DIRITTI RISERVATI - SIAE
LA
STREGA
REGINA DEL SOLE
D‟ORIENTE
Romanzo
Elisabetta Errani Emaldi
Questo racconto ha conseguito il secondo Premio del Concorso
Letterario Internazionale
“Miguel de Cervantes”
Sottotitolo
Odissea di una nave da crociera e del suo
equipaggio, accompagnati dalle
premonizioni della "Strega Regina del
Sole d'Oriente". A contatto col misterioso
mondo orientale, tra Singapore e
Jakarta, minacciati da razzismo,
ammutinamenti, uragani, incendi e fumo
tossico che impedisce la navigazione.
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NOTA DELL‟AUTRICE
“La Strega Regina del Sole d‟Oriente”
è una storia vera, avvenuta nel 1991 a Singapore,
a bordo della nave “Orient Sun”.
“ La Strega Regina del Sole d‟Oriente”
è anche il soprannome che mi hanno dato gli ufficiali
testimoni dei miei sogni premonitori.
I personaggi della mia libro e sceneggiatura sono reali,
ma, per motivi ovvi, ho cambiato
loro il nome, eccetto per i testimoni.
Ad ogni modo, desidero elencare i nomi e
le qualifiche degli Ufficiali testimoni, gli stessi che mi
hanno permesso di usare il loro nome nella sceneggiatura:
Capitano Philip Rentell, inglese
Ingegnere elettronico Edward Gibbs, inglese
Direttore di macchina Peedu Post, svedese
Assistente direttore di macchina Kristian Hedelin, svedese
Ch. radio telegrafista Richard Fernandez, malese
2nd. radio telegrafista Maung Aung Naing, birmano
Dottore di bordo Win Naing, birmano
Assistente commissario Shirley Kok, di Singapore (deceduta nel 1999)
Direttore di crociera Colin Mc. Ewan, australiano
Assistente direttore di crociera Luisa Otes, australiana
Tutti i personaggi elencati sono testimoni dei miei sogni premonitori.
Dott. David Ryback, psicologo americano d‟Atlanta, scienziato a cui ho
spedito tutti i miei sogni da Singapore.
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Links dei 5 vide dei testimoni dei
sogni premonitori di Elisabetta errani emaldi
Video 1/5
http://www.youtube.com/watch?v=l2X7GDJ6FwY
Video 2/5
http://www.youtube.com/watch?v=pLA0XdOtk9M
Video 3/5
http://www.youtube.com/watch?v=Y613IzmrMfY
Video 4/5
http://www.youtube.com/watch?v=wEQpcPkTV-A
video 5/5
http://www.youtube.com/watch?v=3gLZT9Z7zzU
INDICE
PRIMO CAPITOLO: LETTERA DALLA FINLANDIA
SECONDO CAPITOLO: SOLE D‟ORIENTE
TERZO CAPITOLO: VERSO L‟ORIENTE
QUARTO CAPITOLO: GLI SBARCHI
QUINTO CAPITOLO: IL PRINCIPE INDIANO
SESTO CAPITOLO: INVITO AL MYSTERY CLUB, A JAKARTA
SETTIMO CAPITOLO: RISCHIO QUARANTENA.
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OTTAVO : I BAMBINI DEL “SOLE D‟ORIENTE” E L‟AMMUTINAMENTO
NONO CAPITOLO: I BAMBINI DEL “SOLE D‟ORIENTE” E L‟ADDIO
DECIMO CAPITOLO: LE BUONE E LE CATTIVE NOTIZIE
UNDICESIMO CAPITOLO: MALINTESI
DODICESIMO CAPITOLO: ALCUNI SOGNI COLLETTIVI
TREDICESIMO CAPITOLO: SOFFERENZA DI LOLITA
QUATTORDICESIMO CAPITOLO: L‟ATTESA DURANTE L‟ARRIVO DELLE
PIOGGE
QUINDICESIMO CAPITOLO: FUGA ALLA FINE DELLE FESTE
SEDICESIMO CAPITOLO: L‟ALLARME A NOTTE FONDA
DICIASETTESIMO CAPITOLO: FINALMENTE IL SOSPIRATO SBARCO
DICIOTTESIMO: EPILOGO.
C’è una verità elementare - la cui ignoranza uccide innumerevoli idee e
splendidi piani: nel momento in cui uno si impegna a fondo, anche la
Provvidenza allora si nuove e infinite cose accadono per aiutarlo, cose
che altrimenti mai sarebbero avvenute… Qualunque cosa tu possa fare
o sogni di poter fare, incominciala. L’audacia ha in sé genio, potere e
magia. Incominciala adesso.
W Goethe
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PRIMO CAPITOLO: LETTERA DALLA FINLANDIA
Il 21 aprile 1992, ero in giardino a godermi il delicato venticello che mi danzava
intorno accarezzandomi e ad ammirare i fiori che splendevano sotto un sole
dorato.
Camminavo tra le magnifiche piante con le nuove foglie color smeraldo, che
parevano illuminare il giorno, quando fui attratta dalla magnificenza della mia
magnolia fiorita, che oscillava al vento dandomi la sensazione di vedere una nuvola
di colori danzare contro il cielo azzurro.
Ogni tanto i rami fioriti regalavano i suoi petali rosa-lilla al vento, che li
raccoglieva tra le sue ali trasparenti e li cullava facendoli danzare come farfalle,
poi li posava dolcemente ai miei piedi.
Commossa da quello splendido scenario, tra i cinguettii degli uccelli, il sole che
inviava i suoi raggi caldi e luminosi intorno, ravvivando i colori incantevoli della
natura, mi sedetti a meditare al tavolino sotto la magnolia.
Ero rilassata e, mentre i profumi dei fiori nell‟aria mi inebriavano, udii il
rumoroso motorino della postina avvicinarsi e fermarsi davanti a casa mia. Alzai lo
sguardo e vidi la postina che sventolava qualcosa.
- Una lettera per lei dalla Finlandia – gridò tra gli scoppiettii del suo motorino.
Mi alzai, la raggiunsi e, mentre prendevo la lettera che mi porgeva, mi sorrise, io
la ringraziai e tornai a sedermi sotto la magnolia.
Notai la calligrafia sulla busta, era di Edward, un mio caro amico, emozionata
aprii la busta e lessi:
Kotka, Finlandia 03 marzo 1992
Cara Elisabetta,
finalmente la motonave Orient Sun non esiste più, una compagnia
finlandese l‟ha presa in consegna e sarà chiamata Wasa Queen.
Funzionerà da traghetto, tra Finlandia e Svezia.
Io mi trovo con cinquanta membri dell‟equipaggio in un bellissimo
hotel, in attesa di volare a casa. Fuori c‟è molta neve e la
temperatura è di +3 gradi centigradi. Speriamo tutti di poter
tornare a casa prima possibile. Tu come stai? Vorrei sapere se hai
ricevuto notizie dal dott. David Riback e se hai fatto vedere la
videocassetta con i testimoni ad altre persone; la mia famiglia,
quando l‟ha vista, è rimasta impressionata.
Durante questo viaggio fuori Singapore, mi sei mancata, non
dovendo più scrivere i tuoi sogni premonitori, per esserti testimone.
Devo ammettere che tu sei peggio di un capomastro: ad ogni modo
per me è stata una piacevolissima esperienza. Devi sapere che
Peedu è rimasto a bordo dell‟Orient Sun, il grosso Jan è ritornato,
ma poi l‟hanno trasbordato a bordo della nave Asean World.
Ante ci ha raggiunto a Singapore e si è imbarcato su un
traghetto che trasporta automobili dal Giappone all‟Europa. Richard
è qui con me e presto tornerà a casa per una vacanza. Il resto
dell‟equipaggio tornerà nelle Filippine domani. Io dovrò prendermi
un mese per farmi dei piedi nuovi, visto che le caviglie continuano a
darmi dei problemi, forse dovrò farmi i piedi d‟acciaio inossidabile!
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E la Strega Regina del Sole d‟Oriente ha avuto tempo di iniziare
a scrivere il libro? Cara, spero che tutti i tuoi progetti si realizzino.
Siccome sei una donna forte come un cavallo, riuscirai a dimostrare
alla gente la verità.
Affezionatissimo Edward.
Durante la lettura della lettera, mi venne in mente la scena dell‟addio sul
portellone di sbarco, in rada, a Singapore, mentre abbracciavo commossa
tutti i miei meravigliosi amici. Le lacrime mi rigarono il volto ancora una
volta, commossa me le asciugai con le mani, poi sorrisi e meditai
sull‟incredibile odissea vissuta a bordo della nave “Orient Sun”, tra
Singapore e Jakarta.
SECONDO CAPITOLO: SOLE D‟ORIENTE
Centinaia di navi in rada sembravano danzare intorno alla loro ancora,
bloccata nel fondo marino. Mille raggi di luci scaturiti dal sole correvano
qua e là, contro quelle carcasse di metallo ed esplodevano, lasciando cadere
nelle acque del mare cascate di scintille.
Le nuvole bianche fuggivano lontano, trascinando le loro ombre
multiformi sull‟immenso mare azzurro. I grattacieli di Singapore spuntavano
prepotenti contro il cielo striato di bianco, fra la bellissima vegetazione
tropicale dell‟isola malese. Il mio sguardo ritornava a fissare le centinaia di
navi che circondavano la m/n “Orient Sun”, dalla quale vedevo
l‟emozionante paesaggio.
Le silenziose navi da carico stavano in attesa del loro turno per
raggiungere il movimentato porto di Singapore. Le gigantesche sagome poco
piacevoli, dai colori tenebrosi, di quelle imbarcazioni m‟inquietavano,
dandomi la sensazione di osservare un cimitero di metallo. Quello strano
pensiero mi fece rabbrividire, mentre una nota di tristezza risuonava
dentro di me.
In lontananza, contro il sole, notai le minacciose forme scure delle isole,
che si perdevano verso il mare Cinese. Il mio sguardo correva lontano su
quel misterioso paesaggio, mentre mi chiedevo per quanto tempo sarei stata
costretta a restare prigioniera di quelle lamiere, a bordo della moto nave.
Il desiderio di ritornare a casa era forte ed esplodeva dentro di me con
prepotenza. Mi consolavo pensando che forse, un giorno non troppo
lontano, sarei riuscita a liberarmi da questo incubo e partire al tramonto,
con uno di quegli aerei che ogni sera vedevo decollare dall‟isola e sfrecciare
verso l‟Europa.
Il ricordo mi portò indietro nel tempo, a quando un mattino di primavera
mi ero svegliata nella mia casa, in Italia, mentre riaffiorava dall‟inconscio un
sogno premonitore che mi annunziava l‟inizio di un‟odissea incredibile e
straordinaria, a bordo della “Orient Sun”.
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Nel sogno mi vedevo a bordo di una nave, all‟interno del negozio, in
compagnia di una donna con occhi azzurri, capelli biondi e corti, sulla
cinquantina. Indossava un‟uniforme blu con camicetta bianca (la solita
divisa che indossavo sulle navi da crociera). Poco lontano, in un angolo,
scorgevo mio padre che mi guardava preoccupato. In quel mentre mi resi
conto di avere la bocca inondata di sangue, corsi alla toilette, ma un muro
mi bloccò il passaggio; stava crescendo a vista d‟occhio, così lo saltai
velocemente, ad un‟altezza di circa un metro, prima che diventasse
insuperabile. Accettai di buon grado il messaggio che mio padre mi aveva
inviato, anche se prevedeva problemi di salute.
Presto mi sarei imbarcata a bordo di una nave, dove probabilmente avrei
avuto dei problemi di salute, che naturalmente avrei superato
tempestivamente. Mio padre era morto nel 1989 e fin d‟allora mi aveva
sempre aiutato indicandomi gli eventi più importanti che mi sarebbero
capitati nel futuro. Tutto questo mi dava la possibilità di accettare nel modo
migliore anche gli eventi più spiacevoli, sapendo che tutto quello che mi
capitava sarebbe stato ciò che mi serviva per la mia crescita interiore. Per
questa ragione ero riconoscente a papà e al mio maestro interiore, che mi
davano la possibilità, attraverso i loro messaggi, di prepararmi ad affrontare
nel modo migliore il mio destino.
Una settimana dopo, mi svegliai ancora una volta con le immagini di un
paese orientale, in cui cercavo di risolvere una marea di problemi, mentre
all‟improvviso una pioggia tropicale mi cadeva addosso, senza bagnarmi. Poi
vedevo mia madre di fronte a me, che m‟indicava una nave in lontananza,
ferma in un porto straniero.
- Tuo padre - mi diceva mia madre - non è potuto venire, ma mi ha
mandato per dirti di non preoccuparti, perché ti guarirà con l‟aiuto di un
principe indiano.Mi alzai e dopo le abluzioni andai in cucina per farmi un caffè, quando
qualcuno suonò al campanello. Era la mia amica Marzia. Decidemmo di fare
colazione insieme, nel giardino sotto al gazebo. Preparai tutto in fretta, poi
uscimmo e, mentre eravamo sedute all‟ombra del rampicante a sorseggiare il
nostro caffè, Marzia domandò curiosa:
- Allora sei convinta che presto ti chiameranno per un imbarco, vero? –
- Certo, - risposi - l‟ho capito dopo aver analizzato i messaggi dei due sogni.
Marzia mi fissò dubbiosa, rimase in silenzio per un attimo, bevve l‟ultimo
sorso di caffè. Poi preoccupata domandò:
- Sei sicura che questi sogni siano premonitori? Dopo i seri problemi che
hai avuto alla vista, ho paura che ti sarà impedito l‟imbarco, dai medici
della cassa marittima, alla visita.
Il volto mi si rabbuiò di colpo, Marzia aveva toccato un tasto che non mi
piaceva per niente, allora brontolai:
- Per favore Marzia, non me lo ricordare anche tu! Comunque i messaggi dei
due sogni mi assicurano l‟imbarco, quindi alla visita andrà tutto bene,
vedrai?- Marzia mi fissò dubbiosa, poi per non innervosirmi ulteriormente
cambiò discorso.
Circa venti giorni dopo, un rappresentante della mia compagnia di
Venezia mi telefonò per comunicarmi che dovevo imbarcarmi d‟urgenza
sulla m/n “Orient Sun, “ che si trovava in Grecia, nel porto del Pireo.
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Il mio compito era di salire su quella nave come ispettrice ed insegnare
ad un ex hotel manager, la signora Lilian, d‟origine tedesca, il mestiere di
shop manager. Alfio, il maestro di casa, aveva chiesto alla compagnia
d‟imbarcarsi insieme a Lilian, la sua amante. Il capo mi spiegò che avrei
dovuto decidere quando Lilian fosse stata in grado d‟esercitare la
professione di shop manager; poi mi avrebbe imbarcata su un‟altra nave.
Il ventinove maggio 1991 andai a Genova a fare la visita preventiva
d‟imbarco alla Cassa Marittima. Il primo giorno di giugno, la mamma e mia
sorella Rossana mi accompagnarono in ufficio a Venezia.
Dopo aver ricevuto le istruzioni necessarie dal mio capo, sig. Delopera,
raggiungemmo l‟aeroporto di Venezia. L‟aereo per Roma sarebbe decollato
verso le 16.00.
Mentre aspettavo l‟imbarco brontolai:
- Delopera mi ha detto che la mia collega Lilian mi aspetta a Roma al
counter della sala d‟imbarco, ma non la conosco. Rossana suggerì:
- Chiedi ad un hostess di chiamartela al microfono. Mia Madre mi fissò e raccomandò:
- Ti prego, Elisabetta, riguardati e proteggi la tua vista. - Non ti preoccupare mamma, stai tranquilla. - Sono preoccupata, - brontolò Rossana - te ne vai in giro per il mondo con
soli sette decimi di vista con le lenti a contatto. Ma mi vuoi spiegare come
hai fatto a Genova a superare la visita d‟imbarco?- Mamma sospirò
addolorata poi assicurò:
- Sono state ascoltate le mie preghiere, non vorrai che alla sua età perda il
lavoro? –
- Pensate, - spiegai sorridendo,- non ho neanche dovuto mentire, il dottore
mi ha fissato negli occhi e vedendo che non portavo occhiali da vista ha
sussurrato che la vista era apposto. - Rossana mi fissò seria e concluse:
- Credo proprio, a questo punto, che papà ti stia proteggendo.
Infine, A malincuore, abbracciai mia madre e Rossana, quindi passai il
controllo doganale ed entrai nella sala d‟attesa per l‟imbarco. Poco dopo,
quando l‟hostess di terra invitò i passeggeri a seguirla, mia madre e Rossana
m‟inviarono l‟ultimo saluto da dietro la rete divisoria. In quel momento un
nodo mi strinse la gola. Quella rete che ci divideva mi fece sentire la
separazione ancora più triste.
Salii la scaletta che mi portò all‟interno dell‟aereo, poi uno “steward”
m‟indicò il posto e gettò la mia borsa nel portabagagli sopra di me. Nel
frattempo il comandante annunciò che, a causa del traffico, saremmo partiti
per Atene con un‟ora di ritardo.
La cosa mi rese ancora più triste, ma per fortuna l‟aereo per Atene
partiva da Roma verso le 19.00, perciò mi tranquillizzai sapendo che non
l‟avrei perso. Ritornai a pensare a mia madre e a Rossana che aspettavano il
decollo dell‟aereo aggrappate alla rete. Fortunatamente era una bellissima
giornata di sole, così il tempo sarebbe passato più in fretta. Dall‟oblò,
mentre osservavo gli stupendi aerei correre sulla pista e alzarsi verso il
cielo azzurro, mi pareva di percepire la presenza di papà fluttuare intorno a
me. Poi ebbi il flash back di una discussione avuta tanti anni prima, proprio
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sui sogni premonitori. Io mi scagliavo furiosa contro papà e gridavo fuori di
me:
- Insomma papà, perchè sei così scettico e non credi che la mamma ed io
abbiamo sogni premonitori?
- Voi siete due pazze, - gridava papà furioso - io non ci credo, sono solo
delle sciocchezze. Non voglio mai più tornare su questo maledetto
argomento! Mamma ed Io ci fissavamo sconvolte, mentre arrabbiato papà, se ne
andava sbattendo la porta.
- Elisabetta, - brontolava mamma - è inutile che insisti, tuo padre è come
suo fratello Mino e in realtà in famiglia sono tutti scettici! Quindi lascia
perdere! - Incomprese e deluse Mamma ed io ci abbracciavamo.
Infine l‟hostess annunciò la partenza e mi distolse dai miei pensieri. Le
ruote del carrello incominciarono a muoversi, poi a correre, e l‟aereo si
alzò sicuro verso il cielo azzurro.
Pochi minuti dopo mi trovai in mezzo alle nuvole bianche. Lassù i raggi
del sole splendevano ovunque, creando nella mia fantasia paesaggi
misteriosi, castelli bianchi perforati da luci colorate che ad ogni occhiata
sembravano cambiare forme e colore.
M‟abbandonai ad osservare quel mondo avvolto da sagome misteriose,
che sembrò rilassarmi e rendermi perfino felice. In poco tempo mi resi
conto che stavamo atterrando all‟aeroporto di Roma.
Il mio capo mi aveva spiegato che avrei incontrato Lilian nella sala
d‟attesa all‟imbarco per Atene. Mi guardai attorno, ma non sarebbe stato
facile incontrare qualcuno che non conoscevo. Poco dopo domandai
all‟hostess, al “counter”, se gentilmente poteva chiamarmela al microfono,
perché all‟arrivo ad Atene noi avremmo dovuto raggiungere insieme la nave
al Pireo, con un taxi. L‟hostess si rifiutò di aiutarmi, le risposi aspra che era
pagata per aiutare i passeggeri; mi fulminò con lo sguardo, gridando che il
capo aveva proibito loro di fare annunci per microfono.
Infine, quando m‟avviai in fila all‟imbarco dietro la gente, notai che stavo
di fronte all‟hostess poco gentile, che come mi vide gridò: - Lei è fortunata
perché ho da fare, altrimenti l‟avrei già denunciata.Le consegnai la carta d‟imbarco e ridendo risposi:
- Che cosa deve denunciare signora? Sarebbe meglio che lei imparasse le
buone maniere, altrimenti cambi mestiere! –
La gente osservava curiosa la scena mentre l‟hostess mi lanciava
un‟occhiata furiosa, e dalla stizza rimase senza parole. Entrando sull‟aereo
pensai che la scortesia era una cosa che lasciava una forte amarezza dentro
e, per questa ragione, non avrei mai voluto essere così con gli altri.
Mi sedetti ancora una volta vicino al finestrino, pensando che era
fantastico poter ammirare i bellissimi paesaggi tra le nuvole. Due signori
anziani si sedettero nei sedili di fianco a me sorridendo dolcemente,
ricambiai il saluto e mi girai verso il finestrino ad ammirare il meraviglioso
tramonto che inviava i suoi raggi potenti fra le sagome scure degli splendidi
aerei, che si muovevano verso il decollo.
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All‟annuncio dell‟hostess, allacciai la cintura di sicurezza e, mentre
l‟aereo si alzava, esplosioni di luci si allungavano su e giù per il cielo
infuocato. In quell‟attimo una terribile malinconia s‟impadronì di me, le
lacrime scesero veloci rigandomi il volto. Non volevo farmi notare dai due
anziani, quindi angosciata mi nascosi dietro la tendina dell‟oblò e continuai
a singhiozzare disperata e a fissare il vuoto. Infine mi asciugai le guance con
le mani e respirai piano nel tentativo di reprimere quell‟angoscia che mi
deprimeva: sentivo di dover affrontare un futuro pieno d‟insidie.
Ero sorpresa, non mi era mai capitata una cosa del genere: riflettendo,
mi resi conto che era la prima volta dopo tanti imbarchi che mi succedeva.
Tentai di calmarmi, mentre uno “steward” annunciava che la signora
Elisabetta Errani Emaldi doveva presentarsi ad un assistente di volo. Mi alzai
in piedi cercando di nascondere l‟imbarazzo che avevo dentro e chiamai
un‟hostess, che gentilmente m‟accompagnò da una signora dagli occhi
azzurri come il mare, con capelli corti e biondi, sui cinquant‟anni che
allungandomi una mano e sorridendo disse in lingua spagnola:
- Ciao Elisabetta, sono Lilian! - Finalmente, avevo perso le
stringendole la mano con piacere.
speranze
d‟incontrarti!
-
risposi
- Parli anche italiano? - domandai curiosa.
- Un poco, anche tu però non hai problemi, in ufficio mi hanno informato
che parli quattro lingue, vero? - Sì, pure tu sei una poliglotta! - ammisi mentre lei si passava una mano
sui capelli.
Notai il suo forte accento tedesco mentre parlava in spagnolo,
mescolandolo con parole italiane. Provai per Lilian un‟immediata simpatia.
Mi resi conto che quel viso non mi era nuovo, pensavo di averlo già visto da
qualche parte, poi mi venne in mente che l‟avevo sognato per la prima volta
alcuni mesi prima. L‟evento non mi stupì molto, non era la prima volta che
mi accadeva.
Poco dopo fui pregata di tornare al mio posto e uno dei due signori che
avevo vicino si mise a conversare con me. Scoprii che stavo parlando con un
dirigente della compagnia aerea. Dopo avergli raccontato l‟esperienza con
una delle sue hostess, mi spiegò che era proibito fare troppi annunci,
disturbavano i passeggeri.
Aggiunse però che, nel mio caso, l‟hostess avrebbe dovuto aiutarmi.
Infine il signore mi confessò che era lui la persona che aveva ordinato di
limitare gli annunci. Poi mi fissò serio e mi domandò di descrivergli
l‟hostess, ma mi rifiutai, non avendo intenzione di vendicarmi. L‟uomo mi
sorrise sorpreso, mentre l‟aereo toccava terra con il carrello, facendoci
sobbalzare.
Dopo lo sbarco andai ad aspettare Lilian nel salone, dove sarebbero usciti
i nostri bagagli. Vidi Alfio, l‟ufficiale amante di Lilian, che mi salutò con la
mano da dietro le sbarre che lo separavano dalla dogana.
- Vi aspetto qui davanti, vicino al taxi! - gridò sorridendo.
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Intanto arrivò anche Lilian e i nostri saluti echeggiarono insieme nel gran
salone. Lilian mi chiese se avevo un dollaro per prendere un carrello con cui
trasportare i nostri bagagli. Il solo dollaro che avevo rappresentava per me
un portafortuna, perché era appartenuto a mio padre. Per molti anni egli lo
aveva custodito dentro al portafoglio che gli avevo portato dall‟America.
Mia madre, quando me lo consegnò dopo la sua morte, mi spiegò che per
papà era stato un portafortuna, perciò ora dovevo tenerlo io.
Si avvicinò un‟americana con un dollaro in mano e ne fummo sorprese
perché parlavamo spagnolo e la signora non poteva capire quello che
stavamo dicendo.
- Do you speak spanish? (Parla spagnolo?) - domandai.
- I am sorry, I do not speak spanish, but I feel inside me that you need it,
so I like to give it to you (Mi dispiace, non parlo spagnolo, ma sento dentro
di me che avete bisogno di un dollaro e voglio donarvelo) - rispose la
signora sorridendo.
Noi, stupite, accettammo il dollaro ringraziandola di cuore.
- Ieri ho aiutato una persona e oggi il favore è ritornato - gridò Lilian
mentre si recava a prendere il carrello.
Le parole di Lilian mi colpirono, poiché anch‟io credo che si raccolga ciò
che si semina. Infatti l‟energia segue il pensiero, quindi il seme del bene o
del male nasce dal nostro pensiero corretto oppure errato, perciò non
dovremmo lamentarci se la sfortuna ci perseguita, si potrà combatterla
soltanto con uno sforzo di concentrazione sul pensiero positivo.
Quando raggiungemmo Alfio, Lilian felice gli corse incontro e si
abbracciarono teneramente. Infine egli mi strinse la mano e sorridendo
domandò: - Elisabetta, quanti anni sono che non ci vediamo? - Almeno quattro! - dissi sorridendo.
L‟autista ci fece salire e partimmo. La nave era ancora ferma ai lavori, in
uno sperduto porto vicino al Pireo, a circa un‟ora di macchina da Atene. Sul
mio orologio da polso le lancette segnavano le 21.30, era una notte buia,
illuminata dalle luci della città, fra il caos del traffico.
La musica greca che si diffondeva dalla radio di bordo riusciva a
malapena a coprire il frastuono di quei veicoli che correvano frenetici sulle
strade. Infine arrivammo sulle colline del Pireo, dalle quali si vedeva la
bellissima costa fiorita di luci che illuminavano il mare, costeggiato da
migliaia di candide casupole.
Dalla radio la melodia del syrtaki mi fece vibrare di gioia, ricordandomi i
favolosi viaggi che mi avevano riportato tante volte in quella terra, dove ad
ogni angolo di strada si udiva la musica tipica di quei suggestivi villaggi
bianchi.
Alfio interruppe i miei pensieri quando aggiunse che la “Orient Sun” era
in condizioni tragiche e che l‟equipaggio avrebbe sistemato tutto, durante
la traversata tra il Pireo e Singapore. Mi ricordai che il capo a Venezia mi
aveva detto che a bordo della nave c‟erano cinquecento colli di merce, che
avremmo dovuto controllare e sistemare nel negozio di bordo durante i
sedici giorni di navigazione. La nave sarebbe partita senza passeggeri, così
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avremmo avuto tutto il tempo necessario per terminare il lavoro.
Naturalmente, prima d‟iniziare le crociere in Oriente, avrei dato anche
lezioni di computer a Lilian.
Imboccammo l‟entrata del cantiere e proseguimmo per alcuni chilometri
all‟interno di quel terribile e impressionante luogo, dove le grandi navi e
tutti quegli strani macchinari, contro i fari del taxi, mi sembravano mostri
che correvano a nascondersi nel buio della notte.
- Stiamo entrando all‟inferno per caso? – domandò Lilian impressionata da
quel luogo.
- Peggio, mia cara! - rispose Alfio sorridendo.
Finalmente l‟auto si fermò davanti ad un‟enorme nave, dove Alfio scaricò
i nostri bagagli. All‟entrata c‟era il marinaio filippino Rosalito, al quale
consegnammo i passaporti. Notai immediatamente il caos che regnava
attorno, mi sembrò di entrare in un relitto. Non era tutto, il peggio mi stava
aspettando.
Alfio mi accompagnò in cabina, attraversando mezza nave, fra corridoi
semi bui che puzzavano di petrolio, dove mi sentii mancare l‟aria e la
stanchezza m‟aggredì all‟improvviso.
Appoggiò i bagagli vicino alla porta della cabina 112 e mi consegnò la
chiave, affermando che sarebbe venuto a prendermi il giorno dopo, per
colazione. Gli augurai la buona notte e mi affrettai ad entrare in quel
piccolo spazio sperduto nel cuore della gigantesca nave e mi chiusi a chiave.
All‟interno mi trovai in un quadrato puzzolente e poco pulito, per fortuna le
lenzuola sembravano candide.
Entrai in bagno e, quando tirai su il coperchio del water, era tutto sporco
di escrementi; con uno scatto d‟ira feci scendere l‟acqua dello scarico
alcune volte. Volevo uscire da quella piccola prigione e chiedere un‟altra
cabina, ma se fossi uscita mi sarei persa in quel labirinto di corridoi. Era
tardi, non avrei trovato anima viva. Per un attimo mi sentii abbandonata
nelle viscere di quella nave, avrei voluto gridare ma mi sentii senza forze e
senz‟aria, avevo una sete terribile, e non potevo rivolgermi a nessuno, ero
sola in quel piano, perciò mi stesi sul lettino a respirare aria viziata e
puzzolente. Avevo sonno, ma il caldo mi tenne sveglia per tutta la notte.
Al mattino, quando sentii bussare, sospirai: finalmente l‟agonia era
terminata. Con la testa che mi girava, aprii la porta e mi trovai davanti ad
Alfio.- Hai dormito bene?- domandò sorridendo.
- Notte d‟inferno, non ne trascorrerò un‟altra così terribile! - brontolai.
- Mi dispiace, proverò a parlarne al general manager e, se sei fortunata,
ti cambierà cabina - rispose lui serio. Arrivammo nella saletta ufficiali, dove
Lilian faceva colazione. Presi la caraffa dell‟acqua e cominciai a bere
avidamente.
- Penserei che sei appena arrivata dal deserto, se non fossi sicuro di
averti lasciata dormire in una cabina - sghignazzò Alfio.
- Quella cabina è peggio dell‟inferno, non c‟è aria, puzza di nafta e quel
letto è sicuramente piazzato sopra la sala macchine, perché mi sembrava
d‟essere su un letto di fuoco - sbottai tra un sorso e l‟altro.
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- Ecco, ora capisco perché sei in fiamme! Ti avrei trovata carbonizzata,
se tardavo un poco! - sghignazzò Alfio.
Quella sua voglia di ridere mi rammentò l‟allegro personaggio che avevo
conosciuto anni prima..
- Siamo fortunate ad averti su questa nave, con la tua allegria riuscirai a
tenerci su di morale, perché ho la sensazione che dovremo soffrire molto borbottai, mentre stavo versando le ultime gocce d‟acqua nel bicchiere.
- Hai ragione Elisabetta, avremo bisogno di un giullare, per combattere le
delusioni. Pensa che la mia cabina è lurida, e non solo, ma anche la toilette
non funziona - brontolò Lilian posando la tazza sul tavolo preoccupata,
mentre Alfio le versava il caffè.
- Fidatevi di me, oggi parlerò con il general manager e, se non ci
cambierà le cabine, sbarcheremo!- sentenziò l‟ufficiale, accarezzando i
capelli a Lilian.
Si udirono dei passi in corridoio, poi la porta della saletta si aprì e
apparve un bell‟uomo, alto, biondo, dai lineamenti nordici. Notai
immediatamente il colore uniforme dell‟abbronzatura che faceva brillare la
sua pelle, sotto le luci artificiali.
- Buon giorno, comandante! – esclamò Alfio. Lilian ed io salutammo in
coro, mentre l‟uomo ci stringeva la mano.
- Benvenute a bordo! - augurò il capitano. Poi ci girò le spalle, si preparò
un caffè e sparì in silenzio.
Alfio ci raccontò che il capitano era imbarcato con la moglie, incinta di
circa sette mesi. Mi domandai se fosse coraggio o incoscienza affrontare tale
viaggio in quelle condizioni; avevo udito per caso alcuni filippini dare per
certo che saremmo partiti senza il medico e che, probabilmente, non
sarebbero riusciti ad aggiustare la stazione radio prima della partenza,
giacché mancava un pezzo che sfortunatamente sarebbe stato consegnato
solo a Singapore.
Il giorno dopo, il tre giugno, verso le 15.00 saremmo partiti per Colombo,
poi avremmo raggiunto l‟Oriente. Il viaggio sarebbe durato sedici giorni, con
a bordo una cinquantina di marinai, i quali avrebbero tentato di verniciare e
ripulire la nave, prima dell‟arrivo in Malesia; da qui avremmo fatto crociere
in Indonesia, con passeggeri asiatici.
Dopo colazione Alfio mi consegnò le bolle del carico del duty free shop e
ci mostrò dov'era il negozio, che era stato controllato e sigillato dalla
dogana greca. Infine, quando domandai ad Alfio dove fossero i due
computer del duty free shop e le chiavi delle vetrine, che il mio capo gli
aveva consegnato, mi rispose che a lui avevano affidato un solo computer, il
quale serviva per la gestione del “catering.” A quel punto mi resi conto che
senza i computer mi trovavo in un mare di guai e m‟affrettai a raggiungere il
marinaio di guardia Rosalito, per farmi chiamare un taxi con cui raggiungere
il nostro ufficio al Pireo e telefonare in compagnia a Venezia.
Il Rosalito mi fissò stringendo gli occhi a mandorla e, timidamente, mi
raccontò che la notte prima un delinquente aveva accoltellato un tassista,
proprio all‟interno del porto. Il ladro aveva commesso quel brutale
assassinio per derubare l‟uomo; a causa di quell‟omicidio, i tassisti si erano
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ribellati facendo sciopero. Di conseguenza, chi voleva raggiungere il primo
villaggio era costretto a camminare per chilometri rischiando anche la vita.
Pensavo a mia madre che attendeva mie notizie invano, poiché non si
poteva raggiungere il Pireo e dal porto non era possibile telefonare
all‟estero. Così capii che, con un po‟ di fortuna, avrei avuto la prima
possibilità a Colombo, a circa undici giorni di navigazione dal Pireo.
Fortunatamente il marinaio mi permise di usare il telefono della nave,
che era stato installato al portellone d‟imbarco; telefonai a Spiros, il
rappresentante della mia compagnia al Pireo, il quale assicurò che avrebbe
informato il capo e, prima che la nave partisse, mi avrebbe riferito il
messaggio.
Più tardi ci recammo dal general manager, che brontolando
nervosamente ci permise di cambiare cabina, poi fece chiamare Henry, il
capo alloggi, che ci accompagnò nel reparto ufficiali, al nono piano. Poco
dopo, mentre entravo in cabina, mi trovai ad osservare il corpo obeso di
Henry che si muoveva faticosamente.
Quel viso pacioccone, i capelli scuri, le guance rosate, evidenziavano i
suoi occhi furbi, che provocavano in me una forte simpatia. Ogni volta che
apriva bocca esprimeva allegria e comicità.
Poi controllai le lenzuola, che sembravano candide, ma la cabina aveva
bisogno di essere pulita a fondo; in compenso c‟era un‟enorme finestra
rettangolare da dove si vedeva il panorama. Lilian mi promise che mi
avrebbe dato una mano a pulirla. Intanto Henry, con tono razzista, mi
spiegò che i filippini vivevano nelle capanne, quindi non potevano sapere
come si dovevano pulire le cabine. Indignata per quella sua affermazione,
gli domandai di quale nazionalità fosse. Con superiorità, rispose che era
nato in Bulgaria, ma viveva in Austria.
Quando gli dissi che il razzista è un uomo solo, separato dall‟amore per
l‟umanità, in balia di onde in tempesta che lo trascineranno nella sofferenza
infernale della sua ignoranza, Henry imbronciato mi consegnò le chiavi delle
nostre nuove cabine e si allontanò senza salutare.
Quel pomeriggio Lilian mi aiutò a lavare le paratie e a disinfettare la
cabina. Poi, finalmente, disfeci le valigie e sistemai i miei indumenti
nell‟armadio e il profumo di pulito m‟inebriò; finalmente mi rilassai,
l‟incubo della sera prima era rimasto solo un ricordo.
Verso le sedici Alfio ci accompagnò al piccolo villaggio fuori del porto, per
offrirci una birra. Dopo avere camminato per circa un‟ora, raggiungemmo il
bar del paese, situato su un promontorio polveroso privo di vegetazione,
dove non esisteva un telefono pubblico.
Mi parve d‟essere giunta su di un colle sperduto nel deserto. Entrammo
nel piccolo bar, l‟esterno e l‟interno erano in legno, ci sedemmo a uno dei
tavolini quadrati, da dove potevamo vedere attraverso la finestra e la porta
il brullo paesaggio. Alfio ordinò tre birre.
- Allora Elisabetta, - ribatté Lilian dubbiosa, - se ho capito bene, prima mi
raccontavi che tuo padre non credeva nei sogni premonitori, ma che da
quando è morto ti appare in sogno e ti prepara agli eventi futuri. - Alfio ci
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fissò scandalizzato, senza proferir parola, ma il volto esprimeva il suo
disappunto sull‟argomento.
- Certo, - risposi, - mio padre era scettico, ma anni prima di morire aiutò
un amico in difficoltà. Quando questo mori, anni dopo, papà lo sognò, che
gli sorrideva, poi gli diede cinque numeri da giocare al lotto, affermando
che era venuto a saldare il suo debito.Mentre Alfio ascoltava scettico, ma curioso, Lilian domandò:
- Non mi dirai che ha vinto al lotto!? - Purtroppo era scettico, quindi non giocò, ma era curioso, quindi controllò
i numeri estratti e scoprì che se avesse giocato sarebbe diventato ricco. Da
quel giorno cambiò atteggiamento. Mentre Alfio continuava a fissarmi dubbioso, Lilian sentenziò:
- Una bella lezione, non c‟è che dire!
- Niente succede per caso, ognuno ha ciò che si merita. – assicurai.
- Già, - ammise Lilian - altrimenti come faremmo ad imparare le nostre
lezioni. Ci avviammo verso la via del ritorno prima del tramonto, per non
rischiare le nostre vite in quel bacino tenebroso. Arrivammo a bordo mentre
il sole tramontava e il cielo si era unito al mare in un‟esplosione di colori
violenti.
Il giorno dopo era il tre giugno 1991 e la m/n “Orient sun” sarebbe
salpata alle 15.00, per Colombo.
Verso mezzogiorno arrivò Spiros, il rappresentante della mia compagnia e
mi assicurò che avrei ricevuto i computer a Colombo. Nel caso non avessi
trovato le chiavi delle vetrine, avevo l‟ordine di far saltare tutte le vecchie
serrature e sostituirle con delle nuove. Alla partenza il sole inviava i suoi
raggi luminosi sulle acque scure, mentre la m/n “Orient Sun” indietreggiava
rispetto alle navi del cantiere, tirata da due rimorchiatori; Lilian, Alfio ed io
osservammo la manovra in silenzio, sotto il sole rovente di quel
pomeriggio.
Fuori del porto i due piloti lasciarono cadere le cime della nostra nave e
veloci si allontanarono verso sud, da dove s‟intravedevano i palazzi del
Pireo diventare sempre più piccoli. Intanto i gabbiani ci seguivano rumorosi,
volteggiando su e giù, sopra la scia spumeggiante dell‟acqua, che la nave
lasciava dietro di noi. Lilian ed Alfio si erano incantati ad ammirare il
panorama, mentre pensavo ad alcuni anni prima, quando avevo conosciuto
Alfio a bordo della “Regina Amari”; da allora non era cambiato molto. Lo
ritrovavo robusto, con lo stesso viso rotondo, gli occhi sempre vispi ed
allegri, solo alcuni fili d‟argento brillavano tra i capelli scuri, nonostante i
suoi cinquant‟anni. Lilian gli stringeva una mano e si fissavano come due
ragazzini innamorati. Alcune ore dopo spaccammo il sigillo doganale del
duty free shop, ed incominciammo il lavoro.
TERZO CAPITOLO: VERSO L‟ORIENTE
Tre giorni dopo, la nave attendeva il suo turno per allinearsi al convoglio
ed attraversare il canale di Suez. Una parte dell‟equipaggio era salito in
coperta ad osservare lo strano paesaggio, che si allargava di là del gran
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canale. Il sole bollente del deserto faceva brillare le sue luci su un mare di
sabbia, che s‟allargava a vista d‟occhio e splendeva come fosse polvere
dorata. Gli effetti straordinari di colori che esplodevano contro il deserto
sembravano inviarmi messaggi lontani e misteriosi. Poi arrivarono gli arabi
con il rimorchiatore e spinsero nel canale la nave, che si avviò a seguire la
lunga coda del convoglio. Man mano che la moto nave s‟addentrava, i
villaggi e gli accampamenti dei soldati arabi ci passavano davanti e sparivano
lontano. Spesso gruppi di persone salutavano e fischiettavano per attirare la
nostra attenzione. Noi tutti ricambiavamo i saluti, gridando e sventolando
fazzoletti bianchi. Il convoglio proseguiva lento, mentre ai lati del canale
soldati armati fino ai denti s‟aggiravano tra le dune del deserto, coi loro
fucili che luccicavano al sole. Cercavo di capire come quella povera gente
potesse vivere sotto ad un sole infernale che sembrava bruciare anche la
sabbia del deserto.
Ogni tanto, all‟orizzonte di quel mare di sabbia splendente, si vedevano
spuntare carovane di cammelli e beduini, in cerca di un‟oasi per riposare.
Erano scene straordinarie che mi facevano vivere le sensazioni più
incredibili, trascinando la mia anima ad immaginare un mondo arcano e
pittoresco. Il tramonto arrivò a dare l‟ultimo tocco magico a quel paesaggio,
che sembrò incendiarsi e colorare il deserto, trasformandolo in un mare di
fuoco.
Iniziarono i giorni di navigazione nel mar Rosso e, intorno a noi, il cielo e
il mare si confondevano all‟orizzonte e sarebbe continuata così fino a
Colombo. Il tempo era buono e la nave scivolava tranquillamente su un mare
liscio come l‟olio. Il sole splendeva ed il vento leggero rinfrescava le nostre
giornate, naturalmente quando avevamo tempo di uscire in coperta.
Sfortunatamente l‟aria condizionata a bordo non funzionava; si diceva che
gli impianti sarebbero stati riparati a Singapore.
Un giorno a colazione ci ritrovammo a bere caffè salato: Peedu, il
direttore di macchina, spiegò che probabilmente c‟era un tubo rotto che
mescolava l‟acqua potabile a quella salata del mare. Il direttore mi assicurò
che stavano cercando il guasto; intanto però chi aveva sete doveva bere
acqua inquinata. Purtroppo, quando entrammo nel mar Arabico, il caldo
incominciò a diventare insopportabile, e la notte in cabina non si riusciva a
dormire.
Il direttore di macchina e i suoi collaboratori non riuscivano a trovare il
tubo rotto, quindi per calmare le proteste dell‟equipaggio sostituirono
l‟acqua col succo d‟arancio, ma chi desiderava un caffè doveva bere
quell‟intruglio a base di sale. Fortunatamente il lavoro nel negozio andava
avanti bene, anche per l‟aiuto d‟Alfio che ci dava una mano. Infine
all‟interno dei colli trovammo anche i due computer mancanti, ma
purtroppo uno sarebbe rimasto inutilizzabile, perché senza video.
Quasi tutte le sere, dopo cena, trascorrevo le serate a poppa con gli
ufficiali, che bevevano birra fino a mezzanotte, facendo montagne di lattine
vuote, poi ridendo, mezzi ubriachi, rivelavano la loro vera indole, senza
remore. Durante quelle belle serate di giugno, si divertivano tentando di
farmi credere delle assurdità. Il general manager puntava spesso un dito
contro un gabbiano di passaggio:
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- Guarda Elisabetta, quelli sono i famosi polli volanti, che si vedono solo
da queste parti! Ridevo per quelle assurdità, allora si girava verso l‟assistente direttore di
macchina e urlava:
- Kristian, diglielo tu! - L‟ufficiale scattava in piedi, mi puntava gli occhi
addosso e insisteva:
- Possibile Elisabetta che tu non sappia che qui i polli sanno volare come
gli uccelli? Poi mi fissava serio, per essere più credibile: sorridendo osservavo i suoi
occhi grigi che gli brillavano sul viso rotondo incorniciato da capelli biondi,
su un corpo perfetto, mentre i colleghi ridevano divertiti.
- Veramente ho sempre saputo che c‟erano degli elefanti volanti e non
dei polli! - sghignazzavo divertita.
Intanto il capo commissario Frank, scherzando, si faceva avanti
barcollando sotto l‟effetto della birra e da buon inglese tentava di
corteggiarmi dicendo: - Voi svedesi sapete solo bere, invece noi inglesi
sappiamo fare altre cose più importanti! Così trascorrevamo le serate sotto il cielo nero, punteggiato di stelle, a
ridere a crepapelle. Spesso, mentre si guardava il mare che veniva
inquinato al passaggio della “Orient Sun”, dal fumo nero che usciva delle
ciminiere, m‟incantavo a fissare quelle lunghe scie, che si perdevano nella
notte.
Ogni volta le sagome bianche dei gabbiani, che garrivano attorno,
sembravano danzare e regalare gioiosi volteggi contro il mare.
L‟insieme di quelle ali bianche che correvano nel vuoto mi dava la
sensazione di candidi colori fosforescenti, che fiorivano nel buio della
notte. Durante quelle serate, il general manager trascorreva ore a parlare
con me. Mi fissava interessato e, mordendosi i baffi nervosamente, dava
inizio a delle discussioni, che non facevano altro che confermare che egli
era un dittatore razzista, seguace di Hitler.
Le sue confessioni erano terribili, ma provavo per lui compassione.
Sapevo che non era spietato così come cercava di farmi credere. Capivo in
ogni modo che un giorno anch‟egli avrebbe imparato ad amare e a
comprendere che il razzismo deriva dall‟ignoranza. Spesso, quando salivo in
coperta e vedevo quei poveri filippini lavorare fin dopo il tramonto,
sapendo che, alle prime luci dell‟alba, ricominciavano sotto il sole infuocato
di quei giorni terribilmente caldi, ne soffrivo.
Lo staff captain mi aveva spiegato che i marinai facevano ore di
straordinario per aiutare le loro famiglie bisognose. Sapevo che
guadagnavano dai trecentocinquanta ai quattrocento dollari al mese.
Probabilmente non sarebbero bastati per mantenere le famiglie, poiché una
parte del denaro che guadagnavano era versato all‟agente che gli aveva
procurato il lavoro a bordo.
Mi rendevo conto che la vita nelle Filippine costava poco, ma era triste
vedere che quei giovani uomini venivano sfruttati in tutte le maniere
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possibili. Non solo, ma dopo tutte quelle ingiustizie, dovevo anche subire le
confessioni razziste del general manager.
Il quindici giugno 1991, dopo undici giorni di mare, verso le sette del
mattino, la “Orient Sun” si fermò in rada, in mezzo ad altre navi da carico,
vicino al porto, nell‟isola di Colombo.
Eravamo tutti ansiosi di scendere a telefonare e poter finalmente posare
i piedi a terra. L‟equipaggio fuori servizio attendeva che fosse annunciato
l‟arrivo della scialuppa per scendere a terra, ma mentre il sole sorgeva alto
e le ore trascorrevano lente, corse voce che nessuno sarebbe sceso dalla
nave per ragioni di spese che la compagnia non voleva accollarsi. Tutti
protestarono ad alta voce, ma non ci fu nulla da fare, nessuno scese a terra,
neanche il comandante.
Gli agenti salirono e fecero portare a bordo le provviste. Delusa e triste
me n‟andai a poppa ad ammirare le spettacolari imbarcazioni straniere, che
attendevano fuori del porto il loro turno per sbarcare le merci. Poco dopo,
verso prua, vidi davanti a me l‟enorme porto di Colombo, dove i mercanti
vendevano the, caucciù, spezie, e vari tipi di pietre preziose. In quel
momento avrei voluto rivedere i mercatini che mi avevano tanto affascinato
nel passato.
Quella sera, alle 21.30, il pilota indiano guidò la motonave lontano dalle
navi da carico. Si vedevano le sagome dei palazzi illuminati di Colombo
allontanarsi piano, mentre la nave scivolava veloce sotto il cielo scuro,
verso l‟Oceano Indiano. A poppa osservavo i grattacieli dell‟isola avviluppati
nel manto dell‟oscurità e la luna che dal lontano firmamento inviava raggi
argentati. L‟aria fresca mi spettinava i capelli con forza e l‟umidità mi
penetrava nelle ossa, facendomi rabbrividire. Poco dopo giunsero alle mie
orecchie le note nostalgiche di una chitarra accompagnata da un coro di
voci dolcissime. Mi avviai verso la cabina e mi soffermai ad ascoltare le belle
voci dei marinai.
Entrai ad affrontare un‟altra notte d‟insonnia. L‟aria condizionata non
funzionava e anche quella notte, quando finalmente m‟assopii, qualcosa mi
svegliò di soprassalto fra le lenzuola inzuppate di sudore, dandomi la
sensazione di soffocare. Quel mattino al risveglio l‟immagine di un sogno si
compose nella mia mente, come si fosse trattato di un mosaico: apparivano
alcuni orientali che s‟impadronivano di una parte del negozio e iniziavano a
vendere articoli cinesi.
Sorpresa scendevo a terra, e intorno a me crescevano bellissimi fiori
bianchi. Poco lontano c‟era un carretto trainato da un cavallo e a bordo
erano seduti Alfio e Lilian; stavano partendo per un lungo viaggio ed io sarei
rimasta sola su quella nave. Un nodo mi stringeva la gola, i miei amici si
rifiutavano di farmi salire e partivano verso il mare al galoppo, là dove il
cielo si perdeva all‟orizzonte. Mi appariva poi un carretto fermo, senza
cavallo, ma pieno di margherite bianche, che sembravano illuminarsi ad
intermittenza. Sapevo che quel carretto mi apparteneva. Vedevo fiori
crescere intorno a me, anche sulla terra brulla e fra i sassi. Poi,
improvvisamente udivo la voce di mio padre urlare disperatamente, correvo
verso di lui lungo un prato verde, con l‟erba alta: sembrava paralizzato.
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Notavo il suo volto gonfio e triste, mentre egli affermava: - Mi piacerebbe
restare, ma non credo che domani ci sarà il sole. Sorpresa rispondevo: - Chi ti assicura che domani non ci sarà il sole? Mi alzai dal letto e tirai la tendina; lo splendido colore del sole, che stava
sorgendo dal mare, tinse di rosa pallido le acque, che si tramutarono in un
manto madreperlato che brillava sotto i bianchi raggi del sole.
Erano circa le sei del mattino, mi vestii velocemente e corsi ad ammirare
il mare fosforescente sotto il sole pallido, che già stava illuminando quel
mattino magico. Respirai a lungo quell‟aria e meditai sul messaggio del
sogno. Alle sette andai a fare colazione nella saletta, dove trovai Richard,
l‟ufficiale radiotelegrafista malese di colore. Quando mi vide, mi fissò
preoccupato e disse:
- Elisabetta, purtroppo il tempo sta cambiando, nei prossimi giorni
avremo mare mosso.- Ho capito - risposi - ci toccherà ballare per alcuni giorni. D‟altronde
c‟era da aspettarselo in un viaggio così lungo.Il giorno dopo stavo facendo colazione quando il vento si alzò ed iniziò a
fischiare contro le pareti della nave. Il sole brillava alto, ma in lontananza
alcuni nuvoloni minacciosi sembravano viaggiare veloci. Richard stava
facendo colazione di fronte a me e mi guardava con i suoi occhi neri,
mentre ne osservavo con interesse il volto rotondo, la pelle nera che si
confondeva col colore dei capelli ricci e il corpo robusto che faceva risaltare
la tuta bianca da lavoro. Fin dal nostro primo incontro si era stabilita fra di
noi una profonda amicizia. Sentivo dentro di me che di lui potevo fidarmi
fino in fondo. Sorseggiavo il caffè salato, mentre giungevano Peedu e il suo
assistente Kristian.
Quest‟ultimo, sorridendo con i suoi occhi furbi, domandò:- Allora come
va il caffè, questa mattina? - Non è cambiato niente! - risposi - soffro di mal di stomaco, ho la
diarrea, poi con la tempesta in agguato, se non morirò, sarò fortunata. - Forza, che non si muore per così poco! - assicurò Peedu. Gli sorrisi
commossa; era un uomo di poche parole, capivo che con quella frase voleva
infondermi coraggio. Il direttore era alto e magro, i suoi occhi grigi
esprimevano tanta bontà ed intelligenza.
Mi alzai in piedi per andare al lavoro, quando la nave virò di colpo e
ricaddi sulla sedia. Al rumore di tazze frantumate si unì il grido degli
ufficiali che si aggrapparono qua e là per non scivolare a terra.
Dai grandi finestroni quadrati della saletta si vedevano le onde che si
alzavano prepotenti e s‟infrangevano contro le lance di salvataggio che
dondolavano sotto la forza dell‟acqua, mentre mi alzavo barcollando,
raggiunsi la porta calpestando i cocci che danzavano sul pavimento. Salii le
scale e raggiunsi a fatica la mia cabina, puntellando i piedi ovunque.
Mi stesi sul letto e, mentre mi sentivo trasportare in un vortice senza
fine, la nausea diventò sempre più forte ed il mio stomaco sembrò ribellarsi
prepotentemente. La cabina si trovava al nono piano e in quella posizione
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mi sembrava di essere in balia delle onde e scivolare ad una velocità
insostenibile, con la sensazione di essere catapultata su e giù, senza fine.
Mi tenevo aggrappata al letto, poiché sapevo che, se soltanto mi fossi
lasciata andare, sarei volata più volte contro le paratie della mia cabina. Le
mie cose erano volate a terra e correvano su e giù per il pavimento,
creando un coro di suoni metallici che torturavano la mente. Ogni tanto
vedevo grossi cavalloni infrangersi rumorosi contro i vetri, le onde
impazzite crescevano e calavano in una danza spumeggiante, trascinando la
nave in vuoti paurosi, che mi facevano volare il cuore in gola.
Sentivo la prua che sbatteva contro l‟acqua, con colpi terribili che
sembravano spezzare la nave in mille pezzi.
Verso sera il vento si quietò, ma durante la notte ritornò ancora più
infuriato di prima, fischiando sempre più forte e spingendo la nave in balia
delle onde.
Durante tre lunghi giorni mi sentii prigioniera di quella tormenta. Per non
soffrire il mal di mare mi ero nutrita con pane e mele e non avevo ingerito
liquidi. Verso sera, quando andai a respirare un pò d‟aria fresca, fuori in
coperta, il vento mi aggredì con violenza e, mentre afferravo la ringhiera
della scala per non finire in mare, un altro colpo di vento mi strappò gli
occhiali da sole, che finirono in acqua. Poco dopo ritornai in cabina e
m‟adagiai sul letto; finalmente m‟addormentai, mentre le acque del mare
andavano calmandosi.
Quel mattino, alcuni raggi del sole che filtravano dalla finestra mi
svegliarono con la loro luce brillante, saltai giù dal letto e, tirando la
tendina, mi trovai di fronte ad un mare liscio come l‟olio. Il cielo
all‟orizzonte splendeva limpido. Decine di barche di pescatori scivolavano
dolcemente in quella quiete che la burrasca aveva lasciato dietro di sé.
Più tardi, mentre stavo andando in negozio, incontrai quattro marinai
filippini, i quali mi raccontarono che l‟uragano era stato talmente violento
che aveva spazzato via interi villaggi di capanne, nelle isole vicine.
Saremmo certamente arrivati a Singapore con un giorno di ritardo.
Fortunatamente il temporale aveva rinfrescato l‟aria, così gli ultimi giorni di
navigazione trascorsero tranquilli.
Lilian aveva imparato ad usare il computer, il carico era stato sistemato
e, all‟arrivo a Singapore, avremmo terminato quasi tutto il lavoro.
Il ventidue giugno 1991, verso le otto del mattino, me n‟andai ad
ammirare il cielo limpido, che all‟orizzonte si mescolava al mare.
