La Pasqua di Bach omaggio della ragione alla fede nel momento supremo della morte Fuga della BWV 1080 Corale BWV 668a Vor deinen Thron tret ich hiermit Davanti al tuo trono mi presento ROMA, Rebibbia, Casa di Reclusione maschile e femminile 28 settembre 2014 Johann Sebastian Bach L’arte Fuga della BWV 1080 omaggio della ragione alla fede nel momento supremo della morte Ars moriendi Nuova versione di Mario Ruffini per orchestra di 14 archi e coro misto con il Corale BWV 668a Vor deinen Thron tret ich hiermit Davanti al tuo trono mi presento ITALIA E L’Arte delle fuga diventa così un omaggio della ragione alla fede nel momento supremo della morte, trovando nella Settimana Santa il momento più consono alla profonda meditazione dell’estremo passo terreno. M U Carl Philipp Emanuel Bach, suo figlio, seguendo le disposizioni paterne, aggiunge il Corale Von deinen Thron tret ich hiermit scritto da suo padre trent’anni prima. M MUSIC IU O B C LLEG JS L’ Arte delle fuga rimane incompiuta poiché Bach termina i giorni terreni mentre scrive gli ultimi contrappunti del suo capolavoro. L’ultimo soggetto è composto sulle note Sib-La-Do-Si, cioè il suo nome posto a suggello di tutta una vita spesa fra musica e Dio. Or a che er stra da Cam Direttore Mario Ruffini Violino primo Gianfranco Lupidii Violino secondo Luca Matani Viola Clara Campi Violoncello Graziano Nori Contrabbasso Emiliano Macrini Vor deinen Thron tret ich hiermit Davanti al tuo trono mi presento [Loys Bourgeois, 1547] [Bodo von Hodenberg, 1646] [Justin Gesenius] J.S. Bach Corale per organo n. 18 BWV 668 versione ampliata del BWV 641 Prima edizione: Peters, Lipsia, 1847 | NBA: IV/2, 113 J.S. Bach Corale – variante BWV 668a Canto Fermo in Canto Prima edizione: in Die Kunst der Fuge BWV 1080 BG: XXV/2, 145 | NBA: IV/2, 212 Vor deinen Thron tret ich hiermit Davanti al tuo trono mi presento Vor deinen Thron tret ich hiermit O Gott und dich gemütig bitt: Wend doch dein gnädig Angesicht Vor mir, dem armen Sünder nicht. Du hast mich, O Gott Vater mild, Gemacht nach deinem Ebenbild. In dir web, schweb und lebe ich, Vergehen müßt ich ohne dich. Davanti al tuo trono mi presento, O Dio, e devotamente ti prego: Non voltare il tuo benevolo volto Da me, povero peccatore. Mi hai creato, o Dio, Padre misericordioso, A tua immagine e somiglianza. In te unito e sospeso, io vivo, Perire dovrei senza di te. Gott Sohn, du hast mich durch dein Blut Erlöset von der Höllenglut, Das schwer Gesetz fur mich erfüllt, Damit des Vaters Zorn gestillt. Gott Heiliger Geist, du höchster Kraft, Des Gnade in mir alles schafft, Ist etwas Guts am Leben mein, So ist es wahrlich alles dein. Drum danke ich mit Herz und Mund Dir, Gott, in dieser Morgenstund Für alle Gutem Treue und Gnad, Die meine Seel emfangen hat. Figlio di Dio, con il tuo sangue tu mi hai Redento dai carboni ardenti dell’inferno, Ti sei accollato per me la dura prova, Perché si placasse l’ira del Padre. Dio Spirito Santo, tu suprema forza, La cui grazia in me tutto crea, Se esiste qualcosa di buono nella mia vita, In verità, appartiene unicamente a te. Per questo, col cuore e la bocca ti ringrazio, Tu, o Dio, in questa ora del mattino, Per ogni bene, virtù e grazia, Ricevuti dalla mia anima. Und bitt, daß deine Gnadenhand Blieb über mir heut ausgespannt; Mein Amt, Gut, Ehr, Freund, Leib und Seel In deinen Schutz ich dir befehl. Hilf, daß ich werd von Herzen fromm, Damit mein ganzes Christentum Aufrichtig und Rechtschaffen sei, Nicht Augenschein und Heuchelei, Daß ich fest in Anfechtung steh Und nicht in Trübsal untergeh, Daß ich im Herzen Trost empfind, Zuletzt mir Freuden überwind. E prego che la tua mano portatrice di grazia Rimanga tesa sopra di me anche oggi: tutto di me, Il mio ruolo, i miei beni, l’onore, gli amici, l’anima e il corpo Affido alla tua protezione. Aiutami, affinché io diventi pio di cuore, Che il mio essere cristiano Sia