N° 2 - Gennaio 2015
Editoriale
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Il progetto
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Grandi gruppi all’assalto
delle officine:
è ora di fare sistema
Si rialza il vento,
cazzate la randa
L’arte di motivare
i collaboratori.
E non solo…
di Nicola Giardino
di Renzo Servadei
di Franco Marzo
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Il TFR e la legge di stabilità
Arriva la dichiarazione dei
redditi precompilata: luci e
ombre del nuovo sistema
Gli effetti dei campi
elettromagnetici in auto
di Matteo Prioschi
di Nicola Amoruso
di Aldo Ferrara
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Gli incentivi ci sono
ma la disoccupazione
è sempre alta
Obbligo di annotazione
sul libretto per chi utilizza
il veicolo senza esserne
intestatario
Come stanno cambiando
le reti in Italia
di Matteo Prioschi
di Maurizio Caprino
di Luca Montagner
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Come cambia la
comunicazione dei dealer
La riforma del catasto:
cosa cambierà nelle
tassazioni
Paolo Daniele:
“Nuovi modelli e rete
ad alta qualifica per il
mercato Business”
di Marco Di Pietro
di Saverio Fossati
di Marco Di pietro
EDITORIALE
Grandi gruppi all’assalto delle officine:
è ora di fare sistema
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Nicola Giardino
Direttore Editoriale
Mentre perdura la spaccatura nel post vendita dell’auto, diviso da un inutile conflitto tra
officine autorizzate e indipendenti, la redditività di entrambe, se non addirittura la loro
sopravvivenza, viene seriamente compromessa dalla clientela speciale costituita da compagnie
di assicurazioni, società di noleggio e servizi di soccorso stradale. Per contenere i costi delle
riparazioni, le imprese citate infatti impongono alle suddette officine, con sempre maggior
insistenza, condizioni e tariffe al limite della tolleranza.
Il fenomeno risale a qualche anno fa, quando alcune compagnie di assicurazioni, a caccia di
guadagni accessori sulle polizze RCA, cominciarono a proporre ai carrozzieri delle loro reti
convenzionate, unitamente al rimborso diretto della riparazione e a uno sconto di manodopera,
la fornitura dei ricambi, allo scopo di intascarne il margine. Seguì un putiferio. Scesero in campo
anche le associazioni di categoria a difesa dei propri iscritti. Furono organizzati convegni e
meeting infuocati. Nacquero agguerriti comitati di coordinamento. Non servì a nulla, perché
a lungo andare il fronte di difesa si sfaldò. Frastornati dall’estenuante trattativa e ingolositi
dal consistente potenziale di lavoro rappresentato dalle compagnie proponenti, obtorto collo,
i carrozzieri si arresero. Un clamoroso autogol che segnò l’inizio dei problemi odierni. Per la
cronaca, nella vicina Francia analoghe richieste furono, al loro sorgere, duramente respinte in
virtù della granitica unità della locale categoria dei carrozzieri.
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Aperta la breccia, com’era prevedibile, anche le società di noleggio a lungo termine, almeno
le principali, si sono subito messe in scia, adottando per la manutenzione e la riparazione
dei veicoli della propria flotta presso la rete di officine convenzionate la fornitura diretta dei
ricambi a scopo puramente opportunistico.
Da ultimo, è notizia di questi giorni, una delle maggiori società di soccorso stradale ha annunciato
di voler apportare nei confronti della propria rete di officine una serie di modifiche contrattuali
al fine dichiarato di migliorare il servizio e ridurre i costi di esercizio. In breve viene richiesta,
fra l’altro, una tariffa oraria di manodopera agevolata di 26 euro, uno sconto del 40% sui
ricambi delle riparazioni e la clausola di esclusiva ovvero l’impossibilità di lavorare anche per
altre imprese che forniscono analoghi servizi. Tralasciando i dettagli, perché la trattativa non
è ancora conclusa, se confermate, le condizioni imposte ci sembrano contraddittorie perché
solitamente il passaggio alla clausola di esclusiva nei contratti è compensata da un aumento di
remunerazione e non il contrario.
Nutriamo nei confronti delle autofficine troppo rispetto per restare inermi. Un mondo che
in Italia produce un fatturato che i più autorevoli indicatori specializzati valutano in oltre 20
miliardi di euro, con ben 350 mila addetti, oltre 6 mila aziende di distribuzione ricambi, oltre
10 mila officine autorizzate, quasi 20 mila officine indipendenti e oltre 5 mila carrozzieri. Un
mercato complesso perché frammentato, forse eccessivamente polverizzato e poco aperto
a comunicare all’interno e all’esterno, ma un pilastro della nostra economia. Forse dovrebbe
imparare ad alzare la testa e combattere con maggior convinzione le lotte di frontiera.
È comprensibile che i grandi clienti come assicurazioni, flotte e soccorso stradale chiedano
sconti e condizioni di pagamento agevolato. Farsi però metter le mani nelle tasche è ben altra
cosa. Se per un verso è legittimo fornire al riparatore una lampadina a incandescenza (sempre
più rare) perché la sostituisca al cliente, non è ammissibile che la compagnia di assicurazioni, il
noleggiatore o chiunque altro invii la vettura all’officina convenzionata affinché accerti il guasto
e identifichi i ricambi necessari per la riparazione, per poi comunicarne la lista e attendere la
fornitura. Lo è ancor di meno se, per di più, s’impone una tariffa di manodopera scontata. In
Italia la manodopera è la più conveniente dell’intera Europa occidentale. Le ultime rilevazioni
IACDP disponibili calcolano, al netto d’imposta, 28 euro per gli indipendenti e 39 per gli
autorizzati. Altra musica in Francia dove le tariffe per gli indipendenti sono più alte del doppio,
o in Germania dove eccedono del 128%. Anche gli spagnoli sono più cari del 25%. Se si sottrae
al riparatore tutto o parzialmente il guadagno dei ricambi, la modesta tariffa di manodopera
è insufficiente a retribuire i costi aziendali del riparatore. Se poi, addirittura, si aggiunge la
pretesa di una retribuzione del lavoro ulteriormente scontata, la perdita è assicurata. Almeno
dovrebbero essere riconosciuti i tempi di diagnosi e della individuazione dei pezzi di ricambi
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con indicazione dei numeri di catalogo. La professionalità costa in termini di impianti e di
aggiornamento tecnico del personale.
Auspichiamo nell’interesse di tutti che l’intera materia sia chiarita e suggeriamo come sede
di discussione l’imminente AutopromotecEdu, il contenitore plurimediatico di Autopromotec,
che si terrà a Bologna dal 20 al 24 maggio prossimo.
Associazione Italiana Costruttori Autoattrezzature
Italian Garage Equipment Manufacturers Association
Tecnologia & Qualità
la Strada dell’Innovazione
www.asso-aica.it
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IL PROGETTO
Si rialza il vento, cazzate la randa
/////
Renzo Servadei
Direttore Responsabile
Il 2015 potrà essere l’anno della inversione di tendenza per quanto riguarda la
crescita economica. E gli espositori di Autopromotec sapranno approfittarne.
Lo scrittore inglese Aldous Huxley ci consegna un aforisma che in questi momenti di difficile
congiuntura economica ci deve fare riflettere: Il fatto che gli uomini non imparino molto dalla
storia è la lezione più importante che la storia ci insegna.
Quindi, quando siamo in momenti di espansione ci comportiamo come se la crescita durasse
all’infinito, mentre al contrario in fasi come quella attuale non riusciamo a vedere, e men che
meno pesare, i segnali positivi. Gli analisti non sempre aiutano perché spesso effettuano previsioni
unendosi al coro: se si avverano bene, altrimenti possono dire che hanno sbagliato tutti.
Se ci rechiamo in una biblioteca e sfogliamo le pagine economiche di prima della crisi del
settembre 2008, vediamo come solo pochissimi avessero previsto che gli eccessi della finanza
avrebbero portato alla catastrofe, anche se a ben vedere i segnali c’erano tutti.
Ora la lunghezza della crisi ci impedisce di cogliere alcuni oggettivi elementi favorevoli che ci
dovrebbero spingere a riprendere la fiducia di essere alla fine del tunnel.
Sappiamo che esiste una stretta correlazione tra incremento del prezzo del petrolio e crisi
economica. Dal 1973 in poi, tutti gli shock petroliferi hanno determinato una crisi economica,
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anche se al contrario non è provata una diretta correlazione tra il calo dei prezzi del petrolio e
la ripresa economica. Molteplici infatti sono i fattori che la determinano. Resta tuttavia il fatto
che, facendo il caso dell’Italia, secondo dati dell’Unione petrolifera la bolletta energetica del
2014 è stata pari a 45 miliardi di Euro con un calo di 11 miliardi rispetto all’anno precedente.
Scorporando il dato, la sola bolletta petrolifera è stata nel 2014 di 25 miliardi di euro con un calo di
5, 4 miliardi e se nel 2015 il greggio si manterrà ad una media di 65 dollari al barile (attualmente
siamo a 47) si potrà ulteriormente scendere a 17,1 miliardi con ulteriori 7,9 miliardi di risparmi.
Questo lascerà più soldi a tutti noi per i consumi, e comprimerà ulteriormente l’inflazione
dando respiro alla possibilità della BCE di continuare il suo programma di quantitative easing.
Sul fronte dell’Euro siamo passati da un cambio irrealistico verso il dollaro di 1,40 a circa,
mentre scriviamo queste note, 1,12. Anche in questo caso per paesi a vocazione manifatturiera
con una forte componente export il nuovo e più realistico cambio non può che dare ossigeno
alle imprese. Oltre a ciò, gli Stati Uniti hanno ormai imboccato stabilmente la strada della
ripresa, mentre altre aree del mondo non l'hanno mai abbandonata.
Pur non volendo sminuire i problemi strutturali che ancora affliggono le nostre economie, non
possiamo negare che esistono oggettivi elementi nuovi. Anche perché sarà anche vero che
alcuni temono il ritorno dell’inflazione come ricordo del fenomeno iperinflattivo dei tempi della
repubblica di Weimar, ma siamo più propensi a pensare che siano stati i finanzieri a non volere
un euro troppo basso. Il fatto che nel braccio di ferro questa volta abbiano prevalso le ragioni
dell’industria e non quelle della finanza non può che fare piacere a chi, come noi, è espressione
del mondo industriale.
Questi ed altri fattori mi inducono a ritenere, e lo scrivo prima in modo da potere essere
smentito da tutti, che se non vi saranno cataclismi al momento non prevedibili, il 2015
potrebbe essere l’anno dell’inversione di tendenza. E nel settore dell’aftermarket
automobilistico Autopromotec sarà proprio al centro di questo fenomeno espansivo.
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MANAGEMENT
L’arte di motivare i collaboratori.
E non solo…
/////
Franco Marzo
Smart management
Le stesse cose si possono fare in molti modi e la relazione con il cliente è
diventata fondamentale. Si può fare la cosa giusta e scontentare il cliente,
oppure non fare tutto ciò che si dovrebbe e soddisfarlo comunque: un
collaboratore motivato motiva il cliente mentre uno demotivato lo demotiva.
Ecco perché la motivazione è un’arte che merita di essere conosciuta ed
approfondita.
Motivare i collaboratori è diventato più difficile. Negli ultimi decenni è avvenuto un profondo
mutamento sia delle persone, sia di ciò che sono chiamate a fare nei luoghi di lavoro. Sempre più
spesso abbiamo a che fare con persone istruite, informate, esigenti che non si accontentano più
di eseguire “un compito”, vogliono capire il perché, incidere sul come, partecipare al risultato.