Ogni tanto si vedevano isolette piene di vegetazione verde smeraldo, che
brillavano sotto il sole caldo che spargeva miriadi di raggi luminosi sulle
acque. Intanto l‟equipaggio, fuori servizio, si godeva il sole seduto lungo le
“passeggiate” della nave, ed osservava le centinaia d‟isole che scorrevano
davanti e sembravano fuggire lontano, lasciando intravedere resti di
capanne scoperchiate.
Nell‟acqua quasi verde galleggiavano i residui dell‟uragano. Lilian ed Alfio
vennero a poppa, dove il limpido giorno ci mostrava, in mezzo a riverberi di
luci dorate, pezzi di capanne che fluttuavano lentamente sulle acque.
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Pensai tristemente a quelle povere tribù che si erano trovate a lottare
contro la furia ostile dell‟uragano.
Intanto, dopo una breve sosta, i rumorosi rimorchiatori si prepararono a
trainare la nave in bacino. Ben presto ci trovammo di fronte alla bellissima
isola di Singapore. I grattacieli grigi spuntavano numerosi da sotto una
vegetazione fiorente e puntavano diritti fra le nuvole bianche, che
sostavano nel cielo azzurro. Dopo alcune manovre ci trovammo in una
magnifica insenatura, di fronte ad un isolotto di pescatori. Bellissime barche
di legno multiformi, dai colori vivaci, sostavano immobili sotto la luce del
sole, mentre la vegetazione verde bottiglia oscillava al vento.
Alcune ore dopo Lilian ed io attraversammo a piedi il bacino e
giungemmo sulla strada principale, dove salimmo su un taxi. Un‟ora dopo, in
città, comprammo le divise e i lucchetti per le vetrine. La folla
multirazziale che popolava Singapore mi riempiva il cuore di speranza.
Sognavo che un giorno non troppo lontano l‟amore vero degli uomini facesse
di tante razze un solo popolo, senza distinzioni. Camminavo tra quella gente
multietnica, e sentivo un‟emozione misteriosa d‟amore infinito per tutte le
creature.
Quel pomeriggio, tornate a bordo, trovammo Alfio indaffarato ad
organizzare il lavoro che doveva assegnare ai filippini l‟indomani. La
“Orient Sun” sarebbe dovuta partire il giorno ventisei e, in occasione della
crociera d‟inaugurazione, erano stati invitati importanti giornalisti ed agenti
di viaggio orientali.
Nel frattempo il general manager era fuori di sé, poiché i lavori non
sarebbero terminati in tempo. Si pensava di isolare alcune parti della nave,
per non permettere agli illustri ospiti di scrivere articoli poco graditi al
Charterer.
Naturalmente il G. M. (general manager) se n‟approfittava per scaricare
le responsabilità sullo staff captain. Lo accusava d‟essere incapace di
dirigere quel branco di “scurotti” fannulloni. In ogni discorso, purtroppo,
svelava il suo rancore razzista.
- Non vede in che situazione mi trovo, a causa di questi selvaggi
incompetenti? Li sterminerei tutti, se dipendesse da me! - sbottò seccato il
G. M.
Ascoltai scandalizzata, poi fissandolo in quegli occhi pieni di risentimento
risposi:
- Confucio ha affermato: “Ognuno esagera in un determinato senso:
ricercate in che cosa consiste l‟eccesso e verrete così a conoscenza della
virtù.” - Mi guardò sorpreso, poi con stizza mi girò le spalle e se n‟andò
brontolando.
Il ventiquattro giugno, verso le nove del mattino, Lilian ed io stavamo
allestendo le vetrine davanti al negozio, quando vidi un gruppo d‟orientali
entrare nel duty free shop; un uomo alto e ben vestito stava mostrando agli
ospiti la parte del negozio che avrebbe sottratto alla mia compagnia. Infine
mi spiegò, sorridendo, che ne avrebbe parlato con il responsabile della mia
ditta a Venezia. Sorpresa, mi resi conto che si stava avverando il sogno che
avevo avuto la notte del sedici giugno. Così frastornata, tornai al mio lavoro.
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Poco dopo stavo terminando di allestire una delle due vetrine di fronte al
negozio, quando il G. M. mi comunicò che il Charterer ne avrebbe preso una
parte, compresa la vetrina che gli stava davanti.
Nel frattempo arrivò Alfio, depresso e nervoso, raccontandoci che il G. M.
gli aveva tolto tutto il personale con la scusa che doveva svolgere lavori più
urgenti. Ci rendemmo conto che il general manager stava architettando
qualcosa per strappare il “catering” alla nostra compagnia.
Il giorno della partenza la nave fu trainata dai rimorchiatori in porto,
davanti al “World Trade Center”, vicino alla stazione marittima. I lavori non
erano terminati e la partenza fu spostata al ventotto giugno. Quello stesso
giorno arrivò dal Pireo il rappresentante della nostra ditta, il sig. Spiros, che
fu convocato d‟urgenza ad un “meeting” con il Charterer.
Nel frattempo gli ufficiali, Lilian, i responsabili del “catering” e del duty
free shop ed io attendevamo in silenzio nella “hall” di fronte al gran tavolo
di legno dove si svolgeva la riunione. Mentre ammiravo la splendida giornata
dai grandi finestroni rettangolari, udivo il Charterer spiegare a Spiros che
avrebbe comprato tutta la merce imbarcata al Pireo, poiché aveva deciso di
gestire il “catering” insieme ai suoi collaboratori; saremmo rimasti solo con
il duty free shop, mentre egli avrebbe utilizzato l‟altra parte del negozio
per vendere articoli cinesi. Spiros rispose che non era interessato a tenere
il negozio senza il “catering”, quindi dovevano impegnarsi a comprare
anche tutta la merce del duty free.
Il Charterer rimase in silenzio per un attimo, poi si rivolse alla sua
segretaria in indonesiano, e lei digitò sul telefonino portatile un numero;
dopo un breve colloquio, il Charterer rispose in inglese che ci avrebbero
pensato, ma che probabilmente non erano interessati.
Spiros ci raggiunse, ordinò di sommare il valore degli articoli duty free e
di consegnargli il totale appena possibile. Poi aggiunse che, terminato il
lavoro, avremmo dovuto preparare le nostre valige, poiché saremmo
sbarcati tutti alla partenza della nave.
Alcune ore dopo ci sedemmo con la lista ed il totale, tutti insieme nel
salotto, al centro della “hall”. Poco dopo si avvicinò il G. M. affermando: Mi dispiace, ma credetemi, non è colpa mia! Sbalorditi, lo fissammo con occhi sgranati, e Spiros rispose: - Non si
preoccupi! Il G. M. sorrise soddisfatto e, con un cenno di saluto, si allontanò. Egli
aveva nominato maestro di casa Frank, il suo amico commissario, per potere
così gestire meglio il suo guadagno. Poi aveva licenziato il nuovo
cambusiere, con la scusa che non sapeva lavorare, per poterlo sostituire con
un altro amico che facesse i suoi interessi. Verso sera, alcuni ufficiali di
bordo mi riferirono che anche il nostro comandante sarebbe sbarcato,
poiché secondo le autorità portuali di Singapore, il patentino che aveva
presentato non era in regola per esercitare la professione di comandante.
Alcune ore dopo, sotto l‟insistenza dei colleghi, fui costretta a preparare
le valigie, nonostante sapessi che non sarei sbarcata e avrei dovuto disfare i
bagagli e restare in quel caos.
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Quella sera Spiros c‟invitò a cena per ordine di un nostro superiore di
Venezia. Così, verso le venti, ci riunimmo tutti insieme per l‟aperitivo, nel
bar del King‟s Hotel, dove si trovava ospite Spiros. Poco dopo mi venne
incontro e mi comunicò che il Charterer non aveva voluto comprare la
merce del duty free, quindi la compagnia mi pregava di restare a gestire il
negozio fino a quando avessero raggiunto un accordo con il Charterer.
Nel frattempo osservavo la figura alta e magra e poco attraente di Spiros,
che mi rammentava la sua origine greca. In lui non c‟era alcuna bellezza,
ma sprigionava molta dolcezza e bontà. Mi fissò con i suoi occhi scuri, tra
lenti d‟occhiali che mi sembravano troppo grandi per il suo volto lungo e
magro dal tipico naso aquilino. Terminato l‟aperitivo, Spiros si alzò in piedi
di scatto e andò ad urtare una lampada di vimini; sorrise e in silenzio si
avviò al tavolo riservato per noi. Nella gran sala arredata in stile orientale,
mi sentii subito a mio agio. Al centro del tavolo un bellissimo vaso cinese,
con i caratteristici fiori orientali. Ammiravo le stoviglie dipinte a mano,
mentre il cameriere, sorridendo dolcemente, mi porgeva il menù.
Ognuno di noi scelse pietanze diverse che poi ci scambiammo. Intanto
Alfio stava discutendo con Spiros perché la compagnia aveva chiesto a Lilian
di rimanere con me per alcune settimane, onde darmi il tempo di trovare
un‟altra assistente. Ad ogni modo Lilian, senza Alfio, si rifiutava di restare,
allora intervenni affermando:
- Scusate se m‟intrometto, ma non è necessario che Lilian resti, il
Charterer si prenderà una parte del negozio, quindi non avrò bisogno di
un‟assistente. Ci fu una breve pausa, poi Spiros gridò seccato:
- Lilian deve restare per alcune settimane, perché è scritto nel contratto
che nel duty free shop ci devono essere due persone. Il Charterer dovrà
rimborsarci i danni, perciò non vogliamo dargli il motivo per non pagare.
Insomma, non dobbiamo permetterci di commettere errori. In ogni caso Lilian non voleva saperne di restare senza Alfio.
- Ascoltami bene - dissi - accettando l‟incarico ti sei assunta delle
responsabilità, ed ora le devi portare a termine. - Lilian scattò nervosa sulla
sedia e urlò fuori di sé:
- Dovete rendervi conto che per quest‟avventura ho lasciato il mio lavoro
da hotel manager, ed ora mi ritrovo con un pugno di mosche, perché
probabilmente non ci sarà più un‟altra occasione di imbarcarmi con Alfio.
Così devo tornare a casa a trovare un‟altra occupazione. Ci fu un attimo di silenzio, scambiai un‟occhiata d‟intesa con Spiros e
dopo una discussione fra di loro, Lilian ammise:
- Ok! Resto per due crociere, ma non chiedetemi di più! –
In quel momento capii che era giunta la resa dei conti, Lilian aveva
lasciato un buon lavoro per imbarcarsi con un uomo sposato; ora il destino
le stava dando la lezione che si meritava, giacché Alfio sarebbe tornato
dalla famiglia.
Terminata la cena, salutammo Spiros e ci avviammo lungo le strade di
Singapore a cercare un taxi per tornare a bordo. I mille colori delle luci che
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splendevano e le scritte rosse a caratteri cubitali emanavano un fascino
arcano. Recepivo la rabbia di Lilian che mi aleggiava attorno, ma la cosa non
mi preoccupava, sapevo che aveva bisogno di riflettere per placare la sua
rabbia, che era comunque il frutto delle sue azioni.
I taxi non si fermavano per strada, cosi camminammo fino al “taxi
stand”, vicino al “People Center”.
Naturalmente c‟era da fare la coda, e aspettammo il nostro turno. Giunti
a bordo, salii in coperta a respirare un po‟ d‟aria fresca, prima di entrare
nella mia cabina. Intanto riflettevo su ciò che alcuni operai di macchina mi
avevano riferito a proposito della nave: non era pronta per la partenza;
l‟aria condizionata non funzionava bene, e forse non sarebbero mai stati in
grado di ripararla. Avevo saputo che la nave era stata creata per navigare
nei paesi nordici, come traghetto, dove aveva trasportato passeggeri nelle
isole del nord.
Poi era stata trasformata in una nave da crociera con il nome di “Orient
Express”, affittata da una compagnia Inglese, che aveva fatto crociere in
Europa. Sapevo che esisteva un‟altra nave gemella, nella quale alcuni mesi
prima della partenza della “Orient Sun” dal Pireo erano saltati gli impianti
elettrici, facendo divampare un incendio. Fortunatamente non c‟erano stati
morti. Il direttore di macchina mi aveva assicurato che, per riparare l‟aria
condizionata a bordo della “Orient Sun”, bisognava portarla in cantiere e
rifarne l‟impianto. Naturalmente questo sarebbe costato tempo e denaro,
che il Charterer non aveva.
Mi rendevo conto che vivere a bordo di questa nave stava diventando
sempre più difficile. Da alcuni giorni il cibo era peggiorato, l‟acqua puzzava
di cloro e sapeva di sale; di notte il caldo non mi permetteva di dormire e di
giorno ero costretta a fare la sauna, con i vestiti che mi s‟incollavano alla
pelle. Spesso pensavo a questa triste realtà con accettazione, poiché sapevo
che era l‟unico modo per affrontare il mio destino senza rischiare un
esaurimento. Dopo quelle tristi riflessioni, il mio sguardo si posò sul mare
scuro, dove la luna inviava i suoi raggi luminosi, che colpivano veloci l‟acqua
come frecce impazzite.
Dall‟altro lato della nave, le luci accese nei grattacieli bui luccicavano
come diamanti nell‟oscurità della notte.
QUARTO CAPITOLO: GLI SBARCHI
Il ventotto giugno 1991, i miei colleghi avevano lasciato le valigie vicino
all‟ufficio informazioni. Alle 16.30 il pulmino dell‟agenzia avrebbe
trasportato i nostri ufficiali all‟aeroporto. La partenza della nave era
stabilita per le diciotto. Noi tutti attendevamo Spiros, seduti nel salotto
davanti al negozio. Alfio ripeteva a Lilian che al suo ritorno si sarebbero
incontrati in Spagna, per una vacanza insieme. Intanto dall‟altoparlante del
ponte di comando, la voce del capitano annunciava il suo sbarco e salutava
l‟equipaggio ringraziandolo della collaborazione.
In quel mentre la mia attenzione cadde su un uomo alto, magro, viso
lungo e occhi grigi, dai capelli biondissimi, che parlava con il G. M. Quel
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personaggio strano, dalla personalità grottesca, portava quattro grandi
tatuaggi ad ogni avambraccio. Alzai lo sguardo e, per un attimo, mi scontrai
con i suoi occhi severi, poi n‟osservai stupita i movimenti goffi, che
mostravano le forme poco piacevoli del corpo. Doveva essere sicuramente
d‟origine scandinava. Dall‟espressione del suo volto, traspariva una
freddezza che faceva rabbrividire.
- Chi è quello strano tipo?- domandai curiosa.
- Non lo sai? - rispose Alfio sorpreso.
- Se lo avessi saputo non te lo avrei chiesto. - sbottai seccata.
- È il vostro nuovo comandante! - esclamò Alfio, sorridendo divertito.
- Ammetto che è riuscito ad attrarre la mia attenzione, con quella sua
originalità bizzarra! - sussurrai sorpresa.
In quel mentre arrivò Spiros che domandò: - Allora siete pronti? Un coro di grida esplose intorno, poi Spiros consegnò ad Alfio una busta
per la compagnia. L‟agente che stava facendo le pratiche di sbarco era in
ritardo. Il suono fastidioso dell‟altoparlante echeggiò ancora una volta, dal
ponte di comando, nella sala; il nuovo capitano ordinava al personale che,
da quel momento in poi, chi non era in divisa doveva lasciare i saloni
frequentati dai passeggeri.
L‟imbarco stava incominciando. Lilian ed io andammo ad indossare la
divisa. Ritornammo nel salone quando l‟agente aveva già consegnato i
passaporti, scendemmo tutti insieme la scaletta della nave e raggiungemmo
il pulmino.
Gli ufficiali salirono a bordo e, mentre il pulmino partiva, le loro grida si
unirono al rombo del motore e agitando le braccia fuori del finestrino
c‟inviarono l‟ultimo saluto. Lilian, Spiros ed io salimmo la scaletta, passando
davanti alle fila delle “hostess” e degli “stewards”, e raggiungemmo l‟ex
capo commissario Frank, per discutere l‟imbarco della moglie, che sarebbe
avvenuto allo sbarco di Lilian. Spiros sapeva in ogni caso che Frank aveva
occupato il posto d‟Alfio, e che era l‟amico del nostro presunto nemico, ma
lui non aveva rancori, ed io nemmeno. Così stabilirono la paga e l‟imbarco
per il cinque luglio. Poi sorridendo fissai Frank ed esclamai:
- Come vedi, ho mantenuto la promessa! –
- Te ne sono grato! - rispose Frank contento.
Spiros, Lilian ed io lo salutammo e ritornammo nel salone, facendoci
strada tra la folla; nel frastuono di voci, Spiros ci augurò un buon viaggio e
sparì verso l‟uscita della nave. Poco dopo salimmo nella saletta ufficiali, a
cena e ci trovammo sedute di fronte al nostro direttore di crociera Luis e
alla moglie Shay. Si creò subito un‟immediata simpatia reciproca, che ci
permise di fare subito amicizia. Luis era inglese e aveva sposato
un‟australiana adorabile.
Vivevano in Australia e lavoravano insieme a bordo delle navi, in giro per
il mondo. Shay era dolcissima, aveva occhi chiari e portava lunghi capelli
biondi; non era molto alta e aveva una corporatura rotonda. Luis era un
uomo di statura media, abbastanza robusto, un viso grande con occhi
espressivi e capelli castani che gli scendevano sopra le spalle. Era appena
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tornato dal “buffet” ed assaggiava le strane pietanze che avevo rifiutato.
Dalle smorfie che faceva percepivo il suo disgusto.
Poi vidi i suoi occhi roteare nelle orbite, mentre s‟alzava in piedi e
andava a sputare nel bidone dei rifiuti. Ritornò a bocca aperta, con gli occhi
fissi nel vuoto, si versò un bicchiere d‟acqua e lo mandò giù tutto di un
colpo. Posò il bicchiere e, buttandosi le mani alla gola, tossendo, mentre il
volto gli stava diventando rosso, ruggì:
- Oh! Dio mio, che schifo! Mi sembra d‟avere il fuoco dentro! - Abbiamo un cuoco cinese che si sta esercitando a preparare piatti
indonesiani e malesi, quindi caro Luis, ti dovrai abituare a digerire il
peperoncino, poiché non n‟esistono pietanze senza qui a bordo, - ammisi a
malincuore, nutrendomi di pane, verdure e frutta.
- Ho capito, Shay ed io porteremo a termine quella dieta che non
abbiamo mai incominciato.- Luis si asciugò il sudore dalla fronte col
tovagliolo, mentre io scoppiavo a ridere.
- Per oggi ne ho avuto abbastanza! - brontolò. Poi osservò gli ufficiali
filippini che mangiavano tranquillamente quelle pietanze, prese
sottobraccio Shay e uscirono dalla saletta. Pochi minuti dopo si udì la sua
voce, attraverso il microfono, invitare i visitatori a scendere a terra, poiché
la nave era in partenza.
Intanto dalla saletta vidi uno dei rimorchiatori trainare la nave; Lilian ed
io andammo in piscina ad osservare la manovra. I passeggeri avevano
occupato tutti gli sdrai e i bambini giocavano correndo qua e là tra la gente.
Il sole rosso infuocato accecava lo sguardo, mentre i suoi raggi coloravano di
rosa il mare e il cielo. Gli uccelli volavano contro il sole e sembravano
fuggire lontano nel vuoto, cinguettando impauriti dal frastuono dei motori
della nave.
Finita la manovra, le “hostess” annunciarono in varie lingue, l‟inizio
dell‟esercitazione di salvataggio per i passeggeri, i quali raggiunsero le loro
cabine per ritirare le giacche di salvataggio; noi ci affrettammo a
raggiungere la nostra stazione, per dirigere i passeggeri alle loro lance.
Il comandante e gli ufficiali, quando ebbero finito il controllo, fecero
suonare la sirena che annunciò la fine dell‟esercitazione; tutto lo staff
ritornò al proprio posto di lavoro. Ci recammo ad aprire per la prima volta il
duty free shop. Alcuni giornalisti e agenti di viaggio vennero a chiedere i
prezzi d‟alcuni articoli italiani, lamentandosi del caldo. Molte signore
comprarono cioccolato confessandomi che il cibo era terribile e perciò non
avevano mangiato.
Alle 22.00, dopo la chiusura del negozio, Lilian voleva vedere il Casinò,
gestito da una compagnia australiana. Salimmo al sesto piano e ci trovammo
di fronte ad una gran sala, piena di tavoli da gioco, affollatissimi. Era
affascinante vedere tutti quegli orientali ben vestiti giocare a Black jack,
Baccarat, Roulette, Tai-Sai, ecc. Spiccavano nella loro bella divisa i
“croupiers ”, che sorridevano ed invitavano a giocare chiunque si
avvicinava ai tavoli verdi. Ci guardavamo intorno, curiose, intente a capire
quel mondo magico e pieno d‟illusione.
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Avevo sentito qualcuno affermare che esisteva una sala da gioco riservata
ai passeggeri “Vip”, dove solo il personale addetto poteva entrare. Poco
dopo passammo nell‟Olympia Lounge, dove la nostra orchestra filippina
accompagnava Shay e Luis che si esibivano cantando e ballando insieme. Era
la prima volta che lavoravo con cinesi, malesi, indonesiani, tailandesi, ecc.
che mi fissavano curiosi, con i loro occhi scuri a mandorla. Mi sentii
improvvisamente in un altro mondo, travolta da sottili e strane sensazioni.
Poi, quando Luis presentò la cantante cinese, accompagnata da sei ballerini,
che indossavano costumi bellissimi, il pubblico applaudì gridando e urlando
di gioia.
Probabilmente era una cantante famosa in Oriente, poiché i passeggeri
continuarono ad applaudire a lungo; mentre l‟artista s‟inchinava con
reverenza, l‟orchestra iniziò a suonare una melodia dolcissima e la sua voce
squillante riempì la gran sala. Intanto i sei ballerini si esibirono in una danza
delicata e misteriosa.
Terminato lo spettacolo, uscimmo da quel caldo afoso e ci recammo a
passeggiare in coperta per respirare un po‟ d‟aria pura, prima di chiuderci
nella nostra cabina bollente. Lilian mi fece notare che giù, vicino alla
piscina, un gruppo di passeggeri aveva steso dei materassini e si stava
preparando per dormire all‟aria fresca. Alcuni si erano già sdraiati e coperti
con “blankets”: non nascondo che anch‟io ci avevo pensato più volte, ma
non mi ero azzardata, perché sapevo che sarei andata contro alcuni
regolamenti di bordo che non permettevano all‟equipaggio certe iniziative.
Così entrammo nel lungo corridoio, al nono piano, dove si trovavano le
nostre cabine e ci salutammo.
Dopo un giorno e una notte di navigazione, verso le dieci del mattino,
giungemmo nel porto di Jakarta. Quando Lilian ed io uscimmo nel gran
piazzale affollato di povera gente, un gruppo di tassisti ci circondò con
l‟intento di strapparci alla concorrenza; infine uno di loro ci fece salire sul
suo vecchio taxi ammaccato, che si avviò a scatti.
Durante il tragitto, fra quelle catapecchie, mi resi conto che nulla era
cambiato dall‟ultima volta che ero sbarcata in quell‟isola desolata e povera.
Attorno al nostro taxi brulicavano mendicanti vestiti di stracci, in cerca di
qualcosa da mangiare. Giunti all‟ufficio telefonico, Lilian telefonò al figlio
per comunicargli la data e l‟ora d‟arrivo in Spagna. Intanto presi contatto
con Venezia, per informare il mio capo degli ultimi avvenimenti.
Poco dopo ci trovammo in un piccolo mercatino e, fra quelle
cianfrusaglie, la gente sorrideva e c‟invitava a comprare la merce. I bambini
ci seguivano facendo di tutto per attrarre la nostra attenzione: danzavano,
gridavano e giocavano. I loro occhi erano bellissimi e racchiudevano una
dolcezza che solo loro avevano.
Notai subito la furbizia che quei fanciulli avevano appreso in mezzo a
tutte le avversità, che certamente incontrano solo i bambini poveri. Al
ritorno il nostro autista cambiò percorso, e ci trovammo a costeggiare un
fiume con grandi alberi quasi secchi, che si specchiavano nell‟acqua putrida
sotto il sole infuocato. Qua e là, all‟ombra di fronde gialle, poco lontano
dalla riva, fruttivendoli ambulanti vendevano ogni tipo di frutta tropicale.
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Di là dal fiume spuntavano i tetti neri che coprivano le baracche dei
villaggi della povera gente. Il caldo terribile di quell‟isola aveva reso la terra
secca e brulla. In quel disordine totale, dove regnava lo sporco, le mosche
ronzavano appiccicandosi alla pelle bagnata di sudore. Il taxi procedeva
lento in mezzo al traffico rumoroso, intanto riflettevo sulla vita infernale in
quella città bruciata dal sole.
Ritornata a bordo, andai dal dottor Win, perché purtroppo mi sentivo
sempre stanca e avevo notato che, quando mi lavavo i denti, perdevo molto
sangue ed avevo sempre la diarrea. Giunta all‟infermeria, bussai alla porta e
mi trovai davanti ad un uomo magro, di media statura che m‟invitò ad
entrare.
Mi fece sedere davanti alla scrivania e, mentre cercavo di capire di che
nazionalità fosse, mi domandò che problemi avevo. Poi, preoccupato,
affermò che purtroppo quasi tutto l‟equipaggio soffriva dei miei stessi
sintomi.
Infine prese dallo scaffale dell‟infermeria un grosso vaso di vetro ed
estrasse una decina di pastiglie da ingoiare dopo i pasti.
Intanto osservavo la sua pelle marrone e l‟unico ciuffo di capelli neri, con
cui tentava di coprire la sua pelata. Portava un paio d‟occhialetti con la
montatura dorata. Aveva un viso rotondo, tipicamente indiano, che
esprimeva dolcezza. Siccome gli domandai di che nazionalità fosse, alzò i
suoi occhi scuri verso di me e, sorridendo, mi rispose che era nato in
Birmania. Ci presentammo e dopo una stretta di mano, ringraziandolo, uscii
nel lugubre corridoio poco illuminato e raggiunsi la mia cabina.
Nei giorni seguenti mi sentii un pò meglio, ma la notte ero comunque
perseguitata dall‟insonnia, che non mi permetteva di riposare, così fui
costretta a prendere dei sonniferi.
Il quattro luglio, la “Orient Sun” fece cadere l‟ancora ad una decina di
miglia da “Clifford Pier” e i passeggeri sbarcarono con le lance nell‟isola di
Singapore. Poi si udì la voce delle “hostess” annunciare gli orari delle
partenze delle lance ad uso dell‟equipaggio.
Pertanto accompagnai Lilian all‟agenzia “ Singapor Air Line” a ritirare il
biglietto che doveva consegnare col passaporto all‟agente che sbrigava le
pratiche per lo sbarco. Verso le diciotto mi salutò felice: finalmente
avrebbe raggiunto l‟Europa e probabilmente rivisto Alfio. I marinai
trascinarono a fatica le valigie sulla lancia e, quando fu salita in mezzo
all‟equipaggio che scendeva a terra, mi salutò ancora una volta, urlando fra
il rombo assordante del motore.
Mentre Lilian si allontanava verso il porto e agitava la mano sorridendo,
mi sentii improvvisamente angosciata e depressa. Il senso di vuoto mi fece
sentire in balia di un futuro incerto, in cui i problemi mi avrebbero assalito
senza pietà. Poco dopo il G.M. mi chiamò da parte e sentenziò seccato:
- Lei ha sbagliato a far imbarcare la moglie di Frank. Egli è un mio amico,
ma ora il Charterer non è contento di lui, e probabilmente lo sbarcheranno.
Lo ascoltavo perplessa e capivo che anche per lui era giunta la sua ora,
perché, se sbarcavano Frank, anch‟egli avrebbe avuto la medesima sorte.
Allora risposi tranquillamente:
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- Senta, noi stiamo imbarcando Marilena per rispettare il contratto e poiché
il Charterer si è preso metà del negozio, non ho bisogno di un‟assistente,
quindi se sbarcheranno Frank, e la moglie lo vorrà seguire, non avrò niente
da dire. - Va bene. Appena imbarcata Marilena, si faccia aiutare a liberare la parte
del negozio del Charterer, e mi consegni le chiavi. - borbottò serio.
- Non si preoccupi, tutto sarà pronto appena possibile. - Poco dopo Frank mi
presentò Marilena che era appena arrivata da Manila, nervosa e preoccupata
per la sua famiglia, perché le eruzioni del vulcano “Pinatubo” avevano già
distrutto alcuni villaggi e ucciso delle persone. Di Marilena mi colpì
profondamente la bellezza interiore. Aveva capelli lunghissimi e neri, occhi
scuri e dolcissimi, che non tradivano timidezza e paura, non era alta ma ben
fatta. Per un attimo ebbi l‟impressione di trovarmi di fronte ad un angelo, in
carne ed ossa.
- Tu, Frank - esclamai - sei un inglese fortunato, poiché hai sposato una
ragazza in gamba! - Insomma, che ne sai tu, che non la conosci nemmeno? - disse Frank
sorridendo.
Ci fu una pausa e aggiunse scherzando:- Poi, le donne filippine sono
cattive! Marilena sorrise timidamente; allora risposi, fissando Frank dritto nei
suoi occhi furbi:
- Non ho bisogno di conoscere una persona per sapere chi è, il mio sesto
senso non mi ha mai tradita, infatti, al primo incontro so sempre con chi ho
a che fare. Poco dopo arrivò Spiros e, mentre Marilena stava firmando il contratto, si
udì il don dell‟alto parlante; il comandante annunciò che la nave sarebbe
partita alle 18.00 per Jakarta, e avrebbe raggiunto il porto l‟indomani
mattina alle 8.00. Quindi l‟equipaggio in libera uscita doveva essere a bordo
alle 17.00. Spiros ci spiegò che la nave aveva urgentemente bisogno
d‟alcune riparazioni agli impianti dell‟aria condizionata, perciò dovevano
arrivare alcuni tecnici dall‟Europa.
Ad ogni modo, i giornalisti che avevano fatto la prima crociera avevano
scritto degli articoli che screditavano la m/n “Orient Sun”. Per quella
ragione, alcuni agenti di viaggio si erano rifiutati di imbarcare i loro clienti.
Quella crociera si era rivelata infernale per tutti.
Intanto il Charterer stava tentando di riparare i danni che oramai
sembravano irreparabili, poiché si era fatto una brutta fama. Spiros
insisteva assicurando che saremmo partiti con pochissimi passeggeri, perché
tutti i giornali di Singapore e Jakarta n‟avevano scritto di tutti i colori. Poi
sorridendo mi disse:
- Cara Elisabetta, il mio compito qui è finito, domani parto per la Grecia.
credo che anche tu tornerai a casa presto, appena la nostra compagnia avrà
sistemato la questione col Charterer. Infine ci salutammo commossi, poi presa da una profonda tristezza lo
seguii con lo sguardo, mentre sorridendo s‟allontanava verso l‟uscita. In
29
quel momento mi resi conto che un altro sogno si era avverato: ero rimasta
sola. Marilena sembrò intuire i miei pensieri, , mi fissò con occhi tristi. Poi
Frank disse: - Ok! Allora vi lascio, così potrete lavorare. Dopo alcune lezioni di computer, mi resi conto che Marilena era molto
intelligente, e non avevo bisogno di sforzarmi per farle capire le cose, così
la lasciai libera.
Il mattino dopo, il cinque luglio, in poche ore spostammo la merce, poi
consegnai le chiavi al general manager. Quella sera la nave partì con un‟ora
di ritardo, ma finalmente il caldo fu sconfitto, perché l‟aria condizionata
sembrò funzionare abbastanza bene; naturalmente i tecnici rimasero a
bordo, perché i problemi più gravi non erano ancora stati risolti. Spiros
aveva visto giusto: si era imbarcato appena un centinaio di passeggeri.
Ad ogni modo, Henry, il capo alloggi, mi aveva spiegato che il Charterer
non era interessato ai passeggeri, ma alla qualità dei giocatori. Egli
assicurava che sarebbero bastati 20 “players” ricchi, per guadagnare
abbastanza denaro da far funzionare la nave.
Tutto ciò, comunque, mi sembrò assurdo, perché i bar, il duty free shop
e tutti gli altri negozi non avrebbero incassato abbastanza da pagare le
spese. Durante quella crociera, le “hostess” mi consegnarono il programma
della “Orient Sun” e fu un‟altra delusione, poiché avevo sperato di
ritornare a far crociere nelle belle isole indonesiane, ma purtroppo il
programma comprendeva solo Singapore e Jakarta.
Il nove luglio, quando attraccammo a Singapore, invitai Marilena a
pranzo. Durante quella crociera, la sua gentilezza e precisione sul lavoro mi
avevano colpito e mi sentii in dovere di dimostrarle la mia gratitudine. Mi
resi conto che erano bastati quei pochi giorni per affezionarmi a lei.
Più tardi, quando tornammo a bordo, Frank era a pochi passi dalla scala
d‟imbarco e si affacciò dal portellone gridando nervoso:
- Sono ore che vi aspetto, il G. M. mi ha informato che ha ricevuto l‟ordine
di sbarcare Marilena! - Non è possibile, Marilena é stata assunta da una compagnia privata, e
nessuno può sbarcarla all‟infuori di me! - brontolai nervosa. Frank mi puntò
addosso i suoi occhi arrabbiati e ribatté:
- Tu hai ragione, ma il G. M. mi ha assicurato che questo è un ordine venuto
dall‟alto e non si può fare niente. Ecco perché mia moglie deve sbarcare. Marilena si strinse al marito e scoppiò a singhiozzare disperatamente. Per
un attimo ci guardammo negli occhi, increduli, poi decisa sbottai:
- Ora vado a parlare con il comandante, e tu Marilena calmati, perché loro
non possono sbarcare l‟impiegato di un‟altra compagnia senza ragioni
valide. - Con un filo di speranza corsi dal comandante e, mentre l‟angoscia
mi serrava la gola, domandai: - Mi scusi, comandante, ma credo di avere il
diritto di sapere la ragione per cui vogliono sbarcare la mia assistente. - Cara signorina, lei ha ragione, ma mi creda, nemmeno io lo so! Allora supplicai: - Lei deve aiutarmi, dopo tutto è la prima volta che
qualcuno in alto, come mi hanno riferito, pretende di sbarcare l‟impiegato
di un‟altra compagnia, senza dare delle spiegazioni. 30
- Signorina Elisabetta, vorrei tanto aiutarla, ma anch‟io devo ubbidire agli
ordini, altrimenti perderò il lavoro, comunque posso darle il numero di
telefono della persona che mi ha ordinato di sbarcare la signora Marilena.
Ad ogni modo la prego di non fare il mio nome. - Va benissimo comandante, la ringrazio di cuore.- Poi, sorridendo, scrisse il
numero in un foglietto, mi guardò dall‟alto in basso e, compiaciuto, me lo
allungò affermando:
- Allora, si faccia passare il signor Siad, a questo numero. Ringraziai il comandante e andai via in tutta fretta. Non ci fu nulla da
fare purtroppo, Siad mi rispose con tono freddo che sbarcavano Marilena
perché la mia compagnia non l‟aveva messa in regola. Poi, quando gli risposi
che erano scuse, poiché avevo il contratto in mano, arrabbiato gridò che
non dovevo preoccuparmi, dato che i miei superiori erano stati informati.
Io indignata gli risposi che nessuno si era mai permesso di raccontarmi due
bugie nel giro di un minuto, egli mi sbatte il telefono in faccia ed io feci lo
stesso. Naturalmente sapevo che mentiva, ma non potevo farci niente,
oramai era troppo tardi, anche per avvisare Delopera a Venezia.
Allora presi la paga di Marilena e andai nella sua cabina, dove trovai lo
staff captain, il G. M. ed altri ufficiali che attendevano che terminasse di
fare le valigie, per scortarla fuori della nave.
Gli ufficiali erano tutti in fila, appoggiati alla paratia del corridoio,
davanti alla porta aperta della cabina. Così domandai il permesso di
chiudere la porta della cabina, lasciandoli ad attendere fuori. Marilena stava
facendo le valigie con l‟aiuto del marito, mentre il general manager, che era
rimasto all‟interno della cabina, faceva finta di essere addolorato.
- Scusi, - domandai - ma lei che ha tanto potere non può aiutare i suoi
amici?- Marilena scoppiò in un pianto dirotto e tra le lacrime borbottò:
- Nella mia vita nessuno mi ha mai trattato in questo modo e poi senza
ragione! - Il general manager se ne stava seduto sulla spalliera del letto in
silenzio. Provavo un gran dolore nel vedere che stavano sbarcando Marilena
senza motivo e capivo quello che stava provando lei, così con le lacrime agli
occhi gridai:
- Tu non fai niente per tua moglie? Maledizione, come puoi permettere
quest‟ingiustizia? Li pianterei in asso, quel branco di prepotenti! - Il G. M.
mi bruciò con lo sguardo, mentre Frank urlava arrabbiato:
- Ho già dato le dimissioni, ma non posso sbarcare, perché per legge devo
dare il tempo alla compagnia di trovare un sostituto. Se sbarco senza dare
preavviso, le autorità portuali mi toglieranno il libretto di navigazione. Mi girai verso il G. M. e mi resi conto che mi fissava con rabbia, poi
sbottò:
- Lei è fortunata che sono un amico, altrimenti adesso sarebbe in grossi
pasticci. - Gli sorrisi e sussurrai fulminandolo con lo sguardo:
- Caro signore, se lei mi sbarcasse, mi farebbe sicuramente un favore; ma
neanche lei potrà farlo, salvo che non si compri tutta la merce del negozio.Scattò in piedi e uscì dalla cabina in silenzio. Allungai la busta e la
ricevuta a Marilena che la firmò, poi contò il denaro e, asciugandosi le
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lacrime, esclamò: - Ti sei sbagliata! Mi devi quattro giorni, tu me ne hai
pagato il doppio! - Non mi sono sbagliata, dopo tutto quello che stai subendo. Frank aveva appena chiuso le valigie e le stava tirando giù dal letto,
quando bussarono alla porta ed entrarono due marinai che presero i bagagli.
Marilena mi abbracciò ringraziandomi e si unì alla fila degli ufficiali che la
scortarono all‟uscita della nave. Ancora una volta mi sentii profondamente
triste.
La nave era in procinto di partire, e dovetti correre in cabina a mettere
la divisa, perché dovevo aprire subito il duty free shop; non mi fu possibile
accompagnare Marilena all‟uscita e l‟addio mi sembrò ancora più doloroso.
Alcuni giorni dopo, Henry mi raccontò che Frank era caduto nella rete
che il Charterer aveva tessuto per lui. Avevano sbarcato Marilena con la
speranza che si licenziasse per contestare la ritorsione fatta alla moglie. Io
stessa sarei caduta nella rete, com‟era accaduto a Frank. Mai avrei
immaginato che, alle soglie del duemila, esistessero delle compagnie pirata,
che escogitavano certi trucchi per non pagare le conseguenze di una rottura
di contratto.
Tutto ciò mi sembrò barbaro ed incivile.
Il tredici giugno, all‟arrivo a Singapore, Frank fu sostituito con l‟ex
assistente commissario, Ismail, un malese. Quel giorno, quando mi recai
all‟ufficio informazioni, per salutare Frank, vi trovai Peedu e Kristian,
anch‟essi in attesa dell‟agente per sbarcare. I due ufficiali mi salutarono con
affetto, spiegandomi che sarebbero ritornati in dicembre.
In quel mentre arrivò l‟agente, allora abbracciai Andrew il quale mi
spiegò che avrebbe trascorso alcuni mesi nelle Filippine con la moglie
stabilendosi poi per sempre in Inghilterra, dove probabilmente avrebbe
lavorato sui traghetti che attraversavano la Manica.
Quella notizia mi fece felice, così gli allungai il mio biglietto da visita e lo
pregai di farmi sapere come sarebbe andata. I tre ufficiali mi salutarono in
coro, mentre si avviavano all‟uscita; andai nella “passeggiata” della nave
che si affacciava sul porto e, prima che entrassero nel pulmino, gridai:
- Non dimenticherò le serate trascorse con voi a bere birra, in compagnia
dei vostri polli volanti. - Essi alzarono lo sguardo verso di me e, ridendo
allegramente, m‟inviarono l‟ultimo saluto, poi salirono sul pulmino e
partirono urlando:
- Buona fortuna! Altro che polli volanti! Per alcuni minuti le loro braccia fuori del finestrino si agitarono
salutando. Poi sparirono dietro alle migliaia di containers nel porto. Alcune
settimane dopo il G. M. mi comunicò il suo sbarco. Poi, nervoso, mi raccontò
che se n‟andava, perché era stanco di combattere con degli incompetenti.
Infine affermò che, se fosse dipeso da lui, avrebbe bruciato nei forni
crematori tutti gli orientali, così avrebbe liberato il mondo da esseri che
erano inutili. Dalla rabbia che aveva in corpo, capii che anch‟egli era stato
silurato. Mr. Hong occupò il suo posto. Era d‟origine cinese, nato a
Singapore e, già dal primo giorno d‟imbarco, aveva conquistato la simpatia
32
di tutti, per il fascino e la gentilezza che adoperava con tutto l‟equipaggio.
Era un bel giovane, alto e ben fatto, con occhi neri a mandorla, e vestiva
elegantemente.
QUINTO CAPITOLO: IL PRINCIPE INDIANO
Il venticinque luglio stavo pranzando nella saletta ufficiali, quando la
porta si aprì di colpo e vidi spuntare l‟enorme pancia di Jan, il nuovo
direttore di macchina, seguito dal suo assistente, Ante. Jan si avvicinò
toccandosi i baffi brizzolati poi, puntando i suoi occhi azzurri su di me,
domandò:
- Cara, possiamo avere l‟onore di sederci vicino a te? - Prego! Con gran piacere. - Ante intanto allungò le sue mani sul tavolo e,
fissandomi con occhi languidi alla “play-boy” chiese: - Non sei forse tu la
nostra vicina di casa? Mi trovai col suo viso di fronte al mio, che mi scrutava con i suoi occhi
grigi, che cercavano dentro ai miei una risposta.
Domandai curiosa di capire: - Insomma, che cosa intendi? S‟allontanò dal mio volto e spiegò: - Mi hanno assicurato che sei italiana,
perciò sei la nostra vicina di casa, perché noi siamo iugoslavi. - Questa è una bella notizia! Per me é una gioia avere vicini di casa su una
nave così lontano dall‟Europa! In quel mentre arrivò Jan, col suo piatto pieno, si piazzò di fronte a me
e, guardandomi serio, domandò:
- Ti hanno invitata per il trentuno luglio, a cena, al Mystery Club? - Mi dispiace, ma non ho avuto quest‟onore, per ora! - Vedrai che lo faranno, perché il Charterer ha invitato tutti gli ufficiali, nel
suo locale, a Jakarta - rispose Ante sorridendo.
Frattanto Jan continuava ringhiando: - Spero che non dimentichino
d‟invitarti, altrimenti sarà una serata noiosa senza di te! In quel momento entrarono Luis e Shay che s‟informarono su quali cibi
scegliere. Noi consigliammo uno stufato di manzo, poiché era l‟unica
pietanza con poco peperoncino. Terminato il pranzo, Jan c‟invitò nella sua
cabina a bere un bicchiere di buon vino bianco.
Luis era un personaggio unico per le sue originali pazzie, si lasciò cadere
sulla poltrona di Jan e intimò:
- Ora lasciatemi dormire in pace! - Poi chiuse gli occhi e si mise a russare.
Pochi minuti dopo scattò in piedi, fissando il sedere di Jan, e gridò con tono
scherzoso: - “Polpettone”, passami un bicchiere di vino.Una risata fragorosa rimbombò nella cabina, mentre Jan si girava di
scatto e, fissandolo negli occhi, urlò:
- Senti, Rambo dei miei stivali, accontentati di strapazzare le famose
bambole gonfiabili, e lascia in pace me. 33
- Bambole gonfiabili? - ribatté Luis - Io faccio impazzire solo le belle donne!
- Jan, non farai per caso scoppiare le bambole gonfiabili sotto il tuo peso? –
interrogai seria e, mentre gli altri scoppiavano in una risata, Jan si mise le
mani sui fianchi brontolando: - Insomma, perché non volete capire che a me
piacciono le donne in carne e ossa! Diedi un‟occhiata al mio orologio da polso e mi resi conto che segnava
l‟una, così a malincuore salutai gli amici e corsi fuori dalla cabina per
recarmi ad aprire il negozio.
Fuori nel corridoio gridai ad alcuni marinai:
- Hello babys! (Ciao bambini!) - Hello mummy! How are you? (Ciao mamma! Come stai?) - risposero
allegramente i baldi giovani, mentre correvo via ridendo.
Per noi era normale salutarci con tale fervore. Spesso, quando incontravo
gruppi di marinai, fuori della nave, gridavano euforici: - Mummy, we love
you! (Mamma ti amiamo!) Ed io felice rispondevo:
- Hello children of Orient sun, your mummy loves you too! - (Ciao bambini
del sole d‟Oriente, anche la vostra mamma vi ama!) Il 27 luglio la nave attraccò verso le 10.00 nel porto di Jakarta. Dopo lo
sbarco dei passeggeri, il capitano annunciò dal microfono del ponte di
comando che, alle undici, la sirena avrebbe dato inizio all‟esercitazione e
tutti i 178 componenti dell‟equipaggio dovevano parteciparvi.
Nel frattempo, urla e fischi esplosero intorno: i filippini. protestavano,
perché ogni quattro giorni, all‟arrivo nel porto indonesiano, il comandante
ci obbligava a restare a bordo per l‟esercitazione. Naturalmente tutti
conoscevamo le leggi internazionali, sapevamo a che cosa si andava
incontro facendo gli assenteisti.
Chi si fosse rifiutato avrebbe pagato cinquanta dollari di multa al
comando, rischiato il ritiro del libretto di navigazione e di finire in carcere.
Ma l‟equipaggio era informato e sapeva che, per legge, l‟esercitazione era
obbligatoria, ma solamente una volta la settimana e non ogni quattro giorni.
Questa era una delle ragioni per cui l‟equipaggio detestava il
comandante. Alle undici in punto, al suono della sirena, di corsa, dopo aver
indossato la nostra giacca di salvataggio, ci recammo alla stazione per
l‟ennesima volta, come degli automi, a subire le solite manovre. Tutto ciò
succedeva sotto un sole bollente, che stordiva e faceva grondare di sudore.
Avevo appena raggiunto la lancia di salvataggio, cui ero destinata in caso di
naufragio, quando i marinai Carroll e Guan affermarono che il comandante
aveva ordinato di ammarare la lancia a remi e dovevo scendere con loro.
Mi sentii mancare il respiro, m‟aggrappai alla ringhiera e la stanchezza mi
cadde addosso all‟improvviso. Mi feci forza e salii sulla lancia che dondolava
sotto di me, lasciando intravedere le acque del mare che brillavano sotto i
raggi del sole. Poi arrivò Shay che si sedette di fronte a me e, col sudore
che le scendeva da sotto gli occhiali neri, gridò:
- Mi sto facendo una bella sauna. 34
Intanto l‟ufficiale Roldam ordinò di far calare la lancia che, dondolando,
incominciò a scendere veloce, sbattendo contro l‟acqua che ci schizzò tutti;
i marinai sfilarono i remi e remarono nervosi intorno alla nave, fin quando il
capitano dal ponte di comando ordinò di ritornare alla base. Così
raggiungemmo la nave e, quando i marinai ebbero agganciato la lancia alle
funi, lentamente la fecero salire fino al ponte “passeggiata” dove Carroll e
Guan ci aiutarono a saltare a bordo. I due marinai fecero poi risalire la
lancia nella posizione d‟origine e quindi la sirena annunciò la fine
dell‟esercitazione.
Mi sentii terribilmente stanca e non avevo voglia di attendere il ritardo
del pranzo, che si era venuto a creare a causa dell‟esercitazione. Mentre
riflettettero starnuti vigorosamente e automaticamente mi misi la mano alla
bocca e quando la tolsi mi resi conto che era piena di sangue. Sconvolta
andai a rinfrescarmi con una doccia e poi, priva di forze, mi stesi sul letto e
m‟addormentai profondamente.
Poco dopo sognai di essere di fronte ad un affascinante principe indiano:
fui profondamente colpita dalla bellezza celestiale di quell‟essere che
ritenevo speciale. Indossava un bellissimo turbante celeste con pietre
preziose e un meraviglioso costume verde smeraldo, che copriva il suo
corpo perfetto. Il principe mi fissò in silenzio, poi mi spinse un dito in bocca
e incominciò a massaggiarmi le gengive. Sentii subito una forma d‟energia
che entrava nella mia bocca. Percepii il mio corpo rilassato e immobile,
mentre mi rendevo conto che mi stavo svegliando da una forma di
dormiveglia. Naturalmente sentivo il mio corpo pesante come una pietra,
ma evitai di uscire da quello stato, perché sapevo che il principe non aveva
ancora terminato di curarmi.
Intanto il mio corpo fu pervaso da una sensazione di piacere
indescrivibile, che mai avevo provato prima; all‟improvviso si
materializzarono migliaia di molecole, che veloci finirono all‟interno della
mia bocca. Infine l‟immagine dell‟indiano sparì, ed io, fra lo stupore e la
forte emozione, scoppiai a piangere a dirotto.
Poco dopo mi ritrovai seduta sul letto a ringraziare Dio con tutta me
stessa, pregandolo di ricompensare il meraviglioso principe indiano e mio
padre, che mesi prima, in sogno, mi aveva comunicato, tramite mia madre,
che mi avrebbe protetto con l‟aiuto di un indiano.
M‟alzai dal letto, asciugandomi le lacrime con un lembo di lenzuolo. Mi
ritrovai davanti allo specchio ad osservare i miei denti; mi resi conto che
niente era cambiato, eccetto per una piccola carie che avevo su un canino
inferiore: al posto di quella macchia scura, c‟era un piccolo buco bianco.
Riflettendo attentamente, sentivo che mi era capitato qualcosa di
estremamente eccezionale e tutto ciò mi sembrò un miracolo paradisiaco.
Mi venne in mente che l‟ultimo dentista che avevo consultato, quando ero a
casa, mi aveva assicurato che i miei denti, per l‟età che avevo, erano molto
consumati a causa della mancanza dello smalto.
Da quando ero imbarcata a bordo della “Orient Sun” mi sentivo sempre
stanca, perdevo sangue dalla bocca e avevo notato che le gengive erano
viola. Così ritornai allo specchio e, dopo un accurato controllo, dovetti
ammettere che erano diventate rosa, con sfumature viola. Questo strano
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evento mi lasciò rilassata e felice, perché mi sentii protetta ed aiutata
dall‟alto. Avrei voluto raccontare quest‟incredibile sogno a qualcuno, ma
sapevo che probabilmente mi avrebbero preso per pazza, quindi rimase un
segreto meraviglioso che mai avrei dimenticato.
Il primo agosto 1991, la motonave attraccò a Jakarta e, come al solito,
dopo lo sbarco dei passeggeri, la sirena annunciò l‟esercitazione e tutti i
componenti dell‟equipaggio corsero a prendere la giacca di salvataggio, poi
raggiunsero la propria stazione per rispondere all‟appello dei propri
superiori.
L‟equipaggio quel giorno era tranquillo, poiché la nave avrebbe
pernottato a Jakarta e sarebbe ripartita il primo agosto, alle 18.00. Il
comandante aveva permesso al G. M di organizzare una festa. L‟hostess di
turno, quel mattino, annunciò che alle 21.30, nell‟Olimpia Lunge, il “discjockey” avrebbe dato iniziò alla serata danzante, dedicata allo staff di
bordo e all‟equipaggio. La cosa mi divertì, giacché tutti i filippini che
incontravo mi sorridevano e, inchinandosi, mi baciavano la mano
chiedendo: - Mummy, mi farai ballare questa sera, vero? - Con piacere! - esclamavo, felice d‟accontentare quelle creature dolcissime
e piene d‟amore. Provavo una simpatia particolare per gli orientali, mi
sembrava di essere circondata da un equipaggio di bambini meravigliosi per
la loro gentilezza e allegria. Mi sentivo viziata dalle loro attenzioni continue
e piene d‟affetto, che mi solleticavano il cuore. Molti di loro avevano più
anni di me, ad ogni modo mi sentivo la loro madre, forse perché avevano
corpi perfetti e snelli e, sembravano non avere età, con occhi che
sorridevano sempre e mi facevano percepire una giovinezza eterna.
Naturalmente era la ragione per cui li avevo soprannominati, “The children
of Orient Sun” (I bambini del Sole D‟Oriente).
SESTO CAPITOLO: INVITO AL MYSTERY CLUB, A JAKARTA
Quella sera, davanti allo specchio, provavo e riprovavo i miei vestiti;
finalmente scelsi un paio di pantaloncini colorati e una camicia nera, che
avevo comprato in Turchia alcuni anni prima. Guardai la mia immagine allo
specchio e, dopo aver passato il rossetto sulle labbra, uscii dalla cabina e
raggiunsi le “hostess” nel salone delle feste.
Alcuni minuti dopo mi venne incontro Shirley, e m‟invitò al suo tavolo,
dove sedevano Raiyu e Desery. Mi accolsero con gioia e mi offrirono un
“drink”, poi alzammo i bicchieri e con allegria brindammo alla nostra
amicizia.
La musica rimbombava nel salone e l‟equipaggio ballava scatenato nella
pista, fra luci fosforescenti che si tramutavano veloci in colori vivaci. Poi i
marinai filippini Rosalito, Carroll e lo steward Romeo s‟inchinarono in segno
di riverenza e, prendendomi la mano, mi trascinarono sulla pista. Le loro
figure snelle danzavano a tempo di musica, con movimenti aggraziati e
perfetti. Ero estasiata, e mi sembrava di ballare con dei ballerini
professionisti. Si capiva che la musica gli entrava nel sangue e
s‟impossessava delle loro anime.
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Quella felicità mi violentava l‟anima e mi contagiava, avvolgendomi in
quel loro mondo misterioso che era il ballo. Mi ricordai, infatti, la loro
danza folcloristica più famosa, che avevo visto ballare nelle Filippine alcuni
anni prima. Rivedevo la scena, dove due ragazzi muovevano delle grosse
canne di bambù, mentre un gruppo di giovani ballava il “tinikling” a tempo
con il continuo movimento delle canne.
Durante la pausa mi accompagnarono al tavolo e mi salutarono
baciandomi le mani.
Raiyu mi chiamò e mi presentò Benjamin, un bellissimo indonesiano, che
mi seguì e, mentre si sedeva accanto a me, domandò:
- Da dove vieni ? - Sono un‟extraterrestre. Non si vede? - risposi.
Egli rise di gusto, poi disse: - Avevo creduto di trovarmi di fronte a
Cleopatra! - esclamò accarezzandomi i capelli.
- Mi piacciono molto i tuoi occhi scuri a mandorla, il viso pallido che mi
ricorda una dea, e i capelli nerissimi, come le notti orientali. Non ti
nascondo che, quando ti ho visto camminare con quel tuo corpo sinuoso, ho
sentito un colpo al cuore - aggiunse eccitato, mentre attorno a me le
“hostess” ascoltavano stupite.
Tentai di raffreddare lo sconcerto che aleggiava attorno, dicendo
allegramente: - Oh, finalmente ho trovato Marcantonio! Una risata collettiva echeggiò, coprendo per un attimo la musica che
risuonava dagli altoparlanti.
- Altrochè Marcantonio, mi sembra piuttosto un “latin-lover” - gridò Shirley,
mentre esplodeva una risata fragorosa.
- Verresti con noi al “Mystery Club”? - domandò Benjamin - Sai, sono una
guida turistica e lavoro per Mr. Kor, il Charterer di questa nave; alle
ventidue devo accompagnare il vostro comandante e tutti gli ufficiali a cena
al “Mystery Club”. In quel mentre Shirley intervenne, insistendo tra le note di una musica
metallica:
- Si, si, Elisabetta, vieni anche tu, vedrai che ci divertiremo molto. - Insomma, che cosa c‟entro io, so che il Charterer ha invitato solo gli
ufficiali! - risposi curiosa di capire.
Shirley avvicinandosi dichiarò: - Come shop manager hai gli stessi diritti
dì un ufficiale a bordo di questa nave, quindi sei invitata anche tu.- OK, allora vengo con voi - risposi, alzandomi in piedi. Seguii il gruppo che
andava a raggiungere il pullman.
