LO SCRIGNO DI PROMETEO
COLLANA DI DIDATTICA, DIVULGAZIONE E STORIA DELLA FISICA

Direttore
Ettore G
Università degli Studi di Milano
Piero Caldirola International Centre for the Promotion of Science
Comitato scientifico
Sigfrido B
Università degli Studi di Pavia
Giovanni F
Università degli Studi di Ferrara
Marco Alessandro Luigi G
Università degli Studi di Milano
LO SCRIGNO DI PROMETEO
COLLANA DI DIDATTICA, DIVULGAZIONE E STORIA DELLA FISICA
La conoscenza completa delle leggi fisiche è la meta più alta a cui possa aspirare un
fisico, sia che essa abbia uno scopo puramente utilitario. . . sia che egli vi cerchi la
soddisfazione di un profondo bisogno di sapere e la solida base per la sua intuizione
della natura.
Max P
La Fisica ha come scopo capire il rapporto tra l’uomo e la natura,
non solo da un punto di vista scientifico, ma anche filosofico, e ha
cambiato in modo irreversibile la nostra vita tramite le sue ricadute
tecnologiche.
La spiegazione e la divulgazione dei concetti che stanno alla sua base,
dati quasi per scontati, ma lungi dall’essere noti o compresi da molti,
e l’evoluzione delle tecniche sperimentali, che hanno permesso di
scoprire le leggi che regolano i fenomeni naturali e delle teorie via via
elaborate, sono perciò argomenti di studio e riflessione di rilevanza
primaria.
Questa collana si rivolge a chi abbia desiderio di approfondire o discutere questi temi ed è aperta a chi voglia collaborarvi con contributi
originali.
Pier Raimondo Crippa
La strana storia dei pigmenti neri
Trent’anni di ricerche sulle melanine (–)
Copyright © MMXV
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
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via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: settembre 
A Giulia e al ricordo di Paola e Pietro
Indice

Introduzione

Capitolo I
Di cosa si parla

Capitolo II
Gli inizi

Capitolo III
I metodi fisici e la biofisica delle melanine

Capitolo IV
Gli anni Ottanta

Capitolo V
Verso la struttura secondaria

Capitolo VI
Ci si può arricchire con le melanine?

Capitolo VII
Compaiono sulla scena nuovi gruppi (ricchi e potenti)

Capitolo VIII
E intanto, alla periferia dell’impero

Capitolo IX
Storia e attualità delle neuromelanine

Capitolo X
Altre melanine con le quali la mia storia ha termine

Indice


Conclusioni

Bibliografia
Introduzione
Quando ho cominciato a scrivere queste note sulla struttura delle melanine e sulla sua relazione con le loro funzioni, mi sono subito reso
conto che se ne avessi fatto l’argomento di una trattazione scientifica
rigorosa mi sarei trovato ad affrontare un compito quasi impossibile perché avrei dovuto approfondire argomenti che fanno parte di
varie discipline, anche molto diverse dalla mia. Sebbene abbia fatto
ricerche in questo campo per più di  anni e mi ritenga perciò un
esperto, non me la sono sentita di trattare con pretese di completezza
un tema così vasto. Quello che vi apprestate a leggere non vuole
perciò essere un “trattato” ed è anche lontanissima dai miei propositi
l’idea di scrivere una rassegna scientifica, completa di commenti e
riferimenti bibliografici, che descriva in profondità tutte le principali
ricerche sull’argomento. Confesso che mi sarebbe piaciuto farlo, ma
poi hanno prevalso in me due consapevolezze: la prima, di essere
fondamentalmente pigro (e perciò sapevo che non sarei arrivato in
fondo a un’impresa del genere) ed in secondo luogo avevo voglia di
parlare anche un po’ di me stesso. Per spiegarmi meglio dirò che la
nostra vita di ricercatori scientifici ha diversi motivi di interesse tra i
quali metterei ai primi posti la facilità di incontri con persone stimolanti e la libertà di scelta riguardo a ciò che si fa o si vorrebbe fare. Se
qualcuno leggerà queste mie note, spero si possa render conto che
vicende apparentemente piccole come la partecipazione ai congressi,
i seminari scientifici e la quotidiana vita universitaria in genere (per lo
meno nell’epoca in cui io l’ho vissuta) comportano sì molto impegno,
ma sono per loro natura capaci di dare anche profonde soddisfazioni.
Il tono di questo libretto è perciò molto divulgativo sotto l’aspetto
scientifico e colloquiale per quanto riguarda i fatti della mia vita. Spero
che l’eventuale lettore mi perdoni, sorvolando sui miei giudizi e le
mie scelte, quando mi riferisco a persone, se non li condivide, e non
rimarcando troppo le omissioni che possono a volte essere involontarie, ma spesso sono invece frutto di una decisione personale, più o