Sono persone consapevoli del loro sapere e della loro importanza, sanno che possono fare la
differenza e desiderano farla.
Anche il lavoro è cambiato. Le stesse cose si possono fare in molti modi e la relazione con
il cliente è diventata fondamentale. Per assurdo si può fare la cosa giusta e scontentare il
cliente, oppure non fare tutto ciò che si dovrebbe e soddisfarlo comunque. Un collaboratore
motivato motiva il cliente mentre uno demotivato lo demotiva. È un ciclo virtuoso o vizioso
che riguarda ogni tipo di relazione da quella capo-collaboratore a quella collaboratore-cliente
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(interno od esterno che sia).
Motivare è diventata un’arte sempre più raffinata. Ognuno è fatto a modo suo, non esistono
più categorie di persone. Vale per i collaboratori ma allo stesso modo per i clienti. L’idea del
marketing relazionale, ad esempio, del “one to one marketing”, si basa sul principio che non
è più possibile catalogare i clienti in segmenti, fasce socio-demografiche, cluster economici o
culturali: ognuno è diverso dall’altro e va trattato per quello che è.
Ma capire la natura umana è tra le cose più difficili e per riuscirci occorrono collaboratori
sensibili, preparati, attenti, responsabilizzati (per non usare parole inglesi come committed o
engaged), in una parola sola: motivati.
Motivare deriva dal latino motus – movimento. Una persona motivata è una persona che si
muove, dinamica, attiva, proattiva, che prende iniziative e di conseguenza rischi. Se le persone
fossero biglie basterebbe una spinta per farle muovere. Per fortuna non è così e comunque,
anche se così fosse, saremmo condannati a spingerle in continuazione e questo non è possibile.
Occorre quindi trovare gli stimoli giusti e fare in modo che si auto-motivino.
Per anni la motivazione veniva garantita dalla formula “bastone e carota”. Qualcuno la usa
ancora con soddisfazione ma pensiamo che abbia dei limiti e che vada rinnovata. Sempre meno
persone sono disposte a subire “bastonate” e la carota, ad esempio non piace a tutti. Eppure
un valore il “bastone e carota” lo mantiene ancora. Il bastone evoca sofferenza mentre la
carota piacere, la gioia del nutrimento. In pratica la formula si basa sul far confluire sulla stessa
persona due opposte condizioni: sofferenza-gioia, dovere-piacere, compito-ricompensa,
impegno-gratificazione, e questo, se gestito bene, può diventare molto efficace.
Se tali premesse fossero condivise allora potremmo dire che la motivazione si può generare
agendo su due livelli. Uno primario, creando “condizioni contrastanti”, e uno secondario,
erogando gli “stimoli giusti”.
Condizioni contrastanti - Le emozioni
L’ambiente contribuisce in modo decisivo alla motivazione delle persone. I locali, i rumori, i
colori, ma anche gli strumenti, le regole, i valori, i simboli, gli esempi. Per condizioni contrastanti
intendiamo riferirci ad atmosfere o condizioni ambientali che racchiudano in sé i due opposti
sofferenza-piacere: pensiamo a sfide aziendali ambiziose e rischiose, a possibilità di carriera
o allontanamento, a sistemi di gratificazione materiale e immateriale condizionate da regole
disciplinari severissime. Il contrasto è all’origine della passione. La passione può essere infatti
una vicenda umana tragica se pensiamo a una malattia o alla passione di Cristo, ma anche
un mondo di divertimento se pensiamo alla passione per il calcio, per la musica, per l’arte o
per i viaggi. La passione racchiude in sé il doppio significato di sofferenza e piacere e noi tutti
sappiamo che le persone si muovono, cambiano, talvolta si appassionano, solo per uscire da
uno stato di sofferenza o per appagare un desiderio di piacere. Molti esperti sostengono che
nei processi di cambiamento funziona di più la sofferenza del piacere e, come vedremo, per
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come è fatta la natura umana, potrebbero avere in parte ragione. Ma cosa spinge veramente
le persone a cambiare il proprio stato di quiete, ad appassionarsi, in una parola, a muoversi?
Quali sono gli stimoli?
Anche in questo caso ci viene in soccorso una parola che usiamo spesso, che ci riguarda tutti
molto da vicino e che è alla base di qualsiasi passione: l’emozione.
Ex-motus, l’emozione è ciò che della nostra intimità si muove, non riusciamo a trattenere,
appare all’esterno. È ciò che tradisce la sua natura di emozione. Quando riceviamo alcuni
stimoli sensoriali, si genera un cambiamento rispetto al nostro stato normalità: diventiamo
rossi dalla vergogna, bianchi dalla paura, rigidi per la rabbia, radiosi e sorridenti per la felicità.
Secondo gli studi del dott. Elkman e Friesen esisterebbero sei emozioni primarie universali,
valide cioè per tutti gli uomini a prescindere dalla loro cultura, età o provenienza: paura,
rabbia, disgusto, tristezza, sorpresa, felicità. (http://www.ilblogdellamente.com/esperimento-ekman-friesen/)
Si può notare che le emozioni negative (4) sono più di quelle positive (2) e questo spiegherebbe
il prevalere di quelle negative nei processi di cambiamento: una questione “statistica”. A queste
sei emozioni primarie se ne possono aggiungere molte altre. Alcune positive come amore
(innamoramento), piacere, gioia, approvazione, riconoscimento, ammirazione, visibilità,
orgoglio, meraviglia, serenità, estasi, fiducia; alcune negative come vergogna, timidezza, senso
di colpa, gelosia, invidia, rimorso, odio, indifferenza.
Secondo le dinamiche delle condizioni contrastanti (coincidentia-oppositorum), la motivazione
sarebbe quindi figlia di emozioni contrastanti. Come potete vedere la scelta è abbastanza
ampia, occorre individuare le emozioni più coerenti con la vostra attività e prevedere dei sistemi
interni di attivazione: premi, riconoscimenti, coinvolgimenti, visibilità, partecipazione. Un
esempio interessante di “emozione strutturale” nasce dalla job rotation. Alcune multinazionali
la praticano in maniera rigorosa. Ogni cinque anni il collaboratore va a fare qualcosa che “non
sa fare”. In questo modo si attivano stupore, angoscia, meraviglia, paura, fiducia e molte altre
emozioni contrastanti. Altre formule più tradizionali sono i percorsi di carriera, i trasferimenti
di luogo, il coinvolgimento in comitati o gruppi di lavoro, l’attribuzione di nuove responsabilità,
il mentoring di nuovi collaboratori. Le soluzioni sono molte. Occorre fantasia e coraggio ma è
importante creare condizioni ambientali contrastanti.
Ma tutto questo non basta. Esiste un’area molto personalizzata che riguarda gli stimoli giusti.
Stimoli giusti
Per questa seconda categoria si entra nel grande ambito della cultura e della personalità. Non
tutti reagiscono infatti ugualmente agli stessi stimoli. Vi sono persone che impazziscono di
gioia per la tecnologia e la matematica, altre per l’arte e la musica. Chi si terrorizza per una
sfida e chi invece per la visibilità.
In questi casi è importante fornire a chi gestisce la relazione personale (one-to-one) gli
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strumenti per comprendere i desideri o le paure di chi gli sta di fronte. Vi sono capi che sanno
motivare i collaboratori agendo leve diverse per ognuno, e venditori o accettatori che soddisfano
i clienti con “motivazioni” anche in questo caso diverse per ognuno.
Inutile offrire prestazioni di velocità o ripresa alla “casalinga di Voghera” che si appresta ad
acquistare un’automobile usata, così come può risultare molto utile far trovare l’auto pulita
o le gomme invertite, al professionista stressato che ci porta l’auto in officina per il tagliando.
Nell’ambito dei collaboratori, per molti anni il bonus in denaro o il viaggio premio hanno
garantito forti incentivazioni. Oggi occorre pensare anche ad altre leve come la visibilità (ad
esempio foto sul sito), al coinvolgimento in gruppi o team di lavoro, al riconoscimento pubblico
di qualità, idee, comportamenti virtuosi, iniziative benefiche.
Il mondo va avanti grazie alla motivazione. Quando siamo de-motivati invecchiamo di colpo e
ci assale l’angoscia esistenziale, l’accidia, l’immobilismo.
Conclusioni
Usiamo dire che le persone sono naturalmente motivate e che noi, come capi, venditori o
prestatori di servizio, possiamo solo demotivarle. Chi inizia un lavoro nuovo vuole sempre
dimostrare il proprio valore ed essere apprezzato; chi entra in salone è certamente attratto
dal desiderio di possedere una nuova automobile; chi ci porta l’auto in officina è sicuramente
fiducioso di ricevere un ottimo servizio. Ma chi lo accoglie può rovinare tutto, o perché
l’ambiente non prevede condizioni contrastanti oppure perché le persone non sanno capire la
personalità e le emozioni di chi gli sta di fronte.
Su quest’ultimo punto la psicologia fornisce molti strumenti, esistono ad esempio programmi
di formazione che aiutano a comprendere le emozioni di chi ci sta di fronte da segnali molto
deboli ma precisi: dalle espressioni del viso, dagli sguardi, dalla pettinatura, dalla gestualità, dal
tono di voce, dalle parole utilizzate, dalla postura, dalla distanza che l’interlocutore predilige
(prossemica).
La motivazione è un’arte che merita di essere conosciuta ed approfondita. Da lì passa il
successo di qualsiasi impresa moderna.
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LAVORO
Il Tfr e la legge di stabilità
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Matteo Prioschi
Giornalista del Il sole 24 ore
Dal mese di marzo i dipendenti del settore privato potranno chiedere di
intascare il trattamento di fine rapporto (Tfr) ogni mese, invece di accantonarlo
e incassarlo quando andranno in pensione. I lavoratori dovranno valutare se
questa opzione è conveniente e opportuna, le imprese si ritroveranno a dover
gestire ulteriori adempimenti.
Limiti di applicabilità della legge
La possibilità di ricevere mensilmente il Tfr, introdotta in via sperimentale dalla legge di
stabilità approvata a dicembre, per il momento ha una durata limitata, dal 1° marzo 2015 al 30
giugno 2018, e riguarda i dipendenti, anche a tempo determinato esclusi quelli agricoli e quelli
domestici, che hanno almeno sei mesi di anzianità presso lo stesso datore di lavoro. La scelta,
però, una volta fatta, non è revocabile per l’intero periodo di durata della sperimentazione.
I lavoratori, quindi, devono soppesare vantaggi e svantaggi di questa soluzione che è stata
introdotta dal governo con l’obiettivo di rendere più ricche le buste paga. Per sapere a quanto
ammonta il trattamento di fine rapporto di un anno è sufficiente dividere la retribuzione per
13,5. Quindi, per esempio, chi guadagna 15.000 euro lordi matura 1.111 euro.
Aumento della tassabilità per chi aderisce
Chi chiederà di ricevere il Tfr mese per mese deve considerare però innanzitutto che le somme
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aggiuntive saranno tassate come il resto dello stipendio, quindi buona parte andrà a vantaggio
del fisco. L’aliquota di tassazione sale con l’incremento dei redditi (23% fino a 15.000 euro
l’anno; 27% fino a 28.000; 38% fino a 55.000; 41% fino a 75.000; 43% oltre) e di conseguenza
chi guadagna di più sarà maggiormente penalizzato. Inoltre si deve tener presente che il Tfr in
busta paga inciderà sui limiti di reddito necessari per l’accesso a prestazioni sociali agevolate
(per esempio le rette dell’asilo, il costo della mensa scolastica) e quindi l’effetto dell’aumento
della retribuzione potrebbe essere vanificato dal fatto di dover pagare di più gli stessi servizi
utilizzati finora. Il Tfr invece non inciderà sul bonus da 80 euro mensili previsto per chi
guadagna fino a 26mila euro l’anno, perché le somme in più incassate ogni mese non verranno
conteggiate ai fini del rispetto della soglia dei 26.000 euro.
