PROVINCIA
DI PIACENZA
Assessorato Pari Opportunità
Volti di donna
alla Ricci Oddi
a cura di Stefano Fugazza
Agenzia Generale Piacenza
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Lo specchio di venere
PROVINCIA
DI PIACENZA
Assessorato
Pari Opportunità
Assessora
Adriana Bertoni
Piacenza - 6 marzo - 21 marzo 2004
Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi
MOSTRA
La donna nella grafica di Boccioni
Curatore scientifico
Alessia Alberti
MOSTRA
Volti di donna alla Ricci Oddi
Curatore scientifico e catalogo
Stefano Fugazza
Assessore
Salvatore Carrubba
Direttore Centrale
Alessandra Mottola Molfino
Direttore di Settore
Rossana Ferro
Direttore
Claudio Salsi
Conservatore
Giovanna Mori
Organizzazione e coordinamento
Valeria Sogni
Impaginazione catalogo e progetti mostre
studio&tre - Piacenza:
Gianluigi Tambresoni
Leopolda Arduini
Paolo Motta
Massimiliano Carbonetti
Sergio Beffa
Allestimento
Gabriele Gregori
Luigi Cassinari
Roberto Colombi
Impianto luci
Daniele Trabacchi
Direttore
Stefano Fugazza
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Luci
Davide Groppi
Assicurazione
Ina-Assitalia
Servizi di mostra
Galleria Ricci Oddi
L
a Provincia di Piacenza, Assessorato Pari Opportunità, ha avviato dal
2002 un percorso teso a dare spazio e visibilità alla creatività femminile
e al “femminile”, con l’obiettivo di coniugare Arte e Femminile “Sotto
l’albero del Melograno”, sia perché il contenitore privilegiato, la Galleria “Ricci
Oddi”, ha nel mezzo del proprio giardino una pianta di melograno, sia per le
valenze simboliche “femminili” del frutto della melagrana.
Il percorso, proseguito nel 2003, che ha visto anche il grande evento “Foppiani,
femmine...” (dicembre 2003-gennaio 2004 Sala Consiglio della Residenza
Provinciale), si conclude, nel 2004, con 4 rassegne, complessivamente
denominate “Lo specchio di Venere”, in occasione della festa internazionale
dedicata alle donne, 8 marzo, in ricordo del sacrificio delle operaie della Filanda
Cotton di New York.
Il ciclo chiude con l’incontro/confronto tra l’universo maschile e l’universo
femminile: ri-visitare “il femminile”, così come emerge dalle diverse espressioni
artistiche di donne e uomini, mantenendo il doppio registro, sia nel contesto
moderno (la riflessione sulle modalità con cui “il femminile” viene concepito
dall’Ottocento al Novecento, con le sue declinazioni estetiche e di costume
differenti), sia di promozione delle avanguardie contemporanee.
Con la rassegna “La donna nella grafica di Boccioni“, estrapolata in anteprima
nazionale dalla più ampia esposizione dedicata all’artista prevista per l’autunno
al Castello Sforzesco di Milano, si avvia una collaborazione che auspico feconda,
oltreché con la Galleria “Ricci Oddi” anche con il Comune di Milano e la Civica
Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” (l’evento di presentazione in anteprima
nazionale del Catalogo dell’opera completa delle incisioni e delle illustrazioni di
Umberto Boccioni è previsto a Piacenza per la primavera inoltrata; in quella
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occasione saranno messe a disposizione copie del Catalogo che già da questa
rassegna è possibile prenotare).
La rassegna “Volti di donna alla Ricci Oddi”, proseguendo nel percorso avviato lo
scorso anno con la mostra e il catalogo “La piccolissima Galleria – donne artiste
alla Ricci Oddi” ha l’obiettivo di dare forte visibilità a 15 dipinti a soggetto
femminile nelle sale della Galleria; il catalogo 2004, curato da Stefano Fugazza,
Direttore della Galleria, si propone pertanto di coniugare la visione del
“femminile” di Umberto Boccioni con quella degli autori presenti nella Galleria,
artisticamente attivi tra l’Ottocento e il Novecento.
I nostri ringraziamenti vanno a tutti coloro che in questo percorso hanno creduto e
con noi hanno collaborato, al Direttore della Galleria d’Arte Moderna “Ricci Oddi”,
dott. Stefano Fugazza; al Presidente della Fondazione di Piacenza e Vigevano, prof.
Giancarlo Mazzocchi; alla Presidente dell’Editoriale “Libertà”, Donatella Ronconi; al
comm. Lino Gallarati, Presidente della Galleria d’Arte Moderna “Ricci Oddi” e
dell’Associazione “Amici dell’Arte”; al Liceo Artistico ”Bruno Cassinari”
Adriana Bertoni
Assessora Pari Opportunità
della Provincia di Piacenza
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La donna nella grafica di Boccioni
Dieci incisioni dalla Civica Raccolta delle Stampe
“Achille Bertarelli” di Milano
Nell’ambito della produzione incisoria di Boccioni, che ammonta complessivamente a trentatre lavori, la figura femminile occupa una posizione di un certo rilievo risultando protagonista di ben quindici intagli (oltre a quelli presenti in mostra si devono menzionare Donna e albero, Ritratto di Maria Sacchi, Donna fra gli alberi, Donna che scrive mentre fuma, Ines).
