La Pasqua di Bach
omaggio della ragione alla fede
nel momento supremo della morte
Fuga
della
BWV 1080
Corale BWV 668a
Vor deinen Thron tret ich hiermit
Davanti al tuo trono mi presento
ROMA, Rebibbia, Casa di Reclusione maschile e femminile
28 settembre 2014
Johann Sebastian Bach
L’arte
Fuga
della
BWV 1080
omaggio della ragione alla fede
nel momento supremo della morte
Ars moriendi
Nuova versione di Mario Ruffini
per orchestra di 14 archi e coro misto
con il Corale BWV 668a
Vor deinen Thron tret ich hiermit
Davanti al tuo trono mi presento
ITALIA
E
L’Arte delle fuga diventa così un omaggio della ragione alla fede nel momento
supremo della morte, trovando nella
Settimana Santa il momento più consono alla profonda meditazione dell’estremo passo terreno.
M
U
Carl Philipp Emanuel Bach, suo figlio,
seguendo le disposizioni paterne, aggiunge il Corale Von deinen Thron tret
ich hiermit scritto da suo padre trent’anni prima.
M MUSIC
IU
O
B C LLEG
JS
L’ Arte delle fuga rimane incompiuta
poiché Bach termina i giorni terreni
mentre scrive gli ultimi contrappunti
del suo capolavoro. L’ultimo soggetto è
composto sulle note Sib-La-Do-Si, cioè
il suo nome posto a suggello di tutta
una vita spesa fra musica e Dio.
Or
a
che
er
stra da Cam
Direttore
Mario Ruffini
Violino primo Gianfranco Lupidii
Violino secondo Luca Matani
Viola Clara Campi
Violoncello Graziano Nori
Contrabbasso Emiliano Macrini
Vor deinen Thron
tret ich hiermit
Davanti al tuo trono mi presento
[Loys Bourgeois, 1547]
[Bodo von Hodenberg, 1646]
[Justin Gesenius]
J.S. Bach
Corale per organo n. 18 BWV 668
versione ampliata del BWV 641
Prima edizione: Peters, Lipsia, 1847 | NBA: IV/2, 113
J.S. Bach
Corale – variante BWV 668a
Canto Fermo in Canto
Prima edizione: in Die Kunst der Fuge BWV 1080
BG: XXV/2, 145 | NBA: IV/2, 212
Vor deinen Thron tret ich hiermit
Davanti al tuo trono mi presento
Vor deinen Thron tret ich hiermit
O Gott und dich gemütig bitt:
Wend doch dein gnädig Angesicht
Vor mir, dem armen Sünder nicht.
Du hast mich, O Gott Vater mild,
Gemacht nach deinem Ebenbild.
In dir web, schweb und lebe ich,
Vergehen müßt ich ohne dich.
Davanti al tuo trono mi presento,
O Dio, e devotamente ti prego:
Non voltare il tuo benevolo volto
Da me, povero peccatore.
Mi hai creato, o Dio, Padre misericordioso,
A tua immagine e somiglianza.
In te unito e sospeso, io vivo,
Perire dovrei senza di te.
Gott Sohn, du hast mich durch dein Blut
Erlöset von der Höllenglut,
Das schwer Gesetz fur mich erfüllt,
Damit des Vaters Zorn gestillt.
Gott Heiliger Geist, du höchster Kraft,
Des Gnade in mir alles schafft,
Ist etwas Guts am Leben mein,
So ist es wahrlich alles dein.
Drum danke ich mit Herz und Mund
Dir, Gott, in dieser Morgenstund
Für alle Gutem Treue und Gnad,
Die meine Seel emfangen hat.
Figlio di Dio, con il tuo sangue tu mi hai
Redento dai carboni ardenti dell’inferno,
Ti sei accollato per me la dura prova,
Perché si placasse l’ira del Padre.
Dio Spirito Santo, tu suprema forza,
La cui grazia in me tutto crea,
Se esiste qualcosa di buono nella mia vita,
In verità, appartiene unicamente a te.
Per questo, col cuore e la bocca ti ringrazio,
Tu, o Dio, in questa ora del mattino,
Per ogni bene, virtù e grazia,
Ricevuti dalla mia anima.
Und bitt, daß deine Gnadenhand
Blieb über mir heut ausgespannt;
Mein Amt, Gut, Ehr, Freund, Leib und Seel
In deinen Schutz ich dir befehl.
