Virginia “L’album di Cochi” Oggi un’upupa ha bussato più volte alla finestra della mia cucina. Forse vedeva riflessa la sua immagine e cercava un compagno. O una compagna. O è venuta a chiedermi di scrivere un raccontino anche su di lei. Cantrina Aprile 2010 Credo che i miei racconti nascano così Sul davanzale interno della finestra della cucina c’è un piccolo vasetto con un amarillo fiorito. Quando il 7 dicembre me lo regalarono, avvolto in un cellophan trasparente, chiuso da un nastrino rosso, esclamai “Un finocchio!.. Grazie.. mi piacciono tanto i finocchi!” “Mettilo in un vasetto con poca terra.. è un bulbo!” Oggi è il 24 dicembre, fuori il giardino ed il campo sono tutti bianchi di neve e l’amarillo, germogliato e cresciuto, ha sullo stelo lungo e impettito quattro fiori rossi con sei petali ciascuno e dal cuore di ognuno si affacciano stami e pistilli. Accanto sale a vista d’occhio un altro stelo pronto a schiudersi. Altri quattro fiori nasceranno in questa cucina calda e asciutta contro il vetro della finestra grande e luminosa. 24 dicembre 2009 Una Santa Lucia complicata Quando il mio nipotino è entrato in cucina ero seduta a parlare con una cara amica. Giovanni mi ha scrutata con apparente indifferenza. “E’ passata anche qui?” mi ha subito chiesto cercando di oltrepassare col suo sguardo la mia figura ritta davanti alla porta della camera da pranzo. Un piccolo giochetto con la sciarpa che gli ha bendato per un attimo gli occhi e siamo entrati. Contro lo schienale della poltrona, con davanti un cuscino perché non scivolasse, il quadro. Un mosaico di venticinque tessere rettangolari con i numeri scritti in inglese sotto disegni di animaletti e figurine dai vivaci colori. Una mongolfiera, due macchinine, tre palline…..una topina con diciannove roselline, un alberello di natale con venti candeline, un alveare con ventuno api, un alberello con ventidue mele, un cane e ventiquattro pecorelle, venticinque stelline. Uno spettacolo di colori incorniciati da un profilo di legno verde e protetti dal vetro. Mi aspettavo un’esclamazione di sorpresa da parte di Giovanni e invece gli ho sentito dire “Ma io l’ho già visto!” Mi sono ricordata allora che tempo fa avevo srotolato quel sottile foglio che custodivo sul ripiano della libreria davanti agli occhi di Giovanni e del cuginetto ed avevamo scorso e commentato ogni disegno. “Vuol dire che ne aveva uno uguale anche Santa Lucia!” ho risposto prontamente. 7 Giovanni, davanti al nonno al papà alla mia amica e a me, come se leggesse, ha snocciolato indicandoli col dito i primi venti numeri con una pronuncia inglese perfetta. Merito dell’ottima insegnante che hanno alla scuola materna. Il padre ridendo ha esclamato “Ma dove lo mettiamo?..Non c’è più posto nella sua cameretta!” “Allora lo tengo io!” ho esclamato. Intanto Giovanni si è avvicinato al tavolino dove erano allineati tre pacchetti. Il primo aveva tutta l’aria di essere un libretto. Ed era un libretto con tanti adesivi alternati tra le pagine. Poi ha preso in mano il secondo pacchetto. Ero più curiosa di lui mentre lo scartava, sì, perché quei due pacchetti erano nascosti da mesi sul ripiano alto della libreria. Erano due regalini che aveva portato Nucci, la mia compagna di scuola di Genova, come sempre carica di pensierini per tutti. Anche per Giovanni che quel giorno non c’era. “Li terrò da parte per Santa Lucia!” mi dissi. E li riposi sulla libreria. Mentre Giovanni scartava il pacchetto cominciai a dubitare e poi a ricordare. Oimè non era quello il secondo regalino di Nucci. Il mio viso era costernato mentre esclamavo sorpresa “Guarda… una tazzina da caffè... che bellina… c’è su un angioletto e il manico è un’aletta bianca!... E’ proprio una tazzina per bambini!” E Maria Teresa, la mia amica, che aveva capito il mio imbarazzo divertita aggiungeva “Ti farai fare un caffè piccolo piccolo quando ti svegli al mattino!” Quando Giovanni ha aperto il terzo pacchetto finalmente un’esplosione di gioia. “Una pila!!” Erano due pile, una grande e una piccola tascabile, laser. La piccola si è subito illuminata. Con la piletta accesa Giovanni si è precipitato ad esplorare la canna fumaria del camino, ma è inciampato nel parafuoco ed è caduto nella cenere spenta. Si è rialzato ed è corso in cucina sventolando il fascio di luce alla ricerca di un angolo buio. “Guardate cosa c’è dietro la stufa!” In quel piccolo spazio buio tra il retro della stufa a legna e la parete…gomitoli di polvere… ragnatele… fiammiferi spenti... Dopo poco Giovanni è andato via col papà stringendo fra le mani il libretto e le pile. Felice che avessero dimenticato la tazzina da caffè l’ho rimessa nella scatola e l’ho di nuovo nascosta in cima alla libreria, nell’angolo destro dove nessuno mai spinge lo sguardo. E poi ho raccontato a Maria Teresa la storia della tazzina Thun. Circa quattro anni fa mio figlio Lodovico andò ad un matrimonio e la ricevette come bomboniera. Quando riordinavo la sua stanza la vedevo dimenticata sempre al solito posto e allora la trasferii nel mio armadio. E non si accorse mai della sparizione. Finché un giorno, non molto tempo fa, ci fu una ricorrenza, il compleanno di una nipote che ha tutta la casa tappezzata di ceramiche Thun. Allora feci della scatoletta un bel pacchetto, ma prima di regalarla chiesi il permesso a Lodovico. “….Posso regalare quella tazzina che avevi tanto tempo fa in camera tua?” “No! E’ il regalo di un mio amico!” fu la risposta. Lasciai la scatoletta col suo nuovo elegante abito sulla libreria. Ho continuato più tardi a rimuginare “Eppure Nucci aveva portato per Giovanni due pacchetti!” Allora ho preso una sedia, vi sono salita su ed ho scrutato il ripiano. 8 9 Ecco che ho individuato un nastrino dorato e poi una carta simile a quella che foderava il libretto. Quando ho posato il pacchetto sulla scrivania, ho aperto un lato, ho sfilato il regalino ed ho visto spuntare il beccuccio rosso di un piffero coi tasti. “Lo terrò da parte per un’occasione lontana dalle feste e dai troppi regali.” Ed ho rimesso il pacchetto sulla libreria. E’ trascorso tutto il mese di gennaio ora nevoso ora piovoso. “Oggi sì, è il giorno giusto!” ho pensato mentre guardavo i fiocchi di neve scendere dal cielo. Al ritorno dall’asilo Giovanni ha trovato sul tavolo il secondo regalino di Nucci. Ha scartato con cura il pacchetto e subito la stanza si è riempita di note svolazzanti. Sono sicura che un altr’anno lascerò fare tutto solo a Santa Lucia. 10 A Montichiari Il venerdì a Montichiari c’è il mercato nel centro del paese e nell’area della fiera in grandissimi capannoni preceduti da un enorme piazzale che può ospitare innumerevoli macchine. A recarsi al mattino presto si può posteggiare vicino all’ingresso dei capannoni e ci si può muovere all’interno fra i vari banchi senza fare file. Gli ottimi prezzi richiamano tante persone tra cui molti stranieri che riempiono i bagagliai delle loro vetture con quei cibi che noi non consumiamo più come una volta. Il nostro rito è sempre lo stesso. Prima al banco preferito dei formaggi, poi a quello preferito della carne bianca e poi dalla donna che vende le uova in vassoi di tutte le misure e distinte da varie etichette... uova naturali… uova piccole... uova grandi... uova big.. uova p.g.. al carotene. Portiamo i pacchi e il vassoio grande di uova naturali nel portabagagli della macchina e ci spostiamo posteggiandola davanti all’altro capannone. Esposizioni colorate di fiori, di piante e piantine per l’orto, di frutta e verdura. Anche lì ci dirigiamo dal fruttivendolo di fiducia che offre tutto in abbondanza e a prezzi ottimi. Tre chili di insalata rossa a cappuccio e trevisani a tre euro. E ieri mentre attendevo il mio turno sentivo dietro di me due donne che commentavano “Al supermercato la vendono a quattro euro al chilo!” Terminato di acquistare insalata finocchi broccoli e broccoletti abbiamo percorso tutto il perimetro del capannone infilandoci final11 mente nel corridoio da me preferito scandito a destra e sinistra da gabbie vocianti di galli e galline, tortore, piccioni, conigli, porcellini d’india, anatre, cagnolini, gattini…. Procedevo lentamente per guardare e accarezzare il coniglietto nano nero immobile sul tetto della gabbia, l’anatroccolo giallo che cercava di rientrare fra i compagni, il cagnolino che si affannava a voler scavalcare lo scatolone. E poi la mia meta. Il camioncino barricato da gabbie piene di uccellini. Cocorite, canarini, inseparabili, pappagallini, diamantini. E ritto in attesa dietro le gabbie il venditore. Un signore alto e imponente. Ho adocchiato accanto a lui su di un ripiano ciò che cercavo. Una vaschetta, di poco più grande della mia, piena di pesciolini rossi. Quasi tutti simili, giovani piccoli rossi con striature nere. “Per piacere, vorrei un pesciolino rosso….. a casa ne ho uno solo e gli vorrei dare un compagno.” Il signore ha preso un piccolo retino attaccato ad un’asticciola di legno e lo ha affondato nell’acqua. Ho seguito con attenzione il gesto. Per catturare il mio pesciolino quando devo trasferirlo momentaneamente in un vasetto per cambiargli l’acqua uso la mano sempre col rischio che mi sgusci via come è già capitato. Mi chiedevo intanto quale sarebbe stato il pesciolino fortunato quando l’uomo si è bloccato e guardandomi serio mi ha chiesto “Da quanto tempo ha il suo pesce?” “Da due anni” gli ho risposto. “Allora non glielo do perché morirebbero tutti e due!” Questa risposta mi ha colpito. Gli ho domandato spiegazioni e mi ha confermato che è proprio così. Gli ho chiesto come al solito un chilo di quelle leggerissime spighe di panico che in negozio due, custodite in una scatoletta colo- rata di cartone, costano quanto mezzo chilo da lui. E poi, visto che non c’erano attorno altri clienti, gli ho parlato delle mie cocorite. “Erano appena uscite dal nido tre cocorite e già ne sono nate altre tre…” E poi a bruciapelo gli ho chiesto “Ma lei….ama molto gli animali?” “Per gli animali darei la mia vita!” Mi sono allontanata contenta. Lui non lo sa, ma io so di aver conosciuto una bella persona. Mio marito mi aspettava all’uscita coi sacchetti in mano. 12 13 La Befana Tell Al supermercato per le ultime spese ed ecco che sul ripiano di uno scaffale tra scatole di dolci sopra e sotto una schiera di befane tutte uguali solo con vestiti di colore diverso. Una mi ha colpito e prima di prenderla ho guardato il prezzo. Non cara ed in più col venti per cento di sconto. Mi sembrava impossibile costasse così poco ed inoltre sbandierava l’etichetta di una nota marca di cioccolatini che certamente nascondeva sotto l’ampia gonna. L’ho presa in mano per portarla alla cassa e chiedere se era veramente così scontata quando mi sono bloccata. Gli occhi della befana si sono accesi ed hanno cominciato a lampeggiare e a squittire con un sibilo intermittente. L’ho tenuta in mano mortificata guardandomi attorno sperando di poter chiedere come potevo spegnerla. Ma non c’era nessuno. Dopo poco si è spenta da sola. Quando con la befana tenuta delicatamente in mano mi sono avvicinata alla cassiera, e mi è stato confermato lo sconto, ho deciso di prenderla, l’avrei regalata la sera stessa agli amici che alla vigilia dell’Epifania, come ormai ogni anno, ci invitano a cena. Una volta acquistata ho capito che bastava premere con un dito sul davanti e subito gli occhi si accendevano e dopo un po’ da soli si spegnevano. La sera l’ho portata avvolta in una carta velina rossa in un bel sacchetto natalizio. Una volta scartata dalla padrona di casa l’ho posata in mezzo al tavolo, ho premuto il pulsante e la befana ha conquistato tutti con la sua esibizione. Sotto la gonna in un angolino il marchio di provenienza. Questi cinesi sono incredibili! Quando Tell vede che tiro fuori dal cassetto la tovaglia per apparecchiare la tavola comincia a saltarmi attorno. E’ un labrador e per evitare di inciampare devo destreggiarmi. “Ho capito, Tell,…. un attimo… dammi il tempo!” Prendo il recipiente che è sempre lì vuoto e pronto in un angolo del ripiano di marmo della cucina e seguita o preceduta dal cane scalpitante di gioia raggiungo il sottoscala dove c’è il sacco dei suoi croccantini e lo riempio. Non faccio a tempo a vuotare il contenuto nella sua ciotola che all’improvviso sopraggiunge Sissi, allora Tell si distende sul pavimento e con la testa appoggiata sulle zampe anteriori resta a guardare immobile il gatto che indisturbato sgranocchia i suoi croccantini e non si avvicina finché Sissi non si è allontanata. Tra i due c’è questo accordo nato semplicemente grazie alla cavalleria di Tell. “E’ inverno, fa freddo, c’è anche la neve, Tell non può dormire in veranda, lasciamolo in cucina!” Quando al mattino scendo Tell è lì disteso accanto alla stufa ormai spenta. Alzo la madia gli do un pezzo di pane e automaticamente si appresta ad uscire dalla porta della cucina e poi da quella 14 15 della veranda. Pochi minuti fuori in cortile ed ecco che raspa alla porta per voler rientrare. In veranda ci sono tante piante ed io mi affretto a farlo entrare in cucina perché la sua coda festosa è capace in un attimo di decapitare tutti i rami e rametti a tiro. E poi una giornata pigra accanto alla stufa accesa e rovente o sul tappeto della camera da pranzo che ogni giorno s’imbianca dei suoi peli. E’ bastata una volta dimenticare socchiusa la porta della cucina e al mattino ho trovato in terra i quattro grandi cuscini del divano della camera da pranzo al cui posto Tell si era addormentato. E dire che mio figlio nel rientrare per ultimo la sera lo aveva visto comodamente sdraiato ma si era ritirato senza disturbarlo. “Era così bello!” 