Introduzione
meno inconscia. Soprattutto mi piacerebbe che non reagisca con un
intollerante “Ma cosa mi importa dei fatti tuoi e dei tuoi viaggi!”. Ho
introdotto invece queste aggiunte e queste digressioni perché credo
siano necessarie a presentarmi meglio e a descrivere il mio carattere e
il perché di alcune mie scelte. E poi, mi si creda, perché sentivo la necessità di ripensare a molte delle vicende che ho vissuto non solo per
presentarle ad altri, ma soprattutto per me stesso, in qualche modo per
rivivere le mie sensazioni ed emozioni, per esempio nell’incontro con
i luoghi dove ho lavorato e con le persone con le quali ho condiviso
qualcosa, sia essa lavoro o amicizia.
Sono ben lontano dall’essere uno scrittore di professione ed al rileggere molto di quanto ho scritto mi accorgo degli squilibri tra le
varie parti, delle discontinuità temporali o, peggio, concettuali e della
pesantezza che alcune necessarie ripetizioni conferiscono al discorso
che, sinceramente, avrei voluto risultasse leggero ed anche spiritoso,
per lo meno per la parte autobiografica. Ma non sto scrivendo un’autobiografia, sto solo cercando di connettere il lavoro di ricerca che ho
(abbiamo in tanti) fatto con alcune delle vicende che ho attraversato
nella vita. Questo comporta che il discorso a volte si spezzi, perché un
ragionamento scientifico richiama alla mente un episodio personale
che è stato trascurato ed allora questo viene inserito troppo bruscamente, costituendo talvolta, me ne rendo conto, una sorta di iato o un
vero salto logico. Di tutto ciò ovviamente mi scuso in anticipo e spero
che tali difetti da scrittore dilettante non costituiscano un appesantimento del discorso ma che permettano invece (come mi è successo
nello scrivere) di prendere un attimo di respiro in un contesto che
altrimenti potrebbe apparire quantomeno monotono. Ho intitolato il
tutto La strana storia dei pigmenti neri: mi sembra che il titolo richiami
bene i legami che collegano con un unico filo i vari stadi delle ricerche
nel loro susseguirsi temporale, ma con una successione non lineare,
bensì complicata dai vari ripensamenti e da numerosi cambiamenti di
prospettiva. Si parla di pigmenti neri perché questo è l’aggettivo quasi
obbligatorio quando ci si riferisce alle melanine (anche se vedremo
che esse non sono tutte, o del tutto, nere).
Vi sono molte autobiografie di scienziati illustri, e meno illustri, i
quali sono riusciti a far risaltare le loro conquiste scientifiche nel contesto di vite che sono state caratterizzate da eventi drammatici o vissute
in periodi particolarmente difficili o in luoghi ricchi di sconvolgimenti
Introduzione