Hilf, daß ich werd von Herzen fromm,
Damit mein ganzes Christentum
Aufrichtig und Rechtschaffen sei,
Nicht Augenschein und Heuchelei,
Daß ich fest in Anfechtung steh
Und nicht in Trübsal untergeh,
Daß ich im Herzen Trost empfind,
Zuletzt mir Freuden überwind.
E prego che la tua mano portatrice di grazia
Rimanga tesa sopra di me anche oggi: tutto di me,
Il mio ruolo, i miei beni, l’onore, gli amici, l’anima e il corpo
Affido alla tua protezione.
Aiutami, affinché io diventi pio di cuore,
Che il mio essere cristiano
Sia sincero e operatore di bene,
Che non sia mera apparenza e ipocrisia,
Che io rimanga fermo nelle controversie,
E non affondi nella tristezza,
Che io senta nel mio cuore il conforto,
Che, infine, si tramuti in gioia.
Erlaß mir meine Sündenschuld
Und hab mit deinem Knecht Geduld
Zünd in mir Glauben an und Lieb,
Zu jenem Leben Hoffnung gib.
Ein selig Ende mir bescher,
Am Jüngsten Tag erweck mich, Herr,
Daß ich dich schaue ewiglich.
Amen, Amen, erhöre mich.
Liberami dal debito dei miei peccati,
E abbi pietà di me, servo tuo.
Accendi in me la fiamma della fede e della carità,
Dammi la speranza dell’altra vita.
Donami una fine beata,
Risvegliami nel Giudizio Universale, Signore,
Che al tuo cospetto eternamente io viva,
Che possa io vederti eternamente.
Amen, Amen, ascoltami.
Traduzione dal tedesco di Maja Häderli
Revisione di Guido Tigler
La Pasqua
di J.S. Bach
Meditazione teologica sull’Arte della fuga
e su un rinnovato utilizzo della musica sacra
in chiesa e come impegno civile
La storia della musica è profondamente legata nella sua evoluzione a vicende religiose, visto che gran parte della produzione musicale è nata nel
corso dei secoli “per” o “nella” Chiesa, che spesso ne è stata diretta committente.
La progressiva secolarizzazione ha portato le diverse arti a una vita autonoma fuori dal contesto per il quale si erano sviluppate, e oggi molta delle
opere nate per specifici ambiti liturgici possono essere ascoltate solo nelle
sale da concerto o nei teatri. È nostra intenzione promuovere un ritorno
della musica nel contesto originario, in funzione religiosa e come impegno sociale e civile. Da queste premesse è nata La Pasqua di Bach con
l’esecuzione dell’Arte della fuga, destinata alle cattedrali e ai detenuti delle
carceri carceri italiane.
Mario Ruffini
L’arte
della fuga
di Johann Sebastian Bach
Ars moriendi
Omaggio della ragione alla fede
nel momento supremo della morte
Il tempo della ragione
Vi sono capolavori della storia musicale sui quali
rimane, immutata per secoli, l’ombra del mistero. Cosa si nasconde dietro la monumentale costruzione dell’Arte della fuga? L’opera si presta
a una voluta ambiguità – visto anche che Bach
non le assegna nessun organico strumentale –
ed è fuori di dubbio che essa sia l’espressione
più alta di un sapere “segreto” destinato solo a
coloro che nel tempo sarebbero stati capaci di
leggere non solo quanto riportato sulla partitura
ma, soprattutto, quanto non riportato in essa o
abilmente camuffato.
Per oltre duecentocinquanta anni gli studiosi
e gli esecutori, impegnati nella comprensione tecnica del complesso artificio canonico e
contrappuntistico, non hanno notato, o hanno
tralasciato con noncuranza, un piccolo corale
aggiunto in calce. Dimenticando – di fronte a
questa cattedrale della ragion pura – che tutta
la musica scritta da Bach era stata sempre destinata “alla gloria di Dio e all’ammaestramento
dell’uomo”.
Nell’ultimo decennio della vita di Johann Sebastian Bach, le sue opere si pongono come pilastri di una inedita architettura musicale costruita
nel segno geometrico della variazione, in cui
protagonista assoluta è la capacità di organizzare il discorso attraverso l’arte del contrappunto e del canone che, nelle Variazioni Goldberg
BWV 988, nell’Offerta musicale BWV 1079 e
infine nell’Arte della fuga BWV 1080, appaiono
traduzioni matematiche di una incomparabile
esattezza spirituale. La ricerca di un sapere che
in qualche misura allontana Bach dall’arte musicale corrente.