16 Una sorpresa Stavo scendendo a piedi lungo la strada da Cantrina in paese a metà mattina, finalmente un po’ di sole in questo freddo e piovoso mese di gennaio, quando nella mia borsa è squillato il cellulare. “Ciao Virginia!” “Chi sei?” “Sono Elia!” “Ma perché non sei a scuola?” “Perché sono malato!... Come sta il tuo cane?” “Bene!... Come sei stato gentile a telefonarmi. Sei a casa della nonna? Ti prometto che oggi verrò a trovarti.” Mai ricevuta una telefonata direttamente da un bambino. Elia fa la seconda elementare e pochi giorni fa è venuto con la sorellina Anna e i nonni a portarmi un pacchetto che avevano ritirato per me in farmacia dopo l’asilo e si sono fermati a prendere il tè con noi. Era solo la seconda volta dopo mesi che i due bambini tornavano a casa mia dopo quella volta che, accompagnati dalla mamma, mi portarono un uccellino appena nato caduto dal nido. Elia ha giocato con Tell, ha rincorso Sissi, ha aperto e chiuso più volte il nido occupato da due nuovi nati delle cocorite per spiarvi dentro mentre sua nonna ed io guardavamo Anna che in un baleno sul ripiano del tavolo componeva abbinandoli i vari cartoncini di un gioco da tavolo: la paletta col cestino, la bambola con la carrozzina, la lana col maglioncino, la mela con la pera…ed era la prima volta che apriva quella scatola. Ho proseguito il mio cammino sorridendo ed intanto ho fatto un calcolo dei vari impegni del pomeriggio ed ho incastonato al primo 17 posto la visita ad Elia. Era sul letto sotto una leggera caldissima copertina e sulle ginocchia un lettore dvd che subito mi ha affascinato. Rettangolare, metallizzato e sul video scorreva un film avventuroso e irreale, uno di quelli che attirano tanto i bambini. Ma non me. Elia era pallido e raffreddato e gli occhi rivelavano qualche linea di febbre. “Chi ti ha dato il mio numero di cellulare?” Subito è sceso dal letto, è corso scalzo a prendere il portatile e con rapide e abili manovre delle sue dita ecco la scritta sul piccolo schermo luminoso “Virginia cell.” “Io non ero in casa in quel momento… ha fatto tutto da solo!” ha detto la mia amica mentre si avvicinava con due tazze di tè bollente sul vassoio. Seduta accanto ad Elia, chiuso il lettore, gli ho suggerito di farsi portare dal papà un bellissimo film, che ho visto ben quattro volte, che ha come protagonista un bambino che ama la musica e compone rapsodie. Poi gli ho raccontato due storie vere, quella di Tell che aspetta che Sissi finisca di mangiare i suoi croccantini e quella del pesciolino rosso e sono volata via all’altro impegno. Nel corso della giornata ho raccontato più volte a chi incontravo “Pensa che stamattina mentre camminavo per strada….” Basta davvero la voce di un bambino per renderci felici. E pensare che avevo dimenticato il cellulare sul tavolo della cucina ed ero tornata a prenderlo con un “Non si sa mai…” 18 Il pallone Ero prossima ad un incrocio e dovevo voltare a destra quando ho notato in mezzo alla strada un pallone. “Mi scusi signora.. mi scusi!” Dalle inferriate di un alto cancello, distante un centinaio di metri, sulla mia sinistra, quattro braccia protese mi indicavano il pallone. Ho guardato nello specchietto, non sopraggiungevano macchine, ho fatto retromarcia aderendo il più possibile al muro, sono scesa, ho raccolto il pallone e quando sono arrivata a due passi dai ragazzini l’ho lanciato oltre il cancello. Tra salti di gioia si sono tuffati a rincorrerlo in quel giardino spazioso tutto per loro. Sono tornata alla macchina percorrendo quel breve tratto di strada senza più voltarmi con negli occhi l’immagine di due schiene che si precipitavano su per un lieve pendio a riprendere il gioco. Nell’aprire la portiera ho sentito sovrapporsi due voci. “Grazie, signora, grazie….!!!” Mi sono girata, li ho salutati festosamente e sono ripartita custodendo quel grazie fino a casa. 19 Il coltello gentile Una bambina.... Nelle vaschette di cemento davanti al portico ho piantato della verdura, coste sedano basilico, e quando qualcuno ha brontolato perché lì avrei dovuto mettere dei fiori mi sono affrettata a comperare cinque gerani di un rosso splendente e li ho distribuiti qua e là per tinteggiare quel bel verde prezioso. Sì, sono cresciute delle erbe stupende, verdi alte fitte rigogliose invitanti. Una buona minestra sempre a portata di mano. Alcune sono cresciute così tanto che stasera ho deciso di cucinarle anche per permettere loro di riprodursi. Ho preso un bel coltello lungo e affilato e le ho recise, poi sul tavolo della cucina le ho tagliate e le ho messe a bagno per lavarle. Subito nell’agitare l’acqua con la mano ho visto spuntare il guscio di una lumaca. L’ho presa con timore. Era tutta intera! Ha cominciato a distendersi sulla mia mano. Sono rimasta a lungo a guardarla, poi l’ho portata fuori e deposta sull’erba del giardino. Sono ritornata a smuovere l’acqua e sono affiorate due piccole lumachine quasi trasparenti. Vive e intere anche loro! Stupita e contenta sono tornata fuori e le ho deposte nel prato. Come può essere accaduto di aver tagliato le erbe e aver evitato di affettare anche le tre lumache? Un caso? Per me il merito è stato del coltello. C’è una bambina con due occhi neri grandi vivaci espressivi. Un viso incorniciato da capelli lunghi ondulati e ribelli. Sempre mi chiede di farle fare un personaggio. Sempre mi si siede accanto perché girandomi per cercare una principessa o Perina o Gretel io scelga lei. Un giorno però l’ho trovata seria, così seria che più di una volta le ho chiesto se stava bene. Non cantava, non rideva, non rispondeva. Terminato di raccontare la fiaba sono come al solito passata nella classe accanto, ma, dopo aver concluso il tempo a disposizione, invece di andar via come faccio solitamente, sono rientrata nella classe precedente come se avessi dimenticato qualcosa. I bambini erano intenti a disegnare seduti attorno ai vari tavolinetti. Ho fatto un giro osservando i loro lavori con qualche piccolo allegro commento fin che non mi sono avvicinata alla mia bambina e le ho lanciato uno sguardo fugace. Lei, guardandomi fissa negli occhi, mi ha detto “Sei tornata per me?” La settimana successiva eccola tornata vivace, allegra, con gli occhi sprizzanti interesse, incollata alla mia sediolina da cui come su di un trono racconto ascolto dialogo canto con tutti i bambini disposti a cerchio sul pavimento ognuno sul suo bollino rosso. “Puoi dirmi che cosa avevi?” “Avevo mal di pancia!” Una risposta vaga a cui non credo. Non dimenticherò mai quel “Sei tornata per me?” Forse nemmeno un adulto avrebbe intuito lo scopo del mio girovagare. 20 21 La corrente C’è un bambino… Dalla porta del bagno aperta entrava un fastidioso filo d’aria. Mi sono alzata dalla mia sediolina intorno a cui si dispongono i bambini per ascoltare la fiaba e ho chiuso la porta spiegando “C’è corrente!” “Che cos’è la corrente?” ha chiesto una bambina con la frangetta bionda. “Sono onde!” ha aggiunto prontamente Riccardo ed io sono rimasta incantata e pensosa dopo la risposta e più tardi, quando mi accingevo ad andar via dall’asilo, ho bussato alla finestra della segreteria ed ho raccontato “Sapete cosa ha detto un bambino….?” E la sua risposta sta ancora camminando. In una delle cinque classi in cui racconto le fiabe c’è un bambino che sempre, appena mi accingo a concludere il nostro incontro settimanale, mi si avvicina, incrocia fortemente le dita, tende le manine verso di me e mi ripete la stessa richiesta concludendola ogni volta con una parola nuova. E la pronuncia adagio, scandendo le sillabe e riprendendole dall’inizio mentre per l’emozione il suo occhietto destro perde leggermente l’orientamento. “Ti prego, Virginia, torna presto a raccontarci le storie!” “Ti prego, Virginia, torna presto a raccontarci le storie….d’accordo?” “Virginia, torni presto a raccontarci le storie….. vero?” Ed ancora “Virginia… mi mancherai!” ed abbassa la testa. Non credo di tradire la privacy dicendo che questo bambino si chiama Lorenzo. E dato che questo nome è piuttosto diffuso all’asilo mi piace sempre salutare il mio affettuoso Lorenzo, e rivolgermi a lui, anche con il suo cognome che per me è tanto bello quanto il suo nome. Mi pare di rendergli un omaggio e di ricambiare così la sua inconfondibile tenerezza. Ormai il gesto e il “Ti prego… torna presto!” di Lorenzo sono diventati contagiosi e quando mi ritiro dalla classe sono letteralmente accerchiata da manine tese, Lorenzo allora si ritrae ed io nella confusione perdo a volte quella parolina in più che solo lui sa incastonare. 22 23 “Ho caldo…. posso….?” Guai concedere a un bambino di togliersi la felpa ecco che in un baleno le mie ginocchia si riempiono di magliette e golfini. “Ho sete!” Guai concedere ad un bambino di bere, tutti vogliono bere. “Posso andare a lavarmi le mani?” Guai concedere ad un bambino di andare a lavarsi le mani, subito tutti vogliono lavarsi le mani. Sto quasi imbastendo la filastrocca dei “Posso?... Posso?....” La realtà è che una maestra sa capire le vere necessità e sa di conseguenza quando e cosa concedere. “Ho caldo… posso togliermi la felpa?” mi ha chiesto stamattina Matteo cominciando a scoprirsi. “Ma, Matteo, sotto la felpa hai solo la canottiera, non si può, guarda cosa faccio.” E gli ho arrotolato due volte ora un polsino ora l’altro. Al termine della lezione Matteo mi ha chiesto se lo accompagnavo dove c’è il suo armadietto. Siamo entrati nella grande stanza vuota silenziosa in ombra, appena pulita, con la finestra socchiusa, e proprio sotto la finestra c’è il suo armadietto. Matteo si è sfilato la felpa ed è rimasto con indosso solo la canottierina bianca senza maniche e dalla finestra filtrava l’aria fresca della pioggia. Piegata in una busta trasparente di cellophane c’era un’altra felpa, più pesante dell’altra, ma più variopinta. L’ho aiutato ad infilarla poi Matteo mi ha teso le manine ed io 24 di nuovo gli ho arrotolato prima una manica poi l’altra fin dove ho potuto. Mentre mi precedeva per ritornare in classe lo guardavo con tenerezza. Si è voltato un attimo verso di me ed io gli ho detto “Lo sai, Matteo, che il tuo papà era un mio alunno?” “Sì, lo so!” mi ha risposto. Come un bambino grande. 25 Il vestito color oro Seconda domenica di maggio, prime comunioni. Sono arrivata in chiesa mezzora prima e i posti a disposizione erano già quasi tutti occupati. Entravano a frotte i parenti dei comunicandi e proprio all’altezza del mio banco si sono fermati in piedi il papà la mamma la sorellina più grande e Lavinia. Lavinia ha quattro anni ed è una miniatura. Quando entro in classe mi si siede accanto e col suo visetto piccolo piccolo proteso verso di me e le manine piccole piccole che si posano sulle mie mi dice “ho freddo” oppure “ho mal di testa” e poi si accoccola, quando può, sulle mie ginocchia. Ebbene Lavinia nel vedermi è volata giù dalle braccia del papà, si è fatta strada tra varie gambe ed è salita sulle mie. “Guarda la mia collanina!” e con le sue minuscole dita ha sollevato una lunga catenina d’oro. “Guarda!” e ha fatto scorrere le dita su di un braccialetto d’oro che le avvolgeva il sottile polso destro e che poi pendeva sciolto di qua e di là. “Guarda le mie calzine… sono bianche col bordino rosa!” “Guarda il mio vestitino… a casa ho anche la giacchina”. Un vestitino rosa con le manichine lunghe e con un ampia gonna pantalone che si arricciava sotto le ginocchia. “Guarda la mia borsetta!” Un gattino di stoffa con due manici sul dorso ed una chiusura lampo da cui Lavinia estraeva delle tessere colorate. Ma su di una zampetta del gattino c’era un piccolo anello di filo di nylon che la bambina non riusciva a staccare. 26 Anch’io ho provato, ma temevo di scucire la zampetta. Allora Lavinia è scesa dalle mie ginocchia, ha raggiunto la mamma che con un gesto deciso l’ha accontentata e subito dopo è ritornata da me. “Dormi!” le suggerivo invitandola ad appoggiare la testina sulla mia spalla quando la vedevo sbadigliare. Ed ecco accompagnato dall’organo entrare il corteo dei comunicandi con genitori e fratellini. Mi sono alzata ed ho cercato di sollevare il più possibile Lavinia e quando ho intravisto passare il mio nipotino gliel’ho indicato. All’improvviso Lavinia con un sussulto ha disteso il braccio destro, ha puntato l’indice ed ha esclamato a voce alta “Quello… lo detesto!!” E poi mi ha sussurrato ”…quello colla maglietta rossa… mi fa i dispetti!” Ho seguito con lo sguardo la macchiolina rossa finché non è sparita in un banco riservato distante da noi. E’ iniziata la Santa Messa e Lavinia è stata più svelta di me e mi ha preceduta “…e con il tuo spirito.” Non si è addormentata durante la messa, conosceva alla perfezione tutte le risposte dei fedeli e tutti i canti. Piccola bellissima Lavinia, giovedì prossimo all’asilo racconterò di nuovo la fiaba della bambina che voleva bene a tutti i gattini e mamma gatto la premiò con un vestito di seta color oro, con anelli preziosi sulle dita ed un raggio di sole sulla fronte. E sceglierò te per interpretare il personaggio. 