MARTEDÌ 16 MARZO 2010 L’ECO DI BERGAMO 43 ➔ Spettacoli L’omaggio della Sony alla cantante in attesa del nuovo album di inediti che esce a maggio Mina, per i settant’anni 14 album in vinile Mina in una foto degli anni Sessanta ■ In occasione del settantesimo compleanno di Mina, Sony Music pubblica in vinile gli ultimi album della più grande cantante italiana. Sono così disponibili le incisioni di Mina comprese tra Canarino mannaro del ’94 e l’ultimo album Facile dell’ottobre 2009, per un totale di quattordici titoli, di cui due doppi. Per la prima volta tutti questi album, alcuni dei quali mai pubblicati in vinile in precedenza, sono nei negozi in versione picture disc con splendide riproduzioni delle copertine originali. Questi i titoli degli ellepi: Canarino Mannaro (doppio), Pappa di latte (doppio), Cremona, Napoli, Leggera, Olio, Mina n. 0, Sconcerto, Veleno, Napoli secondo estratto, Bula Bula, L’allieva, Todavìa, Facile. Di Mina, che compirà i 70 anni il 25 marzo, uscità anche un nuovo album di inediti il prossimo 14 maggio. Intanto la cantante si regala anche una reinterpretazione di una delle più celebri canzoni italiane, Nel blu dipinto di blu. La sua voce accompagnerà il nuovo spot della Barilla. La nota canzone musicata da Domenico Modugno, con testi di Franco Migliacci, presentata al Festival di Sanremo del 1958 dallo stesso Modugno e da Johnny Dorelli e vincitrice di quella edizione, era stata già riproposta da Mina nel 2001 nel cd Sconcerto, omaggio alle canzoni di «Mister Volare». Il video della riedizione del brano per il nuovo spot della Barilla è stato lanciato su Internet dal sito style.it con una galleria di foto, video, disegni di Gianni Ronco che corredano la rubrica della posta di Mina su Vanity Fair, il link al suo storico fan club e altro ancora. Alla cantante ha fatto gli auguri a modo suo il collega e amico Adriano Celentano, attraverso un’intervista rilasciata al quotidiano Repubblica. Per il Molleggiato, Mina è «una bomba che non si può disinnescare ed esplode quando meno te lo aspetti». Nell’intervista, Celentano racconta del suo primo incontro con Mina, quando fu colpito dalla «eccezionale musicalità» di quella ragazza, poi diventata un’amica, ma anche rivale. Lavorarono insieme al film di Lucio Fulci Urlatori alla sbarra: era il 1960 e iniziò «un’amicizia che non avrà fine». Poi quando «capitava che nelle vendite dei dischi lei era al primo posto e io al secondo avrei voluto darle tanti calci negli stinchi...». Ma poi doveva ammettere che «era stata più forte». Quando Mina ha deciso di sparire dalle scene Celentano ha avuto, come molti, «un senso di abbandono. Quasi come se lei non portasse via solo se stessa, ma assieme a lei tutto un mondo musicale, fatto di confronti, di scherzi, intere nottate a giocare a poker, coadiuvati da un’energia che caricava l’un l’altro e chiunque ci avvicinava». Poi la decisione di fare un disco insieme, Mina Celentano, per ritrovare questo mondo. E oggi le dice: «Buon compleanno sorella! Mi sa che prima o poi faremo ancora un bel casino». Mina in una foto «rubata» nel 2006 Arrivano i gatti che hanno cambiato il teatro ■ Ci sono molti motivi per cui il Cats della Compagnia della Rancia, in scena stasera e domani (ore 21) al Creberg Teatro Bergamo, appare come uno dei titoli più attesi nella stagione. E tutti questi motivi rinviano essenzialmente ad uno solo: questa è la prima edizione italiana (e in lingua italiana) del musical con cui Andrew Lloyd Webber, trent’anni fa, cambiò il profilo stesso del genere. Per questo abbiamo intervistato Saverio Marconi, fondatore della Rancia e regista (in associazione con Daniel Ezralow, che ha curato le coreografie) di questo allestimento. Un allestimento che – a differenza del Cats in lingua originale approdato per la prima volta in Italia cinque anni fa, grazie proprio alle Officine Smeraldo di Gianmario Longoni – presenta diversi aspetti nuovi. Questo Cats segna un nuovo salto di qualità, per la sua compagnia come per il mercato italiano. È d’accordo? «Completamente. Per noi della Rancia è una tappa analoga a quando scegliemmo di tradurre in italiano i musical, vent’anni fa, ai tempi de La piccola bottega degli orrori. O come quando producemmo il primo musical italiano, Fregoli. O il Grease con Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia, che ha definitivamente imposto in Italia il genere. O, ancora, come quando mettemmo in cantiere Pinocchio: un musical italiano con standard produttivi internazionali». Come vi siete mossi? «Abbiamo seguito fedelmente musica e libretto, cercando per il resto di darne una lettura personale. Del resto, questa è stata anche una richiesta esplicita di Anfiteatro Musica, per