Le donne che l’artista ritrae, cogliendole quasi sempre nell’intimità degli interni,
appartengono in genere alla sfera dei suoi affetti più profondi e sono la madre, la
sorella e la confidente-amante Ines, ma si incontrano talvolta anche amicizie occasionali, come Gisella e la signora Sacchi; ad oggi inoltre alcune protagoniste delle
sue composizioni rimangono da identificare.
Alessia Alberti
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U. Boccioni
La madre, 1909-1910,
acquaforte e
puntasecca.
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U. Boccioni
Quattro ritratti e
un bambino,
1907-1909,
puntasecca.
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U. Boccioni
La madre che
lavora
all’uncinetto, 1907,
acquaforte e
puntasecca.
U. Boccioni
Maria Sacchi che
legge, 1907,
acquaforte e
puntasecca.
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U. Boccioni
Gisella, 1907,
puntasecca.
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U. Boccioni
Donna con
bambina a tavola,
1910, acquaforte.
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U. Boccioni
La madre che cuce,
1909-1910,
acquaforte.
U. Boccioni
La madre davanti
al tavolo con le
forbici, 1910,
acquaforte.
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U. Boccioni
Signora con
ventaglio, 1907,
acquaforte e
puntasecca.
U. Boccioni
Donna che legge,
1910,
acquaforte.
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Volti di donna alla Ricci Oddi
Il trittico espositivo posto “sotto il segno del melograno”, iniziato tre anni fa e
che quest’anno giunge dunque alla sua conclusione, presenta questa volta,
accanto alle mostre rivolte all’arte contemporanea e ospitate dagli Amici dell’Arte, una piccola ma significativa esposizione della grafica di Boccioni che si
tiene nel Salone d’onore della Galleria. E’ da sottolineare il fatto che le dieci
grafiche originali provengono dalla Raccolta “A.Bertarelli”di Milano, vale a dire una delle più importanti collezioni di stampe che esistano in Italia, forte di
circa 1.000.000 di pezzi, con esemplari di altissima qualità, dalle antiche xilografie quattrocentesche alle tavole dei maggiori maestri contemporanei. L’esposizione piacentina si pone anche come premessa della prossima pubblicazione del Catalogo completo del corpus grafico di Boccioni, curato da Paolo Bellini.
In questo modo si dà il via a un legame tra la Galleria piacentina e l’importante istituzione museale milanese, con la possibilità, anche per il futuro, di
organizzare scambi di opere e forme di collaborazione che potranno giovare ad entrambe le realtà culturali.
Accanto alla mostra boccioniana, si sono scelte quindici opere della Galleria, appartenenti all’Ottocento e al primo Novecento, tutte legate alla rappresentazione della donna, per riflettere sulle modalità con cui gli artisti
vedono il femminile (e su come vede questo tema il collezionista stesso,
Giuseppe Ricci Oddi, visto che le opere risultano per la maggior parte selezionate da lui).
Il libretto che qui si presenta, e che riprende, anche nel formato, quello dello
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scorso anno, in cui si consideravano tutte le opere di donne artiste rappresentate alla Ricci Oddi, documenta la duplice operazione, riproducendo le
dieci grafiche di Boccioni e i quindici dipinti della Ricci Oddi. Schede accurate (eppure volutamente prive di eccessi di erudizione, in modo da risultare
leggibili), redatte con la collaborazione di vari studiosi, intendono aiutare il
visitatore a compiere col maggior frutto possibile il loro percorso all’interno
della Galleria Ricci Oddi. E’ però interessante notare come le “sue” donne dipinte abbiano in comune una certa aria sognante (si pensi alla ragazza di
Zandomeneghi, o alla giovane di Gola, o anche alla donna sensuale e consapevole del proprio potere di seduzione di Grosso), senza legami diretti con le
occupazioni quotidiane, con le vicende della vita. La pittura dell’Ottocento è
piena di immagini di donne in riferimento a un preciso ambiente, quello domestico o di una determinata occupazione o di un’occasione mondana e festiva; Ricci Oddi sembra invece prediligere una donna sottratta alle cose che
la circondano e vista per lo più in se stessa, nel suo essere più vero e profondo. A tale condizione il collezionista sembra avvicinarsi con circospezione e
con un rispetto che deriva dalla consapevolezza di quanto la donna rappresenti, per l’universo maschile, un mistero, un mistero che è vano cercare di
sciogliere ma che si presenta comunque ricco di attrattive e di possibilità.
In questo senso, il dipinto forse più emblematico della serie che si è deciso di
sottolineare per questa terza edizione espositiva posta sotto l’egida del melograno, è proprio il ritratto di Zandomeneghi, con quella fissità pensierosa
dello sguardo e la malinconia che trapela da tanti elementi del quadro.
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Nicolò Barabino
Sampierdarena (Genova), 1832 - Firenze, 1891
Ritratto femminile (1880 ca.)