27 E poi ogni mattina, in quella stanza in cui entro più volte per prendere o deporre la biancheria, a piedi nudi mi sono avvicinata scostando appena appena la tendina. Uno, due, tre ovetti azzurri. E quando il quarto giorno ho visto la mamma che covava immobile e vigile non mi sono più avvicinata. Parlavo alle amiche del nido sul davanzale quando una di loro ci ha descritto i tentativi dei merli di insediarsi sotto il suo portico, ma lei è riuscita a impedirlo. “Pensate che dalla trave tra la paglia pendeva anche un Il papavero Il tubo del gas sale esternamente fino al secondo piano ed entra attraverso un buco nel muro ad alimentare la caldaia. Lassù, sul ballatoio della scala, stendo il bucato ed in primavera dietro l’armadio contro la parete si sente un vociare insistente e vicinissimo di tanti uccellini esigenti. Sono scesa in strada per vedere dove poteva essere il nido e dal buco rettangolare in cui entra il tubo ho visto affacciarsi i beccucci spalancati di cinque passerotti. Stavo rientrando quando ho visto sul davanzale della finestra accanto alla nostra camera un codirosso che indugiava nella fessura tra le due ante. Una la tengo sempre chiusa perché il fermo non tiene più, l’altra invece aperta e fissata. Forse un colpo di vento l’ha sganciata. Sono salita in camera in tempo per veder volar via il codirosso e per scoprire nell’angolo più riparato del davanzale una montagnetta di erba e foglie secche. Ho sperato di non aver spaventato l’uccellino e di non averlo distolto dal suo progetto. L’indomani, quando mi sono avvicinata in punta di piedi al vetro della finestra, ho visto un nido perfetto con un incavo ben levigato e profondo posto in alto a destra. Allora ho preso un ritaglio di stoffa ed ho riparato il vetro con una tendina che ho fissato con un nastro adesivo. Poi ho cercato con una cordina di fissare l’anta libera sì da conservare quella fessura d’ingresso. papavero!” Un papavero tra i papaveri nel campo e poi in volo nel becco di un merlo e poi come una macchiolina rossa fra le travi di un portico antico. E poi scopato via. Mi sono innamorata di quel papavero. Avvicinandomi una mattina in punta di piedi dopo aver visto frullare via dalla fessura il codirosso femmina ho scostato la tendina. Cinque ovetti azzurri e due più chiari, più grandini. “Sette uova!.... Che brava!” Ho tenuto nota dei giorni della cova. Il primo ovetto il 21 maggio. E poi per fissare a distanza il nido ho piegato di lato l’angolo destro della tendina. 28 29 Dopo dodici giorni sono nati i primi due uccellini. E poi ecco che giù dal pendio delle foglie ho visto in ordine sparso le ovette azzurre rotolate una qui una là. E due giorni dopo sull’angolo sinistro del davanzale boccheggiare a pancia in su un uccellino implume con le zampette lunghe. Avrei voluto soccorrerlo, ma avrei compromesso quel nuovo equilibrio, ingiusto ma naturale. Sì avevo finalmente capito. Nella piccola cavità del nido c’era ora solo un piccolo cuculo che non ha esitato a spingere fuori del nido anche il fratello. L’ho colto più di una volta col becco spalancato mentre i genitori adottivi lo nutrivano, una cavità rossa che mi ricordava il lupo di cappuccetto rosso. Dapprima rimaneva a pancia in su poi nel crescere è rimasto tranquillo appollaiato in attesa nel nido senza mai scomporsi anche quando mi avvicinavo a scrutarlo. Una piccola gallinella con due grossi occhi rotondi e con le piume scure e spinose. E’ sceso giù dal nido avvicinandosi alla fessura tra le due ante solo il giorno prima della sua partenza. Il 21 giugno. Due anni fa un cuculo depose il suo uovo in un buco accanto al portoncino sulla strada. Trovai in terra dei piccoli uccellini implumi morti. Alzai lo sguardo pensando fossero caduti dal tetto, ma nell’abbassarlo, proprio alla mia altezza vidi un cuculo appollaiato nel buco in cui si inseriva il tubo del gas. Lo scorso anno trovai un cuculo alla distanza di un braccio dalla finestra in mansarda della stanza di Lodovico. E quest’anno sul davanzale. E per un mese ho lasciato in penombra la stanza ed ho permesso ai ragni di incorniciarla dentro e fuori di ragnatele. E’ bello ospitare sotto il proprio tetto degli uccelli come le rondini che affollano il mio portico e codirossi e cuculi senza avere la responsabilità di accudirli e nutrirli come invece faccio con le cocorite e il gatto e il cane. Mi hanno detto che i cuculi tengono d’occhio la mia casa e ne conoscono la pianta alla perfezione. Sono fiera della loro scelta, mi piace ascoltare tutti gli anni il loro richiamo che proviene sempre dalla stessa direzione. Dal bosco e dal campo. Non è giusto, però, che scelgano sempre il nido dei piccoli codirossi. 30 31 Una sorpresa Il cagnolino e il cassonetto Non avevo mai incontrato in tanti anni un bambino che con gli occhi pronti al pianto dicesse “Non voglio sentire le storie…. ho paura!” E così ogni volta che entravo nella sua classe quel bel bambino biondo da poco promosso cucciolo e quindi inserito tra mezzani e grandi è uscito tenuto per mano dalla sua maestra che si ritirava con lui finché io non avevo terminato di raccontare la fiaba. Si è quasi concluso l’anno e quel rito si è ripetuto ogni settimana. Come ogni martedì, ormai uno degli ultimi di giugno, mi sono seduta come al solito sulla mia sediolina con i bambini disposti in cerchio scalpitanti di gioia. Ed ecco che il bambino biondo con un sorriso dolcissimo è volato all’improvviso sulle mie ginocchia, ha posato la testa sulla mia spalla e mi ha guardata “Non hai più paura?” gli ho chiesto. “No!” mi ha risposto. Commossa per quell’inatteso cambiamento ho raccontato una fiaba divertente sempre con quel peso leggero sulle ginocchia ed il sorriso non ha mai abbandonato lo sguardo azzurro di Giacomo. Anche la maestra è rimasta ad ascoltare la fiaba dei gattini e la storia del cuculo sul davanzale e quella della rondinella trovata immobile in terra e portata prima su all’ultimo piano sperando che la mamma la soccorresse e poi custodita in una gabbietta aperta e nutrita per due giorni con mosche e moscerini. Stavo andando a far la spesa in piazza quando ho visto un cagnolino accovacciato davanti a un cassonetto. Ho proseguito, ma poi sono ritornata indietro, non è il primo cane che ho visto abbandonato in questo mese di giugno, ma posto lì davanti a un cassonetto mi pareva il simbolo del destino dei cani abbandonati. Ho posteggiato la macchina, ho attraversato e dalla parte opposta della strada trafficata, perché il cane non si muovesse, gli ho scattato più di una fotografia. Nel ritornare alla macchina mi sono girata proprio nel momento in cui una signora gli è passata vicino. Il cane si è alzato le ha fatto le feste e lei lo ha respinto spaventata e infastidita. L’ho aspettata ed ho scambiato due parole banali di commento. Lei, voltandosi, mi ha indicato un pezzo di pane che qualcuno gli aveva lasciato. “Mi dispiace tanto.. poverino!... Non è giusto!.. Questo cagnolino non ha fame.. aspetta il suo padrone!” ho pensato. Impossibile ignorare di averlo visto e compatirlo soltanto. Mi sono seduta in macchina e tenendolo d’occhio ho fatto tante telefonate sempre descrivendolo con un aggettivo in più. “..E’ piccolino.. affettuoso.. bellissimo.. allegro.. ti prego.. lo prenderei io.. ma ne ho già due!” E finalmente ho trovato l’amica buona, quella che abita in una cascina, e ha già cani.. gatti.. galline e uccellini. 32 33 Briciole Gabriele, un bambino biondo e sempre sorridente, appena promosso mezzano, ha raccolto in terra un anellino elasticizzato rosa, un ferma capelli, e me lo ha consegnato. “E’ di Maria Cristina!” “Va bene… grazie… glielo darò dopo.” Al termine della lezione ho annodato i capelli neri e lunghi di Maria Cristina, una bambina dolce e silenziosa protetta da tutti e che da poco fa parte della classe. E’ un cucciolo. Gabriele mi si è avvicinato e mi ha detto “Era più bella prima!” Cochi “Ti raccomando, sii prudente. Mira in alto. Non ti fidare di nessuno. Quando incontri i tuoi fratelli unisciti a loro. Ti insegneranno a difenderti.” Ecco è qualche giorno che mi sto preparando al saluto definitivo e mi chiedo se ce la farà ad affrontare i pericoli in agguato ovunque. E’ troppo ingenuo. Non è né scaltro né malizioso. Ormai lo conosco bene. La sua storia si è intrecciata con la mia così. “Mamma, passa dall’ufficio! Ho trovato un uccellino!” Sono volata in ufficio rimandando ogni altro impegno. In una scatola, sforacchiata per la circostanza, un passerotto. Francesca, quando ormai i bambini dopo la fiaba si erano raccolti intorno ai loro tavolini per giocare o disegnare, si è seduta sulle mie ginocchia e mi ha detto chinando la testa e guardandomi coi suoi splendidi occhi azzurri “Lo sai che il mio papà è morto?” “Sì… lo so… mi dispiace tanto.” E poi aiutandosi con le dita ha aggiunto “Mi sono morti anche due gatti… il cane… il nonno bis e quattro pesciolini… me n’è rimasto solo uno!” “Ma come mai?... Cambiavi l’acqua?” “Sì!... Erano rimasti in due, ma uno mangiava tutto lui e non lasciava niente all’altro!” “Che egoista!” 34 35 “Eravamo davanti alla pasticceria. Ho sentito un tonfo. Dal tetto è caduto un uccellino sulla capote di una macchina. L’abbiamo portato in ufficio e messo in questa scatola. E’ saltato sul tavolo, poi sul terrazzino e poi giù sulla mia macchina e poi si è nascosto sotto una ruota. Ho dovuto lasciar lì la macchina, impossibile farlo uscire. Quando dopo due ore siamo tornati era lì, sulla stretta grata della bocca di lupo, sporco, col becco spalancato “Cip… cip!” Lo abbiamo riportato su in ufficio e gli abbiamo dato con uno stuzzicadenti un po’ di biscotto ammollato nell’acqua.” Non mi mancano gabbie su in solaio e ne ho scelta una piccola e poi l’ho appesa sotto il portico a poca distanza dalla nidiata di rondinini dove c’è tutto il giorno un vociare continuo e un via vai ininterrotto. “Gli terranno compagnia!” Mi sono specializzata nelle pappe. Ho cominciato con un pezzetto di pane ammorbidito nell’acqua e poi ho sostituito l’acqua col latte e poi ho inventato una ricetta favolosa. Niente acqua niente latte, ma mela grattugiata, miscela, pane, un pizzico di uovo sodo, una punta di miele, una presina di mandorle grattugiate. Su di un piccolo vassoio un bicchierino con dell’acqua, la tazzina con l’impasto e una sottile palettina di plastica provvidenziale che non so proprio a che cosa servisse, ma a me è stata più utile di uno stuzzicadenti appuntito. Nessun problema nutrirlo. Appena mi avvicino il passerotto spalanca il becco e vibra tutto. Un boccone... un altro… un altro… “Ora basta… non vedi che hai il gozzo?” Appena mi allontano si acquatta nella scodellina bianca agganciata alla rete, dove ho messo un po’ di miscela, e si vede sporgere una piuma della coda e una della testa. Non sei pasti al giorno, ma dodici se non di più. E alle sei del mattino per parecchi giorni sono scesa in cucina per nutrirlo. Prima però il rito della pulizia della gabbietta in cui, felice idea, ho introdotto un tronchetto su cui l’uccellino strofina il becco e saltella. Impossibile lasciarlo a casa per più di due ore così l’ho portato un lunedì all’asilo e l’ho posto in mezzo al cerchio dei bambini seduti in terra sul loro bollino rosso. E sotto i loro occhi entusiasti l’ho imboccato. L’ho portato anche a Messa alla casa di riposo e l’ho sistemato con indifferenza sulla panca alle mie spalle. “Un passero?..Non vivrà!” mi ha subito detto Giovanni il sacre- 36 37 stano a voce bassa sospendendo l’Ave Maria del quarto mistero del rosario. Mi sono girata, inginocchiata davanti alla gabbietta, ho aperto lo sportellino e ho messo a tacere quel “cip… cip” che aveva iniziato a distrarre un po’ tutti sotto gli occhi sorpresi e commossi di Giovanni che gli era accanto. “Vivrà… vivrà!” ha annuito. Sono passata l’indomani davanti all’asilo. “Virginia!... Virginia! Come sta l’uccellino? Lo porti ancora?” Tutti i bambini nel vedermi si sono addossati al cancello. In costume da bagno e scalzi. Certo che l’ho portato ancora la settimana dopo. “Com’è cresciuto!... Non scappa?” No, il passerotto non scappa. Se è sazio si nasconde nella ciotolina, se ha fame si agita sul tronchetto o sulla bacchetta tutto proteso verso di me. E allora si ripete il rito. Stacco dal muro la gabbietta, la metto sulla madia in cucina, mi accerto che non ci sia il gatto in giro e lo imbecco. Oggi l’ho visto per la prima volta bere nell’abbeveratoio dove più volte gli ho infilato dentro la testina scandendo le parole “Qui c’è l’acqua!… ca… pi... to…?” Parlando coi miei vicini ho saputo che nella mia piccola contrada in questi giorni c’è chi ha lasciato libero un merlo dopo averlo allevato, chi ha salvato un falchetto che è rimasto fedele e torna a posarsi sul braccio e chi ha una cornacchia che bussa ai vetri perché vuole ancora essere nutrita. Io ho allevato un passerotto che ha conquistato tutti. Fin dal mattino mi chiedono “Come sta il tuo uccellino?” E sinceramente parlerei sempre di lui. “Ha imparato a bere da solo…Oggi per la prima volta ha spiluccato la miscela… Ci si strofina dentro… La schizza da tutte le parti… Guarda cosa c’è in terra sotto la gabbia!... Che sprecone! ... Mangia finalmente da solo!” Ma quando lo faccio uscire dalla gabbietta resta aggrappato al mio dito o se stendo il braccio si arrampica fin sulla spalla e se si avvicina il cane lo becca sul muso e poi con un salto rientra, dal cancellino della gabbietta rimasto aperto, sul tronchetto. “Finalmente a casa!” E’ più di un mese che abita con noi. Non pensa a volare, ma a saltellare, ad accucciarsi nel cavo della mano, a tuffarsi nella scodellina bianca col biscotto frantumato per poi beccarlo quando è tutto sparso sul tavolo. E’ attratto dalle mosche quando gli volano accanto. Si guarda attorno curioso e gironzola là dove lo lascio. Zampetta sulla camicia di mio marito, si nasconde sotto il colletto, litiga col bottoncino bianco. Credo proprio che non intende andarsene e che senza crearci alcun disturbo partirà con noi in vacanza. L’ho chiamato Cochi. 