Un panorama nuovo che porta la musica a
muoversi tra Ars et Scientia, in una speculazione che – come ricorda Alberto Basso – va
dall’Ars artificialis delle Variazioni Goldberg,
all’Ars theorica delle Variazioni canoniche,
all’Ars rhetorica dell’Offerta musicale, per
chiudersi con l’Ars perfecta dell’Arte della
fuga. Un percorso in cui il termine “Arte” è da
intendersi come Ars, nel seicentesco significato di scienza. Nasce con Bach il moderno
concetto di variazione, ciclo di progressive e
integrali modificazioni in una organizzazione
geometrica portata alla perfezione.
Con Die Kunst der Fuge / L’Arte della fuga (BWV
1080) i parametri della tecnica si tramutano in
scienza. Bach riduce all’essenziale gli elementi
primi della musica, omettendo finanche l’indicazione dell’organico strumentale: siamo di fronte
a musica pura in cui il suono diventa inafferrabile e il suo significato ineffabile.
Il piano completo dell’Arte della fuga prevedeva
forse ventiquattro fughe, ripartite in sei gruppi
di quattro (due coppie, cioè, nella doppia elaborazione del rectus e dell’inversus). Il magistrale
itinerario contrappuntistico inizia con quattro
fughe semplici, prosegue con tre controfughe,
quattro fughe doppie, quattro fughe a specchio,
quattro fughe canoniche, fino alla coppia monca
di fughe triple, seguendo una disposizione progressiva e perfettamente calcolata.
Non diversamente da quanto avvenuto nel
1747 con le Variazioni canoniche BWV 769, e
nel 1748 con l’Offerta musicale, anche l’Arte
della fuga era destinata a essere la comunicazione scientifica da offrire per l’anno 1749 alla
Correspondierende Societät der Musikalischen
Wissenschaften, di cui Bach era il membro numero 14 (numero che identifica tutta la figura
di Johann Sebastian Bach, e ne raccoglie simbolicamente i significati: non casualmente era
entrato in quella società nel 1747, anno che
contiene il numero 14 ben due volte).
L’opera scaturisce da un unico tema (o soggetto), elaborato nella perizia variativa più estrema,
in cui la classicità dell’architettura è tutt’uno
con l’esattezza della sezione aurea. Nell’intero
arco della storia musicale, nessun tema arriva
alla divina perfezione come questo: tutto l’impianto tematico è in Re minore, una tonalità
che anticamente sarebbe stata denominata
modalità dorica. Il Partenone della musica.
Ma fin dalla prima esposizione di quei suoni si
percepisce la loro ieratica sacralità, e l’intera
opera diventa percettibile anche e soprattutto
in chiave religiosa. Ci si accorge che siamo
nel terreno di una ragione acuminatissima,
nell’empireo di un pensiero talmente alto
da sfiorare, in un asintoto dell’iperbole forse
mai prima raggiunto, regioni che vanno oltre
quelle esclusive della scienza. Ecco allora che
l’opera comincia ad apparire sotto una luce
diversa: con l’Arte della fuga, la scienza si fa
fede, e la parola può trovare posto nella grande madre del silenzio. Non a caso, secondo
Christoph Wolff, L’Arte della fuga è addirittura
una sorta di pendant strumentale della Messa
in Si minore. In questa ottica è possibile osservarla più da lontano, e coglierne – anche
grazie a quel corale aggiunto in calce – i significati meno immediati a chi vi si immerge
dall’interno.
Dopo oltre trent’anni dalla sua composizione, il corale Vor deinen Thron tret ich hiermit
(Davanti al tuo trono mi presento, BWV 668a)
viene dunque riutilizzato in modo del tutto
inaspettato, integrato nel finale dell’Arte della
fuga. La presenza del Corale deve dunque essere considerata parte integrante e addirittura
caratterizzante dell’Arte della fuga, imponen-
do di leggere l’opus magnum in una forma
che va al di là dell’aspetto puramente teorico
e razionale con cui è stato osservata nel corso di tre secoli, per divenire omaggio estremo
della ragione alla fede nel momento supremo
della morte.