sincero e operatore di bene, Che non sia mera apparenza e ipocrisia, Che io rimanga fermo nelle controversie, E non affondi nella tristezza, Che io senta nel mio cuore il conforto, Che, infine, si tramuti in gioia. Erlaß mir meine Sündenschuld Und hab mit deinem Knecht Geduld Zünd in mir Glauben an und Lieb, Zu jenem Leben Hoffnung gib. Ein selig Ende mir bescher, Am Jüngsten Tag erweck mich, Herr, Daß ich dich schaue ewiglich. Amen, Amen, erhöre mich. Liberami dal debito dei miei peccati, E abbi pietà di me, servo tuo. Accendi in me la fiamma della fede e della carità, Dammi la speranza dell’altra vita. Donami una fine beata, Risvegliami nel Giudizio Universale, Signore, Che al tuo cospetto eternamente io viva, Che possa io vederti eternamente. Amen, Amen, ascoltami. Traduzione dal tedesco di Maja Häderli Revisione di Guido Tigler La Pasqua di J.S. Bach Meditazione teologica sull’Arte della fuga e su un rinnovato utilizzo della musica sacra in chiesa e come impegno civile La storia della musica è profondamente legata nella sua evoluzione a vicende religiose, visto che gran parte della produzione musicale è nata nel corso dei secoli “per” o “nella” Chiesa, che spesso ne è stata diretta committente. La progressiva secolarizzazione ha portato le diverse arti a una vita autonoma fuori dal contesto per il quale si erano sviluppate, e oggi molta delle opere nate per specifici ambiti liturgici possono essere ascoltate solo nelle sale da concerto o nei teatri. È nostra intenzione promuovere un ritorno della musica nel contesto originario, in funzione religiosa e come impegno sociale e civile. Da queste premesse è nata La Pasqua di Bach con l’esecuzione dell’Arte della fuga, destinata alle cattedrali e ai detenuti delle carceri carceri italiane. Mario Ruffini L’arte della fuga di Johann Sebastian Bach Ars moriendi Omaggio della ragione alla fede nel momento supremo della morte Il tempo della ragione Vi sono capolavori della storia musicale sui quali rimane, immutata per secoli, l’ombra del mistero. Cosa si nasconde dietro la monumentale costruzione dell’Arte della fuga? L’opera si presta a una voluta ambiguità – visto anche che Bach non le assegna nessun organico strumentale – ed è fuori di dubbio che essa sia l’espressione più alta di un sapere “segreto” destinato solo a coloro che nel tempo sarebbero stati capaci di leggere non solo quanto riportato sulla partitura ma, soprattutto, quanto non riportato in essa o abilmente camuffato. Per oltre duecentocinquanta anni gli studiosi e gli esecutori, impegnati nella comprensione tecnica del complesso artificio canonico e contrappuntistico, non hanno notato, o hanno tralasciato con noncuranza, un piccolo corale aggiunto in calce. Dimenticando – di fronte a questa cattedrale della ragion pura – che tutta la musica scritta da Bach era stata sempre destinata “alla gloria di Dio e all’ammaestramento dell’uomo”. Nell’ultimo decennio della vita di Johann Sebastian Bach, le sue opere si pongono come pilastri di una inedita architettura musicale costruita nel segno geometrico della variazione, in cui protagonista assoluta è la capacità di organizzare il discorso attraverso l’arte del contrappunto e del canone che, nelle Variazioni Goldberg BWV 988, nell’Offerta musicale BWV 1079 e infine nell’Arte della fuga BWV 1080, appaiono traduzioni matematiche di una incomparabile esattezza spirituale. La ricerca di un sapere che in qualche misura allontana Bach dall’arte musicale corrente. Un panorama nuovo che porta la musica a muoversi tra Ars et Scientia, in una speculazione che – come ricorda Alberto Basso – va dall’Ars artificialis delle Variazioni Goldberg, all’Ars theorica delle Variazioni canoniche, all’Ars rhetorica dell’Offerta musicale, per chiudersi con l’Ars perfecta dell’Arte della fuga. Un percorso in cui il termine “Arte” è da intendersi come Ars, nel seicentesco significato di scienza. Nasce