38 39 Cellina L’ho detto. Quando posso parlo del mio uccellino. Eravamo dopo cena seduti nel prato e la luna splendeva tra i rami alti del pino. “Il mio uccellino non vola… chi sa perché...” “Zia, stamattina ho sentito alla tele una trasmissione “SOS passeri” Dicono che anche i passeri stanno diminuendo... raccomandano di non ristrutturare le case quando nidificano… di lasciare spazi nei campi con erbe alte… di legare al collo dei gatti un collarino con un campanellino.... Perché non cerchi su internet la voce LIPU…. Lega Italiana Protezione Uccelli?” Mi sono affrettata all’istante a rientrare in casa, ho trovato il sito interessantissimo, ho individuato l’indirizzo e mail ed ho inviato il raccontino di Cochi ed anche due fotografie e ho chiesto perché il mio passero non vola ancora. Al mattino successivo ho trovato in risposta ben tre ampi messaggi con tanti consigli inviati a giro di posta. Quanta sollecitudine! Spero che siano utili anche ad altri e se la mia squisita ricetta subirà delle modifiche ne sarò contenta perché non bastano la fantasia e le buone intenzioni. Occorre soprattutto competenza. “Gentile Virginia, sono una volontaria LIPU addetta all'allevamento di piccoli passeriformi in difficoltà (rondoni, rondini, cardellini, passeri, ecc....). Guardando le due foto, ho notato che il passerotto ha le piume "con carenze", vuol dire che nel periodo della crescita delle piume ha avuto problemi di alimentazione. 40 Le piume che ha non sono adatte al volo, sono deboli, sfibrate, dovrà perciò fare la muta. Occorre somministrargli vitamine, specialmente del gruppo B, che aiutano la muta che di norma avviene verso settembre ottobre. Tutti gli anni mi capitano passerotti con questi problemi di piume (magari sono gli ultimi della nidiata, mangiano per ultimi e mangiano poco). Pochi sanno che i passerotti sono nutriti dai genitori con insetti, dunque proteine. Non sapendo ciò, chi trova un passerotto caduto dal nido lo alimenta con cereali pensando che i passeri sono granivori e in questo modo ne risente moltissimo il piumaggio. Gentile Virginia, le scrivo di nuovo, perché nel frattempo ho letto il suo racconto su Cochi e così ho capito che la causa del piumaggio insufficiente al volo è proprio l'alimentazione, ahimè....! Intanto, il latte è molto nocivo per gli uccelli, in futuro non lo dia mai a nessun pennuto, neanche una goccia!!! Ottimo, invece, il latte di soia, molto proteico. Poi il pane.... valore nutritivo zero. Sarebbe stato meglio un plum-cake, una torta con burro e uova, il latte che c'è nelle torte non è nocivo, una volta cotto. Dimenticavo una cosa importante: l'UOVO, il giallo cotto per dieci minuti, va dato solo due volte alla settimana ai piccoli uccelli, altrimenti crea problemi al fegato con conseguente malassorbimento. Ecco aggiunto un altro tassello al nostro puzzle! Praticamente le uniche cose giuste che Cochi ha mangiato sono state: mela e mandorle.... Ma è troppo poco in un periodo così delicato come la crescita! Comunque, dalle foto noto che è bello grande, non si è sviluppato male, tutto sommato. Solo le piume denotano carenza alimentare. Cellina Questi messaggi sono stati scritti dalle 21,40 in poi. Incredibile. Sono rimasta colpita da questa premura e passione. Grazie, grazie infinite. 41 Il gatto bianco Sa che può contare su di me. Non ho mai osato accarezzarlo, ma credo che avverta le mie carezze silenziose quando io guardo lui e lui guarda me. Tutto l’inverno, annunciato dall’abbaiare furioso della cagnetta, ha percorso il lungo davanzale esterno della finestra della cucina fino a fermarsi davanti al primo riquadro, l’unico che apro perché libero da vasi e vasetti. “Non dargli da mangiare se no non se ne va più!” Ma come potevo rifiutare un po’ di cibo a un gatto straniero che tutte le notti verso le ventidue timidamente si presentava, sfidando i salti di Lilli, là dove lascio per Sissi, la nostra gattina grigia, un po’ di croccantini e la ciotola sempre piena d’acqua? L’ho incontrato poche volte per la contrada mentre usciva furtivo ora dal vecchio e consumato portone di legno di una vecchia cascina disabitata ora dall’erba alta di un campo. E così con indifferenza mi attardavo per ultima in cucina per potergli allungare una manciata di quei croccantini gustosi di Tell che per via delle sue allergie gode di un trattamento speciale e costoso. E poi con la primavera e l’estate chi sa perché il gatto ha cambiato abitudini. Viene al mattino presto e mi trova quasi sempre in cucina perché sono mattiniera. Anche con la finestra aperta non osa sporgersi dentro. Rimane lì immobile, in attesa, senza un miagolio. La cagnetta al mattino presto non c’è e Tell è completamente indifferente. Mi piace tanto quel gattone bianco, così indipendente, riservato, dignitoso. Mangia con calma e poi se ne va. Sparisce. 42 43 Agosto Questo racconto per non essere impegnativo per il lettore, quanto lo è per me da un altro punto di vista, necessita di una presentazione. Sissi è la nostra gattina grigia. Tell il nostro labrador. Lilli la cagnetta di mia cognata. “Mamma, posso affidarti il gatto?... Te lo porto a casa stasera!” Una gattina morbida bianca e grigia è arrivata nel trasportino col suo bagaglio di croccantini bustine di cibi vari già pronti lettiera e sacchetto di sabbia per il cambio. “Deve restare in casa… se no si perde!” E Alessandro se n’è andato. Ho spostato il cesto delle patate ed ho messo lì, nascosta sotto un tavolinetto dietro la porta della cucina, la lettiera. E sulla stufa ho allineato le ciotoline per l’acqua e i croccantini. “Qui il cane non le tocca.” E la gattina si è trovata in questa casa libera di muoversi tra la cucina e la camera da pranzo. Tell si è avvicinato con buone intenzioni, ma Mila, la gattina, si è arcuata ed è schizzata sulla spalliera del divano. “Fuori Tell!” Gli abbiamo ingiunto. A malincuore. Sissi le si è avvicinata strofinandosi contro la poltrona con moine accattivanti. E subito la gattina è saltata dal divano sulla credenza tra le cornici d’argento gli angioletti e le tazzine da caffè sbuffando e arcuandosi minacciosa. “Fuori Sissi!” L’ho presa in braccio, ho aperto la finestra e l’ho fatta uscire. Con garbo. 44 Ora di cena. “Tell da stasera dovrà mangiare sotto il portico!” “… Ma verrà Lilli a rubarglielo!” E Tell ha mangiato sotto il portico e non in cucina, come sempre, dove Lilli sa che non deve entrare. E noi accanto a sorvegliare. “Presto, chiudi la porta della cucina se no rientra Sissi!... Le metteremo i croccantini e l’acqua sul davanzale.” La gatta è rimasta tranquilla in poltrona. “A casa di Alessandro rovescia gli oggetti in terra …Non possiamo lasciarla qui stanotte!... Passeggerà tra le statuine!... Le farà cadere!... Portiamola di là!” L’ho presa più volte in braccio con una voce gentile, premurosa, insomma ce l’ho messa tutta! Sempre, nell’avvicinarmi alla porta, che avevo lasciato spalancata, si rifiutava di entrare, schizzava via dalle mie mani rivoltandosi aggressiva. “Si è nascosta! Cerchiamola!!” In due, uno accovacciato, l’altra, cioè io, stesa a pancia a terra, abbiamo scrutato ogni angolo. “Eccola… è sotto la credenza!... Prendi la scopa!” Nemmeno con la scopa siamo riusciti a stanarla. Avevamo cenato con un ottimo prosciutto crudo. Con indifferenza sono andata in cucina, ho aperto il frigo e sfilato dal pacchetto tre fettine, ne ho fatto dei bocconcini e poi, come nella fiaba di Hansel e Gretel, ne ho lasciato cadere uno vicino alla credenza uno qua uno là fino a indicare un percorso verso l’ingresso dell’altra stanza. Una zampetta bianca con un movimento ampio e veloce ha fatto sparire il primo pezzetto, ma gli altri sono rimasti lì dove li avevo seminati. Dopo un po’ li ho ritirati e messi nella ciotolina dei croccantini facendola tintinnare invano. Quando non speravamo più Mila è uscita dal suo rifugio, si è 45 acciambellata su una sedia e mio marito, quando per noi era ora di andare a dormire, l’ha portata senza difficoltà nella saletta. Mila abita ora in una stanza molto accogliente che affaccia su di uno splendido giardinetto in cui però non può accedere perché anche lì possono circolare Lilli Sissi e Tell. A casa di Alessandro Mila resta da sola dal mattino alla sera, forse per questo passa il tempo a dissotterrare le piante e a trascinare ovunque i calzini e non solo. Qui si è adattata a restare sola sola tranne dopo pranzo quando per un’oretta ha la compagnia di mio marito che accende la tele e riposa sulla poltrona. E quando a ora dei pasti mi affaccio con circospezione per accarezzarla e riempire le ciotoline. L’equilibrio si è ristabilito. Le statuine non corrono pericoli. Tell mangia e dorme in cucina. Sissi circola liberamente per casa. E Lilli come sempre preferisce alla sua cuccia nella caldaia quella sedia del mio portico situata sotto uno degli undici nidi di rondini da cui tra una cova e l’altra si affacciano cinque beccucci spalancati di rondinini. “Mamma, mi ha chiesto Riccardo, ti affido la mia gatta. Devi venire a casa mia due volte al giorno!” Puntuale ogni mattina dopo i primi impegni essenziali, cioè dopo aver dato da bere ai fiori, provveduto a Mila, pulito la gabbietta di Cochi che intanto saltella libero sul tavolo, parto in macchina. Anche lì sul ripiano in cucina un’infinità di buste, scatolette, sacchetti di croccantini. Spalanco le finestre della casa. La gatta non c’è pericolo che scappi. E quando mi accingo a scendere a piano terra si affretta a precedermi e la trovo distesa nella cesta con sette gattini da leccare e da nutrire. Uno color panna come lei e col pelo lungo come il suo. Altri grigi. Tutti bellissimi. “Virginia, mi ha chiesto Vera, posso portarti a pensione il mio canarino?” Ed è arrivata, come tutti gli anni precedenti, con una grande busta di boutique con dentro un grande sacchetto di miscela e un grande sacchetto di sabbia. “Ma non occorrevano!” Come sempre ho appeso sotto il portico, al solito chiodo rimasto libero, la gabbietta. Ma proprio la prima sera, era tutto buio, non accendo mai la luce per non disturbare le rondini, ed io ero ad un passo di distanza, ecco un gran fracasso. Sissi all’improvviso con un salto è balzata sulla gabbia del canarino ed è fuggita via. La gabbia non è caduta, ma è rimasta appesa di traverso. Ho spostato la gabbia, per quella prima notte, in casa e il giorno dopo l’ho sistemata sotto il portico centrale agganciandola ad un chiodo molto alto. Il canarino riempie il cortile e le finestre aperte con un canto melodioso e potente, ma quando diventa sottile flebile lamentoso insistente so che il gatto è nei paraggi. Ci sono tante api sotto il portico, tante formiche, qualche lucertola, tante ma tante rondini nei nidi sotto le travi del portico, ma sono tutte indipendenti. Io devo badare solo al passero, al canarino, a Mila, alle cocorite, a Sissi, a Tell, al pesciolino rosso. E alla gattina color panna. 46 47 “Domani arriva Lisetta!” “E porta anche il cane?” “Due” ho sussurrato attendendo la reazione. “Nooo…due?!” E mia sorella è arrivata con Titti e Spillo nel tardo pomeriggio dopo dieci ore di viaggio, tre più del previsto. Le siamo andati incontro mentre scioglieva ai due cani, sistemati sul sedile posteriore, la cintura di sicurezza. “Mi sono dovuta fermare ogni ora… Spillo era inquieto.” Non ricordo di averla potuta abbracciare, i due guinzagli si sono improvvisamente allungati e lei governava a stento ora l’uno ora l’altro proiettati in direzioni diverse. Saliti in casa ha subito sistemato in terra in cucina due scodelline per il cibo e una ciotola comune per l’acqua. Poi seguita dai cani si è trasferita nella sua stanza, mi aveva chiesto se potevo riservarle quella grande. Sul divano ha disteso una tovaglietta sulla parte destra e attirando la poltrona a sinistra a poca distanza dal letto l’ha ricoperta con un vestito marrone. ”E’ sporco…devo lavarlo.” Titti, una cagnetta bianca e nera che vive da anni con Lisetta, si è distesa sul divano, Spillo si è accucciato sulla poltrona mentre lei ha disfatto la valigia. E in un baleno ha occupato ogni spazio della vasta stanza. Televisioncina accesa sul comodino, computer portatile sulla scrivania. “Acci!...ho dimenticato il caricatore del cellulare!” E il vasino da notte azzurro accanto alla porta pieno d’acqua. Per i cani. Ci siamo rassicurati quando abbiamo visto che il nuovo cane non era grande, ma snello, elegante, con una macchia grande e bianca sul petto. Pelo color cammello e setoso. Un muso vispo e sottile. Due occhi espressivi. Insomma ci ha conquistati. Quando ci siamo ritrovati in camera da pranzo con a disposizione il tempo per una tranquilla conversazione le abbiamo chiesto come aveva avuto il cane. E Lisetta ci ha descritto tutti i passaggi rivivendo e facendoci vivere le sue stesse emozioni. Un appello drammatico e urgente via internet dalla Spagna di un gruppo di persone che imploravano di adottare dei cani già designati per la soppressione. Lisetta ha dato la sua disponibilità e le hanno assegnato Calimero, di due anni, e le hanno inviato la fotografia. Aggrappato ritto sulle zampette posteriori alla rete con la sua bella macchia bianca in vista. E lei ha accettato. In molti hanno accolto l’appello. I cani adottati, una cinquantina, sarebbero arrivati con un furgone dalla Spagna a Milano il primo maggio, ma ecco la prima delusione, appuntamento rinviato di una settimana. Protratto il pellegrinaggio di quelle povere bestie. E poi finalmente fissato l’incontro a nord di Milano, a Cesano Maderno, alle sette del mattino. C’erano persone che provenivano dalla Svizzera, altri dalla Toscana, dalla Sicilia per ritirare i loro cani. Ed il furgone è arrivato alle sette di sera. Disagio grande per tutti. 