Valutazioni accessorie
Oltre alle conseguenze nell’immediato, si deve tener presente che dal marzo 2015 al giugno
2018 le quote mensili di Tfr non verranno accantonate e quindi si “perderanno” un po’ più
di tre anni di accumulo. In altre parole, quado si smetterà di lavorare per andare in pensione
il trattamento di fine rapporto che si incasserà sarà meno ricco. La sospensione vale anche
se il lavoratore ha scelto di destinare il Tfr a un fondo pensione complementare e quindi
anche in questo caso ci saranno oltre tre anni di mancato accumulo. Questo si ripercuoterà
sull’importo della pensione integrativa che sarà determinato proprio dai contributi versati
al fondo complementare. A quanto ammonterà tale riduzione è difficile da stimare in via
generale perché entrano in gioco più fattori, quali il rendimento delle somme versate al fondo,
l’importo delle stesse, gli anni che mancano alla pensione, l’età di pensionamento. Tuttavia
ogni lavoratore potrà provare a chiedere una simulazione al fondo a cui è iscritto in modo da
effettuare la scelta in modo consapevole. Nei mesi della sperimentazione, invece, gli importi
già messi da parte non verranno toccati e continueranno a rivalutarsi come avvenuto finora.
Aggravio gestionale per alcune imprese
Dal punto di vista operativo, le modalità di scelta saranno precisate entro fine gennaio con un
decreto del presidente del Consiglio dei ministri che conterrà alcune indicazioni utili anche
per le aziende che dovranno recepire e gestire le scelte dei dipendenti. I datori di lavoro,
infatti, dovranno innanzitutto verificare quali e quanti lavoratori vorranno incassare il Tfr mese
per mese. Le imprese che hanno almeno 50 dipendenti già oggi non tengono in azienda il
trattamento dei lavoratori che non hanno aderito alla pensione complementare ma lo versano
al fondo di tesoreria costituito presso l’Inps. Da marzo, invece di versare le quote al fondo
di tesoreria o alla previdenza complementare, dovranno mettere in busta paga le quote
maturande dei lavoratori che sceglieranno di incassarlo subito. Per queste aziende c’è un
aggravio in più dal punto di vista gestionale, ma poco cambia a livello finanziario. Per le imprese
fino a 49 dipendenti, invece, il Tfr in busta paga comporta un’altra complicazione. In questo
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caso, infatti, se il dipendente in precedenza non ha aderito alla previdenza complementare e
ha deciso di lasciare il Tfr presso l’azienda, è quest’ultima che lo deve accantonare e gestire,
eventualmente utilizzandolo anche come forma di liquidità temporanea per autofinanziarsi.
Finanziamenti alle imprese per erogare il TFR
A fronte della scelta di incassare il trattamento di fine rapporto ogni mese, il datore di
lavoro può scegliere se pagare lui direttamente l’importo al dipendente oppure accedere a
un finanziamento previsto dalla legge di stabilità e garantito da un fondo costituito ad hoc
presso l’Inps e dalla garanzia dello Stato in ultima istanza. Il finanziamento sarà erogato dalle
banche in base a un accordo tra l’Associazione bancaria italiana e i Ministeri dell’economia e
del lavoro. Il tasso applicato agli importi non potrà essere superiore a quello di rivalutazione del
trattamento di fine rapporto. Per accedere al prestito, il datore di lavoro dovrà chiedere all’Inps
una certificazione riguardante il Tfr da finanziare e con tale documento chiederà l’erogazione
alle banche. Allo stesso tempo, per beneficiare della garanzia del fondo Inps, si dovrà versare
al fondo stesso un contributo pari allo 0,2% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali
erogata quale “anticipo” del Tfr.
Impatto sulle piccole imprese
Le aziende più piccole dovranno quindi decidere se pagare direttamente o accedere al
finanziamento. È qui che, dal punto di vista gestionale, si gioca la partita del Tfr in busta paga,
dato che circa un terzo del trattamento di fine rapporto di tutti i dipendenti a oggi resta nelle
aziende che hanno meno di 50 addetti. Sulla decisione influirà anche la procedura necessaria per
richiedere il prestito, che potrebbe non essere semplice. Come già avvenuto in passato, spesso lo
scarso successo di agevolazioni e disposizioni previste dalla legge è stato determinato in buona
parte da procedure applicative lunghe e complesse. Oltre al decreto del presidente del Consiglio
dei ministri si dovrà far riferimento alle indicazioni che verranno fornite direttamente dall’Inps.
Il tempo a disposizione non è molto, dato che si dovrebbe partire il 1° marzo. Peraltro sarebbe
anche opportuno che venga chiarito se l’adesione all’opzione “Tfr mensile” potrà avvenire anche
successivamente al 1° marzo per i dipendenti che sono già in forza presso le aziende.
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FISCO
Arriva la dichiarazione dei redditi
precompilata: luci e ombre del
nuovo sistema
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Nicola Amoruso
dottore commercialista in Milano
Dal 2015 i contribuenti troveranno il proprio modello 730 precompilato sul
sito dell’Agenzia delle Entrate. Inizia così la fase di implementazione delle
dichiarazioni telematiche, che dovrebbe arrivare a compimento nel 2017. Un
sistema che prospetta diversi vantaggi, ma al momento anche molte incognite.
Secondo statistiche del Ministero dell’Economia e Finanze (novembre 2014) risulta che nel 2014
sono stati presentati da dipendenti e pensionati 16,7 milioni di modelli 730 riguardanti i redditi
del 2013. Si tratta di un volume notevole di dichiarazioni che, però, sotto il profilo della possibilità
di reperire gettito aggiuntivo attraverso il procedimento di controllo e rettifica, presenta una
potenzialità relativa in rapporto alla mole notevole di dati da elaborare e gestire. Di qui l’intento
dell’amministrazione finanziaria di automatizzare al massimo il controllo dei modelli 730,
limitando all’indispensabile gli interventi personalizzati per dedicare il grosso delle risorse umane
disponibili al controllo delle dichiarazioni dei redditi delle imprese e dei lavoratori autonomi,
dal cui esame, in genere, emergono incrementi di gettito relativamente più interessanti.
L’automazione è prevista che si realizzi attraverso la compilazione del mod. 730, effettuata non
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dal contribuente, ma dalla stessa amministrazione finanziaria, mediante dati attinti dall’anagrafe
tributaria, quali, ad esempio: le dichiarazioni degli anni precedenti, i versamenti eseguiti, i dati
trasmessi da banche, assicurazioni, enti previdenziali, i dati contenuti nelle certificazioni dei
compensi percepiti dai dipendenti e dai lavoratori autonomi, i compensi per lavori occasionali,
ecc. Il modello 730 non dovrà più essere compilato dal contribuente, ma gli verrà recapitato
direttamente a casa con quasi tutti i dati già scritti. Per i dipendenti e pensionati la dichiarazione
non arriverà per posta ordinaria, ma sarà semplicemente consultabile attraverso internet (entro
il 15 aprile 2015 nel sito dell’Agenzia delle Entrate, per chi è dotato di un nome-utente e una
password). In alternativa, i contribuenti potranno farsi consegnare la dichiarazione dal datore di
lavoro o dai Caf (i centri di assistenza fiscale creati dai sindacati e dalle associazioni di categoria).
Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate potranno essere individuate le
modalità tecniche per consentire al contribuente o ad altri soggetti autorizzati di accedere alla
dichiarazione precompilata resa disponibile telematicamente dalle Entrate.
Il nuovo modello precompilato dall’Agenzia delle Entrate (mod. 730/2015, per i redditi 2014) sarà
disponibile on line dal 15 aprile 2015; il contenuto del modello sarà confezionato utilizzando i dati
trasmessi telematicamente al fisco dai vari soggetti terzi (sostituti d’imposta, banche, assicurazioni,
enti previdenziali, ecc.) entro il 7 marzo 2015.
I redditi da lavoro o da pensione del contribuente verranno comunicati ogni anno dalle aziende
o dall’Inps direttamente all’Agenzia delle Entrate, che poi li inserirà nel 730 precompilato. Nella
dichiarazione saranno già calcolati anche i redditi dei fabbricati (sulla base dei dati catastali) e molte
detrazioni che oggi spettano per la previdenza integrativa, per gli interessi passivi sui mutui o per le
polizze sulla vita. Questi dati verranno, infatti, determinati direttamente dal fisco, sulla base delle
informazioni inviate ogni anno all’anagrafe tributaria (sempre entro marzo) dalle banche, dalle
compagnie assicurative o dagli enti previdenziali.
Entro il 7 luglio successivo, ognuno potrà chiedere ad un centro di assistenza fiscale di fare delle
eventuali integrazioni, qualora voglia correggere degli errori o ritenga di aver diritto a delle detrazioni
e deduzioni che non gli sono state riconosciute.
Nel 2015 non saranno, invece, incluse nel 730 precompilato le detrazioni che spettano al contribuente
per le spese sanitarie, che ogni anno vengono detratte fiscalmente dalla stragrande maggioranza
dei contribuenti. Chi vorrà farsele riconoscere dovrà, dunque, andare a un centro di assistenza
fiscale e chiedere di integrare la dichiarazione. Secondo stime della stessa Agenzia delle Entrate,
più del 70% dei modelli 730 precompilati avrà bisogno di una integrazione, per la mancanza delle
spese sanitarie.
Nel 2016, però, anche questo tipo di detrazioni sarà calcolato direttamente dall’Agenzia delle
Entrate, grazie ai dati raccolti dalle farmacie, dai medici e dalle Asl con le tessere sanitarie
elettroniche. Si tratta, comunque, relativamente ai dati del 2014 da comprendere nel 730/2015, di
una fase sperimentale. La procedura dovrebbe arrivare a regime per il 2017, quando tutti i modelli
dovrebbero essere da confermare o da modificare in caso di errori.
15
La risposta
Il contribuente che “conferma” i dati contenuti nella dichiarazione precompilata messa a
disposizione dall’amministrazione finanziaria ha il vantaggio di essere escluso dal controllo
formale per gli oneri comunicati da soggetti terzi.
In pratica, il 730 precompilato e “confermato” dal contribuente diventa “blindato”, nel senso
che il rapporto fiscale, per quell’anno, rimane definito in via definitiva per deduzioni e detrazioni,
senza che nessuna delle due parti posa ulteriormente modificarlo.
È un vantaggio non indifferente e in non pochi casi è da prevedere che i contribuenti per
ottenerlo potrebbero mostrarsi disponibili anche a rinunciare a piccole modifiche a proprio
favore, pur di chiudere definitivamente il rapporto. Qualcosa di simile accade anche oggi
quando il contribuente riceve una cartella esattoriale di modesto importo, a rettifica della
propria dichiarazione dei redditi. La piccola somma rende più conveniente pagare che aprire
una procedura di rettifica o una controversia.
I dubbi
L’arrivo del 730 precompilato è una importante novità ed un progetto ambizioso per il Fisco
italiano ed il raggiungimento di questo importante traguardo collocherebbe l’amministrazione
finanziaria in posizioni di avanzata efficienza.
L’avvio, però, della procedura entro i tempi così ristretti, lascia alquanto dubbiosi sulla buona
riuscita dell’operazione, almeno nel breve termine.