La malattia impedisce a Bach di completare
l’immensa cattedrale, che presumibilmente
prevedeva un’ultima coppia di fughe a quattro soggetti elaborate nel tradizionale rectus e
inversus. Bach muore infatti mentre lavora al
Contrapunctus numero 14 (numerazione che
varia a seconda delle complesse vicissitudini del manoscritto musicale), una fuga tripla
il cui terzo soggetto è composto sulle note
Sib-La-Do-Si (che nella nomenclatura tedesca
si legge B-A-C-H), cioè il suo nome posto a
suggello di una vita spesa fra musica e Dio.
Dagli anni giovanili al passo estremo
Negli anni di Weimar, fra il 1708 e il 1717, Bach
si era dedicato alla costruzione di un gigantesco monumento musicale e religioso, l’Orgelbüchlein, vero dizionario del suo idioma musicale, con l’intento di realizzare un corpus di
164 corali che possano accompagnare l’intero
anno liturgico. Già la dedica rivela le intenzioni
esplicite del compositore: «Dem höchsten Gott
allein’ zu Ehren. Dem Nächsten, draus sich zu
belehren / All’altissimo Dio solo, perché gli sia
gloria. Al prossimo, perché possa istruirvisi».
L’Orgelbüchlein rimane incompiuto: vengono
infatti composti 46 dei 164 corali originariamente previsti. Corali per organo, ciascuno dei quali
collegato a un testo della tradizione luterana del
Cinquecento. La profonda natura speculativa di
Bach è totalmente riconoscibile in questo progetto degli anni giovanili.
In ciascuno dei corali Bach va a toccare corde
specialissime del suo pregare l’Onnipotente:
le opere diventano un colloquio costante, intimo e segreto con l’Onnipotente, in cui il titolo
anticipa ciò che la musica racchiude. Uno di
essi attira una immediata attenzione per il carattere di sofferenza e smarrimento dell’uomo
che – negli attimi finali della vita terrena – trova
conforto solo nell’unione con Dio: Wenn wir
in höchsten Nöten sein (Quando siamo nella
difficoltà suprema) BWV 641. Il testo ha la forma di una vera preghiera: «Quando siamo nella
sofferenza suprema e smarriti, senza trovare
né aiuto, né consiglio, in angoscia da mattina a
sera: / Allora abbiamo una unica consolazione,
di unirci tutti insieme nel chiamare te, o fedele Dio, per chiedere il tuo aiuto per salvarci da
paura e pena. / Non guardare i nostri peccati, abbi pietà di noi e liberaci da essi, aiutaci
nella nostra miseria, liberaci da ogni tristezza.
/ Perché possiamo di tutto cuore e con gioia
ringraziare te, ubbidienti, seguire la tua parola,
cantare le tue lodi sempre e ovunque».
Il corale è di lì a poco ampliato in un nuovo corale dal titolo Vor deinen Thron tret’ich hiermit
(Davanti al tuo trono mi presento) BWV 668, in
cui viene evocato esplicitamente l’attimo in cui
l’uomo si trova al cospetto di Dio alla fine del
pellegrinaggio terreno (il testo è integralmente
riportato a pag. 5). Con l’ampliamento del Co-
rale BWV 641 che diventa il Corale BWV 668,
Bach fa vero atto di fede, una confessione con
parole struggenti. Quella che era la preghiera
del mattino e il canto alla Trinità si trasforma
nell’implorazione di una morte benedetta,
tema che tocca Bach sin dalla gioventù, e poi
maggiormente con il progredire dell’età. I testi
dei due Corali sono preghiere preparatorie alla
morte, veri Sterbechoräle, dove il credente si ritrova solo là dove unicamente Dio può portargli
conforto, consolazione. È indicativo come Bach
evochi già in anni giovanili la preghiera in musica
da offrire all’Onnipotente, ma attenda il momento opportuno per rivelare il dramma dello spirito
mentre il corpo muore.
Nel rielaborare il Corale che diventa BWV 688a,
Bach isola le linee delle voci basse, strutturandole in forma imitativa. Invece dei complessi
ornamenti dell’Orgelbüchlein, Bach lascia adesso il cantus firmus libero di correre, con note
semplici, come un vero ruscello. La struttura
successiva all’ampliamento mostra un carattere
assolutamente vocale, dopo l’eliminazione delle
colorazioni del timbro organistico della versione
originale, e di ogni abbellimento barocco.