con Bach il moderno concetto di variazione, ciclo di progressive e integrali modificazioni in una organizzazione geometrica portata alla perfezione. Con Die Kunst der Fuge / L’Arte della fuga (BWV 1080) i parametri della tecnica si tramutano in scienza. Bach riduce all’essenziale gli elementi primi della musica, omettendo finanche l’indicazione dell’organico strumentale: siamo di fronte a musica pura in cui il suono diventa inafferrabile e il suo significato ineffabile. Il piano completo dell’Arte della fuga prevedeva forse ventiquattro fughe, ripartite in sei gruppi di quattro (due coppie, cioè, nella doppia elaborazione del rectus e dell’inversus). Il magistrale itinerario contrappuntistico inizia con quattro fughe semplici, prosegue con tre controfughe, quattro fughe doppie, quattro fughe a specchio, quattro fughe canoniche, fino alla coppia monca di fughe triple, seguendo una disposizione progressiva e perfettamente calcolata. Non diversamente da quanto avvenuto nel 1747 con le Variazioni canoniche BWV 769, e nel 1748 con l’Offerta musicale, anche l’Arte della fuga era destinata a essere la comunicazione scientifica da offrire per l’anno 1749 alla Correspondierende Societät der Musikalischen Wissenschaften, di cui Bach era il membro numero 14 (numero che identifica tutta la figura di Johann Sebastian Bach, e ne raccoglie simbolicamente i significati: non casualmente era entrato in quella società nel 1747, anno che contiene il numero 14 ben due volte). L’opera scaturisce da un unico tema (o soggetto), elaborato nella perizia variativa più estrema, in cui la classicità dell’architettura è tutt’uno con l’esattezza della sezione aurea. Nell’intero arco della storia musicale, nessun tema arriva alla divina perfezione come questo: tutto l’impianto tematico è in Re minore, una tonalità che anticamente sarebbe stata denominata modalità dorica. Il Partenone della musica. Ma fin dalla prima esposizione di quei suoni si percepisce la loro ieratica sacralità, e l’intera opera diventa percettibile anche e soprattutto in chiave religiosa. Ci si accorge che siamo nel terreno di una ragione acuminatissima, nell’empireo di un pensiero talmente alto da sfiorare, in un asintoto dell’iperbole forse mai prima raggiunto, regioni che vanno oltre quelle esclusive della scienza. Ecco allora che l’opera comincia ad apparire sotto una luce diversa: con l’Arte della fuga, la scienza si fa fede, e la parola può trovare posto nella grande madre del silenzio. Non a caso, secondo Christoph Wolff, L’Arte della fuga è addirittura una sorta di pendant strumentale della Messa in Si minore. In questa ottica è possibile osservarla più da lontano, e coglierne – anche grazie a quel corale aggiunto in calce – i significati meno immediati a chi vi si immerge dall’interno. Dopo oltre trent’anni dalla sua composizione, il corale Vor deinen Thron tret ich hiermit (Davanti al tuo trono mi presento, BWV 668a) viene dunque riutilizzato in modo del tutto inaspettato, integrato nel finale dell’Arte della fuga. La presenza del Corale deve dunque essere considerata parte integrante e addirittura caratterizzante dell’Arte della fuga, imponen- do di leggere l’opus magnum in una forma che va al di là dell’aspetto puramente teorico e razionale con cui è stato osservata nel corso di tre secoli, per divenire omaggio estremo della ragione alla fede nel momento supremo della morte. La malattia impedisce a Bach di completare l’immensa cattedrale, che presumibilmente prevedeva un’ultima coppia di fughe a quattro soggetti elaborate nel tradizionale rectus e inversus. Bach muore infatti mentre lavora al Contrapunctus numero 14 (numerazione che varia a seconda delle complesse vicissitudini del manoscritto musicale), una fuga tripla il cui terzo soggetto è composto sulle note Sib-La-Do-Si (che nella nomenclatura tedesca si legge B-A-C-H), cioè il suo nome posto a suggello di