Pensavo che sulle navi italiane la mia qualifica faceva parte dello “staff”
di bordo, mentre sulle navi straniere cambiavano molte cose.
Intanto Benjamin affermò che doveva avvisare il comandante dell‟arrivo
del pullman, poi mi avrebbe raggiunto a bordo. Raiyu mi afferrò per un
braccio e ridendo esclamò: - È rimasto fulminato dal tuo fascino egiziano! -
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- Probabilmente è la seduzione della straniera che lo attira - aggiunsi
allegramente salendo sul pullman.
Poco dopo arrivarono il comandante e il direttore di macchina, perciò
Benjamin chiuse lo sportello e ordinò all‟autista di partire. Il motore si
accese e subito ci trovammo nel pieno caos del traffico, fra il frastuono di
migliaia di clacson che rimbombavano nella notte buia. I fari dei veicoli
s‟incrociavano qua e là sulle strade, correndo in tutte le direzioni e fra le
baracche, che illuminate, sembravano tuguri. Le migliaia di “bidonvilles”
che mi scorrevano davanti, mi riempivano il cuore di tristezza.
Mi girai e vidi il comandante in piedi che mi guardava con interesse, poi
sorridendo affermò:
- Ciao Elisabetta, sono felice di averti con noi questa sera! Sorrisi per ringraziarlo del suo buon cuore. Intanto Benjamin mi guardava
da lontano, mentre intratteneva gli ufficiali durante il viaggio. Dopo circa
un‟ora giungemmo vicino ad una strana costruzione dove un‟insegna rosso
fuoco scriveva nel cielo nero il nome del locale. L‟autista aprì gli sportelli
del pullman e ci fece scendere.
Giungemmo all‟interno di una gran sala piena di statue di marmo. La
nostra guida ci fece salire su un ascensore; ci trovammo in un'altra sala con
una quarantina di tavoli rotondi, ricoperti da tovaglie rosso scuro,
apparecchiati con servizi cinesi, dove molta gente beveva e mangiava
allegra.
Benjamin ci indicò i tre tavoli riservati per noi e, dopo aver
accompagnato il comandante al tavolo vicino al palco, venne a sedersi fra
me e Shirley. In quel mentre mi sentii chiamare, mi girai e, con sorpresa,
vidi il comandante che si era alzato in piedi e m‟invitava al suo tavolo.
Benjamin scattò in piedi e tristemente mi spostò la sedia invitandomi ad
andare. Non riuscii a nascondere la mia esitazione, allora il capitano invitò
anche Shirley; poi mi fece sedere fra lui e Jan. Seduti al tavolo c‟erano
Roldan, il terzo ufficiale, Shirley e Ante, che mi fissavano in silenzio,
intuendo il mio imbarazzo.
Subito il comandante mi riempì di domande: disse di chiamarsi Michael
e, così dovevo chiamarlo. Jan mi guardava con i suoi occhi azzurri e tristi.
Allora gridai fra le note di una melodia cinese:
- Senti, vicino di casa, finiscila di farti divorare da pensieri negativi! Il suo viso s‟illuminò di colpo di un sorriso mentre tutti ridevano divertiti
e rispose:
- Scusatemi, ma Ante ed io siamo un po‟ preoccupati, abbiamo paura per il
futuro del nostro paese, poiché c‟è il rischio di una guerra. Al momento
purtroppo la situazione sta degenerando, ma non vogliamo rovinarvi la
serata con i nostri problemi. - Fortunatamente la guerra non è ancora scoppiata, perciò spero non vorrai
rovinarti il fegato, perché allora avrai altri problemi - risposi, sbattendogli
una mano su quelle spalle robuste.
Intanto i camerieri avevano riempito il tavolo di cibi vari e piccole ciotole
piene di salse colorate, dove il comandante intingeva qualcosa che divorava
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avidamente. Poco dopo lo fissai con stupore, perché all‟improvviso mi fece
assaggiare fettine di pesce che aveva preso dal suo piatto e continuò ad
imboccarmi sotto lo sguardo sbalordito di tutti i presenti. Per fortuna il
Charterer lo fece chiamare, così si alzò dal tavolo e lo raggiunse. Poi ritornò
e ridendo affermò:
- Gentilissimo il nostro Charterer, era preoccupato perché pensava che
m‟annoiassi e mi ha presentato un gruppo di bellissime indonesiane. Mi ha
pregato di sceglierne una per trascorrere la serata, ma ho rifiutato, poiché
ho già ciò che voglio. In quel momento avrei voluto andarmene, speravo con tutta me stessa di
non essere ciò che voleva, perché sapevo che lo avrei deluso.
Cercavo di reprimere l‟indifferenza che provavo per lui, ma non ci
riuscivo. Sembrava non accorgersi di nulla, si alzò in piedi e, inchinandosi,
m‟invitò a ballare.
Non risposi, ma mi alzai e lo seguii sulla pista: dopotutto non era un
lento. Vedere il suo corpo magro e alto muoversi a tempo di musica, con i
tatuaggi grotteschi che s‟intravedevano sotto le maniche della camicia
bianca arrotolate, mi faceva pensare a Braccio di Ferro.
Subito dopo mi vergognai di ciò che avevo pensato, ma era più forte di
me, purtroppo i suoi movimenti erano così goffi che mi disgustavano;
malgrado cercasse i miei occhi con lo sguardo, guardavo altrove, facendo
finta di non accorgermi dei suoi tentativi.
Frattanto la musica terminò, cercai di tornare al mio posto, ma il
capitano mi afferrò per una mano e mi ricondusse in pista. Intanto le luci si
abbassarono e una musica dolcissima diede inizio ad un lento. Tentò di
stringermi a sé, ma non ci riuscì, mi prese sui fianchi e mi scrollò con vigore
gridando: - Insomma, vuoi lasciarti andare e smetterla di essere così rigida e
fredda come il ghiaccio! Mi liberai con rabbia dalle sue mani, che ancora mi tenevano, e gridai: Mi dispiace comandante, ma non posso comportarmi altrimenti, perciò la
prego di non insistere, non so mentire. Per un attimo i suoi occhi grigi si annebbiarono e il viso si deformò,
scoppiando in una risata sarcastica, poi borbottò: - Complimenti, sei una
ragazza sincera, ti ammiro per questo! Tirai un sospiro, mentre lui mi esaminava con curiosità e sussurrò: - Mi
piacerebbe conoscerti meglio! La musica era terminata e le luci illuminarono la pista, così mi afferrò per
un braccio e mi accompagnò al tavolo. Intanto il “D.J.” annunciò l‟inizio
dello “show”. Improvvisamente dalla pista si alzò il palco. Poco dopo un
gruppo di ballerini iniziarono una danza tipica cinese.
Tra le luci colorate che cambiavano in tempo di musica, vidi il Charterer
avvicinarsi al comandante con una bottiglia di cognac in mano; arrivò anche
la cameriera con i bicchieri. Mr. Kor ordinò di servirci il “drink” e disse
sorridendo:
- Buona sera a tutti e benvenuti al “Mystery Club”. Spero abbiate bevuto
e mangiato bene! 39
Le nostre voci si alzarono in un coro di lodi e ringraziamenti. Intanto
vicino a Mr. Kor era apparsa una bellissima indonesiana che indossava uno
splendido abito da sera blu, che luccicava ad ogni suo movimento, facendo
notare il corpo sinuoso. Capii subito che era una delle sue collaboratrici.
Notai il vestito a giacca verde salvia, di seta pura, che Mr. Kor indossava
elegantemente.
Era un uomo interessante, e non troppo alto, ma robusto. I suoi
sessant‟anni li portava bene, malgrado avesse capelli grigi, che, a contatto
delle luci bianche, parevano fili d‟argento. Il suo viso largo, segnato dalle
rughe, mi ricordava il tipico mafioso indonesiano. Le nuvole di fumo si
allargarono nella sala attirando la mia attenzione e una dolcissima melodia
indonesiana vibrò intorno.
Nel frattempo una cantante, seminuda, con veli colorati, apparve
danzando fra il fumo bianco, che già aveva invaso la sala. Mr. Kor,
rivolgendosi al capitano, domandò: - Ti piace ? - È molto bella! Ha anche una bellissima voce! - Bene - proseguì il Charterer - dopo te la mando al tavolo, così potrai anche
ballare, se vorrai. Più tardi, in ogni caso, siete tutti invitati nella sala del
“Karaoke” a cantare. Ora vi lascio, ho ancora qualcosa da fare! Prese a braccetto la sua collaboratrice e si avviarono verso il bar. La
cameriera aveva dimenticato di servirmi il cognac, così, mentre tutti lo
sorseggiavano, il capitano fece portare un bicchiere e me ne servì un poco,
poi esclamò serio: - Sbadati questi camerieri! Poco dopo Benjamin ci presentò la cantante, la fece sedere fra Shirley e
il capitano e se n‟andò ad occuparsi degli altri ufficiali. Il cognac aveva reso
tutti più allegri e tra una battuta e l‟altra si fece l‟una. Poco dopo giunse
Mr. Kor e c‟invitò a seguirlo nella sala del “Karaoke”. Ci trovammo di fronte
ad una gran poltrona celeste che circondava un tavolino bianco, con un
bellissimo vaso di fiori rari, al centro. Le pareti erano scavate e all‟interno
luccicavano bellissime statue di marmo bianco. Sulla sinistra c‟erano due
“Roulette Tables” rifinite in marmo, dello stesso colore chiaro.
Il capitano si era messo vicino al Charterer, poi m‟invitò a sedermi
accanto a lui. Subito dopo, eravamo tutti seduti attorno allo schermo da
proiezione. Mr. Kor prese il telefono e richiese il motivo “Strangers in the
night”. Infine sorridendo, mentre la sua bella collaboratrice gli allungava il
microfono, affermò: - Sarò il primo a rompere il ghiaccio, poi avremo
l‟onore di ascoltare il capitano Michael. Grida di consenso echeggiarono nella sala, mentre la musica sovrastava le
grida degli ufficiali eccitati. La voce intonata di Mr. Kor riscaldò di passione
la bella collaboratrice che, sotto lo sguardo stupito di tutti noi, si sedette
sulle ginocchia del suo “Boss” accarezzandogli i capelli, senza timore.
Alcune cameriere portarono un‟altra bottiglia di cognac e due piatti
d‟argento pieni di frutta tropicale. Servirono a tutti un bicchiere con del
brandy. Ancora una volta si dimenticarono di me, il capitano mi offrì il suo
bicchiere e brontolò: - Insomma, allora ce l‟hanno con te! - Probabilmente sono gelose - risposi - poiché ho l‟onore di sedere vicino al
comandante.40
Egli, sorridendo felice, mi accarezzò i capelli e ammise scherzando: Sicuramente é così! Portai il bicchiere alle labbra e, dopo un piccolo sorso, glielo resi,
ringraziandolo. Poco dopo vidi il general manager, che stringeva una mano a
Desery e la fissava appassionatamente negli occhi. Capii subito che c‟era del
tenero fra di loro e questo era evidente a tutti i presenti. Pensai che
purtroppo questi uomini di bordo non avevano alcun rispetto per le loro
mogli. Il comandante stesso non si preoccupava di nascondere il suo
interesse per me. Tutto ciò mi costernava terribilmente.
Desery era fragile e dolcissima, non apprezzava le relazioni con uomini
sposati; ma sapevo anche che non avrebbe saputo sottrarsi alla seduzione
del bellissimo G. M. Hong. La osservavo, mentre gettava i lunghissimi capelli
neri dietro le spalle, intanto riflettevo sulla sua futura relazione.
Il suo bel viso rotondo sembrava pallido sotto le luci bianche che le
illuminavano i bellissimi occhi neri a mandorla. Hong era un bel giovane alto
e magro, tipico viso cinese e occhi furbi, dove si leggeva tanta voglia di
vivere.
Sotto l‟insistenza di tutti i presenti il capitano iniziò a cantare il suo
motivo d‟amore, tentando ogni tanto di guardarmi negli occhi. Cercavo di
ignorare i suoi tentativi poco graditi, guardando le frasi del motivo che
scorrevano sullo schermo, con immagini spettacolari. Nel frattempo pensavo
che avrebbe fatto meglio a non cantare, perché la sua voce stonata
disturbava i timpani.
Richard intonò il terzo motivo, lasciando tutti sbalorditi. Mi resi conto
che gli orientali avevano nel sangue il dono del canto, infatti spesso, a
bordo, andavo ad ascoltare i passeggeri che cantavano nella sala del
“Karaoke” e, raramente, avevo dovuto subire la voce stonata di qualcuno.
Nel frattempo il G. M, scherzando, ordinò per il suo assistente Marlo una
canzone. Costui prese in mano il microfono e, mentre i suoi capelli irti
sembravano muoversi nervosi, diede inizio ad una melodia cinese. Quando
gli applausi esplosero intorno, i suoi occhi scuri sorrisero, disegnando il
tipico sorriso cinese. La voce di Benjamin intervenne tra le note dolci di
quel brano incantevole, urlando: - Signori, il pullman è arrivato, ci aspetta
sotto, all‟entrata del locale! Il Charterer uscì dal suo angolo, lasciando scivolare dalle ginocchia la
bell‟indonesiana, e noi tutti aspettammo il nostro turno per salutare. Poco
dopo, man mano che salivamo sul pullman, Benjamin ci contava come
fossimo pecore che rientravano all‟ovile. Mentre gli ufficiali ridevano e
canticchiavano sotto l‟effetto dell‟alcool, gridai:
- Eh! Benjamin, sono entrate tutte le pecore? Egli scoppiò a ridere, mentre Roldan gridò, alzandosi in piedi: - Ecco,
stanno arrivando gli ultimi caproni! In quel momento salivano Marlo e Richard, che affermarono: - Se noi
siamo dei caproni, voi siete dei montoni! Urla, fischi e grida si alzarono in un frastuono caotico, mentre il pullman
partiva veloce, in quella strada buia e deserta. Durante il viaggio, le voci
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degli ufficiali s‟innalzarono in un coro dolcissimo di canti popolari orientali,
che mi fecero venire la pelle d‟oca.
Verso le tre e trenta, il pullman ci lasciò nella gran piazza del porto, mi
avviai verso l‟entrata della nave, mentre il capitano mi raggiungeva e mi
domandò: - Ti va di prendere l‟ultimo “drink” da me? - La ringrazio - risposi - ma mi creda, è molto tardi e sono stanca. Mi fissò con quegli occhi annebbiati che già conoscevo e tristemente
borbottò: - Avrei desiderato qualcosa di diverso per noi, questa notte. –
Rimasi per un attimo impietrita, senza rispondere, poi allontanandomi gli
augurai la buona notte.
SETTIMO CAPITOLO: RISCHIO DI QUARANTENA
Da alcuni giorni stavo male, mi sentivo terribilmente stanca, non avevo
appetito e a volte la testa mi girava al punto da dovermi sedere, altrimenti
sarei caduta a terra. Mi guardavo allo specchio e mi pareva di vedere un
mostro. Il mio volto era pallido e pieno di foruncoli, lo stomaco si era
ribellato ad ogni tipo di cibo, se ingerivo qualcosa, correvo alla toilette
sotto l‟effetto della dissenteria.
Quasi tutto l‟equipaggio soffriva degli stessi sintomi. Il medico di bordo,
Mr.Win, da alcuni giorni stava vaccinando tutto l‟equipaggio contro il colera,
il tifo, ecc. Quello che mi faceva più arrabbiare era che non avevano ancora
trovato il tubo rotto, che mescolava l‟acqua potabile a quella salata.
Era triste vedere che tutti gli ufficiali protestavano con rabbia, mentre
bevevano l‟acqua salata, ma nessuno osava far qualcosa. Sapevo che il
Charterer aveva installato una fontana speciale nel “self-service” per i
passeggeri, dove ogni tanto, di nascosto, andavo a rubare l‟acqua, perché
con i problemi di salute che avevo, di notte soffrivo una sete terribile.
Shay mi aveva informato che Henry aveva avuto dal contabile del
Charterer, Mr. Tono, l‟ordine di distribuire bottiglie d‟acqua minerale nelle
cabine dei passeggeri. Tutti noi, purtroppo, dovevamo continuare a bere
quell‟intruglio di sale e acqua, e chissà per quanto tempo ancora. Insomma,
la situazione era terribile. Spesso mi chiedevo come poteva il comandante
non curarsi di questi gravi problemi.
Sfortunatamente l‟aria condizionata si ruppe per la seconda volta. I
passeggeri si lamentavano. Intanto, per il forte sudore, la divisa si
appiccicava al corpo, dandomi la sensazione d‟essere aggredita da
sanguisughe che succhiavano quel po‟ di sangue che ancora scorreva nelle
mie vene.
Il mattino del tre agosto mi svegliai, mentre la nave attraccava nel porto
di Singapore.
Scesi dal letto, tirai le tendine e i raggi violenti del sole mi colpirono gli
occhi, mi sedetti sulla poltrona controluce e, mentre stavo immobile con le
mani contro il viso, vidi le immagini di un bellissimo stallone nero, con il
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dorso ricoperto da un magnifico drappo reale bianco e rosso. Mi resi conto
che stavo ricordando il sogno che avevo avuto durante la notte.
Continuavo a vedere il cavallo che mi sembrava triste e addolorato, poi
mi accorsi che era stato ferito ad una zampa. Una folla gli stava intorno,
fissandolo in silenzio, stupita. Avevo la strana sensazione che quel cavallo
simboleggiasse il nostro comandante. Dal film che mi scorreva davanti alla
mente, capii che qualcosa di molto triste avrebbe colpito, in futuro, il
nostro capitano.
Mi alzai in piedi pensierosa e, mentre mi lavavo il volto, provai a
riesaminare quelle immagini, cercando di non tralasciare nessun particolare
importante. Ciò che captavo era sempre lo stesso messaggio.
Il giorno dopo, verso le nove, mentre facevo colazione, un nuovo ufficiale
inglese entrò nella saletta e si sedette di fronte a me. Intanto bevevo il mio
intruglio di sale e caffè e, stranamente, mi sentivo attratta dalla sua figura
seria e distinta. Mi ricordava il tipico “gentleman” con tutti i requisiti del
brav‟uomo.
Provai per lui un immediata simpatia. Era alto, magro, con spalle larghe e
capelli castani. Il suo naso sporgente stava bene sul viso lungo, dove
spiccavano i suoi occhi scuri. La sua pelle rosata brillava sul suo viso
abbronzato. Poi lo vidi portare la tazza alla bocca.- Attento, sta bevendo un
intruglio di caffè e sale! - dissi sorridendo.
- Are you joking? (Sta scherzando?) - rispose posando la tazza.
- No! Non sto scherzando! - esclamai - Sono due mesi che beviamo
quell‟intruglio, fortunatamente non siamo ancora morti! Ci siamo solo
beccati la diarrea. - Mi guardò preoccupato e aggiunse portando la tazza alla
bocca: - Mi lasci gustare! - Poi l‟ufficiale fece una smorfia d‟approvazione.
Allora gli raccontai la vecchia storia. All‟interno della saletta, già a
quell‟ora del mattino, faceva molto caldo e il caffè bollente, che avevo
appena bevuto, sembrò infuocarmi le viscere. L‟ufficiale intanto si alzò e,
sbuffando dal caldo, si asciugò alcune perle di sudore che gli scendevano
dalla fronte, infine sventolando la salvietta per rinfrescarsi un pò brontolò: Insomma, é terribilmente caldo! Purtroppo non possiamo farci niente,
dobbiamo affrontare il nostro destino. Ad ogni modo, ieri il mio tassista mi
ha raccontato di articoli giornalistici che hanno discreditato questa nave,
incrementando la pubblicità negativa fatta dagli agenti di viaggio, ma mi
creda, non mi aspettavo certamente di dovermi inquinare lo stomaco con il
sale. Poi l‟ufficiale mi afferrò una mano e stringendola disse: - È stato un
piacere averla conosciuta, sono Edward, chief engineer electrical officer. Se ne andò, lasciando di colpo la porta taglia fuoco, provocando così un
boato metallico, che mi fece sobbalzare sulla sedia.
Pochi giorni dopo, il G. M m‟informò che il capitano mi aveva invitato a
cena. La notizia mi arrivò come un fulmine a ciel sereno, dato che avevo
creduto che egli avesse intuito l‟indifferenza che provavo per lui. Così
imbarazzata, lo pregai di spiegare al capitano che quella sera ero impegnata
e non potevo accettare il suo invito.
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Hong divertito mi fissò con un sorriso malizioso, poi brontolò: - Lei lo sa
che non si può rifiutare l‟invito del comandante? - Questo lo dice lei, caro Hong! - risposi decisa.
- OK, come desidera signorina! - gridò stringendo i suoi occhi neri a
mandorla, poi sparì, lasciando dietro di sé una scia di profumo delicato e
fresco.
Il cinque agosto la sirena di bordo annunciò la solita esercitazione, con
l‟eccezione di esibire il cartellino di riconoscimento al comandante. Allora,
al termine dell‟esercitazione, tutti in fila salimmo sul ponte di comando,
dove il capitano, con i suoi occhi d‟inquisitore, ci controllò uno ad uno,
soffermandosi severo a dare multe a chi non aveva rispettato gli ordini.
Arrivò il mio turno e i suoi occhi si posarono curiosi su di me per un attimo,
poi mi fece cenno di andare. Subito dopo, udii la sua voce fredda, che mi
ordinava, mentre Jan gli suggeriva qualcosa all‟orecchio:
- Elisabetta, torni qui ! - Eccomi comandante! - risposi seria avvicinandomi.
- Lei lo sa, vero, che durante l‟esercitazione si devono calzare solo scarpe
basse e non sandali? - Mi scusi - risposi - ma nella fretta di raggiungere la mia stazione, ho
dimenticato di cambiarli. Frattanto i suoi occhi s‟illuminarono e un sorriso spuntò sul suo volto.
Intanto Jan, in tuta da lavoro, mi faceva l‟occhiolino, facendomi capire che
era stato lui a far notare la cosa per farmi un piccolo dispetto.
- Non si faccia più trovare con i sandali durante l‟esercitazione, altrimenti
mi costringerà a prendere dei provvedimenti.- Va bene, capitano! - esclamai con un fil di voce, con tutti gli occhi dei
presenti puntati addosso.
Uscii dal ponte di comando e mi soffermai a guardare i gabbiani che
volteggiavano lenti, contro il sole infuocato. In quell‟afa terribile che mi
toglieva il respiro, sentii il sudore che scorreva per il corpo, mi avviai
frettolosa, lasciando dietro di me quel bagliore accecante, che disturbava
gli occhi.
Il dieci d‟agosto, durante il viaggio di ritorno per Singapore, chiusi il duty
free a mezzogiorno, come al solito, per recarmi a pranzare.
Giunta nella saletta deserta, mi accomodai di fronte ai grandi finestroni,
da dove potevo vedere l‟enorme distesa di mare blu. Il sole affondava nelle
acque scure i suoi raggi, che fuggivano attorno dandomi la sensazione che
giocassero a nascondino. Intanto, all‟orizzonte, una nebbia grigia correva ad
invadere il cielo.
Tutto ciò mi sembrò strano, poiché l‟Oriente era famoso per le sue
giornate limpide e calde. All‟improvviso le grida rumorose dell‟equipaggio
attirarono la mia attenzione, rimasi immobile ad ascoltare, poi le voci si
alterarono e urla angosciose irruppero tutto intorno, seguite da boati
metallici che rimbombavano intorno.
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Scattai in piedi e corsi verso la riposteria, che si trovava al centro delle
due salette, dove mi si presentò una scena angosciante. Il marinaio filippino
Rosalito, arrabbiato, aveva scaraventato i “plateaux” pieni di cibo sul
pavimento e continuava a gridare le sue ragioni, mentre l‟equipaggio, tra i
quali Carroll, Denis e Guan gli si era radunato attorno e ascoltava in silenzio
ciò che avrebbe voluto gridare insieme. Poi Rosalito che stava al centro mi
fissò nervoso e, puntando il dito contro di me, protestò:
- Voi nella saletta degli ufficiali mangiate bene, ma a noi servono i resti
andati a male, che neanche i porci vorrebbero mangiare.Intanto erano giunti il cameriere e il maestro di casa indonesiano,
responsabile dei viveri La presenza di quest‟ultimo aveva per un attimo
paralizzato Rosalito, che se ne stava come impietrito con gli occhi fuori
della testa. Poi con uno scatto violento, continuò ad urlare:
- È anche per colpa tua, se ci siamo presi la dissenteria, possibile che tu non
lo capisca? Siamo stanchi di mangiare merda e bere acqua salta, in questa
lurida nave razzista! –
Uno scroscio d‟applausi esplose attorno, il volto di Rosalito s‟illuminò per
un attimo, mentre il maestro di casa ascoltava addolorato.
- Abbiamo tutti lo stesso problema - ammisi sconvolta - anch‟io sto male
come voi tutti, il cibo e l‟acqua fanno schifo non solo per voi, ma anche per
noi. So che il nostro maestro di casa farà presente a Mr.Kor questi problemi
e speriamo che le cose cambino. - Un altro applauso irruppe nella sala,
accompagnato da voci che gridavano in coro:
- Hurrah Mummy! Hurrah Mummy! (Evviva mamma! Evviva mamma!) Mi rivolsi poi al maestro e lo supplicai di non raccontare l‟accaduto, per
non fare perdere il lavoro al marinaio Rosalito, allora si rivolse
all‟equipaggio e dichiarò: - Ora calmatevi, non racconterò l‟accaduto ai
superiori, per non fare sbarcare il vostro compagno. –
Un applauso echeggiò nella sala per la terza volta, mentre gli occhi scuri
di Rosalito amareggiato brillarono di gioia. Poi assieme ai connazionali
Rosalito andò a pulire la saletta. Mi girai per ritornare al mio posto, quando
mi ritrovai di fronte al general manager Hong, che domandò furioso: - Chi è
stato a combinare questo guaio? Ci fu un attimo di silenzio e risposi passandogli accanto: - Qualcuno ha
urtato contro i “plateaux” che sono caduti. – Egli mi seguì in silenzio e andò
a sedersi in un angolo, accanto a Desery. Non mi piaceva mentire, ma
sapevo che a volte le bugie sono necessarie per evitare danni maggiori .
A bordo della “Orient Sun” non era lecito far valere i propri diritti con
tanto di ragione, perché si rischiava di essere sbarcati immediatamente,
com‟era già capitato molte volte. Capivo che non aveva senso protestare,
dato che non si sarebbe ottenuto altro che la sicurezza di trovarsi un
mattino sulla banchina con le valigie.
In quel momento capii che il motto era: - Mangiar di questa minestra o
saltare dalla finestra. Me ne stavo tranquilla, nonostante fossi continuamente aggredita da
problemi diversi, poiché speravo che, da un momento all‟altro, la mia
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compagnia sistemasse la situazione con il Charterer e potessi così tornare
finalmente in Italia. Insomma, anche se dentro di me sentivo che
quell‟avventura sarebbe durata ancora molto tempo, lo stesso capivo che,
mai e poi mai, avrei lasciato la mia compagnia nei guai, anche se sapevo che
stavo rischiando la mia salute.
Spesso mi domandavo se non fosse stato meglio perdere il lavoro,
piuttosto che vivere in quelle condizioni, con il rischio di ammalarsi di
colera, ma quando pensavo alle famiglie dei filippini che avevano fame,
capivo che valeva la pena di rischiare. La povertà nei paesi orientali faceva
paura e quelli che avevano il lavoro se lo tenevano stretto coi denti,
perché, nonostante fossero sfruttati, riuscivano a sfamare le loro famiglie.
Alcuni giorni prima avevo fatto il vaccino del colera e il mio braccio
sinistro era ancora gonfio e mi faceva male. Quel pomeriggio, alle 18.00,
dovevo andare a fare il secondo richiamo. Così, mentre mi recavo
all‟infermeria, incontrai alcune cameriere filippine che, lamentandosi, mi
confidarono che i vari vaccini avevano dato loro la febbre. Preoccupata,
raggiunsi l‟ambulatorio, dove incontrai un gruppo di marinai che mi salutò
gridando in coro:
- Hallo mummy! We love you! (Ciao mamma! Ti amiamo!) - Il loro sorriso
pieno di gioia mi rallegrava, riempiendomi d‟energia che donava forza e
coraggio.
Pochi giorni dopo mi resi conto che le nebbie che avevo visto
all‟orizzonte si erano diffuse ovunque. Richard mi aveva spiegato che non si
trattava di nebbie, ma di fumo. Il terribile caldo del mese d‟agosto aveva
fatto scoppiare vari incendi gravissimi. Aveva captato alcuni messaggi
attraverso la stazione radio, e sapeva che gli indonesiani stavano facendo
tutto il possibile per spegnere gli incendi che si erano propagati in alcune
isole.
Il diciotto agosto, verso le 18.00, uscii dalla mia prigione di metallo e
passeggiando a poppa, mi trovai a vagare in un mare di fumo, che oscurava
la luce del sole. Poi i garriti nervosi dei gabbiani attirarono la mia
attenzione e nel fumo apparvero delle ali bianche: ebbi la sensazione che i
gabbiani volassero smarriti verso l‟alto, alla ricerca della luce. Ogni cinque
minuti, la sirena della nave si allungava rumorosa all‟infinito, mentre da
poppa si vedeva il fumo grigio della ciminiera, che si mescolava con quello
più chiaro degli incendi. Sentivo che quel miscuglio di residui di
combustione mi entrava nella gola e mi provocava la tosse. Per il nostro
comandante, la navigazione era diventata molto difficile e pericolosa.
Con tutti i problemi che avevamo a bordo della “Orient Sun”, dovevamo
anche subire quello del fumo, il quale poteva diventare causa d‟incidenti
ancora più gravi di quelli che già rischiavamo.
Poco dopo ritornai all‟interno, dove ebbi l‟impressione di respirare un pò
meglio: da alcuni giorni l‟aria condizionata sembrava funzionare bene, ma
non si poteva purtroppo far a meno di respirare quel veleno grigio, che
peggiorava la nostra condizione fisica. Giunta in cabina, mi ritrovai a fissare
il mio viso stanco e pieno di foruncoli, da cui gli occhi neri spuntavano tristi
e arrabbiati, fra quelle sporgenze che mi rendevano irriconoscibile.
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Allora, mentre la rabbia cresceva in me, avrei voluto gridare con tutta la
mia forza e piangere disperatamente, ma c‟era qualcosa più forte di me,
che mi tratteneva e sembrava darmi coraggio.
Il ventidue agosto ero seduta dietro al banco del negozio, quando
ricominciò il suono acuto e continuo della sirena di bordo, che annunciava
la sua presenza alle altre navi nascoste nel fumo. Quel suono misterioso
spargeva attorno a tutti noi un alone di paura che a volte faceva
rabbrividire. Scossa da strane sensazioni “sinistre”, alzai gli occhi e
m‟apparve davanti, all‟improvviso, l‟enorme figura di Jan, che indossava la
sua tuta blu da lavoro.
Mi fissò in silenzio, poi, posandomi una mano sulla spalla, borbottò: Sono nervoso, perciò sono venuto a fare la passeggiata mattutina all‟interno
del negozio, per rilassarmi.Mi prese a braccetto e mi portò a camminare avanti e indietro, come di
solito faceva quando era molto ansioso. I suoi occhi agitati mi trasferirono la
sua angoscia, poi abbassò lo sguardo e, fissando il pavimento, sussurrò:
- Ante ed io siamo preoccupati, le nostre famiglie vivono a Dubrovnik e
abbiamo paura che presto la guerra scoppi anche in Bosnia. Non è facile
essere lontano in questo momento. In Iugoslavia abbiamo molti problemi e
odi razziali che covano dentro da troppo tempo; per questa ragione non ci
sarà scampo.Il nostro sguardo s‟incrociò allarmato. Allora, dopo una pausa, risposi: Avanti Jan, smettila di distruggerti prima del tempo! Incomincia a
preoccuparti quando avrai ragione di farlo. Di colpo smise di camminare e, sorridendo, ammise: - Hai ragione, per
fortuna ci sei tu che annulli le mie paure. Io sono venuto anche per invitarti
al party, che Ante ed io stiamo preparando per questa sera. - Ah, così si fa, piuttosto che farsi prendere dai pensieri negativi.- Mi
prese la mano, me la baciò teneramente e, facendomi l‟occhiolino, si
allontanò sussurrando: - Fai in modo di non mancare, ok! Lo salutai con un cenno della mano, poi risposi:
- “Ok baby”, non mancherò. Un sorriso spuntò sul suo viso, poi mi girò le spalle e se n‟andò. Quella
sera, verso le ventidue, i segnali acuti e prolungati della sirena della nave
cominciarono a diminuire sempre più, poi finalmente cessarono. Alla
distanza di circa dodici ore dall‟arrivo a Singapore, come al solito, il fumo
incominciava a diradarsi fino a lasciare dietro di sé uno splendido cielo
stellato. Vedevo i gabbiani volare liberi e poi tornare a seguire la nave, con i
loro gridi rauchi, che sembravano scoppi di risate di marinai ubriachi L‟aria
fresca mi accarezzava il corpo, mentre camminavo lungo il ponte
“passeggiata”, che conduceva al corridoio che portava agli alloggi ufficiali.
La cabina di Jan era l‟ultima e si trovava di fronte a quella del
comandante. Sulla soglia le grida acute dei presenti mi entrarono nei
timpani, e per un attimo mi sentii male.
Poco dopo si accorsero della mia presenza e mi allungarono, felici, un
bicchiere di vino rosso. Ante si alzò in piedi e mi lasciò il suo posto,
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spingendomi la sedia sotto il sedere e obbligandomi così a caderci sopra. Il
tavolino era pieno d‟ogni ben di Dio. Incominciai subito ad assaggiare quelle
specialità, per non permettere al vino di rendermi gracchiante come una
cornacchia ubriaca.
Intanto apparve il comandante sulla porta e qualcuno si alzò per lasciargli
il posto. La cabina del direttore era molto grande, ma già tutto lo spazio era
stato occupato dai nostri corpi, che si trovavano stretti l‟uno all‟altro, tra il
fumo delle sigarette che aleggiava intorno togliendo il respiro. Jan aveva
invitato alcune “croupieres” australiane, amiche del capitano.
Le tre donne avevano circondato il comandante e stavano ridacchiando
insieme. Ogni tanto lui mi fissava sdolcinato, ma evitavo il suo sguardo,
facendo finta di non capire. Poco dopo si alzò e se n‟andò in silenzio. Il G.
M. Hong era stretto a Desery, oramai era evidente che tra i due giovani
c‟era del tenero.
Roldan, un giovane affascinante, sui trent‟anni, media altezza, viso
rotondo, capelli e occhi scuri, sembrava corteggiare la piccola Lydia, che
portava lunghi capelli scuri e aveva un visetto da bambola. La sua bassa
statura mi ricordava una bambina. Aveva appena vent‟anni, ed era alla sua
prima esperienza di lavoro. La prima volta che m‟invitò nella sua cabina
rimasi sbalordita, mi sembrò di essere entrata nella stanza dei balocchi; sul
letto e ovunque sui mobili stavano pupazzi colorati.
All‟interno di quella cabina si leggeva l‟enorme mancanza d‟affetto che
ella cercava di riempire con quei pupazzi dalle forme dolcissime. Pensai che
quel piccolo passerotto dagli occhi nerissimi era entrato in un mondo troppo
pericoloso e pieno di tranelli, che certo non erano per un angelo ingenuo e
indifeso come lei.
Intanto Jan mi faceva l‟occhiolino, mentre imboccava le ragazze coi vari
manicaretti. Ante mi corteggiava, servendomi ogni tipo di vivanda e
controllando il mio bicchiere.
Poco dopo mi sentii pervadere da una stanchezza profonda, avvertivo
che, a poco a poco, mi venivano a mancare le forze. La mia testa diventò
pesante come una montagna. Mi resi conto che, se non me n‟andavo a letto
subito, sarei caduta ai piedi degli ospiti e avrei rovinato la festa. Così,
dondolando, mi alzai in piedi, mentre la testa girava come un mulino a
vento; con la voce che mi tremava, augurai la buona notte e me n‟andai,
nonostante tutti mi pregassero di restare. Giunta in cabina, mi lasciai
cadere sul letto. Naturalmente dovetti fare un grosso sforzo per spogliarmi,
poi mi rifugiai sotto le lenzuola.
Immediatamente capii di essere entrata in un‟altra dimensione, tutto il
mio essere percepiva una sensazione indescrivibile di leggerezza e piacere
infinito. In quello stato incredibile persi conoscenza. Durante la notte mi
trovai in uno strano stato di dormiveglia, in cui dall‟alto vidi un‟ombra, che
stava china sulla mia schiena e mi infilava un ago nella spina dorsale. Subito
mi resi conto che vedevo la scena dall‟alto e, stupefatta, riconobbi lo spirito
di luce trasparente di mio padre, che mi faceva l‟agopuntura.
Poco dopo mi ritrovai all‟interno del mio corpo, papà era scomparso, e
subito percepii una strana energia uscire dal plesso solare. Per tutte le ore
che trascorsero, il mio corpo rimase immobile in quello strano stato di
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dormiveglia e continuavo a sentire, di tanto in tanto, quell‟energia uscire
dal mio corpo, come piccole folate di vento che fuggivano da me,
lasciandomi uno strano solletico sopra lo stomaco.
Il mattino del ventitre agosto 1991, quando mi alzai dal letto, capii che
probabilmente il mio spirito era uscito dal corpo per alcuni minuti, poiché
avevo visto la scena dall‟alto. Pensai quindi, che papà, operando nella mia
spina dorsale, aveva aperto un canale d‟energia che probabilmente si era
bloccato per l‟insorgenza di una malattia.
Quest‟idea si fece sempre più forte nel mio pensiero, a tal punto da
indurmi ad andare al Mt. Elizabeth Hospital, per un controllo. Quando la
nave attraccò nel porto commerciale di Singapore, ero pronta per sbarcare.
L‟unico problema era come raggiungere, a circa tre chilometri di
distanza, il “taxi stand” (stazione dei taxi.) Ricordare a me stessa di
dovermi inoltrare per chilometri, fra quelle terribili gru e in mezzo a
migliaia di containers colorati, dove centinaia di camion correvano
spericolati in ogni direzione, sotto un sole rovente, m‟innervosiva.
Purtroppo non c‟era altra soluzione. Così, mentre scendevo dallo
scalandrone in mezzo ai passeggeri, pensai di sgattaiolare all‟interno del
loro pullman.
Ben presto mi resi conto che non era possibile, poiché ogni turista esibiva
un “pass” che non possedevo. Allora mi avviai delusa lungo la polverosa
strada di terra rossa, che portava in mezzo a quel labirinto di containers,
che sotto il sole inviavano raggi di luci accecanti. Poco dopo udii una voce
che mi chiamava, sorpresa mi trovai di fronte ad un uomo di mezza età, che
mi domandò se dovevo raggiungere il centro; così mi spiegò che stava
tornando in città e che poteva darmi un passaggio, aprì lo sportello della sua
auto e m‟assicurò che non dovevo aver paura, poiché essendo il fornitore
della nave, capiva cosa significava attraversare a piedi quella giungla dì
metallo, sotto un sole infuocato.
Senza esitare accettai. Il “gentleman” mi accompagnò all‟ospedale, e
stringendomi la mano, mi salutò e sparì con la sua “Mercedes” fra i
bellissimi oleandri fioriti che costeggiavano il viale, lasciandomi l‟animo
colmo di riconoscenza. Avevo sempre creduto che l‟aiuto disinteressato,
per uno straniero fosse il dono più bello che potesse ricevere.
Così, con la gioia nel cuore, raggiunsi l‟ambulatorio del dottor Charles.
Poco dopo il medico mi prelevò il sangue per fare tutte le analisi. Poi mi
fissò l‟appuntamento per il ventotto agosto. Uscii dalla clinica, presi un taxi
e mi feci portare al “Singapore River” a visitare “The Ernpress Place, Art
Gallery” dove ogni settimana erano esposte le opere di pittori orientali.
Spesso, quando mi recavo in centro, andavo a trascorrere alcune ore
all‟interno della galleria, poiché lo splendore misterioso di quelle opere
riempiva il mio animo di sensazioni straordinarie, riuscendo così a farmi
dimenticare per un po‟ l‟amara realtà che mi circondava. Entrai nella
galleria e, mentre fissavo con interesse un quadro particolare che
assomigliava ad una mia opera, ebbi un flash back: ero a casa seduta sotto al
gazebo, nel mio giardino, in compagnia della mia amica Marzia e piangevo
disperatamente. Marzia mi fissava addolorata, mentre io cercavo di mettere
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a fuoco il suo volto, che vedevo mostruoso e deformato come tutto ciò che
osservavo.
- Marzia, - singhiozzai, - non potrò più dipingere, fare le cose che amo, ti
guardo, ma vedo il tuo volto deformato, lo capisci, è come se vedessi un
mostro, tutto ciò che osservo è deforme. - Insomma, - domandò Marzia, - che cosa ti hanno detto gli specialisti? –
- Sono nata con una forte miopia che è degenerata e ha creato due buchi al
centro della retina, quindi finché il sangue sotto la retina non si riassorbisce
vedrò un mondo grigio e deformato. - Ma quanto durerà questa cosa orrenda? - domandò Marzia angosciata.
- Mesi, anni, non si sa, dipende da quanto tempo ci vorrà a cicatrizzarsi,
sempre che riesca a guarire e non continui la degenerazione. Mi hanno detto
che i laser che hanno non possono essere usati per il centro della retina. Io disperata ricominciai a singhiozzare e Marzia addolorata si alzò e
venne ad abbracciarmi.
Uscii riflettendo dalla galleria e prima di ritornare a bordo, andai a
mescolarmi tra quella folla multirazziale, dove sembrava che le profonde
radici del razzismo si fossero seccate.
Più tardi, verso le venti, Henry entrò in negozio e si sedette sulla sedia
accanto a me, come faceva quasi tutte le sere, per farsi quattro chiacchiere
in mia compagnia. Era dotato di una simpatia unica e il corpo obeso
sembrava muoversi in sintonia con le sue battute. Era imprevedibile e, ad
ogni suo discorso, non potevo far a meno di scoppiare in una risata. Poi mi
fissò negli occhi lasciandosi andare rilassato, con le braccia penzoloni.
- Immagino che tu non sappia - ridacchiò Henry - che al “Health Center”
di bordo, le massaggiatrici, con qualche dollaro in più, ti fanno il massaggio
“alla frenesia”. - Vuoi dirmi di cosa si tratta? - interrogai curiosa.
- Possibile che tu non capisca ? - brontolò.
- Probabilmente sarà un delirio furente, immagino! - risposi ridendo.
- Che cosa dici, si tratta semplicemente di un massaggio con l‟orgasmo! –
Lo fissai perplessa e sbottai incredula: - Stai scherzando, vero? - Non sto per niente scherzando, mia cara. Ho anche saputo che presto
imbarcheremo tredici prostitute di lusso e, credimi, da questa sera in poi, a
bordo della “Orient Sun” ci saranno le migliori spogliarelliste d‟Oriente. Ascoltavo sbalordita, poi domandai:- Vogliono per caso trasformare la
motonave in un bordello? Henry sorrise, illuminando il suo grosso faccione, poi fissandomi con i
suoi occhi furbi, aggiunse:
- Mi raccomando, ricordami che devo informare il medico di bordo di stare
pronto con la barella, perché prevedo che il pelo nero di queste
spogliarelliste cinesi farà venire l‟infarto ai deboli di cuore. - Stai attento a non rimetterci tu le penne, piuttosto - risposi ridendo,
mentre si alzava in piedi, facendo scongiuri e puntandomi contro l‟indice e
il mignolo, in segno di corna.
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In quel mentre entrarono alcuni passeggeri, Henry mi fece un cenno e se
n‟andò disegnando alcune smorfie sul suo volto, per farmi capire che
sarebbe ritornato più tardi.
Alle ventidue, quando chiusi il duty free shop e mi recai al “self service”
a riempire la mia bottiglia d‟acqua alla fontana dei passeggeri, udii dei passi
e apparve il maestro di casa. - Ah! - disse sorridendo - ti ho presa con le
mani nel sacco! - Altrochè mani nel sacco! - risposi seccata - mi prendo ciò che mi spetta di
diritto, poiché a bordo di questa nave si fa in modo che uno si senta
colpevole anche dell‟aria che si respira. Egli mi posò una mano sulla spalla e preoccupato ammise:
- Hai ragione, sembra tutto così complicato, eppure si potrebbe cercare di
risolvere questi problemi, che agli occhi di tutti sembrano rebus. Ho parlato
con Mr. Kor, come vi avevo promesso, ma lui sembra non aver apprezzato
molto il mio discorso sui viveri; sfortunatamente ho perso il posto e sto
dando le consegne a Marlo, che insieme al G. M. diventerà responsabile,
quindi se sapranno gestire con intelligenza il “catering” forse potrete
mangiare meglio. Posai la bottiglia sul tavolo e addolorata domandai: - Non avrai perso il
posto per colpa nostra? Mi sorrise cercando di nascondere un certo nervosismo, poi sbottò:
- Insomma, lo sai anche tu che quando le cose vanno male, per il Charterer
la colpa è sempre del maestro di casa. Egli si aspettava che facessi miracoli,
ma non dipende tutto da me. C‟è il cuoco che se non sa fare bene il suo
mestiere, fa aumentare i problemi, quindi ci sono mille cose che non sto qui
ad elencarti, che non dipendono da me, Capisci? - Già! - risposi, pensando che molti maestri di casa erano diventati ricchi
guadagnando e risparmiando sui viveri dell‟equipaggio e dei passeggeri.
Probabilmente non era questo il caso, ma purtroppo sapevo che era una
triste realtà che sfortunatamente succedeva a bordo di molte navi.
Intanto mi guardava pensieroso, allora gli spiegai che non tutto il male
veniva per nuocere, perché ero certa che fuori di questa nave
l‟attendevano esperienze di lavoro più importanti, quindi doveva andare
incontro al suo destino con ottimismo. Il maestro di casa mi prese una mano
e la baciò, poi ci porgemmo gli auguri per il futuro.
Poco dopo, mentre passavo davanti all‟ufficio informazioni, vidi Desery e
il G. M. che si baciavano; feci finta di niente e mi allontanai. Pochi minuti
dopo Desery m‟invitò a tornare sui miei passi, per assaggiare un delizioso
“jak fruit”, poi mi pregò di accompagnarla allo “strip-tease show”
nell‟Olympia Launge.
Avrei preferito andare in cabina a leggere, ma una strana curiosità mi
prese, così ci avviammo insieme al salone delle feste. Varcammo la soglia,
mentre Luis presentava una splendida donna che iniziò a danzare, facendo
volare su e giù uno scialle rosso in tessuto trasparente. Il suo corpo sinuoso
si muoveva frenetico, sotto un velo nero, che sembrava correre dietro a
quel corpo oramai posseduto da movimenti isterici. Intanto gli ufficiali e lo
“staff ” australiano urlavano eccitati e gridavano parole oscene.
51
Per un attimo rimasi sbalordita, mentre sulla pista la donna continuava a
lanciare i suoi indumenti danzando, poi restò con una mantella trasparente,
che lasciava intravedere il suo corpo nudo. Quando infine, fra le note di una
musica emozionante, scoccò un colpo di gong, la spogliarellista aprì la
mantella di colpo e il corpo della donna apparve nudo per un attimo, sotto
le luci dei riflettori. Le grida furenti dei presenti vibrarono intorno, facendo
tremare la sala.
In quel momento una mano si posò sulla mia spalla; quando mi girai,
Edward scherzando implorò:
- Per favore, non faccia sapere a mia moglie che mi ha sorpreso, mentre
osservavo lo “strip-tease”! Scoppiai in una risata poi risposi: - Troppo tardi, le ho già spedito un fax!
- Oh, mio Dio! A questo punto è meglio che vada a nascondermi! - concluse
sorridendo, mentre s‟allontanava tra la gente.
Intanto Desery mi pregò di sedermi e mi parlò del suo amore per il G. M
confidandomi che era preoccupata, perché sapeva che presto la moglie si
sarebbe imbarcata per una crociera, per stare insieme al marito.
Intanto il capitano Michael ci passò davanti, a braccetto con
un‟australiana che lavorava nel casinò. Allora Desery interruppe il discorso
bisbigliando:
- L‟equipaggio è furioso con il comandante. Tutti si lamentano con rabbia
assicurando che è uno sporco razzista, perché tratta male gli orientali e non
risponde mai al saluto. - Davvero! - risposi sorpresa, poi continuai – é sicuramente un uomo strano,
io stessa ho notato che non saluta l‟equipaggio. Ad ogni modo, pensavo che
tutto ciò fosse causato dal suo animo poco socievole e freddo; mai avrei
pensato che fosse un razzista. Intanto le giovani ballerine filippine si esibivano nella danza folcloristica
del “Capii Sa Munsala.” I loro meravigliosi costumi colorati spiccavano sotto
le bianche luci dei riflettori, mentre sfilavano mostrando l‟arte di
camminare, con la danza dei fazzoletti.
- Immagino che il fumo provocato dagli incendi delle foreste abbia
innervosito il nostro capitano. - aggiunse Desery seria.
Per un attimo le note misteriose del balletto attirarono la mia
attenzione, poi affermai: - Chiunque si sarebbe preoccupato, se fosse stato
il responsabile di una nave che naviga in tali condizioni. - Già! - ammise Desery. - Probabilmente il suo nervosismo è causato anche
dal fatto che il fumo non gli permette più di esibirsi al sole, con il suo
costume rosso e la cerniera sul posteriore. Scoppiai a ridere, poiché sapevo che si era parlato molto dei suoi
pomeriggi al sole, con quel costume che oramai sembrava essere diventato
una leggenda. Egli trascorreva, infatti, il suo tempo in compagnia delle
ragazze australiane che lavoravano nel casinò. Stavo ancora ridendo,
quando Desery sghignazzò: - In ogni modo, adesso dovrà calmarsi, ho
saputo che presto lo raggiungerà la sua dolce moglie, dall‟Australia. 52
Dopo un breve silenzio Desery capì che aveva parlato troppo, il suo viso
s‟incupì e sussurrò addolorata:
- Mi vergogno profondamente, perché anch‟io dovrò calmarmi, sai. - Quando l‟uomo avrà capito che il male che fa al suo prossimo lo fa a sé
stesso, allora non sarà più martire della sua ignoranza. Desery mi fissò addolorata e confessò aspra: - Sono persino arrivata a
pensare che riuscirò a strapparlo alla moglie. Dopo tutto non hanno figli! In
ogni caso, credimi, hai ragione, ma non posso stare senza di lui. Era triste vedere creature così fragili, che si creavano un futuro di dolore
e sofferenza solo perché, egoisticamente, non volevano rinunciare ad
un‟attrazione momentanea.
Mi alzai con l‟intento di andare a dormire, ma Desery mi pregò di passare
dal casinò; quindi entrammo all‟interno del salone per spiare le reazioni dei
perdenti, perché sapevo che a bordo della “Orient Sun” le vincite erano
rare.
Vedere tutta quella gente pigiata attorno ai tavoli verdi, tentare la
fortuna, con tale accanimento, faceva impressione. Osservavo stupita le
espressioni di tutte quelle facce ansiose che s‟innervosivano, ogni qualvolta
la pallina non si arrestava sul numero scelto. E, mentre mi aggiravo attenta
attorno ai tavoli da gioco, Desery m‟indicò una bella signora cinese, che
stava con gli occhi fissi sulla pallina, raccontandomi che, la settimana prima,
si era giocata tutti i risparmi; così era rimasta per tentare di recuperare il
denaro perduto.
In quel momento capii che il gioco era una medicina preziosa, che serviva
a curare l‟animo ingordo dell‟uomo. Uscimmo da quell‟inferno frastornate,
poi Desery disse: - Per fortuna a noi dell‟equipaggio hanno proibito di
giocare, altrimenti ci giocheremmo lo stipendio! - Non solo - aggiunsi sorridendo- forse anche le mutande, probabilmente! Durante la notte la sirena tornò a disturbare il nostro sonno e l‟aria
incominciò ad uscire dal condizionatore, mescolata ai residui della
combustione. Spesso mi svegliavo nella notte fonda, perché mi sentivo
male: avevo la gola secca, una sete tremenda e la tosse. In quei momenti
sapevo purtroppo che non ero la sola a soffrire: di tanto in tanto, nel
silenzio della notte, udivo tossire anche i miei colleghi.
Alcuni indonesiani addetti alle “slots machines” e ai “video games” mi
avevano spiegato che a volte gli incendi duravano tutta l‟estate e
terminavano all‟inizio della stagione delle piogge, con i primi temporali.
Tutto ciò mi preoccupava, dato che la stagione delle piogge era ancora
lontana e capivo che, respirando tutti i giorni quel fumo grigio, mi sarei
probabilmente beccata il colpo di grazia.
Il ventotto agosto, quando attraccammo a Singapore, andai subito al Mt.
Elizabeth Hospital a ritirare le mie analisi. Poco dopo, quando entrai nello
studio, il dottor Charles esclamò: - Lo sa che lei è forte come un cavallo? Stupita per l‟espressione, risposi, mentre gli stringevo la mano: - Sapevo
d‟essere forte, ma non immaginavo che lo fossi tanto quanto un cavallo! –
53
Scoppiammo a ridere di gusto, poi si sedette e incominciò a sfogliare il
referto e, fissandomi con i suoi occhi neri a mandorla, affermò: - Veramente
non c‟è molto da ridere, lei era infetta da epatite virale di tipo A. Adesso
però ha sviluppato gli anticorpi al virus, e non è più contagiosa. Capisce
perché ho detto che lei è forte come un cavallo? - Incredibile! - borbottai - allora sono guarita senza cure? - Già! - rispose - lei è fortunata, cara signorina! In quel momento pensai a mio padre e al principe indiano, che mi
avevano curato in sogno. Avrei voluto raccontare tutto al dottore, ma non
mi azzardai, immaginando che mi avrebbe preso per pazza, allora
domandai:
- I foruncoli che ho in viso, da che cosa sono provocati? - Non si preoccupi, presto andranno via. Sicuramente è uno sfogo del
sangue, provocato dall‟epatite che ha avuto. - ammise sorridendo, mentre
mi allungava una ricetta, poi aggiunse:
- Allora, all‟accettazione si faccia dare dall‟infermiera le pastiglie che le ho
scritto qui, e ne prenda due prima dei pasti. Servono per trattenere i
liquidi, e alleviarle la secchezza alla gola. Le vitamine le prenda quando
vuole, tre volte al giorno. Non dimentichi di consegnare le analisi al suo
medico di bordo, ok! Si alzò in piedi, mi strinse la mano e, mentre lo ringraziavo, mi aprì la
porta, poi con un sorriso mi salutò.
Pochi giorni dopo alcuni filippini si ubriacarono durante la notte,
provocando una rissa. Uno di loro accoltellò un marinaio alla schiena.
All‟arrivo a Singapore il comandante sbarcò l‟aggressore, e proibì gli alcolici
a tutto l‟equipaggio, eccetto gli ufficiali. Tutto ciò inquietò i filippini,
poiché essi affermavano che era un‟ingiustizia colpire tutto l‟equipaggio per
il comportamento criminale d‟alcuni incoscienti.
OTTAVO CAPITOLO: I BAMBINI DEL “SOLE D‟ORIENTE”
E L‟AMMUTINAMENTO
Era l‟otto settembre 1991, eravamo in navigazione, il fumo grigio
continuava a rendere le giornate irrespirabili, monotone e tristi. I
passeggeri, non potendo prendere il sole, dovevano scegliere tra karaoke,
casinò e massaggi. Allora, come diceva Henry, i passeggeri che volevano un
massaggio “alla frenesia” dovevano solo pagare la differenza. Tra l‟altro
erano imbarcate anche le tredici belle prostitute di lusso, che costavano
“solo” 300 dollari a prestazione. Quel pomeriggio incontrai Henry che
usciva dall‟ascensore: era in tuta da ginnastica e portava un asciugamano
intorno al collo. La sua figura, così vestita, mi apparve come una palla di
grasso un pò sbattuta, i suoi capelli bagnati dal sudore gli stavano
appiccicati al viso e aveva occhi lucidi, allora gli domandai curiosa: - Ah, ti
ho beccato in castagna! Allora anche tu ti servi delle prestazioni delle
nostre prostitute di lusso? 54
- Insomma, che cosa stai insinuando? - gridò ridendo - per il momento mi
sono servito solo del massaggio speciale, poi si vedrà. Le nostre risate echeggiarono attorno, poi scherzando esclamai:
- Peccato che a bordo non ci siano anche dei gigolo di lusso, così noi donne
avremmo potuto approfittarne, come fate voi, ingiusti! Egli drizzò le orecchie e, con gli occhi che gli roteavano fuori delle
orbite, sussurrò: - Senti cara, se hai bisogno, ci sono io qui. - Scusami, ma per il momento mi sembri fuori fase, e poi il tuo peso
potrebbe anche schiacciarmi. Giocando, Henry trasformò il suo viso in una maschera infuriata, poi
aggiunse con tono canzonatorio:
- Lo sai che sei spiritosa. Non continuare a rompere però, altrimenti non
t‟inviterò alla festa che stiamo organizzando. Poi senza salutare se n‟andò saltellando, mentre il suo pancione saliva su
e giù seguendo i movimenti del suo corpo, dandomi la sensazione di vedere
una mongolfiera che tentava di prendere quota. Poi lo vidi nascondersi
dietro una colonna, da dove vedevo spuntare il posteriore e la pancia.