Una prima critica avanzata riguarda la circostanza che il 730 precompilato non arriverebbe
direttamente “a casa”, ma dovrebbe essere scaricato online, una procedura per la quale,
proprio i milioni di pensionati a cui si rivolge, potrebbero essere costretti comunque a rivolgersi
ad una terza persona, ossia, in ultima analisi, ad un Caf o a un commercialista. C’è del vero
nell’osservazione, ma l’invio a casa in forma cartacea avrebbe incontrato il grave inconveniente
degli indirizzi errati o variati, senza contare che anche in questa forma, un numero di elevato
di contribuenti avrebbe, comunque, avuto necessità di chiedere aiuto ad un Caf o a un
commercialista.
In secondo luogo, se da un lato non si dubita che l’amministrazione finanziaria sia abbastanza
attrezzata per affrontare l’impegnativo programma, dall’altro non si è altrettanto fiduciosi che i
diversi soggetti terzi inviino tutti i dati dovuti e nei tempi adeguati.
Innanzitutto, un 730 precompilato che davvero voglia semplificare la vita a pensionati e lavoratori
dipendenti, dovrebbe contenere già le principali spese deducibili. La cosa appare abbastanza
possibile per l’inserimento degli interessi passivi, dei premi di assicurazione, degli oneri previdenziali,
in quanto si tratta di oneri gestiti da banche, assicurazioni ed enti pubblici.
La stessa cosa, però, non accade se si considerano le spese sanitarie. Un tale sistema presupporrebbe
infatti che i medici di famiglia e gli specialisti comunicassero puntualmente, e in maniera selettiva
per ogni contribuente e per ciascun codice fiscale dunque, tutte le spese sanitarie sostenute.
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Una circostanza del tutto inverosimile, data l’abitudine attuale dei medici di fare dei semplici
consuntivi cumulativi periodici. Questo significa che una delle voci di detrazioni più significative
e che praticamente tutti i contribuenti utilizzano, ovvero proprio le spese sanitarie, dovrebbe
essere inserita comunque in un secondo momento dal contribuente all’interno del 730
precompilato, che dunque già in partenza esordirebbe monco.
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17
AUTO E SALUTE
Elettromagnetismo,
un killer invisibile
/////
Aldo Ferrara
Professore di Ruolo di Malattie Cardio - Respiratorie, Università degli Studi di Siena
Coordinatore dell’European Group On Vehicle Air Indoor Quality
I vari dispositivi di telecomunicazione di cui siamo sempre circondati, ma anche le
infrastrutture di trasporto dell’energia elettrica, sono importanti fonti di inquinamento
elettromagnetico. Un fenomeno di cui è opportuno prendere coscienza.
L’elettromagnetismo (EM), impalpabile, inodore, privo di tracce e non percepibile dai sensi umani,
è un killer silenzioso e invisibile, forse la variante più temibile di inquinamento impercettibile. Le
radiazioni, in senso lato, rientrano in un ampio ventaglio di sorgenti: dai radar militari (che sembrano
causare la malattia dei radaristi), ai forni a microonde domestici. Coinvolgono tutti i dispositivi di
telecomunicazione ad alta frequenza (Radiobroadcasting, RBD), di uso ormai quotidiano. I campi
elettromagnetici si suddividono in campi di alta frequenza e bassa frequenza. I primi vengono
generati, ad esempio, dai sistemi di telecomunicazione RDB, antenne radio-televisive, dispositivi
wireless e telefonia cellulare. I secondi vengono, invece, prodotti dalle infrastrutture di trasporto
dell’energia elettrica (ad es. gli elettrodotti) e dai cavi elettrici attraversati da correnti alternate
di alta intensità.
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Nel 2001, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha inserito i campi magnetici in
bassa frequenza nella categoria 2B dell’apposita scala dell’Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS), considerandoli, in caso di esposizione prolungata a fonti di radiazione con valori di campo
magnetico superiori a 0,4 microTesla, fattore di rischio doppio per la leucemia infantile. Nello
stesso anno la IARC ha inserito anche i campi elettromagnetici in alta frequenza nella categoria
2B, valutandoli ad alta potenzialità cancerogena anche per adulti, nonostante l’assenza di
una specifica misurazione di intensità. Gli effetti nocivi delle frequenze sono stati infatti finora
evidenziati solo in test di laboratorio, generando controversie sulla definitiva collocazione
nosografica delle fonti inquinanti.
L’OMS, pertanto, è stata costretta a riconoscere che “ad oggi, nessun effetto dannoso per la salute
è stato accertato definitivamente a causa dell’uso di telefoni mobili”. Non si può, pertanto, che
appellarsi al principio di precauzione che ha indotto numerosi Stati a raccomandare al cittadino
di minimizzare l’esposizione ai campi elettromagnetici, come appunto, nel nostro paese,
stabiliscono le L. 36/2001 e 66/2001 che distinguono limiti di esposizione, valori di attenzione
e obiettivi di qualità. Il successivo D.P.R. 8 luglio 2003, a testimonianza delle lacune scientifiche
esistenti in materia, ha in seguito auspicato, all’art. 4, lett. b), l’attuazione di “un programma
pluriennale di ricerca epidemiologica e di cancerogenesi sperimentale, al fine di approfondire i
rischi connessi all’esposizione a campi elettromagnetici a bassa e alta frequenza”.
In ambito regionale, l’Emilia Romagna ha approvato la legge n.221/2000 che impone una
distanza minima tra i centri abitati e i ponti radio pari a 300 metri e, altresì, il divieto che i campi
elettromagnetici superino i 6 volt/metro.
Sin dal 2011, la IARC ha indicato nei campi elettromagnetici a radiofrequenza della telefonia mobile
possibili cause di neoformazioni (glioma e neurinoma dell’acustico) a carico degli utilizzatori
abituali o professionali dei telefoni cellulari.
Le problematiche sulla salute si distinguono in patologie sistemiche (organiche e funzionali) e
patologie d’organo. Per quanto queste non siano del tutto codificate, i disturbi sono quasi sempre
legati all’organo o apparato più sensibile o più reiteratamente vicino alla fonte elettromagnetiche.
Le alte frequenze del telefono cellulare generano temperature lesive per l’orecchio medio
ed esterno, fino all’evocazione di forme neoplastiche (tumori del condotto auditivo, tumori
dell’orecchio medio, oto-neurinomi a carico del nervo acustico). L’apposizione del cellulare
medesimo in tasca, a sinistra nel torace, può evocare turbe del ritmo cardiaco.
Altre patologie non d’organo, ma sistemiche, riguardano gli effetti sul sistema immunitario leso
solo per stimolazioni croniche e reiterate. Tra quelle funzionali, va citata la possibilità d’insorgenza
19
dell’iperreattività del nervo vago che innerva organi sensibili alla stimolazione elettromagnetica,
come il cuore (con l’effetto della tachicardia), il polmone (con il rallentamento della frequenza
respiratoria) e l’apparato digerente (con la sensazione di nausea e vomito).
Nelle grandi aree urbane, il livello delle radiazioni in radiofrequenza (microonde) è oggi circa
10 volte più elevato rispetto a 20 anni addietro, data la sempre più ampia diffusione delle
telecomunicazioni senza fili (wireless). Ogni dispositivo che ci circonda può essere considerato
fonte di onde elettromagnetiche in funzione della temperatura che raggiunge in esercizio. La
raccomandazione più ovvia che ne consegue è di moderare l’uso dei telefoni cellulari e, laddove
possibile, limitare l’esposizione prolungata ai campi magnetici.
Bibliografia: Ferrara A. et al. Fisiologia Clinica alla guida, Capitolo 23 pag.239, Piccin, Padova, 2015
20
LAVORO
Gli incentivi ci sono
ma la disoccupazione è sempre alta
/////
Matteo Prioschi
Giornalista del Il sole 24 ore
I provvedimenti che dovrebbero favorire l’incremento dell’occupazione sono
spesso un labirinto burocratico che ne rende difficoltoso l’utilizzo
L’economia fatica a ripartire, l’occupazione non aumenta, ma gli incentivi per assumere non
mancano. Gli ultimi due li ha portati la legge di stabilità di fine 2014, andando a rinfoltire un
bouquet di opzioni già molto ampio, forse troppo. Infatti oltre alle numerose agevolazioni
previste a livello statale vanno aggiunte quelli regionali e, in alcuni casi, provinciali, per cui
l’imprenditore si trova di fronte a una stratificazione di soluzioni possibili, che a volte possono
essere sommate e altre no, con relativi requisiti di accesso e regole per poterne beneficiare. Così
quelli che dovrebbero essere degli aiuti per favorire l’incremento dell’occupazione appaiono
spesso come un labirinto di obblighi ed eccezioni in cui risulta difficile orientarsi, tant’è che
non di rado questi incentivi vengono sottoutilizzati. Tanto più se la loro applicazione concreta
non è immediata ma richiede una serie di passaggi attuativi che ne riducono l’attrattività.
Due novità nella legge di stabilità
Quest’anno, comunque, debuttano due ulteriori agevolazioni, introdotte dalla legge di stabilità
approvata lo scorso mese di dicembre, che riguardano entrambe le assunzioni a tempo
21
indeterminato. Una scelta, quest’ultima, che va letta in parallelo con l’introduzione del contratto
a tutele crescenti che sta avvenendo tramite il Jobs act voluto dal Governo al fine di aumentare
la quota di rapporti di lavoro a tempo indeterminato rispetto a quelli a termine o comunque
flessibili. Chi assume, nel 2015, un lavoratore a tempo indeterminato viene esentato dal versare
i contributi relativi al nuovo dipendente per 36 mesi e per un importo massimo di 8.060 euro
all’anno (quindi 24.180 nel triennio). La scelta, però, deve ricadere su una persona che non
ha avuto un contratto di lavoro a tempo indeterminato nei sei mesi precedenti l’assunzione,
mentre è indifferente se la stessa ha già lavorato in passato per la medesima azienda.
A conferma del fatto che l’applicazione degli incentivi spesso è resa difficile da dubbi
interpretativi, in questo caso deve ancora essere chiarito, perché la legge su questo punto
non è chiara, se il bonus riguarda sia i contributi previdenziali che assistenziali o solo i primi. In
compenso da quest’anno non è più disponibile lo sconto del 50% dei contributi previdenziali e
assistenziali fino a 36 mesi a fronte di un’assunzione di persone disoccupate, in Cig o sospese
da almeno 24 mesi. L’agevolazione era in vigore dal 1990 ed era tra le più apprezzate anche
perché per gli artigiani e le aziende del Sud Italia lo sconto era del 100%.
L’altra novità introdotta dalla legge di stabilità è la deduzione integrale dall’imponibile Irap del
costo relativo ai lavoratori a tempo indeterminato. Questa novità si aggiunge alle agevolazioni
già previste in termini di imposta regionale sulle attività produttive, tant’è che consiste nella
deduzione della differenza tra il costo complessivo del lavoratore e le deduzioni già spettanti
e, pur applicandosi dal 2015, produrrà benefici fiscali dal 2016. In compenso vale anche per i
dipendenti part time, purché a tempo indeterminato.
Le misure già da tempo in vigore
Questi due nuovi strumenti si aggiungono a un’ampia serie di misure già esistenti, più o meno
conosciute ed efficaci, di cui ricordiamo le principali. Uno dei più pubblicizzati ed enfatizzati
dagli ultimi governi è il “bonus giovani” introdotto dal decreto legge 76 del 2013 e prossimo alla
scadenza. L’agevolazione, di cui si è già parlato nel numero 1 di AutopromotecNews, consiste
in uno sgravio contributivo pari a un terzo della retribuzione mensile lorda imponibile a fini
previdenziali, con un limite massimo di 650 euro mensili per ogni ragazzo tra i 18 e i 29 anni
assunto. Il bonus dura 18 mesi se il contratto è a tempo indeterminato e cala a 12 se si tratta di
una trasformazione di un precedente contratto a termine. Il giovane, però, deve essere senza
impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi o non deve avere un diploma di scuola
superiore o professionale e inoltre l’assunzione deve determinare un incremento del numero
di occupati nell’azienda.
22
Con una copertura finanziaria di 794 milioni di euro, secondo le stime governative il bonus
avrebbe potuto determinare 100mila nuove assunzioni. In realtà l’andamento delle richieste da
parte dei datori di lavoro è stato nettamente inferiore alle attese e difficilmente si supereranno
le 60mila assunzioni a fine giugno 2015, data ultima entro cui è possibile beneficiare del bonus.
Questo esempio testimonia come la possibilità di ridurre il costo del lavoro non sempre sia
sufficiente per aumentare l’occupazione se il contesto economico resta negativo o comunque
le prospettive non sono rosee. Inoltre soprattutto nella prima fase l’agevolazione è stata
penalizzata dal fatto che le risorse sono state assegnate su base regionale e annuale, e così
è accaduto che mentre in alcune aree sono state esaurite, in altre sono rimaste largamente
inutilizzate.
La garanzia giovani
Un altro bonus da cui ci si attendeva molto ma sta già zoppicando è collegato al programma
Garanzia giovani lanciato dal governo l’anno scorso nell’ambito di un’iniziativa europea e con
una dotazione di ben 1,5 miliardi di euro. L’incentivo riguarda sempre lavoratori tra 15 e 29 anni
che però in questo caso devono essere iscritti al programma Garanzia giovani. Nell’ambito di
tale progetto, infatti, i giovani disoccupati ricevono una profilazione da parte dei centri per
l’impiego o di agenzie per il lavoro, in base alla presunta difficoltà di inserimento occupazionale
(sono previsti quattro livelli di difficoltà). In base al livello di profilazione e al tipo di assunzione
(a tempo indeterminato, tra 6 e 12 mesi, oltre 12 mesi ma a termine) si può beneficiare di un
bonus che varia da zero a 6mila euro. Il problema principale che è stato riscontrato nei primi
mesi di attuazione del programma, partito a maggio, consiste nel fatto che il 70% dei ragazzi
viene inserito nei primi due livelli di difficoltà e di conseguenza le aziende non hanno diritto ad
alcun bonus se assumono a tempo determinato mentre per l’indeterminato non si va oltre i
3mila euro.
Da qui la decisione, concretizzatasi con due decreti ministeriali a fine gennaio, di modificare
i criteri di valutazione in modo da rendere più semplice l’accesso al bonus economico, di cui
ora si può beneficiare anche a fronte di un contratto di apprendistato professionalizzante.
Inoltre è stata data la possibilità di raggiungere il periodo minimo di 6 mesi di contratto (o
quello più “conveniente” di 12 mesi) anche con più rinnovi. Infine questi incentivi sono stati
resi cumulabili con altri già previsti dalla normativa. Il tutto con effetto retroattivo dal 1°
maggio 2014. Secondo il ministero i 189 milioni di euro disponibili per finanziare l’agevolazione
dovrebbero corrispondere a circa 62mila assunzioni o trasformazioni, ma nei primi sei mesi
non si è arrivati a quota mille. Tuttavia per sfruttare questa occasione c’è tempo fino al 30
giugno 2017.
23
La delusione del contratto di apprendistato
Sempre sul fronte dei giovani restano in vigore le agevolazioni per il contratto di apprendistato.
Nonostante una contribuzione limitata al 10% con possibilità di abbattimento totale nei primi
tre anni e il sotto inquadramento del lavoratore fino a due livelli, nonché la riduzione della
retribuzione in relazione alle ore di formazione effettuata, questa tipologia di contratto non ha
mai riscosso grande successo, nemmeno dopo le novità introdotte nel 2012 dal Ministro del
Lavoro Elsa Fornero che vi aveva puntato molto.
Il taglio dei contributi per l’assunzione delle donne
Risale sempre all’estate di quell’anno il taglio del 50% dei contributi per chi assume donne
senza impiego da almeno 24 mesi o da 6 mesi se residenti in aree svantaggiate o impiegate in
un settore con forte disparità occupazionale tra uomo e donna. L’agevolazione dura 12 mesi a
fronte di un contratto a tempo determinato e 18 mesi se indeterminato. Condizioni analoghe
sono previste se si assume un uomo di oltre 50 anni di età e disoccupato da più di 12 mesi.
Se invece è una persona in mobilità, il datore di lavoro incassa il 50% dell’indennità rimanente
spettante al dipendente che, avendo trovato occupazione, non ne ha più diritto. In altre
parole lo Stato “gira” all’azienda che ha creato occupazione, parte del risparmio determinato
dal fatto di non dover più pagare la mobilità. Il beneficio dura fino a 36 mesi, in relazione
all’età del dipendente e della Regione in cui lavora. Inoltre per 18 mesi i contributi a carico
del datore di lavoro sono del 10%. Meccanismo analogo opera per i lavoratori che incassano
l’Aspi (assicurazione sociale per l’impiego): l’azienda beneficia del 50% dell’indennità mensile
residua che sarebbe spettata al neo assunto (a tempo pieno e indeterminato). Non c’è, invece,
la riduzione dei contributi.
Infine ricordiamo che esistono incentivi, in particolare sotto forma di credito di imposta, se si
assumono ricercatori, persone altamente qualificate e laureati che rientrano dall’estero.
24
NORMATIVA
Obbligo di annotazione sul libretto
per chi utilizza il veicolo
senza esserne intestatario
/////
Maurizio Caprino
Giornalista de Il Sole 24 Ore
Quattro anni di studio e qualche mese di applicazione pratica non sono bastati. Il
nuovo obbligo di annotazione di chi utilizza un veicolo per più di 30 giorni senza
esserne intestatario non ha ancora regole certe al 100%: c’è infatti confusione
sul caso del noleggio senza conducente, in attesa di una pronuncia del Tar del
Lazio (che non arriverà prima del 28 maggio) o di un “armistizio” tra noleggiatori
e Motorizzazione. In compenso, è emerso che le novità possono avere anche
conseguenze fiscali: ci sono casi in cui l’annotazione è rilevante ai fini del
redditometro.
L’obbligo
Il nuovo regime prevede l’obbligo di comunicare alla Motorizzazione le generalità del conducente
abituale, che saranno poi riportate sulla carta di circolazione o, in qualche caso come appunto
quello del noleggio, semplicemente annotate nell’Anagrafe nazionale veicoli. Per i trasgressori ci
sono una multa di 711 euro e il ritiro della carta di circolazione.
25
L’obbligo è in vigore per le situazioni sorte a partire dal 3 novembre 2014, mentre per quelle
già in essere a quella data è solo una facoltà: gli interessati, se ritengono che la comunicazione
del vero utilizzatore possa tutelarli, possono eseguirla e la Motorizzazione è tenuta a prenderne
nota. Tenere a mente questo concetto è fondamentale per capire lo scopo dell’obbligo e, di
conseguenza, le modalità applicative del nuovo sistema: non c’è solo l’esigenza dello Stato di
sapere chi utilizza effettivamente un veicolo, ma anche quella dell’intestatario di scaricarsi da
responsabilità che spettano al soggetto cui consente l’uso del mezzo.
Certo, lo scarico di responsabilità è solo parziale: ai fini del bollo auto continua ad avere rilevanza
solo il proprietario. Ma per infrazioni stradali e incidenti, dove da sempre la responsabilità si
può perlomeno condividere col conducente effettivo, per l’intestatario diventa più semplice
dimostrare che alla guida non c’era lui. Anche se il quadro normativo non è ben delineato, saranno
solo le sentenze che arriveranno nei prossimi anni sui casi concreti a dire quanto il proprietario
può davvero proteggersi.
La data di partenza del nuovo regime è stata fissata da una circolare della Motorizzazione a luglio
2014 a coronamento di un iter iniziato esattamente quattro anni prima, quando entrò in vigore
la riforma del Codice della strada (legge 120/2010). Quest’ultima ha introdotto nell’articolo 94 il
comma 4-bis, breve e apparentemente semplice. Ma ci sono voluti appunto quattro anni (oltre a
varie norme attuative) per delimitarne l’ambito di applicazione. Che alla fine è stato circoscritto
a poche delle tante situazioni in cui il guidatore abituale di un veicolo è una persona diversa dal
suo intestatario (si veda la scheda in calce all’articolo).
Sul noleggio senza conducente c’è incertezza perché l’Aniasa (l’associazione dei noleggiatori)
ha presentato un ricorso al Tar del Lazio contro la circolare della Motorizzazione che avviava
l’obbligo. In via di urgenza, il Tar ha concesso la sospensiva fino all’udienza in cui la questione verrà
esaminata, prevista per il 28 maggio. Nel frattempo la Motorizzazione ritiene che l’obbligo valga
lo stesso, perché in teoria sarebbe applicabile anche senza la circolare sospesa: esiste comunque
un regolamento attuativo ed è formalmente in vigore. Nella pratica, comunque, non conta tanto
l’interpretazione della Motorizzazione, quanto quella del Ministero dell’Interno: il rischio che si
corre a circolare senza annotazione è soprattutto quello di essere multati dalle forze dell’ordine,
soggette alle direttive di questo dicastero. Che però non si è mai pronunciato e quindi si resta
esposti alla discrezionalità del singolo agente. I noleggiatori, visto che il problema si deve al loro
comportamento e che “il cliente ha sempre ragione”, dovrebbero comunque farsi carico della
sanzione e/o aiutare il cliente a presentare un ricorso, se ritengono ce ne siano gli estremi.
Restano fuori dall’ambito di applicazione della norma tutti i casi comuni di prestito o di uso
26
condiviso che si possono verificare comunemente in famiglia (per i conviventi nello stesso nucleo
c’è un’esenzione esplicita), tra amici o in azienda. E, visto che il comodato è un contratto a titolo
gratuito, sono esclusi anche i veicoli aziendali (sia di proprietà dell’impresa sia presi a noleggio
o in leasing da quest’ultima) dati in fringe benefit; per quelli noleggiati, inoltre, apparirà il nome
dell’azienda e non quello dell’utilizzatore.
In sostanza, l’obbligo riguarda le situazioni in cui un soggetto usa un mezzo e ne dispone come se
ne fosse il proprietario, pur senza esserlo, e per esercitare questi diritti si mette d’accordo con chi
ne risulta intestatario senza versargli alcun corrispettivo. Può accadere in molti casi, di diversa
natura: quello del professionista che non ha interesse ad “apparire”, del comune automobilista
che abita in una zona con tariffe Rc auto molto alte, dell’autotrasportatore che voglia disporre di
mezzi che eccedano la sua capacità professionale, del criminale che ha bisogno di prestanome o,
più banalmente, di chi cerchi di sottrarsi a responsabilità su multe, incidenti e bollo auto.
Va precisato che il comodatario può a sua volta affidare il mezzo ad altri (compreso il proprietario),
ma solo in maniera occasionale: il subcomodato non è consentito.
La dimostrazione
Aldilà delle regole, resta il fatto che è molto difficile per un corpo di polizia dimostrare che una
persona ha la disponibilità di un veicolo per più di 30 giorni: in mancanza di un contratto scritto
(come nel noleggio) o di altri riscontri documentali (come per gli eredi), visto che spesso l’utilizzo
è lecito anche in base a un accordo verbale o addirittura tacito, l’unico modo per accertare
un’eventuale infrazione è svolgere una vera e propria indagine sull’interessato. Il che può accadere
solo in casi gravi, in cui magari questo soggetto è già tenuto sotto controllo dalle forze dell’ordine
per ben altri motivi. E comunque, in condizioni normali, un agente che effettua un controllo su
strada non ha molti motivi per farsi mostrare la documentazione ed esaminarla con cura.