storici, come sono stati la guerra o le battaglie ideologiche per affermare le loro idee, in paesi dove gli eventi politici erano ad esse duramente
avversi. Queste autobiografie di scienziati celebri sono numerose e
spesso culminano nella gloria dei riconoscimenti ottenuti, in primo
luogo il premio Nobel, ma anche la pletora degli altri premi, piccoli
e grandi, conosciuti solo da ci si trova implicato. Oppure quando arrivano alla notorietà dei titoli dei giornali (in verità questo caso non
è frequente perché ciò che riguarda la scienza non trova spazio nella
stampa, a meno che non venga presentato come qualcosa che può
influire, positivamente o negativamente, sulle nostre vite). Per contro,
quello che vorrei emergesse da questi miei appunti è che la vita di
un ricercatore mediamente serio, come io giudico benignamente me
stesso, è ricca di soddisfazioni simili alle loro, o perlomeno comprende
gli stessi dubbi, gli stessi slanci, gli stessi periodi di entusiasmo e di
frustrazione: in poche parole mi farebbe piacere che un lettore, specie
se giovane, si sentisse desideroso di percorrere una strada di questo
tipo. Poi i risultati saranno di livello molto diverso da quelli ottenuti,
che so io, dai vari premi Nobel (dei quali è facile reperire e leggere le
autobiografie scientifiche), ma non per questo devono essere messi
in secondo piano. Dopo tutto la fatica è stata probabilmente molto
simile e le uniche differenza tra me e lui (non certamente differenze
da poco, non voglio apparire immodesto!) sono un bel po’ di intuito
in più, la tenacia e l’intelligenza. E perché no, un po’ di fortuna.
Per scrivere la parte scientifica di queste mie note ho raccolto
e riletto un centinaio di articoli che mi sono sembrati abbastanza
importanti e che si prestavano meglio ad essere mescolati tra loro e
riassunti. Grazie poi a Internet, ho cercato di spulciare le notizie e le
curiosità che mi sembravano interessanti e pertanto degne di essere
raccontate e commentate. Ma sono quasi certo che alcune di esse,
magari importanti, mi sono sfuggite.
L’argomento delle mie ricerche è stato il pigmento noto a tutti
come melanina. Di questa sostanza, che si trova in natura in quasi tutti
gli organismi viventi, si conosceva relativamente molto poco ai tempi
in cui ho iniziato a studiarla, ed eravamo di conseguenza in pochi
ad interessarcene. All’inizio, nella fase pionieristica, non avevamo le
idee chiare né sulla sua struttura né sulla sua funzione, compresi a
maggior ragione i “meccanismi” di questo funzionamento. L’unica
cosa che si cominciava a conoscere era la composizione chimica bruta

La strana storia dei pigmenti neri
e le differenze tra i vari tipi di melanine, grazie ai lavori di coraggiosi
e perseveranti chimici organici. Però c’erano alcune caratteristiche
che spinsero alcuni fisici ad occuparsene: il suo conclamato ruolo
di fotoprotettore (quindi la sua interazione diretta con la radiazione
elettromagnetica) e l’insolita caratteristica di presentarsi come un
solido insolubile in acqua, che è il solvente biologico per eccellenza.
A poco a poco si cominciò a parlare di una sua struttura primaria,
poi di una struttura secondaria ed in seguito, delle loro relazioni con il
suo ruolo fisiologico. Da un altro punto di vista le ricerche in campo
bio–medico e specificatamente in campo dermatologico ed oculistico
ponevano sempre nuovi problemi da risolvere approfondendo sempre
più l’aspetto molecolare. Di alcuni di questi problemi discuterò nel
corso della narrazione e si vedrà come a poco a poco una sostanza
diffusa ovunque e considerata di non primaria importanza è venuta
ad acquistare un rilievo pari alle altre molecole più blasonate della
biochimica e della fisiologia. Un particolare rilievo lo vorrei riservare
alla neuromelanina che era una vecchia conoscenza dei neuroanatomisti ma la cui ipotetica funzione era basata su alcune deboli ipotesi
che richiedevano una conferma che è venuta, ma solo in parte solo
in tempi recenti. Molti biofisici ad un certo punto della loro vita se
ne sono interessati con più o meno successo ed anch’io ho dedicato
alcuni anni ad applicare quello che sapevo sulle melanine a questa
sfuggente sostanza nel tentativo di chiarirne struttura, funzione e
risvolti patologici.
Intrecciate con questo avanzamento delle conoscenze sono le mie
vicende personali le quali scorrono parallelamente nel tempo. In fondo, quando e perché mi sono messo in testa di occuparmi di melanine
ed in che modo, e quali sono stati i risultati più interessanti che ho ottenuto? In tutti questi anni, quali altri interessi ho maturato e quali sono
stati gli avanzamenti che ho giudicato più significativi? Ed è anche per
questo motivo che ho inserito nel testo un certo numero di fotografie
mie e di alcune persone con le quali sono venuto in contatto. Sono
prevalentemente fotografie scattate ai tempi di cui parlo e che quindi
raffigurano le persone come io le ho conosciute. Nel fare questo,
confesso che non ho potuto evitare un senso profondo di nostalgia.
Sono stati i miei tempi, i nostri tempi! Questo è quanto ho cercato
di spiegare mettendolo per iscritto. Questo è quanto i miei eventuali
lettori troveranno in questo libretto.
Introduzione