Scoppiai a ridere, allora Henry gridò: - Domani a Jakarta, durante
l‟esercitazione, ti butterò in acqua senza giacca di salvataggio, e vedremo
come te la caverai. - Forse tu non lo sai - urlai - mi hanno insegnato a nuotare! Poi mi rifugiai all‟interno dell‟ascensore e salii in cabina a farmi una
doccia. Poco dopo, aprii il rubinetto, ne uscì un liquido arancione, cosa per
me abituale, ma mentre m‟insaponavo il corpo, l‟acqua diventò marrone e
poi nera e puzzava di petrolio. Dovetti purtroppo sciacquarmi con
quell‟intruglio nero e puzzolente. Volevo uscire dalla doccia urlando e
gridando dalla rabbia, ma a bordo di quella nave avevo imparato a
sopportare pazientemente; quindi mi asciugai con un telo da bagno bianco,
che subito diventò grigiastro e nero, allora persi la pazienza:
- Maledizione, che schifo! - urlai ad un tratto, con tutta me stessa e ripresi a
strofinarmi il corpo con un altro telo pulito, finché la mia pelle diventò
rossa, ma credo anche un pò più pulita.
A quel punto qualcuno bussò alla porta, allora feci capolino e mi trovai di
fronte ad un gruppo di marinai, poi venne anche l‟assistente capo alloggi Yul
ed insieme domandarono:
- Mummy, what happens? We heard you screaming! (Mamma, cosa succede?
Ti abbiamo sentito urlare!) - Insomma, avreste urlato anche voi se vi foste fatti una doccia a base
d‟acqua putrefatta, ruggine, petrolio e liquido nero. Scoppiarono a ridere all‟unisono e l‟assistente capo alloggi Yul assicurò: I passeggeri hanno lo stesso problema, il direttore di macchina e i suoi
ufficiali stanno cercando le cause. - E voi, bambini cattivi - urlai - smettetela di ridere, avete capito? - Mamma - sghignazzarono - non ti arrabbiare; se vuoi, possiamo farti un
bagno con acqua minerale! 55
Un‟altra risata echeggiò intorno, così scherzando urlai chiudendo la porta
con vigore:
- You, naughty children, go away ! - (Voi, bambini cattivi, andate via!).
Più tardi Desery bussò alla mia porta e, quando entrò, vidi i suoi occhi
gonfi e senza sorriso, aveva sicuramente pianto. Si sedette sulla poltrona,
vicino alla finestra rettangolare, da dove si vedeva il fumo che aveva
nascosto ogni forma. Poi Desery scoppiò a singhiozzare disperatamente.
Dopo aver dato sfogo a tutto il suo dolore, confessò:
- Hong ieri sera non è venuto da me, mi sta tradendo con una passeggera.
Avrei tanta voglia di andare da quella e gridarle che lui è mio e che deve
finirla. Allora che cosa pensi, devo farlo? Rimasi in silenzio per un attimo, poi fissandola seria risposi:
- Senti cara, prima di tutto lui non è tuo, perché non è un oggetto. Secondo,
tu sai che questa storia è tutta sbagliata e, dentro di te, senti che Hong
tornerà, quando la passeggera sbarcherà, ma questo non risolverà il tuo
problema. Presto la moglie verrà a bordo, poi incontrerà qualche altra
passeggera, che lo sedurrà e tu continuerai a soffrire. Dolcezza, capisci
anche tu che le scelte sbagliate portano solo sofferenza e disperazione. Se
vuoi, puoi ancora uscire da questa condizione di dolore; basta che tu lo
respinga dai tuoi pensieri, e il gioco è fatto. Infine daresti una bella lezione
a quell‟egoista di Hong, che se la merita, perché pensa solo a se stesso. –
Mi lanciò un‟occhiata furtiva, poi arrabbiata rispose: - Le tue parole mi
fanno male, perché vorrei avere la forza di farlo; ma purtroppo, sento di
desiderarlo ancora più di prima. - Insomma, devi fare ciò che desideri; poiché non recepisci il mio
messaggio, significa che devi vivere questo dramma, per maturare
interiormente attraverso il dolore che ti darà questa storia, in modo da
imparare a distinguere ed avere la forza di scegliere il bene per te e per gli
altri. - Maledizione, ma perché parli così? Io credo che potrò strapparlo alla
moglie! Dopo un attimo di disagio, risposi seccata: - Potresti anche riuscirci, ma
credimi, ti verrebbe a costare caro Si alzò in piedi e piangendo uscì dalla mia cabina affermando: - Hai
ragione, sono un‟egoista che pensa solo a se stessa. Quella sera, a cena, udivo l‟equipaggio in tumulto: le grida di rabbia e le
bestemmie giunsero chiare alle mie orecchie. Essi sfogavano la loro collera,
urlando ciò che pensavano di quel cibo indegno anche per i maiali. Da
quando Marlo e il G. M. si erano occupati dei viveri, tutto sembrava essere
cambiato in meglio, ma poi la situazione era degenerata e il malcontento
tornò a regnare di nuovo e nell‟aria si percepiva un nervosismo che
contagiava chiunque.
Da quando alcuni filippini si erano ubriacati e avevano provocato una
rissa, ferendo un loro compagno, il capitano aveva proibito al cambusiere e
a me di vendere alcolici all‟equipaggio e questo aveva fatto scatenare la
rabbia, che in quel momento bruciava nell‟animo di tutti.
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L‟equipaggio, per protesta, comprava alcolici a Singapore e, spesso,
mandava gli ufficiali a comprarlo nel negozio. Il comandante, quando si
accorse del loro gioco, fece un‟ispezione nelle cabine e sequestrò le
bottiglie che trovò, facendo inferocire ancora di più i filippini. Riflettevo
sulla situazione e intanto masticavo faticosamente una coscia di pollo duro,
che a me pareva fosse stata imbalsamata, piuttosto che arrostita.
Nel frattempo il secondo ufficiale di macchina entrò nella saletta in tuta
da lavoro; si versò un bicchiere di succo d‟arancia e si preparò ad uscire con
il drink in mano, allora domandai:
- Mi scusi, avete risolto il problema dell‟acqua nera? - Noi stiamo ancora lavorando - rispose - ma il peggio è passato, adesso
l‟acqua esce pulita.Poi l‟ufficiale uscì salutando, mentre mangiavo e pensavo che, quando si
ha farne, tutto fa brodo.
Quella sera, verso le venti, Henry entrò in negozio e mi disse che gli era
stato concesso il permesso per festeggiare il compleanno del suo assistente
Yul e di altri filippini. In quell‟occasione, avrebbe ringraziato anche tutti i
suoi “stewards” per la collaborazione ricevuta. Il party avrebbe avuto luogo
la sera del dodici settembre, nel “car-deck”. Infine uscì dal duty free shop
dicendo: - Guai a te se mancherai alla festa! Faresti infelici i miei ragazzi.Nei giorni seguenti, ogni membro dell‟equipaggio che incontravo,
m‟invitava al “party” con gioia.
Il dieci settembre, dopo la chiusura del negozio, verso le ventidue, andai
come al solito a riempire la mia bottiglia alla fontana dei passeggeri, ma con
sorpresa, quando schiacciai l‟interruttore dell‟acqua, ne uscirono solo
poche gocce, quindi me n‟andai disperata, con la bottiglia vuota.
Sapevo che il mio corpo disidratato aveva bisogno d‟acqua, anche perché
da quando ero a bordo, durante la notte mi svegliavo con la gola e le labbra
secche, con una sete terribile. Andai nella saletta degli ufficiali, ma c‟erano
le solite caraffe d‟acqua che puzzavano di cloro e sapevano di sale. Ne
bevvi un sorso che sputai nel bidone.
Per fortuna avevo delle caramelle gommose di menta, che spesso,
quando non avevo acqua, m‟inumidivano la gola e così potevo prendere
sonno. Naturalmente, anche quella notte mi svegliai con la gola secca, la
bocca impastata di menta e stavo male senza acqua.
Indossai la mia vestaglia giapponese e uscii in corridoio, con la speranza
di incontrare qualcuno che potesse offrirmi un bicchiere d‟acqua, che
bramavo con tutta me stessa.
Dopo alcuni minuti, sentii dei passi che salivano le scale, poi apparve Yul:
lo supplicai di darmi un po‟ d‟acqua; egli mi fece segno d‟aspettare un
attimo, entrò in cabina e riapparve subito dopo, con due bottiglie
sorridendo: - Asseta gli assetati, diceva Cristo. Felice e riconoscente, lo ringraziai, stringendo al petto le due bottiglie,
come se avessi ricevuto dell‟oro puro.
- Mi raccomando - aggiunse Yul - quando avrai bisogno d‟acqua, dillo! Tu non
lo sai, ma posso accedere al ripostiglio dell‟acqua dei passeggeri. Dopo tutto
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è colpa di Mr. Kor, se con i problemi che abbiamo, non si vendono bottiglie
d‟acqua al bar. Mi augurò la buona notte e se n‟andò in cabina a dormire. Mentre
bevevo, vedevo ancora davanti a me quel viso rotondo dalla pelle scura, e i
suoi occhi neri, pieni di generosità. In un attimo avevo bevuto un litro
d‟acqua, e in quel momento sentii lo stomaco fresco, come fosse stato
rigenerato.
Appena mi stesi sul letto caddi in un sonno profondo, malgrado si udisse
la sirena della nave, con il suono prolungato nella notte inviare il suo
messaggio alle altre imbarcazioni sparse tra il fumo.
Il dodici settembre, verso le ventuno, entrò in negozio Henry e,
allungandomi una lista, mi pregò di preparargli la merce, che avrebbe
ritirato più tardi. Poi, facendosi largo tra i clienti, uscì gridando:
- Mummy, your chidren need you tonight! Do not forget! - (Mamma, i tuoi
bambini hanno bisogno di te questa notte! Non dimenticarlo!)
I passeggeri esplosero in una risata, intuendo naturalmente che non si
trattava di bambini piccoli. Un malese, infatti, disse, divertito: - Immagino si
tratti di bambini del suo calibro. - Certo! - esclamai - Ma fortunatamente sono tutti più magri! certamente
con cinquanta chili di ciccia in meno! –
Un coro di risate esplose intorno. Poco dopo, quando controllai la lista di
Henry, mi resi conto che mi richiedeva solo bottiglie d‟alcolici. Attesi il suo
ritorno, poi protestai: - Insomma Henry, ti rendi conto che mi hanno
proibito di vendere alcolici a tutto l‟equipaggio, compreso gli ufficiali? - Elisabetta, smettila di fare storie. Siamo uomini e sappiamo ciò che
facciamo. Poi, il G. M. lo sa, mi prendo io tutte le responsabilità! - Ok baby! Ecco il conto allora! - risposi, allungando lo scontrino di
novantanove dollari.
Seccato ritirò il foglio e aggiunse: - Senti cara, ti pagherò domani,
quando avrò ritirato i soldi che mi devono gli “stewards”. - Va bene Henry - brontolai - ma ricordati di non dimenticarti.Mi fissò un po‟ deluso e poi ribatté arrabbiato: - Smettila di gracchiare
come una cornacchia, ti ho sempre pagato. Ciao, ti aspetto al party.Uscì dal negozio, mentre entravano Shirley e Desery, gridando
allegramente: - Alle dieci, quando chiudi il negozio, ti veniamo a prendere
per andare insieme al party! Okay mummy? - (Va bene,mamma?).
- Certo ragazze, vi aspetterò! - risposi, sorridendo affettuosamente.
Quella sera, quando giungemmo nel “car-deck” (garage, piattaforma)
dove c‟era il party, le ragazze erano elegantissime, mentre io avevo fatto la
mia entrata in divisa. Stavo pensando che probabilmente l‟avrei anche
sporcata di grasso, quando un coro di grida esplose all‟interno di quel luogo
scuro ed enorme, dandoci così il saluto di benvenute. Fummo subito accolte
con gran gioia e accompagnate ad un tavolo, dove ci servirono delle birre;
naturalmente i bicchieri non c‟erano.
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Un chiaro invito ad attaccarci selvaggiamente alle bottiglie, come di
solito facevano gli ubriaconi. In quel luogo, dove tutto puzzava di petrolio e
grasso, l‟equipaggio aveva sistemato una ventina di tavoli con sedie e
improvvisato una specie di bar, dove un filippino serviva dei “drinks” e
distribuiva coca-cola e birra.
Poco lontano dal bar, c‟era una specie di bancone, con uno stereo e un
microfono. Henry e Yul c‟intrattenevano facendo i “ D.J. ”. Qua e là, erano
appesi festoni colorati, per ravvivare quel luogo tenebroso. Intanto la
musica a tutto volume faceva risuonare le note che correvano su e giù lungo
il “car-deck” dando la sensazione di udire un‟eco minaccioso che disturbava
i timpani.
Intanto Desery sperava che il G. M. venisse al party e, ogni volta che si
sentiva il fastidioso stridio della porta taglia fuoco che s‟apriva, alzava lo
sguardo e fissava l‟entrata con la speranza di vederlo apparire. Shirley ed io
capivamo la sua ansia piena d‟impazienza, e cercavamo di distoglierla da
quella tensione nervosa, che contagiava anche noi.
Nel frattempo, i marinai Rosalito, Carroll e lo steward Romeo
s‟inchinarono davanti a noi e, baciandoci le mani, c‟invitarono a ballare,
così ci tuffammo nella danza e riuscimmo anche a strappare un sorriso a
Desery, che per un attimo si scatenò in un ballo euforico. Intanto giunsero
le ragazze del Casinò e le “hostess” che avevano lavorato fino a quel
momento.
L‟equipaggio, infatti, attirò la nostra attenzione, esibendosi per
l‟ennesima volta nel dare il benvenuto alle giovani donne, urlando,
fischiando. Poi tutte le ragazze furono trascinate a ballare, e costrette a
muoversi in una pista di ferro, a contatto con la vernice e il grasso, che
sembrava incollare i piedi al suolo. Io stessa, per quanto cercassi di
sforzarmi, mi rendevo conto che ballavo a rilento.
Era divertente vedere quelle persone che si comportavano come
marionette, che sembravano pestare in tempo di musica.
Ogni tanto mi girava la testa sotto l‟effetto della birra, ma non essendo
ubriaca ero pervasa dall‟euforia, in quell‟atmosfera di festa.
Poco dopo vidi il comandante entrare con un bicchiere in mano, seguito
da Jan, Luis, Ante e dal G. M. Così sbocciò uno sprazzo di luce nel bel viso
di Desery, che subito mi afferrò un braccio gridando: - Elisabetta, è
arrivato! Guarda! - Non risposi poiché la mia attenzione era stata rapita dal
modo con cui il capitano ci stava osservando. Per un attimo percepii il suo
sguardo rabbioso su di me, poi si girò dalla parte delle ragazze australiane.
Intanto ballando mi voltai verso di lui e lo vidi scolarsi l‟ultimo goccio
d‟alcol, con uno scatto furioso. I filippini gli erano andati incontro per
ringraziarlo di essere intervenuto al party, ma li salutò con freddezza e,
rivolgendosi al barista, si fece servire un drink e continuò a discorrere con
gli ufficiali intervenuti.
Desery controllava i movimenti del general manager da lontano, ma
quello sembrò non degnarla di uno sguardo. Calò sul suo volto un velo di
tristezza, poi vidi spuntarle una lacrima, che scivolò veloce sulla guancia, si
asciugò con la manica della sua camicetta rossa e singhiozzando implorò: 59
Ti prego, andiamo ad interrogare “ I King” voglio sapere se Hong tornerà da
me. –
I suoi occhi neri, pieni di dolore, mi facevano pena, così la presi a
braccetto, c‟inchinammo davanti ai nostri cavalieri e, scusandoci,
augurammo la buona notte.
In cabina presi dal cassetto l‟antico oracolo cinese, chiamato anche il
libro dei “mutamenti” e brontolai:
- Ora smetti di piangere, siediti sulla poltrona e preparati a ricevere il
messaggio di questo oracolo, poiché so già che ti deluderà.- Mi deluderà, ma perché? - domandò Desery preoccupata, mentre prendeva
le tre monete cinesi che servivano per la consultazione dell‟oracolo.
- Mia cara - risposi - il tuo caso è già perduto in partenza, giacché cerchi di
avere un uomo che appartiene ad un‟altra. Il libro de “I King” è un oracolo
d‟antiche formule magiche, pieno di saggezza. Ella mi fissò impaurita e riprese a piangere disperatamente.
- Avanti, calmati e ascolta, se vuoi imparare a gettare le monete - aggiunsi
indicandole la scatola dei fazzoletti di carta. Poco dopo Desery lanciò le
monete per sei volte e si formò “l‟esagramma” numero ventinove, “Kan
l‟abisso”. Mi fissò preoccupata, poi domandò: - Ti prego, spiegami! - Allora, abisso sopra abisso, indica la situazione in cui ti trovi attualmente.
Poi il sei, al primo posto, ti dice che la disgrazia è nel perdersi lungo la via.
In altre parole, la volontà di continuare su una strada sbagliata. Il nove al
secondo posto, ti assicura che il pericolo sta in agguato dentro l‟abisso. Tu
puoi ottenere ciò che desideri solo in piccole cose. In parole più semplici,
anche se realizzerai qualche bazzecola, rimani nell‟abisso. - Insomma, che cosa vuoi dire? Scusami, ma non capisco. - Non c‟è peggiore sordo di chi non vuol sentire - esclamai sorridendo.
- Il libro della mutazione ti consiglia di cambiare strada, ma, visto che non lo
farai, assicura che Hong ritornerà, ma quello che avrai da lui saranno solo
briciole; in altre parole, non riuscirai a portarlo via alla moglie. Chiaro?
Ricominciò a singhiozzare e le lacrime scivolavano veloci lungo il viso,
dandomi la sensazione di vedere due cascate. Allora, accarezzando i lunghi
capelli neri, aggiunsi: - Senti tesoro, il saggio orientale Inayat khan
affermava: Noi siamo resi felici o infelici non dalle circostanze della vita,
ma dal nostro atteggiamento verso di esse. - Allora, piccolo fiorellino - continuai - tu puoi, quando vuoi, cambiare
atteggiamento e capire che siamo in questo pazzo mondo, per apprendere
la lezione che ci serve per crescere interiormente.Desery si alzò in piedi, mi strinse forte a sé, poi esclamò: - Scusami
Elisabetta, ti prego! So che stai cercando di aiutarmi, e te ne sono grata, ma
con me dovrai avere pazienza. - Non ti preoccupare - assicurai - senza esperienza non si può evolvere. Ella mi sorrise e, aprendo la porta, sussurrò: - Buona notte! A domani. -
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Il giorno dopo, il tredici settembre 1991, all‟arrivo della nave a
Singapore, mi recai a bere un caffè nella saletta ufficiali e mi sedetti con il
mio liquido nero, a base di sale, davanti ai grandi finestroni rettangolari, poi
mi resi conto, con sorpresa, che la nave era attraccata vicino al “World
Trade Center”, un luogo che chiamavo proibito, poiché raramente la
compagnia permetteva l‟attracco in quel porto, per ragioni di differenza di
prezzo, essendo quello il posto più comodo per raggiungere il centro di
Singapore. Felice per quell‟evento raro, sorseggiai il caffè, che in
quell‟occasione mi sembrò meno salato, forse perché mi ci stavo abituando.
Nel cielo azzurro spuntavano i gioiosi gabbiani, che trasmettevano allegria a
chi, come me, s‟incantava ad osservare i loro voli tortuosi, resi magici dai
quei garriti pieni di vivacità.
Di fronte al “World Trade Center” si vedeva l‟isoletta di Sentosa, ex base
militare, dove si ergevano bellissimi alberi verde smeraldo e spiccavano i
tetti rossi di una stupenda costruzione cinese, che profumava d‟arcano.
Dopo giorni di fumo che aveva nascosto le bellezze di luoghi incantevoli,
era stupendo ritornare a Singapore e vedere la viva luce del sole brillare
ovunque. In quei momenti mi sembrava di essere evasa dall‟inferno e
finalmente aver raggiunto il paradiso, avvolta da una gioia che mi scaldava il
cuore.
Non potevo però nascondere un filo d‟amarezza, che s‟insediava nel
profondo dell‟anima e sentivo che qualcosa di minaccioso aleggiava
nell‟aria. In quel mentre, dai finestroni della saletta, vidi un‟ambulanza
davanti alla scaletta di sbarco e alcuni infermieri che chiudevano la portiera
posteriore, poi salirono a bordo e partirono con la sirena accesa. Allarmata,
mentre mi chiedevo che cosa poteva essere successo, udii lo stridio della
porta taglia fuoco aprirsi. Un attimo dopo, un coro di voci mi augurò il buon
giorno.
- Ricambio l‟augurio di cuore, belle “hostess” - risposi mentre Desery, Rayu,
Shirley e Lydia si stavano sedendo intorno a me preoccupate e tristi.
- Insomma, che cosa è successo, ho visto un ambulanza partire con la sirena
accesa? - chiesi, curiosa. Shirley mi puntò addosso i suoi occhi neri e,
alzandosi in piedi, andò a servirsi un caffè e, mentre aggiungeva lo
zucchero, interrogò:
- Allora non sai nulla? - Scusami, ma che cos‟è che dovrei sapere? - domandai impaziente, mentre
ritornava a sedersi di fronte a me.
- Possibile che tu non sappia che ieri notte c‟è stato l‟ammutinamento? brontolò Shirley, posando la tazza sul tavolo.
- Stai scherzando, l‟ammutinamento? Non mi starai prendendo in giro?
- No! Sta raccontando la verità! - gridò Desery. - È successo dopo che noi
abbiamo lasciato il party. Sembra che il comandante abbia ordinato a Henry
di terminare la festa all‟una; così, quando il capo alloggi ha spento la
musica, lo steward Romeo è intervenuto pregando il capitano di lasciar
continuare il party, ma sentendosi rispondere un no secco, egli ha insistito,
allora il capitano gli ha mollato alcuni pugni; Romeo è caduto a terra con un
labbro sanguinante.
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- Non posso crederci! - esclamai indignata.
- Purtroppo è così! - brontolò Lydia - e questo non è tutto. Ciò che è
successo dopo fa veramente rabbrividire. - Oh, Dio mio! - borbottai mentre Shirley riprendeva il discorso:
- I marinai filippini, Carroll, Denis, Guan e altri, quando hanno visto che il
comandante aveva preso a pugni il loro compaesano, sono intervenuti per
difenderlo. Henry si è buttato al centro della rissa per aiutare il capitano;
così si è preso un sacco di pugni. –
- E poi - aggiunse Lydia – Rosalito ha gridato al capitano che era uno sporco
razzista, intanto Guan lo ha raggiunto, gli ha mollato un pugno in faccia
dicendogli che era un maledetto razzista e che gli restituiva il pugno che
aveva mollato al suo conterraneo.
- Già, - aggiunse Shirley - e poi è arrivato Carroll che gli ha sputato in faccia
gridandogli che i razzisti sono degli involuti –
- Il capitano infuriato è saltato addosso a Guan, - assicura Rayu - Henry è
caduto a terra sotto i pugni dei suoi stewards, allora sono intervenuti gli
ufficiali.
- Infine il colpo di scena ultimo – sghignazza Lydia – è stato quando Romeo,
mentre era assistito dalle belle croupiers del casinò che gli tamponavano il
sangue che colava dal labbro, ha accusato Henry di essere pure lui uno
sporco razzista, perchè si faceva pagare le tangenti con le
mance
guadagnate con il sudore dagli stewards.
- Incredibile! Adesso come sta Henry? - domandai sbalordita.
- È stato brutalmente ferito, io sono andata a chiamare il dottor Win. affermò Rayu. Stringendo i suoi occhietti neri a mandorla, mentre Lydia le
toccava i lunghi capelli neri, continuò:
- Stanotte il nostro dottore ha cercato di alleviargli le ferite, ma purtroppo
ha riportato alcune contusioni alla testa; così appena siamo attraccati, un‟
ambulanza l‟ha trasportato all‟ospedale. - Povero Henry! - sospirai tristemente, poi domandai: - Siete certe che il
primo a picchiare sia stato il comandante? - Sicuro! - ghignò Lydia, tornando a fissarmi preoccupata, poi sbottonandosi
la giacca della bella divisa, ribatté:
- I filippini mi hanno assicurato che sono intervenuti quando il capitano ha
dato il secondo pugno al loro compagno, spaccandogli il labbro superiore e
scaraventandolo a terra con violenza. Essi credono che il comandante fosse
ubriaco e pensano che la sua reazione sia stata provocata dalla gelosia. - Gelosia? Insomma, di chi è geloso il capitano? - domandai stupita.
- Possibile Elisabetta - affermò Desery - che tu, ieri sera, non abbia notato
come fremeva di gelosia, quando noi ballavamo con i filippini? - Si, ho notato che c‟era qualcosa che faceva imbestialire il capitano! Non
ho comunque capito che cosa - ammisi.
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- Ad ogni modo, come l‟abbiamo notato noi, l‟hanno notato anche i filippini
- aggiunse Rayu sbattendo le sue lunghe ciglia con civetteria, mentre Lydia
le stava facendo una treccia.
- Tutto ciò è incredibile, mi sembra di sognare ad occhi aperti. - ammisi
scandalizzata.
- In ogni caso, - intervenne Desery - ricordati che questa è la realtà che ci
circonda. Il nostro capitano è un bambinone, quindi pretende che tutte le
donne di bordo gli cadano ai piedi, per potersi vantare d‟essere l‟unico vero
uomo a bordo. - Spiegatemi piuttosto se sono già stati sbarcati i filippini che si sono
ribellati Ci fu una pausa, poi con un sorriso sulle labbra Rayu rispose: - Nessuno
per il momento, so che c‟è una riunione in corso, perché l‟equipaggio
minaccia di sbarcare tutto insieme, se un solo filippino sarà licenziato.
Sembra, infatti, che gli stewards abbiano deciso di scioperare, per far
sbarcare il comandante. - Oh, santa pazienza! - esclamai sorpresa. - Gli stewards non sanno che
saranno sbarcati tutti! - Insomma, perché - gridò Shirley - in fondo l‟unione fa la forza! - Hai ragione - ammisi - ma non in questo caso: bisogna capire l‟ingranaggio
della mafia orientale; non permetteranno mai che l‟equipaggio faccia
prevalere i suoi diritti, perché incoraggerebbe gli altri equipaggi a ribellarsi
all‟ingiustizia e al razzismo, che oramai si è installato nel cuore del potere.
- Ah, come sei pessimista! - ribatté Shirley - Dopo tutto non è facile sbarcare
un equipaggio intero! - Già, vorrei che tu avessi ragione! Era triste sentire dentro di me quella certezza che avanzava fino alla
nausea, ma probabilmente si trattava di un‟intuizione che mi derivava
dall‟esperienza. Poi avvertivo quell‟avversione trasformarsi in un dolore
rabbioso, contro ingiustizie che diventavano insopportabili, di fronte alla
mia impotenza. Con la tristezza nel cuore, alzai lo sguardo e, in
quell‟attimo di silenzio, percepii negli occhi tristi delle “hostess”, dolore e
pena.
- Insomma, che succederà ora? - urlò Lydia, con un nodo alla gola.
- Speriamo che la giustizia trionfi! Intanto noi inviamo luce ai responsabili
perché possono fare la cosa giusta . Buon giorno! - esclamai preoccupata
alzandomi in piedi. I nostri saluti si confusero fra gli stridii delle sedie e,
mentre uscivo dalla saletta, Desery mi seguì.
- Sai che Hong ha fatto colazione insieme a me, e mi ha assicurato che
questa sera verrà nella mia cabina per darmi delle spiegazioni a proposito
della passeggera? - Hai visto che non mi sono sbagliata, questo è il primo passo sulla via del
ritorno. Ad ogni modo, so già che cosa ti dirà! Desery mi fissò curiosa e, mentre camminavamo lungo lo stretto corridoio
poco illuminato, domandò:
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- Ah! Allora dimmi! - Ora che la passeggera è sbarcata, affermerà che non ti ha mai tradito,
perché tu sei la sola donna che desidera. - Desery si fermò di scatto e
trattenendomi per un braccio, interrogò: - Insomma, come fai a sapere
sempre tutto ciò che farà? - Cara - risposi sorridendo - tu sei ingenua, io ho un pò più esperienza di te,
perciò so come agiscono uomini come Hong. Sicuramente anche tu
imparerai molte cose, dopo quest‟avventura. Fissandomi con i suoi grandi occhi neri e tristi ammise: - Già, immagino
che sarà così. Preoccupata borbottai, accarezzandole i suoi lunghi capelli: - Tesoro,
perdonami se sono schietta, ma la penso come il gran maestro orientale
“Lao-Tse” che affermò: Le parole vere non fanno piacere, le parole
gradite non sono vere. - Continuo ad illudermi - brontolò Desery - e spero che tu diventi mia
complice, ma tu continui a combattere cercando di dare luce ad occhi che
non vogliono vedere. - Avanti piccolo scricciolo, sorridi, stai solo imparando la tua lezione,
vedrai, diventerai più saggia dopo questa disavventura - dissi, mentre ella si
asciugava alcune lacrime.
- Vedi, cerco di indicarti la retta via, come farebbe una madre, ma tu sei
libera di scegliere. Alla fine però, raccoglierai ciò che tu avrai seminato. Tu
ti rivolgi a me, perché hai bisogno di sentirti dichiarare la verità in faccia,
altrimenti avresti già smesso di confidarti con me, perché sai bene che mai
ti racconterò delle storie per farti felice. –
Desery mi prese a braccetto e, camminando, raggiungemmo la sua cabina
in silenzio e sulla soglia confessò:
- Le mie colleghe ed io ti stimiamo e noi che siamo più giovani abbiamo
bisogno dei tuoi consigli. - Già - ammisi, mentre Desery mi baciò velocemente su una guancia, poi
chiuse la porta dietro di sé.
Alle venti, quando mi recai a cena, vi trovai il chief radio officer Richard
insieme al secondo radio officer, Maung, che stavano discutendo fra di loro.
Riempii il mio piatto di cibo al “buffet” e domandai, posandolo sul tavolo
accanto a loro: - Disturbo? - Prego, è una gioia averti qui con noi! - rispose Richard, felice, mentre sul
bel volto di Maung apparve un timido sorriso, pieno di dolcezza, che mi
ricordò l‟innocenza di un bambino.
Per me erano due anime speciali, avevano corpi forti e sani, pelle scura,
che brillava al contatto della luce bianca, che da dietro le mie spalle
illuminava le loro figure perfette. Mi domandavo spesso perché esisteva il
razzismo, sarebbe meraviglioso se tutti gli uomini della terra si amassero
indistintamente, ma purtroppo, dovevo fare i conti con un ammutinamento,
evento triste, provocato da cattiverie e gelosie.
- Ti sei resa conto che non siamo ancora partiti? - domandò Richard.
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- Immagino che partiremo con la solita ora di ritardo! - esclamai sorridendo.
Intanto Maung mi fissava timoroso, senza osare parlare, come faceva di
solito. Richard, con un nodo alla gola, borbottò:
- L‟imbarco è terminato ed ora l‟equipaggio ha paralizzato la nave con lo
sciopero. Senza la sua collaborazione, non si può partire. - Dio mio! - gridai - Allora stanno scioperando per sbarcare il capitano! Vero?
- Già, e non hanno torto, è un razzista, lo posso confermare. Probabilmente
l‟equipaggio perderà il lavoro, ma egli avrà una lezione che gli servirà per
tutta la vita. - brontolò Richard addolorato.
- Credo fermamente che la vita sia una scuola, che ci dà ciò che serve per
farci crescere, caro Richard. - Si, é così - ammise Maung, spalancando i suoi occhi neri, annebbiati da uno
strano turbamento.
- Ho saputo che alcuni ufficiali stanno consigliando l‟equipaggio, per far
sbarcare quel parassita, indegno di essere un comandante - sbraitò Richard.
Dopo un attimo di silenzio incrociai il suo sguardo e, scrutandolo in fondo
all‟anima, capii che ciò che m‟aveva detto gli era sfuggito di bocca, gli
passai una mano sulla spalla e affermai: - Non ti preoccupare, fai finta che
non abbia sentito. Ho sempre detestato le spie. Un sorriso sbocciò sulle sue labbra, poi sussurrò: - So che non sei una
razzista, quindi mi fido di te. - Fai bene, perché mai potrei tradire la fiducia di un amico come te, che
stimo molto. Richard mi prese una mano e, stringendola affettuosamente, aggiunse:
- Credimi Elisabetta, è molto triste vedere che alle soglie del duemila
succedono ancora queste vergognose storie di razzismo e rivalità. Intanto Maung, commosso e con gli occhi lucidi, ci scrutava in silenzio,
esprimendo il suo sentito dolore, per quelle ingiustizie, di cui noi eravamo
testimoni impotenti. Poi si alzarono in piedi.
- Dovrai scusarci, ma in questi casi dobbiamo stare al nostro posto di lavoro,
per ogni tipo d‟evenienza - disse Richard, mentre se ne andava seguito da
Maung .
Così mi ritrovai sola e demoralizzata in quella saletta e mi sentii
aggredire da una solitudine profonda, che mi soffocava. Decisi di attendere
gli eventi su una sdraio, sul ponte, dove di solito attendevo la partenza della
nave, in compagnia d‟alcuni membri dell‟equipaggio.
Erano circa le venti, quando i primi passeggeri, vedendomi in divisa, mi si
rivolgevano nervosi, per sapere la ragione del ritardo della partenza.
Sapevo bene che non potevo raccontare la verità, giacché avrebbe potuto
creare del panico, quindi affermai che si trattava di un problema tecnico.
Intanto le urla dei fanciulli che giocavano sul ponte, si perdevano tra i
rumori del porto, poi vidi il dottore di bordo venirmi incontro insieme a
Edward.
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Il leggero vento che rinfrescava la serata aveva aggredito l‟unico ciuffo di
capelli del nostro dott. Win; naturalmente si era affrettato a tirarselo giù
sulla fronte, come di solito faceva per coprire la pelata. Allora, sorridendo,
azzardai:
- Caro dottore, lo sa che da quando la conosco, non fa altro che
perseguitare quel povero ciuffo, che in realtà non vuole più stare con lei? Un eco di risate si disperse nel vento, mentre Mr. Win, facendo finta di
essersi arrabbiato, tuonò: - Mia cara signorina, non mi dica che mi
preferisce senza ciuffo! - Potrà frustarmi se vuole, per aver osato tanto, ma l‟assicuro che sarebbe
molto più attraente senza. Mi fissò con affetto, poi aggiunse: - Probabilmente seguirò il suo
consiglio, gentile miss. Poi, rivolgendosi a Edward, ordinò: - Vada a prendermi la frusta, per
favore, quella che uso per gli insolenti. Le nostre risate attirarono l‟attenzione dei passeggeri i quali, non
conoscendo i gradi degli ufficiali, domandarono curiosi a Edward: Capitano, ma perché non partiamo? Sorridendo cercò di tranquillizzarli, dicendo loro che quel ritardo non
avrebbe in alcun modo impedito l‟arrivo in orario a Jakarta. Poco dopo, le
grida dell‟equipaggio esplosero in un boato di gioia. Tutti noi, insieme ai
passeggeri, ci affacciammo a guardare giù e, con sorpresa, vedemmo i
filippini nei ponti inferiori che continuavano a gridare eccitati all‟unisono: Urrah! Urrah! Urrah! In quel momento il capitano scendeva a terra a capo chino e non si
poteva fare a meno di notare la vergogna che provava, dì fronte a tale
sconfitta. I suoi passi nervosi esprimevano la rabbia che cercava di
controllare.
Intanto le urla impazzite dell‟equipaggio si univano alle grida dei
passeggeri, che avevano visto i marinai smantellare la scaletta d‟imbarco. I
responsabili della compagnia di navigazione e il comandante salirono
frettolosi sulle loro auto e sparirono veloci per le strade della città.
Il cielo era avvolto in un manto scuro, che rincorreva gli ultimi bagliori,
mentre la luna spargeva i suoi raggi argentati. Gli ormeggiatori lasciarono
cadere i cavi e la nave si staccò veloce dalla banchina, portando con sé le
interminabili grida euforiche dell‟equipaggio filippino. In quel momento sul
mio orologio leggevo le ventuno e trenta; dovevo correre ad aprire il duty
free, salutai gli amici e m‟affrettai giù per le scale.
Scendendo mi domandavo chi potesse essere ai comandi della nave, poi
mi venne in mente che soltanto lo staff captain poteva sostituire il
comandante.
Fortunatamente era un brav‟uomo con sani principi, ed era molto stimato
anche dai filippini. Speravo con tutto il cuore e l‟anima che questa storia
finisse così, con giustizia, senza nuove conseguenze. Svoltai l‟angolo al
quarto piano, quando mi scontrai con violenza contro uno “steward”,
Romeo che veniva nell‟altro senso; egli mi strinse tra le braccia per non
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lasciarmi cadere a terra, sorpreso si toccò il bernoccolo, che si era formato
nell‟impatto e sorridendo divertito ammise: - Scusami, ma se per averti tra
le braccia, devo subire questo tipo di scontro, allora ti assicuro che dovrò
pensarci sopra. Io osservai seria la sua ferita al labbro superiore, poi scoppiammo a
ridere insieme. Scherzando suggerii:
- Ti consiglio di mettere quella protuberanza, che sta crescendo a vista
d‟occhio, in mezzo ai cubetti di ghiaccio.- Romeo fece una smorfia e, con
occhi che esprimevano comicità, ribatté:
- Dopo che mi hai quasi massacrato, ti permetti pure di prenderti gioco di
me, invece di congratularti per aver contribuito a far sbarcare quello sporco
razzista. - Ah, già! “Congratulation, my dear”! - esclamai, stringendogli la mano.
Intanto il sorriso sparì e il suo viso si rattristò. Giunti davanti al negozio,
aggiunse serio:
- Probabilmente, al ritorno a Singapore, noi stewards saremo sbarcati, ma
dopo tutto ci rimane la consolazione di aver dato una lezione al capitano.
Poi anche Henry ha pagato e dovrà ancora pagare per ciò che ha fatto,
vedrai perderà il lavoro quell‟incosciente. Entrando nel duty free, mi chiedevo come gli stewards potessero far
licenziare Henry, che oramai per la compagnia di navigazione era diventato
un eroe, perché aveva difeso il comandante durante l‟ammutinamento.
- Mi chiedo come farete a farlo sbarcare. - Cara, sarà la compagnia a sbarcarlo con il foglio di via! Il nostro gran capo
alloggi era uno di quei famosi pilastri della società, che voi avete in Sicilia. - Ah, è vero, - ammisi - Henry vi obbligava a dividere con lui le mance che
voi stewards vi guadagnavate sudando.
- Già, oggi, alla riunione, quando abbiamo spifferato tutta la verità, i
superiori hanno assicurato che, quando sarà dimesso dall‟ospedale, lo
imbarcheranno sul primo aereo per l‟Austria. So che gli toglieranno anche il
libretto di navigazione. - Ci credo! - assicurai indignata - questa si chiama estorsione! - Mio Dio! - esclamai - ma come farò ora a farmi pagare i novantanove dollari
che mi deve? - Molto semplice “my dear” - rispose Romeo sorridendo - basta telefonare
alla direzione contabile a Singapore, prima che saldino la paga a Henry. - Già, mi sembra logico! - ammisi, mentre mi salutava con un cenno di mano
esclamando: - Buona fortuna! Il quindici settembre, quando mi svegliai, la mia attenzione era
concentrata a decifrare le immagini del sogno che aveva invaso i miei
pensieri: vedevo il mio capo che mi consegnava una “brief case” (valigetta)
con la lista del computer, che conteneva la stampa di tutta la merce del
negozio, che dovevo sommare; in quel momento però mi rendevo conto che
non c‟era tempo per svolgere tutta quella contabilità.
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Poi una giovane orientale (che assomigliava a Rowena, la segretaria di Mr.
Kor.), si prendeva la lista e m‟assicurava, poiché la nave era in partenza,
che ella avrebbe fatto il totale. Questo sogno m‟indicava che, in un futuro
prossimo, avrei avuto l‟ordine di occuparmi probabilmente di vendere in
blocco tutta la merce del negozio.
Pensai che, se il sogno non era il risultato di un mio desiderio inconscio,
si sarebbe avverato. In quel caso quindi, capivo che c‟era la possibilità che
la mia compagnia volesse chiudere il contratto della gestione del negozio, a
bordo della “Orient Sun”.
Naturalmente, se questo fosse stato possibile, ne sarei stata felice,
perché non era facile resistere tanto tempo in quelle condizioni disperate.
Il mio capo sapeva che non avrei potuto resistere a lungo, e avrebbe dovuto
inviarmi una sostituta. Conoscevo anche la ragione per cui la mia ditta
avrebbe preferito non interrompere il contratto, giacché sperava di
guadagnare altri appalti, su alcune nuove navi, gestite dalla stessa agenzia
che curava per conto di Mr. Kor anche la “Orient Sun” a Singapore. In ogni
caso, nonostante avessi tentato di far capire che ciò non era possibile, la
mia compagnia voleva lo stesso provarci.
Perciò, in caso fossi sbarcata, dovevo trovare una sostituta a Singapore.
Riuscii a convincere il nostro dottore di bordo, che mi promise, in caso fossi
sbarcata, che avrebbe fatto imbarcare la moglie. Naturalmente tutto era
complicato, e il dottore doveva chiedere il permesso ai suoi diretti
superiori, poiché sembrava che nessun membro dell‟equipaggio potesse
imbarcare per lavoro, sulla stessa nave, un famigliare.
NONO CAPITOLO: I BAMBINI DEL “SOLE D‟ORIENTE”
E L‟ADDIO
La sera del sedici settembre, durante la navigazione, dopo una giornata
di lavoro salii in coperta a prendere un poco d'aria fresca. Era l'unica sera,
purtroppo, durante il viaggio di ritorno a Singapore, in cui si poteva
finalmente respirare aria pura, e vedere il meraviglioso cielo nero
trapuntato di stelle, che brillavano come miriadi di diamanti lucenti.
Camminavo tra le sdraio bianche bagnate dall'umidità della notte, quando
notai una figura di donna che se ne stava immobile sotto l'ombra di una
lancia a fissare la luna. Poi ella abbassò la testa verso l'acqua del mare che
le scorreva davanti e, mentre i suoi capelli lunghi sembravano danzare
nell'aria, lei mise un piede sulla ringhiera, sembrava volesse saltare giù.
Preoccupata mi avvicinai e riconobbi la giovane donna, gridai, tra il rumore
del vento che fischiava contro le pareti della nave: - Ciao, Desery! - Ah! sei tu Elisabetta! - mormorò trasalendo - A volte sento il desiderio di
riflettere, e ritorno in questo luogo solitario. - Insomma, Desery, si vede che sei giù di morale, spiegami che cosa c'è di
nuovo che t'inquieta. - Ieri notte sono stata molto felice con Hong! Ero talmente contenta che mi
sembrava di sognare. La gioia non dura mai a lungo, purtroppo. Poco fa mi
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ha confessato che domani imbarcherà la moglie per una crociera, quindi
dovrò far finta di niente, quando ella verrà in ufficio a cercarlo. La cosa che
mi strugge di più è stare senza di lui per quattro lunghi giorni; credimi,
tutto ciò è troppo pesante per me. A volte penso sarebbe più facile
scivolare tra quelle acque calde, che ci scorrono davanti in questo
momento.- Ti rendi conto di ciò che affermi? – brontolai allarmata - dopotutto sapevi
che prima o dopo si sarebbe imbarcata! - Sospirò nervosa, poi rispose: Certo, lo sapevo, ad ogni modo, speravo che la moglie di Hong non si
imbarcasse. - Ok! Adesso calmati e prova a pensare che il volere è potere. Con ciò
intendo, che con un po‟ d'impegno, riuscirai a non pensare a Hong con tale
intensità. Insomma, rilassati e accetta questa realtà, per il momento.
Capisci, Desery, devi volerti bene e incominciare a capire che soltanto tu
puoi evitare di diventare martire di te stessa, eliminando dalla tua mente i
pensieri negativi. Desery rimase in silenzio, fissando le acque scure che brillavano sotto gli
argentei raggi lunari, poi, girandosi nervosa, mormorò: - Hai ragione, dovrò
controllare i miei pensieri, altrimenti cadrò nel vortice di questa passione,
che già brucia come un vulcano. Aveva detto tutto ciò con una punta d'ilarità, così ci fissammo negli occhi
e scoppiammo a ridere insieme. Poi l‟accompagnai a braccetto in cabina e
andai a dormire. Il mattino del diciassette, quando mi svegliai verso le otto,
mi preparai in fretta e, dopo aver fatto colazione, andai in coperta ad
aspettare l'arrivo a Singapore.
Ammiravo le splendide acque verde scuro, mentre un gruppo d'uccelli
marini si tuffavano e risalivano, tenendo stretto nei loro becchi qualcosa
che avevano preso nell‟acqua. I loro garriti nervosi, che esplodevano qua e
là, m'incuriosirono. Arrivai a poppa e vi trovai i marinai filippini Rosalito,
Carroll, Denis e Guan che si divertivano a buttare in acqua pezzi di pane
secco; i gabbiani si tuffavano veloci nel vuoto e, in picchiata, sbattevano le
ali contro l'acqua e fuggivano con il pane, verso il cielo azzurro. Poco dopo,
quando i marinai mi videro, esclamarono in coro:
- Good morning! Mummy! - (Buon giorno ! Mamma!).
- Buon giorno anche a voi - risposi - avete notizia di cosa succederà all'arrivo
a Singapore? - Non ci saranno notizie, finché non saremo in porto. – rispose Rosalito,
mentre tirava sulle acque gli ultimi pezzetti di pane secco. Intanto il
marinaio Carroll, che si stava arrotolando i pantaloni al ginocchio, aggiunse:
- I nostri capi sono previdenti, ci comunicheranno lo sbarco solamente dopo
l'arrivo in porto. - Già, conosco questo modo di fare - ammisi.- Agiscono in quel modo per
evitare che l'equipaggio abbia il tempo di difendersi. Vero? - Brava, hai indovinato! - risposero Guan serio..
- Qui non si tratta d'indovinare - brontolai - ma di conoscere il
comportamento di certe compagnie pirata, che non vogliono riconoscere i
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diritti altrui. - Un'esplosione di grida si sparse intorno, mentre il marinaio
Denis affermò, soddisfatto:
- Hai ragione, abbiamo a che fare con dei pirati, sono peggio di quelli che
assaltano le navi nel percorso tra Jakarta e Singapore. Le loro risate scoppiarono fragorose.
- Mummy, ora dobbiamo salutarti - concluse Rosalito – dobbiamo andare ai
nostri posti di manovra per l‟attracco.I quattro marinai mi salutarono sorridendo. Riflettendo pensierosa mi
appoggiai alla ringhiera per ammirare quella larga scia di spuma bianca, che
la nave lasciava dietro di sé e pareva fuggire lontano all'orizzonte. Poco
dopo, a prua, vidi brillare in lontananza i grattacieli di Singapore, che
perforavano le migliaia di nuvole bianche che sostavano nel cielo azzurro,
lanciando ombre strane che coprivano l‟isola.
Intanto, nella mia mente, si composero le immagini di un sogno, in cui fra
la folla cercavo il portafoglio all'interno della mia borsa; ma mi rendevo
conto che qualcuno l'aveva rubato.- Oh! Dio mio! - pensai - dovrò prestare
attenzione ai ladri, adesso. Non era la prima volta che un sogno mi tornava in mente all'improvviso
durante la giornata.
Fortunatamente sapevo bene che non tutti i sogni erano premonitori e
ogni volta che intuivo qualcosa di poco piacevole, desideravo che non si
avverasse, ma purtroppo, molti di essi diventavano una triste realtà. Poco
dopo alzai lo sguardo sul mare, e vidi i rimorchiatori che stavano trainando
la nave in porto. Intanto il sole mi aveva avvolto in un abbraccio di fuoco,
mi riparai all‟ombra dell‟enorme ciminiera. Infine, la nave s‟appoggiò alla
banchina.
Circa una cinquantina d'uomini attendeva con le valigie, a pochi passi
dalla scaletta. Dai visi riconobbi che si trattava di malesi e birmani. Non ci
volle molto a capire che quelli erano una parte del nuovo equipaggio.
Intanto incontrai Richard che mi assicurò che avrebbero sbarcato solo gli
“stewards”
e
quei
pochi
marinai
che
avevano
partecipato
all'ammutinamento. Si trattava, infatti, di circa una cinquantina d'uomini.
Dopo lo sbarco dei passeggeri, i filippini che avevano partecipato alla
ribellione furono obbligati a preparare le valigie per lo sbarco. Più tardi,
quando attraversai la “hall” e raggiunsi l'ufficio informazioni, mi trovai
circondata dagli stewards e marinai che attendevano l'agente per lo sbarco,
tra i quali Romeo, Rosalito, Denis, Carroll e Guan. Puntarono i loro occhi
tristi su di me e urlarono: - Good-bye, mummy! Good-bye! - (Addio mamma!
Addio!) L'emozione mi colse all‟improvviso, quando percepii in quei saluti note di
tristezza. Intanto Romeo mi prese una mano e me la baciò dolcemente. Con
uno sforzo mi liberai di quell'angoscia che mi aveva impedito di parlare.
- Good-bye! - gridai - Children of “Orient Sun”! God will look after you! (Addio bambini del “Sole d‟Oriente”! Dio vi proteggerà!) Tra le grida e gli
applausi, essi continuarono a ripetere:
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- Mummy we love you! We love You! We love you! - (Mamma ti amiamo! Ti
amiamo! Ti amiamo!) - Con le lacrime che scendevano lungo le mie guance,
gridai: - Addio bambini del Sole d'Oriente Intanto l'agente era arrivato e iniziò a distribuire i loro passaporti. Poi
presero le loro valigie e uscirono dalla nave. Infine quando Desery, Shirley,
Rayu, Lydia ed io ci presentammo alla scaletta, grida e urla di gioia, fischi e
saluti esplosero intorno; intanto Romeo, con una mano, ci inviò i suoi baci,
poi tutti i filippini salirono sui pulmini. Nel frattempo i rumorosi motori si
unirono alle loro grida. Poi la fila dei piccoli pullman si dileguò in mezzo ai
containers.
Alcune ore dopo mi trovai in centro a Singapore, per raggiungere l'ufficio
contabile della compagnia di navigazione, e avvertirli del debito che Henry
doveva pagare. La segretaria fu molto gentile e mi spiegò che aveva lasciato
l'ospedale, ed era già partito per l‟Austria e che probabilmente sarebbe
stato difficile incassare quel denaro, perché avrebbe dovuto avvertire la
società.
Nel frattempo ella mi consigliò di parlarne al sig. Bert, manager al
servizio passeggeri, che avrei incontrato a bordo, prima della partenza della
nave. Uscii da quell'ufficio arrabbiata, ma mi resi conto che la colpa era
tutta mia, poiché avrei dovuto farmi saldare il conto, invece di fargli
credito. Per rilassarmi un po‟ feci una lunga passeggiata fino ad “Orchard
Road”, tenendo sempre sotto controllo la mia borsa.
In quel momento non avrei sopportato d'essere anche derubata. Quella
sera, verso le 17.30, andai a cercare il sig. Bert all'imbarco, quando vidi
entrare il G. M, che teneva per mano una bella signora.
- Ecco mia moglie! - esclamò Hong, presentandomela. Ella mi sorrise
dolcemente, poi mi strinse la mano.
- Elisabetta è la responsabile del duty free shop, immagino che andrai a
farle visita. - aggiunge lui sorridendo.
- Certo, verrò a comprare qualcosa. - L'aspetto allora! - risposi, mentre scrutavo quel bel viso asiatico, dagli
occhi nerissimi, poi la seguii con lo sguardo, mentre s‟allontanava
muovendo il suo corpo ben fatto, con grazia e femminilità. Per un attimo
pensai a Desery e al dolore che avrebbe provato nel vedere tale bellezza.
In quel momento vidi il sig. Bert, che sostava nella “hall”. Fu molto
cortese e mi pregò di fargli una fotocopia del conto, poi mi assicurò che
avrebbe preso contatto con Henry per telefono e, se egli avesse confermato
il debito, mi avrebbe saldato il conto.
- Chissà se Henry ammetterà la verità - pensai, mentre mi allontanavo un
po' preoccupata. Volsi lo sguardo verso l‟uscita, e vidi entrare il capitano
Michael. Notai con grande sorpresa che i suoi capelli biondi erano diventati
tutti bianchi. Il suo viso triste e depresso, senza sorriso, si girò verso di me,
mi fissò, ma sembrò non vedermi, poi passandomi davanti s‟allontanò.
Quell‟incontro mi lasciò molto triste, non avrei mai creduto che quella
lezione lo avrebbe fatto soffrire tanto. Riflettendo pensai che sicuramente
la sua coscienza si era svegliata, e quel dolore stava purificando la sua colpa
con il pentimento.
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In quel momento percepii una profonda amarezza, e provai per il
comandante Michael compassione e pena. Ad ogni modo, il sacrificio di quei
cinquanta filippini era servito a svegliare la coscienza di un uomo, che
prima l'aveva mandata in letargo. Certo il prezzo era stato caro, ma
riflettendo bene, tutti noi siamo inconsciamente martiri per la crescita
interiore del nostro prossimo.
DECIMO CAPITOLO: LE BUONE E LE CATTIVE NOTIZIE
Da alcuni giorni l'aria condizionata funzionava bene, anche se il fumo
grigio continuava ad aleggiare intorno, impedendo una normale
respirazione. Pure l'acqua e il caffè avevano perso il sapore di sale.
- Insomma, che cosa sarà successo? - mi domandai, mentre lo gustavo.
In quel momento apparve Richard, nella sua solita tuta bianca da lavoro. Delizioso il caffè, vero? - chiese sorridendo.
- Già! Non sarà un miracolo? - Si, altro che miracolo, se ti racconto cos‟è successo, ti arrabbierai
sicuramente.- Perché dovrei arrabbiarmi? - interrogai curiosa.
- Sfortunatamente, mia cara, abbiamo bevuto quell‟intruglio per tutti questi
mesi, per colpa di un ufficiale incompetente, poiché per errore apriva il
rubinetto sbagliato, e l'acqua salata era introdotta in quella potabile. - Non è vero! - esclamai perplessa.
- Devi sapere, che ci siamo accorti che ogni volta che riempivamo la tanica
dell'acqua potabile, si mescolava alla salata, sempre alla stessa ora. Poi
abbiamo capito che un certo ufficiale, di cui non posso dirti il nome,
iniziava il suo turno di lavoro quando l'acqua s'inquinava. - Maledizione, quanta sofferenza, per un errore - ammisi avvilita. - Certo
che se sapessi chi è l‟imbranato, non la passerebbe liscia! Dopo tutto è per
colpa della sua incompetenza, se l'equipaggio ha avuto la dissenteria per
mesi. Probabilmente tu non sai quanto ho sofferto io, a causa dell'acqua
inquinata. - Lo sapevo che ti saresti arrabbiata! - ribatté Richard.
- Già, in ogni caso non serve a niente arrabbiarsi, oramai il male è fatto! Mi alzai per andarmene, ma mi soffermai davanti ai grandi finestroni
della saletta, ad osservare quel fumo grigio che impediva di vedere il mare.