Dunque, alla fine, sarà più probabile che qualcuno venga multato dopo essere stato “denunciato”
dall’intestatario del mezzo, che è l’unico soggetto a sapere di aver affidato il veicolo per più di 30
giorni.
Il fronte fiscale
Ufficialmente non c’è traccia di risvolti fiscali, né nelle norme istitutive né nelle poderose circolari
già emanate. Ma l’annotazione dell’utilizzatore del veicolo sulla carta di circolazione può avere
effetti ai fini del redditometro. Almeno per le persone fisiche: per le aziende, il redditometro è già
alimentato dagli strumenti che l’agenzia delle Entrate ha già reso operativi negli ultimi anni (per
esempio, lo spesometro).
L’anello di congiunzione tra l’annotazione e il redditometro è l’Anagrafe tributaria: tra le banche dati
collegate con essa, c’è l’Archivio nazionale veicoli (Anv). E l’amministrazione finanziaria ha accesso
diretto all’Anv: non è nemmeno necessario richiedere i dati alla Motorizzazione (Dpr 634/94, articolo 1).
27
Così i dati dei soggetti che hanno la disponibilità del veicolo per più di 30 giorni senza esserne
intestatari potranno essere visionati dai funzionari dell’agenzia delle Entrate nell’ambito
dell’accertamento sintetico e redditometrico (articolo 38 Dpr del 600/73). I dati potranno essere
trattati come gli altri già contenuti nell’Anv, rilevanti ai fini fiscali e acquisiti per legge: quelli sulle
nuove immatricolazioni e sui passaggi di proprietà di veicoli e rimorchi e sulle loro caratteristiche
tecniche (prevalentemente potenza e cilindrata del motore).
Ai fini del redditometro, possono essere individuati tutti i mezzi di trasporto che, sulla base dei dati
presenti nelle banche dati pubbliche, risultano non solo in proprietà, ma anche nella disponibilità
del contribuente, titolare o non titolare di partita Iva.
Il fisco, in assenza di spese puntualmente individuate nell’Anagrafe tributaria, attribuirà al
contribuente soggetto ad accertamento le spese di manutenzione dei veicoli. Cioè potrà
presumere che egli abbia un reddito compatibile anche con la spesa per carburante, olio,
ricambi e manutenzione, calcolata induttivamente in forza dei kiloWatt di potenza del motore e
in rapporto alla quota e ai mesi di possesso del veicolo, secondo quanto previsto dall’allegato 1 al
Dm Economia del 24 dicembre 2012 che ha fissato i parametri del redditometro.
Tutto ciò, per ora, è una mera eventualità, resa possibile dal quadro normativo e dallo stato
delle banche dati. Non ci sono ancora notizie certe sul fatto che l’agenzia delle Entrate si avvalga
anche dei nuovi dati che affluiranno alla Motorizzazione. Né è ragionevole che la questione
venga affrontata sin da ora: occorrerà vedere quanti adempiranno effettivamente all’obbligo di
annotazione, sul quale i controlli si preannunciano difficili.
L’annotazione può anche dare un vantaggio fiscale: il comodatario che ha partita Iva può dedurre
dal reddito i costi relativi al veicolo, se ne dimostra l’inerenza con la sua attività.
28
LE OPERAZIONI In linea di massima, vanno comunicate alla Motorizzazione:
le variazioni di denominazione dell’ente (anche impresa) intestatario del veicolo;
le variazioni delle generalità (nome, cognome, data o luogo di nascita, luogo di
residenza) della persona fisica intestataria, possibili per provvedimento dell’autorità
giudiziaria o per cambi di toponomastica decisi dai Comuni (cambi di residenza e
correzioni di errori pregressi seguono le procedure consuete);
la temporanea disponibilità (a titolo di comodato sia scritto sia verbale, di
affidamento in custodia giudiziale o di un contratto di locazione senza conducente,
ma con varie esenzioni) di un veicolo per oltre 30 giorni da parte di un soggetto non
intestatario, salvo che la disponibilità richieda il possesso di titoli autorizzativi;
il rent to buy (formula contrattuale ammessa sia per le persone fisiche sia per quelle
giuridiche e poco diffusa; come per le case, consente di acquisire immediatamente
la disponibilità di un bene che sarà intestato ad altri, pagando un canone periodico e
subentrando nella proprietà al termine stabilito, previo pagamento del saldo);
le persone che hanno la disponibilità di veicoli intestati a soggetti giuridicamente
incapaci (i minori e gli interdetti, legali o giudiziali);
l’immatricolazione di veicoli con targa Polizia locale;
l’uso da parte di eredi dell’intestatario defunto (va annotato anche se non si intende
accettare l’eredità).
Per intestatario s’intende non solo il proprietario, ma anche il trustee (se il mezzo
fa parte del patrimonio di un trust), il locatore (nel noleggio), il nudo proprietario
(nell’usufrutto), l’acquirente con patto di riservato dominio, il locatario (nel caso del
leasing) e l’usufruttuario.
I MEZZI Gli obblighi riguardano tutti gli autoveicoli, i motoveicoli (quindi non i ciclomotori né i
quadricicli leggeri) e i rimorchi (compresi quelli di massa complessiva inferiore a 3,5
tonnellate).
I SOGGETTI Gli obblighi, quando previsti, sono a carico del soggetto che ha la disponibilità del
veicolo. Tuttavia questi può delegare per iscritto l’intestatario (e nel caso del noleggio
l’originale della delega può essere conservato dal noleggiatore, che presenta alla
Motorizzazione una sua dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà e una fotocopia
del documento di identità o di riconoscimento del dichiarante.
29
GLI ADEMPIMENTI Normalmente, occorre effettuare entro 30 giorni (da quando si verifica l’evento da cui
sorge l’obbligo) una comunicazione alla Motorizzazione (che la annota nell’Archivio
nazionale dei veicoli), dalla quale ci si fa rilasciare un tagliando di aggiornamento
da attaccare alla carta di circolazione. Per svolgere la pratica occorre versare 16
euro sul conto corrente postale 4028 (imposta di bollo) e 9 euro sul conto 9001
(diritti Motorizzazione). Ma in alcuni casi basta la comunicazione: non occorre
l’aggiornamento. Si tratta dei casi normali di noleggio (basta una ricevuta, che non si
deve nemmeno tenere a bordo e quindi la sua mancanza non può essere sanzionata in
caso di controllo su strada). Se invece si tratta di correggere errori o ci sono variazioni in
altri dati della carta, quest’ultima va ristampata ex novo.
30
DISTRIBUZIONE
Come stanno cambiando
le reti in Italia
/////
Luca Montagner
Senior Advisor Quintegia
Dopo diversi anni di turbolenza le reti di vendita e assistenza in Italia potrebbero
aver trovato un certo equilibrio e guardare al futuro con più ottimismo. Complice
la ripresa delle immatricolazioni, ma anche i nuovi assetti del mercato.
Nel 2014 il mercato automobilistico italiano, dopo 6 anni di flessione negativa, è tornato a
registrare una variazione positiva (+4,2% rispetto all’anno precedente), tuttavia le vendite
permangono a livelli minimi, che riportano ai volumi di 35 anni fa sotto quota 1,4 milioni. La
riduzione delle vendite di vetture nuove è il primo elemento che spiega la progressiva contrazione
delle reti distributive in Italia, quantificabile in un -47% a livello di numero di imprenditori
dal 2007, quando erano oltre 2.400, a fronte dei 1.280 censiti da Quintegia a gennaio 2015.
Seguendo una logica contrattuale anziché imprenditoriale, la riduzione è in proporzione meno
marcata ma comunque evidente: il numero di mandati e di ‘franchise points’ (ossia il numero
complessivo di marchi ospitati in tutte le sedi che fanno capo ai concessionari) si sono ridotti
di circa il 29% passando tra il 2007 e il 2015 rispettivamente da oltre 3.800 a circa 2.700
mandati e da 5.700 a meno di 4.200 ‘franchise points’, al fine di garantire comunque la migliore
copertura territoriale possibile. Nei prossimi anni non si dovrebbe assistere ad un ulteriore
consolidamento delle reti di vendita, potrebbe esserci un ulteriore assestamento solo per
31
alcuni marchi (che stanno completando ora la riorganizzazione). In linea di massima, quindi, la
configurazione attuale delle reti potrebbe rappresentare un nuovo equilibrio e probabilmente
i concessionari che sono rimasti potrebbero beneficiare di una eventuale ripresa del mercato,
essendosi ridotta notevolmente la concorrenza intra-brand. Anche sul fronte del post vendita vi
è stata un’importante riorganizzazione nel triennio 2013-2015, i punti complessivi di assistenza
(considerando sia le sedi dei dealer che quelle dei soli riparatori autorizzati) sono passati da circa
9.500 a poco più di 7.500, considerando i principali 34 marchi operanti in Italia. Queste 7.500
sedi di assistenza ospitano circa 10.700 brand, quindi mediamente in ogni punto di assistenza
vi sono 1,4 marchi, a fronte di un rapporto pari ad 1,3 registrato nel 2013. Questa riduzione è
ampiamente riconducibile alla riorganizzazione in atto presso alcune case automobilistiche,
in particolare quelle generaliste, e fra queste è il gruppo Fiat quello che nell’ultimo biennio ha
effettuato gli interventi maggiori, legati anche alla progressiva riduzione del parco circolante
più giovane. Anche nel post vendita è difficile ipotizzare un ulteriore consolidamento delle
reti di assistenza autorizzate, l’attuale numero sembra essere necessario per garantire una
sufficiente copertura territoriale, tendendo presente che nel service il cliente è difficilmente
disposto ad impiegare più di 30 minuti per portare la propria vettura in officina.
RETI AUTORIZZATE IN ITALIA
Ma in quale contesto si
colloca l’Italia? Risulta utile
Assistenza
Vendita
2013
2015
2007
2013
2015
parametrare
l’evoluzione
2.420
1.637
1.278
9.451
7.558
del mercato e delle reti
Punti assistenza
Imprenditori
distributive a quella dei
12.617
10.655
2.950
2.011
1.577
Franchise service point
Ragioni Sociali
principali mercati europei
3.850
3.292
2.727
4.434
4.065
di riferimento – Germania,
Mandati
…di cui dei dealer
Francia e UK – per
4.568
3.713
2.923
8.183
6.590
…di cui dei soli riparatori autorizzati
Punti vendita
comprendere se esistono
5.750
5.011
4.138
455
537
delle strategie o dei trend
Franchise outlet
Rivenditori autorizzati / agenti
comuni.
Come
risulta
Fonte: elaborazioni Centro Ricerche Quintegia. Sono escluse le filiali dirette di proprietà delle Case Automobilistiche.
evidente dalla figura riportata, in Germania, rispetto agli altri Paesi considerati, vi sono molti
MILANO, 15 GENNAIO 2015
#add15
più ‘franchise points’ (oltre 11.000),
seppure con
un trend in forte calo nonostante un mercato
caratterizzato da vendite piuttosto stabili (attorno ai 3 milioni di vetture nuove). La Francia,
che conta circa 5.800 ‘franchise points’ con delle vendite abbastanza costanti negli ultimi anni
intorno ai 2 milioni, ha subito una lieve contrazione dal 2012, quando erano circa 6.500, e ci si
attende un ulteriore consolidamento nei prossimo triennio. Nel Regno Unito, diversamente, le
reti autorizzate di vendita dopo una progressiva riduzione tra il 2007 e il 2010, si sono mantenute
stabili nell’ultimo quadriennio, in cui contemporaneamente le vendite hanno fatto registrare
un ottimo andamento fino alle immatricolazioni record fatte registrare nel 2014. Osservando le
vendite medie per ‘franchise point’, è possibile osservare un valore decisamente più elevato in
Evoluzione 2007-2015
32
UK, con quasi 550 unità, contro le circa 300 di Francia e Italia e le 265 fatte registrare in Germania.