una vita spesa fra musica e Dio. Dagli anni giovanili al passo estremo Negli anni di Weimar, fra il 1708 e il 1717, Bach si era dedicato alla costruzione di un gigantesco monumento musicale e religioso, l’Orgelbüchlein, vero dizionario del suo idioma musicale, con l’intento di realizzare un corpus di 164 corali che possano accompagnare l’intero anno liturgico. Già la dedica rivela le intenzioni esplicite del compositore: «Dem höchsten Gott allein’ zu Ehren. Dem Nächsten, draus sich zu belehren / All’altissimo Dio solo, perché gli sia gloria. Al prossimo, perché possa istruirvisi». L’Orgelbüchlein rimane incompiuto: vengono infatti composti 46 dei 164 corali originariamente previsti. Corali per organo, ciascuno dei quali collegato a un testo della tradizione luterana del Cinquecento. La profonda natura speculativa di Bach è totalmente riconoscibile in questo progetto degli anni giovanili. In ciascuno dei corali Bach va a toccare corde specialissime del suo pregare l’Onnipotente: le opere diventano un colloquio costante, intimo e segreto con l’Onnipotente, in cui il titolo anticipa ciò che la musica racchiude. Uno di essi attira una immediata attenzione per il carattere di sofferenza e smarrimento dell’uomo che – negli attimi finali della vita terrena – trova conforto solo nell’unione con Dio: Wenn wir in höchsten Nöten sein (Quando siamo nella difficoltà suprema) BWV 641. Il testo ha la forma di una vera preghiera: «Quando siamo nella sofferenza suprema e smarriti, senza trovare né aiuto, né consiglio, in angoscia da mattina a sera: / Allora abbiamo una unica consolazione, di unirci tutti insieme nel chiamare te, o fedele Dio, per chiedere il tuo aiuto per salvarci da paura e pena. / Non guardare i nostri peccati, abbi pietà di noi e liberaci da essi, aiutaci nella nostra miseria, liberaci da ogni tristezza. / Perché possiamo di tutto cuore e con gioia ringraziare te, ubbidienti, seguire la tua parola, cantare le tue lodi sempre e ovunque». Il corale è di lì a poco ampliato in un nuovo corale dal titolo Vor deinen Thron tret’ich hiermit (Davanti al tuo trono mi presento) BWV 668, in cui viene evocato esplicitamente l’attimo in cui l’uomo si trova al cospetto di Dio alla fine del pellegrinaggio terreno (il testo è integralmente riportato a pag. 5). Con l’ampliamento del Co- rale BWV 641 che diventa il Corale BWV 668, Bach fa vero atto di fede, una confessione con parole struggenti. Quella che era la preghiera del mattino e il canto alla Trinità si trasforma nell’implorazione di una morte benedetta, tema che tocca Bach sin dalla gioventù, e poi maggiormente con il progredire dell’età. I testi dei due Corali sono preghiere preparatorie alla morte, veri Sterbechoräle, dove il credente si ritrova solo là dove unicamente Dio può portargli conforto, consolazione. È indicativo come Bach evochi già in anni giovanili la preghiera in musica da offrire all’Onnipotente, ma attenda il momento opportuno per rivelare il dramma dello spirito mentre il corpo muore. Nel rielaborare il Corale che diventa BWV 688a, Bach isola le linee delle voci basse, strutturandole in forma imitativa. Invece dei complessi ornamenti dell’Orgelbüchlein, Bach lascia adesso il cantus firmus libero di correre, con note semplici, come un vero ruscello. La struttura successiva all’ampliamento mostra un carattere assolutamente vocale, dopo l’eliminazione delle colorazioni del timbro organistico della versione originale, e di ogni abbellimento barocco. Bach firma a modo suo questa nuova versione, forse già subliminalmente pensata come collegamento con l’Arte della fuga: la parte del soprano è composta da 14 note, mentre l’intero cantus firmus ne comporta 41. Numeri che ancora una volta ricordano come il compositore ami apporre il sigillo della propria firma con note che traducano esattamente la sua persona: è noto infatti che il nome “Bach” nella trasposizione