Olio su tela ovale, 60x45cm
Inv. n. 52
La tela, appartenente alla collezione dell’avvocato Ernesto Bertollo di Genova, viene
segnalata l’11 maggio del 1925 dal pittore Cesare Viazzi, espressamente incaricato
da Giuseppe Ricci Oddi di procurargli un’opera di Barabino, insieme al bozzetto per
una Adorazione dei Magi, anch’esso firmato dal maestro di Sampierdarena.L’acquisto
di quest’ultimo tuttavia, a causa del prezzo eccessivamente elevato richiesto dal proprietario, viene sconsigliato dallo stesso Viazzi che propende senza esitazione per il
Ritratto femminile, offerto sul mercato per la somma di seimila lire:“i toni sono fini, la
pittura semplice e facile, e l’insieme risulta gradevole e distinto, un po’ alla De Nittis”
(Piacenza, Archivio Galleria Ricci Oddi, Barabino Nicolò). Una volta esaminata la fotografia del dipinto, Ricci Oddi si dimostra perplesso riguardo alla sua autenticità e,
soprattutto, al suo effettivo valore qualitativo specifico e al suo grado di rappresentatività dell’opera di Barabino all’interno della Galleria. Viazzi, interpellato a riguardo, il 17 maggio successivo risponde in tal modo:“i dubbi da Lei espressi circa
l’opportunità dell’acquisto del ritratto Barabino, da me segnalato e la gentile e lusinghiera di un mio consiglio mi mettono in imbarazzo. Trovo giustissima l’osservazione che con questo dipinto non si avrebbe rappresentato l’arte, almeno tutta,
del Barabino, pittore di Macchina, per dirlo alla francese, affrescante e pittore di
soggetti storici e religiosi”. Viazzi, constatando l’impossibilità di reperire sul mercato una tela significativa e di grandi misure, consiglia Ricci Oddi ad acquisire il ritratto,“un esempio, e io credo dei migliori, dell’esecutore, largo, semplice, di buon
disegno, ed elegante di colore”.
Con quest’opera Barabino dimostra di aver colto nei macchiaioli, frequentati con assiduità a Firenze, l’attenzione al verismo e la freschezza di esecuzione. La tela infatti
appare estremamente vicina nella scelta del taglio compositivo e nell’impostazione
della gamma cromatica alla ritrattistica di Silvestro Lega, più che a quella di De Nittis, nome che allora godeva di un prestigio indiscusso, suggerito da Viazzi forse per
invogliare Ricci Oddi all’acquisto.
(Sergio Rebora)
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Amedeo Bocchi
Parma, 1883 - Roma, 1976
La famiglia del pittore a colazione in giardino, 1919
Olio su tela, 125x181cm
Firmato e datato in basso a destra:“Amedeo Bocchi / Roma 1919”.
Inv. n.7
Il dipinto, che venne segnalato a Ricci Oddi da Laudedeo Testi, Soprintendente alle Gallerie di Parma e Piacenza, è ambientato nel giardino di Villa Strohl.fern, dove
Bocchi ebbe studio e abitazione dal 1915. Il magnifico parco costituisce però solo
lo sfondo mentre protagoniste sono le tre figure femminili riunite attorno al tavolo della colazione, che sono la madre dell’artista, Clelia, la moglie Niccolina, già sua
modella, sposata proprio nel 1919, e la figlia Bianca, che Bocchi aveva avuto nel
1908 dalla prima moglie, Rita Boraschi. Al momento della colazione alludono le
tazze ma le donne non sembrano tanto impegnate a consumare un pasto quanto
a compiere un rito, concentrate in qualche loro pensiero segreto, come trapela dai
loro atteggiamenti assorti, dal silenzio incantato del luogo che non è possibile
turbare. Di fatto manca la natura morta sulla tavola, sostituita dal ricco impasto dei
fiori nel vaso, perno decentrato della composizione, messo apposta per compensare con una nota più squillante tanto esorbitare di bianco. Delle tre figure non si
cattura la psicologia, non si approfondisce il carattere, perché tutte vivono di una
medesima, malinconica disposizione, come se già presentissero i destini dolorosi,
la fallibilità dei loro sogni. Allo stesso modo lo spazio non viene definito, appiattendosi sulla superficie, e alle aperture prospettiche si contrappone un’invalicabile barriera luminosa, che ha anche lo scopo di concentrare l’attenzione su ciò che
nell’opera conta davvero: le tre donne prese dal loro rito antico e quasi sacrale.
L’opera si risolve così in un’astrazione, non decorativa come nella fase liberty dell’artista, ma capace di convivere con l’intensità del sentimento, con la partecipazione affettuosa.
(Stefano Fugazza)
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Bruno Cassinari
Piacenza, 1912 - Milano, 1992
Ritratto di signora, 1954
Olio su tela, 60 x 40 cm
Firmato e datato in basso a destra:“Cassinari 54”
Inv. n. 628
Fra i temi praticati da Cassinari nell’arco di tutta la sua attività un posto particolare è occupato dalle figure femminili, in parecchi casi tagliate all’altezza delle ginocchia o del busto, come in questo Ritratto di signora che lo stesso pittore donò
alla Ricci Oddi nel maggio del 1954, in occasione dell’acquisto del suo dipinto Finestra sul mare.
