ivonne mussoni A un quarto d’ora di universo piccola collana di poesia diretta da Valerio Grutt L’idea nasce dall’esigenza di dare alla poesia una veste editoriale che le restituisca un senso di segretezza e preziosità, con la freschezza e la creatività di un progetto nuovo e libero. La collana si propone di pubblicare pochi libri l’anno non destinati alla vendita. Libricini tascabili, fatti a mano in edizione limitata a 99 esemplari. www.heket.it introduzione Un libretto prezioso, di acqua che segna e travolge, di luce che affiora negli angoli. Ivonne Mussoni ci spinge dentro a quell’amore urgente che sta in piedi davanti alle macerie e apre le braccia ad accogliere il mondo. Un gesto fragile e potente, un segno di salvezza. Una poesia felice e struggente che, nel suo stare precisa dentro l’istante, chiama a raccolta tutto il tempo. Valerio Grutt ivonne mussoni A un quarto d’ora di universo Stappiamo agosto che già il sole vendemmia sul tuo viso nell’anticipo preciso di stagioni quando dire autunno è dirti bello come tutto quello che impazzisce, sveglio al profumo di bagnato al momento della pioggia quando annuncia. Elemento d’aria per quel tuo stare a un quarto d’ora di universo il mondo sconta la fatica; il non riuscire a dire questo bene che ci beve dalle mani. Essere con te è un’altra inclinazione, l’equazione verticale fino all’ampio compiersi di un gesto. Così sia la tua vita, un compiersi ampio della vita stessa sulla mia. È stato un colpo d’ala più forte della notte, e il petto non ha retto all’urto, ma senti ancora brucia il vento di quella speranza verso il cielo, quando nascere è rimettere in gioco anche la morte. Essere figlia e madre di mio padre è nel mio nome, nel modo di inventare un profumo solo per sentirne la mancanza, e non è mai abbastanza il riflesso di sole in cui guardarci. Esistiamo solo controluce. La risata, come un lampo nelle tasche. Non aprire le tempeste con due mani, lascia questa luce strana sulla porta. Resta un’esplosione di spazio che si fa sete. Quando è ansia di mare la terra di sguardi a strapiombo, che uno ti salva. Così mi pulisci la guancia, con la stessa mano di mio padre, bella, come una conferma. Settembre è prendersi le mani a cucchiaio per bere dalle crepe lasciate dall’estate. Sei la riga di cielo che disegnano i bambini sul foglio del mattino, al confine più estremo del mio nome. Il mio settembre è stato camminare solo per vedere che anche l’acqua è fragile, come tutte le donne, bellissima attende sulla porta. Prima di essere donna ero la tua voce come uno che capisce mentre già sta ripetendo la domanda. A volte amarti è una merenda come incontrarsi alla fine di un muro, la rivoluzione è negli angoli. Dei giorni reggo il corridoio sui fianchi, che pesa un po’ di più a percorrerlo nel centro. Esistono colori che chiedono un riscatto, i tuoi, quando mi vedi, diventano preghiera. Il miracolo è guardarti mentre ridi di luna che disfa gli oceani e smonti le attese, silenzio uragano. Per farmi gabbiano mi servi burrasca. Ho ancora un filo rosso nella tasca, se non fossi sempre così tesa avrei tracciato col cotone una costellazione di corallo sul tuo braccio. Ma nel cappello hai già tutta la notte che alzano i pianeti quando si spostano soli, strani. Siamo fatti di mani, conigli e colombe di ombre negli angoli. Quanta periferia il tuo sguardo per questo nascere, figlio di una nostalgia così italiana. E di nuovo sei onda di ringhiera rossa e intorno i fili del bucato. È solo un cenno consumato l’inclinare del buio verso destra, la stessa del padre che non basta. Aspettarti ancora stanca anche l’attesa. Sei tutto ciò che manca quando non ci sei. a Giulia, 5anni, malata di un tumore alla schiena Ci sarà il respiro dopo la risata. Il delirio del bene che tiene le preghiere sulle spine, come il calcio che incastra il pallone all’asfalto, la vita al suo errore. Il mondo è reale da due giorni, sleale come avere diciott’ anni e troppe dita per contarti. Eri il tuo sguardo allontanato, quello che sarebbe stato dopo. Una notte lunga di otto mesi folle come un tuffo il dieci aprile, di quelli che si esce con le mani invecchiate dalle onde e il sale a scioglierci anche i nomi. Era il mare, come amore devastante, devastato più che forte. Gli occhi bassi e negli occhi i secondi di fiato, il momento sbagliato di un’alba. Poi c’è la mattina, che è donna, ed insiste fra le imposte semichiuse. Dall’ultima volta che ti ho visto, esiste il tempo. Ma tu sarai in un momento per questa ironia che ti fa mare randagio, perché non sei slancio né corpo. Sarai nel secondo in cui finisce la mattina e inizia il giorno. In cui consuma il mondo e inizio io. Guardarti voltato di spalle è la cosa che più si avvicina alla creazione. Se sapessi pregare non scriverei poesie, ma tu sei cosa buona, per separare il tempo dalle attese, per l’amore urgente che apre gli spazi. La terra avviene mentre aspetti. E fu sera e fu mattina. nota biografica Ivonne Mussoni è nata a Rimini nel 1994. Ha letto sue poesie nell’ambito di vari festival: Parco poesia a Rimini, Educare alla bellezza a Roma, e Amobologna Poesia Festival. Ha vinto la prima edizione del premio Stilnovo, organizzato dal Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna.