Cinema e carcere
a cura di Patrizia Tellini
, di Mohsen Makhmalbaf – E’ la storia di una giornalista, Nasfas, prigioniera delle sbarre
del burqa. Nasfas vuole salvare la sorella che non vuole lasciare l’Afganistan. La particolarità del film è la cinepresa che riprende da sotto il burqa, che dà una prospettiva del mondo come dalle inferriate del carcere. Il burqa è la
prigione senza cemento armato, ma equiparbile al muro tra la persona e il mondo che la circonda. Un film - documentario molto realistico, narra la sofferenza degli afgani, la miseria, la povertà nella povertà. Le scene raccontano
come si svolge per le donne una visita medica: senza che il medico possa parlare con la paziente, i due si parlano
separati da una tenda. Sotto l’elegante vestito dai mille colori, di tessuti pregiati, le donne cantano, cucinano, camminano, respirano a fatica, ma vivono come in una prigione. Un film é stato realizzato nell’ottobre 2001. Oggi la guerra non è finita in Afganistan, le donne non sono ancora libere. Molte hanno tolto il burqa dopo la caduta del regime
dei talebani, ma molte altre si sentono ancora in prigione, anche perché continuano gli abusi degli uomini sui loro
corpi. Alcune donne sono tornate a scuola, al lavoro, ma non possono ancora vivere in serenità.
– Il film fu realizzato dai detenuti del carcere di San Vittore in collaborazione con la sede Rai di
Milano. Fu presentato in anteprima assoluta a Courmayeur. Racconta una surreale partita di pallone, la finale di un
torneo che dura da decenni e coinvolge un gruppo di uomini detenuti, voci che parlano dal carcere. Marcello Nieto,
detenuto, dice: “Nessuno nasce cattivo; se dovessi parlare del male, dovrei essere detentore della verità. E non lo
sono”; Santino Stefanini, detenuto, afferma “Abbiamo voluto parlare di tragedie con ironia. Il cinema è un gioco,
come il teatro. Per noi ha significato una cosa, soprattutto. E cioè che esistiamo, che ci siamo anche noi. E anche
nelle difficoltà, quando ci dovevamo ingegnare per creare le scene in carcere, che non è proprio un set cinematografico, ci siamo impegnati. E anche divertiti. Speriamo di aver detto e fatto capire, delle cose”. (da www.noirfest.com) .
, di Fabio Conversi - Il film narra una vicenda vissuta dalla sceneggiatrice del film, Gioia Scola, quella di essere stata detenuta. La Scola ha incontrato molta umanità in carcere. Ha visto donne abbattere con la forza
della volontà le sbar re che le tengono lontane dal mondo esterno. Il film racconta la quotidianità della vita nel carcere, i suoi ritmi. Il film è girato con la forza dei sogni, grazie ai quali puoi andare al di là delle mura che ti separano dal mondo.
, di Enzo Monteleone - Storia di un ladro di banche del bolognese, Horst Fantazzini, e della sua
tentata evasione dal carcere di Fossano il 23 luglio del ’73. Il film nasce dopo la lettura di un libretto scritto molto
tempo fa dallo stesso Horst Fantazzini sull’evasione fallita, intitolato Ormai è fatta, titolo che il regista Monteleone
ha mantenuto per il film. E’ la storia di un rapinatore solitario che nel corso del tempo accumula molti anni di carcere. Il libro a parere del regista, era stato scritto come fosse la sceneggiatura di un film. Enzo Monteleone ha incontrato l’autore del libretto, sempre recluso nel carcere di Alessandria. Il film non parla solo dell’evasione mancata,
ma pone l’attenzione anche su quella che era l’Italia negli anni ’70: l’Italia delle utopie e della confusione. La storia è ripresa interamente dal libro. C’è solo un cambiamento apportato dal regista: un colloquio del protagonista con
il proprio padre. Girato nel ’99, il film ha come sfondo un messaggio finale: attirare l’attenzione delle giustizia e del
pubblico sul caso di un uomo, che pur non essendosi macchiato di gravi reati, è destinato a restare in carcere
almeno fino al 2024.
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