L’opera si caratterizza per il suo antinaturalismo di fondo, che apparenta il ritratto
con le ricerche e le esperienze in corso in Europa, tuttavia senza eccessi estremistici e invece mantenendo un contatto non marginale con la tradizione e con la
cultura figurativa. La figura della donna è vista su uno sfondo ocra non omogeneo,
più chiaro ai lati e più scuro alla sommità, senza elementi di contorno che consentano di definire un ambiente, in una solitudine quasi metafisica. Dal punto di vista
del linguaggio, presuppone la lezione cubista, qui assunta in termini non rigorosi,
ma come tendenza alla semplificazione e alla scansione dell’immagine in alcuni
piani giustapposti; per quanto riguarda il colore, riprende un’espressività marcata
di matrice fauve, seppure alleggerita e basata su una certa tendenza all’armonizzazione delle tinte.
(Stefano Fugazza)
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Mario Cavaglieri
Rovigo, 1887 - Peyloubère (Francia), 1969
Piccolo interno, 1920
Olio su tela, 102 x 44 cm
Firmato e datato in alto a destra:“1920 / Mario Cavaglieri”
Inv. n. 405
Mario Cavaglieri si trasferì a Piacenza, da Rovigo, nel 1920, quando si unì a Giulietta Catellini De Grossi, dopo la morte del marito, il piacentino conte Alessandro Marazzani Visconti. Questo “piccolo interno”, nel quale protagonista è Giulietta, probabilmente non fu realizzato nell’appartamento affittato, dopo il matrimonio (30
aprile 1921), nell’antico palazzo Radini Tedeschi dei marchesi Malvicini in via Cittadella (piazzetta S.Fermo). Può darsi, perciò, che l’ambiente sia quello dell’abitazione di Giulietta, in via Taverna, nel Palazzo Marazzani. Il dipinto fu esposto a Piacenza nel settembre del 1922 nella III mostra degli Amici dell’Arte ma non deve essere stato acquistato in mostra da Giuseppe Ricci Oddi perché i giornali locali davano notizie degli acquisti e non c’è traccia nella cartella d’archivio che riguarda il
dipinto. Pare che sia stato acquistato fuori mostra dall’architetto Giulio Ulisse Arata, che l’avrebbe donato a Ricci Oddi.“L’opera si caratterizza […] per la forma alta
e stretta che si richiama ai Kakemono, riferimento confermato anche dall’iconografia del personaggio. Infatti Giulietta, in posa nel suo salotto, è inginocchiata sul
pavimento, come certe figure femminili nelle stampe giapponesi. È ripresa di fronte, con gli occhi bassi avvolta in un ampio scialle che scende morbidamente da
una spalla, così come il grande drappo a fantasia floreale che si dispiega lungo il
corpo fin sul tappeto. I colori vivaci dei fiori, forse ricamati, sulla spalla sinistra contrastano con la zona scura al centro della tela. Sul pavimento, che attira lo sguardo
come in Suonatrice d’arpa dello stesso anno, sono disposte simmetricamente, ai lati della figura, due bottiglie di vetro prezioso” (Viviane Vareilles).
(Ferdinando Arisi)
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Luigi Conconi
Milano, 1852 - 1917
Ritratto della signora Torelli, 1901
Olio su tela, 120 x 89cm
Firmato e datato in alto a destra:“L. Conconi / 1901”
Inv. n.116
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L’opera entra a far parte della Galleria entro il 1920, anno della scomparsa di Giovanni Torelli che ne era stato il precedente proprietario. Datato al 1901, il ritratto di
Giuseppina Torelli Borghi testimonia in maniera esemplare l’orientamento seguito
dalla pittura di Conconi nella sua fase più matura, quella che cade nei primi quindici
anni del Novecento e che interpreta gli stilemi fondamentali del gusto scapigliato tenendo conto delle novità formali introdotte dalla cultura in quel momento. Infatti,
misurandosi con uno dei temi basilari del repertorio iconografico della Scapigliatura, quello del ritratto, Conconi sembra prendere le distanze dal linguaggio desunto
dalla lezione di Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni, che contraddistingue la sua
produzione degli anni Ottanta e della prima metà del decennio successivo. Nel Ritratto della Signora Torelli Conconi abbandona la stesura morbida e vaporosa del passato, particolarmente adatta a esprimere il rapporto di stretta continuità che unisce
la figura al contesto in cui è ambientata, sperimentando un tratto sicuro e marcato,
che probabilmente gli deriva dalla approfondita esperienza nel campo dell’incisione compiuta in questi anni. Come in altri ritratti, eseguiti su commissione nello stesso arco di tempo, l’artista definisce l’immagine a masse compatte, servendosi di
pennellate corpose e stese con sicurezza. L’impostazione cromatica assume una
connotazione piuttosto cupa che si anima soltanto per mezzo dell’intervento della
luce che, provenendo dalla fonte esterna, forse una finestra ubicata sulla sinistra, rialza soprattutto i toni dell’incarnato conferendo maggiore espressività al personaggio. Anche lo sfondo si trasforma, diventando una superficie quasi monocroma che
contribuisce a isolare ulteriormente la figura in tutta la sua plasticità. In tal modo
Conconi riesce a evitare il languido sentimentalismo che contraddistingue la ritrattistica di altri reduci dall’esperienza scapigliata come Virgilio Ripari e Camillo Rapetti.