48 49 Spillo I cani sistemati in gabbiette, dopo ore e ore di viaggio e giorni di ritardo, avevano uno sguardo assente, smarrito sfinito. Denutriti, malati. Tutti con diarrea. I cuccioli non sopravvissuti. Ognuno si è precipitato a ritirare il proprio cane, lo ha sistemato sulla macchina ed è partito col desiderio di ridare vita alla sua povera creatura. Calimero, chiamato poi da Lisetta non senza motivo Spillo, aveva la schiena scandita dalle ossa sporgenti. Nei primi due mesi ha subito acquistato due chili. Il veterinario nel vederlo ha esclamato “Ma è un basenji!” E così Lisetta che non aveva mai sentito quel nome scoprì che il suo cane era un basenji. “E’ una razza congolese. Sono cani molto intelligenti, pulitissimi come i gatti.” Subito Lisetta ha approfondito le caratteristiche del suo cane consultando internet e ci ha invitati a fare altrettanto. “Basenji, cane primitivo africano, poco conosciuto in Italia, deriva da un padre africano chiamato Karibù, cane delle selve. Altri nomi sono Cane del Congo, Cane degli Egizi, Cane della boscaglia africana, Cane che non abbaia. E’ utilizzato come guida nelle foreste e come segnalatore di animali feroci. Struttura leggera, agile, ossatura sottile, alto sugli arti rispetto alla lunghezza del corpo, vivace, intel- ligente. Non abbaia mai, ma emette un grido particolare simile ad una risata. La testa è rugosa, sormontata da orecchie diritte e sopportata da un collo ben tornito. Il pelo è corto e sericeo. Di carattere allegro e amichevole. Molto pulito, si pulisce come un gatto.” In uno dei quattro giorni di vacanza trascorsi assieme Lisetta ha dovuto assentarsi dal mattino alla sera. “Non dar da mangiare ai cani, mi raccomando!” mi ha ingiunto dopo aver distribuito loro il pasto del mattino. “Se Spillo è agitato devi dirgli così ..”Aspetta la mamma!.. e lui si accuccia… visto?” I cani sono rimasti tranquilli nella “loro” camera tutto il giorno e quando a ora di cena Lisetta è tornata l’hanno accolta festosamente e Spillo saltava come una gazzella davanti a lei superandola in altezza. Siamo usciti un pomeriggio mia sorella e i due cani, mio marito ed io. Abbiamo percorso dapprima vicoletti solitari fin che i cani non hanno fatto i loro bisogni che Lisetta subito faceva sparire nell’apposito sacchetto e poi nel viale principale sostando ora accanto ad un albero ora al successivo. Ero vicino a lei quando mi ha detto qualcosa. “Ripeti…non ho capito!” “Non parlavo con te, mi ha risposto, quando esco parlo coi cani.” Siamo ripartiti lo stesso giorno, alla stessa ora lei diretta vicino a Milano, noi vicino a Brescia. Quasi settecento chilometri. “Questa volta Spillo è stato tranquillo. Non ho dovuto fermarmi come all’andata.” Ci ha comunicato al’arrivo. Spillo ha finalmente superato il trauma di quel primo lungo estenuante drammatico viaggio dalla Spagna a Milano. 50 51 Il breve incontro con Aldo per ferragosto, quando torno nella terra a me tanto cara, mi permette di aggiungere nuovi particolari alla storia che sto tessendo su di lui da anni. Emerge il profilo di un uomo che non ti stancheresti mai di ascoltare e che sempre ti sorprende per la sua semplicità, esperienza, saggezza, affabilità, onestà. Sempre lo stesso desiderio “Aldo, mi racconti..!” Aldo è venuto a trovarci ed io gli ho subito mostrato il mio passerotto e poi l’ho trasferito sulla sua mano. Guardando l’uccellino così indifeso ha detto “Non potrei più uccidere una creatura così.. Quando do da bere alle mie galline si uniscono a loro tanti passeri..Poverini.. un tempo c’era l’acqua nel fossato ed era limpida, oggi gli uccelli sono costretti a bere l’acqua saponata del lavaggio delle macchine.” Ho voluto fargli una fotografia e quando Aldo l’ha vista ha esclamato “..come sono invecchiato!” “E’ solo apparenza, Aldo, sono i capelli bianchi che ingannano. Lei non è invecchiato!.. E le coturnici?” Ed illuminandosi ha incominciato a parlare di caccia. “Un uomo che spara a tutto ciò che gli passa a tiro non è un cacciatore. Bisogna faticare.. inerpicarsi su per la montagna.. stanare le prede.. conoscerle!.. Le coturnici!.. Sono le regine della montagna!” E me le ha descritte come se le vedesse. “Sono grosse come gallinelle, vivono sui versanti montani ghiaiosi e assolati e al minimo pericolo si gettano a valle a capofitto con un volo rumoroso e lunghe planate e si nascondono tra i cespugli di ginepro. Escono per la pastura all’alba e al crepuscolo. E’ difficilissimo prenderne una!.. Una volta ero sulla cima del monte Marsicano quando ad un tratto avvertii qualcosa. Il cane rimase in ferma. Rimasi fermo anch’io. Dopo un po’ davanti al cane passò una coturnice con un voletto silenzioso, aveva le piume arruffate, volava a zigzag come volesse attirare la mia attenzione. Si fermò ad una ventina di metri. Il cane non si mosse. Neanche aveva avvertito il volo. Mi resi subito conto che doveva esserci nei paraggi una nidiata di coturnici. Con delicatezza mi avvicinai al cane e lo agganciai al guinzaglio. Subito dopo tra il cane e i miei piedi frullarono tutte unite le piccole coturnici della grandezza di una quaglia facendo un gran fracasso. Si diressero verso la madre e si posarono in terra. La madre non aveva esitato a mettersi in mostra offrendosi come facile preda pur di salvare i suoi piccoli.” Siamo andati noi a trovare Aldo nella sua casa in campagna. Ci siamo seduti sul terrazzo da cui si vede, dal basso, gran parte dell’antico paese. E ancora sono affiorati ricordi. “..Camminavo lungo un sentiero scosceso quando notai dalla montagna di fronte venir giù un cavallo solitario, tra le rocce, come fosse una capra, con passo spedito e sicuro. Mi posi comodamente seduto e lo accompagnai con lo sguardo. Era di colore sauro, con una folta criniera dorata che ondeggiava. Lo seguii fino a quando scomparve. 52 53 Aldo Quando scesi a valle trovai dei cavalli al pascolo e un “cavallaro”. Gli chiesi del cavallo sauro. “E’ una cavalla!” mi rispose. “Cercava il suo stallone, ma lui è lì, in quel casolare, con una cavalla del suo gruppo che questa notte ha perso il puledrino.” Entrai e vidi uno stallone maremmano, imponente. Teneva il muso verso terra, vicino a quello della cavalla che aveva perso il puledrino. C’era anche la cavalla dalla criniera dorata. Stuzzicava lo stallone con piccoli morsi e lo invitava invano a seguirla. Nel salutarci Aldo ci ha offerto un vasetto di amarene e dei pomodori e biscotti e dell’olio. Gesti di autentica ospitalità dal sapore antico. 54 55 Dov’è Giovanni? Giovanni dorme Dodo lo vede Dodo si accuccia Dodo dorme 56 57 L’ascensore La pianta di Giò Sono andata con Giovanni al centro medico a ritirare una ricetta. Nell’uscire invece di imboccare la scala Giovanni mi ha chiesto di scendere con l’ascensore. “Ma è solo un piano!” Ho capito che gli sarebbe piaciuto premere i bottoni e l’ho accontentato. Nell’uscire dall’ascensore sono inciampata e caduta rovinosamente. Non c’era nessuno oltre noi. Quando il dolore alla caviglia e alle ginocchia si è attutito ho guardato Giovanni immobile serio pensieroso sulla soglia dell’ascensore rimasto aperto. “Ti sei spaventato?... Cosa hai pensato quando mi hai visto cadere?” “Che avrei dovuto riportarti su con l’ascensore!” Una passeggiata col cestino lungo il perimetro del campo in cerca di funghi, “i pris”. Arrivati alle querce c’è un piccolo dirupo arginato da una rete dove vengono scaricati con le carriole rametti e rifiuti verdi. “Guarda nonna!” Una piantina grassa a testa in giù ancora inserita nella terra secca secca della forma del vasetto che la conteneva. “La salviamo?” “Sei capace di raggiungerla.... Attento a non scivolare!.... Non toccarla… punge!... Prendila dalla parte della terra! Bravo.. così!” Tornati a casa abbiamo subito trovato un vasetto più capace, vi ho infilato la pianta con la sua terra secca, ho aggiunto delle belle manciate di terra soffice e l’ho sistemata accanto ad un’altra pianta simile ma rigogliosa. E Giovanni le ha dato da bere. “Vedrai che vivrà!” “Nonna, chiamiamola la pianta di Giò!” Abbiamo ripreso il cestino e percorso, con lo sguardo sul tappeto erboso, in su e in giù, gli stretti sentieri tra i filari delle viti. Abbiamo raccolto solo tre “pris” e riempito il cesto di grappoli d’uva americana, l’unica non vendemmiata, che diffonde nell’ultimo tratto del pergolato, che si allunga nella parte centrale del campo, il suo intenso inconfondibile profumo. Ancora una sosta. “Nonna vieni! Ti faccio vedere una cosa.. adesso ragiono di più!” Giovanni ha iniziato da qualche giorno a frequentare la prima ele- 58 59 mentare. Non so chi gli ha detto questa frase, ma gli è piaciuta. E Giovanni mi ha introdotto nel posto segreto tra le tuie dove ama nascondersi a giocare coi cuginetti più grandi e dove a volte trovo sotto la grande campana di rame, una vecchia caldaia per il formaggio, su cui si arrampicano, una scatola di fiammiferi, zappe, palette, bastoni. E quando quatta quatta mi avvicino per controllare sento delle voci che bisbigliano “Attenti, arriva la nonna di Giovanni!” L’ho seguito, mi ha indicato una buca e sopra una piccola graticola. “Ma Giovanni questa è mia! L’ho cercata tanto!” 60 Il suo albero Cochi è venuto veramente in vacanza con noi. Dei seicentocinquanta chilometri percorsi in macchina, guidava mio marito, trecento li ho trascorsi con la testa girata dietro e col braccio sinistro teso e con in mano ora una mollichina di pane ora una fogliolina d’insalata. E sempre un saluto affettuoso “Ciao Cochi!” Una frenata brusca ha quasi ribaltato la gabbietta ed il miglio si è sparso ovunque. L’abbeveratoio si svuotava spesso se solo la gabbia s’inclinava e allora lo riempivo di nuovo destreggiandomi con difficoltà. Lentamente lentamente, grazie ai consigli sulla giusta alimentazione, integrata con un pizzico di carne macinata e fermenti lattici, il piumaggio si è infoltito nascondendo finalmente l’anellino rosso del sederino. Per ultime sono spuntate le piume della coda. E sul petto possente ha ora nel centro una sottile fossetta. Conosce la cucina e la camera da pranzo e con voli ampi e sicuri si posa sulla spalliera delle sedie, sui tavoli, sulla madia e sulle mie spalle. I riti del giorno sono sempre gli stessi. Libero al mattino quando gli cambio la carta sul fondo della gabbietta e rinnovo cibo e acqua. 61 E mentre preparo la colazione gli allungo sul tavolo briciole di pane un pizzico di zucchero di canna un chicco d’uva aperto, perché non fa la fatica di bucarlo, un ciuffo d’insalata. E’ incredibile come un solo passero sia capace di rivoluzionare l’ordine della cucina. O forse sono io che lo seguo e distribuisco qua e là il cibo compiaciuta se ho indovinato i suoi gusti. Libero mentre preparo il pranzo, ma sempre prudente copro l’acqua che bolle e le padelle col coperchio. Oltre la vetrata della grande finestra della cucina c’è il giardino e il campo. Ma lui è ingenuo, tornerebbe sotto il portico, busserebbe ai vetri, ne sono certa e i gatti non aspettano altro. Quello bianco si limita dietro il vetro ad osservarlo incuriosito, ma Sissi con le orecchie abbassate lo fissa immobile. Cochi ha invaso il suo territorio. Cochi conosce solo Tell e lo tiene a bada quando il cane si affaccia con le sue zampe sul bordo del tavolo pizzicandolo sulla punta del naso. All’ora del tramonto mentre sono finalmente intenta a leggere il giornale Cochi mi gironzola attorno, sale e scende dal mio braccio fin che non si accuccia sul collo e delicatamente mi pizzica i capelli. Io divento il suo albero. Allora mio marito lo raccoglie nel cavo delle mani e lo rimette nella sua gabbietta. “Gli uccellini buoni a quest’ora vanno a dormire!” E lo trasferisco in una stanza silenziosa su di una piantana accanto alla finestra che dà sul giardino. Mi accerto che non ci sia il gatto in giro. E lo lascio solo. 62 63 Il diario di Federico Luca ha iniziato a frequentare la prima media. Ogni tanto si affaccia alla mia porta e mi chiede “Zia.. posso?” Vuole usare il mio computer e vedere per l’ennesima volta brani di alcuni film. Gli interessa molto la seconda guerra mondiale. So che ha bisogno di esprimersi per iscritto con più scioltezza e allora mi è venuta un’idea. Avevo da parte, ancora nella sua custodia trasparente, un diario dalla copertina variopinta e cartonata e sigillato da un nastrino rosso. “Luca, ti regalo questo diario.. mi devi promettere che ogni giorno scriverai qualcosa.. nessuno lo leggerà.. tienilo da conto.. guarda che è prezioso!” Quando più tardi sono passata dalla camera da pranzo lui non c’era più, ma sul computer spento ho trovato il diario con su questo biglietto “Zia, è troppo prezioso il regalo che mi hai fatto.” Ho sorriso e scosso la testa. Federico, il fratello di Luca, che frequenta la terza elementare, saputo del rifiuto mi ha chiesto il diario “Zia, dallo a me, ti prometto che farò tanti disegni!” Ogni sera, proprio quando, prima di cena, mi trova intenta a leggere, Federico entra col diario tra le mani, lo apre e mi fa vedere una serie di disegni originalissimi fatti a matita, si siede accanto a me e ne fa degli altri guardandosi attorno per trovare l’ispirazione e dato che Cochi è sulla mia spalla eccola trovata! “Zia, mi piace venire a casa tua, posso venire anche domani?” Stasera abbiamo sfogliato assieme ogni pagina, ognuna con un solo disegno che occupa tutto il foglio bianco. L’uomo che non sa 64 65 risolvere le operazioni: si gratta la testa mentre tende un braccio con in pugno una grossa matita, una nuvoletta sulla sua testa con quattro punti interrogativi, un po’ di numeri sparsi… 2.. 