ghematrica (studio numerologico delle parole) fa 14 [ovvero: 2(b) + 1(a) + 3(c) + 8(h) = 14], mentre preceduto dalla proprie iniziali, “JS Bach” fa 41 [ovvero 9(j) + 18(s) + 2(b) + 1(a) + 3(c) + 8(h) = 41], che è il numero 14 letto al rovescio. Tali aspetti rimandano in modo segreto il piccolo corale al grande lavoro contrappuntistico. A parte questi dati numerologici, dal punto di vista dei contenuti e dell’organizzazione musicale il grande monumento contrappuntistico – severo luogo della ragione speculativa – presenta comunque poche affinità con la breve preghiera cantata. Il corale Vor deinen Thron tret ich hiermit (Davanti al tuo trono mi presento, BWV 668) viene dunque riutilizzato come se quelle note attendessero da lungo tempo di essere appropriatamente destinate, e integrato (come BWV 688a) integrato nel finale dell’Arte della fuga BWV 1080. È a questa sorprendente collocazione che deve la sua celebrità. Mentre la sua giornata terrena volge al termine, Bach chiede al figlio Carl Philipp Emanuel di inserirlo in calce all’opera lasciata incompiuta. Il figlio segue le disposizioni paterne nel preparare la prima edizione a stampa del sommo capolavoro: egli conosceva meglio di ogni altro le idee e le intenzioni del padre, che generalmente rispettava, e dunque la presenza del Corale BWV 688a deve essere considerata parte integrante e addirittura caratterizzante dell’Arte della fuga, imponendo di leggere l’opus magnum in una forma che va al di là dell’aspetto puramente teorico e razionale con cui è stato osservata nel corso di tre secoli. Nel corale sono ingigantiti i sentimenti di sofferenza, con note che tratteggiano l’istante del trapasso, sulle quali la tradizione vuole si sia chiusa la giornata terrena del Kantor. Nella vasta bibliografia sull’Arte della fuga, Vor deinen Thron tret ich hiermit viene assai spesso ignorato, tanto da portare la quasi totalità delle esecuzioni addirittura a ometterlo, pur essendo parte organica della partitura. Ma anche quando il corale è inserito nell’esecuzione, non è mai stata colta appieno l’importanza teologica del suo apporto, talmente dirompente da cambiare la natura stessa del capolavoro. In questa “scoperta”, nata da una prospettiva che osserva la musica bachiana come espressione teologica della musica, si integra l’eterna riflessione umana sul momento supremo. Non consideriamo estranea a tale contesto la decisione di Bach di non affidare a nessun organico strumentale l’esecuzione dell’Arte della fuga, per accedere a mondi di natura ontologica nei quali la parola non è necessaria: nel silenzio la parola. Non esercizio di erudizione, come fino ai nostri giorni è stata da molti considerata, ma Lectio theologica e summa musicale di un magistero irripetibile, che si conclude mentre appone, con le note, il proprio nome quale suggello. La fuga Voci che corrono, si rincorrono e si inseguono, diverse tra loro eppur perfettamente integrate, voci che si avvicinano e si allontanano. Un grande specchio dell’universo pulsa nelle vene delle linee parallele che formano il tessuto della polifonia, la più grande conquista della musica occidentale, che separa in modo drastico le vicende di questa cultura da quelle di tutte le altre culture del mondo. Voci polifoniche che aspirano all’infinito. Le voci parallele di una fuga vanno a comporre la grande geometria della cattedrale musicale: le vie di fuga, nel rincorrersi delle voci sonore, aiutano a capire l’architettura del luogo che ospita i suoni, fino a generarli. Il luogo dove si svolge il rito sonoro non è dunque mero contenitore, ma geometrica e concreta raffigurazione della costruzione contrappuntistica. Per tutta la vita Bach compone fughe, e il suo intero magistero può racchiudersi nell’idea di fuga. Nessun’altra forma gli era altrettanto congeniale. Una forma che, nell’organizzazione e nell’opposizione di soggetto e controsoggetto, nonché nel