Bach firma a modo suo questa nuova versione, forse già subliminalmente pensata come
collegamento con l’Arte della fuga: la parte del
soprano è composta da 14 note, mentre l’intero cantus firmus ne comporta 41. Numeri che
ancora una volta ricordano come il compositore
ami apporre il sigillo della propria firma con note
che traducano esattamente la sua persona: è
noto infatti che il nome “Bach” nella trasposizione ghematrica (studio numerologico delle
parole) fa 14 [ovvero: 2(b) + 1(a) + 3(c) + 8(h) =
14], mentre preceduto dalla proprie iniziali, “JS
Bach” fa 41 [ovvero 9(j) + 18(s) + 2(b) + 1(a) +
3(c) + 8(h) = 41], che è il numero 14 letto al rovescio. Tali aspetti rimandano in modo segreto
il piccolo corale al grande lavoro contrappuntistico. A parte questi dati numerologici, dal punto di vista dei contenuti e dell’organizzazione
musicale il grande monumento contrappuntistico – severo luogo della ragione speculativa –
presenta comunque poche affinità con la breve
preghiera cantata.
Il corale Vor deinen Thron tret ich hiermit (Davanti al tuo trono mi presento, BWV 668) viene
dunque riutilizzato come se quelle note attendessero da lungo tempo di essere appropriatamente destinate, e integrato (come BWV
688a) integrato nel finale dell’Arte della fuga
BWV 1080. È a questa sorprendente collocazione che deve la sua celebrità. Mentre la sua
giornata terrena volge al termine, Bach chiede
al figlio Carl Philipp Emanuel di inserirlo in calce all’opera lasciata incompiuta. Il figlio segue
le disposizioni paterne nel preparare la prima
edizione a stampa del sommo capolavoro: egli
conosceva meglio di ogni altro le idee e le intenzioni del padre, che generalmente rispettava, e dunque la presenza del Corale BWV 688a
deve essere considerata parte integrante e
addirittura caratterizzante dell’Arte della fuga,
imponendo di leggere l’opus magnum in una
forma che va al di là dell’aspetto puramente
teorico e razionale con cui è stato osservata
nel corso di tre secoli. Nel corale sono ingigantiti i sentimenti di sofferenza, con note che
tratteggiano l’istante del trapasso, sulle quali
la tradizione vuole si sia chiusa la giornata terrena del Kantor.
Nella vasta bibliografia sull’Arte della fuga, Vor
deinen Thron tret ich hiermit viene assai spesso
ignorato, tanto da portare la quasi totalità delle
esecuzioni addirittura a ometterlo, pur essendo
parte organica della partitura. Ma anche quando
il corale è inserito nell’esecuzione, non è mai
stata colta appieno l’importanza teologica del
suo apporto, talmente dirompente da cambiare
la natura stessa del capolavoro. In questa “scoperta”, nata da una prospettiva che osserva la
musica bachiana come espressione teologica
della musica, si integra l’eterna riflessione umana sul momento supremo.
Non consideriamo estranea a tale contesto la
decisione di Bach di non affidare a nessun organico strumentale l’esecuzione dell’Arte della
fuga, per accedere a mondi di natura ontologica nei quali la parola non è necessaria: nel
silenzio la parola. Non esercizio di erudizione,
come fino ai nostri giorni è stata da molti considerata, ma Lectio theologica e summa musicale di un magistero irripetibile, che si conclude mentre appone, con le note, il proprio nome
quale suggello.
La fuga
Voci che corrono, si rincorrono e si inseguono,
diverse tra loro eppur perfettamente integrate,
voci che si avvicinano e si allontanano. Un grande
specchio dell’universo pulsa nelle vene delle linee
parallele che formano il tessuto della polifonia, la
più grande conquista della musica occidentale,
che separa in modo drastico le vicende di questa
cultura da quelle di tutte le altre culture del mondo. Voci polifoniche che aspirano all’infinito.
Le voci parallele di una fuga vanno a comporre
la grande geometria della cattedrale musicale:
le vie di fuga, nel rincorrersi delle voci sonore,
aiutano a capire l’architettura del luogo che ospita i suoni, fino a generarli. Il luogo dove si svolge
il rito sonoro non è dunque mero contenitore,
ma geometrica e concreta raffigurazione della
costruzione contrappuntistica.