conto di The Really Useful Group, quando ci ha concesso i diritti. Non dovevamo riprodurre la regia originaria, ma cercare una via autonoma». Arriva a Bergamo «Cats» della Compagnia della Rancia E come? «Abbiamo lavorato molto sulla recitazione e i personaggi. E poi abbiamo rielaborato costumi e coreografie, individuando uno spazio autonomo tra la sostanza dello spettacolo e la sua tradizione interpretativa». È un approccio raro, nel campo del musical. «Purtroppo. Vede, in Italia si dice “musical” come si dice “opera”, nel senso che finiamo per dimenticarci che si tratta prima di tutto di teatro. Per questo preferisco parlare di teatro musicale: troppo spesso perdiamo di vista il dato fondamentale. Questo è teatro. E vale nella misura in cui riesce a vivere in scena». Nel caso dell’opera, che lei ultimamente frequenta come regista, il moti- vo risiede nello speciale valore della partitura musicale. «È vero, ma ciò non toglie che anche i giganti del melodramma, come Verdi e Puccini, ragionassero prima di tutto come uomini di teatro. Se non si tiene conto di questo elemento, non si riesce neppure a comprenderne le scelte. E, di conseguenza, non si riesce a trasmettere al pub- blico di oggi lo specifico valore di uno spettacolo. Nel caso dell’opera, è un problema reso evidente dall’età di un repertorio plurisecolare. Ma il problema esiste per tutte le forme di teatro musicale, ed è un problema soprattutto italiano. Noi viviamo a compartimenti stagni». Non trova che sia anche un problema legato alla crisi? «Non più di tanto. Certo, la crisi toglie a produttori e artisti la voglia di rischiare anche solo un po’, discostandosi da scelte convenzionali e di routine». Il vostro Cats sembra peraltro non risentirne. È questa la ricetta anticrisi: titoli di richiamo e standard produttivi alti? «Magari fosse così semplice! Sono d’accordo con lei solo sul fatto che oggi sembri non esserci più spazio per spettacoli originali. Le produzioni di successo, sono tutte tratte da opere preesistenti: è un fenomeno mondiale, che evidentemente caratterizza questo particolare momento storico. Ma non è vero, purtroppo, che basti alzare gli standard produttivi per attirare il pubblico: se mi guardo attorno, vedo chiudere lavori anche molto ben fatti, mentre spettacoli mediocri hanno successo. Evidentemente, è un momento di difficile interpretazione, anche estetica». Cosa intende? «È difficile anche solo capire cosa sia di buono o cattivo gusto. Prenda un film come Avatar: qualche anno fa l’avremmo in gran parte trovato un’americanata, mentre oggi fissa dei nuovi modelli estetici. E noi? Cosa facciamo noi? La questione per noi italiani è particolarmente forte, perché dobbiamo amministrare una grandiosa tradizione spettacolare della quale, tuttavia, sembriamo aver smarrito anche solo i codici per comprenderla appieno». L A SCHEDA La Compagnia della Rancia porta a Bergamo «Cats», prima versione italiana del musical di Andrew Lloyd Webber Il regista Saverio Marconi: «Abbiamo seguito fedelmente musica e libretto, per il resto è una rilettura personale» IL RE DEI RECORD TRENT’ANNI FA LA SCOMMESSA «Cats», ovvero il calabrone che non doveva volare. Pochi avrebbero scommesso sulla creatura di Andrew Lloyd Webber, 30 anni fa. Sembrava una sfida impossibile: una favola poetica con animali su redenzione e salvezza, vita e rinascita, colpa e perdono, nostalgia e senso dell’esistenza,con la regia (e alcune liriche) di Trevor Nunn, già allora uno dei registi britannici più importanti, dedito al repertorio shakespeariano come ai più famosi musical. Per giunta, tutto questo discendeva da «Old Possum’s Book of Practical Cats» e altri testi di Thomas Stearns Eliot, uno dei più grandi poeti del ‘900. UN CLAMOROSO SUCCESSO Era troppo, per il pubblico «pop» del musical? No, perché lo spettacolo debuttò l’11 maggio 1981 al New London Theater di Londra e fu un clamoroso successo: 8.949 repliche consecutive a Londra (record battuto nel 2006 da «Les Misérables», pure diretto da Nunn), 7.485 a Broadway (altro record battuto solo quattro anni fa, da «The Phantom of the Opera» dello stesso Lloyd Webber),due Oliver Award a Londra nell’82,otto Tony Award a New York l’anno dopo,un tour in 26 nazioni e 300 città, versioni in 11 lingue compreso (solo ora) l’italiano. IN CERCA DI UNA SECONDA OPPORTUNITÀ La trama è nota: una notte all’anno, i gatti del quartiere di Jellicle si ritrovano intorno al saggio Old Deuteronomy per scegliere chi, tra loro, sarà ammesso al paradiso e potrà rinascere. Dopo molte traversie, tra cui il rapimento di Old Deuteronomy ad opera del malvagio Macavity, sarà prescelta la reietta Grizabella. Per tutti questi motivi l’edizione italiana – la prima – della Compagnia della Rancia segna un nuovo passo verso l’assimilazione nel nostro Paese del musical contemporaneo. Alla versione letteraria hanno pensato Michele Renzullo e Franco Travaglio, che si è dedicato alle liriche. Francesco Martini Coveri ha rielaborato i costumi originali,a partire dalle forme feline. Zaira De Vincentiis ha rivisto il trucco e le maschere. L’orchestra (dal vivo) è formata da sedici elementi diretti da Vincenzo Latorre. È uno sforzo con pochi eguali nel nostro teatro, a cui collaborano altri ventidue attori. In scena oggi e domani alle 21, euro 55/35. Info: www.teatrocreberg.it, tel. 035-343251. Pier Giorgio Nosari Il vincitore del «Grande fratello» portato in ospedale «Tutto l’amore del mondo» racconta quanto sia importante viaggiare Marin si sente male in diretta Vaporidis produttore del suo nuovo film Mauro Marin ■ Mauro Marin, il salumiere vincitore del Grande Fratello 10, è stato portato all’ospedale San Raffaele di Milano per un forte stato di stress. Marin si è sentito male mentre stava rispondendo alle domande di una videochat di Mediaset che è stata interrotta. Durante la videochat Marin si è mostrato sconnesso e affannato nell’esposizione. Per questo l’intervista è stata interrotta a cinque minuti dall’inizio, dopo il tentativo iniziale – da parte della conduttrice – di soprassedere sul fatto che Mauro si fosse «incriccato» (testuali parole dell’intervistatrice ). «Ero solo un po’ stanco», ha fatto sapere in seguito Mauro, che ha aggiunto che oggi andrà a Pomeriggio cinque «per rassicurare i miei fan». «È da ieri che Mauro non sta- va bene – spiega il padre di Mauro Marin, Danilo, che gestisce la salumeria di famiglia a Castelfranco –. Ha anche preso delle gocce per dormire. L’ho visto venerdì e sabato e mi è parso stressatissimo. Ora sono molto preoccupato, spero che i medici facciano tutti gli accertamenti per valutare le condizioni di salute di Mauro». In rete i fan di Mauro Marin puntano il dito contro Mediaset: «Mi auguro che adesso tutta la violenza psicologica subita da Mauro, tutto l’attacco mediatico faccia un po’ pensare», si legge in un messaggio. E ancora: «Visto a cosa sono pronti per fare ascolti, mandare un filmato del genere, si dovrebbero vergognare». Alle 18,30 di ieri sulla pagina di Marin su Facebook la bacheca è stata chiusa. Nicolas Vaporidis e Anna Caterina Morariu ■ Tutto l’amore del mondo, opera prima di Riccardo Grandi con Nicolas Vaporidis, nel doppio ruolo di protagonista e produttore esecutivo, è portatore di due messaggi. Quello indiretto del ministro Giorgia Meloni che ha presentato ieri un corto, Autovelox, contro le stragi del sabato sera, che sarà proiettato insieme alla pellicola, e quello diretto sull’importanza del viaggio per i giovani sintetizzato da Vaporidis con la frase: «A 18 anni dovrebbe essere obbligatorio fare un viaggio». Il film che sarà nelle sale da venerdì in 300 copie distribuite da Medusa racconta infatti di Matteo (Vaporidis), che ha un compito apparentemente facile, quello di scrivere una guida, Tutto l’amore d’Europa, per le edizioni Magic Planet Books, casa editrice diretta dalla tiranni- ca direttrice Teodorani (Monica Scattini). Insieme a lui, per raccontare i luoghi romantici del vecchio continente, il fotografo più schizzato del mondo, Ruben (Alessandro Roja). A loro due si uniranno, per fortuna di entrambi, due ragazze, Valentina (Myriam Catania), innamorata di Ruben, e la sua amica ricca borghese, laureata in legge e promessa sposa, Anna (Ana Caterina Morariu). In realtà Matteo accetta questo lavoro poco adatto a lui del tutto privo di romanticismo solo per necessita, per soldi, ma alla fine la fredda Anna si rivelerà, durante il viaggio attraverso l’Europa (Barcellona, Parigi, Londra), capace di cambiare se stessa e il suo stesso destino di grigio futuro avvocato nello studio del padre (Enrico Montesano). Nel film, infine, anche un cameo di Sergio Rubini nel ruo- lo del padre scapestrato e assente di Vaporidis. «Il viaggio – spiega proprio Vaporidis – è qualcosa di personale, intimo. Un viaggiatore rispetto a uno che va in vacanza è qualcuno che condivide qualcosa con altri che forse non vedrà mai più. Io e Anna siamo, ad esempio, due persone molto diverse tra loro, ma alla fine anche la donna più quadrata e per giunta promessa sposa riesce a tirar fuori un’altra se stessa. Così un viaggio ti può migliorare e dovrebbe essere obbligatorio ai 18 anni». E proprio su questa linea conclude la Morariu: «A una proiezione per studenti di questo film, una cosa molto bella me l’ha detta proprio una professoressa spiegando che Tutto l’amore del mondo poteva piacere anche a una "diversamente giovane" come appunto era lei».