3. Una busta chiusa, sul davanti l’indirizzo “Per la zia Virginia via Cantrina 13, BS”, sul retro a sinistra la figurina della zia Virginia, a destra quella di Federico. Ma la pagina più strabiliante è la prima, mi parevano solo dei ghirigori, quasi misteriosi geroglifici. “Mi dici cosa hai disegnato?” E Federico ha scorso disegnino per disegnino descrivendomeli mentre io riempivo una pagina di appunti sotto dettatura. “Il giorno e la notte, la luna, il frullatore, la spina elettrica, la buccia di banana, la graffetta, il francobollo, il ventaglio, un quadrato nero, un palloncino, un lucchetto, una chiave, un albero, un cespuglio, la faccia da gatto di Frankstein, una pila, una mela, io amo (cuoricino) la nutella, una molla che va di qua e di là, un ponte, la play station, un joy pad, una corona, una mano chiusa col pollice teso, una pera, il finish della gara, uno zaino, una x, un albero con vicino un pupazzo strano di neve, una matita, un rettangolo nero, un piedino, il mouse, un pugno chiuso, due castagne, un triangolo nero, una giraffa. E nella mezza pagina, in basso, una partita di basket. Quattro giocatori, la palla, due canestri, due lampadine e il tabellone per segnare i punti.” “Lasciami il diario Federico che domani faccio due fotocopie.” E quando nello sfogliare più tardi il diario ho trovato il disegno di un cuoricino fra tre parole mi sono commossa. IO…. ( cuoricino)… MIA ZIA (Io amo mia zia) 66 Un tentativo Ero andata a trovare un’amica e ammiravo il suo bel giardino dal prato rasato e cinto da cespugli e alberi pensando a Cochi. Una colonnina di ferro piantata nel terreno con una ciotola in cima per l’acqua e un uccellino in atto di bere. “Tu non hai gatti, vero?” “Vuoi portarmi il tuo uccellino? Vedi quell’albero? Di sera accoglie almeno cinquanta passeri!” E oggi, con la gabbietta sul sedile posteriore della macchina, mio marito ed io siamo andati a trovare Primo e Simonetta. Seduti intorno al tavolo in cucina, mentre mostravo loro sul portatile le foto con la storia di Cochi, l’ho lasciato libero di volare e lui si posava ora sulle spalle di mio marito ora sulle mie mentre i nostri amici seguivano stupiti tutti i suoi movimenti. E hanno cominciato a titubare. “Forse è abituato a voi... forse non saprebbe nutrirsi ..” E allora ho cominciato ad elencare tutte le sue abitudini. “Se gli metto vicino un pizzico di carne macinata non la tocca, devo dargliela io e così l’uva, devo aprire il chicco e porgerglielo..se gli passa vicino una mosca o una zanzara la segue con gli occhi incuriosito, ma non la prende..si muove con disinvoltura nelle stanze che conosce, ma se vado su per le scale, di sopra, non si sposta dalla mia spalla.. all’ora del tramonto se mi distraggo non lo trovo più, ma ormai so dove si ritira. Sulla credenza più alta dietro a dei soprammobili accucciato e invisibile ai nostri occhi..” “Proviamo a portarlo fuori?” ha proposto Nicola. 67 Mio marito si è spostato adagio prima sotto il portico poi sul prato. C’era la luce del primo pomeriggio di un assolato giorno di ottobre. Tutti guardavamo Cochi e descrivevamo a gara a mio marito, che non poteva vederlo, la sua reazione “E’ stupito.. si protende verso l’alto.. ondeggia con la testina.. apre e chiude il becco.. non si decide..” “Spingilo!” E l’ho toccato. Cochi ha spiccato un grande volo, un cerchio sullo sfondo azzurro del cielo, sul verde dell’albero dei passeri ed è tornato a posarsi sulla mia spalla. Siamo rientrati in cucina. L’ho rimesso nella sua gabbietta e tutti sorridenti ci siamo salutati. Il posto di Cochi è con noi. Se non avessi due gatti imparerebbe ad uscire e tornare. Anche noi siamo pieni di passeri sugli alberi e tra i filari di vite. Un po’ per giorno scoprirebbe come vivono i passeri, diventerebbe uno dei tanti che volano bassi e sbucano dai cespugli e ad un misterioso comando tutti insieme si nascondono tra i rami del ciliegio. Cochi dentro e i passeri fuori, divisi solo dalle sbarre, ma in realtà vicinissimi, imparerebbero a conoscersi.... E dopo un mesetto, durante il quale Cochi si sarà un po' inselvatichito, appena aperta la porticina lui volerebbe fuori.... e forse tornerebbe dentro per mangiare insieme agli altri passeri che non si lascerebbero sfuggire tutte quelle leccornie poste dentro la voliera!! Se Cochi verrà un giorno liberato, questo sarà l'unico modo, per lui.” Ho spedito a Cellina questo racconto e lei mi ha risposto così. “In effetti Cochi non andava liberato in quel modo, e lui lo ha dimostrato.... In quel giardino senza gatti andrebbe prima messa una voliera con dentro Cochi e tante mangiatoie con pastone all'uovo per canarini, con semi per canarini, insalata e mela, e.... appese alle sbarre, all'interno, delle spighe di panico. Quelle attirano moltissimo i passeri, quelli selvatici, che verrebbero a sgranocchiarle dall'esterno aggrappandosi alle sbarre. In questo modo 68 69 Siamo a metà ottobre e per il freddo precoce, che da un giorno all’altro ci ha costretto a ritirare in anticipo le piante, abbiamo acceso in cucina la stufa a legna. Cochi non si è mai posato sul ripiano della stufa, ha sempre preferito il tavolo e le spalliere delle sedie. Ed ora che la stufa è accesa abbiamo temuto subito per lui, ma Cochi non ha cambiato le sue abitudini e continua a volare con impeto dalla cucina alla camera da pranzo atterrando sui suoi punti preferiti che ormai conosco. Prima sceglieva la parte alta delle spalliere ora due ripiani più in basso e quando lo cerco devo chinarmi e girare intorno al tavolo fin che non lo vedo far capolino. Da qualche giorno ama passeggiare per terra e neanche se gli passo vicino si sposta, ma se c’è Tell schizza subito in alto. Oggi ero intenta al computer quando ho sentito provenire dalla cucina un ticchettio metallico insistente. Cochi picchiettava col becco contro il bordo della pentola grande che tengo nel lavandino e in cui scaldo l’acqua e lavo i piatti. Sono all’antica. Non amo la lavastoviglie. Ho subito capito. Ho preso il portasapone di ceramica, che ora non ha più quella funzione, l’ho riempito d’acqua e l’ho messo sul fondo della pentola. Qualche attimo di esitazione e Cochi vi è saltato dentro ed ha fatto il bagnetto. Da giorni mi ero accorta che quando facevo scorrere l’acqua subito lui volava sul ripiano di marmo intingendo il becco negli schizzi e avvicinandosi sempre di più. Gli porgevo allora da bere con un cucchiaio, ma lui invece di bere ci tuffava dentro la testa. Allora ieri ho preso la ciotolina in cui tengo la saponetta, l’ho risciacquata, l’ho riempita d’acqua e l’ho posata sul fondo della pentola capovolta, quindi in alto. Un passo indietro per non disturbarlo e lui ha fatto lì il suo bagnetto. E’ bastato farlo lì una volta perché divenisse un rito. Quando pranziamo Cochi si unisce a noi. Oramai conosce tutte le sequenze.. il tavolo apparecchiato.. le pietanze allineate.. l’insalata.. le briciole per lui. Dalle nostre spalle zampettando lungo il braccio e sulla mano scende sul bordo del piatto e assaggia di tutto, ma il suo cibo preferito sono le mollichine di pane intinte nell’olio extravergine d’oliva. Autentico. Quando faccio tintinnare il “suo” bicchiere si avvicina e con il cucchiaino gli offro da bere. Un sorso e solleva la testa.. un altro.. ed è soddisfatto. Abbiamo chiuso la veranda. Pregustavo questo momento perché mi dicevo “Chi sa che gioia per lui potersi posare sulle piante!” E ce ne sono che arrivano fino a toccare il soffitto. Un grande volo per tutta la stanza e poi di nuovo sulle mie spalle. Come ho fatto per la porta della cucina che si affaccia sul portico, anche sulla porta d’ingresso del portico, diventato veranda, ho messo un cartello. Vi ho disegnato un gatto e un uccellino e in bella calligrafia un ordine “Fuori il gatto!” 70 71 Primo freddo Era l’ora del tramonto e Giovanni ed io abbiamo deciso di andare incontro al nonno. I tronchi degli alberi alla nostra destra, pini cresciuti a dismisura, scandivano la strada con strisce di luce e di ombra. Giovanni camminava alla mia sinistra sulla striscia bianca quando ad un tratto ha esclamato puntando il dito “Nonna, un uccellino!” C’era in terra un pettirosso morto. L’ho raccolto. Non presentava ferite. Era perfetto. L’ho racchiuso tra le mani come per riscaldarlo ed abbiamo proseguito addolorati. “Pensa, Giovanni, che proprio ieri, non lontano da qui, attirata dal suo canto ho visto sul ramo più alto di un pioppo un pettirosso. Mi sono fermata a guardarlo nascosto tra le foglie, volevo fotografarlo, ma non ho fatto a tempo perché è volato via. E’ vietato sparare ai pettirossi! Mi dispiace tanto!” E abbiamo proseguito sempre disapprovando a voce alta i cacciatori. Quando è sopraggiunto il nonno e siamo saliti sulla macchina subito Giovanni gli ha raccontato del pettirosso. “L’ho trovato io!” Giunti a casa furtivamente lo abbiamo nascosto nel frigorifero. “Non facciamolo vedere a Cochi se no si prende un infarto!” mi ha preceduta Giovanni. E la maniglia del frigorifero si è aperta quando poco dopo in cucina è entrato Federico e poi ancora quando è entrato Luca e sempre Giovanni a voce bassa ha spiegato che lo aveva trovato lui lungo la strada e che non si doveva farlo vedere a Cochi. “Perché lo avete messo in frigorifero?” L’indomani il pettirosso era ancora in frigorifero quando Giovanni insieme a Riccardo, il suo compagno di scuola materna ed ora di prima elementare, è tornato a Cantrina. Contento di averlo ritrovato dove lo aveva messo lo ha mostrato all’amico poi si sono messi a sbriciolare biscotti sul tavolo aspettando che Cochi volasse sulle loro spalle. “Com’è cresciuto!” ha esclamato Riccardo che lo ricordava piccolo quando lo portai all’asilo. Non era tardi quando sono uscita col pettirosso in mano per portarlo nell’ultima casa della contrada dalla Cia e da Angiolino, ma era già tutto buio. Erano nella loro piccola cucina debolmente illuminata. La cagnetta dormiva sul divano e Lucia cucinava. Angiolino ha girato e rigirato l’uccellino. “Non gli hanno sparato.. è andato a sbattere contro una macchina.. sono uccellini ingenui.. peccato.. è così bello!” E poi risalendo all’età in cui morì suo nonno, anche lui appassionato cacciatore, si è ricordato che sono almeno sessant’anni che è vietato sparare ai pettirossi. “Ma gli sparano lo stesso!” ha mormorato Lucia. “Posso lasciarvelo?” E Lucia ha messo l’uccellino nel friser. Lucia e Angiolino vivono in una casa di campagna e hanno piccioni conigli galline gatti e un tempo anche le caprette. Un accenno a Cochi e visto l’interesse che ho suscitato sono tornata velocemente a casa a prendere il portatile e sono tornata da loro. Era quasi ora di cena, Lucia ha abbassato la fiamma sotto una pentola e ci siamo seduti tutte e tre a guardare “l’album di Cochi”. “E’ una femmina.. il maschio qui sotto è scuro!” ha esclamato Angiolino. “Me lo sentivo !” gli ho risposto con entusiasmo. Quando sono tornata a casa ho annunciato a mio marito “Cochi è una femmina!” E lui ha sorriso. 72 73 Il pettirosso La ciotola di Tell La gita In cucina ci sono in terra, accanto alla madia, due grandi ciotole argentate, di quelle con l’impronta di una zampa di cane. In una l’acqua, nell’altra il cibo. Ero intenta a lavare i piatti quando ho sentito un cic ciac. Cochi, con le zampette sul bordo della ciotola, tuffava nell’acqua ora la testa ora la coda ora le ali agitandole. Tell era sdraiato accanto alla stufa bollente nella parte opposta della stanza. Si è alzato stancamente, come sempre, tranne quando gli si propone una passeggiata, si è avvicinato incuriosito alla sua ciotola tendendo sempre più il muso verso Cochi. L’uccellino ha sospeso il bagnetto, ha girato la testina verso di lui puntandogli contro il becco come per dirgli “Che vuoi?” Tell ha ripiegato, è tornato a sdraiarsi accanto alla stufa, Cochi ha finito di fare il bagnetto ed io che non ho perso un passaggio di questa scena ho ripreso a lavare i piatti scuotendo la testa… “incredibile!” Ho dovuto assentarmi un giorno intero per recarmi a Milano. “ …Cochi resterà per una volta tutto il giorno in gabbia così non correrà pericoli.. non vorrei che qualcuno lasciasse la porta della veranda aperta ed entrasse il gatto!” Quando nel pomeriggio ho ripreso il treno ho subito telefonato a casa. “Sono partita in questo momento.. arriverò a casa tra due ore!.. Hai dato un po’ d’insalata a Cochi?” “..Non la trovo più.. ho aperto la gabbietta intanto che mangiavo e poi è sparita!” Quanti pensieri durante il tragitto. “Sarà entrato il gatto.. sarà caduta nel secchio dell’acqua in veranda.. sarà rimasta impigliata alla tendina dell’armadio a muro…!” Ho ritelefonato “Hai visto nell’armadio a muro?.. E tra i vasi sul ripiano alto della cristalliera?” Appena tornata a casa ho posato pacchi e pacchetti sul tavolo della cucina, ho guardato in alto in basso e poi a colpo sicuro ho aperto la porta finestra dell’armadio a muro e sull’unica mensola in alto, nell’angolino destro, immobile, sveglia, l’ho vista! “Cochi!” L’ho chiusa nel cavo delle due mani e l’ho rimessa nella sua gabbietta. Era rimasta nell’armadio dalle due del pomeriggio senza mangiare né bere nascosta dalla tendina leggera a quadretti bianchi e rossi. Sono trascorsi otto mesi da quando Cochi abita con noi e ha spodestato Sissi che poverina passa e ripassa davanti alla finestra della 74 75 cucina sperando che le apra. Conosco tutti i suoi riti, tutti i suoi gusti. So che se vede che ho in mano qualcosa piomba all’improvviso per assaggiare caffè sale zucchero. Tutto l’attira. La caccia finirà a gennaio, il prossimo mese, due mesi ancora e verrà la primavera. Sono sicura che i germogli i profumi i canti i colori la convinceranno che dovrà affrontare il mondo e chi sa che un bel passerotto non si farà avanti e vincerà ogni sua ritrosia. 