Per tutta la vita Bach compone fughe, e il suo
intero magistero può racchiudersi nell’idea di
fuga. Nessun’altra forma gli era altrettanto congeniale. Una forma che, nell’organizzazione e
nell’opposizione di soggetto e controsoggetto,
nonché nel fluire delle forme retto, retrogrado,
inverso e retrogrado inverso, è la sublimazione
teologica dello specchio, cioè dell’idea di Dio.
La fuga con Bach è un pensiero che ricorrendo
da voce a voce, si sublima e s’innalza, e si appaga nel divino. È un manifestarsi della ragione
che diventa omaggio alla fede. È un pensiero
che si fa verbo e che, allontanandosi dalla materia, si fa spirito.
Il Kantor maximus si presenta come colui che
ha unito arte e scienza, e che in un irripetibile
asintoto dell’iperbole avvicina la creatività umana a quella divina. Il suo accostamento a Dio,
vissuto nella tensione continua di servirlo per
mezzo della musica, diventa una nuova prova
della sua stessa esistenza. L’ultima prova di
fede nel pieno tempo della ragione.
L’Arte della fuga è la preghiera più alta forse mai
espressa da mente umana, composta da un
instancabile cercatore di Dio: mentre Bach pregava sopraggiunse la morte. Ma la sua musica
non esprime timore di Dio, poiché totale è la
sua compartecipazione alle cose divine. Bach è
in perfetta armonia con Dio.
Le ultime opere si configurano come pensiero
musicale che prescinde dalla stessa musica,
ormai solo volta a esprimere la più alta gloria di
Dio attraverso un esercizio dello spirito, compiuto con geometrica determinazione. Un passaggio a ritroso: dal Barocco al Gotico, per ascendere alla purezza del pensiero più folle, quello della
razionalità che si fa fede.
Con Die Kunst der Fuge termina, in forma di
preghiera, il percorso terreno del Cantore di Leipzig. Comprendiamo allora come ogni nota della
ragione sia essa stessa preghiera. Quel corale
dà alla ragione umana uno scopo, un significato,
una luce. Tutto prende forma e s’illumina grazie
a esso: la ragione musicale si tramuta in un
atto di fede. È come se Bach avesse deciso di
chiudere la sua esistenza con una melodia della più semplice tradizione di fede, unico modo
per essere degno di compiere il passo decisivo:
Vor deinen Thron tret ich hiermit (Davanti al tuo
trono mi presento). Non casualmente, forse, le
ultime fughe sono strutturate in una prospettiva prettamente teologica, quella della forma a
specchio.
Teologo, cantore dell’uomo, matematico: tutto
questo fu Bach. Genio di un tempo della ragione
in cui incombeva sull’uomo la paura della morte,
che oggi osserviamo dall’ottica di una umanità
sprovvista di ragione in cui c’è paura della vita.
In queste ansie parallele, siamo impegnati a riempire le chiese per paura della solitudine: ma
è nella solitudine della chiesa vuota che Bach
imparò, suonando l’organo per dialogare con
Dio, a respirare l’anelito dell’infinito cristiano.
Fede e scienza, dunque, nel passo estremo.
Una profonda meditazione con cui dare inizio
alla Settimana Santa.
Nasce così la proposta di questa versione
dell’Arte della fuga. L’esecuzione musicale è
affidata a un’orchestra d’archi non casualmente
di 14 elementi in una versione presentata per la
prima volta, che si avvale, nel finale, della partecipazione di un coro misto per il corale Vor deinen Thron tret ich hiermit (Davanti al tuo trono
mi presento) in cui si recupera l’originario testo
cinquecentesco che arriva a Bach dalla cultura
luterana.
La Basilica di Santa Croce, che ospita questa
nuova lettura del capolavoro bachiano, diventa così interprete essa stessa della musica: lo
spazio si fa contenitore del tempo e ne rivela
la geometria mentre il contrappunto dei suoni
si intreccia con le linee dello spazio. L’Arte della
fuga accoglie tempo e spazio, rivelandosi come
preghiera in musica, omaggio della ragione alla
fede nel momento supremo della morte.
Testo tratto dal volume in preparazione: Mario Ruffini,
L’Arte della fuga. Bach tra musica, scienza e fede
Autografo dell’inizio dell’Arte della Fuga
Mario Ruffini
Bach/L’Arte della fuga
Progetto carceri
Il capolavoro di Bach
per la prima volta nella storia
dentro gli istituti di pena
Il progetto si propone di portare L’Arte della fuga di
Johann Sebastian Bach, uno dei massimi monumenti dell’arte musicale, in tutte le carceri italiane.