Nel Ritratto della signora Torelli il ricordo più evocativo di quella stagione risiede nell’ironico inserimento in primo piano del cane, che, voltandosi per osservare lo spettatore con uno sguardo diretto, infrange la compostezza d’insieme della posa.
(Sergio Rebora)
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Tranquillo Cremona
Pavia, 1937 - Milano, 1878
Amaro calice o Donna con coppa (1865)
Olio su tela, 54 x 44 cm
Firmato in basso a sinistra:“Cremona”
Inv. n. 117
Col titolo Donna con coppa, l’opera venne presentata nel 1912 alla Permanente di
Milano in occasione di una retrospettiva del pittore e fu acquistata da Giuseppe Ricci Oddi l’anno successivo presso il collezionista-mercante milanese Giovanni Torelli.
Sulla datazione la critica è sostanzialmente d’accordo: da Arisi (1967 - 1988) per il
quale il dipinto,“ancora caratterizzato da un disegno chiuso e da un colore ben amalgamato e a stesura continua, dovrebbe essere anteriore al 1865”, a Dainotti (1994)
che propende “per una datazione non posteriore al 1865”e a Rebora (1997), che sottolinea come Amaro calice rientri in un filone, affermatosi negli anni Sessanta e ampiamente premiato dal collezionismo, fondato sulla contaminazione fra i temi tipici
del romanticismo storico e quelli della pittura di genere. Il dipinto, dopo essere stato
esposto alla Permanente di Milano nel 1912,fu presentato a Milano nel 1929 alla Mostra commemorativa del pittore nel cinquantenario della morte e nel 1938 a Pavia alla rassegna “Tranquillo Cremona e gli artisti lombardi del suo tempo”. Più recentemente nel 1990 partecipò a Verbania Pallanza alla mostra “Paolo Troubetzkoy”, nel
1994 a Milano a “Lo sguardo sulla realtà. Pittura del secondo Ottocento lombardo” e
infine nel 1997 a Piacenza alla mostra di opere della Ricci Oddi “Da Hayez a Klimt”.
Amaro calice, pur sulla base di un’impostazione sostanzialmente verista, presuppone una fitta messe di riferimenti culturali, messi in luce da Rebora (1997): la pittura cinquecentesca veneta ed emiliana, l’insegnamento di Domenico Morelli mediato dall’esperienza di Eleuterio Pagliano e le innovazioni dei macchiaioli, evidenti nell’accostamento di campiture nette di colore contrastante. Ma il fascino
dell’opera nasce soprattutto dalla sua ambiguità, dall’alone di mistero che investe
la figura e che impedisce di identificarne il gesto, sulle cui finalità si potrebbe indicare una serie di congetture. Traspare comunque una determinazione assoluta, irrevocabile in quanto assunta dalla donna, al termine di un lungo travaglio di pensiero, senza più dubbi.
(Stefano Fugazza)
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Francesco Ghittoni
Rizzolo (Piacenza), 1855 - Piacenza, 1928
Ritratto della madre, 1881
Olio su tela, 23,5x17 cm
Firmato e datato in alto a sinistra:“Mia Madre. 1881 / F. Ghittoni”
Inv. n. 17
Questo ritratto venne acquistato da Giuseppe Ricci Oddi, che già l’anno prima si
era procurato, del pittore piacentino, Giovane operaio che riposa, il 16 aprile 1919
presso l’artista. Il pittore glielo aveva offerto con una lettera del 7 aprile:“Il favore
sta in questo, che con tale acquisto (e non parlo di prezzo poiché mi rimetto in ciò
completamente alla di lei equità) Ella mi dà mezzo di poter abbandonare lavori
poco grati di ordinazione (ritratti da fotografia!) per qualche settimana e nei quali
l’arte non ha a che fare, per mettermi sereno al compimento di una mia Madonnina della pace”.
L’opera fu lodatissima quando venne esposta nel 1939 alla retrospettiva di Ghittoni che si tenne a Piacenza in Palazzo Gotico. Ne scrissero, tra gli altri, Eva Tea ed Enrico Somaré, che parla di “ritratto austero in cui mi sembra di vedere rappresentato simbolicamente il volto mesto e santo della sua pittura”.
L’umile donna del popolo è vista in un suo abito ordinario, con un fazzoletto in testa annodato sulla nuca all’uso contadino. Il volto è segnato dalle fatiche e dalla
stanchezza dell’età; lo sguardo, rivolto a terra, contribuisce a rendere ancora più triste l’espressione della donna. Alla madre Ghittoni aveva dedicato un altro ritratto
l’anno precedente (si rova all’Istituto Gazzola), molto diverso da questo perché basato su una pittura più fluida e su scelte cromatiche più vivaci.