- Guarda che schifo di giornata, sicuramente ti ricorderà gli inverni nebbiosi
del tuo paese - ammise Richard.
- Con un'eccezione però - sospirai - qui fa molto caldo, mentre da noi,
quando calano le nebbie, fa freddo. Mi avviai verso la porta e, mentre Richard sorseggiava il suo caffè,
suggerii: - Allora, che ne diresti di organizzare la danza della pioggia, e
finirla con questi incendi? 72
- Mi sembra una buon'idea! Insomma, se ci riuscivano gli indiani d'America,
perché non dovremmo riuscirci noi! - Scoppiammo a ridere e mi sfuggì di
mano la pesante porta taglia fuoco, che si chiuse dietro le mie spalle.
Verso le quindici del venti settembre entrò in negozio Erona, la bella
moglie del G. M. che mi salutò affettuosamente, come sapevano fare solo gli
orientali. Indossava un elegante vestito largo a fiori. I suoi lunghissimi
capelli neri le cadevano sui fianchi. Dopo aver toccato alcuni oggetti, con le
sue belle mani dalle dita lunghe, si sedette vicino a me e raccontò d‟avere
incontrato il marito durante un viaggio a Singapore.
Poi mi confidò che da quando viveva col marito si sentiva sola, poiché
Hong non c‟era mai e la sua famiglia viveva in Malesia. - Sicuramente
sarebbe diverso se mio marito avesse scelto un lavoro a terra - esplose
Erona, amareggiata. - Certo non mi farei dilaniare dalla solitudine.Fece una pausa e sorridendo con dolcezza confidò: - In ogni caso, per me
la solitudine finirà, poiché sono incinta! - Incinta? - interrogai sorpresa.
- Si! Hai capito bene! - esclamò euforica, poi continuò allegramente:
- Certamente é stato un grosso evento, giacché era molto tempo che
speravo di rimanerci. Oramai avevo perso le speranze. - Le cose importanti succedono al momento giusto, né prima e né dopo osservai, mentre pensavo a quella povera illusa di Desery, e alla sofferenza
che l'attendeva.
Intanto Erona si alzò in piedi e, osservando le vetrine dei profumi e
articoli italiani, dichiarò:
- Oggi sono molto contenta, perché mio marito mi ha promesso che,
terminato il suo contratto, non s'imbarcherà più e lavorerà in ufficio; così
staremo sempre insieme. In quel momento entrò Hong, lei gli corse incontro e, prendendolo a
braccetto, salutando, se n'andarono. Quella sera, verso le ventuno, Edward
venne a farmi visita in negozio, come faceva spesso. Egli era per me un vero
amico, che stimavo molto, gli confidavo i miei problemi e discutevamo
insieme i probabili messaggi dei miei sogni. A quell‟ora, i passeggeri
andavano a vedere lo spettacolo, quindi quando vedevo arrivare Edward, mi
sentivo felice, poiché le ultime ore d‟apertura erano lunghe e di frequente
le trascorrevo sola.
- Good evening Elizabeth! How are you? - (Buona sera Elisabetta! Come
stai?) - domandò entrando.
- Very well! Thank you! And you? - (Molto bene! Grazie! E tu?).
- Sto bene, grazie, sono solo un po' stanco - ammise, mentre si sedeva
sospirando.
- Riposati allora - dissi - mentre ti racconto un sogno che ti riguarda.Gli occhi di Edward si riempirono di curiosità. - Che mi riguarda? Allora
racconta! - Vedevo del liquido nero che si allargava a vista d'occhio, tra fili elettrici
d'ogni tipo, mentre tu correvi avanti e indietro, nervoso e preoccupato, in
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tuta da lavoro. Credo che questo sia il tipico sogno “flash” che si avvererà! Egli tacque per un attimo, poi pensieroso brontolò: - Oh! My God! (Oh!
Mio Dio!) Sembra un allagamento in un locale dove ci sono fili elettrici.
Speriamo solo che non si avveri, perché altrimenti avrò molto lavoro da
svolgere, quando purtroppo ce n'è già troppo. In quel mentre entrò Desery e, sforzandosi di sorridere, sottovoce
domandò se alle dieci, dopo la chiusura, poteva interrogare l'oracolo i
“King”. I suoi occhi lucidi e tristi attesero impazienti una risposta, mentre
la scrutavo in silenzio, immaginando ciò che probabilmente avrebbe chiesto
all'oracolo.
- Va bene! - risposi infine, preoccupata.
Nel frattempo il suo volto cambiò espressione, come se uno sprazzo di
luce le avesse illuminato il volto, poi Desery corse via salutando, mentre
Edward affermò a bassa voce: - Povera ragazza! Purtroppo, quando si è
giovani e inesperti, la vita diventa difficile. - Già! Non è possibile poter passare attraverso il fuoco senza scottarsi. osservai, riflettendo sulla triste realtà.
Più tardi quando giunsi in cabina, Desery stava uscendo dalla sua, che si
trovava nel lato opposto, ad una decina di metri, nello stesso corridoio.
Quando entrò nella mia cabina, mi raccontò con le lacrime agli occhi, che
Erona le aveva rivelato di essere incinta da due mesi. Camminando
lentamente, andò a sedersi sulla poltrona davanti al finestrone coperto da
una tenda verde, poi smise di piangere e rivelò:
- Temo sia arrivato il momento di dedicarmi a qualcosa di più importante.
Hong mi ha assicurato che c'è la possibilità che mi promuovano assistente
commissario, vorrei sapere dall'oracolo se ciò sarà possibile. - Una sorpresa stupenda! - esclamai stupita, mentre le allungavo le monete
cinesi.- Già, anche per me! - Sono sicura - ammisi felice - che Hong ci metterà una buona parola, e tu
sai che, in questo caso, il general manager può aiutarti. Anzi, credo
fermamente che avrai la tua promozione.Dai suoi occhi sprizzò un sorriso furtivo, poi brontolò: - A questo punto
non serve interrogare l'oracolo, poiché tu sai sempre tutto.Rimasi in silenzio, mentre mi fissava con rancore e le risposi:
- Non è poi così difficile capire che le promozioni sono approvate con le
referenze del G. M, quindi non ho dubbi, avrai ciò che desideri. Vidi quell'espressione di rancore sparire dal suo volto, mentre le
sbocciava un sorriso: - Sono contenta che tu la veda così, perché mi sento
piuttosto confusa. - È normale! - esclamai - al momento tu sei delusa, stanca e piena di dubbi,
per questa ragione non puoi vedere la realtà degli eventi. - Ti assicuro che questa possibile promozione futura, al momento, mi sta
dando le forze necessarie per continuare ad andare avanti. 74
- Lo so, tutto arriva al momento giusto! - affermai sorridendo, mentre mi
affrettavo a scrivere “l'esagramma” che si stava formando dal lancio delle
monete.
Poco dopo, quando l'oracolo confermò le mie asserzioni, si alzò in piedi,
mi baciò su di una guancia e avviandosi alla porta mormorò: - Buona notte
mamma, e grazie di tutto.Il ventisette settembre, a Jakarta, mi ero seduta a poppa a leggere un
libro, quando vidi Edward poco lontano, che stava riparando un guasto
elettrico. Allora mi alzai e lo raggiunsi, mentre mi domandava se il sig. Bert
mi aveva consegnato il denaro che Henry mi doveva.
- No! - risposi - non l'ho neanche visto a Singapore! Dopo una pausa Edward consigliò, fissandomi serio: - Stai attenta, Henry
era debitore di 92 dollari anche alla cambusa. Ho saputo che quel debito è
già stato saldato. Mi chiedo perché non abbiano saldato anche il tuo. - Già, immagino che dovrò parlarne ancora una volta con Bert., - brontolai
scocciata, mentre pensavo di raccontargli il sogno che avevo avuto durante
la notte, a proposito dì Henry.
- Ti va di analizzare con me un sogno - domandai - che mi sembra molto
interessante? Frattanto Edward continuava a lavorare, e in quell'attimo si era
abbassato, ed aveva infilato la testa dentro un quadro pieno di fili colorati,
poi disse con voce fioca: - Racconta pure che ti ascolto. - Nel sogno, un gruppo di persone ed io tendevamo i nostri bicchieri vuoti
verso qualcuno che stava versando champagne. Poi costui dimenticò di
riempire il mio bicchiere. Un attimo dopo quella scena, vidi la grossa mano
di Henry comparire da dietro una tenda, con una bottiglia e versare lo
champagne nel mio bicchiere. Edward si alzò in piedi e ammise, sorridendo: - Il messaggio di questo
sogno è molto chiaro: probabilmente per qualche ragione qualcuno ha
dimenticato di saldare il tuo conto, a causa di un errore da parte dell‟ufficio
contabile. Al momento, Henry ha risarcito tutti, l‟unico debito che gli
rimane da saldare è il tuo, che sicuramente sarà saldato per ultimo, come
nel sogno.- Indicativo questo sogno, vero? - Certamente espressivo! - esclamò Edward, impressionato.
- Già, anch‟io ho recepito lo stesso messaggio, ad ogni modo volevo sentire
anche il tuo parere. Lasciai Edward al suo lavoro e ritornai alla mia lettura, raggiante di
felicità, per i messaggi che mi erano elargiti con tanta generosità dal cielo,
ogni qualvolta avevo bisogno di sostegno.
Il dodici ottobre, il sig. Bert mi spiegò
chiarito il problema aveva scoperto che
conto, perché l'aveva scambiato per
ricevute, infatti, riportavano circa la
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che dopo aver telefonato a Henry e
il contabile non mi aveva pagato il
quello del cambusiere. Le due
stessa somma e anche le stesse
marche d'alcolici. Il sig. Bert quindi, mi consegnò i 99 dollari ridendo e
affermò: - Finalmente abbiamo chiarito l'equivoco. Spero che lei ci scuserà.
Felice risposi, mentre pensavo al sogno che si era avverato: - Non si
preoccupi, si é risolto tutto! Ci stringemmo la mano e infine salutando aggiunsi: - La ringrazio di cuore
per il suo aiuto. - È ‟ stato un piacere! - concluse egli allontanandosi.
Quel pomeriggio, mentre tornavo dal centro di Singapore, vidi in
lontananza l'enorme figura di Jan, in compagnia di una bambina cinese. Li
raggiunsi al passaggio doganale, intanto Jan mi salutò allegramente, e mi
accorsi che si trattava di una giovane donna cinese. La sua figura magra e
bassa mi aveva ingannato.
Ugualmente trovavo quella coppia un po‟ comica. L'obesa figura di Jan e
l‟esile corpo di lei mi ricordavano, infatti, Stanlio e Olio. Mi domandai come
avessero fatto ad incontrarsi. Poco dopo, quando girai l'angolo, li vidi
allontanarsi, mentre lui la stringeva teneramente a sé; in quel momento, mi
ricordarono l'articolo “il” - Che strana coppia – pensai dentro di me, mentre
m'inoltravo tra il labirinto di containers colorati.
Il giorno dopo, in navigazione, Jan apparve all'improvviso davanti a me,
facendomi sobbalzare sulla sedia. Lasciai cadere la penna con cui stavo
terminando la contabilità, quindi egli domandò, fissandomi con occhi furbi
come quelli di una volpe: - Allora ti piace la mia donna? - È carina! Insomma, dove l‟hai incontrato quello scricciolo? - Intanto Jan mi
prese a braccetto e in silenzio mi portò a camminare avanti e indietro,
come faceva di solito.
- Sarà uno “scricciolo”, ma è in gamba. Allora, quando verrai nella mia
cabina, vedrai Giada nella video cassetta che mi ha regalato. Ella fa parte di
un gruppo di ballerini; probabilmente l'avrai vista anche tu, durante lo
spettacolo a bordo. Sai, balla molto bene. - Scusa - domandai - non è troppo piccola di statura perché faccia la
ballerina?
Egli si arrestò di colpo e, fissandomi con sguardo sardonico per ciò che
avevo osato, sghignazzò:
- Sarà piccola, ma t‟assicuro che a letto sa ballare molto bene! - Ah! Non ne dubito - risposi ridendo a crepapelle.
- Tu non puoi immaginare quanto calore sprigiona quello “scricciolo”, come
la chiami tu. Devi sapere che una notte appena Giada terminò lo spettacolo,
me ne stavo tranquillo, seduto al bar a sorseggiare un “drink” quando me la
trovai davanti e, senza remore, mi confessò la sua attrazione per me. - Davvero? - esclamai curiosa, mentre continuava a farmi girare su e giù
come una trottola.
- Io stesso rimasi colpito, quando m‟assicurò che ero l'uomo che lei aveva
sempre sognato. Poi mi fissò, con i suoi occhi neri, pieni di passione e io
andai in “tilt”. Quella volta, tra le sue braccia, ho trascorso una notte di
fuoco.- Immediatamente immaginai la scena: vedevo il piccolo essere che
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era schiacciato da quella montagna di grasso, mentre spuntavano le piccole
mani da sotto quella grossa pancia.
- Immagino che l'avrai ridotta a una polpetta, quel povero “topolino” ! dissi ridendo. Scoppiammo a ridere insieme, poi riprese a fissarmi serio e,
dopo una lunga pausa, sbraitò: - Possibile che tu non abbia immaginato che
lei stava sopra? - Sicuramente l'avrai infilzata come uno spiedino, allora! - Sei incredibile - brontolò egli sorridendo - comunque, vuoi finirla dì
prendermi in giro? Dopo tutto, Giada è la mia donna, perché la mantengo.
All'arrivo a Singapore, trascorro tutta la giornata con lei, nel nostro
appartamento. - Scusami Jan, non sapevo fosse una cosa seria. In ogni modo, tu mi conosci
e sai che cerco il lato comico delle cose, poiché sento il disperato bisogno di
sfogarmi ridendo, in questa valle di lacrime.Jan mi fissò con lo sguardo da galletto d'assalto, poi sghignazzò: - Lo so io
di che tipo di sfogo hai bisogno tu, se vuoi ce n'è anche per te! - Ah! No, grazie! - risposi seria - non vorrai schiacciare anche me, adesso? Ridevo, mentre Jan fece finta di arrabbiarsi, quindi, girandomi le spalle,
usci dal negozio gridando: - Questa me la paghi! –
Infine, quando mi girai, lo vidi apparire col suo grosso faccione allegro da
dietro le vetrine, fece una smorfia, poi alzò una mano e salutando sparì.
Il diciannove ottobre, stavo camminando lungo il ponte “passeggiata”, tra
il fumo grigio, dove a tratti vedevo sprazzi di luci apparire e perdersi
lontano. In quell'afa terribile vidi la sagoma di un uomo tra il fumo, poi
riconobbi la figura di Ante che, quando mi vide, s'affrettò a raggiungermi;
aveva il viso stanco e gli occhi esprimevano disperazione, ma mi fissò con
interesse, perciò domandai curiosa: - Insomma, che cosa ti succede Ante? - Sono disperato! - esclamò avvilito.- Già sai che, dopo la Slovenia, è
scoppiata la guerra in Croazia. Ieri mia moglie al telefono mi ha assicurato
che in paese si afferma che entro pochi giorni scoppierà la guerra in Bosnia
- Erzegovina. La mia famiglia vive a Dubrovnik, ed io sono qui, lontano dai
miei cari, senza poterli aiutare. Non so più cosa fare. A volte vorrei
andarmene, ma Jan mi scoraggia e afferma che non posso abbandonarlo in
questa trappola di nave, dove il Charterer non paga neanche i pezzi
necessari per farla funzionare. Insomma, saremo costretti a fermarla, se
egli non si deciderà a fare qualcosa. Ante mi mise una mano sulla spalla, mentre alcune perle di sudore gli
scivolavano lungo la fronte. Sconvolta, fissavo i suoi occhi grigi, che si
confondevano con il fumo che aleggiava intorno, poi borbottai:
- Ad ogni modo, se fossi in te, mi occuperei della mia famiglia, perché la
cosa più importante è la vita dei propri cari. - Egli mi strinse a sé e, con
voce spezzata, aggiunse:
- Tu non sai quanto prezioso sia per me questo consiglio. A volte mi faccio
prendere dalla confusione, e mi sembra così difficile prendere una
decisione. -
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Rimasi senza parole, mentre si allontanava in silenzio, dentro la sua tuta
bianca, tutta sporca d'enormi macchie di grasso nero. Pensavo tristemente
al duro lavoro che gli ufficiali e gli operai di macchina, dovevano affrontare
tutti i santi giorni. Ogni volta che scendevo in quell‟inferno, capivo quanto
fosse difficile resistere con il caldo, il rumore assordante e il puzzo di nafta,
grasso, olio, ecc..
- Povero Ante! - pensai dentro di me, pensando a tutti i problemi che lo
assillavano. Quanta tristezza e dolore portavano le guerre nel mondo, con
conseguenze inevitabili di morte e distruzione! mi domandavo perché
esistessero certe atrocità.
Speravo con tutto il cuore che risparmiassero la bella città di Dubrovnik,
che conoscevo bene. Dopo la guerra, chissà cosa sarebbe restato dei
meravigliosi paesini e antichi villaggi, che avevo visitato molti anni prima.
Quante stragi e disperazione avrebbero dovuto affrontare quegli abitanti! Mi
sentii gli occhi gonfi di lacrime, mentre pensavo agli effetti terrificanti
dell'odio, del potere, del razzismo. Poi udii il garrito di un gabbiano, che
comparve all'improvviso tra il fumo come un fantasma e mi distolse da quei
terribili pensieri. Intanto l‟uccello mi seguì per un tratto, fissandomi con gli
occhi annebbiati e stanchi e, rallentando il suo volo, si perse lontano fra le
masse grigie di fumo.
Il giorno dopo, il venti ottobre, correva voce che il Charterer avrebbe
fermato la nave a Singapore quella sera stessa, giacché il responsabile del
casinò non rispettava il contratto, non pagando alle date stabilite. Da qui la
ragione per cui Mr. Kor non pagava i pezzi di ricambio della nave, come da
contratto. Tutto l'equipaggio era euforico, nella speranza di poter
finalmente trascorrere una serata a Singapore.
Quel pomeriggio fu annunciato l'imbarco alla solita ora, quindi si pensò
che probabilmente il debito era stato saldato. Terminato l'imbarco dei
passeggeri, alle 18.00 iniziarono le manovre di partenza. A quell‟ora del
pomeriggio, il sole era ancora alto nel cielo, ma il suo calore, essendo nel
mese d‟ottobre, era diminuito, perciò si poteva restare sotto i suoi raggi
lucenti. Inaspettatamente la nave fu abbandonata dai piloti vicino al porto,
in rada.
Poco dopo un annuncio dall'altoparlante comunicò che, per motivi
tecnici, la nave sarebbe rimasta ferma nell'attesa di risolvere il problema. In
realtà, quello era il tipico annuncio che serviva a tranquillizzare i
passeggeri. Sapevo che madame Kor era nella cabina del comandante, dove
era in corso una discussione sul mancato pagamento da parte del
responsabile del casinò. La signora minacciava di non far partire la nave, se
non avesse raggiunto un accordo di pagamento immediato.
Naturalmente, mentre si attendeva che l'accordo fosse raggiunto, le ore
trascorrevano lente. Intanto alcuni componenti dell'equipaggio ed io ci
godevamo lo splendido tramonto del sole, che scendeva lento tra i
grattacieli, inviando nel firmamento bagliori splendenti, che coloravano di
rosso sangue, arancione, giallo e rosa il cielo di Singapore, poi il buio
avviluppò l'immenso e le luci accese dell‟isola disegnarono miriadi dì lumi
colorati che brillavano come stelle. Verso le 22.30 le grida dei passeggeri si
alzarono felici, vedendo i rimorchiatori che dal porto si avvicinavano alla
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nave, per trainarla fuori in mare aperto. Alla fine la signora Kor riuscì nel
suo intento, infatti ella sbarcò subito, e la “Orient Sun ” scivolò veloce
verso l'isola di Giava.
Mi resi conto d‟essere rimasta sola a fissare gli ultimi bagliori sparire nel
buio. Nella mia mente, si presentarono le immagini di un sogno, che mi
perseguitava da una settimana. Mi vedevo marciare in prima fila ad un
funerale, mentre mia cugina Carmen, che indossava un lungo vestito bianco
da sposa, si univa a me. In quel momento, lungo la strada che portava al
camposanto del mio paese, capii che si trattava del funerale di suo padre,
mio zio Mino.
Il ventidue ottobre, dopo la solita esercitazione, Desery, Rayu, Shirley,
Lydia ed io noleggiammo un pulmino e andammo in centro a Jakarta, ai
grandi magazzini, a fare “shopping”. Il traffico era come al solito, lento.
Intanto il nostro pulmino procedeva piano, fra i ciclisti e i pedoni che
affollavano le strade, intorno allo “Shopping Center”. Poco lontano
venditori ambulanti facevano di tutto per attirare l'attenzione dei passanti.
Le mosche pullulavano intorno alle bancarelle, piene di strane vivande
colorate che inviavano odori particolari, che correvano sotto il mio naso,
provocando in me uno strano senso di nausea.
Finalmente l'autista accostò al marciapiede e ci lasciò uscire sotto il sole
bollente, in un'afa che sembrava impedire il respiro. Il mio sguardo si
allargò tra quella marea umana di povera gente, che si muoveva stanca in
ogni direzione. Nei visi delle persone leggevo ogni tipo di sentimento. Poi,
ad un tratto, udii la voce di Rayu che gridava da dietro le mie spalle: Elisabetta! Siamo qui! Mi affrettai a raggiungerle camminando tra la gente. Poco dopo
entrammo in un grosso “building” (costruzione). All'interno erano centinaia
di negozi e, nel grande spazio centrale, stavano venditori di stoffe e sete,
dai colori vivaci. Era uno splendore vedere quei tessuti scintillanti, dai
disegni fantasiosi che t'incantavano.
Rayu, che conosceva bene il luogo, ci condusse a mangiare in un modesto
ristorante indonesiano, dove gustammo alcune specialità, che ci consigliò.
Dopo lo squisito pranzo, dai sapori insoliti, ci recammo a fare acquisti, negli
strani e piccoli negozi d'abbigliamento, ai piani superiori dello Shopping
Center. Alcune ore dopo, mentre camminavamo in fila indiana, tra la folla,
al piano inferiore, Shirley esclamò:
- Elisabetta, hai la borsa aperta! Le ragazze mi si strinsero intorno, io buttai una mano nella borsa e, con
mia sorpresa, mi resi conto che il portafoglio non c'era più, eppure ero
sicura d‟averlo infilato nella borsa e di aver chiusa la cerniera. Nel
frattempo Rayu si fece avanti, e ammise perplessa: - Mi dispiace, avrei
dovuto informarti, che questo è il tipico furto che subiscono gli stranieri,
all'interno di queste strutture. Probabilmente, mentre camminavi tra la
gente, qualcuno ha aperto la cerniera e si è preso il portafoglio. Rimasi in silenzio, pensando alla carta di credito e al dollaro che mio
padre mi aveva lasciato, che per me significava qualcosa di prezioso. - Avevi
molto denaro? - interrogò Desery preoccupata.
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- No! Non molto! - esclamai nervosa. - Forse una cinquantina di dollari.
Insomma, non è quello che mi preoccupa, ora dovrò telefonare per
annullare la carta di credito. Guardai l‟orologio, erano le l5.l0, in pratica le l0.l0 in Italia. Dopo tutto
Rayu conosceva bene quella zona, allora di corsa raggiungemmo un taxi e
partimmo. Rayu supplicò più volte l'autista di affrettarsi, ma il pover'uomo
rimase intrappolato nel traffico, dimostrando quanto fossero inutili i suoi
tentativi. Infine riuscii a telefonare.
Arrivammo a bordo appena in tempo per l‟imbarco. Quella sera non
avevo clienti in negozio, perciò stavo preparando la contabilità da spedire a
Venezia, quando udii la voce di Edward:
- Good evening! Elizabeth! - (Buona sera Elisabetta). Entrò sorridendo, si
accomodò sulla sedia degli ospiti e, aggiustandosi i galloni sulle spalle,
affermò: - Ho saputo dell'avventura poco piacevole che tu hai vissuto oggi. - È incredibile, non ho il tempo per annoiarmi. Ne succede sempre una
nuova. Adesso dovrò chiedere un prestito alla mia compagnia. Ad ogni
modo, se non ci fossero state le ragazze con me, me la sarei vista brutta,
senza denaro.Ci fu una pausa, si guardò intorno, poi domandò: - Spiegami, avevi
sognato qualcosa a proposito del furto? - Già, ora che ci penso, ricordo di aver prestato attenzione perché non mi
rubassero la borsa per parecchi giorni, ma poi me ne sono dimenticata.
Ecco, vedi, se mi fossi ricordata del sogno, probabilmente non avrei subito il
furto, perché credo che certi eventi si possano prevenire. - Allora come dovrei fare per far in modo che non si avveri quel sogno che
mi hai raccontato, dell'allagamento in un locale elettrico? - Non tutti i sogni si avverano, ma se vuoi stare tranquillo, dovresti
ispezionare tutti i locali, dove ci sono dei fili elettrici. - Già, sarebbe una buon'idea se avessi il tempo, ma non ho neanche quello
per respirare. Allora aspetta che succeda, così non perderai tempo. - Una risata
rimbombò all'interno del negozio.
- Non è il caso che ti preoccupi - aggiunsi sorridendo - visto che sarà un
danno alle cose, e non alle persone, se sfortunatamente dovesse succedere,
ti aumenterà il lavoro, certamente un guaio, per chi ne ha già tanto. Edward mi fissò serio, poi alzandosi in piedi esclamò: - Pregherò perché
Dio me la mandi buona! - Aggrottando le ciglia, si avviò verso l'uscita poi
aggiunse: - A questo punto è meglio che vada a godermi lo “Show”. La sera del ventiquattro ottobre, alle 22.00, stavo chiudendo il negozio
quando vidi Jan venirmi incontro a testa bassa e con voce depressa
domandò: - Dove stai andando? - Per oggi ho finito di lavorare, se vuoi, andiamo a prendere un po‟ d‟aria in
coperta. –
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Jan mi seguì in silenzio, salimmo sull‟ascensore, uscimmo in coperta,
dove nuvole di fumo si muovevano veloci e, a tratti, s‟intravedeva il cielo
nero pieno di stelle.
- Raccontami com‟è andata oggi con la tua piccola Giada - domandai curiosa.
Jan sospirò più volte, poi, dopo una lunga pausa, con un‟espressione
disperata sul viso, esclamò: - Oggi sono distrutto! Ansiosa di sapere cosa gli fosse successo di così terribile, lo presi a
braccetto e camminammo in silenzio, avanti e indietro per la “passeggiata”
infine, con un fil di voce, Jan borbottò:
- Ho ricevuto una terribile notizia! - Si fermò di colpo, si grattò con rabbia
una spalla, poi riprese a camminare nervosamente e, ad un tratto, gridò con
voce tremante: - Mia moglie mi ha confermato per telefono, che ieri hanno
bombardato Dubrovnik. - Maledizione! - brontolai, mentre si stropicciava i baffi con rabbia:
- Ora non so più cosa fare; tra l'altro, c'è Ante che mi sta esasperando,
vorrebbe lasciarmi solo su questa nave, e tornarsene a Dubrovnik, ad
aiutare la sua famiglia a fuggire. Jan sospirò più volte e, dopo una pausa, con voce spezzata continuò: Insomma, anch'io ho una famiglia, ma ho anche firmato un contratto! - Ok Jan, ma la famiglia dovrebbe essere al disopra di tutto! - brontolai
seria.
- Hai ragione! Sai che Ante ed io abbiamo pensato di andare in Italia a
noleggiare una barca con delle armi, e poi attaccare Dubrovnik dal mare
e.... - Non sarai impazzito per caso? - urlai interrompendo il discorso, e
sorridendo aggiunsi:
- In ogni caso, non crederai d'essere Rambo all'assalto? Poi, con quella
pancia, probabilmente non riusciresti nemmeno a saltare. Jan mi fissò con uno sguardo di ghiaccio, mentre scoppiammo a ridere
insieme, infine esclamò severo:
- Sfortunatamente non c'è niente da ridere! - Hai ragione, ma sto solo cercando di farti rilassare un attimo, perché sei
terribilmente teso. - Credi forse che non ti capisca? So benissimo con chi ho a che fare,
altrimenti non sarei tuo amico. Poco dopo lasciò il mio braccio e, mentre s‟allontanava, assicurò:
- Adesso che mi sento un po' meglio, vado all‟Olympia Lounge, allo
“show” Vedrai che, a furia di “strip-tease”, mi passerà. - Lo credo anch'io! - esclamai ridendo, mentre egli s‟allontanava.
Il mattino del venticinque ottobre, verso le 9.45, ero in cabina e stavo
indossando la divisa per recarmi al lavoro e, mentre mi spazzolavo i capelli,
notai che non avevo più foruncoli in viso, ma c'erano ancora delle cicatrici.
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Uscii dalla cabina più leggera, come se mi fossi finalmente liberata da un
incubo. Poco dopo raggiunsi la scaletta che portava ai piani inferiori,
quando udii la voce d‟Edward chiamarmi con insistenza; alzai lo sguardo e lo
vidi in fondo al corridoio, nella sua solita tuta bianca da lavoro, venirmi
incontro. Alcuni secondi dopo, quando mi raggiunse, mi resi conto che
aveva la tuta tutta schizzata di macchie scure.
- Elisabetta, se sapessi cos'è successo stamattina alle sei, non ci crederesti!
- Santa pazienza - brontolai - ma che cosa c'è di nuovo? - Questa mattina, alle sei, stavo dormendo in cabina, quando il mio
assistente mi ha svegliato di soprassalto, gridando che uno dei locali, pieno
di fili elettrici, si era allagato di liquido nero e acqua, e.... - Oh, Dio mio, si è avverato il sogno che t‟avevo raccontato! - gridai euforica
mentre mi fissava con un sorriso sulle labbra per la sorpresa e dopo una
pausa continuò:
- Insomma, è da stamattina alle sei che stiamo lavorando e, purtroppo,
credo che ne avremo ancora per parecchie ore. Certo che i tuoi sogni sono
straordinari. - Te lo avevo detto io di aspettare che succedesse, senza perdere tempo a
controllare. - risposi scherzando, mentre Edward brontolò sorridendo: Adesso, infatti, non posso perdere tempo. Mi girò le spalle borbottando: - Incredibile! Intanto gridai mentre s'allontanava: - Non tanto! “I sogni, come le sibille,
parlano del futuro”. Sentenza del vostro grande poeta Byron! - Già, devo ammettere che aveva ragione! - urlò Edward, camminando
frettolosamente nel lungo corridoio.
Poco dopo in negozio, mentre lavoravo al computer, mi tornarono in
mente le immagini di un sogno “flash” dove c‟era una signora cinese, che
alcune settimane prima mi si era presentata con l'intenzione di gestire il
duty free shop, nel caso che la mia compagnia si decidesse a vendere la
merce.
Nel sogno mi trovavo a bordo della sua auto, che conduceva per le vie di
Singapore, seguita da altre due vetture, una condotta dal dottor Win e
l‟altra da un cinese robusto, con un viso rotondo, che portava un paio
d'occhiali.
Dopo alcune riflessioni, dedussi che probabilmente nel futuro la cinese
avrebbe forse gestito il negozio, e così la moglie del dottor Win avrebbe
occupato il mio posto.
Pensando a quella possibilità, un brivido mi percorse la schiena; se si
fosse avverato quel sogno, sarei stata finalmente libera e sarei uscita,
metaforicamente parlando, da quella maledetta prigione di metallo.
UNDICESIMO CAPITOLO: MALINTESI
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Il 30 ottobre, a Jakarta, durante l‟esercitazione, Jan mi passò accanto
per il controllo, mi fissò severo, poi gridò:
- Insomma, quando passo io, voi siete pregati di scattare sull‟attenti ed
esibire il cartellino di riconoscimento, avete capito? Noi ubbidimmo e mostrammo il nostro cartellino. Intanto Jan mi fissava,
cercando di nascondere quel sorriso furbo che gli sfuggiva. In fondo tutti
sapevano che quel suo atteggiamento da militare era soltanto un gioco, che
divertiva l‟equipaggio. Poi, avvicinandosi al mio orecchio, bisbigliò, mentre
il sole gli illuminava la divisa bianca con i galloni e i bottoni con le ancore
dorati che inviavano raggi di luce che quasi accecavano:
- Parlerò con il capitano, perché questa sera ti vogliamo con noi al Mystery
Club! –
In quel mentre ebbi un flash back di un sogno che feci quando avevo
circa undici anni: i miei genitori stavano giocando a carte ed io ero sotto al
tavolo e raccoglievo bottoni dorati con le ancore stampate sopra,
esattamente come quelli che vedevo nella giacca di Jan.
– Senti bambola, sto parlando con te, vuoi rispondere? – Io lo fissai per un
attimo e confusa risposi:
- Scusami Jan, ma i tuoi bottoni dorati mi hanno fatto venire alla luce un
sogno premonitore che ho fatto all‟età di circa undici anni. – Jan mi fissò
serio e brontolò:
- Insomma Elisabetta, non è il momento di sognare, vuoi rispondermi?- No, ti prego, non voglio venirci! - esclamai, coprendomi gli occhi con una
mano, poiché anche le ancore disegnate sui bottoni, che sporgevano dal suo
pancione, mi stavano mitragliando gli occhi di luci fastidiose.
Gridai: - Vuoi, per cortesia, girare le spalle al sole, prima che diventi
cieca, con il luccichio intenso di quelle ferraglie dorate che indossi? Tutto il gruppo addetto alla lancia numero tre scoppiò in una risata
fragorosa, egli si girò di scatto, poi sussurrò toccandosi il cappello: - Questo
è oltraggio a pubblico ufficiale! Ti costerà caro, finirai nelle prigioni di
bordo! –
Infine mi girò le spalle con il suo solito sorriso scherzoso e se n‟andò a
testa alta, mescolandosi tra i marinai. L‟equipaggio era rilassato e felice,
giacché, dopo tanti mesi di continua navigazione, finalmente avrebbe
trascorso un “overnight” (nottata) a Jakarta.
Il Charterer aveva fatto il solito invito agli ufficiali, per un‟altra serata
speciale al “Mystery Club”. Avrei trascorso volentieri un‟altra serata in quel
locale particolare, ma l‟unica persona che mi preoccupava e che non avrei
voluto affrontare era il capitano Michael. Da quando aveva subito l‟amara
avventura dell‟ammutinamento, era molto cambiato. Probabilmente si era
reso conto di ciò che egli aveva provocato con le sue azioni negative da
razzista.
Non avevo dubbi sul fatto che ne stesse pagando le conseguenze ad un
mese e mezzo dall‟accaduto. I suoi capelli da biondissimi erano diventati
tutti bianchi, e il sorriso sparito. Le poche volte che lo avevo incontrato per
caso, aveva abbassato gli occhi, ma nei lineamenti del suo viso si leggevano
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dolore e vergogna. In quei momenti sentivo che la mia indifferenza nei suoi
confronti si era tramutata in compassione.
Quel pomeriggio, verso le 17.30, stavo scendendo le scale che portavano
alla “hall”, quando di fronte all‟ufficio del general manager mi venne
incontro Desery: - Elizabeth, Hong vuole parlarti, puoi aspettare per favore?
- Certo! - esclamai curiosa, mentre vedevo il G. M. venirmi incontro. Stavo
appoggiata alla ringhiera della scala, sull‟ultimo scalino, mentre Hong mi
fissava serio e preoccupato, sembrava fosse rimasto senza parole, poi
sussurrò imbarazzato, mentre le sue guance impallidivano di vergogna:
- Spero che tu non me ne vorrai per ciò che sto per dirti, ma per evitare
problemi, è meglio che tu lo sappia. Lo fissavo sorpresa, domandandomi che cosa ci fosse di tanto grave, poi
lui continuò:
- Oggi ho pranzato al tavolo del comandante, ed ero presente quando Jan
gli ha chiesto se questa sera tu potevi andare con loro al “Mystery Club”,
ma egli gli ha risposto bruscamente che non erano affari che lo
riguardassero. Intanto ascoltavo in silenzio esprimendo il mio stupore, poi Hong suggerì:
- A questo punto penso che sarebbe meglio se tu restassi a bordo. Almeno
così eviterai di avere delle grane con il capitano. Il suo discorso m‟aveva lasciata sconcertata, perciò continuavo a fissare i
suoi occhi tristi; poi disse ansioso:
- Spero che tu non te la prenda con l‟ambasciatore! - Intanto Desery mi
guardava con occhi sgranati, e con voce spezzata mormorò: - Oh! Non sai
quanto mi dispiace! Risposi: - Ti ringrazio di cuore Hong, comunque avevo già deciso di non
andare! Buona serata e, mi raccomando, divertitevi, voi che potete! Poco dopo, quando entrai nella saletta, davanti alla finestra che dava sul
corridoio, passarono il capitano e Shay. Intanto mi ero riempita il piatto di
vivande e mi accomodai ad un tavolo nella sala quasi buia e deserta. In quel
mentre si aprì la porta e apparve Shay, con i suoi lunghi capelli biondi sciolti
sulle spalle e il viso sorridente, che portò un po‟ d‟allegria. Si avviò al
“buffet” con il piatto in mano, poi domandò: - Scusa, ma come mai mangi?
Non ti hanno invitato al “Mystery Club”? - Mi fai una bella domanda! - esclamai sorridendo; intanto Shay venne a
sedersi al tavolo e appoggiò il suo piatto di fronte a me. Io lasciai cadere la
forchetta sul tavolo rispondendo:
- Il G. M. mi ha appena pregato di non andare, per evitare problemi con il
comandante; sembra che egli non gradisca la mia presenza. Shay mi fissò stupita, e rimase immobile con la forchetta in aria, poi
gridò: - Non è vero! Ti assicuro, non è vero! - Sì, lo so!.
- Poco fa, quando siamo passati di qui, ti abbiamo visto al “buffet”, il
capitano mi ha detto scocciato che sperava che ti avessero invitato al
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“Mystery Club”, perché altrimenti ne avrebbe pagato le conseguenze chi di
dovere. - Sì, vi ho visto e ho sentito quello che vi siete detti, tutto ciò mi fa stare
meglio - ammisi, sentendomi subito più rilassata, poi continuai - Vedi,
preferisco non essere odiata, poiché l‟odio è un sentimento che distrugge
chi lo prova, ma, per via telepatica, certamente influenza anche la psiche
della persona odiata. - Gran verità! - esclamò Shay, mentre tagliava a pezzettini un pezzo di
carne; intanto aggiunsi - Sicuramente il G. M. ha frainteso ciò che intendeva
il capitano, altrimenti non mi avrebbe suggerito di restare a bordo. Shay terminò di masticare quel pezzo di carne dura, poi suggerì:Insomma, perché non vai anche tu, dopo tutto si è chiarito l‟equivoco.Sorrisi, posai il bicchiere e risposi:- Questa è una ragione in più per non
andare.Per farmi capire le feci l‟occhiolino, poi esclamai: - Capiscimi bene! Ella scoppiò a ridere e, stanca di masticare quella carne dura, spostò il
piatto verso di me, aggiungendo: - Ti capisco, ti capisco! Shay si alzò in piedi, andò al “buffet” e tornò al tavolo con un piatto di
fette di frutta tropicale, poi incominciò a tagliarne una d‟ananas, e con lo
sguardo fisso sul piatto sussurrò: - Lo sai che ci hanno offerto un lavoro a
bordo della m/n “Royal Pacific”?
- Allora ci lasciate? - interrogai sorpresa.
- Si, abbiamo già avvisato la compagnia e stiamo aspettando la sostituzione.
- Non sai quanto mi dispiace! Ad ogni modo è meglio per voi! - ammisi,
interrompendo il suo discorso.
Poi ripresi sospirando: - Su questa nave si vive male, perciò fate bene ad
andarvene.Ella alzò lo sguardo e affermò: - Già, ci dispiace lasciare l‟equipaggio, ma
credimi, abbiamo sopportato anche troppo. Siamo felici di cambiare aria.
Sulla “Royal Pacific” avremo una cabina più grande, ci tratteranno con più
rispetto e, soprattutto, credo che si mangerà molto meglio. - Allora non c‟incontreremo più? - domandai preoccupata.
- Credo che ci vedremo spesso, perché la nave farà la stessa linea della
“Orient Sun”! - Davvero? - chiesi felice, mentre stava mangiando un pezzo di papaia; poi,
dopo una pausa, spiegò: - Si pensa che Mr. Kor stia incassando molto
denaro, la concorrenza ha noleggiato la “Shangrila World” e la “Royal
Pacific”. La fissai sorpresa, poi domandai curiosa:- Insomma, com‟è possibile tutto
ciò, quando finora abbiamo trasportato pochi passeggeri ed io stessa nel
duty free shop ho incassato poco? - Possibile che tu non capisca che il vero “business” si fa col casinò! Al
Charterer non interessa la quantità del passeggero, ma solo quella del
giocatore.85
- È un discorso che ho già sentito! In ogni modo, mi sembra assurdo, ammisi, pensando anche alla mia compagnia, che sperava di accaparrarsi gli
appalti delle due nuove navi, che i concorrenti stavano armando.
Avevo capito che i nostri prezzi europei non potevano competere con
quelli orientali, quindi mi domandavo come potessero gli esperti in
marketing della mia compagnia non capire una cosa così evidente. Mi alzai
in piedi e affermai:
- Ho la strana sensazione che questi Charterers non abbiano fiuto! Shay mi fissò in silenzio, si gettò i suo lunghi capelli biondi dietro le
spalle, poi esclamò: - Me ne rendo conto, infatti! Allora dimmi, è vero che,
quando sbarcherai tu, la moglie del dottor Win occuperà il tuo posto? - Si, è così! La mia compagnia ha accettato la proposta e mi hanno già
assicurato che, se avranno gli appalti, allora dovrò istruire la dottoressa
Win. Ella alzò gli occhi con stupore, poi domandò curiosa: - Allora anche la
moglie è medico? - Si, lo è, ma accetta di lavorare come shop manager, per stare vicino al
marito. Intanto mi avviai verso la porta: - Ciao! Buona serata! - borbottai, mentre
lasciavo scivolare la porta, che sbattendo provocò il solito rumore metallico,
coprendo le ultime parole di Shay.
Il primo novembre, durante le mie ore di riposo, mi ero stesa sul letto
con l‟intenzione di riposarmi; il mio corpo si trovava in uno stato di
completo rilassamento, quando le immagini di un sogno che avevo avuto il
ventinove settembre, riapparvero nitide nella mia mente. Vedevo due
ragazze orientali che erano venute a bordo della nave, le presentavo a
Edward, che in quel momento passava di lì. Indossava una tuta trasparente
di plastica e aveva una canna in mano come se stesse disinfestando la nave
da “cacaracci”, gli insetti che vivono a bordo a contatto col ferro. Avevo la
sicurezza che Edward stesse facendo quel lavoro perché la nave era ferma
da qualche tempo. Sembrava che le due ragazze fossero venute a bordo per
aiutarmi e prendere in consegna la merce. Nel sogno mi rendevo conto che
l‟equipaggio era stato dimezzato, come se la nave dovesse rimanere ferma
per parecchio tempo. Poi uscivo con le donne che mi domandavano: - Non
hai portato le valigie? - Vorrei sapere con esattezza dov‟è la barca, poi trasporterò i miei bagagli. rispondevo, pensando che per tornare a casa in Italia, dovevo raggiungere
prima Singapore con una barca e poi l‟aeroporto.
Questo sogno l‟avevo raccontato a parecchie persone, tra cui Edward,
Richard, Shirley, Maung; tutti mi avevano ascoltato con interesse, poiché
avevano constatato che molti dei miei sogni si avveravano. Ad ogni modo, se
quello era un sogno premonitore, in futuro la nave si sarebbe fermata per
qualche ragione sconosciuta.
In ogni caso, dovevo ammettere a me stessa che quel sogno poteva essere
il frutto del mio desiderio inconscio, poiché in realtà, desideravo sbarcare al
più presto da quell‟inferno. Purtroppo le piogge non cadevano, e spesso il
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negozio era pieno di vapore, con le vetrine appannate, e nuvolette di fumo
che galleggiavano nel salone.
Il due novembre, dopo l‟arrivo della nave a Singapore, mi recai ai
telefoni per prendere contatto con mia madre, perché volevo sapere come
stava lo zio. Il sogno del suo funerale mi tornava sempre in mente,
facendomi soffrire. Dedussi che doveva trattarsi di un sogno premonitore. In
ogni caso, nonostante avessi da pochi giorni parlato a mia madre per
telefono, e mi avesse assicurato che egli stava bene, non ero tranquilla.
Poco dopo entrai nella cabina telefonica e digitai il numero; al terzo squillo
udii, attraverso il filo, la sua voce: - Pronto, chi parla? Prima di rispondere sospirai, pensando che sarebbe stato difficile
strapparle la verità: - Ciao mamma, sono Elisabetta! - Allora come stai?
- Sto bene, voglio sapere come sta lo zio. - Di là del filo ci fu una pausa, poi
ella rispose:
- Me l‟hai già chiesto, sai che sta bene! A quel punto mi arrabbiai seriamente, perché mentiva, e gridai: Insomma mamma, la vuoi smettere di raccontare bugie? Ho sognato che
partecipavo al suo funerale! Dopo un breve silenzio brontolò: - Si tratta solo di un sogno! - Proprio tu, mamma, mi dici questo, quando anche tu hai sogni
premonitori! Ora dimmi la verità, altrimenti telefono alla zia! - Udii alcuni
sospiri e una certa indecisione nella sua voce, mentre confessava:
- Non volevo dirtelo per non farti soffrire, ma lo zio sta male; è
all‟ospedale con i polmoni pieni d‟acqua, non si sa quanto tempo resisterà
ancora. Un nodo mi serrò la gola all‟improvviso, e intanto mia madre gridava
angosciata:
- Ecco vedi, se non te l‟avessi detto, adesso staresti meglio! Cercai di nascondere ciò che provavo, poi risposi: - Non ti preoccupare
per me, lo sapevo già, avevo solo bisogno di una conferma. Tu sai che credo
nell‟esistenza della vita dopo la morte, perciò mi passerà presto. Ti prego di
portargli i miei saluti e assicuralo che, quando tornerà a casa, gli
telefonerò. - Va bene, sarà felice quando lo saprà. Ti prego, riguardati! La salutai in fretta per non farle capire l‟angoscia che provavo. Poi,
lentamente uscii dalla cabina e, dopo aver pagato, me n‟andai a sedere su
una panchina sotto un grande albero, che lasciava cadere le sue fronde
piangenti sulle acque del fiume, di fianco alla galleria d‟Arte “The Empress
Place”.
A testa bassa, sotto l‟ombra di quel magnifico albero, pensavo a mio zio,
che era stato per me come un secondo padre. Avevamo vissuto per tanti
anni insieme nella stessa fattoria, poiché due fratelli avevano sposato la
mamma e la zia, anch‟esse sorelle. Il dolore più grande, purtroppo, era
sapere che anch‟egli, come mio padre, doveva morire con un tumore.
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Una delle malattie più dolorose e terribili, che avrebbe fatto soffrire per
mesi lo zio. La cosa che mi rendeva più triste era conoscere i sintomi e
l‟agonia che avrebbe sofferto, dato che per alcuni mesi avevo assistito mio
padre al suo capezzale, imparando a capire questo male. Le lacrime mi
scesero lungo le guance, alzai lo sguardo e vidi di là dal “Singapor river” gli
imponenti grattacieli brillare sotto le luci dorate del sole. Poi mormorai tra
me - Caro zio, io so che un giorno l'uomo capirà che il corpo è
semplicemente un tempio che serve a tenere prigioniera su questa terra
l'anima, che, evolvendo attraverso l'esperienza, alla morte del corpo,
abbandona il mondo materiale e ritorna, emancipata, alla dimensione
celeste originale. Mi alzai in piedi e camminai lungo il fiume, le cui acque scure scorrevano
sotto lo spettacolare ponte, pensando che in fondo la morte era il passaggio
da una dimensione ad un‟altra, come quelle acque verde scuro che dal
fiume correvano al mare. Sicuramente lo spirito di mio padre sarebbe
venuto ad accogliere lo zio, nel giorno della sua morte. Poi mi sentii avvolta
in una piacevole tranquillità, come se ciò che avevo appena pensato si fosse
tramutato in certezza.
Poco dopo attraversai il “New Bridge Road” a “China Town Point” e,
dopo aver raggiunto il “taxi-stand” aspettai il mio turno in fila, poi salii sul
taxi e ritornai a bordo. Verso le 17.00, quando mi affacciai dal ponte
“passeggiata” vidi le “hostess” in banchina, che davano il ben venuto ai
passeggeri che salivano la scaletta d‟imbarco. Poi, da dietro i containers
apparve Jan, che camminava con passo stanco, dandomi la sensazione di
vedere un uomo triste e avvilito. Sentivo la scaletta vibrare sotto il peso del
suo corpo, che passava a fatica tra le due ringhiere, poi lui alzò gli occhi
verso di me e, prima di entrare a bordo, agitò la mano in segno di saluto.
Di lì a poco apparve il dottor Win, che mi venne incontro lungo il ponte
“passeggiata” sorridendo, con il suo solito ciuffo che volava spinto da un
piacevole vento, che rinfrescava l‟aria.
- Finalmente ci sono riuscito! - gridò raggiante di felicità - I miei capi mi
hanno permesso d‟imbarcare mia moglie, se tu sbarcherai! - Oh! Infine una buona notizia! - esclamai soddisfatta, mentre si portava una
mano sul ciuffo ribelle.
- Mi hanno fatto un po‟ di paternale, però alla fine mi hanno concesso ciò
che di solito non concedono a nessuno. - Ad un uomo di principi come te - ammisi - non avrebbero potuto far altro !
Egli sorrise timidamente e, dopo una pausa, rispose: - Tu mi lusinghi! - Sostengo solo la verità, mio caro dottore! - esclamai sorridendo.
DODICESIMO CAPITOLO: ALCUNI SOGNI COLLETTIVI
L‟otto novembre mi svegliai durante la notte, con una sete terribile;
m‟alzai dal letto intontita e, mentre bevevo avidamente, m‟apparvero le
immagini di un sogno “flash”. Vedevo la “Orient Sun” ferma, in disarmo; dai
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due portelloni centrali, ai lati della nave, vicino alle cabine inferiori, usciva
del fumo grigio in gran quantità e saliva in cielo.
Scioccata dalle immagini funeste di un probabile incendio, mi stesi sul
letto preoccupata. Dopo una breve riflessione, pensai che forse era un
sogno premonitore, poiché di certo non desideravo un evento tanto orribile.
Per la gente di mare, infatti, l‟avvenimento più tragico é l‟incendio a bordo.
Da quel momento mi rigirai più volte, senza prendere sonno.
Dopo alcune ore, tirai la tenda e le luci incantevoli dell‟alba avevano
colorato il cielo e il mare di un rosa argento. Mi preparai velocemente, e
corsi fuori in coperta ad osservare quel sole splendente sorgere
all‟orizzonte. Il rosso pallido saliva lento, spargendo i suoi bagliori
nell‟immenso. Esplosioni d‟arancione, giallo, rosa e rosso si riversavano tra
il cielo ed il mare, rallegrando il mio animo triste. Lontano, contro il sole,
alcune nuvolette grigie di fumo si confondevano nello splendido scenario,
inondate di luci dorate.
Quattro ore dopo, la nave “Orient Sun” attraccava nel porto di
Singapore, dove si sarebbe imbarcato il nuovo comandante inglese. Il giorno
dopo, in navigazione, vidi entrare in negozio il capitano in compagnia di un
signore distinto: - Signorina Elisabetta, le presento Philip, il vostro nuovo
comandante! Mi trovai di fronte ad un uomo alto, magro, con capelli scuri, sui
quarantacinque anni, che mi fissava con i suoi occhi chiari, pieni di bontà. Il
capitano Philip mi strinse la mano sorridendo, e spiegò:
- Sto facendo un giro per conoscere l‟equipaggio. - Un pensiero molto carino, capitano! - esclamai sorridendo felice, sapendo
che di solito è l‟equipaggio che deve andare a presentarsi. Il suo viso
rotondo e magro s‟illuminò di gioia.
- Per me è un piacere conoscere subito il mio equipaggio - rispose il
capitano.
Intanto il capitano Michael ascoltava in silenzio guardando altrove e il
comandante Philip esclamò, prima di girarmi le spalle per uscire: - Buon
lavoro, signorina! Il capitano Michael mi fissò severo ed in silenzio seguì il collega.
- Meraviglioso - pensai, convinta che infine l‟equipaggio della “Orient Sun”
avrebbe finalmente avuto giustizia. Sentivo dentro di me che il capitano
Philip non era un razzista e si sarebbe fatto amare e, soprattutto, avrebbe
trattato gli orientali con amore e giustizia. In quel mentre alzai lo sguardo,
e vidi la grossa figura di Jan che entrava frettolosamente, mormorando
nervoso:
- Dio mio, Elisabetta, sono disperato! Egli mi scrutava con occhi tristi e addolorati. Prima che potessi parlare,
urlò: - Ante ed io non riusciamo più ad avere notizie dalle nostre famiglie.
Le linee telefoniche sono interrotte. Non sappiamo più cosa fare. - Maledizione! - esclamai addolorata.
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- Stai calmo - dissi decisa- è normale che, con i primi bombardamenti,
cadano i fili del telefono, della luce, ecc. ma sicuramente le vostre famiglie
si saranno messe in salvo. Sono certa che presto avrete loro notizie. –
Jan abbassò lo sguardo pensieroso, intanto gli accarezzai una guancia, e
già mi sembrò un po‟ più tranquillo.
- C‟è Ante che è fuori di sé, non so più come tenerlo! - borbottò serio.
- Scusami se m‟intrometto, ma lo devi lasciare andare! In ogni caso, se vuole
partire, non hai alcun diritto di trattenerlo. Jan rimase immobile a pensare, poi aggiunse: - Già! Hai ragione! Mi baciò una guancia e poi sussurrò: - Ti voglio bene, cara! Tu sei il mio
angelo custode! Sorrisi affettuosamente, gli posai una mano sulla spalla e ammisi: - Ti
voglio bene anch‟io, fratellino! - Lo so, cara! Ciao! Poco dopo vidi passare Desery che mi salutò e s‟allontanò velocemente.
Avevo saputo che era ritornata con Hong. Proprio per quella ragione mi
girava alla larga, giacché si vergognava delle sue debolezze. Da alcune
settimane correvano voci che anche la piccola Lydia fosse caduta nella rete
tessuta con abilità dal terzo ufficiale Roldan. Purtroppo anch‟egli era
sposato con due figli.
Quella era la triste realtà della vita di bordo. In tutte le navi dove avevo
lavorato le storie tra amanti avevano sempre creato scandali e sofferenza,
soprattutto ai figli e alle mogli di questi uomini e donne, irresponsabili.
Quella sera, verso le 21.30, venne a farmi visita Edward. Lo avevo
aspettato con impazienza, perché volevo analizzare insieme con lui il sogno
dell‟incendio a bordo. Ne avevamo parlato solo per cenni.
Fortunatamente si era preso l‟impegno di trascrivere tutti i miei sogni,
diventando così un testimone prezioso della realtà delle mie premonizioni
che regolarmente inviavo allo scienziato americano dott. David Ryback,
d‟Atlanta. Edward entrò in negozio e sorridendo affermò: - Scusami se ho
fatto tardi, ma ho avuto da fare. Vedrai che in ogni caso, questa sera, dopo
la chiusura del negozio, termineremo di scrivere la lettera al dott. David
Ryback. Cosi potrai spedirla da Singapore. - Grazie Edward, sei molto gentile; se non avessi te, non saprei come fare.
Credimi! - affermai, sorridendo affettuosamente.
- Sai, ho pensato molto al sogno sull‟incendio che mi hai raccontato e
t‟assicuro che mi preoccupa parecchio, poiché è il tipico “ flash dream” che
ha le caratteristiche del sogno dell‟allagamento. –
Lo fissai in silenzio, perché ciò che aveva appena affermato era quello
che pensavo anch‟io. Quando facevo sogni corti e chiari, di solito si
avveravano. Ad ogni modo per non creare panico dissi: - Naturalmente non
dobbiamo preoccuparci più di tanto. Hai ragione! - ammise Edward sorridendo.
- Tanto, se non è arrivata la nostra ora, ci salveremo.- borbottai.