fluire delle forme retto, retrogrado, inverso e retrogrado inverso, è la sublimazione teologica dello specchio, cioè dell’idea di Dio. La fuga con Bach è un pensiero che ricorrendo da voce a voce, si sublima e s’innalza, e si appaga nel divino. È un manifestarsi della ragione che diventa omaggio alla fede. È un pensiero che si fa verbo e che, allontanandosi dalla materia, si fa spirito. Il Kantor maximus si presenta come colui che ha unito arte e scienza, e che in un irripetibile asintoto dell’iperbole avvicina la creatività umana a quella divina. Il suo accostamento a Dio, vissuto nella tensione continua di servirlo per mezzo della musica, diventa una nuova prova della sua stessa esistenza. L’ultima prova di fede nel pieno tempo della ragione. L’Arte della fuga è la preghiera più alta forse mai espressa da mente umana, composta da un instancabile cercatore di Dio: mentre Bach pregava sopraggiunse la morte. Ma la sua musica non esprime timore di Dio, poiché totale è la sua compartecipazione alle cose divine. Bach è in perfetta armonia con Dio. Le ultime opere si configurano come pensiero musicale che prescinde dalla stessa musica, ormai solo volta a esprimere la più alta gloria di Dio attraverso un esercizio dello spirito, compiuto con geometrica determinazione. Un passaggio a ritroso: dal Barocco al Gotico, per ascendere alla purezza del pensiero più folle, quello della razionalità che si fa fede. Con Die Kunst der Fuge termina, in forma di preghiera, il percorso terreno del Cantore di Leipzig. Comprendiamo allora come ogni nota della ragione sia essa stessa preghiera. Quel corale dà alla ragione umana uno scopo, un significato, una luce. Tutto prende forma e s’illumina grazie a esso: la ragione musicale si tramuta in un atto di fede. È come se Bach avesse deciso di chiudere la sua esistenza con una melodia della più semplice tradizione di fede, unico modo per essere degno di compiere il passo decisivo: Vor deinen Thron tret ich hiermit (Davanti al tuo trono mi presento). Non casualmente, forse, le ultime fughe sono strutturate in una prospettiva prettamente teologica, quella della forma a specchio. Teologo, cantore dell’uomo, matematico: tutto questo fu Bach. Genio di un tempo della ragione in cui incombeva sull’uomo la paura della morte, che oggi osserviamo dall’ottica di una umanità sprovvista di ragione in cui c’è paura della vita. In queste ansie parallele, siamo impegnati a riempire le chiese per paura della solitudine: ma è nella solitudine della chiesa vuota che Bach imparò, suonando l’organo per dialogare con Dio, a respirare l’anelito dell’infinito cristiano. Fede e scienza, dunque, nel passo estremo. Una profonda meditazione con cui dare inizio alla Settimana Santa. Nasce così la proposta di questa versione dell’Arte della fuga. L’esecuzione musicale è affidata a un’orchestra d’archi non casualmente di 14 elementi in una versione presentata per la prima volta, che si avvale, nel finale, della partecipazione di un coro misto per il corale Vor deinen Thron tret ich hiermit (Davanti al tuo trono mi presento) in cui si recupera l’originario testo cinquecentesco che arriva a Bach dalla cultura luterana. La Basilica di Santa Croce, che ospita questa nuova lettura del capolavoro bachiano, diventa così interprete essa stessa della musica: lo spazio si fa contenitore del tempo e ne rivela la geometria mentre il contrappunto dei suoni si intreccia con le linee dello spazio. L’Arte della fuga accoglie tempo e spazio, rivelandosi come preghiera in musica, omaggio della ragione alla fede nel momento supremo della morte. Testo tratto dal volume in preparazione: Mario Ruffini, L’Arte della fuga. Bach tra musica, scienza e fede Autografo dell’inizio dell’Arte della Fuga Mario Ruffini Bach/L’Arte della fuga Progetto carceri Il capolavoro di Bach per la prima volta nella storia dentro gli istituti di pena Il progetto si propone