(Stefano Fugazza)
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Emilio Gola
Milano, 1851 - 1823
Marta (1890-1895)
Pastello su carta, 100 x 67 cm
Firmato in basso a sinistra:“E. Gola”
Inv. n. 132
Giuseppe Ricci Oddi acquistò questo dipinto nel 1928 presso la Galleria l’Esame di
Milano per 12.000 lire, dopo che Aldo Carpi glielo aveva segnalato come “una mezza figura di donna a pastello a grandezza del vero, un po’ giorgionesca d’ispirazione, umanamente espressiva e bella di colore”. È collocato da Guarnaschelli (1998)
“per certe sprezzature del segno tra il ritratto, sempre a pastello, della contessa Gola, esposto anch’esso a Milano nel 1928 e datato da N.Colombo al 1895” e un altro
ritratto del 1903,“per l’analogo gusto sofisticato del tono su tono”. Arisi sottolinea,
nel pastello, la vibrazione del segno e il colore immerso nella luce, sul quale insiste
anche Guarnaschelli, che vede “la raffinata cromia di Marta tutta giocata come un
Whistler sugli accordi di un solo colore, il blu”.
A Gola interessa suggerire una luminosità perlacea, che contagia l’ambiente e che
è comune anche al dipinto, di cui risaltano l’atmosfera brumosa e la gran cornice
dorata, alle spalle della modella. Tra l’ambiente e la figura si crea una stretta corrispondenza, anche se quest’ultima sembra aspirare, con la sua posa disinvolta e il
suo protendersi in avanti, a un’impossibile fuga, come è ribadito dal volto pallido,
un poco piegato a crescere la malinconia dello sguardo.
(Stefano Fugazza)
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Giacomo Grosso
Cambiano (Torino), 1860 - Torino, 1938
Allo specchio, 1914
Olio su tela, 200 x 75 cm
Firmato e datato in basso a destra:“G. Grosso 914”
Inv. n. 408
In seguito all’acquisto di Ritratto all’aria aperta avvenuto nel 1914, Giuseppe Ricci
Oddi acquistò l’anno successivo Allo specchio in omaggio al genere del nudo femminile in cui Grosso eccelleva.
In un interno sontuoso, ma costruito con minor cura descrittiva del solito, si staglia
un’elegante e sinuosa figura protesa nell’atto di misurare allo specchio il potere di
seduzione del bel volto sensuale, la pettinatura corta, alla moda, i lunghi pendenti luccicanti.
Il realismo quasi fotografico del nudo è però riscattato, o forse vieppiù sottolineato, dallo splendido brano pittorico dell’antico drappo verde a fiori e ramages, che
vela la parte inferiore del corpo; costituisce esso stesso un singolare esempio di
bravura pittorica goduto in primis dall’artista nel suo valore coloristico che acquista anche valore strutturale.
Troppo spesso invece, drappi serici, folte pellicce e oggetti di pregio fungevano in
altre opere di nudo da mero supporto e fondale di più rigide composizioni, meno
di questa animate dal sottile gioco di ambiguità erotica proprio di una matura padronanza dei mezzi espressivi.
(Alda Guarnaschelli)
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Carl Larsson
Stoccolma, 1853 - Sundborn, Falun, 1919
La mia bambina con le fragole, 1904
Tempera su cartone, 45 x 33 cm
Siglato e datato in basso a destra:“C.L. / 1904”
Inv. n. 358
L’opera venne acquistata dalla pittrice torinese Ida Sacerdote alla Biennale del
1905, quando Larsson, divulgato in quegli stessi mesi da Vittorio Pica su “Emporium”, fu uno dei dieci artisti insigniti del Gran Premio della città di Venezia. Ricci
Oddi contatterà la Sacerdote, tramite Marco Calderini, nell’estate del 1918 ed entrerà in possesso del “quadretto” per 1.500 lire. La notorietà del pittore e illustratore svedese nel nostro Paese era nel frattempo aumentata dopo il successo riscontrato dall’artista alla Esposizione internazionale di Roma del 1911 e il libro da Pica
nel 1915 dedicato a Arte ed Artisti nella Svezia dei giorni nostri.
Nella sezione svedese organizzata alla Biennale del 1905 Carl Larsson esponeva ritratti di membri della sua numerosa famiglia e scene di vita domestica ambientate nella casa in campagna, a Sundborn, dove il pittore si era ritirato nel 1901. Queste immagini edificanti e ottimistiche di vita sana e serena furono divulgate dall’artista in una serie di libri illustrati (I miei, La nostra casa, I Larsson) che godettero
un vasto successo e furono tanto influenti nel diffondere uno stile di vita e un particolare gusto dell’arredamento.