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- Yes, that's right! (Si, è giusto!) - ribatté Edward pensieroso.
Poi allontanandosi concluse: - Ci vediamo più tardi nella saletta, ciao! Il dieci novembre, all‟imbarco dei passeggeri a Singapore, me ne stavo sul
ponte “passeggiata” in attesa di Jan. Intanto osservavo i passeggeri che
salivano felici lungo la scaletta d‟imbarco. Gli “stewards” e le “hostess” di
turno mi salutavano sorridendo sotto il sole bollente, poi udii il grido di una
passeggera cinese che continuava a salutarmi con la mano; quando giunse
sul piano più alto della scaletta, mi resi conto che si trattava di madame Liw
Kier, la signora cinese, interessata nella gestione del duty free shop.
Ella continuò a gesticolare parlando, ma le sue parole si persero nel
vento. Intanto alcuni marinai portarono in banchina i pesanti bagagli dei
passeggeri, che poi avrebbero imbarcato e distribuito nelle rispettive
cabine. All‟improvviso udii i rumorosi passi di Jan rimbombare sul ponte
“passeggiata”. Quando mi girai, lo vidi venirmi incontro e, mentre
camminava lentamente, il suo sguardo triste e assente spaziava pensieroso
verso il cielo azzurro.
Si appoggiò in silenzio alla ringhiera vicino a me, poi fissando nel vuoto
affermò: - Sono disperato, ho saputo che le nostre famiglie hanno dovuto
fuggire da Dubrovnik; sembra che si siano imbarcate su una nave, la quale
pare sia stata sequestrata a Spalato e...- È terribile! – gridai preoccupata interrompendolo. - Adesso cosa
succederà? - Non lo so! Immagino sia giunta l‟ora di pregare, anche se non l‟ho mai
fatto. Egli continuò a fissare nel vuoto, poi ribatté: - Ante non ha resistito, ha
fatto le valigie e se n‟è andato. Capisci, mi ha lasciato solo a combattere
con i problemi a bordo di questa nave. Rimasi in silenzio a pensare a quella maledetta guerra che stava
dilaniando il popolo iugoslavo, poi consigliai:
- Abbi fiducia in Dio e prega, pensa che l‟energia segue il pensiero, quindi
quando l‟uomo prega per il bene dell‟umanità diventa un piccolo creatore
d‟amore che darà vita a forme pensiero di luce sempre più potenti che
illumineranno il mondo. Jan mi fissò stupito, poi borbottò: - In questo momento è l‟unica
speranza che mi rimane, anche se trovo che sia terribile rivolgersi a Dio solo
nei momenti più tragici. - Già, purtroppo, ci ricordiamo di Lui solo quando abbiamo bisogno. - In quel
momento vidi alcune delle ballerine filippine salire allegramente lungo la
scaletta d‟imbarco e, quando le giovani donne ci videro, esplosero in un
coro di saluti. Nel gruppo c‟era anche Lolita, la più giovane di tutte, aveva
sedici anni. Quando arrivò in cima alla scala si fermò e, con la mano,
sorridendo, c‟inviò dei baci; Jan ed io ricambiammo i saluti affascinati. Poco
dopo, egli riprese a fissare l‟orizzonte. Allora per distrarlo dai problemi,
domandai: - Il capitano Michael è sbarcato? - Si, stamattina! Ritornerà in febbraio. -
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- Davvero? - interrogai stupita.- In ogni caso, spero di sbarcare prima che
torni! - Dimmi perché? - Immagino che, prima di allora, avrò risolto tutti i miei problemi; così
finalmente ritornerò in Italia. - Sicuramente sbarcherò prima di te. Il mio contratto termina il quindici
dicembre. - Ah, è vero, so che sarai rimpiazzato da Peedu, e Ante da Kristian. - E tu come lo sai? - Ho anch‟io i miei informatori! - esclamai sorridendo, mentre alcuni
marinai stavano smantellando la scala d‟imbarco.
Allora Jan guardò frettolosamente l‟orologio e sussurrò girandomi le
spalle: - Ciao, cara! Devo correre in sala macchina per la partenza.Quella sera, verso le 21.30, Shirley entrò in negozio e mi allungò una
fetta di torta dicendo:
- Assaggia questo dolce, che ho comprato a Singapore! Allungai la mano e presi il piatto di carta, dove c'era una grossa fetta di
torta verde chiaro, ornata di fiori bianchi di zucchero.
- Voi orientali siete speciali per la vostra dolcezza! - esclamai commossa,
mentre portavo il dolce alla bocca.
Intanto Shirley si sedette vicino a me dicendo: - Sono felice! Finalmente
Desery ha avuto la sua promozione. - Davvero! - urlai euforica. - Allora adesso è assistente commissario come
te? - Si! È fuori di sé dalla felicità! - Immagino! È una bella soddisfazione! - esclamai. Intanto ella si mise a
giocare con una penna e, dopo una breve pausa, rispose: - Meno male,
almeno così potrà sopportare meglio le bugie di Hong. - Già! - esclamai preoccupata - non sa sottrarsi al suo incantesimo da
serpente a sonagli. Oramai si è lasciata travolgere dal fuoco della sua stessa
passione. Shirley si mosse di scatto sulla sedia e, fissandomi seria, con i suoi occhi
espressivi, disse: - Elisabetta, ti devo raccontare un sogno di un incendio a
bordo! Stupita la invitai a raccontare; nel frattempo lanciò nervosamente i suoi
lunghi capelli dietro le spalle e dopo un lungo sospirò narrò: - Ieri notte ho
sognato che l‟allarme dell‟incendio a bordo mi svegliava durante la notte,
poi udivo dei rumori lungo il corridoio. Uscivo dalla mia cabina per capire se
si trattava davvero dell‟allarme del fuoco a bordo. Fuori nel corridoio gli
ufficiali correvano avanti e indietro, smarriti. Intanto, uno di loro mi
domandava se fosse il caso di mettere la giacca di salvataggio. Così, tra la
preoccupazione ed il panico, uscimmo tutti nel “sun deck” e ci rendemmo
conto che il fuoco non era vicino a noi, il fumo usciva dai portelloni inferiori
al centro della nave, allora ci recammo… 92
- Good evening! (Buona sera!) Ci girammo di scatto per vedere chi era colui che ci disturbava proprio in
quel momento e ci trovammo di fronte a Mr. Tono, il contabile del
Charterer.
- Do I disturb? (Disturbo?) - esclamò, intuendo che avremmo preferito
continuare il nostro discorso.
- Shirley mi stava raccontando un sogno - spiegai - che stranamente ho
avuto anch‟io. Crede lei nei sogni premonitori? - Si, anch‟io... - Elisabetta! - urlò Shirley interrompendo il sig. Tono - non mi dire che
anche tu hai sognato l‟incendio a bordo! - Posso sapere che cosa avete sognato? - tuonò il sig. Tono preoccupato.
- Abbiamo sognato che la nave prendeva fuoco! - gridammo insieme, mentre
Mr. Tono ci fissava stupito.
- Non posso crederci! - esclamò dopo una pausa.
- Non può crederci perché? - domandai, mentre il suo bel volto cambiava
espressione; poi rispose:
- Credetemi, pure io ho sognato che tutti correvano al punto di riunione,
indossando le giacche di salvataggio, poiché l‟allarme che segnalava
l‟incendio a bordo stava suonando. Shirley ed io lo fissammo sbalordite, senza parole e, conoscendo la
serietà del sig. Tono, non potevamo certo mettere in dubbio ciò che ci stava
raccontando. Tra l‟altro nel suo viso si leggeva onestà e bontà. Poi, mentre
riflettevo, affermò con sincerità: - Ho fatto un altro sogno che mi ha lasciato
stupefatto; se volete, ve lo racconto!
- Si, si, racconta! - esclamammo insieme, curiose.
- Ho sognato che la “Orient Sun”aveva le ruote ai due lati e andava ad
arenarsi nella sabbia. - Molto interessante! - ammisi, pensando che anch‟egli aveva avuto il tipico
sogno “flash” il quale annunciava che, per qualche ragione, la nave sarebbe
stata fermata. Un‟indicazione che anch‟io avevo già avuto attraverso un
sogno, il ventinove settembre. Poi mi venne in mente che nel mio sogno
flash dell‟incendio dove il fumo usciva denso dai portelloni, percepivo che
la nave era ferma in qualche luogo...
- Tutto ciò è incredibilmente straordinario! - gridai euforica. - Ci troviamo,
infatti, di fronte ad alcuni sogni collettivi che probabilmente saranno
premonitori. - È mai possibile che siano sogni premonitori? - interrogò Shirley, mentre il
sig. Tono ascoltava perplesso.
- Penso proprio di si - ammisi eccitata - poiché anch‟io ho sognato che la
nave si fermerà. Credo che l‟incendio avverrà dopo che la nave sarà
fermata, perché ho notato che, nel sogno dell‟incendio, la nave era ferma
da tempo da qualche parte. -
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- È impossibile che tutto ciò si avveri! - esclamò il sig. Tono - dato che il
Charterer ha firmato un contratto di diciotto mesi. - Ad ogni modo, i contratti si possono anche annullare! - intervenne Shirley
decisa.
Intanto Mr. Tono, pensieroso, si appoggiò ad una vetrina e, agitando
nervosamente un foglio che teneva in mano, ribatté: - Certo, ma chi rompe
il contratto deve pagare una penale, e in questi casi il conto diventa salato.
Ci fu una pausa, mentre i nostri sguardi pieni di interrogativi
s‟incrociavano.
Frattanto Shirley si alzò in piedi, e domandai: - Mi scusi sig. Tono se sono
invadente, ma vorrei sapere se lei ha mai avuto sogni che si sono avverati. I suoi occhi a mandorla si strinsero e, serio, rispose: - Si, ho anche
sognato mia moglie prima di conoscerla. Naturalmente, quando la incontrai
per la prima volta, la riconobbi per la giovane donna che avevo sognato di
sposare. - Shirley colpita esclamò: - Incredibile! Mentre riflettevo in silenzio, Mr. Tono riprese a parlare: - Pensando a
questi sogni collettivi, mi preoccupo, ad ogni modo sono entrato in negozio
perché ho bisogno di Shirley, e stranamente scopro che sfortunatamente
avremo un futuro incerto. Rimasi in silenzio, mentre Shirley lo seguiva, poi esclamarono insieme: Good night, Elizabeth! (Buona notte, Elisabetta!).Era la prima volta nella mia vita che mi capitava di scoprire che alcuni
dei miei sogni erano diventati collettivi; certamente questo mi dava una
ragione in più per ritenere che si trattasse sicuramente di sogni
premonitori. La cosa mi sconvolse e decisi che, a costo di farmi deridere,
avrei raccontato quei sogni al comandante e a tutti gli ufficiali, per dare
loro la possibilità di difendersi in caso d‟incendio.
L'undici novembre, giorno di navigazione, ero in negozio, quando entrò
la sig. cinese madame Liw Kìer che, sorridendo, venne a sedersi vicino a me
e domandò: - Lei permette, vero? - Certo, prego! - esclamai ricambiando la sua gentilezza. Intanto ella
continuò a sorridere dolcemente, poi posandomi una mano sul braccio,
interrogò: - Allora la sua compagnia si è decisa a vendere? Scoppiai a ridere e risposi: - Oramai è diventato un enigma! Non so,
infatti, cosa abbiano intenzione di fare. Ho saputo che hanno avuto un “
meeting” con gli agenti incaricati di scegliere le compagnie appaltatrici per
le due nuove navi, e sembra che alla mia ditta abbiano concesso solamente
la gestione dei duty free shop. Immagino quindi, che probabilmente mi si
chiederà di aiutare a vendere la merce. - Molto bene! - esclamò soddisfatta, - allora spero vorrà aiutarmi a prendere
contatto con la sua compagnia, perché vorrei comprare la merce e gestire il
negozio. - Fantastico! - gridai euforica - in tal caso andremo a telefonare al mio capo
il giorno quattordici, all‟arrivo a Singapore. -
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- Perfetto, quando la nave attraccherà nel porto l‟attenderò con il mio socio
vicino alla scaletta di sbarco. Va bene? - Ok! - Madame Liw Kier si alzò in piedi e stava per allontanarsi, quando
domandò: - Conosce qualche brava ragazza di bordo cui piacerebbe lavorare
nel duty free shop? - Si! - risposi decisa, pensando alla moglie del dottor Win e, sorridendo
felice, m‟affrettai a continuare il mio discorso: - Si tratta della moglie del
nostro medico di bordo, Mr. Win. Ella mi fissò interessata, poi esclamò: - Benissimo, se tutto andrà bene,
l‟assumerò! –
Soddisfatta, la signora cinese uscì dal negozio. Sentivo dentro di me una
gran gioia. Naturalmente, se tutto fosse andato come speravamo, avrei
risolto il problema alla mia compagnia e mantenuto la promessa fatta al dr.
Win. Insomma, finalmente sarei tornata a casa. Tutto, infatti, sembrava così
perfetto che pareva difficile credere che potesse succedere.
In ogni modo, quando pensavo al sogno che avevo avuto il venticinque
ottobre, mi rendevo conto che in parte si era avverato, poiché madame Liw
Kier era intenzionata a gestire il negozio ed assumere la moglie del dottor
Win.
Il tredici novembre, verso le 8.00, mi svegliai con un‟immagine strana
che galleggiava nella mia mente. Nel sogno entravo nella cabina di Edward
per fargli visita e lo trovavo a letto con i piedi posati su un cuscino, avevo la
sensazione che egli avesse dei problemi alle caviglie. M‟alzai dal letto
preoccupata e andai a lavarmi il viso. Intanto le immagini di un altro sogno
si formarono sopra le prime.
Vedevo mio padre riparare la casa quasi distrutta dello zio. Correva da
una stanza all‟altra, cercando di aggiustare tubi rotti che continuavano a
rompersi. Pochi giorni prima, mia madre mi aveva assicurato al telefono che
lo zio stava molto male. Ora capivo il messaggio che mio padre mi aveva
inviato. La casa, in sogno rappresenta il corpo umano, l‟involucro che tiene
prigioniero lo spirito; quindi mio padre intendeva farmi sapere che stava
riparando alcune parti del corpo dello zio, probabilmente per alleviargli le
sofferenze e allungargli la vita.
Andai a sedermi sul letto e, mentre mi asciugavo il viso, un nodo mi
strinse la gola, poi esclamai tra le lacrime: - Povero zio! Per me era molto triste essergli lontano in un momento tanto infausto,
ma riuscivo a consolarmi, poiché ero convinta che sarei ritornata a casa in
tempo per salutarlo, prima che il suo spirito lasciasse il corpo; nel sogno poi
ero presente al suo funerale.
Alle dieci in punto la nave attraccò nel porto di Singapore. Poco dopo ero
vicino alla scala di sbarco ad attendere madame Liw Kier ed il suo socio, per
recarmi nel loro ufficio a telefonare alla mia compagnia.
Cinque minuti dopo la signora sbarcò tra i passeggeri, si avvicinò e mi
spiegò che il suo socio non aveva potuto lasciare l‟ufficio, perciò m‟invitò a
salire sul pullman dei passeggeri, dove esibì due biglietti all‟autista e
m‟invitò a sedere nei primi posti vicino a lei. Nel frattempo il suo telefonino
portatile squillò dentro la borsa, ella lo estrasse, spinse un tasto ed
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incominciò una lunga conversazione in cinese. Osservavo quella donna di
statura piccola e paffuta, sui cinquant‟anni. Aveva capelli neri ondulati che
ne incorniciavano il viso grosso e rugoso. I suoi occhi a mandorla
esprimevano gentilezza e comprensione. Intanto il pullman era partito lungo
quelle strade di terra rossa che, sotto le ruote del mezzo, si alzava e saliva
intorno creando nuvole di polvere rosa.
Mi affrettai a chiudere il finestrino, mentre il pullman si perdeva nel
labirinto di containers colorati, che brillavano sotto il sole bollente. Circa
venti minuti dopo percorrevamo le vie di Singapore, tra meravigliosi
grattacieli che sorgevano imponenti verso il cielo azzurro e limpido. Poi il
pullman giunse sotto un enorme hotel, dove terminava la corsa. Madame
Liw Kier chiamò un taxi e nel giro di pochi minuti ci trovammo di fronte ad
un grande palazzo.
Nella grande hall il portiere consegnò alla signora delle lettere e ci
chiamò l‟ascensore. Infine, uscimmo al nono piano e ci trovammo di fronte
al suo ufficio; suonò il campanello e l‟uomo che aprì era il cinese che avevo
già conosciuto in sogno, il venticinque ottobre. M‟invitò ad entrare e a
sedere vicino alla sua scrivania, poi mi fissò curioso attraverso le lenti
rotonde dei suoi occhiali e si affrettò a chiudere l‟agenda aperta davanti a
sé.
Intanto la signora si era fermata a parlare con qualcuno nell‟ufficio
accanto; quando tornò mi presentò al socio, il quale mi stava tempestando
di domande a proposito degli articoli italiani che essi avrebbero dovuto
comprare. Infine, dopo aver risposto a tutte le loro domande, anche il socio
decise che, se tutto si fosse svolto come loro speravano, la moglie del dottor
Win sarebbe stata assunta.
Sfortunatamente, quando verso le 15.00 parlai con la mia compagnia, il
capo mi assicurò che avevano bisogno di una decina di giorni, poiché i
dirigenti speravano ancora di poter avere gli appalti delle due nuove navi.
Così madame Liw Kier ed il socio accettarono di buon grado d‟attendere.
La sera del diciotto novembre, mentre stavo servendo un cliente, entrò
in negozio Jan, che sorridendo allegramente andò a sedersi in silenzio. Poco
dopo il passeggero uscì e Jan m‟afferrò per un braccio e mi fece sedere
vicino a lui.
- Avanti, comunicami la buona notizia! - esclamai felice.
Egli mi fissò curioso, poi domandò: - Spiegami come fai a sapere che ho
buone notizie? - Scusami, ma quando hai brutte notizie, mi fai consumare le suole delle
scarpe a forza di andare avanti e indietro per il negozio. Ora mi sorridi e
addirittura ti siedi. - Già, hai ragione! - esclamò Jan grattandosi la pancia. - Finalmente sono
tranquillo! Ho saputo che tutti i passeggeri che erano rimasti bloccati a
bordo della nave sequestrata a Spalato per alcuni giorni, sono stati liberati.
Infine la mia famiglia ha raggiunto un villaggio dell‟ex Iugoslavia, dove non
c‟è guerra… - Meraviglioso, davvero fantastico! - urlai, interrompendo il suo discorso.
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Jan mi prese una mano e me la strinse forte, intanto scherzando
brontolai:
- Ah, alt un passo, non crederai mica di fartela con me, adesso che la tua
famiglia sta bene e tu sei tranquillo? - Scoppiammo a ridere insieme. - Io ci
starei, e tu? - domandò Jan sorridendo.
- Insomma, allora parlo arabo? - No, conosco bene i tuoi maledetti sentimenti fraterni! – Ammise serio,
mentre esplodevo in una risata.
- Hai avuto notizie di Ante? - Si, anche la sua famiglia si è messa in salvo! - Sono contenta - sospirai - adesso spero sia più tranquillo. Credimi, soffriva
molto quando ti vedeva preoccupato e nervoso. –
Jan si alzò in piedi mormorando: - Già! Avviandosi verso l‟uscita brontolò:- Me ne vado a fare un giretto tra i
tavoli da gioco, forse trovo un‟altra Giada che mi fa qualche proposta
allettante, poiché i sentimenti fraterni m‟innervosiscono. - Auguri! - esclamai mentre mi faceva l‟occhiolino e spariva.
Quella sera, dopo le ventidue, m‟incontrai con Edward nella saletta
ufficiali, per dettargli alcuni sogni che egli avrebbe scritto nella lettera che
avrei inviato allo scienziato d‟Atlanta. Stavamo discutendo sui sogni
collettivi, quando entrarono Shirley e Desery che esclamarono
allegramente: - Good night every body! (Buona notte a tutti!) - Buona notte anche a voi, ragazze! Benvenute - risposi.
Intanto le due ragazze si sedettero al tavolo e Shirley affermò: - Non è
incredibilmente strano che Elizabeth, Mr.Tono ed io abbiamo avuto lo stesso
sogno dell‟incendio? - Questo tipo di sogno collettivo - spiegai - è certamente strabiliante e
c‟induce alla prudenza, perché potrebbe avverarsi. I nostri sguardi s‟incontrarono preoccupati e, dopo una pausa, Desery
sbottò nervosa:
- Insomma, se penso che tu, Elizabeth e Mr. Tono avete sognato anche che
fermeranno la nave, allora credo che forse succederà a causa dell‟incendio.
- Credo sia inutile avanzare delle ipotesi che possano provocare crisi
d‟isterismo, é meglio stare tranquilli, perché non dobbiamo dimenticare che
non tutti i sogni sono premonitori. - aggiunsi per evitare crisi di panico.
Intanto Edward tuonò serio: - Avanti ragazze, nei sogni non c‟erano morti
o feriti, allora forse ci sarà solo un incendio, che si riuscirà a spegnere in
tempo. - Già, probabilmente hai ragione - ammisi - ad ogni modo, Shirley, tu mi devi
fare un favore. - Quale? - chiese ella curiosa.
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- Devi scrivere una lettera, dove racconti il sogno dell‟incendio e, se si
avvererà, Edward, Desery, Mr. Tono ed io ti saremo testimoni, poi la spedirò
allo scienziato americano. Ella mi fissò con i suoi occhi neri e, dopo un sospiro, ammise: - Ok, se si
avvererà, lo farò! In ogni caso, spero che non succeda.- Ti ringrazio cara! – risposi. Intanto Edward brontolò:
- Spero proprio di non avere niente da testimoniare! Soprattutto, vorrei non
ammalarmi, come hai sognato tu! –
delusa brontolai:
- Sarebbe stato meglio se non te lo avessi raccontato. –
Egli mi sorrise, poi riprese a scrivere, ed io sospirando confessai:
- Vedete, mi piacerebbe dimostrare una realtà che esiste, ma che la
scienza non considera seriamente. Quando l‟uomo ha purificato se stesso
attraverso il pensiero corretto e la maturazione del cuore, sarà in grado con
l‟aiuto del suo sé superiore, oppure per mezzo dei propri famigliari
trapassati, ricevere messaggi sul futuro per mezzo dei sogni.
- Allora tu, Shirley e Mr. Tono siete in contatto col vostro sé superiore e
I vostri cari deceduti?
- Secondo Kryon, lo spirito dei nostri cari trapassati ci rimangono accanto
fino alla morte e ci assistono inviandoci messaggi attraverso i sogni e per
mezzo telepatico. Io posso affermare che ha ragione, infatti, con mio
padre sta succedendo quello che lui ha affermato in una sua canalizzazione.
- Scusa Elisabetta, - domandò Edward - ma chi è Kryon?
- Kryon è lo spirito canalizzato da Lee Carroll. Se volete ascoltare i suoi
preziosi insegnamenti, li troverete su You Tube, i suoi video sono tradotti in
tutte le lingue. - Interessante! – esclamò Shirley
- Elisabetta, mi sorprendi! - disse Edward pensieroso
- Non ho ancora finito - brontolai - volevo dire che tutte le religioni del
mondo, iniziando dal Vecchio Testamento, abbondano di sogni premonitori.
Non dovremmo perciò dubitare di documenti religiosi di tale grandezza, che
confermano la realtà del sogno premonitore. Edward si era incantato ad ascoltarmi, poi affermò con la penna alzata
sopra il foglio:
- Sarebbe ora che ci si dedicasse seriamente allo studio dell‟onirologia e
dell‟oniromanzia. Non sarà facile purtroppo farlo capire a chi non ha
l‟esperienza e la conoscenza che hai tu. –
- Racconterò i miei sogni a tutti - risposi - anche se ci sarà chi mi giudicherà
male, almeno così ci saranno dei testimoni. - Giusto! - aggiunse Edward - È l'unica maniera per provarlo, ma ci sarà
sempre lo scettico che, nonostante tutto, non ti crederà. Ad ogni modo,
sono dell‟idea che un “taskmaster” (capomastro) come te riuscirà a farsi
intendere. – Risate fragorose scoppiarono nella saletta.
- Certo non sarà facile! - ammisi ridendo -
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Ad ogni modo, non mi arrenderò facilmente, poiché penso che si deve
avere il coraggio di affermare la verità a qualunque costo.- Applausi e urla
esplosero, mentre Edward riprese a scrivere.
TREDICESIMO CAPITOLO: SOFFERENZA DI LOLITA
Da alcuni giorni il fumo provocato dagli incendi nelle isole si era molto
diradato, grazie ad un temporale che ne aveva spento una parte. Il
diciannove novembre, quando attraccammo nel porto di Jakarta, il cielo era
limpido e luminoso e qui finalmente il fumo era sparito. Anche il garrito dei
gabbiani sembrava essere meno aggressivo, mentre si rincorrevano gioiosi
sulle acque del mare. Poco dopo raggiunsi il gran piazzale del porto, in
compagnia di un fresco vento che sembrava accarezzarmi i capelli.
Una decina di marinai seduti sotto le fronde dell‟unico albero, che
copriva lo spazio di un piccolo bar, urlarono: - Mummy, come and have a
drink with us, please! - (Mamma vieni a bere qualcosa con noi, per favore).
Sorridendo li raggiunsi e bevemmo insieme una birra, intanto alcuni
cantavano e mi facevano festa, offrendomi dolci e colmandomi di
attenzioni. Più tardi l‟effetto della birra mi fece venire sonno, mi alzai in
piedi, m‟inchinai in segno di rispetto, come spesso essi facevano con me e
dissi loro:
- See you later Children of “Orient Sun!” It was a pleasure to have a drink
with you. (A più tardi bambini del “Sole d‟Oriente”. È stato un piacere
bere con voi!)
Si alzarono in piedi gridando, urlando, fischiando e m‟accompagnarono
con la loro euforia per un tratto, infine girai dietro la stazione marittima e
raggiunsi la nave. Camminavo lungo il corridoio che portava alla mia cabina,
quando le grida disperate di una donna giunsero fino a me. Allora
m‟affrettai verso la cabina da cui provenivano le grida, la porta era aperta e
mi trovai di fronte ad una scena assurda, con Richard che teneva immobile
sul suo letto Lolita, la giovane ballerina filippina, che cercava di liberarsi
con tutte le sue forze, gridando, piangendo e strappandosi i capelli. Poi con
uno scattò cercò di sbattere la testa contro la paratia.
Rimasi pietrificata ad osservare quella scena disperata, senza capire cosa
stesse succedendo. Quando Richard mi vide, gridò nervoso: - Ti prego,
Elisabetta, aiutami! Altrimenti Lolita si spaccherà la testa negli angoli del
letto o contro la paratia. Incredula, m‟affrettai ad aiutarlo, cercando di immobilizzarla, ma la sua
forza era incredibile, in due non riuscivamo a tenerla. Ella continuava a
dibattersi e a piangere disperatamente, implorandoci di lasciarla andare,
allora domandai terrorizzata: - Insomma, perché dobbiamo tenerla ferma? - Non possiamo lasciarla, si farà del male! - urlò, tenendole bloccate le
caviglie contro il letto. Gli occhi di Richard mi fissavano spalancati, quando
alcune perle di sudore gli scesero veloci dalla fronte.
- Povera bambina - brontolò Richard addolorato.
- Vuoi spiegarmi che cos‟ha? - domandai perplessa.
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- Potrebbe essere una terribile emicrania che provoca dolori lancinanti,
spingendola a sbattere la testa e strapparsi i capelli, pur di eliminare la
sofferenza. - Povera piccina! - sospirai, vedendo il suo bel visetto giovane deformato
dall‟angoscia e quel corpo dimenarsi senza posa.
Intanto le mie braccia stanche sembravano cedere sempre più, mi pareva
che le forze mi venissero meno, mentre sentivo il sudore scendere lungo la
schiena. Nel frattempo Lolita percuoteva freneticamente la testa contro il
cuscino, sbattendomi sul viso i lunghi capelli, che mi colpivano
continuamente. I suoi indumenti erano inzuppati di sudore, come se fosse
uscita in quel momento da una sauna.
- Insomma Richard - domandai fuori di me - perché non hai chiamato il dr.
Win? Fece un lungo sospiro e in quel momento Lolita gli sfuggì e cominciò a
scalciare a destra e sinistra urlando:
- Voglio morire! Voglio morire, non posso più vivere con quelle spine che mi
trapassano il cervello! Poi scoppiò in singhiozzi, intanto Richard riuscì a bloccarle le gambe
contro il letto e finalmente rispose:
- Ho già avvisato il comando, ma purtroppo ildr. Win è uscito. In ogni caso,
appena rientra, l‟ufficiale di guardia me lo manda subito. Ho trovato Lolita
che sbatteva la testa disperata contro una paratia, perciò l‟ho
accompagnata nella mia cabina per aiutarla. Intanto quella, in preda alla sofferenza gridò: - Elisabetta, ti prego,
aiutami, se soltanto questo dolore potesse farmi morire! La fissavo senza parole, mentre vedevo il suo visino che, trafitto da
dolori lancinanti, cambiava espressione di continuo. A quel punto i miei
occhi si riempirono di lacrime, che mi scivolarono giù lungo il viso.
Finalmente arrivò lo staff captain seguito dal dottor Win, che subito le fece
un‟iniezione, mentre noi continuavamo a tenerla immobile.
Poi, alcuni marinai la misero in una barella, dentro ad una camicia
speciale, per evitare che Lolita si facesse del male, mentre la trasportavano
sull‟ambulanza. Purtroppo, la barella non entrava nell‟ascensore, così ì
marinai dovettero scendere cautamente per le scale. Intanto erano giunti
Luis e Shay, che mi tempestarono di domande. Dopo che la barella fu
depositata davanti all‟autoambulanza, Lolita sembrò meno agitata e il suo
volto s‟illuminò, allora sussurrai:
- Ciao fiorellino, vedrai che tutto si risolverà! Intanto fecero entrare la barella, ed il dottor Win salì sull‟ambulanza e si
sedette di fianco a Lolita. Appena le porte si chiusero, mi resi conto di
essere circondata dall‟equipaggio, che in silenzio attendeva la partenza del
veicolo, il quale si allontanò con la sirena accesa.
Quella sera andai in stazione radio per avere notizie di Lolita. Quando
Richard mi vide affermò serio:
100
- È ridicolo, ma i medici all‟ospedale di Jakarta si sono rifiutati di soccorrere
Lolita, poiché hanno creduto di trovarsi di fronte a una tossico-dipendente
isterica. Di fronte a quella diagnosi rimasi sbalordita.
- Tutto ciò è incredibile e anche assurdo! - aggiunse Richard, fuori di sé.
- Non ci posso credere! - brontolai stupita. - Si vocifera, comunque, che
Lolita possa avere un tumore al cervello, è possibile? - Non so! Spero di no! - rispose preoccupato.
- Non credo che a sedici anni si possa morire di tumore. - Già, è difficile crederlo - gridò Richard impallidendo. - Tu non sai allora
che cosa terribile sta succedendo al nostro staff captain ?
- No, che cosa gli sta capitando? - interrogai curiosa.
- Egli ha un figlio di due anni, con un tumore al cervello! - assicurò Richard
addolorato.
- Oh mio Dio! - esclamai terrorizzata.- Pover‟uomo! - Già, tutto ciò è davvero tragico! Ci fu una pausa, tra i rumori e le voci straniere che si diffondevano dalla
radio, poi chiesi: - Lolita dov‟è ora? - Richard accese alcuni interruttori nel
gran quadro della stazione radio e rispose: - È in infermeria, e sta
dormendo. Sarà ricoverata all‟arrivo a Singapore. Il giorno dopo, in navigazione, mi organizzai insieme a Shay e alle
ballerine per assistere Lolita durante le nostre ore libere; nonostante i
calmanti che prendeva, spesso si svegliava in preda a sofferenze terribili.
Quel pomeriggio dopo il lavoro, andai a sostituire la ballerina che stava
vegliando Lolita. Carmencita mi assicurò che si era appena addormentata,
dopo tormentose lotte col dolore. Posai la scatola di cioccolatini che le
avevo portato sul suo comodino e mi sedetti di fronte al letto in silenzio.
Dopo un‟ora circa cominciò ad agitarsi nel sonno, poi si svegliò di
soprassalto tirandosi dei pugni in testa. Saltai in piedi, affrettandomi ad
immobilizzarle le braccia e gridando: - No, Lolita no! Prova a rilassarti, ti
prego! Non mi ascoltò e continuò imperterrita a scalciare e a piangere. Dopo
circa venti minuti si calmò ed implorò:
- Ti prego, scusami, spero di non averti fatto del male, ma quando mi
prende il dolore alla testa, non so quello che faccio. - Non ti preoccupare, lo so! - esclamai commossa. I
Intanto mi prese una mano e aggiunse stringendola: - Ti ringrazio per
tutto quello che fai per me! Sei gentile! In quel mentre giunse Novelita a darmi il cambio, baciai Lolita sulla
fronte e mormorai:
- Ciao, piccolo angelo! Domani Shay, Luis, le tue amiche ed io ti
accompagneremo all‟ospedale! Va bene? -
101
Ella si sedette sul letto e, saltando felice, gridò: - Meraviglioso! Vi voglio
bene! - Tu lo sai che te ne vogliamo tanto anche noi! - risposi, mentre lasciavo
l‟infermeria.
Il giorno dopo, il ventuno novembre, la nave fortunatamente attraccò
nella stazione marittima e l‟ambulanza era già vicino alla scaletta in attesa.
Subito dopo lo sbarco dei passeggeri, Lolita fu trasportata sull‟ambulanza e,
quando partì, noi la seguimmo con il taxi. In ospedale, dopo circa un quarto
d‟ora d‟attesa, apparve un indiano che portava una lunga barba grigia,
indossava un camice e un grosso turbante bianco, che ci fece segno di
seguirlo.
Poco dopo ci trovammo nella stanza dove era ricoverata Lolita e, mentre
ci stringevamo tutti intorno al suo letto, Luis sorridendo disse: - Ecco, hai
visto che bel dottore che hai, con barba e turbante ? Ella subito domandò stupita: - Quello sarebbe il mio dottore? Credevo
fosse un chiromante! L‟esplosione di risate rimbombò all‟improvviso nella stanza, poi entrò il
medico indiano e Luis ridendo domandò:
- Lei non è un chiromante, vero? - Un‟altra risata scoppiò rumorosa.
- Certamente no! - rispose egli stupito.- Sono il medico di guardia, qui al
pronto soccorso. Luis si avvicinò a Lolita e, accarezzandole i capelli, affermò:
- Mi scusi dottore, ma qui qualcuno l‟ha presa per un chiromante, che se ne
va da un letto all‟altro a leggere il futuro nel palmo delle mani dei pazienti.
Capisce? Il medico indiano si mise a ridere di cuore, insieme a noi, mentre Lolita si
nascondeva il volto sotto il cuscino.
Un attimo dopo se lo tolse e, arrossendo, spiegò timidamente: - Io, nelle
Filippine, ho visto un chiromante col turbante e la barba lunga! - Sicuramente si trattava di un chiromante, ma il turbante e la barba bianca
la portano anche i medici - esclamò Carmencita ridendo. Intanto Lolita si
era portata il cuscino fino sulla bocca per cercare di nascondere la vergogna
che provava, allora Shay assicurò:
- Avanti cara, stiamo scherzando, perché finalmente stai meglio e noi siamo
felici. In ogni caso, ora dobbiamo lasciarti per permettere ai medici di
curarti. A quel punto il viso di Lolita s‟incupì, allora le promettemmo di ritornare
a farle visita nel pomeriggio, e subito s‟illuminò in volto e ci salutò
sorridendo.
Più tardi, verso le quindici, presi contatto con il mio capo a Venezia, il
quale mi comunicò che i suoi superiori gli avevano ordinato di farmi
procedere e vendere la merce del duty free shop alla signora Liw Kier.
Raggiante di felicità, digitai il numero del suo telefonino portatile e le diedi
subito la buona notizia.
102
Così la pregai di riferire al Charterer le nostre intenzioni. Poi telefonai a
mia madre per sapere come stava lo zio Mino. Ella mi spiegò che si era
miracolosamente ripreso, e sarebbe tornato a casa l‟indomani mattina;
raggiante di felicità, la pregai di fargli sapere che gli avrei telefonato entro
pochi giorni, ma non le rivelai che forse sarei tornata a casa presto, poiché
qualcosa dentro di me non mi permetteva di crederci.
Poco dopo raggiunsi l‟ospedale e mi trovai a camminare in lunghi corridoi
che luccicavano come specchi. Infine raggiunsi la stanza di Lolita che,
quando mi vide, si mise a saltare di gioia sul letto, gridando:
- Hello mummy! I like you, because you are nice! - (Ciao mamma! Ti voglio
bene, perché sei carina!)
- And you are a little sweet daughter! - (E tu sei una dolce piccola figlia!)
risposi, sorridendo, mentre mi avvicinavo al letto per abbracciare quel
piccolo fiorellino ferito. Intanto ella piagnucolando confessò:
- Non voglio stare qui da sola! Ho paura. Non vedo l‟ora di tornare a bordo a
lavorare con voi. La sua grande ingenuità mi turbò, non immaginava nemmeno che, dopo la
degenza in ospedale, l‟avrebbero spedita a casa. Cercai di tranquillizzarla,
ma era ancora scossa e aveva paura che quell‟emicrania terribile potesse
aggredirla di nuovo. Soffriva ancora per la brutalità con cui era stata accolta
nell‟ospedale di Jakarta. Infine mi domandò:
- Elisabetta, ti dispiacerebbe andare a comprarmi un pettine? - No cara, vado subito! - esclamai alzandomi in piedi. In quel momento
entrarono le sue colleghe, che mi salutarono allegramente.
Uscii nel lungo corridoio, raggiunsi il consultorio medico ed interrogai il
dottore che aveva visitato Lolita; mi spiegò che era sicuramente affetta da
una delle emicranie più dolorose che esistano e che, se non avesse
continuato a curarla, n‟avrebbe pagato le conseguenze per tutto il resto
della sua vita.
- Povero angelo! - pensai, mentre riprendevo a camminare in quel corridoio
silenzioso Intanto riflettevo su quanto terribile la vita poteva essere per
alcune persone.
In realtà Carmencita mi aveva raccontato che il padre di Lolita era morto
quando ella aveva appena tre anni. La madre si risposò con un essere
spregevole che si ubriacava spesso. Sfortunatamente, quando Lolita iniziò a
soffrire della terribile emicrania, il patrigno l‟accusò d‟essere capricciosa, e
di solito la metteva fuori della porta a sfogare le sue bizze. Mi chiedevo
quali fossero le possibilità di Lolita di curarsi in futuro.
Al mio ritorno la trovai circondata dagli amici. Allora le consegnai il
pettine ed alcune scatole di dolci, poi le promisi che il venticinque
novembre ci saremmo riviste.
Verso le diciassette rientrai a bordo e incontrai lo staff captain, che mi
venne incontro affermando:
- Signorina, vorrei ringraziarla per essersi prodigata ad aiutare Lolita.-
103
- La prego capitano - risposi sorridendo - non mi deve ringraziare, chiunque
avrebbe aiutato quel dolce angioletto. - Già, è così giovane che intenerisce il cuore - ammise tristemente,
abbassando lo sguardo.
Poi aggiunse: - È stato un piacere lavorare con lei! Volevo che lo sapesse!
- Lo stesso per me, capitano! Pregherò per il suo bambino! Egli mi fissò pensieroso poi borbottò: - Mio figlio purtroppo sta morendo,
perciò sbarcherò presto! - I nostri sguardi addolorati s‟incrociarono, poi
s‟allontanò a testa bassa.
Quattro giorni dopo, a poche ore di navigazione da Singapore, mi svegliai
di soprassalto con un sogno molto strano in mente. Mi vedevo all‟interno di
un pullman che viaggiava a forte velocità; seduti accanto a me stavano due
uomini distinti che ridevano e si divertivano. Poi allegramente
m‟informavano che essi avevano il potere di tenermi a bordo di quel
pullman tutto il tempo che volevano. A quel punto mi rendevo conto che i
due uomini facevano parte della mafia locale.
Intanto continuavano a divertirsi, e si diedero il tipico bacio mafioso sulla
bocca. Poi uno dei mafiosi prese due mele, una bella e rossa, l‟altra più
piccola e verde e cominciò a giocare, facendomi credere di farmi scegliere,
ma infine mi diede la mela più piccola e verde, che accettai. Intanto l‟altro
mafioso si era steso per terra, rilassandosi tranquillamente.
Dopo una breve riflessione, mi resi conto che il pullman rappresentava la
nave, e che il mio sbarco sarebbe dipeso da due persone senza scrupoli, che
avrebbero fatto i loro comodi. Pensai che probabilmente uno dei due
mafiosi era Mr. Kor, che avrebbe trattato con me il prezzo della merce e
sicuramente sarei dovuta sottostare alla sua offerta.
L‟altro mafioso rappresentava forse il secondo compratore? In quel
momento non potevo certo sapere che lo avrei riconosciuto da una cicatrice
a forma di croce che portava sulla guancia destra.
- Oh Dio mio! - gridai ad alta voce - quanto tempo dovrò restare prigioniera
in questa maledetta prigione di metallo? Avvilita e triste, mi stesi sul letto a meditare sulle poco piacevoli
prospettive future.
Durante l‟attracco della nave, mi recai in stazione radio per sapere da
Richard le ultime notizie a proposito di Lolita. Egli mi confermò che era
stata dimessa dall‟ospedale e sarebbe tornata a bordo a prendere i suoi
bagagli, giacché la compagnia l‟aveva sbarcata.
- Povera piccola! - pensai, mentre correvo giù lungo la scala d‟imbarco per
salutarla.
Infine il marinaio di guardia Gabriel mi assicurò che era già entrata.
Allora cominciai a scendere al centro della nave, dove si trovavano le cabine
delle ballerine. Poco dopo incontrai Novelita che gentilmente mi
accompagnò in quel labirinto di piccoli corridoi stretti e lugubri, che
avrebbero impressionato chiunque.
104
Trovammo la cabina aperta, con Lolita che faceva la valigia. Alzò lo
sguardo verso di noi.
- Non potrò più stare con voi - gridò nervosa - mi hanno sbarcato! - Si cara, lo sappiamo! - risposi preoccupata, mentre ella scoppiò a piangere
a dirotto.
- Senti Lolita - aggiunsi - quando sei a casa vai a parlare con il tuo agente:
vedrai che t‟inserirà in un nuovo balletto. - Ella si asciugava le lacrime con
le mani e sospirando singhiozzò: - I balletti sono già stati completati - Adesso non t‟abbattere vedrai che da qualche parte c‟è qualcosa anche
per te. Mi raccomando, non trascurare la tua emicrania, perché potresti
anche guarire. Ella sospirò lungamente, poi rispose: - Lo so, me l‟hanno detto anche i
medici prima di lasciare l‟ospedale! Intanto Novelita se ne stava ad ascoltare in silenzio, con una mano sulla
branda superiore del letto a castello. Nel frattempo Lolita si avvicinò
dicendo: - Addio “mummy” e grazie di tutto! Ci abbracciammo commosse poi, avvicinandomi alla porta di quella
piccola cabina, resa lugubre dalla mancanza di un oblò, dissi:- Good luck,
and look after you, sweet daughter! - (Buona fortuna e riguardati, dolce
figlia!).
- Bye mummy! - aggiunse piagnucolando, mentre riprendevo a camminare
pensierosa lungo quegli stretti e lugubri corridoi.
Poco dopo, fuori in banchina, raggiunsi una cabina telefonica, situata di
fronte alla nave, vicino ad un gran capannone, e digitai il numero telefonico
di madame Liw Kier:
- Elizabeth - gridò ella angosciata appena udì la mia voce - il “Boss” Mr.
Sogreen non mi ha neanche presa in considerazione; se da Venezia non gli
invieranno un fax, non mi darà ascolto –
Stanca e arrabbiata, risposi: - Insomma, non è concepibile che la mia
compagnia non abbia spedito un fax, la prego non perda la pazienza, poiché
credo che n‟avremo bisogno di molta. Oggi stesso informerò Venezia! Di là del filo si udirono alcuni sospiri, poi aggiunse nervosa: - Non mi sarà
possibile prendere contatto con Mr. Kor, se Mr. Sogreen non me lo
permetterà. Suggerii: - Signora, lei se ne stia tranquilla, perché ora ci penso io. A
presto! - Buon lavoro e grazie! - urlò stizzita, mentre posavo la cornetta. Più tardi,
verso le sedici, mi recai nella “hall” a salutare Luis e Shay, che si stavano
preparando allo sbarco. Vi trovai i loro bagagli tutti in fila vicino all‟uscita,
ed essi erano seduti di fronte all‟ufficio informazioni, circondati dalle
“hostess” e dall‟enorme Jan, che stava intrattenendo il gruppo,
raccontando barzellette sudice; allora gridai scherzando:
- Do you want to stop saying dirty jokes? You naughty child! - (La vuoi
smettere di raccontare delle barzellette oscene? Bambino cattivo!) -
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Una risata collettiva scoppiò nel salone echeggiando fragorosa. Poi mi
fissò severo. - Senti mocciosa - sbottò Jan serio - se lo vorrai, il bambino
cattivo può farti toccare il cielo con un dito. Sorridendo affettuosamente, aggiunsi: - Cambia battuta, è vecchia, poi
non vorrei farti venire l‟infarto, con le tue proposte incestuose! - Insomma, perché incestuose? - interrogò curioso.
- Non avrai dimenticato che per me sei un caro fratello? - esplose un‟altra
risata collettiva. Intanto arrivò lo staff captain con le valigie che domandò
serio: - Scusate, è arrivato lo spedizioniere con i passaporti? - Eccolo! - esclamarono alcuni marinai in coro, mentre noi tutti ci giravamo
a guardare l‟uomo che ci veniva incontro sorridendo.
Dopo aver distribuito i passaporti, i marinai trasportarono i bagagli in
banchina; intanto un‟esplosione di saluti, grida e abbracci risuonarono
rumorosi tutt‟intorno nella sala.
Poco dopo strinsi la mano allo staff captain, addolorata per il suo
bambino malato. Shay e Luis mi assicurarono, che ci saremmo incontrati
spesso, poiché la nave “Royal Pacific” su cui s‟imbarcavano, avrebbe fatto
la stessa rotta della m/n “Orient Sun”.
Così li accompagnai alla scaletta di sbarco, salirono sul pulmino e tra i
saluti e le grida di tutti partirono e sparirono in mezzo ai containers del
grande porto commerciale.
Più tardi Richard mi spedì il telex a Venezia, dove chiedevo alla mia
compagnia di mettersi in contatto con urgenza con Mr. Sogreen, per
permettere a madame Liw Kier di incontrare il Charterer.
Il ventinove novembre, quando telefonai a madame Liw Kiel, infastidita
confessò che stava perdendo la pazienza, poiché Mr. Sogreen era
irreperibile, nonostante avesse ricevuto il telex da Venezia. Ancora una
volta, la pregai di attendere tranquilla che avessi sistemato tutto, ma
madame Liw Kier gridò scocciata:
- Mi creda, Elizabeth, nessuno nella mia vita mi aveva mai trattata con tanta
indifferenza! - Ci credo! - affermai - questa gente pensa solo ai suoi affari, perciò
dobbiamo avere pazienza, se vogliamo risolvere i nostri “business”. Dopo una breve pausa ella ammise: - Ha ragione! Buona fortuna! Subito dopo, telefonai alla segretaria di Mr. Sogreen, la quale m‟informò
che egli aveva ricevuto il messaggio della mia compagnia, ma che, a causa
d‟alcuni problemi gravi, era dovuto partire d‟urgenza per Jakarta, quella
stessa mattina; comunque, appena tornava, avrebbe sistemato tutto.
- Quanta pazienza ci vuole! - sospirai nervosa, mentre posavo la cornetta sul
ricevitore.
Finalmente reinserii la scheda telefonica e digitai il numero di telefono
dello zio, che al terzo squillo rispose:
- Pronto! - Zio, sono Elisabetta da Singapore, come stai? 106
Di là dal filo udii un sospiro affannoso, poi egli borbottò con voce
tremante: - Sto bene, grazie, ma quando tornerai a casa? Scoppiai a ridere perché purtroppo non sapevo quando, e risposi: - Non lo
so, zio, il mio ritorno rimane un mistero per il momento, perché dipende
dagli altri! Rise di gusto, tra qualche colpo di tosse, poi dopo una breve pausa, disse:
- Siamo messi bene allora, se non sai neanche quando terminerà il tuo
contratto! - Già, hai ragione, ma a volte può succedere! – esclamai, pensando che non
poteva certo immaginare l‟incredibile odissea che stavo affrontando.
- Vedrai, quando tornerò a casa - continuai - avrò una storia straordinaria
da raccontarti! Riprese a tossire, poi brontolò: - Spero che arrivi in tempo! - Ma che cosa dici, zio! - risposi sorpresa, mentre commossa cercavo di
apparire tranquilla, poi m‟accorsi che la scheda stava terminando, allora
dissi in fretta:
- Un forte abbraccio, zio, saluti a tutti. Prima che fosse segnalato il termine della comunicazione udii:Riguardati, mi raccomando! L‟angoscia mi colpì all‟improvviso mentre uscivo dalla cabina; attesi un
attimo che mi passasse, poi andai a pagare, e me ne andai riflettendo verso
il porto. Il cielo si era oscurato di colpo, mentre un vento leggero sembrava
accarezzare il mio dolore. Intanto riflettevo sulla triste realtà della vita, che
regalava tanta sofferenza e tristezza.
Nel frattempo il vento cominciò a sollevare la polvere ovunque. Dopo
tutto avevamo bisogno di un grosso temporale che, con le forti piogge,
spegnesse il resto degli incendi che ancora bruciavano nelle isole
indonesiane.
Quel pomeriggio, quando tornai a bordo, l‟equipaggio aveva posto la sua
attenzione sull‟agguato teso alla “Royal Pacific” al suo primo viaggio
d‟inaugurazione a Jakarta. Le voci di “caruggetto” (voci di corridoio)
affermavano che Mr. Kor aveva fatto sequestrare dalle autorità indonesiane
la nave concorrente, con l‟accusa di aver violato le leggi internazionali sul
gioco d‟azzardo.
In quel momento capii la ragione per la quale Mr. Sogreen era dovuto
partire immediatamente per Jakarta. Pensai subito a Luis e Shay, che
purtroppo si trovavano a bordo e ora dovevano affrontare altri tipi di
problemi, con il rischio di perdere il lavoro; perché correva voce che, se il
Charterer di quella nave non avesse accettato di cambiare rotta, sarebbe
rimasta sotto sequestro nel porto di TG. Priok a Jakarta.
Poco dopo entrai nella saletta per prendermi un caffè e vi trovai Edward
che si stava toccando le caviglie. Chiesi curiosa: - Cosa ti succede Edward?
Egli rimase in silenzio per un attimo, poi alzando lo sguardo rispose: Cammino tutto il giorno su e giù per la nave, per riparare ogni tipo di guasto
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elettrico, quindi immagino che, se le caviglie sono indolenzite, sia dovuto
alla stanchezza. - Dopo il sogno che ho fatto, credo sarebbe meglio prevenire e andare dal
dr. Win.- Mentre bevevo il caffè, Edward rispose sorridendo: - Vedrò se sarà
il caso. - Mi alzai in piedi, portai la mia tazza in “riposteria” e mentre stavo
uscendo aggiunsi: - Speriamo bene, ciao! - See you later! - esclamò sorridendo.
Quel pomeriggio, mentre percorrevo il corridoio, incontrai il nuovo
direttore di crociera Colin e la sua assistente Lisa, che mi salutarono
affettuosamente. Essi erano australiani e molto simpatici. Colin era un uomo
in gamba, a terra svolgeva le mansioni di giornalista per una televisione
privata. Spesso, da quando era imbarcato, leggeva il notiziario ai passeggeri.
Era un uomo interessante, di costituzione robusta, statura media, aveva un
viso rotondo e occhi chiari pieni di dolcezza, capelli brizzolati e vestiva
elegantemente. Lisa era una donna spiritosa ed affettuosa, statura bassa,
magra, con un viso dolcissimo , incorniciato da capelli ricci e castani che le
cadevano sulle spalle, dandomi la sensazione di vedere una ragazzina.
Sapevo che, quando lavorava a terra, recitava in teatro. Erano imbarcati da
pochi giorni, ma il loro “savoir-faire” mi aveva conquistato.
Alcune ore prima della partenza, andai a rilassarmi a prua, dove mi
recavo spesso, di mattino in navigazione, oppure la sera al tramonto quando
non c‟era il fumo. Quel luogo di meditazione, sotto il ponte di comando, era
il mio nascondiglio segreto. Mi sedetti sui gradini di ferro e vidi nuvole
minacciose spinte dal vento che si allargavano per il cielo. Intanto fissavo la
prua della nave che immaginavo sfrecciare sul mare e puntare verso
l‟orizzonte.
QUATTORDICESIMO CAPITOLO:
L‟ATTESA DURANTE L‟ARRIVO DELLE PIOGGE
Verso sera, alla partenza, scoppiò il temporale, con tuoni e fulmini che
illuminarono l‟oscurità. I passeggeri che volevano vedere la partenza da
Singapore si erano stretti l‟uno contro l‟altro, sotto le tettoie dei ponti
“passeggiate” di bordo. Purtroppo la pioggia, che cadeva rumorosa, lasciava
appena intravedere le sagome illuminate dei grattacieli, che s‟allontanavano
veloci nel diluvio. Era certamente affascinante l‟apparizione di quei fulmini
che si ramificavano ed esplodevano nel cielo, con tuoni e bagliori che
illuminavano la pioggia, che brillava come miriadi di cristalli che danzavano
nel vuoto.
Infine l‟acqua trasportata dal turbine del vento c‟investì all‟improvviso.
Intanto, mentre la nave virava verso sud entrando in mare aperto, i
passeggeri fuggirono all‟interno della nave urlando e gridando. Rimasi un
attimo in mezzo a quella bufera, tra l‟umidità ed il freddo, che mi fece
rabbrividire e schiaffeggiata dal forte vento che m‟aggrediva rabbioso, corsi
al riparo.
Durante tutta la notte i tuoni e i fulmini imperversarono senza limiti e
nel bel mezzo della notte il rumoroso boato di un fulmine mi svegliò di
soprassalto, facendo tremare le paratie della mia cabina.
108
Nel frattempo il mare si stava calmando e, mentre stavo per
riaddormentarmi, si presentarono nella mia mente le immagini di un sogno:
camminavo su una strada di campagna, depressa e stanca, e stavo cadendo a
terra senza forze, quando ad un tratto un uomo mi sollevò da dietro le
spalle, alzandomi in piedi: mi ritrovai di fronte ad un signore distinto, dalla
pelle scura, sui quarantacinque anni, che mi fissava con i suoi occhi neri.
Infine notavo sulla guancia destra una cicatrice a forma di croce. Dopo
essermi rigirata nervosamente nel letto, riflettendo, captai il messaggio.
Sicuramente la situazione attuale sarebbe cambiata, al punto da condurmi
ad una stanchezza e ricaduta morale; ma poi, sarebbe intervenuto l‟uomo
del sogno che m‟avrebbe dato forza e le speranze perdute, proponendomi
nuove possibilità. Dopo le rivelazioni del sogno caddi in un sonno profondo.
La mattina del trenta novembre, quando mi svegliai, un altro sogno si
presentò alla mia memoria: mi vedevo a casa in Italia e sapevo che ero
tornata dall‟Oriente da una settimana, quando un signore mi riportò le mie
valigie. Analizzando il sogno, da cui traspariva un messaggio molto chiaro,
brontolai stupita, ad alta voce:
- Maledizione! Durante il viaggio di ritorno a casa, la compagnia aerea mi
perderà le valigie! Ad ogni modo, mi consolai subito, poiché mi avrebbero riportato i bagagli
fino a casa, perciò si trattava solo d‟attendere qualche giorno in più.
Comunque, ora che sapevo ciò che poteva succedermi, avrei fatto del mio
meglio per prevenire l‟evento. Trovavo veramente eccezionale che mi
fossero inviati questi messaggi attraverso i sogni, mi sentivo aiutata e
protetta dal cielo.
Certamente questa realtà m‟incoraggiava ad affrontare la vita con forza e
coraggio. Quella sera, quando incontrai Edward, discutemmo a lungo sui
presunti messaggi dei miei sogni e anch‟egli ammise che la maggior parte di
essi s‟interpretavano bene.