L’organico dell’orchestra è di 14 archi (4 violini
primi, 4 violini secondi, 3 viole, 2 violoncelli, 1
contrabbasso), a cui si aggiunge un coro misto:
il numero 14 non è casuale, poiché racchiude
tutti i segreti del magistero musicale bachiano.
Il titolo dell’opera sembra evocare il massimo
desiderio istintuale di ogni prigioniero, limitato
nella propria libertà: “insegnare” ai detenuti l’arte di fuggire è dunque quasi un gioco di parole.
Ma la “fuga” di cui si parla è un evento dello
spirito, della ragione e della fede, ed è questa la
via di fuga che vuole essere portata ai detenuti,
vero messaggio di speranza e rinascita dal luogo dove la libertà è forzatamente limitata.
Lo stesso Bach – che nel corso della sua vita
incorse anche in un duello e si trovò a sguainare
la propria spada – ha vissuto la prigionia nella
doppia forma della realtà carceraria e della solitudine professionale.
Per un intero mese Bach fu infatti effettivamente
imprigionato a Weimar a causa della sua decisione di lasciare la Corte dove era a servizio, per trasferirsi a Köthen dal principe Leopoldo Augusto.
I regnanti di Weimar si sentirono traditi dall’abbandono del loro Maestro di Corte (il musicista,
a quell’epoca, era poco più che un lacchè), e lo incarcerarono dal 6 novembre al 2 dicembre 1717.
Per un lungo periodo Bach si trovò invece a vi-
vere gli ultimi anni della sua esistenza in una
condizione professionalmente e spiritualmente
“prigioniera”, cioè in un luogo (Lipsia) che sembrò al compositore fuori dai grandi flussi della
vita alla moda dell’epoca che egli avrebbe voluto frequentare. Egli si sarebbe abbeverato alle
fonti del Rococò, allora imperante, col suo stile
ornamentale, elegante e sfarzoso, tutto ondulazioni e riccioli e arabeschi, che pure si ritrovano
nella sua musica.
A differenza di quanto gli era capitato nel lontani
anni giovanili, quando si spostava con immediatezza dovunque fosse necessario per trovare lavoro o imparare dai grandi maestri, nell’età matura Bach non ebbe più la possibilità di trasferirsi da
Lipsia, poiché il lavoro ormai stabile e la famiglia,
ricca di tanti figli, non lo permettevano più.
Quell’isolamento spirituale si rivelò però una
delle fortune dell’umanità, poiché fu alla base
della più grande produzione musicale mai generata da mente umana, di cui L’Arte della fuga è
il vertice assoluto, ben accompagnato da altre
speculazioni della ragione, come le Variazioni
Goldberg o l’Offerta Musicale. Evento dello spirito, prima ancora che della musica, tanto che
nessun organico fu assegnato per la sua esecuzione: la partitura rimase del tutto estranea a
ogni definizione strumentale. Musica pura dunque, che fu possibile sviluppare forse anche
grazie alla lontananza dalle mode del tempo.
L’ Arte delle fuga rimane incompiuta poiché
Bach termina i giorni terreni mentre scrive gli
ultimi contrappunti del suo capolavoro. L’ultimo
soggetto è composto sulle note Sib-La-Do-Si,
cioè il suo nome posto a suggello di tutta una
vita spesa fra musica e Dio.
Carl Philipp Emanuel Bach, suo figlio, seguendo
le disposizioni paterne, aggiunge il Corale Von
deinen Thron tret ich hiermit (Davanti al tuo trono mi presento) scritto da suo padre trent’anni
prima. L’Arte delle fuga diventa così un omaggio
della ragione alla fede nel momento supremo
della morte, trovando nella Settimana Santa il
momento più consono alla profonda meditazione dell’estremo passo terreno.
Il Progetto Carceri / L’Arte della fuga si propone
di donare ai detenuti un forte motivo di riflessione sulle potenzialità di rinascenza che ogni
luogo appartato, anche quello estremo della
reclusione, può generare: nessun periodo potrebbe essere migliore dalla Settimana Santa. Il
Progetto si compie in collaborazione con il Ministero della Giustizia, che lo promuove presso
i vari Istituti di pena dislocati sul territorio.