La fanciulla delle fragole, sorridente accanto a un cespo di rose, presso l’aiuola che
chiudeva il cosiddetto “porto” della casa dei Larsson, è identificabile con Kersti, la
penultima dei sette figli dell’artista, allora di otto anni. Alle spalle di Kersti si vede
il ponticello dal caratteristico parapetto arcuato e la staccionata bianca che corre
lungo le sponde del lago, riconoscibili anche in un acquarello del 1912 Il ponte (sul
“porto”) e in una tavola per l’albo più famoso dell’autore, La casa al sole. Gli acquerelli originali per le illustrazioni del libro, fascinosi soprattutto per l’analitica descrizione degli ambienti domestici arredati dallo stesso Larsson e dalla moglie, furono esposti a Monaco nel 1909 e due anni dopo a Roma, dove l’artista fu nuovamente premiato.
(Diego Arich de Finetti)
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Cesare Maccari
Siena, 1840 - Roma, 1919
Baccante (1870-1880)
Olio su tela, 114 x 89 cm
Firmato in basso a sinistra:“C.Maccari”
Inv. 333
Dal Diario di Ricci Oddi, pubblicato nel 1986, vengono fuori notizie sull’acquisto
(aprile 1912) di questo dipinto:“L’amico prof. Ozzola ci conduce (con Ricci Oddi c’era anche Carlo Pennaroli) nello studio del Prof. Maccari. Lo studio del Maccari è imponente per vastità come quello del Sartorio, con la differenza che quello è di proprietà del Maccari stesso, avendolo costruito nella sua villa, magnifica residenza
costruita sulle vestigia di un’antica costruzione romana […] Il pittore non è visibile perché infermo dalla paralisi - ridotto all’assoluta impotenza. Ci accoglie gentilmente la sua Consorte ( Carolina Eppstein) signora distintissima, di origine tedesca
[…] Vediamo tutti i bozzetti dei famosi affreschi che adornano l’aula del Senato e
che tanto onorano il grande pittore. Altri bozzetti di altro genere ci vengono mostrati, ma … l’opera completa che io speravo di acquistare non c’è […] Appesa su
di una parete di fronte all’uscio d’entrata stava la tela che io poi acquistai. Una tela tutta polverosa quasi dimenticata”.
Potrà dare fastidio l’eccessivo amore del vero ma si notano in questo dipinto raffinatezze tali d’accordi (per esempio nel bianco della tunica), si raggiunge una così
tiepida morbidezza plastica nelle carni, da fermare l’attenzione anche di chi è contrario a simili dimostrazioni di virtuosismo. Se poi, eliminando il contenuto, si riduce il gioco cromatico all’essenziale, si nota che il dipinto sta tutto nell’accostamento indovinatissimo di quattro colori (bianco, giallo, nero, arancione) mirabilmente fusi.
(Ferdinando Arisi)
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Antonio Mancini
Roma, 1852 - 1930
Donna dal ventaglio rosso (1907-1908)
Olio su tela, 100 x 60 cm
Firmato in basso a destra:“Mancini”
Inv. n. 71
Donna dal ventaglio rosso ha la stessa provenienza di Donna alla toletta, quadro di
identiche dimensioni, ma di formato orizzontale anziché verticale: i due dipinti,
che presentano con un taglio compositivo molto originale il tema della modella in
un interno, furono infatti acquistati presso Giovanni Torelli nel novembre 1914.
Torelli fu il primo mercante lombardo a entrare in contatto con Mancini, fin dal primo decennio del secolo, come provano anche ventitré lettere indirizzategli dall’artista tra il 1900 e il 1908, che furono donate a Ricci Oddi dalla vedova Torelli nel
1920. Dopo avere ospitato Mancini nella sua villa di Ghiffa sul Lago Maggiore, nell’autunno del 1902, perché eseguisse il ritratto della moglie, Giuseppina Borghi,Torelli cercò di procurare al pittore commissioni di ritratti a Milano.
In Donna dal ventaglio rosso la giovane in controluce sembra irrompere nel quadro
con un piglio dinamico alla Boldini, sporgendosi in avanti sulla sedia Thonet e
aprendo l’ampio ventaglio che domina il primo piano. Sullo sfondo chiaro emergono due piccole sculture, simili a quelle che si ritrovano nel Ritratto del pittore Giovanni Trussardi Volpi databile al 1911. Sulla tela sono percepibili le tracce di una
quadrettatura derivata dal sistema della cosiddetta “doppia graticola” di spago,
che Mancini, a partire dal 1889, usava porre sul quadro e davanti al modello.
(Diego Arich de Finetti)
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Domenico Morelli
Napoli, 1823 - 1901
Ritratto di Concettina, 1872
Olio su tela, 48,5 x 34 cm
Firmato e datato in basso a destra:“Morelli 72”
Inv. n. 302
Giuseppe Ricci Oddi, che già possedeva due acquerelli di Morelli (e che tra il 1918
e il 1919 avrebbe aggiunto alle sue raccolte altre quattro opere del pittore napoletano) acquistò questo ritratto alla Galleria Centrale d’Arte del Palazzo delle Aste
di Milano il 13 ottobre del 1917 per 3.000 lire. L’opera venne poi esposta nella Galleria che il collezionista fece costruire e che s’inaugurò nel 1931. Secondo Arisi non
dovrebbe essere il ritratto della figlia ma di Concettina, la modella. Un altro ritratto di questa ragazza era nella Raccolta Del Pino, venduta all’asta dalla Galleria Pesaro di Milano nel 1930. L’opera venne esposta a Piacenza nel 1997 alla mostra “Da
Hayez a Klimt” e nel 1998 alla Villa Reale di Monza alla mostra di opere della Ricci
Oddi.