I giorni che seguirono dopo il temporale, apparvero limpidi e freschi.
Finalmente ogni traccia di fumo era scomparsa, e da sotto il ponte di
comando, dove mi trovavo ad ammirare la favolosa giornata, il mio sguardo
spaziò lontano all‟infinito ad ammirare i piccoli isolotti rigogliosi di
vegetazione che sotto il sole lucente splendevano come smeraldi. Con molta
gioia nel cuore, ritrovavo la stupenda lucentezza dell‟Oriente, scomparsa
circa quattro mesi prima. Per un attimo credetti di essere finalmente uscita
dall‟inferno, perché l‟aria pura sembrava avermi riportato il diritto di
respirare.
Il quattro dicembre, quando telefonai a madame Liw Kier, addolorata
affermò che il Charterer le aveva comunicato che avrebbe comprato egli
stesso la merce del duty free e avrebbe anche gestito il negozio.
Per me non fu certo una sorpresa, poiché avevo avuto quest‟indicazione
il ventisei novembre, con il sogno dei due “Boss mafiosi”. Più tardi, quando
tornai a bordo, alcuni marinai filippini mi raccontarono che la “Royal
Pacific” era stata rilasciata dalle autorità doganali indonesiane, dopo che i
responsabili avevano scelto un altro itinerario. Poco dopo mi recai
nell‟ufficio di Mr. Tono, contabile del Charterer, per pregarlo di mettersi in
109
contatto con Mr. Kor, affinché mi concedesse un “rendez-vous” per
accordarci sul prezzo della merce.
Fu molto gentile come sempre, e mi spiegò che probabilmente Mr. Kor
sarebbe venuto a bordo a Jakarta. Ad ogni modo Mr. Tono mi assicurò che
durante il viaggio avrebbe preso contatto con Mr. Kor per organizzare un
appuntamento.
Il sei dicembre, a Jakarta, Mr. Tono mi pregò di attendere a bordo, in
caso che Mr. Kor si presentasse, poiché egli non era riuscito a rintracciarlo,
ma purtroppo, quel giorno, del Charterer non si vide neanche l‟ombra. La
cosa m‟innervosì, ma il messaggio del sogno che lo riguardava, mi aveva
chiaramente indicato che avrebbe fatto i suoi porci comodi. Capii che ci
voleva tanta pazienza, perciò dovevo attendere il momento opportuno per
incontrarlo.
Il giorno dopo, in negozio, con grande stupore, mi trovai di fronte ad un
uomo di media statura, che mi fissava con i suoi occhi neri, mentre io
ipnotizzata, osservavo quel viso dalla pelle scura, che avevo già incontrato
sette giorni prima in sogno. Incominciò a tempestarmi di domande, mentre
io mi spostavo verso la sinistra, per vedere se avesse una croce sulla
guancia destra.
Poco dopo, stupefatta, vidi la cicatrice, anche se più piccola rispetto a
quella che avevo già visto in sogno. Insomma, mi trovavo davanti all‟uomo
che mi avrebbe ridato speranza nel momento in cui l‟avessi persa.
Nel frattempo egli mi stringeva la mano dicendo: - Piacere, sono Mr.
Willer Wuner! –
Poi mi spiegò che dirigeva una catena di duty free shop a Singapore, e mi
pregò di metterlo in contatto con la mia compagnia a Venezia, poiché era
interessato ad importare profumi. Accettai il suo biglietto da visita e gli
promisi di parlarne alla mia ditta che, se fosse stata interessata al
“business”, si sarebbe messa in contatto con lui.
Infine si complimentò con me per la merce che vendevamo e soddisfatto
mi salutò, Circa mezz‟ora dopo Mr. Tono mi comunicò che a Singapore
madame Kor, la moglie del Charterer, e la segretaria sarebbero salite a
bordo per vedere la merce. - Ah, finalmente! - esclamai felice, mentre Mr.
Tono mi sorrideva contento, stringendo i suoi dolcissimi occhi neri.
Sentivo che in quel giovane uomo c‟era un‟anima speciale. Poi con un
cenno di saluto se n‟andò. L‟otto dicembre, all‟arrivo della nave a
Singapore, andai ad attendere madame Kor e la segretaria nel salone vicino
al negozio. Non conoscevo le due donne, quindi poco dopo Desery me le
indicò, mentre stavano parlando con il G. M. Hong e il suo assistente Marlo.
Si vociferava che i due uomini avessero alcuni problemi contabili con il
Charterer. Allora attesi pazientemente che terminassero di parlare, poi mi
presentai alle due donne, che subito mi seguirono in negozio. Non posso
nascondere che fui colpita dalla bruttezza di madame Kor. Indossava un
vestito insignificante grigio perla, alta, magra, portava un paio d‟occhiali da
vista ed aveva un viso lungo e sottile, con un neo sulla guancia sinistra,
dove spuntavano alcuni peli.
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I suoi capelli neri, che le cadevano sulle spalle, erano certamente l‟unica
nota piacevole, e mentre aprivo la porta del negozio, mi resi conto che non
sapeva sorridere, poiché la sua presenza tenebrosa emanava energia
negativa. Entrammo nel duty free shop in silenzio; poi la segretaria
controllò i profumi e i prezzi. Intanto osservavo la giovane figura che si
muoveva con grazia e, al contrario di madame Kor, sapeva vestire con
gusto.
Era d‟origine cinese, aveva un visetto molto dolce, occhi castani come i
suoi lunghi capelli ricci che con gesti veloci gettava dietro le spalle. Nel
frattempo madame Kor stava osservando gli alcolici con interesse, poi passò
nel reparto delle sigarette italiane ed esclamò con ostilità: - Queste
sigarette noi non le compreremo! Stupita alzai lo sguardo e, dopo una pausa, risposi:
- Mi perdoni signora, ma ho l‟ordine di vendere tutto insieme. Dopo tutto
sono sicura che lei troverà un compratore qui a Singapore. Ella mi fissò col suo sguardo severo, poi domandò:- Mi dica il prezzo di
tutta la merce. - La mia compagnia chiede il 60 per cento sul prezzo di vendita, incluso due
computers con il programma e tutto l‟arredamento. Come vede è un grosso
affare, perché se lei dovesse comprare due computers col programma e
l‟arredamento del negozio, le verrebbe a costare una cifra. Ella rimase in silenzio a pensare, poi aggiunse seria: - Senta, noi
ritorneremo prima della partenza e ne riparleremo. Può andare bene per
lei? - Ok! - risposi sorridendo - vi aspetterò dalle diciassette in poi vicino
all‟ufficio informazioni. La segretaria annuì sorridendo, mentre madame Kor usciva dal negozio in
silenzio, senza un cenno di saluto.
Da circa un quarto d‟ora attendevo vicino all‟ufficio informazioni le due
donne, quando vidi venirmi incontro il comandante, che domandò
sorridendo: - Allora Elizabeth, si concluderà l‟affare questa volta? - Lo spero con tutto il cuore, ma ho la strana sensazione che sarà difficile. - Avanti, non sia pessimista! - aggiunse, mentre si allontanava. Ero
preoccupata perché le voci di “caruggetto” affermavano che Mr. Kor aveva
finito il denaro. Per ben due volte era stata ritardata la partenza, perché gli
addetti al “bunkeraggio” si rifiutavano d‟imbarcare il gasolio, se Mr. Kor non
avesse pagato gli arretrati.
Ad ogni modo, pensai che, se le due donne non mi avessero consegnato
l‟assegno in dollari, non avrei dato loro le chiavi del negozio. Poco dopo mi
vennero incontro e madame Kor, rigorosa, disse:
- Comunichi alla sua compagnia che noi non pagheremo più del quaranta per
cento sul prezzo di vendita! - No, signora, non posso accettare, poiché mi hanno già dato un limite.
Insomma, non posso scendere sotto al cinquanta per cento. Questa è
l‟ultima offerta, perciò ci pensi e mi faccia sapere appena possibile. 111
- Bene! - rispose seria - ora mi dica quant‟è il prezzo totale della merce. - Circa centomila dollari e intendo affermare che a lei verrebbe a costare
solo cinquantamila al cinquanta per cento. In ogni modo, al prossimo ritorno
le farò avere la cifra esatta. Le due donne si guardarono negli occhi e parlarono tra loro in cinese, poi
mi domandarono:
- Non può farlo adesso il totale? - Stupita, risposi: - Lo farei volentieri, se ci
fosse il tempo, ma in un quarto d‟ora prima della partenza non é possibile
sommare una decina di pagine del computer, con migliaia d‟oggetti da
moltiplicare e farne il prezzo. Dopo una lunga pausa, la segretaria chiese: - Per cortesia, mi dia la lista
del carico che ci penso io. In quel momento l‟hostess annunciava che la nave era in partenza e che
tutti i visitatori erano pregati di scendere a terra. Allora allungai una
stampa aggiornata del carico alla segretaria e, quando mi girai per salutare
madame Kor, quella era sparita. Sorpresa, augurai una buona sera alla
segretaria che, sorridendo, s‟affrettò ad uscire. Immediatamente capii che,
in quel momento, si era avverato il sogno che avevo avuto il quindici
settembre.
Il dodici dicembre, all‟arrivo a Singapore, stavo aspettando madame Kor e
Rowena, la segretaria, quando vidi venirmi incontro Richard con un telex in
mano, che sorridendo esclamò:- È per te, mia cara! Glielo strappai di mano e domandai trepidante: - Sono buone notizie? Rispose dolcemente: - Non ho mai studiato l‟italiano purtroppo! Nel frattempo aprii il telex e lessi:
Msg. for Shop Mgr. Miss Elizabeth Emaldi, Mr. Sogreen finalmente ha
dato l‟ok per la cessione del contratto, ma vuole vedere copia di ns.
accordo con il Charterer. Pertanto lei si metta subito in contatto con il
Charterer, per inviare subito a Venezia a Mr. Carosin, un Msg. d‟accordo a
rilevare la ns. attività a bordo nave ed a rilevare ns. merci a condizioni
che subito saranno definite via telex o fax. Ho già messo in contatto
l‟agenzia per il suo ritorno su Milano, data previsto rientro, martedì da
Singapore con volo Sr.183 delle 21.55. Il biglietto lo trova presso
biglietteria Swissair, codice prenotazione QLRRNH volo Singapore; si
accerti di definire tutti i sospesi a bordo e di ritirare le ricevute e assegno
Charterer. Grazie “Sea Shops” Delopera.
Disperata, alzai lo sguardo verso Richard, che se ne stava immobile
davanti a me, nell‟attesa di buone notizie. Sospirai a lungo, poi ammisi:
- Sono ancora in alto mare, e so che il Charterer mi ci lascerà ancora per
lungo tempo, e non credo che riuscirò mai a concludere l‟affare. Intanto
però la mia compagnia mi ha prenotato l‟aereo per martedì sera, venti
dicembre. Insomma, dovrei chiudere il contratto entro una settimana.
Sfortunatamente questo non dipende da me. Capisci? Mi fissò con i suoi occhi neri sgranati, poi avvicinandosi bisbigliò: Potresti anche riuscirci! Assicurati comunque che Mr. Kor ti consegni
112
l‟assegno in tempo, prima dello sbarco, giacché si vocifera che non abbia
più un soldo. Dopo una breve pausa risposi nervosa: - Già, lo so, tutto l‟equipaggio ne
parla, ma speriamo siano solo voci. - Ricordati - aggiunse Richard - che in ciò che vocifera l‟equipaggio c‟è
sempre un fondo di verità. –
Cercando di sdrammatizzare, sorridendo affermai: - Insomma, se Mr. Kor
non ha più denaro, allora gli affari vanno male; quindi, se così stanno le
cose, si avvererà il mio sogno. Richard mi fissò serio, poi brontolò: - Tu ridi, ma ho paura che purtroppo
un giorno, tutti noi, saremo abbandonati sulla nave ferma in qualche luogo
sperduto, proprio come nel tuo sogno. Smisi dì ridere e risposi preoccupata: - Sento che, sfortunatamente, non
riuscirò mai a partire su quel volo martedì. Sarebbe troppo bello essere a
casa per Natale. In quel momento vidi Mr. Tono all‟ufficio informazioni, salutai Richard e
lo raggiunsi. Mi assicurò che le due donne sarebbero salite a bordo verso le
sedici. Presi contatto con Rowena, che mi confermò la stessa ora.
- Incredibile! - esclamai - quant‟è difficile trattare con persone che
sembrano non essere mai disponibili! Delusa e triste, me n‟andai a fare una passeggiata. Più tardi, quando
incontrai le due donne, mi confermarono che avrebbero comprata tutta la
merce al cinquanta per cento, fatta eccezione per le sigarette. Madame Kor
mi pregò di venderle a chi volevo, purché me ne liberassi.
La cosa m‟innervosì parecchio, poiché non sapevo a chi rivolgermi. Poi mi
venne in mente il provveditore, che parecchi mesi prima mi aveva
gentilmente accompagnata al Mt. Elizabeth Hospital.
Fu molto gentile, ma mi disse subito che non era interessato, però mi
diede dei numeri di telefono d‟altri provveditori, nessuno dei quali,
tuttavia, si dichiarò disponibile all‟acquisto. Avevo da qualche tempo
suggerito di spedire in Italia il carico, noleggiando un container, ma la mia
compagnia sosteneva che le spese sarebbero state insostenibili. Per questa
ragione non potevo neanche sperare di spedire le sigarette a Venezia. A
quel punto il mio capo, Sig. Delopera, mi consigliò di prendere contatto con
madame Kor e venderle le sigarette ad. un prezzo convincente.
Dopo una lunga trattativa ella acconsentì.
Il sedici dicembre, quando telefonai a Rowena per avere un
appuntamento con madame Kor e firmare finalmente il contratto e ricevere
l‟assegno, ella mi spiegò che al momento madame Kor non era reperibile.
Infine dovetti telefonare alla compagnia aerea per rimandare la mia
partenza, a data da stabilire in futuro.
Quando spiegai il problema all‟impiegata della Swissair, affermò con
gentilezza che avrebbe sistemato la cosa con la mia compagnia. Intanto
avevo usufruito della gentilezza del nostro comandante, che mi aveva
pregato di usare il suo telefono portatile, perché la nave si trovava in rada;
113
ed in quel caso telefonare dalla stazione radio, via satellite, mi sarebbe
costato una follia.
Da quando il capitano Philip era imbarcato, tra l‟equipaggio regnava la
tranquillità. La profonda comprensione e la dolcezza del nostro comandante
aveva, infatti, conquistato tutti. Spesso avevo udito gruppi di marinai che lo
salutavano dicendo: - We love you Captain! Esclamazione che conoscevo bene, perché era una frase che gli orientali
usavano spesso, per esprimere la loro gratitudine alle persone che
stimavano ed amavano veramente. Poco dopo incontrai l‟assistente di
Edward, allora m‟informai sulla salute del suo capo, poiché da parecchi
giorni era costretto a letto, per una forte infiammazione ai tendini delle
caviglie, ed egli preoccupato mi disse che il medico gli aveva dato un‟altra
settimana di riposo.
Così lo pregai di salutarmi Edward e di assicurargli che sarei andata a
fargli visita quel pomeriggio.
Il mattino del venti dicembre, appena attraccati a Singapore, restai in
attesa che fosse installato il telefono vicino al portellone d‟imbarco, poi
presi contatto con Rowena, che mi pregò di riprovare entro mezz‟ora,
poiché sicuramente avrei trovato madame Kor. La cosa m‟innervosì, perché
nei giorni precedenti avevo telefonato più volte con la sensazione che la
signora Kor cercasse di farmi perdere tempo, con la scusa che non c‟era.
Fortunatamente, quando telefonai, la segretaria me la passò, e domandai
arrabbiata:
- Signora, per cortesia, mi dica se la sua proposta é ancora valida,
altrimenti devo cercare altri compratori. Dopo una breve pausa ella confessò preoccupata: - Io sono interessata a
rilevare la vostra attività, ma c‟è mio marito che ha dei dubbi. Mi faccia la
cortesia di prendere contatto con lui e lo convinca. Sorpresa rimasi senza parole, poi risposi amareggiata: - Ci proverò! Ok! Disperata, gettai la cornetta con rabbia sul ricevitore, intanto il marinaio
di guardia mi domandò:
- Mummy sei diventata pallida! Insomma, che cosa ti succede? - Vedi, se tu avessi a che fare con la mafia - sussurrai - anche tu
diventeresti pallido. Egli mi fissò incredulo e io scoppiai in una risata. Solo così riuscivo a
sdrammatizzare i momenti di rabbia. Pensavo che, se madame Kor non si
fosse intromessa, sicuramente avrei già concluso l‟affare con la signora Liw
Kier.
Intanto il marinaio filippino mi domandò: - Hai davvero a che fare con i
mafiosi? - Si, purtroppo - risposi seria, per sembrare più credibile. Frattanto mi
fissava senza parole e aggiunsi:
- Ascoltami bene, se tu dovessi avere bisogno di un “killer” fammelo
sapere, ci penserò io! –
114
Il marinaio scioccato indietreggiò di colpo e andò a sbattere contro la
paratia, mentre scoppiavo in una grossa risata, dalla quale capì che stavo
scherzando, allora brontolò:
- You naughty mummy, you are pulling my leg! (Tu mamma cattiva, ti stai
prendendo gioco di me!) Poi rise di cuore e mi venne incontro facendo finta di picchiarmi. Poco
dopo incontrai Mr. Tono con un suo collaboratore di Singapore, che teneva
in mano un telefono portatile, allora li pregai di farmi parlare con Mr. Kor,
per un‟urgenza.
Il collega fissò per un attimo Mr. Tono poi, quando egli annuì, l‟uomo
digitò il numero e mi passò il telefonino. Subito rispose la segretaria, che mi
lasciò in attesa, poi udii la voce squillante di Mr. Kor, e dopo essermi
presentata, andai subito al punto domandando: - La prego di scusarmi, ma
avrei bisogno di sapere con urgenza, per comunicarlo a Venezia, se lei vuole
rilevare la nostra attività oppure no. Dopo una pausa si udirono alcuni sospiri, poi rispose: - Si, certo, ma non
adesso, in gennaio! Nervosa borbottai: - Mi scusi se insisto, ma la mia compagnia vorrebbe
concludere l‟affare ora, e dovrei tornare a casa per problemi personali. Lei
capisce, vero? - Si, ma lei può tornare a casa se vuole! - esclamò con gentilezza.
- Lei sa bene che non mi é possibile mollare tutto e abbandonare la mia
ditta nei guai, in ogni caso mi faccia la cortesia di farmi sapere se cambierà
idea. Buon giorno! - Va bene, signorina! - esclamò sospirando.
- A gennaio!? - urlò serio Mr. Tono.
- Già, così sembra - balbettai nervosa, mentre ci fissavamo delusi in
silenzio.
- Grazie! Grazie di cuore per la vostra gentilezza - mormorai - quanto vi
devo? I loro visi s‟illuminarono di dolcezza, ed entrambi esclamarono
sorridendo: - È stato un piacere! Poi si allontanarono salutando. Quel pomeriggio, verso le sedici, mi recai
nella “hall” a dire addio al mio amico Jan, che aveva dovuto rimandare di
qualche giorno la sua partenza, per attendere la sostituzione. Alcuni
marinai, infatti, mi avevano raccontato che i miei vecchi amici, Peedu e
Kristian, si erano appena imbarcati. Poco dopo si udirono passi pesanti come
quelli di un elefante che facevano tremare il pavimento; quando mi girai,
vidi Jan venirmi incontro, poi prendendomi a braccetto affermò:
- Avanti piccola, facciamo l‟ultima passeggiata su e giù per la “hall”
prima che arrivi lo spedizioniere col mio passaporto. - Era agitato, allora
curiosa domandai:
- Dimmi perché sei così nervoso, proprio adesso che stai tornando a casa!
Jan si stropicciò i baffi brizzolati, come faceva di solito quando era
assillato da preoccupazioni, e rispose:
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- Come posso essere felice, che al sol pensiero di ritorno a casa mi viene in
mente che troverò un paese distrutto dalla guerra, che purtroppo, continua
a lasciare dietro di sé morte, distruzione e rovine? Questa è una delle
ragioni per cui mi sento lacerato e che mi spinge a fare qualcosa per il mio
paese. Sospirando ammisi: - Già, è molto doloroso dover affrontare questa
terribile realtà, se però fossi nella tua situazione, andrei in un luogo sicuro
con la famiglia. Insomma, la guerra la lascerei fare agli immaturi, che
devono capire che l‟odio e la distruzione servono loro per guarire la sete di
potere e l‟ignoranza, attraverso la sofferenza. La guerra é una macchina di
dolore, che aiuta l‟uomo a crescere in fretta verso la comprensione e la
maturazione del cuore. Si fermò di colpo e con un sorriso nervoso rispose: - Ragazza mia, i tuoi
sono bei discorsi, ma la realtà è ben diversa! - Ognuno di noi agisce secondo la sua maturità interiore. Ad ogni modo,
qualunque decisione prenderai quando sarai a casa, sarà comunque ciò che
servirà per elevare il tuo spirito malato, come quello di tutti noi, che
viviamo sul banco di scuola della vita, per maturare il cuore. - Hai ragione ma… In quel mentre vedemmo lo spedizioniere venirci incontro sventolando il
passaporto di Jan.
- Siamo pronti, direttore? - domandò lo spedizioniere sorridendo. Intanto
Jan mi abbracciò sussurrando: - Addio, sorellina cara! Commossa risposi: - Buona fortuna, dolce fratellino! Salutami Ante! - Ok, non lo dimenticherò! - esclamò Jan, allontanandosi insieme all‟agente.
- Povero Jan! - pensai dentro di me addolorata, ricordando a me stessa
quanto fosse tragico tornare in Iugoslavia in un momento così doloroso.
Quella sera a cena, quando i miei due vecchi amici, Peedu e Kristian,
entrarono in saletta e mi videro, gridarono allegramente: - Allora, come va?
- È un piacere rivedervi! - dissi felice, mentre stringevo loro la mano.
intanto Kristian domandò ridendo:
- Then, did you finally see the flying chickens? (Allora, alla fine hai visto i
polli volanti?).
Scoppiammo a ridere insieme, poi risposi:- Ne ho visti talmente tanti, che ormai non ci faccio più caso. Un‟altra risata contagiò tutti i presenti, i quali rimasero con le forchette
a mezz‟aria, ridendo divertiti. Poi Kristian domandò serio:
- Ma non dovevi già essere sbarcata da tempo? –
Seria brontolai per essere più credibile: - Purtroppo sono rimasta
impegolata con la mafia locale, e ora non posso più tornare indietro
altrimenti mi fanno fuori. Un‟ennesima risata risuonò nella saletta poi, prima che i due
replicassero, me ne andai.
116
Il ventiquattro dicembre, a Singapore, dopo aver chiesto il permesso al
marinaio di guardia Noel al portellone d‟ingresso, telefonai a madame Kor,
con l‟intenzione di sapere se era riuscita a convincere il marito a firmare il
contratto e, con sorpresa, la segretaria m‟informò che madame Kor non era
più interessata all‟affare. In quel momento mi sentii cadere il mondo
addosso.
Scesi di corsa per la scaletta di sbarco e, in un attimo, mi trovai a
camminare sul sentiero di terra rossa, da cui, ad ogni mio passo veloce, si
alzavano nuvolette di polvere rosa pallido, che si perdevano nell‟aria. Pochi
minuti dopo, m‟inoltrai tra quel labirinto di containers colorati che
sembravano volermi accecare, inviandomi bagliori di luci violente, che
colpivano veloci i miei occhi come frecce impazzite. In quel momento mi
sentii aggredita da giochi di luci che sembravano rincorrermi tra quelle fila
di containers mostruosi.
Poi una minacciosa nuvola grigia si alzò nel cielo azzurro e dieci minuti
dopo oscurò il sole. Intanto il vento danzava davanti a me, alzando in
turbini veloci polvere e rifiuti, riempiendomi gli occhi di sabbia. L‟oscurità
avvolse in un manto misterioso quel luogo, mentre speravo di giungere alla
fine di quel paesaggio interminabile e oltrepassare il passaggio doganale,
dove avrei trovato un taxi e sarei sfuggita al temporale. Infine correndo,
mostrai il “pass” al doganiere e finalmente raggiunsi il “taxi stand” mentre
gocce enormi di pioggia m‟investirono all‟improvviso. Poco dopo, sul taxi,
mi resi conto che avevo i capelli e i vestiti umidi.
Nel frattempo il vento e la pioggia incominciarono con violenza a
scorrazzare attorno, provocando forti e rumorosi scrosci che sbattevano
contro i vetri dell‟auto, rendendo la visibilità incerta. Infine, quando il
tassista giunse a destinazione, un fulmine illuminò il cielo plumbeo.
Pagai in fretta l‟uomo, scesi tra la pioggia e raggiunsi la “hall” del
palazzo dove madame Liw Kier aveva l‟ufficio. Un attimo dopo mi trovai
all‟interno dell‟ascensore che saliva al nono piano. Suonai il campanello e
aprì la porta un signore che non conoscevo, ma gentilmente m‟invitò ad
entrare e, dopo vari tentativi, riuscì a rintracciare madame Liw Kier e me la
passò al telefono. Ella m‟informò che correva voce che Mr. Kor stesse
cedendo la “Orient Sun” ad un altro Charterer e, in quel caso, la nave
avrebbe cambiato itinerario e probabilmente non avrebbe più fatto scalo a
Singapore: madame Liw Kier ed il socio non erano più interessati a gestirne
il negozio.
Per la seconda volta purtroppo, quel martedì ventiquattro dicembre, mi
sentii cadere il mondo addosso. Così, mentre uscivo dall‟ufficio, fui dilaniata
da una profonda depressione. Poi, come per incanto, mentre attraversavo la
“hall” del palazzo, per uscire, vidi dentro la mia mente il viso di Mr. Willer
Wuner e la sua cicatrice a forma di croce, sulla guancia destra. Allora
esclamai dentro di me, mentre mi sentivo risollevare di colpo:
- Già, ecco il messaggio del sogno! Davanti al gran palazzo c‟erano alcuni telefoni, presi dal portafoglio il suo
biglietto da visita e digitai il numero di telefono dell‟ufficio a Singapore.
Poco dopo la segretaria affermò che Mr. Willer Wuner non era presente, ma
117
era certa che fosse sicuramente interessato a comprare la merce e a gestire
il duty free della “Orient Sun”.
Mi pregò di inviargli un fax a Jakarta, con tutti i dati necessari, intanto
ella avrebbe preso contatto con lui prima possibile. In quel preciso
momento rividi le immagini del sogno, dove Mr. Willer Wuner mi seguiva
lungo il sentiero e, mentre stavo cadendo a terra, mi rialzava in piedi; il
sogno quindi si era avverato, poiché nel momento della caduta egli mi
ridava le speranze perdute.
Raggiante di felicità augurai il buon Natale alla segretaria e, dopo aver
agganciato la cornetta del telefono, raggiunsi la stazione dei taxi e mi feci
portare all‟entrata del porto. Intanto la pioggia aveva smesso di cadere, così
m‟azzardai ad affrontare la lunga passeggiata a piedi tra gli innumerevoli
containers, dove ai tassisti era proibito entrare.
Poco dopo camminavo su quella strana terra rossa, resa compatta dalle
forti piogge, lasciando qua e là le impronte dei miei sandali. Intanto un
fulmine disegnò una crepa di fuoco rosso all‟orizzonte, illuminando una
grossa nuvola nera che si stava allargando nel cielo di Singapore.
A quel punto capii che non sarei sfuggita ad una bella doccia d‟acqua
piovana. Un attimo dopo le prime gocce mi caddero addosso, erano fredde e
pesanti come sassi. Poi la pioggia iniziò a cadere a catinelle, aggredendo il
mio corpo con violenza, mentre camminavo a rilento per la furia del vento e
la pesantezza dei vestiti bagnati fradici. Dopo una lunga battaglia con le
forze della natura, vidi comparire davanti agli occhi la grossa forma della
nave, che sotto quel diluvio m‟apparve sfocata.
- Certo - pensai - non dimenticherò facilmente la vigilia di Natale dell‟anno
1991.Salii a fatica su per la scaletta d‟imbarco e, giunta sul pianerottolo, mi
fermai un attimo, per lasciare cadere l‟acqua che sentivo scivolare lungo il
mio corpo. Vidi lo sguardo sbalordito del marinaio di guardia, che mi fissava
senza parole poi, mentre gli passavo accanto, domandò, con un mezzo
sorriso sulle labbra:
- Mummy, non sarai caduta in mare? Seria risposi: - No, è tutta colpa dei vostri violenti acquazzoni orientali! Intanto un altro marinaio che stava sopraggiungendo esclamò: - Oh, che
bel pulcino bagnato! Io scoppiai a ridere e poi aggiunsi: - No, sono solo una chioccia mezza
annegata! Ridemmo insieme, intanto m‟affrettai a raggiungere l‟ascensore per
andare in cabina a farmi una bella doccia calda. Più tardi, verso le sedici,
quando ritornai nella “hall” madame Kor aveva imbarcato due miseri alberi
di plastica e alcuni addobbi che sarebbero serviti per decorare il salone, in
occasione del Natale.
Quando ella mi vide, fece finta di niente e non mi degnò nemmeno di uno
sguardo. Non mi azzardai a salutarla, poiché il suo cattivo umore metteva
soggezione.
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Poco dopo, quando sbarcò, stavo parlando con Desery, che mi confessò di
essere preoccupata perché Marlo, l‟assistente dell‟amante, sembrava essere
nei guai, per un ammanco di circa venticinquemila dollari nella gestione che
con il G. M. Hong teneva per conto del Charterer. Correva voce che i due
avessero sottratto quel denaro di comune accordo, cercando di nascondere
la truffa, ma poiché erano stati smascherati, Marlo si era addossato tutte le
responsabilità per salvare l‟amico.
Nei giorni precedenti, mentre si parlava del sogno che avevo avuto a
proposito della nave che si sarebbe fermata, Marlo affermò che sarebbe
sbarcato per alcuni problemi personali. Le voci di bordo assicuravano che
era stato denunciato e che sarebbe sbarcato appena sostituito, giacché
l‟attendeva un processo per truffa.
Mentre Desery e Shirley tentavano di addobbare un albero di Natale,
arrivò Hong che mi domandò gentilmente:
- Elizabeth, tu che hai buon gusto, puoi aiutare le “hostess” a decorare la
“hall”? - Le ragazze felici gridarono:
- Si, si, tu sei brava, si vede da come sai esporre la merce nelle vetrine. Era veramente un onore per me, così assicurai entusiasta: - Ok, voi
terminate gli alberi di Natale, mi occuperò del salone. Poco dopo Hong mi portò un cartone pieno di festoni, già usati. Ad ogni
modo, anche se erano stati maltenuti, alla fine feci un buon lavoro.
Finalmente rendemmo il salone piacevole, per quell‟insieme di colori che
donavano allegria a tutti coloro che ammiravano la nostra opera. Quella sera
prima di recarmi al lavoro, andai a far visita ad Edward che,
sfortunatamente, dal dieci dicembre era costretto a letto per colpa di una
forte infiammazione ai tendini delle caviglie. Entrando nella sua cabina, lo
trovai seduto sulla sedia, allora domandai:
- Allora come vanno le tue caviglie? Egli sorridendo rispose: - Si, grazie a Dio ho finito questo calvario
preannunciato. Tu non sai quanto sia difficile starsene per quattordici giorni
stesi sul letto, con i piedi su di un cuscino. - Immagino che sia una rottura, in ogni modo oramai il peggio é passato! Edward sospirò, poi dopo una breve pausa aggiunse: - Sto meglio, però
non so di quanto tempo avrò bisogno per guarire del tutto. - Dobbiamo avere pazienza nella vita! - esortai.
- Già, comunque spero che non ti venga più voglia di sognarmi! - brontolò,
facendo finta di apparire serio, poiché stava scherzando.
- Ricordati - dissi seria - che non sogno solo eventi spiacevoli, ma anche
avvenimenti lieti. Dovresti comunque sapere che, anche se non ricevessi
questi messaggi attraverso il sogno, si avvererebbero lo stesso, perché
fanno parte del nostro destino. Insomma, non mi sento colpevole di ciò che
vedo attraverso il sogno, perché non sono io a crearli, infatti questi
messaggi mi vengono inviati dal mio sé superiore, la parte divina che è in
me, la quale vede il futuro.- Edward sorrise dolcemente, poi esclamò: Descrizione perfetta del fenomeno! 119
Scoppiammo a ridere divertiti, per quella sua espressione comica.
- Allora domani verrai a “sgambettare” alla festa dell‟equipaggio? - Purtroppo per il momento dovrò riguardarmi. - rispose Edward.
- Sai che ho avuto degli incubi? - confessai preoccupata.
- Racconta! - esclamò serio.
- Ho sognato di essere in un Hotel a Singapore e, mentre stavo entrando
nella mia stanza, un tipo minaccioso che rideva sarcasticamente
m‟aggrediva. Allora per difendermi, brandivo un pugnale e lo colpivo in una
spalla, ma mi rendevo conto che stavo combattendo contro un fantasma,
perché il mio pugnale lo trapassava come fosse aria. Così quella specie di
demonio scoppiava a ridere divertito e mi rincorreva, mentre fuggivo e
m‟arrampicavo su per le finestre e i balconi dell‟Hotel. Insomma, mi sono
svegliata mentre stava per raggiungermi. Ci fu una pausa ed infine Edward affermò: - Forse, in futuro, la
compagnia ti manderà in hotel a Singapore per trovare nuovi compratori e
avrai dei problemi da superare; oppure si tratta solamente dello stress che
tu subisci in questo periodo per colpa degli inconvenienti che ti sono
capitati. - Ho pensato anch‟io che si trattasse sia dello stress che della situazione
attuale, poiché mi sembra davvero di combattere contro un fantasma. Ad
ogni modo, credo anche che questi incubi diano delle indicazioni da non
sottovalutare, perché pochi giorni fa ho sognato che stavo affogando, ma
infine riuscivo a risalire e mi salvavo. Allora questo sogno indica lo stato
d‟animo della situazione passata, presente e futura. Probabilmente riuscirò
a superare momenti difficili per riuscire a rimanere a galla. - Già, è così - ammise Edward. pensieroso. Diedi un‟occhiata al mio orologio
da polso e brontolai:
- Ciao Edward, devo andare, sono già in ritardo. - Buon lavoro, Elisabetta! - augurò Edward, mentre uscivo in tutta fretta
dalla sua cabina.
QUINDICESIMO CAPITOLO: FUGA ALLA FINE DELLE FESTATE
Il giorno di Natale trascorse in fretta, per l‟allegria, la dolcezza, l‟affetto
e la sincerità con cui tutti mi porgevano gli auguri. Anche il G. M. si era
impegnato ad organizzare un pranzo speciale, probabilmente perché, giunto
a quel punto, non poteva più guadagnare sui pasti: oramai i suoi loschi
“businesses” erano stati smascherati. Quella sera, quando entrai nella
saletta equipaggio addobbata a festa, vi trovai un “buffet” pieno d‟ogni ben
di Dio.
Intanto il filippino che intratteneva l‟equipaggio, raccontando barzellette
al microfono, gridò quando mi vide:
- Mummy we love you! -
120
Il filippino e il coro dell‟equipaggio continuarono a gridare: - Mamma ti
amiamo! –
Commossa arrossii. Volevano che partecipassi ad un gioco che non era
certo degno di una madre, allora spiegai loro:
- Scusate, ma questo è un tranello per le ragazzine, non certo adatto per
la mamma dei bambini del Sole d‟Oriente. Urla e grida di gioia esplosero intorno, riempiendo il mio cuore di felicità.
Mi affascinava quell‟allegria che avevano dentro, con tanta voglia di vivere,
che contagiava anche me. Quando arrivò il capitano, ci fu un applauso
scrosciante accompagnato da urla e grida di gioia, poi insieme continuarono
a ripetere: - Captain we love you! (Capitano ti amiamo!) Egli, commosso, prese il microfono e, dopo aver tenuto un bel discorso,
augurò a tutti un buon Natale e ciò che disse provocò un‟altra esplosione di
grida, urla ed applausi. Infine vidi Edward che si era seduto vicino
all‟entrata e stava parlando con Desery, andai a salutarlo e gridai tra la
musica che in quel momento sembrava rompere i timpani:
- Buon Natale, Edward, come vanno le caviglie?
- Non c‟è male, sembra che riescano a tenermi in piedi, ma purtroppo non
resisteranno per molto. - Non ti preoccupare - aggiunsi scherzando - vedrai che per questa volta non
morirai! Sorrise allegramente, poi affermò:- Hai voglia di ridere, brava, divertiti!
Nel frattempo Desery mi fissava addolorata: - Insomma, cosa ti succede? chiesi curiosa, mentre ella si spostava verso la porta, sussurrando:
- Hong vorrebbe sbarcare perché è stanco delle chiacchiere che si fanno sul
suo conto e tremo dalla paura che mi lasci sola.
- Avanti piccola - risposi - impara a non roderti il fegato. Vedrai che
terminerà il suo contratto. Sbuffò nervosa, poi un barlume di speranza illuminò il suo bel volto,
infine ribatté con un fil di voce: - Speriamo che tu abbia ragione anche
questa volta. - Chi vivrà vedrà! - esclamai allegramente. Poi arrivò Hong e lei gli corse
incontro con ardore, ma dal suo sguardo assente e preoccupato si capiva
quanto egli fosse tormentato dai suoi problemi. Doveva essere certamente
terribile lasciare che un amico si addossasse un reato così grave, che si
riteneva avessero commesso assieme.
Da lontano captavo il suo dolore e, riflettendo sul guaio in cui si era
cacciato, sentii molta pena per Hong. Pensai che noi esseri umani abbiamo
continuamente bisogno di soffrire, per crescere e sconfiggere la nostra
grande ignoranza, il nostro sé inferiore, che ci trascina in fiumi di dolore.
Poi le mie considerazioni furono interrotte da Paolino, il secondo ufficiale di
macchina, che m‟invitò a ballare.
Trascorsi la serata ballando e gridando, in mezzo a quel meraviglioso e
pazzo equipaggio orientale, che mi chiamava “mummy”.
121
Il giorno dopo, in negozio, stavo scrivendo il fax da spedire a Mr. Willer
Wuner, quando vidi entrare raggiante di felicità Desery che affermò: Elisabetta, sono al settimo cielo! Sai, Mr. Sogreen si é complimentato con
me, per come conduco il mio lavoro da assistente commissario. - Meraviglioso! - esclamai felice - Sono orgogliosa di te! - T‟assicuro che ho dovuto impegnarmi parecchio! - Ci credo, altrimenti Mr. Sogreen non si sarebbe scomodato per
congratularsi. Vibrando di gioia ella rispose: - Si, sapessi come mi sento! - Immagino - risposi - che sarai emozionata! - Non vedi che me la sto facendo addosso? - disse ella scherzando, mentre
scoppiavamo a ridere insieme.
Poi il suo viso si rattristò all‟improvviso, allora domandai: - Insomma, che
ti succede adesso? Dopo una pausa ammise: - Maledizione, ora che potrei essere felice, c‟è
Hong che ha dei problemi. Sai che il suo amico Marlo sbarcherà a Singapore
il ventotto dicembre? - Sapevo che doveva sbarcare, ma non sapevo la data. Desery mi fissò seria e infine aggiunse: - Hong è molto addolorato per lo
sbarco di Marlo, e soffro molto quando, a volte, afferma che presto se
n‟andrà anche lui! La fissai in silenzio, poi risposi decisa: - Scusami Desery, ma sai già che
presto terminerà il suo contratto, perciò ti lascerà lo stesso. Per questa
ragione, vorrei che tu cercassi di allentare la passione che provi per lui,
altrimenti ti farai del male. Ella mi rivolse un‟occhiata nervosa, poi borbottò seccata: - Hai ragione,
ma non posso fare altrimenti. - Capisco! - brontolai, mentre ella mi girava le spalle allontanandosi, poi
sulla porta si girò e con un lieve sorriso ammise: - Ti voglio bene, perché so
che ti preoccupi per me. Tre giorni dopo, ero ancora in attesa di una risposta da Mr. Wuner. La
cosa incominciò a preoccuparmi seriamente. Quella notte, mentre
rimuginavo confusa da mille pensieri, in uno stato di dormiveglia mi accadde
una cosa straordinaria ed incredibile: sentii la presenza di un essere pieno
d‟amore che mi abbracciava affettuosamente. Dentro di me sapevo di
essere coccolata, e così stretti ci addormentammo assieme.
Al mattino, quando mi svegliai, la presenza spirituale si staccò
dall‟abbraccio, lasciandomi il cuore colmo di dolcezza. L‟evento mi
sconvolse perché, se quell‟energia divina si era preoccupata di confortarmi,
questa allora era una prova dell‟immenso amore di Dio per me.
Quel mattino, quando incontrai Edward, ne discutemmo insieme ed
anch‟egli rimase sconcertato e dubbioso. Dopo tutto era molto difficile
poter credere a qualcosa del genere. Era l‟unica persona a cui avrei potuto
raccontarlo, poiché sapevo benissimo che chiunque altro mi avrebbe preso
per una squilibrata.
122
Comunque, nonostante sappia che chi leggerà queste righe potrà
pensarlo, devo in ogni modo raccontare la verità che, di fronte alla
generosità divina, è solo un piccolo gesto di coraggio, anche se sarebbe più
facile rinunciarvi.
I giorni di festa trascorsero lieti e felici, per l‟allegria e la dolcezza di
tutto l‟equipaggio, che seguitava a circondarmi di attenzioni; ero
preoccupata, perché Mr. Wuner non aveva ancora inviato una risposta al
mio fax.
Il due gennaio 1992 mi svegliai trepidante ed emozionata, per un sogno
straordinario e per i suoi messaggi sul futuro della “Orient Sun.” Restai
ferma nella stessa posizione in cui mi ero svegliata e incominciai ad
analizzare il sogno: mi vedevo davanti alla nave ferma, in compagnia di mio
padre e del mio ex capo Valdettaro, anch‟egli morto di tumore nell‟inverno
del 1990.
Ridevano e mi assicuravano che, anche se la nave era stata fermata, io
sarei rimasta in franchigia. Poi mi vedevo in un piccolo bar, davanti alla
nave, dove offrivo un drink a Richard ed a Edward, perché dovevamo
festeggiare alcuni sogni che si erano avverati. Il sogno era certamente molto
chiaro, non c‟era tanto da studiare per interpretarlo.
Verso le ore otto e trenta mi recai nella saletta per fare colazione e vi
trovai Edward, Richard e il direttore di macchina Peedu, così, mentre mi
servivo il caffè, dissi loro: - Sapete che presto la nave si fermerà? Mi fissarono curiosi perché, se ciò doveva succedere, essi lo avrebbero
saputo certamente prima di me. Allora aggiunsi: - Ho sognato mio padre e il
mio ex boss Valdettaro che affermavano che la nave si sarebbe fermata, ed
io sarei rimasta in franchigia. - Avanti Elisabetta - brontolò Peedu che non credeva nelle premonizioni - in
fondo si tratta solo di un sogno! - Vedrai, avrò ragione. Ci saranno altri sogni che ho raccontato e che si
avvereranno. Intanto Richard posò la tazza sul tavolo e domandò: - Ad ogni modo, non
avevi già sognato che la nave si fermava? - Si, alcuni mesi fa ed è proprio per questa ragione che non ho dubbi.
Insomma, anche quando madame Liw Kier mi ha assicurato che si vociferava
che il Charterer stava passando la nave ad un altro noleggiatore, non le ho
creduto. - Intanto il direttore se ne stava ad ascoltare in silenzio, mentre
Richard aggiungeva: - Sarà difficile ad ogni modo che il Charterer possa
rompere il contratto, salvo che non scappi come un ladro. - Non sarebbe la prima volta che succede! - esclamai.
Nel frattempo Edward affermò sospirando: - Non sarebbe male se ci
fermassimo per un pò di tempo, perché questa nave viaggia sempre su e giù
senza sosta, come un treno. - Oramai non ho più dubbi! - assicurai, mi alzai in piedi e, prima di andare,
dissi a Richard: - Mi raccomando, se arriva un telex per me, chiamami
subito, ti prego! -
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- Sarà fatto! - rispose sorridendo, mentre m'inchinavo in segno di riverenza,
e loro ridevano divertiti.
Più tardi stavo servendo un cliente in negozio, quando vidi Richard che
entrava sventolando il fax che avevo atteso per tanti giorni.
- Ah, finalmente! - esclamai felice, mentre terminavo di servire un cinese.
Poi, impaziente, domandai: - Ci sono buone notizie? - Insomma, per chi mi hai preso, non leggo i fax dei clienti! - E fai bene! - esclamai ridendo, mentre mi girava le spalle brontolando: Me ne vado, perché sei insopportabile! – Allora lo supplicai: - Ti prego,
Richard, rimani e leggimelo tu, perché sono un pò nervosa. - Va bene, per questa volta farò uno sforzo! – Richard prese il telex e lesse:
- “Urgent” . Att. Miss Emaldi Elisabetta,
La ringrazio molto per avermi spedito il fax del 26 Dicembre „91.
Sono tornato due giorni fa ed ho immediatamente preso contatto con Mr.
Sogreen, ma la segretaria mi ha informato che era partito in vacanza e
tornerà il quattro gennaio. Oggi ho ricevuto un fax dal suo capo, sig.
Carosin, perciò la prego d‟informarlo che avrò un “meeting” con i miei
collaboratori il 6 gennaio e solo dopo potrò darvi una conferma. Per il
momento i miei collaboratori sono in vacanza ed apriremo il nostro ufficio
solo il quattro gennaio‟92. Grazie ancora e Buon Anno. Sincerely,
Willer Wuner.
Quando Richard finì di leggere il telex, domandò:
- Scusa Elisabetta, ma se si dovesse avverare il tuo sogno e la nave si
fermerà, neanche Mr. Wuner sarà più interessato a gestire il negozio! –
Preoccupata brontolai: - Già, è quello che stavo pensando anch‟io, sono
davvero in un mare di guai! –
Richard sorrise e, mentre se ne andava, aggiunse: - Per il momento la
nave sta ancora navigando. A questo punto mi venne in mente mio zio, che da alcuni giorni era
ritornato in ospedale, perché purtroppo stava male.
Meditando sul sogno del suo funerale, capivo che sarei in ogni caso
arrivata in tempo, per vederlo prima che lasciasse questo mondo. Così
ragionando, riuscii ad eliminare quell‟ansia che mi aveva aggredito
all‟improvviso.
Dovevo stare tranquilla e accettare il mio destino con ottimismo, perché
qualunque cosa mi capitasse, era comunque l‟ingrediente necessario che
serviva a perfezionare quella parte di me ancora imperfetta.
Riuscii a trascorrere alcuni giorni sereni, discutendo con i miei amici dei
probabili eventi futuri a bordo della “Orient Sun.” Più tardi, mi recai dal
capitano per sapere se c‟erano novità da parte del Charterer e mi spiegò
che probabilmente il mio sogno non si sarebbe avverato, poiché era molto
difficile che Mr. Kor interrompesse un contratto di diciotto mesi. Prese la
cartella e controllò ancora una volta e mi assicurò che chiunque delle due
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parti avesse rotto il contratto, avrebbe pagato una grossa penale. Per quella
ragione non era possibile che succedesse ciò che temevo.
Ad ogni modo non avevo dubbi, perché credevo profondamente nel
messaggio di mio padre e dell‟ex “Boss” Valdettaro.
Pensavo fosse improbabile che si disturbassero dall‟altra dimensione per
darmi un falso messaggio.
Il mattino del cinque di gennaio, verso le otto, ero a letto e nel
dormiveglia sapevo d‟essere nella mia cabina, quando ebbi una visione dove
mi vedevo davanti alla Casa Bianca in America, circondata da un gruppo di
persone vestite di nero che mi spingevano ad entrare, ma stupefatta
brontolavo rifiutando:
- Io alla Casa Bianca? Insomma, ma che cosa dovrei dire alle persone là
dentro? In quel mentre percepivo la presenza di due spiriti che si sedevano
ciascuno ad un lato del mio corpo, sul letto. Poi, improvvisamente, davanti
ai miei occhi appariva un bellissimo crocifisso d‟oro, con attaccato un libro
dalla copertina in oro incastonato di brillanti, che inviavano raggi
luminosissimi che splendevano come piccole stelle del firmamento. In quel
momento sapevo che il crocifisso rappresentava un grosso sacrificio, allora
preoccupata esclamai: - Santo cielo, per quale motivo dovrei fare un tale
sacrificio per scrivere un libro? Intanto udivo uno dei due spiriti che mi assicurava: - Tu racconterai loro
di questo e li conquisterai tutti! Il suono di quella voce era così sicuro che li avrei conquistati tutti, che
mi commosse profondamente.
All'epoca non potevo sapere che un grave problema alla vista mi avrebbe
resa quasi cieca. Quando ho incominciato a scrivere il racconto e poi la
sceneggiatura, avevo appena un decimo e poco più per occhio; mi sono
aiutata con una lente di ingrandimento, facendo, come potete immaginare,
un grosso sacrificio. Dalla mia esperienza onirica ho capito che un sogno si
può avverare dopo giorni, mesi e decine d‟anni, quindi il resto di questo
sogno premonitore si avvererà quando sarà il momento.
Il messaggio del sogno mi rese così felice, che mi preparai in fretta ed
andai a raccontarlo subito a Edward.
Gli dissi anche che non avrei fatto nessun commento su quel messaggio,
perché era veramente chiaro. L‟unico punto da chiarire era la Casa Bianca,
che poteva rappresentare il popolo americano.
Anche Edward rimase sconcertato per quest‟incredibile messaggio. Il
sette di gennaio, quando giungemmo a Singapore, tutto sembrava come
sempre, nessuno sospettava che sarebbe successo quello che in realtà stupì
tutti. Quel mattino, dopo lo sbarco dei pochi passeggeri che avevamo a
bordo, si notarono dei movimenti alquanto sospetti da parte dei pochi
collaboratori rimasti del Charterer.
Avevano da poco iniziato ad impacchettare tutto ciò che apparteneva a
Mr. Kor. Alcune ore dopo arrivò un camion, dove caricarono tutto, poi
anche gli impiegati sparirono senza lasciare nessun messaggio. Quando
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arrivarono i rappresentanti dell‟armatore, anch‟essi non sapevano cosa
fosse accaduto.
Giunta l‟ora dell‟imbarco dei passeggeri, fu annunciato che non sarebbe
avvenuto e che la nave avrebbe pernottato nel porto. Per fortuna l‟“Orient
Sun” era attraccata vicino al World Trade Center, dove c‟era una stazione
di taxi per raggiungere il centro.
Poco dopo, alla stazione marittima, incontrai Desery che come mi vide
esclamò: - Il tuo sogno si è avverato! Poi scoppiò a ridere e continuò: - Sembra che il Charterer sia scappato
con i suoi collaboratori, senza avvertire nessuno. - Non mi dire - esclamai perplessa - avevo intuito che se n‟erano andati, ma
non immaginavo certo che scappassero come dei ladri! - È una maniera per non pagare - aggiunse ella ridendo - a patto però che
non si faccia trovare, altrimenti gli costerà più della penale. - Già, immagino - ammisi - comunque non vorrei essere nella sua situazione,
perché se lo beccano finisce anche in prigione. –
- Credo che, se non troveranno subito un altro Charterer, perderemo il
lavoro. – brontolò Desery.
- Dai due sogni che ho fatto a proposito, sembra difficile che si riesca
trovare un Charterer.- Probabilmente hai ragione. – ribatté Desery allontanandosi, mentre
riflettevo sulle parole di mio padre e dell‟ex “Boss” che, nel sogno mi
avevano detto: - La nave si fermerà e tu rimarrai in franchigia.Era una frase che lasciava supporre che sarebbe rimasta ferma per
parecchio tempo. Certamente era una rivelazione che mi preoccupava,
perché vendere la merce di un negozio che si poteva gestire, era molto più
facile che venderla a qualcuno che doveva trasportarla da qualche altra
parte.
Mi rattristava soprattutto sapere che il lavoro di tutto l‟equipaggio era a
repentaglio. Il giorno dopo, la segretaria di Mr. Wuner, per telefono, mi
assicurò che avevano saputo dell‟accaduto e, in ogni caso, erano interessati
all‟acquisto della merce. Mi chiese di prendere contatto con lei, entro una
settimana, per fissare un appuntamento per vedere la merce.
Verso mezzogiorno e trenta, la nave fu trascinata fuori in rada, in mezzo
a migliaia di navi straniere, che attendevano settimane e a volte mesi,
prima di poter sbarcare il loro carico nel porto di Singapore. Ci fu subito
comunicato che la nave sarebbe rimasta in rada, nell‟attesa di un altro
Charterer.
L‟agenzia di Singapore, date le circostanze, doveva contenere le spese,
perciò ci sarebbero state solo due lance al giorno, una alle diciotto per
trasportare l‟equipaggio in porto, e una a mezzanotte per ritornare a
bordo.
Chi era libero durante il giorno e voleva andare a terra, doveva
affrontare una spesa di circa ottanta dollari di Singapore per andare, e
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altrettanti per tornare. Ma chi poteva affrontare una spesa del genere per
andare e tornare?
Da quel momento mi sentii come segregata all‟interno di una grossa
prigione di metallo, che girava attorno alla sua ancora. Ma alcuni giorni
dopo avevo già imparato come si faceva ad uscire durante il giorno da quella
specie di prigione con una modica spesa.
Chiunque volesse uscire dalla nave durante il giorno doveva avvisare il
comando. Il giorno dopo andai dal capitano e lo trovai intento a costruire un
veliero in miniatura. Esclamai sorpresa: - Stupendo, lei é un artista! Sorrise dolcemente e rispose: - Mi passo un pò il tempo. - Immagino che ora avrà il tempo per terminarlo. - Purtroppo sarà così. - Allora, comandante, ha visto che si è avverato quel sogno in cui lei non
credeva? - Ho notato, ho notato! - esclamò pensieroso, mentre faceva una pausa,
fissandomi serio. Poco dopo riprese a lavorare al veliero e domandò: - Deve
uscire? - Si, uscirò quasi tutti i giorni per trovare altri compratori, in caso non vada
a buon fine con Mr. Wuner. - Ok! Buona fortuna! - Grazie e buon lavoro! - aggiunsi, mentre uscivo dalla sua cabina.
Passai dal ponte di comando e vi trovai di guardia Roldan.
- Sono orgogliosa di te, so che sei stato promosso secondo ufficiale! - dissi
felice.
- Ti ringrazio, sei davvero gentile! - esclamò con affetto.
Poi continuò: - Scommetto che tu desideri che ti fermi la prima scialuppa
che passa di qui, vero?
- Si, altrimenti devo attendere delle ore perché, mentre passano vicino al
portellone, anche se li chiamo spesso non mi vedono e nemmeno mi
sentono.- È normale, quelle scialuppe hanno dei motori rumorosi e, se il conduttore
non ti vede quando fai il segnale, non potrà di certo sentirti. Roldan prese il cannocchiale e, mentre guardava attraverso le sue lenti,
tra le navi ferme, che danzavano attorno alle loro ancore, suggerì: - Ad ogni
modo, non sarebbe meglio per te stare in hotel? - Il mio Capo ha insistito perché ci andassi, allora gli ho raccontato uno
sogno che ho avuto alcune settimane fa, dove m‟aggredivano, mentre
entravo nella mia stanza dell‟hotel e l‟ho convinto. Posò il cannocchiale e aggiunse: - Hai fatto bene, lo avrei fatto anch‟io se
avessi sogni premonitori. Hai comunque fatto una buona scelta, perché così
risparmi anche un sacco di denaro alla compagnia. -
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- Già - ammisi sorridendo - fermare una lancia di passaggio mi costa solo
dieci dollari, poi alle 17.30 mi faccio trovare all‟arrivo della scialuppa che
porta l‟equipaggio a Singapore, così non mi costerà denaro. - Ti sei organizzata bene, mi sembra! - esclamò Roldan. Poi aggiunse
indicandomi con l‟indice una scialuppa che stava lasciando una nave da
carico: - Ecco, se scendi giù al portellone, farò segno alla scialuppa che sta
avvicinandosi, piena di baldi marinai, di fermarsi. Gridai, mentre mi avviavo veloce verso l‟uscita: - Scendo subito, grazie,
ciao! Poco dopo mi trovai davanti al portellone, da dove vedevo avvicinarsi la
piccola imbarcazione. Poi una volta giunta sul pianerottolo, Roldan si
affacciò dal ponte di comando e mi fece segno che entro pochi minuti
avrebbe abbassato la scaletta.