È opportuno precisare, tuttavia, che le vendite medie in termini di segmento e brand sono
decisamente diverse nei vari mercati, quindi le 265 vetture mediamente vendute in Germania
equivalgono a circa 400 di quelle vendute in Italia, che per la maggior parte appartengono ai
segmenti A e B di brand generalisti. Vi sono poi notevoli differenze tra le vendite medie legate
al tipo di ubicazione del concessionario (area metropolitana, grande città, media città, area
periferica), tuttavia in tutti i casi e in tutti i mercati si assiste ad un progressivo aumento delle
vendite medie necessario per garantire la sostenibilità del business del dealer.
RETI AUTORIZZATE IN EUROPA
In Italia, come già detto, sembra
che l’organizzazione delle reti
di vendita e di assistenza abbia
4.000
Vendite medie
13.000
raggiunto il livello minimo di
3.500
12.000
copertura del territorio, con
3.000
11.000
265
…
una conseguente previsione di
2.500
7.000
stabilità per il futuro. Potrebbe
2.000
313
6.000
1.500
esserci, invece, una progressiva
298
5.000
1.000
riorganizzazione
in
chiave
4.000
547
500
qualitativa delle reti distributive
3.000
0
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014
nei prossimi anni, con un maggiore
Fonte: elaborazioni Centro Ricerche Quintegia su dati ECDH e altre fonti nazionali.
coinvolgimento dell’attuale sottorete. Infatti si può pensare ad un modello distributivo che sia
MILANO, 15 GENNAIO 2015
basato su una struttura di#add15
medie-grandi dimensioni
a ridosso dei centri urbani, in cui il cliente
possa vivere al massimo la ‘brand experience’ e nel quale sia esposta tutta la gamma con la
possibilità di effettuare test drive per ogni modello/versione. Nelle zone più periferiche, invece,
si potrebbe sviluppare di più un modello distributivo focalizzato sull’attività di assistenza che
potrebbe essere completata da un piccolo showroom dove il cliente potrebbe visionare solo una
parte della gamma ed effettuare dei test drive su prenotazione. Queste strutture potrebbero
essere una via di mezzo tra le attuali sedi secondarie dei concessionari e i riparatori autorizzati
che sono (per ora) solo parzialmente legati ai dealer. L’importante è ottimizzare l’organizzazione
e le risorse disponibili su ciascun territorio, facendo vivere al cliente la migliore esperienza
possibile. Questo obiettivo si traduce anche in una più forte collaborazione e sinergia tra
concessionari e riparatori autorizzati dello stesso brand che sono chiamati ad offrire al cliente
dei servizi quanto più simili in termini di qualità ed efficienza, senza trascurare la necessità di
garantire un’adeguata capillarità soprattutto in termini di assistenza post vendita.
Evoluzione Reti e Mercato 2007-2014
Franchise outlet…
Franchise outlet Francia
Immatricolazioni Francia
Franchise outlet Inghilterra
Immatricolazioni Inghilterra
Franchise outlet Italia
Immatricolazioni Italia
Migliaia
Immatricolazioni Germania
Dopo i recenti cambiamenti che hanno interessato molte reti distributive, i concessionari italiani
possono sperare in una graduale, anche se modesta, crescita delle vendite medie per punto
vendita, già tornate nel 2014 ai livelli del 2011 sia per i dealer focalizzati sui marchi generalisti
33
che per quelli orientati ai brand premium. Infatti, secondo le stime del Centro Ricerche di
Quintegia, le vendite medie per punto vendita nel 2014 sono state pari a circa 370 e 330 unità
per i dealer rispettivamente con un portafoglio generalista e premium, facendo registrare una
performance allineata a quella del 2011, anche se ancora lontane dalle quasi 500 e quasi 450
vetture nuove vendute mediamente per punto vendita nel 2007 (anno però caratterizzato da
un livello record di immatricolazioni).
VENDITE MEDIE EFFETTIVE DEI DEALER
Infine, per completare il quadro
della distribuzione auto in Italia,
Marchi specialisti
Marchi generalisti
sembra utile riportare alcuni dati
relativi al portafoglio brand degli
vendite medie (incluse vendite e filiali dirette)
vendite medie effettive dei dealer
imprenditori che operano in Italia,
guardando ai principali gruppi
automobilistici. Pur essendo
una fotografia statica (scattata
ad inizio 2014), è opportuno
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014
ricordare che negli ultimi anni il
Media 12 marchi (Fiat, Volkswagen, Ford, Renault, Opel,
Media 3 marchi (Audi, Mercedes, BMW)
Peugeot, Toyota, Lancia, Citroën, Nissan, Hyundai, Kia)
livello di multi-marchismo nel
Fonte: elaborazioni Centro Ricerche Quintegia.
portafoglio
degli imprenditori è cresciuto in misura significativa, seppure a livello di punti
MILANO, 15 GENNAIO 2015
#add15
vendita spesso solo i marchi
appartenenti alla stessa casa automobilistica (es. Fiat e Lancia,
Seat e Skoda, Nissan e Renault, ecc.) condividano lo stesso showroom. Anche se pure in questo
caso si osserva un graduale aumento degli showroom che ospitano marchi di diverse case
automobilistiche, normalmente si tratta di concessionari di marchi generalisti (soprattutto
Fiat) che hanno inserito marchi emergenti (esempio i coreani Hyundai e Kia).
Evoluzione Vendite Medie per Punto Vendita 2007-2014
600
600
500
500
488
400
400
445
372
300
314
300
329
270
200
200
100
100
0
0
Il grafico sottostante riporta gli imprenditori associati ai principali gruppi automobilisti,
distinguendoli tra imprenditori esclusivi (la barra verde, che indica la percentuale di dealer che
rappresenta solo un marchio), imprenditori multi-brand ma con marchi di un solo costruttore
(tre colori: giallo, arancione intermedio e arancione scuro, a secondo del numero di brand
rappresentati) e infine imprenditori multi-brand multi-costruttore (la barra rossa, che
evidenzia la percentuale di imprenditori che rappresenta marchi di più case automobilistiche).
Mediamente il 50% degli imprenditori all’interno di ciascuna singola rete sono multi-brand
multi-costruttore, le percentuali maggiori (vicino al 70%) interessano Kia-Hyundai,
Jaguar-Land Rover e Mercedes-Benz. Altre reti, in particolare quelle del Gruppo PSA e General
Motors, denotano invece una certa resistenza al multi-brand, infatti oltre il 50% degli
imprenditori (addirittura oltre il 60% nel caso del Gruppo PSA) rappresenta un solo marchio.
Le reti di Fiat-Chrysler e di Volkswagen Group sono, invece, in una situazione intermedia con
34
un’alta percentuale di dealer che rappresentano più di uno dei 4 marchi che entrambi i gruppi
distribuiscono in Italia.
MULTI-BRAND PER GRUPPO AUTOMOBILISTICO
Imprenditori concessionari per l’attività di vendita 2014
Concludendo è possibile ipotizzare
il seguente scenario per le reti
distributive in Italia nei prossimi anni:
Fiat Chrysler Automobiles
Volkswagen Group
Stabilità nell’organizzazione delle
attuali reti di vendita e assistenza
(con l’eccezione di pochi brand);
General Motors
Renault-Nissan
Gruppo PSA
Toyota Motor Italia
Mercedes-Benz
BMW-Mini
Progressiva crescita delle
Jaguar-Land Rover
vendite medie per punti vendita a
0%
20%
40%
60%
80%
100%
fronte di una graduale ripresa del
Esclusivi
Mono-Costruttore (2 brand)
Mono-Costruttore (3 brand)
Multi-brand/costruttore
Imprenditori del Gruppo
Mono-Costruttore (≥4 brand)
mercato (anche se le previsioni più
Fonte: elaborazioni Centro Ricerche Quintegia.
ottimistiche parlano di possibili livelli di mercato simili a quelli del 2011);
Hyundai-Kia
#add15
MILANO, 15 GENNAIO 2015
Progressiva contrazione del numero di imprenditori soprattutto per i marchi premium,
che in alcuni casi potrebbero arrivare ad uno o due gruppi imprenditoriali per regione (con
l’eccezione della Lombardia) capaci di gestire in modo efficace il territorio con diversi punti
vendita (questo modello, proprio con riferimento ai brand premium, è già sviluppato nel Regno
Unito);
Ulteriore crescita del multi-marchismo in termini di portafoglio brand imprenditoriale;
Modesto incremento del multi-brand a livello di punti vendita (dovrebbe riguardare
principalmente i marchi generalisti).
Da un punto di vista delle performance medie delle concessionarie, il graduale aumento delle
vendite medie per punto vendita e la minore concorrenza intra-brand dovrebbero avere delle
ricadute positive sui bilanci dei dealer, che negli ultimi anni hanno spesso registrato delle
perdite anche pesanti.
35
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36
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STR
ICO UIT
ECE
ONU
109
COMUNICAZIONE
La sicurezza è nelle tue mani
MARKETING
Come cambia la comunicazione
dei dealer
/////
Marco Di Pietro
CEO di Axed Academy
Dal web alla video-comunicazione nei punti vendita, i concessionari si stanno
rapidamente impadronendo dei nuovi sistemi per catturare il cliente. Ecco come
si sta modificando il modo di comunicare dei dealer e, di conseguenza, come sta
cambiando il ruolo del venditore
Comunicare i valori del Brand e le opportunità commerciali è un tema sensibile per tutte le
Case automobilistiche, specie in un momento in cui i budget di marketing sono più risicati:
oggi non basta più (perché è sempre meno efficace) la comunicazione convenzionale, che
serve solamente a rendere noto a un pubblico troppo variegato per essere definito “in target”
che un determinato brand presenta una determinata novità di prodotto. A costi, tra l’altro,
esagerati in relazione all’effettiva resa in termini di risultati di vendita, specie se il mezzo di
comunicazione è la televisione o la carta stampata. Anche perché il processo decisionale del
Cliente avviene ormai attraverso altri canali di informazione: il web, per esempio.
Internet, un canale strategico
In oltre il 90% dei casi, il momento della scelta d’acquisto avviene dopo avere consultato
internet. Il 76% degli acquirenti di automobili visita non meno di 4-5 siti prima di decidere
cosa e dove acquistare. Anche l’automotive, insomma, si è convertita al web, anche se in
37
leggero ritardo rispetto ad altri settori commerciali. Ormai sul web si cercano informazioni su
tutto ciò che si intende acquistare: in Italia nel 2013 il valore dei prodotti acquistati nel mondo
reale, ma dopo avere ricercato informazioni sulla rete, è arrivato a 17 miliardi di euro.
Se le Case costruttrici stanno convertendo fette sempre più cospicue dei loro budget verso i
canali di comunicazione digitale, a svantaggio di altri media più convenzionali, anche i dealer,
che sono ben più a stretto contatto con il Cliente, stanno vivendo questa rivoluzione, seppure
con maggiore sofferenza.