La prima tappa del Progetto ha inizio a Firenze con l’esecuzione nella Casa Circondariale
di Sollicciano, lunedì 25 marzo 2013 alle ore
10.00, che segue quella pubblica della Domenica delle Palme alla Basilica di Santa Croce con
la riflessione teologica del Cardinale Giuseppe
Betori. L’appuntamento viene preceduto da
una conferenza preparatoria destinata ai detenuti che scelgono di partecipare all’evento e
che ha luogo giovedì 21 marzo alle ore 10.00.
La seconda tappa del Progetto ha luogo a Teramo con l’esecuzione nella Casa Circondariale
di Castrogno, venerdì 5 aprile 2013. In questo
caso l’evento precede l’esecuzione che la sera
dello stesso giorno viene offerta nella Cattedrale di quella città, che in questo caso si avvale della riflessione del vescovo Michele Seccia.
La terza tappa del Progetto ha luogo a Roma
con l’esecuzione nella Casa di Reclusione Maschile di Rebibbia Nuovo Complesso ; la quarta tappa ha luogo sempre a Roma e sempre a
Rebibbia, nella Casa di Reclusione Femminile.
Entrambe il 28 settembre 2014
Medaglia del Presidente della Repubblica Italiana
in occasione della Messa in Si minore di J.S. Bach
del 5 gennaio 2014
Associazione Onlus
SOCI FONDATORI
S.E. Cardinale Giuseppe Betori
Mario Ruffini
Don Alfredo Jacopozzi
Arcivescovo di Firenze
I
Direttore Ufficio Cultura Arcidiocesi
Presidente ad honorem
Presidente
Vicepresidente
Massimo Martini
Camilla Laschi
Dottore Commercialista
Presidente Accademia San Felice
Direttore generale
Consigliere artistico
Carmelo Cantone
Andrea Fagioli
Gianfranco Politi
Oreste Cacurri
Raffaele Carrega Bertolini
Antonietta Fiorillo
Sergio Givone
Provveditore Carceri Toscana
Direttore Toscana Oggi
Responsabile Educational Sollicciano
Direttore Carcere di Sollicciano
Delegato Ordine di Malta
Presidente Tribunale di Sorveglianza
Università di Firenze /Assessore Cultura
Consiglio direttivo
Consiglio direttivo
Consiglio direttivo
Consiglio direttivo
Consiglio direttivo
Consiglio direttivo
Consiglio direttivo
Giancarlo Lo Schiavo
Stefano Rovai
Alessandra Rapalli
Hilia-Irene Ruffini
Francesco Terzini
Susanna Weber
Notaio
Studio grafico
Sito Web
Università di Firenze
Fondazione Sistema Toscana
Studio grafico
Socio
Socio
Socia
Socia
Socio
Socia
FINALITÀ ASSOCIATIVE
L’Associazione Onlus “La Pasqua di Bach” ha sede presso l’Arcidiocesi di Firenze e ha come presidente onorario S.E. Reverendissima
Cardinale Giuseppe Betori.
Come si evince dallo Statuto, dall'atto costitutivo e dai nomi stessi dei fondatori, l’Associazione sviluppa la propria attività su due filoni:
-
Musica e Liturgia
Musica e Carceri
MUSICA E LITURGIA
Lo scopo è quello di promuovere la conoscenza e la valorizzazione della musica sacra, in particolare riportando strutturalmente la musica
nella liturgia, specie quella nata “per” o “nella” liturgia, oggi ascoltabile quasi solo esclusivamente in sale da concerto o teatri.
MUSICA E CARCERI
Su questo versante, l’impegno è rivolto soprattutto alla Casa Circondariale di Sollicciano (abbiamo già donato a tale struttura un pianoforte
verticale), dove organizziamo una organica attività musicale e artistica (musica, teatro, cinema) organizzando:
a)
b)
c)
d)
e)
f)
Scuola professionale di artigianato musicale finalizzata alla costruzione di strumenti musicali;
Un Coro dei detenuti;
Scuola di musica per i detenuti;
Scuola di musica per i figli degli agenti di polizia penitenziaria;
Stagioni concertistiche, teatrali, cinematografiche e letterarie;
Realizzazione a Sollicciano di un impianto di diffusione acustica che permetta a tutti i reparti un ascolto giornaliero della musica, in
particolare modo, di Johann Sebastian Bach.
Un impegno, quello dell’Associazione, finalizzato, attraverso la musica, a far vivere il tempo della condanna come vero momento
riabilitativo.
Presidente onorario
www.lapasquadibach.it
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