Figura . Miss Melanin: fu disegnata al computer da Cristiano Viappiani e per
qualche anno fu rappresentata nell’angolo di tutti i nostri posters ai congressi
Capitolo I
Di cosa si parla
Una prima conoscenza delle melanine della pelle e dell’occhio
Da che punto cominciare questa storia, che vorrei raccontare a qualche
collega ed amico disposto a leggermi, in un modo che essa appaia
abbastanza scorrevole e che comprenda una buona parte di quello
che ho visto e vissuto in un ampio arco della mia vita? I ricordi sono
appiattiti dal tempo, ma tra di essi emergono, come picchi paragonabili
ai tracciati di uno strumento analitico, momenti che si sono impressi
nella mia mente lasciando tracce più significative. Farò così: partirò
da uno di questi prendendolo come un marker e mi lascerò portare,
avanti e indietro rispettando magari poco la cronologia, ma guidato
dalla memoria (che però è un aiuto di cui non ci si può sempre e
ciecamente fidare).
Inizierò dall’arrivo a Washington nell’ottobre del  con il breve
trasferimento nel sobborgo di Georgetown in una calda giornata di
sole. Ero con mia moglie Paola e provenivamo da New York in un
viaggio che era anche di piacere e che includeva, tra altre mete, anche
Houston e New Orleans. C’erano sopratutto ragioni di lavoro come
motivazioni di quel viaggio: a Houston un contatto con il vecchio
amico e collega John McGinness ed ora un seminario che dovevo
tenere su invito del professor Vaclav Horak. Dietro a questi impegni,
l’interesse comune che avevamo per le melanine.
Comincio a scrivere questi “ricordi scientifici” mentre mi trovo
nella casa della mia figlia Giulia, a São Paulo in Brasile, in giorni
di maltempo nel gennaio , da poco collocato in pensione dalla
mia università, l’università di Parma, nella quale ho insegnato e fatto
ricerca per quasi quaranta anni. Amo molto leggere biografie e autobiografie ed ho da poco iniziato l’autobiografia di Eric Kandel, premio
Nobel per la Biologia e Medicina per le sue scoperte nel campo della