76 Domenica 13 dicembre Santa Lucia ha scelto lo stesso tavolinetto per lasciare i suoi regalini. Uno scatolone avvolto in una carta natalizia, un astuccio di matite colorate, un sacchetto di caramelle luccicanti e uno strano animaletto in sella ad una bici sbilenca. Giovanni si è avvicinato allo scatolone e con le sue dita sottili cercava di aprirlo delicatamente. “Che bravo, Giovanni, chi ti ha insegnato a scartare così i pacchi?” “Tu, nonna, l’anno scorso!.. Mi avevi detto che così si può usare ancora la carta!” Sorpresa e commossa l’ho abbracciato. Il regalo conteneva una tombola. 77 L’imprevisto Pregustavo di affidarla alla primavera ed invece Cochi ha scelto il giorno più sbagliato per andarsene. Un freddo pomeriggio di dicembre. In un orario inconsueto, per chi di solito è impegnato a lavorare, mi ha raggiunta in camera da pranzo Alessandro. Non aveva fretta ed abbiamo conversato. Nel riaccompagnarlo ho esclamato “La porta!!”.. L’hai lasciata aperta!” La porta della veranda era semiaperta. Cochi non era più in alto sul pilastro accanto al tubo della stufa dove sempre si acquatta fin dal primo pomeriggio ormai sazia di cibo e di voli. Non c’era in giro il gatto né sotto il portico né in cortile. Ma neanche Cochi. Eppure quante volte mentre riordinavo la casa lasciavo socchiuse le finestre. E quando mai Cochi si avventurava in stanze che non conosceva? Invano l’ho chiamata e ho fatto picchiettare il cucchiaino sul suo bicchiere. La notte ha lasciato cadere dal cielo un manto di neve che ci ha sorpresi al mattino. L’indomani, presto, quando era ancora buio, ero già in veranda con la luce accesa a scrutare sotto le travi i nidi vuoti delle rondini e ancora quell’angolino che è tutto suo accanto al tubo della stufa. Ho sparso poi in cortile pane secco frantumato e tante manciate di miscela. Sul far del mattino colombe passeri e un pettirosso sono scesi come sempre a beccare ed io da dietro la vetrata della cucina li ho 78 osservati uno ad uno. Il pettirosso con le zampette sottilissime come bastoncini, i passeri con le piume arruffate come per proteggersi di più dal freddo. Sono tre giorni che la porta della veranda resta aperta e non ascolto chi mi dice “Farai gelare le piante!” No! La porta deve restare aperta, Cochi conosce il vociare delle cocorite nella voliera e forse si orienterà. La veranda con la porta aperta aspetta Cochi. E anch’io. Tanto. C’è il gelo fuori e l’unica dispensa per gli uccellini sono gli alberi di cachi, ce n’è uno immenso nel nostro campo e ovunque qui attorno. A Cochi piacevano i cachi. Stamattina mi sono affacciata alla finestra e ho detto a Luigi di Cochi “Troverà da mangiare?” E lui che vive estate e inverno nel suo orto, e conosce gli uccelli, ha allargato la mano indicando il campo e poi il suo albero di cachi. “Il bianco della neve l’avrà disorientata!” Voglio credere che nonostante il gelo e la neve Cochi ce la farà. I passeri sono forti. Il suo istinto le insegnerà a non arrendersi. Cochi, te la caverai! Tu sei fantastica! Vi prego non chiedetemi di Cochi, mi direste “Non si piange per un passerotto!” 79 “Come è bella la neve!” Quel venerdì 18 dicembre per la prima volta ho visto Cochi al mattino volare all’impazzata tra la cucina e la camera da pranzo. Col senno del poi ho capito che Cochi si stava mettendo alla prova. Lei non era fatta per saltellare soltanto dalla credenza sul tavolo o per spostarsi lungo il bordo alto del rivestimento in legno della camera da pranzo. Ha forse avvertito il profumo della neve in arrivo, ha desiderato sperimentare la libertà, l’ebbrezza dei voli impetuosi. Ed è partita poche ore dopo attraverso lo spiraglio della porta aperta. Quando ho maturato questa certezza, non ho più sofferto. Al mattino distribuisco, con più generosità rispetto a prima, briciole di pane sotto il davanzale esterno della cucina e più in là, dove c’è la neve soffice, ho adagiato una leggera vaschetta bianca di polistirolo con miscela e spighe di panico. Da dietro la vetrata ampia della cucina resto a guardare i passeri, il pettirosso dalle zampette sottili e le due tortore che, dopo aver beccato, restano appollaiate tutta la mattina tra i rametti nudi del rampicante. Sissi, la gattina, ha ripreso le sue abitudini, raggomitolata sulla poltroncina di vimini accanto alla stufa accesa o arrotolata sul cuscino di una delle sedie e per vedere dov’è devo chinarmi e passarle in rassegna tutte e sei. Ora è sempre sazia e pigra e le poche volte che chiede di uscire saltando sul davanzale e strofinandosi contro il vetro ha solo voglia 80 di rientrare al più presto e ignora gli uccellini. Non m’illudo di riconoscere fra i tanti passeri Cochi, mi accontento di distinguere i maschi dalle femmine. Sono di più i maschi ed hanno piume folte e arruffate e sono svelti. Sveltissimi. Quanto amo i passeri! 81 La capretta smorfiosa “Forse, zia, nel prossimo compito in classe dovrò inventare una favola.” “Luca, scegli animali che conosci come protagonisti. La tua capretta ad esempio...” Ed è nata così la prima favoletta che ho suggerito a Luca sotto forma di filastrocca. 82 Un papà una capretta al suo bambino regalò. La portò in fondo al campo e così gliel’affidò “Questa è la sua casetta! Questo il suo campetto! A lei pensaci tu!” Non c’era foglia né erbetta che brucasse la smorfiosetta. Solo panini, fiocchi d’avena e biscottini. Si dimenticò di lei il quarto giorno il bambino e la capretta invano belò ed aspettò. Cinguettò un passerotto “Perché piangi? Che aspetti?” “Ho tanta fame.. Non ho niente da mangiare!” “E quest’erbetta per chi è?” Ciuffetto per ciuffetto l’erba la capretta divorò. “Grazie -disse all’amico passerottoavevo tante cose buone da mangiare e perdevo tempo ad aspettare” 83 L’osso del prosciutto Il gatto bianco Lilli e Tell son sempre assieme. Lilli che è piccina stuzzica Tell che è grande come un vitello e gli morde per gioco orecchie e coda e mantello. E Tell con una scrollatina la fa saltare e rotolare come una pallina. Lilli corre come il vento e Tell è molto più lento. Ma un giorno la zia Nerina ha portato per loro un osso di prosciutto. “Lasciamolo in giardino, lo mangeranno insieme!” Oimè Lilli l’ha sotterrato Tell l’ha subito trovato. “Chi ringhia così forte?” “Chi guaisce spaventata?” Lilli si è fatta piccola ed è scappata. Per un osso di prosciutto l’amicizia se n’è andata. Sul davanzale passeggia furtivo il gatto bianco ogni mattina. È ancora buio e Lillli non c’è. Non vuole salame né formaggini ma solo di Tell i croccantini. Non è un randagio come credevo gli piace solo girovagare e alla finestra venire a bussare. Si chiama Tigro e abita a Cantrina in una bella cascina. Se Lilli di giorno lo vede arrivare tanto abbaia che lo fa scappare. Ma quando è notte e dormono i cani contro i vetri si va a strofinare ed io di nascosto con una manciatina gli do anche una carezzina. 84 85 Sissi “Fuori il gatto!” “Attenti al gatto!” “Dov’è il gatto?” Cartelli e disegni sparsi di qua sparsi di là. Ora Cochi è volata e neppure in cortile è ritornata. Dopo otto mesi Sissi libera in casa è rientrata. Di giorno e di notte accanto alla stufa la trovo addormentata. Mangia e riposa a volontà. E giustamente qualcuno ha notato “Hai visto Sissi .. come è ingrassata?” 86 Dal giornalaio Conservavo gelosamente due quaderni grandi a righe con sulla copertina due illustrazioni tratte da una vecchia edizione del libro di Collodi. Pinocchio a letto malato tra la fatina e i dottori e sull’altra Mangiafuoco gigantesco con la sua lunga barba nera che ordina a Pulcinella e ad Arlecchino di buttare nel camino acceso Pinocchio. “Federico.. Luca.. vi regalo questi due quaderni se mi promettete di tenere un diario. Solo se scrivete imparate a scrivere. E poi - ho aggiunto - per ogni compito eseguito vi farò un piccolo regalino.” “Cosa posso regalare? - intanto pensavo tra me -.. Dei piccoli ovetti di cioccolato a Federico e quei fascicoletti che ho nell’armadio in solaio per Luca che ama la storia.” Sono andata l’indomani dal giornalaio, ho cercato qualcosa di piccolo da poter comperare senza spendere troppo e che mi durasse per più volte. “Ha delle figurine?.. Dei calciatori?.. Benissimo!.. Me ne dia quattro, grazie.. Quante in ogni bustina?.. Sei?.. Perfetto!” Mi sono ricordata che una domenica mattina Federico ed io andammo insieme dal giornalaio e indugiò a lungo davanti al calendario dell’Inter, ma costava troppo ed io deviai la sua attenzione sul primo piatto in offerta di un servizio in ceramica con disegni di Tom e Jerry. I piatti successivi non sarebbero stati più in offerta ed io gliene promisi solo un secondo che Federico solennemente si affrettò a prenotare. Ebbene, le figurine hanno funzionato. 87 Federico scende ogni sera da me, apre il suo quaderno sul tavolo e mi fa leggere la pagina scritta a stampatello senza né punti né virgole e con in fondo un bel disegno a matita. Allora io prendo le sei figurine della bustina che tengo riposta in alto sulla cornice di marmo del camino, gliele apro a ventaglio coperte e lui, dopo tanta esitazione e dopo aver cantarellato quella filastrocca che io non riesco mai a ricordare, “..A b bone.. goccia di limone.. goccia d’arancia.. oh che mal di pancia!.. Punto rosso.. punto blu.. esci fuori proprio tu.. con l’accento sulla u” ne sceglie una. “Che bello non ce l’ho!” E l’incolla sull’album. E subito per guadagnarne un’altra aggiunge “Adesso scrivo un altro racconto!” E poi ancora un terzo. Dopo aver frugato nella mente alla ricerca di un altro soggetto, girando lo sguardo pensoso di qui e di là, ieri sera si è illuminato e mi ha chiesto “Zia, posso descrivere la tua casa?” E in pochi attimi ha riempito così la pagina che gli ha fatto ottenere la terza figurina. Quando ho corretto il decimo racconto di Federico, Luca mi ha detto “Ho decorato un po’ la prima pagina del quaderno..” “Me la fai vedere?” “No..non ancora!” “Aspetterò.” L’indomani, dopo la messa festiva pomeridiana, ho invitato Luca ad accompagnarmi dal giornalaio, mi ha preceduta correndo alla luce dei lampioni lungo il marciapiede seguito da Federico e quando l’ho raggiunto ho sentito che chiedeva “Ha le battaglie del Novecento?” Il giornalaio ha infilato il braccio ed ha estratto dall’esposizione in vetrina un dvd. Stalingrado. Luca lo ha stretto in mano e mi ha ringraziata. Al ritorno in macchina era loquace come non mai. Sono sicura che da domani avrò anche il suo quaderno da correggere. La casa di mia zia Mia zia ha una casa molto antica lampadine antiche divani antichi sedie antiche tavoli antichi insomma tutto antico mi piace molto la sua casa ha anche un solaio con molte cose tutte antiche…. E Luca? Ha sfogliato distrattamente alcuni fascicoletti, ma c’erano poche illustrazioni..erano vecchiotti. “No.. grazie.” “Figurine..?” “No.. grazie!” 