di portare L’Arte della fuga di Johann Sebastian Bach, uno dei massimi monumenti dell’arte musicale, in tutte le carceri italiane. L’organico dell’orchestra è di 14 archi (4 violini primi, 4 violini secondi, 3 viole, 2 violoncelli, 1 contrabbasso), a cui si aggiunge un coro misto: il numero 14 non è casuale, poiché racchiude tutti i segreti del magistero musicale bachiano. Il titolo dell’opera sembra evocare il massimo desiderio istintuale di ogni prigioniero, limitato nella propria libertà: “insegnare” ai detenuti l’arte di fuggire è dunque quasi un gioco di parole. Ma la “fuga” di cui si parla è un evento dello spirito, della ragione e della fede, ed è questa la via di fuga che vuole essere portata ai detenuti, vero messaggio di speranza e rinascita dal luogo dove la libertà è forzatamente limitata. Lo stesso Bach – che nel corso della sua vita incorse anche in un duello e si trovò a sguainare la propria spada – ha vissuto la prigionia nella doppia forma della realtà carceraria e della solitudine professionale. Per un intero mese Bach fu infatti effettivamente imprigionato a Weimar a causa della sua decisione di lasciare la Corte dove era a servizio, per trasferirsi a Köthen dal principe Leopoldo Augusto. I regnanti di Weimar si sentirono traditi dall’abbandono del loro Maestro di Corte (il musicista, a quell’epoca, era poco più che un lacchè), e lo incarcerarono dal 6 novembre al 2 dicembre 1717. Per un lungo periodo Bach si trovò invece a vi- vere gli ultimi anni della sua esistenza in una condizione professionalmente e spiritualmente “prigioniera”, cioè in un luogo (Lipsia) che sembrò al compositore fuori dai grandi flussi della vita alla moda dell’epoca che egli avrebbe voluto frequentare. Egli si sarebbe abbeverato alle fonti del Rococò, allora imperante, col suo stile ornamentale, elegante e sfarzoso, tutto ondulazioni e riccioli e arabeschi, che pure si ritrovano nella sua musica. A differenza di quanto gli era capitato nel lontani anni giovanili, quando si spostava con immediatezza dovunque fosse necessario per trovare lavoro o imparare dai grandi maestri, nell’età matura Bach non ebbe più la possibilità di trasferirsi da Lipsia, poiché il lavoro ormai stabile e la famiglia, ricca di tanti figli, non lo permettevano più. Quell’isolamento spirituale si rivelò però una delle fortune dell’umanità, poiché fu alla base della più grande produzione musicale mai generata da mente umana, di cui L’Arte della fuga è il vertice assoluto, ben accompagnato da altre speculazioni della ragione, come le Variazioni Goldberg o l’Offerta Musicale. Evento dello spirito, prima ancora che della musica, tanto che nessun organico fu assegnato per la sua esecuzione: la partitura rimase del tutto estranea a ogni definizione strumentale. Musica pura dunque, che fu possibile sviluppare forse anche grazie alla lontananza dalle mode del tempo. L’ Arte delle fuga rimane incompiuta poiché Bach termina i giorni terreni mentre scrive gli ultimi contrappunti del suo capolavoro. L’ultimo soggetto è composto sulle note Sib-La-Do-Si, cioè il suo nome posto a suggello di tutta una vita spesa fra musica e Dio. Carl Philipp Emanuel Bach, suo figlio, seguendo le disposizioni paterne, aggiunge il Corale Von deinen Thron tret ich hiermit (Davanti al tuo trono mi presento) scritto da suo padre trent’anni prima. L’Arte delle fuga diventa così un omaggio della ragione alla fede nel momento supremo della morte, trovando nella Settimana Santa il momento più consono alla profonda meditazione dell’estremo passo terreno. Il Progetto Carceri / L’Arte della fuga si propone di donare ai detenuti un forte motivo di riflessione sulle potenzialità di rinascenza che ogni luogo appartato, anche quello estremo della reclusione, può generare: nessun periodo potrebbe essere migliore dalla Settimana Santa. Il Progetto si compie in collaborazione con il Ministero della