Come scrive Arisi, il pittore aderisce totalmente all’anima di Concettina, di cui restituisce il volto regolare e sano ma anche “profondamente triste di una tristezza
infinita, che va oltre il pianto”. Tra il nero del fondo e il bianco appena accennato
della veste, il volto è indifeso e non nasconde nulla: né la durezza della vita a cui
ormai la ragazza si è assuefatta, né la rassegnazione impietosa (e tuttavia malinconica) che è l’abito consueto già da tempo adottato per salvarsi dalle brutture della vita.
(Stefano Fugazza)
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Bruno Saetti
Bologna, 1902 - 1984
Mia madre o Ritratto della madre, 1940
Olio su tavola, 50x40 cm
Firmato e datato in basso a destra:“Saetti / 40”
e nel verso:“Saetti 1940 Mia madre”
Inv. n. 599
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Acquistato nel 1944, il dipinto propone un soggetto ricorrente nella produzione pittorica di Saetti, il ritratto della madre.“Non è senza ragione” annota Leonida Repaci
nel ’41 in occasione del personale dell’artista a Milano “che i figlioli e la madre di
Saetti abbiano fruttato all’artista i più bei pezzi dell’attuale Mostra. Son ritratti colti
nel loro valore affettivo universale con mano sfiorante, pronta alla carezza. Dipingendo i visi diletti egli trascrive non solo la loro avventura fisica ma pone il fondamento di una storia morale, nella quale, ora padre ora figlio, si riconosce per intero
con le luci e le ombre della sua gente. […] E la mamma con quel suo viso buono e
segnato, con quel suo occhio appassionato, non dice i termini d’un viaggio che lui,
Bruno, ha già percorso in parte e che i figli hanno appena iniziato, un viaggio che per
tutti finisce nello stesso porto? Ecco dunque che il motivo della rappresentazione famigliare, quello prediletto da Saetti, gli serve per penetrare il proprio passato, per investigare il proprio avvenire, si risolve nell’illuminazione autobiografica. Pittoricamente quei ritratti sono ammirevolmente composti rivelando un rigoroso impianto
disegnativo e un’accorta distribuzione dei vari rapporti tonali. La faccia della madre
è descritta con un rosa delicatissimo che ha il pallore delle carni non più giovani. C’è
come una invisibile pioggia di corolle attorno a questa fisionomia di madre nostrale
sulla quale la mareggiata della vita è passata senza contaminarla, lasciandole solo il
rimpianto di vederle giorno per giorno, e quasi ora per ora, i figli crescere, staccarsi
da quelle braccia che li vorrebbero cullare in eterno”. Il Ritratto della madre viene presentato, tra l'altro, alla Sindacale emiliana del ’42, alla Quadriennale romana del ’43
(alla quale, in occasione della precedente edizione del ’39, Saetti aveva vinto il primo
premio per la pittura) ed alla Biennale di Venezia del ’52, esposto nella sala personale dedicata all’artista (Premio del Comune di Venezia ex aequo con Bruno Cassinari,
L. 1.000.000) comprendente ventiquattro opere introdotte in catalogo da un testo di
Ugo Fasolo.
(Pier Paolo Pancotto)
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Federico Zandomeneghi
Venezia, 1841 - Parigi, 1917
Ragazza dal collaretto bianco (1890 ca.)
Olio su tela, 41 x 33,5 cm
Firmato in basso a destra:“Zandomeneghi”
Inv. n. 254
Il dipinto proveniente dalla Collezione Durand-Ruel di Parigi, venne esposto alla
retrospettiva che Lino Pesaro organizzò a Milano nel 1922 e in quell’occasione acquistato da Giuseppe Ricci Oddi insieme a Place d’Anvers a Parigi per complessive
15.000 lire. Per Arisi che la data verso il 1890, è evidente il riferimento a Renoir, anche se “c’è nel volto una plasticità solida che dimostra ancora operanti i legami con
la cultura figurativa italiana”. Nella fertilissima galleria di ritratti femminili, spesso a
mezzo busto, realizzata da Zandomeneghi questa Ragazza risalta per la scioltezza
della pennellata pur ricca di pigmento, ora - come nei capelli - morbidamente ondulata, ora - come nel volto - capace di aderire alla floridezza dell’età giovane. Ma
il fulvo della capigliatura, il rosa dell’incarnato o il candore traforato del collaretto
non devono trarre in inganno, perché la dolcezza dello sguardo è compensata dalla leggera torsione del volto, atteggiato a malinconia più che a superficiale gaiezza, e lo sguardo rivela una fissità pensierosa, ribadita in qualche modo dal fitto tratteggio verdastro del fondo, obliquo e contrapposto all’inclinazione della testa.
(Stefano Fugazza)
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Finito di stampare
nel mese di marzo 2004
da
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Volti di donna alla Ricci Oddi - Provincia di Piacenza