88 89 Raccontini di Federico I gamberetti “Zia, tu ami la vita?” mi ha chiesto a un tratto Federico mentre gli insegnavo i nomi astratti. “Sì!” ho risposto stupita della domanda così profonda. “Allora ami l’acqua!” Ed ha aggiunto “Sul mio libro infatti c’è scritto “chi ama la vita non spreca l’acqua.” Fiera di quel microsistema da tre anni sul davanzale interno della cucina, tra una sequela di primule sempre fiorite. Al posto giusto, alla luce, e con quei sette gamberetti rossi che danzavano tra i rametti della piantina acquatica che ad ogni primavera germogliava. L’acqua limpidissima. Perché poi l’ho spostato in veranda vicino alla vaschetta col pesciolino rosso? Perché mi sono detta: ora comincia a battere troppo il sole, non ci sono ancora sul davanzale esterno i gerani che ne schermano i raggi. E poi perché poveri gamberetti devono restare svegli fino a tarda sera? E convinta di agire per il loro bene ho spostato delicatamente la sfera nell’ambiente luminoso della veranda dove d’inverno albergano le piante e che spalanco solo all’arrivo delle rondini. Pochi giorni ed ho scoperto che i gamberetti erano morti. Tutti. Troppo freddo ancora. Forse avevano bisogno del caldo, dei raggi del sole, del tepore costante della cucina. Quando però ho leggermente agitato il globo, ho capito che la piantina, l’unico loro nutrimento, era morta. Era lei che aveva bisogno di caldo e di luce. L’acqua non più ossigenata è diventata opaca, stagnante, la piantina sfilacciata, sbiadita. E quegli affarini rossi grandi come formichine, ingranditi dallo 90 91 Il bambino e il cane Un pomeriggio d’inverno un bambino passeggiava in un parco giochi quando vide un cane con il binocolo. Allora andò là e lo prese ma il cane non aveva neanche il collare. Allora lo portò a casa sua, preparò la cuccia ed il mangiare ed il bere. La sua mamma lo vide e disse “Cosa ci fa un cane in questa casa!” Arrivò suo padre e disse “Cosa ci fa un cane in questa casa!” E allora il bambino disse “L’ho trovato nel parco.” Allora di notte il bambino ed il cane scapparono. Il giorno dopo la mamma e il papà li cercarono e dissero”Puoi tenere il cane!” Allora tornarono tutti a casa felici e contenti. Il soppalco Mio fratello è molto vivace allora un giorno che c’era mia nonna disse “Faccio la camera sul soppalco!” Ma prima l’avevano detto a me che avrei dormito sul soppalco. Dopo un po’ mio fratello disse “Fede, ti fai problemi se faccio la camera mia sul soppalco?” Io dissi sì. Allora dissi io “Stasera e domani sera dormi tu, ma le prossime io!” Luca disse “Va bene!” spessore del vetro, sospesi inerti nell’acqua fatta ondeggiare dalle mie mani. Cosa sono in fondo sette microscopici gamberetti rossi? Niente di niente. Ma io li conoscevo, li guardavo, li contavo, li cercavo quando si nascondevano. Erano sempre sotto i miei occhi quando armeggiavo al lavandino. Un gesto non ponderato ed ho distrutto un piccolo mondo. Un microcosmo. Mi dicono che si può rimediare. Possono ricomporlo con un’altra piantina, con altri gamberetti. Avrei tanto voluto veder germogliare ancora quella piantina. E contare e ricontare i miei sette gamberetti rossi. Ho riposto intanto la sfera lontano dalla vista sullo scaffale di una libreria dietro dei vecchi libri di scuola. Ho confidato questa pena a Cellina e lei mi ha scritto così “..anch'io ho sulla coscienza tante creature, sbagliando per inesperienza e convinta di fare del bene!.... E così, tutte le sere prima di addormentarmi dico: "Dio, perdonami per tutte le creature viventi che hanno sofferto per colpa mia”. 92 Un sabato mattina “Andiamo a trovare Luigi?” Luigi abita nella casa accanto alla nostra, ma vive dall’alba al tramonto al di là della strada, nell’orto, nel campo di granoturco, tra le viti, sotto il noce, nella baracca dove tiene gli attrezzi e il trattore. Luigi negli ultimi tempi è stato ricoverato due volte, per breve tempo, e quando tornava dall’ospedale ecco che si fermava uno e poi un altro poi altri lì, sulla piazzuola di ghiaia. E parlavano e scherzavano. “Luigi.. quanti amici hai!” gli dicevo dalla finestra. “Sono un uccello da richiamo” mi rispondeva allargando le braccia e stringendosi nelle spalle sorridendo. Un mese fa, però, è accaduto l’imprevisto. Alle due di notte abbiamo sentito sopraggiungere un’autoambulanza. Dopo una degenza in ospedale ora Luigi è in un centro di riabilitazione. Siamo andati a trovarlo e ci siamo seduti, nella sala da pranzo ancora semivuota, intorno ad un tavolino, la sorella Albina, mio marito, Luigi sulla sedia a rotelle ed io. “Luigi, ti racconto di Cantrina.. Giusi ha avuto un maschietto.. si chiama Riccardo. E l’ortolano? Ricordi che mentre ci avvicinavamo al furgoncino mi dicevi sempre “Lei sì che può spendere!” Ed io ti rispondevo ridendo “Non è vero Luigi..!” E intanto l’ortolano mi aggiungeva nel sacchetto due peperoni un po’ passati dicendomi sottovoce “Questi glieli regalo!” L’ortolano mi conosce. Io non voglio la verdura nelle buste già 93 pulita e non la ispeziono per trovarne i difetti. Siamo amici. E la volta dopo gli dico scuotendo la testa “Guarda che ho dovuto buttare quei due cestini di pomodorini che mi hai venduto a metà prezzo!” E’ bello però sentirlo arrivare puntuale e annunciato da lunghe strimpellate di clacson e ripetere il rito del lunedì e giovedì. Affacciarsi ed esplorare le varie cassette colorate di arance pomodori insalata cipolle patate carote. E poi ho raccontato che ieri mattina ero andata in solaio coi bambini che volevano curiosarci dentro. Un momento magico quello. Si sale in fila indiana la piccola scaletta di legno cigolante, si fa scorrere la botola e si entra in uno stanzone pieno di casse scaffali ragnatele. Ed abbiamo trovato un uccello morto. Da dove sarà entrato? Le finestre e l’abbaino erano chiusi. Che bell’uccello! Grande come un merlo, nero, ma con sfumature viola azzurre verdi. L’ho messo in un cestino e l’avrei portato a te, Luigi. Ho incontrato Franco e mi ha detto “E’ uno storno!” “Lo vuoi tu?” gli ho chiesto. “E che me ne faccio?” Allora me lo sono riportato a casa nel cestino. Mi sono girata. Dietro l’ultimo tavolino alle nostre spalle un signore sulla sedia a rotelle era intervenuto nel racconto. Mi sono alzata e l’ho spinto vicino a noi e l’ho coinvolto rivolgendomi soprattutto a lui. “Sa che c’è un uomo anziano a Cantrina che viene a raccogliere le pannocchie di Luigi e poi si allontana zitto zitto per tornarsene a casa con una pannocchia infilata dietro nella cintura del pantalone come un roncaì e una nella tasca sinistra e una nella tasca destra e tre o quattro in mano. E poi la figlia le riporta a Luigi. Un amico carissimo Luciano a cui gli anni hanno giocato un brutto scherzo. Tutti gli vogliono un gran bene ed io ho immortalato in una foto il sorriso di Luigi che lo seguiva mentre si allontanava lentamente appoggiato al suo inseparabile bastone. Piccolo di statura, robusto, con una voce possente da basso aveva esordito anche nel duomo di Brescia davanti al Vescovo. “E lei come si chiama?” ho chiesto al nostro ospite. “Giuseppe!” “Ieri era San Giuseppe.. Tanti auguri!” “Da dove viene?” “Da Flero... Sono due anni che torno qui per la riabilitazione..” E poi ci ha parlato del suo cane lupo e delle tre ochette bianche che ha comperato per i nipotini. “..sono diventate altissime e altro che cane da guardia, guai a chi si avvicina alla nostra casa!” E Albina ha voluto anche lei parlare di animali ed ha raccontato di aver visto un trattore che arava in mezzo a un’infinità di gabbiani!“ Li ho visti anch’io!- ho esclamato- erano nel campo al Bettoletto subito dopo il ponte..ho scritto anche una poesia!” “Una poesia? - ha esclamato Giuseppe - mi piacerebbe leggerla!” Ci siamo lasciati calorosamente e fraternamente. Tornata a casa ho stampato la poesia dei gabbiani e Giuseppe la sera stessa l’ha ricevuta. 94 95 “Zia.. zia.. - è entrato spalancando la porta della cucina Federico papà vuole l’alcol e i fiammiferi.. presto.. ce li hai?” Un groviglio incredibile di gattole cadute dal pino. Con la scopa e la paletta le ho poi raccolte e chiuse in un sacchetto di plastica che ho infilato nel sacco della spazzatura. L’ho ben sigillato e sistemato momentaneamente sul tetto della macchina. Poi ho preso il sacchetto già pronto del vetro e delle lattine ed anche quello sulla capote. Era ormai l’ora in cui avevo promesso ai bambini di portarli con me a Molinetto. La Messa.. dura solo venti minuti. E poi a vedere le galline in una cascina e il cagnolino da una vecchietta buona e le serre da un amico che ci regala l’erbetta per il pesciolino rosso. “Federico.. Giovanni.. sono pronta.. andiamo!” Siamo saliti in macchina e nemmeno il tempo di arrivare al cancello in fondo alla stradina e già vedevo nello specchietto manine che s’incrociavano e felpe che volavano e il vetro dei finestrini scorrere. “C’è aria.. chiudeteli.. non vi sporgete.. è pericoloso”. E così ho superato i cassonetti intenta a distrarre i bambini con i cavalli che pascolavano poco lontano. Giunti al ponte del Chiese c’erano macchine in coda per dei lavori e nello specchietto retrovisore ho riconosciuto un signore. “Salutatelo, bambini!” tanto per occuparli. E lui intento al cellulare ci ha ricambiato con un gesto frettoloso. Finalmente siamo ripartiti. Due chilometri di provinciale tutta retti- linea e ad un tratto ho sentito un fragore tremendo. Come uno sparo. Impossibilitata a fermarmi ho visto frantumarsi sull’asfalto vetri e lattine. “La spazzatura!” Angosciata sono arrivata a destinazione. Il pensiero sempre ai vetri sulla strada. “..e se qualcuno si fa male.. se si bucano le gomme..” Il sacerdote ci è venuto incontro nel corridoio. Federico l’ha guardato di sfuggita e mi ha sussurrato “E’ diverso da quando si traveste!” Dopo la Messa siamo ripartiti subito. Di solito ci fermiamo da don Felice che offre l’acqua ai bambini e permette a Federico di occupare la sua poltrona.. telecomandata. Abbiamo percorso la stessa strada, quindi niente galline né cagnolino né erbetta per il pesciolino. Ho visto brillare sulla parte destra non asfaltata della strada tanti frammenti di vetro ed ho riconosciuto la borsina azzurra della spazzatura sulla ghiaia lungo la recinzione di una elegante villa. Ma ecco che ho riconosciuto in mezzo alla strada, sulla linea bianca continua, il pannolino di Francesco che ieri con la mamma era venuto a trovarmi. Ho posteggiato. “Aspettatemi bambini.. non vi muovete.. vi chiudo dentro perché qui è pericoloso.. devo attraversare la strada!” Ho lasciato passare la corriera e le macchine ed ho recuperato il pannolino ancora infagottato. Poi ho visto aldilà della strada il barattolo del caffè.. la lattina del tonno.. il pelapatate rotto. Li ho raccolti e di corsa alla macchina e a casa. Più tardi, libera dall’impegno dei bambini, ho telefonato alla mia amica Anna. “Mi accompagneresti.. non ho il coraggio di andare da sola.. vorrei andare a pulire!” “Aspettiamo quando si fa un po’ scuro!” 96 97 “Le gattole” (le processionarie del pino) Sono passata a prenderla con in macchina la scopa e il porta sporco e lei mi aspettava con la scopa la paletta col manico lungo e un sacco verde.. gigantesco. Abbiamo posteggiato poco prima del cancello della villa. I vetri frantumati brillavano ai fari delle macchine. Anna scopava ed io camminando camminando ho percorso almeno duecento metri ed ho raccolto di tutto.. pacchetti di sigarette.. carte.. stracci. Niente di mio se non la piccola bustina verde che era prima di lacerarsi piena soprattutto della cenere della stufa. Il sacchetto con le gattole?.. Introvabile. Quando Anna mi ha raggiunto con la mia macchina mi ha detto che una signora si è affacciata al cancello e compiaciuta ha esclamato “Che bello.. il Comune ha mandato a pulire la strada!” INDICE 98 Prentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5 Dov’è Giovanni? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .56 Una santa Lucia complicata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7 L’ascensore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58 A Montichiari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11 La pianta di Giò . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 La befana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .14 Il suo albero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .61 Tell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .15 Il diario di Federico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64 Una sorpresa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .17 Un tentativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 Il pallone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .19 Primo freddo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 Il coltello gentile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .20 Il pettirosso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 Una bambina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .21 La ciotola di Tell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74 La corrente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .22 La gita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 C’è un bambino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 Domenica 13 dicembre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 Ho caldo..posso? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 L’imprevisto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78 Quel dito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 “Quanto è bella la neve!” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 Il papavero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 La capretta smorfiosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 Una sorpresa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .32 L’osso del prosciutto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 Il cagnolino e il cassonetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 Il gatto bianco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 Briciole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 Sissi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 Cochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 Dal giornalaio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 Cellina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 I raccontini di Federico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 Il gatto bianco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 I gamberetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 Agosto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 Un sabato mattina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 Spillo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 Le gattole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 Aldo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .52