessa dalla sua risposta, ma di colpo un’espressione di totale
sbalordimento le si dipinse sulla faccia, tanto che Anita si chiese il perché di tale reazione.
Poi si rese conto che la donna fissava a bocca aperta un punto dietro le sue spalle e si girò a
guardare.
Come un attore che conosce esattamente il momento per fare la sua entrata, Jean-Claude stava
scendendo le scale, lentamente, a piedi nudi, accarezzando la ringhiera in una maniera talmente
provocante da farle sentire quella carezza direttamente sulla nuca.
Ci mancò poco che anche lei rimanesse a bocca aperta.
103
Il vampiro aveva raccolto i capelli in una morbida coda di cavallo, la camicia, candida quasi quanto
la sua pelle, si muoveva languidamente intorno ai suoi fianchi sopra i pantaloni aderentissimi. Dallo
scollo ampio, senza bottoni, trattenuto solo da un sottile cordino di seta, si intravedeva il
movimento guizzante della spalla che accompagnava la sua camminata aggraziata e felina.
Sembrava appena uscito da un set di Fanfan la Tulipe.
Si avvicinò sorridendo alle due donne, si chinò verso Anita e la baciò sulla bocca. Un bacio lieve,
come il battito d’ala di una farfalla, ma che durò sicuramente più a lungo di quanto le buone
maniere prescrivessero in presenza di estranei.
Quasi senza staccarsi dalle sue labbra le mormorò “Non mi presenti alla tua ospite?”
Judith non gli aveva staccato gli occhi di dosso un solo istante. Anita ringraziò il cielo che JeanClaude non stesse cercando di ipnotizzarla, perché dall’espressione dipinta sulla faccia della donna
ci si poteva aspettare che cadesse ai suoi piedi da un momento all’altro.
Cercò di mantenersi seria – con scarsi risultati – mentre pronunciava le amenità di rito.
“Judith, ti presento Jean-Claude, il Master di St. Louis. Jean-Claude, questa è Judith, la moglie di
mio padre.”
Il vampiro girò intorno al tavolo per trovarsi davanti a Judith, le sollevò con delicatezza una mano e
inchinandosi leggermente se la portò alle labbra, lasciandola andare dopo averla sfiorata appena.
La donna continuò a seguirlo con gli occhi mentre lui ritornava verso Anita, scivolava alle sue
spalle, infilandosi tra lei e lo schienale della sua sedia, e la circondava possessivamente con le
braccia.
Poi con la più completa nonchalance, il vampiro dava inizio alla conversazione con la sua matrigna.
“Scusate se non vi faccio compagnia per il caffè. Magari farò colazione… più tardi.”
Anita ringraziò il cielo che in quell’istante non stesse bevendo il caffè, altrimenti si sarebbe
strozzata. Poi accorgendosi dello sguardo terrorizzato di Judith, pensò che fosse sul punto di
schizzare in fuga verso l’uscita. Forse era il caso di intervenire?
“Judith, come ti stavo dicendo, hai l’occasione per dire a Jean-Claude quello che avevi in mente…”
Finalmente ottenne una piccola reazione, anche se la voce di Judith risultò particolarmente
tremante.
“Io… io e mio marito siamo molto riconosenti per quello che ha fatto per nostro figlio Josh…”
“Josh è un ragazzo in gamba, e mi dispiace moltissimo che abbia dovuto subire una simile
esperienza”
La voce calma e seria di Jean-Claude sembrò tranquillizzare leggermente l’altra donna, e Anita si
lasciò cullare dal suono della conversazione, mentre ogni centimetro del suo corpo era consapevole
della presenza avvolgente del vampiro seduto dietro di lei.
Quando riprese di nuovo ad ascoltare quello che stavano dicendo, Jean-Claude si stava scusando per
aver coinvolto la loro famiglia in una rappresaglia vampiresca, e Judith gli stava enfaticamente
assicurando che no, no, non doveva scusarsi, le terribili esperienze si trovavano in agguato ogni
giorno dietro l’angolo per tutti… che la delinquenza era davvero una piaga della società, umana e
non, e che i giovani erano sempre le prime vittime innocenti…
Qualche minuto dopo Judith era passata a domande piuttosto personali sulla vita da vampiro, e
Jean-Claude rispondeva con educatissime perifrasi cercando di non mettere in imbarazzo la sua
interlocutrice.
Alla fine Judith sedeva tranquilla e sorridente di fronte a lei e stava proponendo nientemeno che una
riunione di famiglia a cui stava invitando anche Jean-Claude.
Certo, non si era spinta fino ad un invito a casa propria – qualche informazione sui vampiri doveva
pure esserle arrivata alle orecchie – però i due stavano mondanamente discutendo sulla scelta del
ristorante. Si riscosse soltanto quando Jean-Claude le chiuse delicatamente la mandibola con una
carezza della mano. Judith si stava alzando e iniziava a salutare.
Mentre la accompagnavano verso l’uscita Anita riuscì sì e no a profferire quattro parole. La porta si
richiuse sopra le ultime promesse di sentirsi quanto prima possibile per organizzare la famosa
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riunione. Subito dopo si voltò verso il vampiro, il cui sorriso raggiante fece montare ulteriormente
la sua collera.
“L’hai ipnotizzata!!”
Jean-Claude sgranò gli occhi in un esagerato sdegno “Io? Mais non, ma petite!! Non mi sarei mai
permesso di ipnotizzare la tua matrigna!”
“Devi averla ipnotizzata per forza. Judith ha un sacro terrore dei vampiri. Si suppone che avrebbe
dovuto estrarre la croce e urlare vade retro satana, *non* invitarti ad una cena di famiglia!”
“Sembri quasi dispiaciuta che non sia rimasta traumatizzata dalla mia presenza…”
“Ma *è* rimasta traumatizzata! Solo non nel modo che avrei… uh… previsto.”
“Avresti preferito così? Dovevo scoprire le zanne e farle ‘BU!’?
Dovette pensare alla risposta. Le sarebbe piaciuto spaventare a morte Judith? Farle capire che il suo
potere, quel potere che la sua famiglia aveva odiato e disprezzato, ora le permetteva di tenersi in
casa tranquillamente un feroce vampiro? Farle capire che doveva restarle il più possibile lontana?
Perchè lei era amica dei mostri, quindi le piccole malignità domestiche ormai non la fioravano
nemmeno di striscio?
Certo sarebbe stata una soddisfazione non da poco. Però dopo il risultato immediato di farla
scappare urlando non avrebbe ottenuto altri effetti speciali. Scosse la testa sorridendo.
“Sei un incorreggibile seduttore…”
“Dopo la fatica che ho fatto per sedurre te, ma petite, ogni tanto ho bisogno di riconsolidare la mia
autostima”
Anita sbuffò, poi cercò di infondere nel suo sguardo tutta la malizia di cui era capace.
“Non stavamo facendo qualcosa di interessante prima di essere interrotti?”
In confronto allo sguardo che le restituì Jean-Claude, il suo poteva sembrare al massimo quello di
una dodicenne inesperta.
“Chi arriva prima in camera può stare sopra”
“Non è valido. Tu sei un vampiro!” Ridendo, Anita corse verso le scale.
Jean-Claude la seguì camminando.
Molto lentamente.
END
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