Cinque minuti dopo scendevo lentamente, mentre le onde provocate
dalla scialuppa che si stava avvicinando sbattevano contro gli ultimi gradini
della scaletta. Allora mi fermai a metà strada, mentre sotto di me tutto
oscillava in balia delle onde, fortunatamente la lancia si appoggiò alla nave,
saltai e finii tra le braccia di un marinaio, che mi posò sulla scialuppa;
intanto un coro di grida e urrà mi ricordò la vera natura di quel tipo di
marinaio, che trascorreva mesi in mare aperto, senza vedere una donna.
Guardando in quegli occhi curiosi, mi resi conto che essi vivevano
davvero una vita piena di sacrifici e solitudine. In quel momento provai per
loro tanta pena e compassione. Mezz‟ora dopo la scialuppa attraccò a
“Clifford Pier”. Allora pagai e poi salutai i baldi marinai, come li aveva
definiti Roldan, e me n‟andai per le strade di Singapore a cercare
acquirenti.
Nel pomeriggio, dopo aver preso inutilmente contatto con parecchie
compagnie, decisi di telefonare alla segretaria di Mr. Wuner per stabilire la
data in cui egli e i suoi collaboratori sarebbero venuti a vedere la merce. La
donna mi assicurò che avevano deciso per il giorno quindici e avrei dovuto
attenderli a bordo, nelle prime ore del mattino.
Alcuni giorni dopo, le mie ricerche di nuovi compratori erano diventate
inutili, per l‟esistenza d‟alcune leggi doganali di Singapore, che non
permettevano il trasferimento della merce nell‟isola. Mi domandavo come
avrebbe fatto Mr. Willer Wuner a superare quegli ostacoli, in caso avesse
deciso di comprarla.
Purtroppo tutto stava diventando un incubo terribile, interminabile, e mi
sembrava davvero di combattere contro un fantasma che mi derideva. In
quel momento captai il messaggio del sogno.
La sera del dodici di gennaio ero seduta a poppa e stavo discutendo del
problema con Edward e Richard. Quando raccontai loro che la dogana di
Singapore aveva leggi molto severe per chi intendeva sbarcare merci duty
free nell‟isola, Richard suggerì: - Mi chiedo perché non ti decida a spedire la
merce in Italia con un container. –
Guardavo le luci di un aereo che dall‟isola sfrecciava nel cielo stellato,
verso l‟Europa, e brontolai: - Alcuni mesi fa ne parlai al capo e mi disse che
sarebbe costato una fortuna, quindi non ne valeva la pena. 128
Richard mi fissò con i suoi occhi neri, incredulo, poi ribatté: - So che
spedire un container in Europa non costa più di tremila dollari! - Davvero! - esclamai - allora domani m‟infornerò sui prezzi ed avviserò la
mia compagnia! - Forse - disse Edward felice - hai risolto i tuoi problemi! - Sono sicuro - aggiunse Richard - che la merce che ti è rimasta entrerà tutta
in un container! - Lo credo anch‟io! - esclamai felice. Intanto arrivarono Lisa e Colin, che si
sedettero insieme con noi sotto quel cielo nero, trapuntato di stelle.
- È vero che presto sbarcheranno tutti i marinai birmani? - domandai
curiosa.
- Si, poiché non é facile trovare un nuovo Charterer - rispose Richard.
- Certamente, ora sono tutti arrabbiati! - aggiunse Lisa preoccupata.
- Per quale ragione? - chiesi curiosa.
- Sicuramente perché devono sbarcare prima dei filippini! - affermò Edward.
- Insomma, per quale ragione devono sbarcare prima? - domandai
interessata. Intanto una folata di vento caldo mi accarezzò i capelli, poi
Richard rispose serio: - Immagino si tratti di una questione di denaro,
poiché il biglietto di viaggio di un birmano é meno costoso di quello di un
filippino. In caso trovino un nuovo Charterer, dovranno farli ritornare a
bordo. Ad ogni modo, i birmani sono nervosi e si sentono bersagli di
razzismo.In quel momento arrivarono Shirley, Lydia e Rayu le quali si
accomodarono nelle sdraio accanto a noi.
Arrivò anche Kristian che si sedette accanto a me ed interrogò:- Allora,
Elisabetta, quando ti libererai del tuo fardello? - Soltanto nel caso che i tuoi polli volanti si decidano a trasportarmi in volo
in Italia. Un‟esplosione di risate echeggiò intorno, Kristian mi fissò in silenzio, con
i suoi occhietti furbi, poi affermò:
- Speriamo, così finalmente ci libereremo di te! - Comunque, non sei divertente - aggiunsi sorridendo - perché, se avessi
potuto, me ne sarei già andata. Capisci? - Sono sicuro - affermò Edward - che quando ci lascerai, ci mancherai molto.
- Certo - intervenni - dove lo troverete un altro capomastro come me,
come dice sempre Edward? Eh! Ditemelo un pò voi! Un coro di grida, urla e risate esplose nel silenzio della notte.
Continuammo a scherzare e a divertirci insieme, poi Colin ci raccontò delle
barzellette che ci fecero ridere a crepapelle. Infine Kristian ci narrò delle
storie che gli erano capitate a bordo di navi dove aveva lavorato. Così finì
per raccontarci di un incendio che egli stesso era riuscito a spegnere,
mentre i suoi assistenti se l‟erano data a gambe.
129
In quel momento mi ricordai del sogno dell‟incendio d‟alcuni mesi prima,
allora affermai rivolgendomi a Kristian:
- Per la sicurezza di tutti, è meglio che tu, Kristian, sappia che Mr. Tono,
Shirley ed io abbiamo avuto un sogno collettivo, dove nel bel mezzo della
notte, scoppiava un incendio a bordo. Tempo fa ho sognato che vedevo
uscire del fumo dai due portelloni centrali della “Orient Sun”, perciò
sarebbe meglio che tu e gli altri ufficiali prestiate attenzione, giacché si è
rivelato un sogno collettivo e potrebbe essere premonitore. Tutto intorno si era fatto silenzio, e Kristian, senza dare troppa
importanza a ciò che avevo appena raccontato, protestò:
- Avanti Elisabetta, non credo nei sogni premonitori. –
Certamente nessuno in quel momento avrebbe potuto imm. aginare che,
proprio durante quella notte, sarebbe scoppiato l‟incendio a bordo. Poi
intervenne Colin con battute simpatiche e infine, dopo una risata e l‟altra,
si fece tardi. Verso mezzanotte ognuno di noi si ritirò nella propria cabina
per andare a dormire.
SEDICESIMO CAPITOLO: L‟ ALLARME A NOTTE FONDA
Stavo dormendo profondamente, quando l‟allarme dell‟incendio a bordo
e il don dell‟altoparlante del ponte di comando mi svegliarono di
soprassalto. Balzai seduta sul letto, mentre la voce del comandante
ordinava: - Questo allarme segnala un incendio a bordo, i pompieri e gli
addetti a spegnere il fuoco si rechino d‟urgenza al secondo piano. Presa dal panico, non sapevo se vestirmi o fuggire in pigiama, quando per
la seconda volta, la voce arrabbiata del comandante urlò al microfono: - Il
secondo ufficiale Roldan è pregato di ritornare al suo posto di guardia. Tutto
l‟equipaggio, d‟urgenza, deve recarsi alla lancia numero otto, nell‟attesa di
nuovi ordini per lo sbarco. Velocemente indossai la mia vestaglia cinese, nera con un grosso drago
bianco e rosso, la giacca di salvataggio e corsi fuori in corridoio, dove trovai
gli ufficiali in preda al caos; alcuni non avevano indossato la giacca di
salvataggio,quindi ritornarono nelle cabine a prenderla. Infine andammo di
corsa al “sun deck”, ci sporgemmo dalla ringhiera destra e vedemmo il fumo
grigio uscire dal portellone e salire verso il cielo nero.
Preoccupati e nervosi ci avviammo alla scialuppa, che si trovava nel lato
sinistro della nave. I marinai addetti, Noel e Gabriel, avevano già abbassato
la lancia, ma prima di salire, dovevano attendere l‟ordine del comandante.
Intanto tutto l‟equipaggio, non addetto a spegnere l‟incendio, si era
appoggiato alla ringhiera a fissare incredulo il denso fumo uscire dal
portellone sinistro, che si trovava al centro della nave, al quarto piano.
L‟aria fredda della notte mi penetrava nelle ossa, mentre alcune filippine
iniziarono a piagnucolare, allora il marinaio Nikola ci fece entrare in un
salone con l‟entrata davanti alla lancia. Tutti tremavamo per il freddo,
infatti, eravamo mezzi nudi, poiché nella fuga nessuno aveva avuto il tempo
di vestirsi, adeguatamente.
130
- Per favore, che ore sono? – domandai, Shirley guardò al suo orologio da
polso e mi rispose tremando: - Le due e quaranta! Poi alcune ragazze incominciarono a singhiozzare, allora io e Desery
gridammo all‟unisono: - Smettetela di piangere! –
Le giovani donne continuarono, perciò aggiunsi seccata: - Avanti finitela,
in fondo saremo i primi ad abbandonare la nave, se non dovessero riuscire a
spegnere l‟incendio. Pensate a quelli che stanno davvero rischiando la loro
vita, nel tentativo di trovare il fuoco in mezzo a quel fumo nero. Per un attimo regnò il silenzio, poi incominciarono a vociferare tra loro.
Poco dopo Shirley mi passò accanto senza parlare e mi fissò pensierosa,
allora immaginai che anche lei, come me, fosse concentrata a riflettere sul
nostro sogno collettivo che si stava avverando. Poi pensai a Mr. Tono che
aveva avuto lo stesso sogno premonitore, ma che, fortunatamente, era
sbarcato prima dell‟evento.
Il tempo trascorreva e nell‟aria aleggiava paura e terrore, ma ero
tranquilla, perché nei sogni collettivi sull‟incendio non c‟era indicazione di
morti o feriti. Avevo la certezza che i nostri eroi avrebbero spento il fuoco
in tempo. Effettivamente, alle 3.30, l‟altoparlante ammutolì tutti e la voce
rassicurante del nostro capitano annunciò:
- Vi comunico che, fortunatamente, il fuoco é stato spento dai nostri
coraggiosi uomini, e pertanto l‟equipaggio può tornare nelle proprie cabine
a dormire. Buona notte.Urla e grida euforiche di gioia esplosero all‟improvviso, un forte applauso
fu dedicato ai nostri eroi, che avevano davvero rischiato la loro vita per
adempiere al proprio dovere. Uscimmo sul ponte “passeggiata” mentre i
marinai Noel e Gabriel stavano tirando su la lancia. Poi la sirena della
motovedetta della guardia costiera attirò la nostra attenzione: stavano
arrivando anche i pompieri da Singapore, dal ponte di comando il nostro
Capitano segnalò che l‟incendio era stato spento, quindi , sparirono nel buio
della notte verso il porto.
Prima di andare a letto mi soffermai ad osservare le centinaia di navi,
che con le loro sagome oscure, contro la luce argentea della luna, mi
facevano pensare a tenebrosi velieri pirata. Camminando, avevo raggiunto
l‟altro lato della nave, da dove vedevo spuntare dall‟isola di Singapore le
alte sagome dei grattacieli fioriti di luci che si perdevano nel cielo nero.
Il giorno dopo, alle dieci, quando mi recai in saletta per il “coffee time”,
vi trovai gli ufficiali di macchina, che come al solito stavano sorseggiando il
loro caffè; Kristian, quando mi vide, si alzò in piedi ed esclamò:
- Oh! Our “Witch Queen of Orient Sun” is coming ! (Oh! Sta arrivando la
nostra “Strega Regina del Sole d‟Oriente”!) - Scoppiammo a ridere insieme.
Intanto Edward, che era appena entrato ed aveva udito, intervenne
ammettendo:
- Espressione perfetta, per descrivere Elisabetta! - Kristian, sei eccezionale! - esclamai - mi hai suggerito il titolo del libro che
scriverò sull‟incredibile avventura che ho vissuto a bordo nella “Orient
Sun”. 131
- Bene! - gridò Kristian felice. Intanto Richard, che stava uscendo dalla
“riposteria”, domandò:
- Non mi avevi promesso che avresti intitolato il tuo libro “The Children of
Orient Sun”? - (Bambini del sole d‟Oriente)?
- Si, ma ora penso che sarebbe più giusto che usi quel titolo per il capitolo
dove descriverò l‟ammutinamento. - Veramente… - aggiunse Richard, mentre lo interrompevo:
- Tu, Richard, e Edward sarete i protagonisti nel mio libro, dopo di me
naturalmente! Non vi basta? - Stupendo! - affermarono sorridendo. - Allora - domandai - voi che siete i miei testimoni mi permetterete di usare
i vostri veri nomi? - Diventeremo tutti famosi! - affermò Edward sorridendo.
- Non solo - sussurrai - ma avrete l‟onore di testimoniare al mondo la realtà
del sogno premonitore. Scoppiarono a ridere divertiti.
- In ogni caso, ho ancora bisogno di voi, se me lo permetterete - Spiegaci che cosa vuoi ancora - chiese Richard dopo una pausa.
- Vorrei che questa sera vi faceste intervistare per testimoniare l‟accaduto,
mentre qualcuno vi filmerà, con la nuova telecamera di Kristian.
Ci fu un lungo silenzio, poi sotto mia insistenza Edward e Richard
annuirono, allora anche Peedu e Kristian acconsentirono.
Così, sorridendo felice, raccomandai: - Benissimo, vi aspetto questa sera,
qui in saletta! Insomma, con il vostro aiuto, potrò inviare una copia della
video cassetta, con le testimonianze, allo scienziato americano Dr. David
Riback di Atlanta, che purtroppo ha difficoltà a far capire agli scettici che i
sogni premonitori esistono. Adesso però, spero vorrete raccontarmi com‟è
scoppiato l‟incendio.- Faccio delle ipotesi: siccome abbiamo trovato una bottiglia di cognac
vuota, in una delle cabine bruciate, qualcuno dell‟equipaggio è entrato
nella cabina dei passeggeri a scolarsi la bottiglia, quindi in preda all‟alcol
potrebbe aver lasciato cadere inavvertitamente una sigaretta accesa sul
materasso, altrimenti ha appiccato il fuoco volontariamente - raccontò
Kristian.
- Ipotesi comunque! - dissi - Le voci di “caruggetto” assicurano che sia stato
un atto di pirateria da parte dei birmani, perché saranno costretti a
sbarcare prima dei filippini. - Già! - aggiunse Kristian - potrebbe anche essere, ma ci vogliono le prove,
che non abbiamo.- Sarà difficile trovare le prove - intervenne Peedu - poiché se ce n‟erano
ora si sono bruciate nell‟incendio. - Fortunatamente - affermò Richard - i danni non sono ingenti, si sono
bruciate solo alcune cabine e il corridoio. 132
- Ad ogni modo - assicurò Kristian - c‟era troppo fumo e per noi é stato
tremendo trovare l‟incendio, non si vedeva niente, tutto il piano era invaso
da un terribile fumo tossico. Siamo usciti da quell‟inferno correndo fuori
all‟aperto, tossendo, mezzi intossicati.- Deve essere stato terribile! Comunque complimenti, siete degli eroi! esclamai seria, pensando a quello che avevano dovuto affrontare.
- Grazie! Grazie! – Risposero gli ufficiali sorridendo.
Poi alzandomi in piedi, brontolai: - Ora vado a fare l‟autostop alla prima
scialuppa che passa, poiché devo raggiungere Singapore. Andrò da Roldan a
chiedere aiuto. Mi fissarono in silenzio e, dopo una pausa, Richard sussurrò serio: Roldan non c‟è più! - Insomma, a quest‟ora c‟è lui di turno! - insistetti.
- C‟era, ma adesso non c‟è più! - aggiunse Kristian. Mentre ascoltavo
incredula Richard raccontò:
- Ieri notte, alle 2.20, quando è saltato l‟allarme, doveva essere di guardia,
perché hanno cambiato i turni, ma purtroppo Roldan aveva lasciato il ponte
di comando: infrazione molto grave e punibile dalla legge. Devi sapere che
lo staff captain è stato svegliato dall‟allarme e, quando è corso sul ponte, di
Roldan non c‟era neppure l‟ombra. - Già, è stato fortunato - intervenne Edward - perché, se ci fosse stato il
capitano Michael, probabilmente a quest‟ora si sarebbe giocato la carriera
da ufficiale e gli avrebbero tolto il libretto di navigazione. - Che cosa gli è successo? - chiesi preoccupata.
- Il nostro capitano - disse Richard - che ha un gran cuore, l‟ha solamente
sbarcato. Roldan è un bravo ufficiale, aveva appena ricevuto una
promozione a secondo ufficiale di coperta. Sapeva che nelle ore di guardia,
per nessuna ragione si può abbandonare il ponte di comando. In ogni modo,
poiché il nostro comandante é comprensivo, ha pensato che avrebbe
imparato la sua lezione perdendo il lavoro, perciò ha pensato bene di non
fargli togliere il libretto di navigazione.- Stimo molto il nostro capitano - ammisi commossa - perché è davvero una
brava persona. Ora però vi devo lasciare, è tardi, devo correre a prendere
la prima scialuppa che passa, ciao! - gridai correndo via di corsa, mentre i
loro saluti echeggiavano nella saletta.
Quella sera, quando ritornai a bordo con la scialuppa che aveva portato a
terra l‟equipaggio, incontrai Shirley che stava per scendere e le domandai: Ora che il nostro sogno collettivo dell‟incendio si è avverato, devi scriverlo,
così lo invierò, insieme alla videocassetta, con la testimonianza degli
ufficiali, al Dr. David Riback ad Atlanta. Shirley si era messa in fila per scendere sulla scialuppa e, mentre si
muoveva verso l‟uscita, gridò: - Si, si, lo scriverò domani, ciao! - Buona serata! - esclamai soddisfatta, mentre scendeva lungo la scaletta di
sbarco.
133
Più tardi, quando salii in coperta ad osservare il tramonto, vi trovai
Desery seduta sulla sdraio a fissare il sole che stava calando tra le centinaia
di navi da carico. Osservai colpita per un attimo quelle forme strane che
contro il sole sembravano dei velieri fantasma e che giravano lentamente
attorno alle loro ancore. Poi mi sedetti accanto a lei, mentre meditavo sullo
splendore di quella vista spettacolare, che mi trasmetteva vibrazioni
misteriose che risuonavano dentro di me, come note musicali.
- Mercoledì, dopo lo sbarco dei birmani, se n‟andrà anche Hong e non lo
vedrò più. - borbottò Desery addolorata.
- Ma perché non potrai più vederlo? - chiesi curiosa.
Ella volse lo sguardo al sole che stava affondando nelle acque rosse come
il sangue e brontolò:
- Mi ha pregato di non cercarlo più! Capisci? Ha affermato che fra qualche
mese diventerà padre. Maledizione, non vuole assolutamente che l‟ombra
del passato possa distruggere l‟armonia della sua famiglia. Sospirai, mentre guardavo l‟ultimo quarto di sole sparire nelle acque
tinte dai raggi che si riflettevano nel cielo.
- In fondo- risposi - non è la fine del mondo. Osserva le meraviglie divine
che ti sbocciano intorno, e vedrai che sopporterai anche questa piccola
tragedia. In ogni caso, dopo questa lezione, la prossima volta, ti concederai
solamente ad un uomo libero, che ti amerà veramente e potrà darti ciò che
non ti ha concesso Hong. - Già, sarà così! - esclamò con un nodo alla gola. Poi alzò lo sguardo verso le
prime ombre della sera, che stavano allargandosi nel cielo. Così trattenendo
le lacrime, si alzò in piedi e sussurrò: - Scusami, ma devo andare. Rimasi senza parole, mentre Desery andava a nascondere i suoi singhiozzi
in cabina. Quella sera, verso le ventuno, mi recai in saletta ad attendere i
miei amici per far filmare le loro testimonianze. Poco dopo arrivò Lisa, poi
anche gli ufficiali. Per un imprevisto Richard non poté venire, ma mi
promise che gli avrei fatto l‟intervista un altro giorno. Ad ogni modo, dopo
vari tentativi, mi resi conto che avevo bisogno di un intervistatore.
Colin era già entrato e uscito parecchie volte dalla saletta, ma non avevo
avuto il coraggio di chiederglielo. Poi, come per incanto, ritornò e Edward
affermò: - Chi potrebbe fare un‟intervista meglio di un giornalista come
Colin? Fu molto gentile, prese la palla al balzo e rispose: - Volentieri, in fondo è
il mio mestiere.Colin domandò a Lisa, la sua assistente. di filmare l‟intervista. Ci
sedemmo intorno al tavolo del comando, con Colin al centro, e alle 22.28
del tredici gennaio iniziò l‟intervista ai testimoni di alcuni dei miei sogni
premonitori.
Alla fine dell‟intervista, Colin mi fissò stupito, poi ammise: - Veramente
interessante! - Colin - dissi seria - ti ringrazio con tutto il cuore, tu non sai quanto sia
importante per me questa testimonianza. 134
- È stato un evento incredibile anche per me, cara! - esclamò commosso.
Kristian ci fece vedere l‟intervista e Edward esclamò soddisfatto: Elizabeth, la testimonianza è venuta registrata bene! - Si, sono davvero felice. Mi passò davanti Peedu, che sorridendo domandò: - I hope to have a copy
too. Good night Elizabeth! - (Spero di averne una copia anch‟io. Buona
notte Elisabetta!)
Peedu era un uomo che stimavo molto per la sua serietà e
professionalità, avrei voluto dimostrarglielo, ma mi limitai a dire: - Non so
come ringraziarti, e vedrai che non dimenticherò di fartene avere una
copia. Buona notte! Il direttore aprì la porta ammettendo: - Credimi, è stato un piacere! Poi sparì dietro la porta, mentre pensavo che era un uomo di poche
parole, ma certamente una brava persona.
Nel frattempo Edward domandò: - Elisabetta, potrò averne una copia
anch‟io? - Certo, te la farò avere con molto piacere, quando sarà terminata. - Insomma, che cosa devi registrare ancora? - Richard mi ha promesso - risposi - che filmerà per me la testimonianza di
Shirley, e i resti dell‟incendio. Poi intervisterò Richard e Maung sui sogni
premonitori che gli ho raccontato prima che si avverassero, infine Richard
filmerà anche la nave ferma in rada, per dimostrare che essa è stata
davvero fermata di fronte all‟isola di Singapore, tra le navi da carico. –
Edward scoppiò a ridere ed esclamò: - Sei diventata peggio di una
giornalista! Ridevo anch‟io con lui, mentre Kristian affermava avviandosi all‟uscita: Altro che giornalista, quella è “la Strega Regina del Sole d‟Oriente!”
- Non sono molto d‟accordo con la “strega” - brontolai seria - comunque
accetto il titolo perché è simpatico… Kristian mi interruppe affermando: - Pensa, Edward, che io non credevo
nei sogni premonitori, ora devo anche crederci, per colpa di questa strega! –
Una risata collettiva si propagò nella saletta.
- Ora devi ammettere che i sogni premonitori esistono, perché tu stesso
sei un testimone - brontolai - però puoi sempre comportarti come gli
scettici, che anche davanti all‟evidenza insistono che tutto avviene per
caso. Invece niente succede per caso, e tutto ha ragione d‟essere, per
l‟evoluzione interiore dell‟uomo! –
- In queste circostanze il caso non esiste - ammise Edward - perché
altrimenti sarebbero troppi. Kristian, che stava scherzando per indispettirmi, sorridendo ribatté: Allora, che cos‟è, se non è un caso? -
135
- Senti piccolo selvaggio - gridai - il noto studioso di parapsicologia Massimo
Inardi ha affermato che vivo situazioni paranormali, sotto forma telepatica,
chiaroveggente e soprattutto precognitiva. - Insomma, che roba è ? - interrogò Kristian ridendo.
- Non c‟è niente da fare - brontolai - sei incorreggibile, quindi sparisci,
prima che perda la pazienza! –
Egli esplose in una risata fragorosa ed uscì. Mentre tutti ridevano
divertiti, augurai la buona notte e andai a dormire.
Il giorno dopo, il quindici gennaio, quando passai dall‟ufficio
informazioni, l‟assistente commissario Shirley Kok mi consegnò, come mi
aveva promesso, la lettera dove descriveva il suo sogno premonitore
dell‟incendio a bordo. Poi con un sorriso sulle labbra affermò: - Noi due
abbiamo stupito il G. M. Hong: dovevi vederlo che espressione aveva quando
ha visto che si è avverato il nostro sogno collettivo! - Non è il solo! - esclamai - sono contenta comunque, così tutti capiranno
finalmente che, durante il sonno, si possono avere messaggi sul futuro. - L‟ho capito da un pezzo! - esclamò Shirley convinta.
- Bene! però ho bisogno di un altro favore, se tu permetti. Ella mi fissò curiosa, poi chiese: - Allora, che cosa vuoi ancora? - Vorrei che tu raccontassi il tuo sogno davanti ad una telecamera. - Ho capito bene? - Avanti non sarà difficile, ti farò l‟intervista e Richard ti riprenderà con la
telecamera. Ella scoppiò a ridere e chiese: - Insomma, a che cosa ti servirà? - È molto semplice cara, per gli scettici. - Ok allora! - A più tardi! - gridai, mentre mi salutava con un gesto della mano.
Andai nella “hall” ad attendere i rappresentanti di Mr. Willer Wuner, e vi
trovai i birmani che attendevano le scialuppe per sbarcare. Ovunque mi
aggiravo, andavo a sbattere contro valigie, borse, sacchetti e, quando
alzavo lo sguardo, incontravo gli occhi tristi di quei poveri ragazzi, che
purtroppo avevano perso il lavoro.
Alcuni di loro mi raccontarono le loro paure e preoccupazioni. Poco
dopo, quando arrivarono le scialuppe, i birmani mi salutarono sforzandosi di
apparire tranquilli, ma dal loro viso traspariva angoscia e dolore. Intanto
arrivò Hong, che con un sorriso sulle labbra affermò:
- Elisabetta, prima di sbarcare volevo dirti che sono rimasto colpito dai tuoi
sogni premonitori. - Non sei il solo!- ammisi, mentre mi stringeva la mano sussurrando: - Addio
e buona fortuna! Poi vidi Desery che stava seguendo lo sbarco del suo ex amante da
lontano. Dal suo viso triste e dagli occhi gonfi, capii che aveva appena finito
di piangere, comunque feci finta di nulla e mi allontanai.
136
Trascorse tutta la mattinata, ma dei rappresentanti di Mr. Willer Wuner,
neanche l‟ombra.
Ad ogni modo, la cosa non mi preoccupo più di tanto. Avevo già trovato
una Compagnia che avrebbe spedito la merce in Italia. Dopo pranzo arrivò
Richard con la cinepresa di Kristian e alle 12.41 feci l‟intervista a Shirley.
Poi, per la prima volta, scesi al secondo piano, dove c‟era stato
l‟incendio. Poco dopo Richard filmò il corridoio che era tutto nero e
bruciacchiato, naturalmente così erano anche le cabine. I materassi
addirittura carbonizzati erano stati trasportati nel “car-deck”, le cabine
erano già state pulite, perciò furono filmate sole le paratie nere e
bucherellate dal fuoco.
Terminata l‟escursione in quel luogo impressionante, Richard mi portò
alla stazione radio, dove intervistò il suo assistente Maung su di un sogno
che gli avevo raccontato alcuni mesi prima che si fosse avverato.
Quando terminai di intervistare Richard, andammo sul ponte di comando
a filmare la nave ferma davanti all‟isola di Singapore. Quel giorno,
purtroppo, pioveva a dirotto, in ogni caso nel filmato si vedevano i bei
grattacieli, il porto tra la folta pioggia, il ponte di comando e il nome della
nave su di una scialuppa di salvataggio nel diluvio.
A quel punto mi sentii soddisfatta, avevo abbastanza prove.
DICIASETTESIMO CAPITOLO: FINALMENTE IL SOSPIRATO SBARCO
Nei giorni seguenti, dovetti ancora penare parecchio, perché purtroppo
lo “shipping company” che avevo scelto per spedire la merce in Italia mi
aveva nascosto che non aveva la licenza. Scoprii che il capo voleva fare da
tramite con un‟altra compagnia di spedizione con licenza, per spillare una
percentuale e aumentare le spese.
Con l‟aiuto del mio capo Delopera, comunque, presi contatto con la
“Fratta Shipping Company.”
affrontai una marea di problemi, per colpa delle severe ed esigenti leggi
doganali. Dopo alcuni giorni di lavoro duro, feci l‟inventario, preparai 171
colli da trasportare nei depositi della dogana e tutte le liste in inglese. Poi,
il venticinque gennaio, consegnai il rendiconto carico a due impiegate della
“Fratta Shipping Company”, che in realtà dovevano fare un lavoro
noiosissimo per essere in regola con le terribili leggi di Singapore.
Per quella ragione il loro
complicato e lungo e quindi si
tempo, prima che iniziasse il
sarebbe avvenuto dal primo
settimana.
capo disse che si trattava di un lavoro
rischiava di non poter sbarcare la merce in
festeggiamento al nuovo anno cinese, che
giorno di febbraio e durato più di una
La notizia m‟innervosì parecchio, perché avevo già organizzato la mia
partenza, che dovetti purtroppo ancora una volta rimandare.
Infine il mio “boss” mi ordinò di consegnare, sotto la responsabilità della
“Fratta Shipping Company”, le chiavi del negozio, dove erano stati sigillati i
137
171 colli. Così la compagnia di Singapore avrebbe potuto trasportare il
carico nei depositi doganali, dopo le feste.
Sapevo naturalmente che la dogana avrebbe aperto tutti i colli e
controllato ogni singolo articolo. Ugualmente, nonostante fossi stata precisa
nel dichiarare le quantità, mi preoccupavo perché non mi fidavo dei
controlli della dogana, sapendo che avrebbero creato problemi alla mia
compagnia.
Il mio capo mi tranquillizzò, affermando che non dovevo preoccuparmi di
quello che sarebbe potuto succedere, perché finalmente era arrivato il
momento di ritornare a casa a riposarmi. Così mercoledì ventinove gennaio,
consegnai la chiave e la lettera firmata alla compagnia di spedizione, che
dichiarava al nostro capitano che soltanto i rappresentanti della “Fratta
Shipping” potevano ritirare i 171 colli da spedire a Venezia.
Finalmente organizzai la mia partenza da Singapore, per il venerdì sera
trentuno gennaio. Alcuni giorni prima della mia partenza, sbarcò il nostro
amato capitano per avvicendamento e fu sostituito dal comandante
Michael.
Gli ultimi giorni d‟attesa li trascorsi in compagnia di tutti i miei cari
amici, che mi riempirono di gentilezze e attenzioni.
Perfino i camerieri della saletta mi avevano insegnato a costruire, coi
tovaglioli, forme bellissime di fiori, scarpette, barchette ecc. per abbellire
un tavolo apparecchiato. Erano arrivate le mogli d‟alcuni ufficiali, tra cui
Caterina, la fidanzata di Kristian, e la consorte di Peedu e forse, il giorno
della mia partenza, avrei conosciuto anche la moglie di Edward.
Il mattino della mia partenza andai a salutare tutti e poi salii dal capitano
Michael, per informarlo sugli ultimi eventi, a proposito dei 171 colli che
sarebbero stati sbarcati dopo le feste.
Mi strinse la mano e affermò: - Mi creda, è stato un piacere averla avuta
a bordo con noi. Gli sorrisi e fui contenta di vederlo finalmente più tranquillo. In quel
momento avevo capito che la lezione che aveva avuto con l‟ammutinamento
dell‟equipaggio filippino, gli aveva insegnato molto e soprattutto sembrava
esser maturato dentro. In sua presenza non captavo più quella durezza e
negatività che prima lo caratterizzavano.
Quel pomeriggio purtroppo, quando raggiunsi il salone, c‟era un altro
gruppo di filippini pronti a sbarcare, poiché l‟armatore non era riuscito a
noleggiare la nave ad un altro Charterer, quindi aveva deciso di tenere a
bordo solo gli ufficiali e una parte dell‟equipaggio.
Correva voce che il proprietario della nave stesse trattando con un
armatore interessato all‟acquisto.
L‟indomani avrebbero spostato la nave in un altro luogo. Mentre
camminavo ricambiando i saluti dei filippini, incontrai Lydia e ci
abbracciammo commosse. Era l‟unica hostess che sarebbe rimasta a bordo
fino alla soluzione dei problemi riguardanti la destinazione della nave.
Dalle grida euforiche dei marinai capii che stavano arrivando le lance.
Fortunatamente i marinai Noel e Gabriel trasportarono le mie due grosse e
138
pesanti valigie vicino a me. Poco dopo giunsero Caterina e Kristian, con la
cinepresa e, dopo un abbraccio d‟addio, Kristian affermò: - Siamo venuti ad
immortalare la nostra “ Strega Regina del Sole d‟Oriente”, che finalmente è
riuscita a liberarsi della sua attesa infinita. Lo fissai facendo finta d‟essere furiosa, perché continuava a prendersi
gioco di me, come aveva fatto spesso.
- Sei fortunato - gridai - che sono occupata a sbarcare, altrimenti ti
frusterei, qui davanti a tutti. Scoppiammo a ridere, immaginando la scena, poi l‟equipaggio iniziò a
passare i bagagli sulla scialuppa. Vidi Edward e Peedu che scendevano le
scale, così poco dopo ci abbracciammo commossi, mentre Kristian
riprendeva la scena. In quel mentre salì a bordo una donna, che felice andò
incontro ad Edward. Si abbracciarono teneramente, poi mi presentò la
moglie, che sorridendo ammise: - Lo sa che mio marito, nelle sue lettere,
mi ha scritto molto spesso di lei e dei suoi sogni premonitori? - Ah! Davvero? - esclamai sorpresa.
- Si! Si! Sono felice d‟averla conosciuta. - Il piacere è tutto mio, signora! - aggiunsi felice. In quel mentre vidi
Richard che mi veniva incontro, quindi ci abbracciammo forte, poi
m‟affrettai a saltare sulla scialuppa, perché stavano aspettando solo me.
Mentre la lancia si stava allontanando dalla nave, Kristian e Caterina erano
saliti sul ponte “passeggiata” e mi stavano salutando e filmando da lassù,
gridando entusiasti qualcosa che il vento portò via con sé. In quel momento,
un nodo mi strinse la gola e una forte tristezza mi colpì, poi una lacrima rigò
il mio viso.
Sussurrai dentro di me: - “Orient Sun” addio! - Man mano che mi
allontanavo, osservavo la strana forma della nostra nave che sotto il sole
splendeva come un gioiello. In quel momento pensai a tutti i guai e alle
incredibili disavventure che avevo dovuto subire.
Purtroppo, avevo ancora alcuni sintomi poco piacevoli allo stomaco e
chissà quando sarei guarita. Sentivo comunque che ero felice d‟aver vissuto
quell‟incredibile odissea, la quale si era tramutata in un‟esperienza
preziosa, perché, in mezzo ai problemi, avevo imparato tanto e conosciuto
molte persone meravigliose.
Poi mi avvicinai a Desery e, sbattendole una mano sulla spalla,
domandai:- Allora, sei felice di tornare a casa! Ella mi sorrise affettuosamente, e abbracciandomi sussurrò: - Ti voglio
tanto bene, anche se qualche volta avrei preferito non ascoltare i tuoi
consigli, perché purtroppo a volte la verità fa male. Commossa le risposi, mentre la scialuppa stava raggiungendo il porto:
- Ricordati che, quando la verità fa male, significa che si è sulla strada
sbagliata, quindi dobbiamo fare un piccolo sforzo per accettarla e cambiare
la nostra vita. - Già, non posso darti torto! - ammise Desery sorridendo.
- Adesso che hai sofferto molto e imparato la tua lezione, non credo
ricadrai facilmente nello stesso errore, perché hai le idee chiare. 139
- Lo sai che hai ragione! - esclamò Desery con un sorriso sulle labbra.
- Mi raccomando - affermai infine - sii sempre felice, poiché dipende solo da
te, nell‟accettare le esperienze positive o negative, sapendo che tutto
avviene per la nostra crescita interiore, quindi sii intelligente, abbatti le
illusioni e porta alla maturazione il cuore. –
Desery mi fissò stupita, mentre riprendevo a parlare: - Quando rivedrai
Shirley, abbracciala per me, ci ha lasciato piangendo. - Purtroppo è sempre difficile lasciare gli amici. Ad ogni modo, non ti
preoccupare per lei, ora sta bene, a casa con la sua famiglia.Nel frattempo, la scialuppa attraccò di fronte alle autorità doganali,
alcuni filippini sbarcarono le mie valigie; mentre mi affrettavo a raggiungere
la scaletta, Desery angosciata gridò: - Buon viaggio! –
Essendo l‟unica persona che doveva sbarcare in quel porto, i filippini mi
abbracciarono affermando:
- Have a nice voyage! Good-bye mummy! - (Fai un buon viaggio! Addio
mamma!).
Quando misi i piedi a terra, li vidi allontanarsi salutando e gridando: Mummy we love you! - (Mamma ti amiamo!).
Emozionata urlai, agitando le braccia: - Good-bye children of “Orient
Sun”. I love you too! (Addio, “bambini del sole d‟oriente” anch‟io vi amo!)
- Commossa, rimasi a guardare la scialuppa allontanarsi, fino a quando
diventò un puntino scuro in mezzo al mare.
Poco dopo con la tristezza nel cuore, trascinai le mie valigie pesanti
come macigni all‟interno, fin dove un funzionario della dogana mi ordinò di
aprirle. Il cinese mi fissò con i suoi occhietti a mandorla e, dopo aver
controllato, mi sorrise e fece segno di andare, indicandomi l‟uscita.
Non avrei mai immaginato che dietro a quell‟angolo avrei trovato una
rampa di scale di circa trenta scalini. Abbandonai le valigie e domandai se
c‟era un ascensore, ma purtroppo il cinese scosse la testa e mi fece un altro
sorriso. Così decisi di portare su una valigia alla volta. Poi passò un signore,
allora lo supplicai:
- Mi scusi, potrebbe aiutarmi per favore? Mi disse serio: - Ok, però non adesso, fra cinque minuti! Lo vidi sparire in cima alla rampa di scale. Qualche minuto dopo, mentre
cercavo di salire, prese le valigie una alla volta e le portò in cima, dove
m‟attendeva un‟altra sorpresa: c‟erano altrettanti scalini per tornare giù. Mi
domandai a cosa servisse salire e poi scendere, quando sarebbe stato più
pratico non aver costruito le scale.
Sarebbe rimasto un segreto delle autorità doganali di Singapore.
L‟uomo fu gentilissimo, mi portò le valigie fin sulla strada. Intanto alcuni
giovani mi spiegarono che, se volevo un taxi, dovevo raggiungere la
stazione, poi presero i miei quarantacinque chili di valigie e mi
accompagnarono. Poco dopo cercai di esprimere la mia riconoscenza con
qualche parola gentile e i giovani s‟allontanarono salutando con le mani e
sorridendo dolcemente.
140
Ancora una volta pensai che la vera gentilezza, prestata con amore, era il
più bel dono che uno sconosciuto potesse concedere a uno straniero.
Mezz‟ora dopo, il tassista, anch‟egli gentilissimo, andò a cercarmi un
carrello e me lo consegnò con le valigie sopra; gli elargii la mancia e tirai un
sospiro: l‟incubo delle valigie era finito. Al “check-in” mi spiegarono che
avrei dovuto ritirarle a Francoforte.
Quando guardai la bilancia le mie valigie pesavano circa quarantacinque
chili; naturalmente come marittima avevo diritto a soli quaranta, ma
l‟hostess fece finta di niente e mi augurò un buon viaggio.
L‟aereo decollò, mi ricordai dei miei amici sulla “Orient Sun” che a
quell‟ora se ne stavano a chiacchierare sul ponte, dove avevo visto
sfrecciare gli aerei che volavano verso l‟Europa.
Sicuramente stavamo sorvolando la nave e subito mi sentii avvolgere
dalla nostalgia. Seduti accanto a me c‟erano due signori tedeschi, molto
gentili, con cui trascorsi ore a parlare. Il viaggio purtroppo sarebbe durato
13 ore, e non era facile prendere sonno in quei sedili. Ad ogni modo tutto
proseguì tranquillo, anche se, di tanto in tanto, l‟aereo vibrava sotto
l‟effetto di un po‟ di turbolenza.
Al mattino il comandante annunciò, attraverso il microfono, che a causa
di una fitta nebbia che copriva Francoforte, l‟aereo sarebbe atterrato
all‟aeroporto romano di Fiumicino. Tra i passeggeri ci fu un attimo di
panico, poi si udirono le voci euforiche degli italiani gridare: - Evviva!
Evviva! Nel frattempo già pensavo di rivedere in anticipo la mamma, lo zio e le
mie sorelle, quando l‟hostess annunciò:
- Prego i passeggeri d‟allacciare le cinture, fra pochi minuti atterreremo
all‟aeroporto di Fiumicino. V‟informo che, dopo lo sbarco, siete pregati di
attendere nella sala d‟attesa vicino all‟uscita, la partenza per Francoforte
che avverrà tra circa tre ore. Un boato di proteste, grida ed il rumore metallico delle cinture di
sicurezza si mescolarono insieme. A terra noi italiani facemmo di tutto per
andarcene a casa da Roma, ma non ci fu niente da fare.
Dopo due ore d‟inutili tentativi, ci spiegarono che, per legge, i passeggeri
di un aereo che atterra fuori programma, per motivi tecnici, oppure per
fenomeni meteorologici, non possono per nessuna ragione sbarcare in quel
paese. Tutto ciò, purtroppo, provocò una marea di polemiche e fummo
costretti a partire per Francoforte.
Naturalmente, quando sbarcai in Germania, avevo perso il mio volo per
Bologna.
Fortunatamente, la compagnia responsabile mi prenotò una stanza allo
“Sheraton Hotel” e mi diede anche un buono per i pasti. Non potevo
dimenticarmi di andare a ritirare i bagagli, ma poiché l‟Hotel era distante,
trasportai le valigie nel deposito della compagnia aerea, con cui sarei
dovuta partire l‟indomani.
Quando domandai se dovevo andare a ritirarle il giorno dopo, l‟addetto
mi assicurò che non era necessario, perché egli era il responsabile
141
dell‟imbarco dei bagagli sull‟aereo. Arrivò una bella signorina in divisa e,
dopo avermi chiesto la destinazione, attaccò alle valigie i cartellini. Ad ogni
modo, poiché avevo sognato che le mie valigie sarebbero arrivate a casa
dopo di me, domandai:
- Scusatemi se insisto, ma non vorrei perdere le valigie, é sicuro che domani
voi le farete imbarcare sul volo numero....?
- Certamente, signorina - interruppe il signore - stia tranquilla, questo è
il nostro lavoro! - Ok, allora buona sera a tutti e grazie. - risposi, mentre si guardavano
negli occhi annoiati. In quel momento, sentii tutta la stanchezza cadermi
addosso come un macigno. Poco dopo, quando raggiunsi la stanza, feci
appena in tempo a svestirmi e caddi in un sonno profondo.
Il due febbraio, appena entrai nella sala d‟attesa dell‟aeroporto, dalle
grandi vetrate m‟apparve una giornata grigia, fredda e piovigginosa. Poi
m‟avvicinai allo steward di terra e domandai: - Mi scusi signore, vorrei
sapere se si può controllare se le mie valigie sono state imbarcate
sull‟aereo.
- Si, posso farlo! - Bene, lo faccia per cortesia! Il bel giovane non rispose, ma dopo aver letto il mio nome nel biglietto,
prese in mano la cornetta del telefono, mentre ritornavo al mio posto.
Venti minuti dopo, lo steward mi raggiunse ed affermò: - Mi dispiace
signorina, ma le sue valigie potrebbero non essere state imbarcate. - Senta, credo che le mie valigie siano ancora nel vostro deposito, ieri gli
addetti mi hanno assicurato che sarebbero state… - Senta ormai è tardi per cercarle. - brontolò, mentre i passeggeri si
avviavano verso lo stretto corridoio per l‟imbarco... - Insomma, che cosa devo fare? - gridai preoccupata.
- Senta, quando arriva a Bologna controlli se ci sono e, se lei dovesse non
trovarle, faccia subito fare una denuncia agli addetti della compagnia. - Va bene! La ringrazio - risposi, mentre m‟affrettavo ad imbarcarmi.
Circa un‟ora e venti minuti dopo, con un balzo l‟aereo toccò il suolo
dell‟aeroporto di Bologna.
In fila scendemmo giù per la scaletta e, pochi minuti dopo, a piedi,
raggiungemmo il salone dove sarebbero usciti i nostri bagagli. Quando mi
resi conto che dei miei bagagli non c‟era nemmeno l‟ombra, scoppiai in una
risata, perché, nonostante avessi cercato di prevenire ciò che avevo
previsto in sogno, non c‟ero riuscita.
Stavo ancora ridendo, quando vidi venirmi incontro mia sorella che
sorrideva felice e, mentre ci abbracciavamo, ella domandò: - Vorrei sapere
anch‟io: cos‟è che ti fa tanto ridere? - Mi hanno perso le valigie! Rossana mi fissò preoccupata e brontolò: - Non mi sembra una ragione
per cui ridere 142
- Se non fossi sicura che entro una settimana me le porteranno fino a casa,
io non riderei tanto. Curiosa chiese: - Insomma, come fai ad essere così sicura che te le
porteranno entro una settimana? - Qualche mese fa, sognai che ero tornata a casa da circa una settimana,
quando un signore mi portava le valigie fino sulla porta di casa. - Ah! Davvero! - esclamò Rossana, mentre ci avviavamo a fare la denuncia.
Il giorno dopo la mamma mi accompagnò all‟ospedale di Conselice a
trovare lo zio Mino. Mentre entravamo nel corridoio che portava alla sua
stanza, mi sentii invasa da una amarezza profonda, pensando che
probabilmente lo avrei trovato magro e deperito come mi accadde con mio
padre, quando sbarcai dalla Ausonia per correre al suo capezzale.
Entrammo nella stanza occupata da alcuni degenti. Appena vidi lo zio magro
e pallido mi sentii male. Quando mi vide, mi sorrise felice interrogando con
voce roca:
- Ah! finalmente sei arrivata, hai fatto un buon viaggio? Mentre ci abbracciavamo commossi, vidi alcune lacrime rigargli il volto.
- Non ti racconto l‟odissea che ho vissuto! Piuttosto, tu come stai? - Non c‟è male! - borbottò affaticato lo zio.
La mamma, che osservava la scena emozionata, mi passò una sedia. Mi
sedetti accanto allo zio e, stringendogli una mano, cercando di non
mostrargli il dolore che provavo:
- Lo sai che mi sei mancato molto? –
Mentre lo zio abbozzava un sorriso io gli asciugai le lacrime con le mani
Lui mi accarezzava i capelli con la sua mano scarna, poi rispose:
- Avevo paura che tu non arrivassi in tempo, ma adesso che sei qui
raccontami un po‟ della tua odissea. - Io lo sapevo che sarei arrivata in tempo. Assicurai sorridendo, poi
iniziai a raccontare la mia odissea.
Quando uscimmo dall‟ospedale, mia madre mi raccontò che, prima che
lo zio Mino si ammalasse, aveva sognato mio padre che, abbracciandola
addolorato, assicurava:
- Mio fratello Mino verrà a stare con me e poi ci sono ancora due posti. - Allora moriranno altri parenti, dopo lo zio - esclamai turbata. –
- Già, sembra così! - ammise mia madre preoccupata. Io intanto pensavo allo
zio che avevo trovato abbastanza bene, ma purtroppo già si sapeva che non
avrebbe più lasciato l‟ospedale e questo era certamente terribile e triste.
Poi mamma domandò: - Allora, chi pensi potranno essere i parenti che
raggiungeranno il babbo? Ci fu una lunga pausa, poi la mamma continuò: - Non sarò forse io,
quella? -
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- Avanti mamma, non dire stupidaggini - gridai - non te lo avrebbe detto, se
fossi stata tu. Insomma, hai sempre avuto sogni premonitori, a quest‟ora
dovresti aver imparato ad interpretarli. Rimase in silenzio, poi sorridendo rispose: - Stavo soltanto cercando di
capire chi fossero i prossimi. - Vedrai che, quando sarà il momento, lo capiremo! - brontolai nervosa.
Alcuni giorni dopo mi svegliai con le immagini di un sogno terrificante:
Ero seduta al computer e, mentre stavo scrivendo il mio romanzo “ La
Strega regina del sole d‟oriente, stanca e affaticata, vedevo cadere della
mia fronte sulla tastiera, gocce di sudore di sangue. Il sogno era orribile,
ma il messaggio era molto chiaro.
L‟otto febbraio verso sera ero nel mio studio e stavo disegnando con una
matita il mio volto su una tela, quando vidi dal finestrone del balcone il
camioncino del corriere dell‟Alitalia che si fermava davanti a casa, scesi le
scale ed uscii in giardino. La giornata era fredda e le nebbie stavano
calando. Intanto l‟uomo aveva aperto lo sportello anteriore del camioncino,
poi scaricò le valigie. – Lei è la signora Elisabetta Errani Emaldi, vero?- Sì, certo! - Gli aprii il cancello e l’uomo mi trasportò le due valige fin davanti alla
porta di casa. Poi sorridendo mi allungò un foglio – Firmi qui per favore! quando ebbi firmato, l‟uomo mi ringraziò e se ne andò.
Alcune settimane dopo mi telefonò il mio capo, preoccupato, perché la
dogana di Singapore minacciava di sequestrare il carico, giacché secondo
loro mancavano una decina di colli di sigarette. In ogni caso, dopo tanti anni
d‟esperienza, conoscevo molto bene il mio lavoro, ma anche le dogane del
mondo intero, perciò lo pregai di stare tranquillo e gli diedi le indicazioni
necessarie perché la dogana trovasse le sigarette.
Infatti, quando l‟inconveniente fu risolto, il container fu finalmente
spedito e, alla fine del mese d‟aprile, arrivò al porto franco della mia
compagnia a Venezia. Terminate tutte le operazioni, la spedizione costò
circa settemila dollari.
Il 23 gennaio 1993, verso le quindici, stavo lavorando al mio romanzo “ La
Strega Regina del Sole d‟Oriente. Scrivevo alcune frasi alla tastiera e le
controllavo sul monitor con la lente d‟ingrandimento. Di tanto in tanto,
osservavo il dipinto quasi finito, di me stessa sul cavalletto con gocce di
sudore di sangue sulla fronte e il nero-blu dei capelli a caschetto che
sfortunatamente io vedevo sfocati. In quel mentre udii qualcuno salire le
scale, poi la porta si aprì e apparve mia madre Rosina.
- Insomma Elisabetta, - gridò arrabbiata - da quando sei tornata da
Singapore un anno fa, non fai altro che rovinarti la vista su quel computer
maledetto. – Io addolorata posai la lente d‟ingrandimento e fissai mia madre
fuori di me e sbraitai:
- Uffa mamma, non ne posso più, smettetela tutti di rompermi le scatole! - Elisabetta ragiona, sei ancora giovane, hai bisogno della tua vista, esci
di casa, vai a divertirti, invece di trascorrere tutto il tuo tempo prezioso
attaccata al computer. - Devo finire di scrivere il romanzo “La Strega Regina del Sole d‟Oriente”,
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poi scriverò anche la sceneggiatura e nessuno mi impedirà di portare a
termine il mio progetto. A costo di diventare cieca come una talpa, io
racconterò questa storia al mondo.
- Ti supplico, - insistette angosciata mia madre - sei già cieca come una
talpa, ti hanno tolto anche la patente! Insomma ti rendi conto?Addolorata mi alzai in piedi, abbracciai mia madre e scoppiammo a piangere
e a singhiozzare insieme disperate. Infine asciugandomi le lacrime con le
mani dissi:
- Vieni mamma, andiamo a farci un thè e smettiamola di preoccuparci.Mia madre si sedette al tavolo della cucina e, mentre io preparavo il thè
spiegai:
- Mamma, lo zio Mino è morto il quattordici settembre del „92, di mattino,
lo stesso giorno e lo stesso mese di papà e della zia Ines; non trovi che tutto
ciò sia incredibile?
- Sì, è veramente incredibile che tre fratelli siano morti tutti nello stesso
giorno e nello stesso mese. - Mamma, stamattina al funerale di zio Virgilio mi sono ricordata che si è
avverato il tuo sogno in cui il babbo ti diceva che dopo lo zio Mino c‟erano
altri due posti.
- Già, è vero, oggi 23 gennaio sono trascorsi solo diciotto giorni dal funerale di
tuo cugino Giorgio, che è morto a soli quarantacinque anni.
L‟acqua stava bollendo sul fornello, spensi il gas e presi il pentolino e versai
l‟acqua bollente nelle tazze, infine mi sedetti al tavolo.
- È terribile! Ma comunque trovo straordinario che, alcuni giorni dopo il
funerale di Giorgio, il babbo sia apparso in sogno a sua sorella Edda e le
abbia detto che era presente alla funzione ed era sceso in terra ad
accoglierne il figlio.
- Certo che tuo padre ci ha fatto penare con il suo scetticismo, ma poi si è
fatto perdonare. – Sospirò mamma.
- Pensa – dissi sorridendo - che il grande Pitagora ha affermato che il
Sonno, i Sogni e l‟Estasi sono le tre porte aperte sull‟al di là, donde ci viene
la scienza delle anime e l‟arte della divinazione.
Ci guardammo sorridendo, mentre sorseggiavamo il nostro thè. In quel
momento mi resi conto quanto erano importanti per me queste perle di
saggezza, che provenivano dei Grandi del passato. Pensai che se i Grandi del
passato sostenevano ciò in cui mia madre ed io credevamo, tutto ciò
contribuiva a darmi la forza di lottare contro lo scetticismo di questa
umanità addormentata nel sonno dell‟incredulità. Fissai mia madre e
aggiunsi:
- Mamma, tu non ti preoccupare per il mio problema alla vista, il mio
destino è quello di portare alla luce una realtà che esiste, ma in cui molti
non credono, quindi prego te e tutti i parenti di lasciarmi portare avanti la
battaglia alla mia maniera. – Mamma mi fissò seria e poi concluse
fissandomi preoccupata:
- Elisabetta, tu sei testarda come un mulo, so benissimo che nessuno ti
distoglierà da ciò che stai facendo, quindi è inutile che io insista. –
Mia madre se ne andò in silenzio, io tornai nel mio studio. Sul cavalletto
c‟era la tela con l‟opera quasi finita del mio volto, era triste, con i capelli
nero- blu a caschetto. Sulla fronte brillavano le gocce di sudore di sangue. Il
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carrello con i colori e pennelli era fermo di fronte al finestrone che dà sul
balcone. Guardai il mio dipinto come in trans presi un pennello in mano, poi
indietreggiai di qualche passo, lo guardai e lo vidi sfocato. Mi avvicinai per
completarlo, quando ebbi un flash back della mia ultima visita dall‟oculista:
- Purtroppo – assicurò l‟oculista - le stanno crescendo in tutti e due gli
occhi macule che potrebbero portarla alla cecità. - Che cosa si può fare?- domandai preoccupata. - Per il momento non si può fare niente, ma tra un anno arriverà un nuovo
laser dall‟America che blocca la crescita delle macule. - Santo cielo, devo aspettare un anno? Come in trans diedi una pennellata ad una goccia di sangue, feci alcuni passi
indietro fissai il dipinto impressionata, che vedevo sfocato. Ebbi un altro
flash back: rividi il crocifisso d‟oro e il libro tempestato di diamanti.
- Certo, - brontolai - scrivere un libro nelle mie condizioni è un grosso
sacrificio.Sconvolta, come in trans, presi la tela e la sbattei più volte contro il
cavalletto spaccandola, poi con tutta la forza che avevo la strappai,
in più pezzi, con le mani e gettai il tutto nel cestino gridando:
- Non starò certo qui a piangermi addosso guardando questa maledetta
opera. Io andrò avanti con il mio progetto, costi quel che costi e senza
farmi influenzare da nulla.
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REGINA DEL SOLE D‟ORIENTE Elisabetta Errani - Estro