Giustizia, che lo promuove presso i vari Istituti di pena dislocati sul territorio. La prima tappa del Progetto ha inizio a Firenze con l’esecuzione nella Casa Circondariale di Sollicciano, lunedì 25 marzo 2013 alle ore 10.00, che segue quella pubblica della Domenica delle Palme alla Basilica di Santa Croce con la riflessione teologica del Cardinale Giuseppe Betori. L’appuntamento viene preceduto da una conferenza preparatoria destinata ai detenuti che scelgono di partecipare all’evento e che ha luogo giovedì 21 marzo alle ore 10.00. La seconda tappa del Progetto ha luogo a Teramo con l’esecuzione nella Casa Circondariale di Castrogno, venerdì 5 aprile 2013. In questo caso l’evento precede l’esecuzione che la sera dello stesso giorno viene offerta nella Cattedrale di quella città, che in questo caso si avvale della riflessione del vescovo Michele Seccia. La terza tappa del Progetto ha luogo a Roma con l’esecuzione nella Casa di Reclusione Maschile di Rebibbia Nuovo Complesso ; la quarta tappa ha luogo sempre a Roma e sempre a Rebibbia, nella Casa di Reclusione Femminile. Entrambe il 28 settembre 2014 Medaglia del Presidente della Repubblica Italiana in occasione della Messa in Si minore di J.S. Bach del 5 gennaio 2014 Associazione Onlus SOCI FONDATORI S.E. Cardinale Giuseppe Betori Mario Ruffini Don Alfredo Jacopozzi Arcivescovo di Firenze I Direttore Ufficio Cultura Arcidiocesi Presidente ad honorem Presidente Vicepresidente Massimo Martini Camilla Laschi Dottore Commercialista Presidente Accademia San Felice Direttore generale Consigliere artistico Carmelo Cantone Andrea Fagioli Gianfranco Politi Oreste Cacurri Raffaele Carrega Bertolini Antonietta Fiorillo Sergio Givone Provveditore Carceri Toscana Direttore Toscana Oggi Responsabile Educational Sollicciano Direttore Carcere di Sollicciano Delegato Ordine di Malta Presidente Tribunale di Sorveglianza Università di Firenze /Assessore Cultura Consiglio direttivo Consiglio direttivo Consiglio direttivo Consiglio direttivo Consiglio direttivo Consiglio direttivo Consiglio direttivo Giancarlo Lo Schiavo Stefano Rovai Alessandra Rapalli Hilia-Irene Ruffini Francesco Terzini Susanna Weber Notaio Studio grafico Sito Web Università di Firenze Fondazione Sistema Toscana Studio grafico Socio Socio Socia Socia Socio Socia FINALITÀ ASSOCIATIVE L’Associazione Onlus “La Pasqua di Bach” ha sede presso l’Arcidiocesi di Firenze e ha come presidente onorario S.E. Reverendissima Cardinale Giuseppe Betori. Come si evince dallo Statuto, dall'atto costitutivo e dai nomi stessi dei fondatori, l’Associazione sviluppa la propria attività su due filoni: - Musica e Liturgia Musica e Carceri MUSICA E LITURGIA Lo scopo è quello di promuovere la conoscenza e la valorizzazione della musica sacra, in particolare riportando strutturalmente la musica nella liturgia, specie quella nata “per” o “nella” liturgia, oggi ascoltabile quasi solo esclusivamente in sale da concerto o teatri. MUSICA E CARCERI Su questo versante, l’impegno è rivolto soprattutto alla Casa Circondariale di Sollicciano (abbiamo già donato a tale struttura un pianoforte verticale), dove organizziamo una organica attività musicale e artistica (musica, teatro, cinema) organizzando: a) b) c) d) e) f) Scuola professionale di artigianato musicale finalizzata alla costruzione di strumenti musicali; Un Coro dei detenuti; Scuola di musica per i detenuti; Scuola di musica per i figli degli agenti di polizia penitenziaria; Stagioni concertistiche, teatrali, cinematografiche e letterarie; Realizzazione a Sollicciano di un impianto di diffusione acustica che permetta a tutti i reparti un ascolto giornaliero della musica, in particolare modo, di Johann Sebastian Bach. Un impegno, quello dell’Associazione, finalizzato, attraverso la musica, a far vivere il tempo della condanna come vero momento riabilitativo. Presidente onorario www.lapasquadibach.it