La strana storia dei pigmenti neri
memoria. Suona abbastanza ironica questa coincidenza, dopo quanto
ho detto sopra sui ricordi. È ovvio che, al suo confronto, trovo abbastanza esagerato dare forma di libro alla narrazione di un periodo
entusiasmante e fruttuoso della mia vita professionale. Non sono affatto presuntuoso: non ho riconoscimenti ufficiali da raccontare, ma solo
un certo numero di soddisfazioni molto personali, ma queste appartengono alla categoria dei sentimenti e come tali non sono facilmente
esprimibili con parole.
Mi ripeto: lo scopo di queste pagine, è limitato al desiderio di mettere in ordine i ricordi, che riguardano una forse piccola, ma significativa
avventura del pensiero nella quale anch’io sono stato attore per oltre
un trentennio e di ripercorrere, non solo cronologicamente, quanto
ho potuto osservare vivendola “dall’interno”. Questo per mio piacere personale, ma anche perché la visione che posso avere ora delle
correlazioni tra i vari campi di ricerca con i quali ho necessariamente
dovuto interagire può essere utile a quanti si occupano oggi dello
stesso problema ma non hanno ancora la curiosità e il tempo di approfondire i fondamenti storico–critici del loro lavoro (anche se non
credo che qualcuno di loro avrà l’occasione e la pazienza di leggermi).
La conferenza che avrei tenuto alla Georgetown University è una
di queste piccole/grandi soddisfazioni ed è per questo che da essa
inizierò il mio racconto.
Non amo parlare in pubblico, specialmente in una lingua che non
è la mia, e quando mi trovai davanti un’aula gremita del dipartimento
di chimica, per un attimo mi chiesi cosa ci facessi lì, in quel luogo
ed in quel momento. Il luogo era la sede delle ricerche di Vaclav
Horak, il primo che avesse osato affrontare già nel  il problema
dello studio del comportamento elettrochimico (in parole povere, il
problema del trasferimento di elettroni nei processi di ossidazione e
di riduzione) in sostanze così complesse ed allora significativamente
sconosciute come le melanine. Il momento invece mi era chiaro,
perché ero stato proprio io ad aprire la strada delle misure fisiche su
questi composti considerandoli come biomolecole che erano attive
allo stato di aggregati solidi, dopo che McGinness le aveva descritte
teoricamente come solidi amorfi. Detto in parole semplici, pensavamo
che le melanine potessero essere fisiologicamente attive nelle cellule
cutanee che le contenevano (ed in molte altre cellule di vari organi)
nella forma di piccolissimi granuli ellissoidali (c.a.,  · , µm) e non
. Di cosa si parla

disperse o in soluzione, come nel caso di quasi tutte le altre molecole
funzionali come, per fare un esempio, molti enzimi.
La caratterizzazione delle macromolecole biologiche viene attuata
tradizionalmente descrivendone la struttura primaria, secondaria, terziaria e così via (se si presentano delle “superstrutture”) come è stato
fatto con successo nel caso delle proteine, del DNA e dei polisaccaridi.
Per struttura primaria — il primo passo — i biochimici intendono la
struttura chimica, ovvero la natura e la sequenza di molecole semplici
che unite danno origine alla sostanza (spesso si usa dire: al biopolimero) come è, o dovrebbe essere, nel suo stato funzionale. Conoscere
la struttura primaria consiste in altre parole nel conoscere i mattoni
fondamentali costituenti la struttura complessa ed il modo con cui essi
si uniscono. È evidente che a questo livello sia indispensabile l’apporto
della chimica organica. Nel , Henry Stanley Raper individuò nella
tirosina, un amino acido, il precursore che, in un processo nel quale
un enzima che veniva estratto dalle piante, la tirosinasi, svolgeva in
vitro un ruolo cruciale, conducendo alla formazione di due molecole
chiave (ora chiamate DHI e DHICA, acronimi inglesi di diidrossiindolo e acido diidrossi–indol–carbossilico, la forma carbossilata del DHI,
vedi la Fig. .).
Figura .. I monomeri fondamentali nella costruzione dell’eumelanina (DHI e
DHICA) e le loro forme redox. DHI è indicato anche come idrochinone (HQ) e su
di esso sono mostrati i possibili punti di attacco. La struttura semichinonica (SQ) è
un radicale libero. L’esistenza di tutte queste forme redox non è del tutto certa nel
caso del DHICA
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