Rassegna St ampa
www.esternalizzati.it
del 2 novembre 2010
Pedofilia nella Chiesa: “Devono
setacciare diocesi per diocesi”
Survivors's Voice a Roma per chiedere un'operazione verità. Il co-fondatore
McDaid:"Chiesi al Papa di sradicare questo cancro ma lui guardò a terra"
di Marco Politi
“Quando gli ho parlato, Benedetto XVI guardava a terra. Io pensavo a un dialogo, ma
dialogo non c’è stato”. L’americano Bernie McDaid è una delle cinque persone, vittime di
abusi da parte del clero, selezionate dal cardinale di Boston Sean O’Malley nel 2008 per
incontrare Benedetto XVI al tempo del suo viaggio negli Stati Uniti. Domenica ha guidato
insieme al connazionale Gary Bergeron e l’italo-olandese Paola Leerschool la
manifestazione a Castel Sant’Angelo per chiedere alle Nazioni Unite di dichiarare lo stupro
di minori un “crimine contro l’umanità”. Erano un centinaio, provenienti da tredici nazioni,
che agitando cartelli con scritto “Basta”, “Il Papa in tribunale”, hanno respinto il portavoce
vaticano Lombardi al grido di “vergogna, vergogna”.
Ma per capire l’origine di questo raduno, destinato a sfociare nella costruzione di una rete
mondiale di vittime, bisogna tornare a quell’incontro tra Bernie e il Papa il 17 aprile 2008.
Bernie McDaid, come si svolse il colloquio con papa Ratzinger? So che il vostro
gruppo gli consegnò un libretto con mille nomi di abusati. Il pontefice come reagì?
Eravamo nella cappella della nunziatura a Washington. Benedetto XVI prese la parola ed
espresse il suo rincrescimento per i fatti accaduti. Allora io andai verso di lui e gli misi una
mano sul cuore.
Proprio sul petto?
Esattamente così. Lo guardai negli occhi e gli dissi: c’è un cancro nel gregge dei fedeli,
fate qualcosa!
E il papa?
Tenne la testa china e mormorò: sì, sì.
Che risposta diede?
Non parlò. Noi volevamo un dialogo, ma lui non entrò in dialogo con noi. Ci fu soltanto una
preghiera comune, una sorta di meditazione.
Rimase deluso?
Speravo che il Vaticano avrebbe agito e che ad alto livello si sarebbero ammessi i
problemi. Invece no.
Benedetto XVI quest’anno ha fatto delle dichiarazioni molto nette sulla necessità di
tutelare le vittime e di portare i colpevoli in tribunale.
Appunto, sono dichiarazioni. Il Vaticano afferma di fare questo e quello e il mondo pensa
che se ne occupa e invece no. Bisogna fare molto di più per la gente che soffre e mettere
fine soprattutto al muro di silenzio, che circonda tutta la questione.
Dopo l’incontro di Boston cosa ha fatto?
Rassegna St ampa
Ho capito che la priorità era di finirla con l’insabbiamento. La Chiesa cattolica è
un’istituzione mondiale e se vogliono potrebbero setacciare parrocchia per parrocchia,
diocesi per diocesi per scoprire cosa è successo. Avrebbero dovuto farlo da tempo. Io
avevo già cercato di parlare con Giovanni Paolo II nel 2003, all’epoca dello scandalo di
Boston. Trovai un giudice statunitense, che era amico personale di Dziwisz, il segretario di
Wojtyla. Gli telefonò, lo chiamò Stasiu il diminutivo polacco di Stanislao, chiese un
appuntamento per me. Ma quando arrivai a Roma, le guardie svizzero mi impedirono
fisicamente di salire al suo appartamento in Vaticano. Venne però nel mio albergo un
monsignore della segreteria di Stato, mons. James Green, a cui raccontai tutto.
Inutilmente?
Quest’anno mi sono deciso a fondare con Gary Bergeron Survivor’s Voice (la Voce dei
Sopravvissuti). Siamo venuti a Roma perché si contrasti l’abuso dentro e fuori la Chiesa,
perché i leader politici del mondo si mettano all’opera. Portiamo una petizione all’Onu
perché l’abuso sia dichiarato crimine contro l’umanità. Serve uno sforzo internazionale.
Sabato ho visto migliaia di ragazzi dell’Azione cattolica recarsi a San Pietro e pensavo con
timore che il trenta per cento degli adolescenti in tutto il mondo corre il pericolo di abusi. A
me è successo come a tanti. Tra gli undici e i tredici anni ero chierichetto e il mio prete
abusava di me e di altri ragazzi in tre posti precisi. In sagrestia, quando ci portava alla
spiaggia in macchina promettendoci un gelato e nel guardaroba della scuola, dove diceva
alle suore che ci riceveva ad uno ad uno per una meditazione. Alla fine andai da mio
padre con tre amici come testimoni. Mi credette. Intervenne”.
E cosa successe?
Denunciai la cosa a mio padre in ottobre, ma il prete fu rimosso solo in aprile. La
parrocchia gli organizzò persino una festicciola d’addio. Ero disgustato. Non fu mai
processato, è già morto. Ma passò attraverso sette parrocchie ancora e abusò di una
cinquantina di adolescenti. Quelli noti. Probabilmente la cifra vera è di qualche centinaio.
Survivor’s Voice ha già una branca europea e la manifestazione di domenica è il primo
passo per creare una rete mondiale. Alla Chiesa chiedono un’operazione verità, il
riconoscimento delle responsabilità e un aiuto concreto alle vittime. Lo hanno detto a fine
serata anche a padre Lombardi, che hanno incontrato dopo la manifestazione negli uffici
della Radio vaticana. Lombardi ha loro consegnato un testo scritto, dicendo che la Chiesa
ha già cominciato a fare molto a vari livelli. Bloccati da un robusto e ingiustificato cordone
di polizia, i sopravvissuti hanno mandato da Castel Sant’Angelo il loro messaggio di
protesta al Papa attraverso le luci di decine e decine di candele. Soltanto a due di loro –
Bergeron e Leerschool – è stato concesso di percorrere via della Conciliazione con le
fiaccole per lasciare una lettera davanti al Palazzo apostolico.
Ma non sarà la polizia a impedire che la protesta vada inesorabilmente avanti finché gli
archivi ecclesiastici non saranno aperti.
“Non basta processare i colpevoli – dice Bernie McDaid – i danni ai sopravvissuti sono
enormi: depressione, suicidi, droga, alcool, delinquenza. La Chiesa deve capire che ha la
responsabilità di guarire le vittime”.
ABBONATI
A
“IL
FATTO
QUOTIDIANO”

Scarica

Pedofilia nella Chiesa