La stragrande maggioranza dei dealer, infatti, è ancorata a un modello di business vecchio
ormai un secolo che prevede una vendita soprattutto di “attesa”: ossia fino a poco tempo
fa era il cliente a recarsi in salone perché, oltre alle riviste di settore, era l’unico canale
presso il quale rifornirsi di informazioni. In sostanza, il venditore attendeva il compratore in
concessionaria e, di conseguenza soddisfaceva le sue esigenze di mobilità. Il sistema è durato
fino a quando l’afflusso spontaneo è stato sostenuto; quando, per la crisi economica, la
propensione all’acquisto è scemata, i saloni si sono trasformati in vere e proprie cattedrali nel
deserto. Rimanendo fossilizzati al vecchio sistema di approccio al cliente, nemmeno il dealer
più orientato alla customer satisfaction può ottenere risultati brillanti, perché il cliente di oggi
diserta le concessionarie, in quanto utilizza internet come canale prevalente di informazione
(info-commerce) e tende a scegliere (e poi magari ad acquistare) sul web (e-commerce). La
qualità del venditore si sta rapidamente trasformando in “reputazione on-line”, cioè il valore
di un’impresa commerciale sale o scende a seconda dei giudizi che i clienti esprimono sul web.
Tra l’altro, con una rapidità di variazione della reputazione che, in precedenza, era sconosciuta.
Per questo motivo, i dealer più lungimiranti hanno dovuto, giocoforza, modificare le proprie
abitudini commerciali. Da una vendita di attesa sono passati a una vendita di prospezione. Che
non significa che il venditore si sta trasformando in un commesso del porta a porta, bensì che
deve cambiare la propria organizzazione della giornata lavorativa.
Risposte rapide
Oggi il moderno consulente alle vendite dovrebbe passare una parte importante del suo orario
di lavoro nel comunicare con i potenziali clienti: attraverso il sito internet aziendale, dove
non appaiono soltanto le offerte promozionali, ma hanno una grande visibilità e rilevanza i
sistemi di comunicazione diretta: form di richiesta info, indirizzi e-mail dedicati, sistemi di
preventivazione, configuratori on-line. Il fattore tempo è strategico: se un potenziale cliente
richiede un’informazione, e riceve una risposta in meno di un quarto d’ora, è altamente
probabile che il cliente sia ancora connesso. Più si interagisce con lui, più è probabile che il
cliente si convinca a venire in concessionaria. E così si trova la risposta adeguata al calo degli
afflussi dei visitatori in salone.
Ma si ottiene anche un ulteriore risultato positivo: si contrasta “l’infedeltà” del cliente. Perché
la diffusione di internet ha creato una vera “piazza virtuale globale” che supera i confini del
38
mandato di zona. Se è vero che il proprio territorio di competenza è potenzialmente minacciato
da competitor che risiedono magari a centinaia di chilometri di distanza, è anche vero l’inverso: il
dealer può catturare clienti spaziando ovunque. Rapidità di risposta e competitività dell’offerta
sono le armi più efficaci del momento per qualsiasi attività commerciale: dicono le statistiche
che se un cliente non ottiene risposte in tempi rapidi, cambia il dealer nel 41% dei casi, e il
marchio a cui era fedele nel 35% dei casi.
Il web è una formidabile opportunità per conoscere nuovi clienti: quasi tutti i clienti consultano
internet prima di acquistare un’automobile. All’acquisto il compratore dedica un tempo medio
di 19 ore, il 60% delle quali è trascorso on-line.
Facebook, Twitter e Linkedin
Gli strumenti di comunicazione a costo zero come i social network rivestono ormai una parte
consistente dell’attività di comunicazione dei dealer. Meglio se questa comunicazione viene
effettuata direttamente dai venditori, attraverso la creazione di un proprio profilo sul web. Un
profilo professionale, ovviamente, da tenere ben distinto da quello privato. Cosa comunicare
ai propri contatti? Su internet bisogna prestare molta attenzione a non spingere troppo sugli
aspetti commerciali: via libera, invece, a inviti per test-drive, anteprime di lancio e iniziative
speciali. Sul web funziona molto bene, per esempio, fare leva sulla “scarsità”: serie limitate,
offerte a scadenza ravvicinata, dotazioni esclusive eccetera. Il linguaggio deve essere conciso,
rapido, efficace, moderno. Non tutti i venditori hanno il dono della sintesi (anzi…). Per questo
sarebbe opportuno che la comunicazione fosse gestita in modo centralizzato dall’ufficio
marketing della concessionaria. Twitter e Facebook sono ottimi con il cliente privato. Linkedin,
invece, è lo strumento principale per la comunicazione commerciale business.
La comunicazione sul web presenta un ulteriore vantaggio: è più facilmente misurabile in
termini di redemption. Mentre l’acquisto di spazi pubblicitari convenzionali (spot televisivi,
radiofonici, pubblicità cartellonistica e sui giornali) non permette di conoscere l’effettivo
numero dei contatti, la comunicazione su internet consente di sapere esattamente quanti
utenti hanno letto il messaggio, per quanto tempo ci si sono soffermati e, nel caso di “click
trough”, quanti sono atterrati su un’eventuale landing page di comunicazione commerciale.
Nuovi clienti e fidelizzazione
Conquistato il nuovo cliente, occorre fidelizzarlo. Il dealer deve comprendere che il proprio
portafogli clienti deve essere inserito in un sistema di CRM (customer relationship management),
ovvero un circuito virtuoso attraverso il quale il cliente viene periodicamente contattato, in
maniera “soft”. Non basta infatti ricordarsi del cliente (nel migliore dei casi) quando sta per
scadere il periodo del finanziamento, ma occorre renderlo partecipe degli avvenimenti della
concessionaria: nuovi lanci di prodotto, inaugurazioni di punti vendita ed eventi speciali sono
tutte occasioni per rinsaldare il rapporto, anche se non necessariamente il contatto si traduce
39
in un nuovo contratto (oggi, ma domani…). La piattaforma di CRM offre un valido supporto
anche alle attività di post-vendita: la fidelizzazione del cliente molto spesso passa proprio
attraverso l’offerta di servizi d’assistenza d’eccellenza.
L’importante è che il cliente sia sempre sollecitato a esprimere la propria opinione di gradimento:
il “like” sul web è ormai diventato il principale strumento di misurazione della reale customer
satisfaction, ben di più dei questionari di gradimento che le Case costruttrici inviano ai nuovi
clienti e che al dealer servono principalmente per ottenere bonus provvigionali. E il numero di
“mi piace” è una formidabile leva di marketing.
Catturata l’attenzione del cliente e dopo averlo attirato in concessionaria (o in officina), occorre
utilizzare altri sistemi di comunicazione innovativi. Che non necessariamente prevedono il
contatto diretto. La video-comunicazione nei punti vendita, per esempio, è un sistema molto
efficace. Maxi-schermi dislocati in punti strategici di passaggio possono veicolare ai visitatori
messaggi molto mirati: comunicare i “valori” della concessionaria, i diritti del cliente e anche,
ovviamente, le offerte in vigore. Occorre considerare che il cliente che passeggia in salone e,
più ancora, il cliente in attesa di un intervento in officina, è un consumatore con una forte
propensione all’acquisto. Se il palinsesto della video-comunicazione è correttamente tarato,
è estremamente facile innalzare lo scontrino medio dell’officina. Per esempio, se un cliente è
in sala d’attesa mentre l’auto è sottoposta al tagliando, comunicare sul video che è in vigore
una campagna promozionale sulle spazzole tergicristallo, piuttosto che un’offerta “4x2” sugli
pneumatici invernali porterà sicuramente un incremento del fatturato di vendita in officina.
Senza contare che il cliente in attesa potrebbe essere contattato da un venditore del nuovo per
un’eventuale offerta, oppure per un test-drive su un nuovo modello d’auto.
40
IMMOBILI
La riforma del catasto:
cosa cambierà nelle tassazioni
/////
Saverio Fossati
Giornalista de Il Sole 24 Ore
Con la riforma prevista dalla delega fiscale arriverà una revisione generale delle
stime, delle rendite e dei valori catastali. Il gettito complessivo di tutte le imposte
immobiliari dovrebbe rimanere invariato, ma la loro diversa distribuzione
potrebbe rivelarsi problematica.
Il nuovo catasto andrà a colpire pesantemente gli immobili usati per le concessionarie
automobilistiche, ma anche le imposte già esistenti (l’Imu anzitutto) sono già decisamente gravose.
Il problema nasce dall’inquadramento catastale di quella tipologia: vanno accertati nella categoria
D/7 i locali utilizzati dai concessionari d’auto se questi locali comprendono attrezzature specifiche
per le operazioni di manutenzione degli autoveicoli; il che avviene molto spesso. Stesso discorso
per i magazzini e i locali di deposito se di superficie superiore a 200 metri quadrati.
Ma cosa vuol dire categoria D/7 o meglio, più in generale, categoria D? Questa particolare
classificazione fa sì che i valori catastali vengano attribuiti su “stima diretta” da parte dei tecnici
del catasto o dai professionisti (pagati dai proprietari) , stime che, in quest’ultimo caso, vengono
poi validate dall’agenzia delle Entrate. Non si tratta quindi, come avviene, per esempio, con le
abitazioni, di valori “a vano” spesso assai minori di quelli di mercato ma di valori che di fatto sono
(o erano) “veri”, almeno nel momento in cui vengono assegnati.
Perché i valori catastali sono un problema fiscale? Semplice: è proprio su questi valori che vengono
41
calcolate quasi tutte le imposte sul possesso e sul trasferimento degli immobili: Imu, Tasi, registro,
ipotecarie e catastali, Irpef e Ires, per citare le più note. Un’occhiata alla tabella riportata in calce fa
capire cosa può succedere: dall’Ici all’Imu +Tasi dello scorso anno le imposte sono, nella migliore
delle ipotesi, raddoppiate, ma a Milano, per esempio, sono triplicate. I valori di stima attribuiti agli
immobili inseriti nella categoria D, sono quindi, uno strumento pericolosissimo nelle mani del fisco.
Ciò che stupisce, però, sono, come del resto per le altre tipologie immobiliari, le sperequazioni:
immobili identici, in zone commercialmente analoghe ma in città diverse, possono valere assai di
più (o di meno, a seconda dei casi). Questo perché le stime sono state fatte quando determinate
zone erano in periferia e ora sono diventate commerciali, e viceversa. E ottenere che il catasto
riconsideri il tutto è di fatto impossibile.
Crolli veri o “provocati”
Ma il peggio è quando l’immobile resta sfitto o inutilizzato: le imposte vanno pagate ugualmente e
senza sconto. Quali sono le strategie che alcuni mettono in atto per ridurre o azzerare l’impatto?
Negli ultimi anni c’è stata una vera e propria corsa ad accatastare gli edifici diroccati come unità
«collabenti» (F/2): una categoria senza rendita catastale, che in molti casi permette di azzerare
il conto di Imu e Tasi. Alcuni Comuni, però, anche quando l’edificio è ridotto a un rudere, chiedono
comunque di pagare l’imposta sull’area edificabile. Sta di fatto che, secondo le Entrate, tra il 2012
e il 2013 le unità accatastate come «collabenti» sono aumentate del 12,4%, da 373mila a 420
mila. Tra questi molti sono ex capannoni in disuso, magari impossibili da affittare in tempi di crisi: i
proprietari, stanchi di pagare migliaia di euro di Imu all’anno, hanno deciso di rimuovere il tetto per
tentare di riaccatastare l’unità in F/2. Certo, la soluzione va sempre valutata bene, anche perché
scoperchiare un immobile non è una cosa da poco e richiede spesso un permesso edilizio anche se
abitualmente viene fatto di nascosto.
Il riaccatastamento, invece, fatto per ottenere la variazione della stima iniziale (mantenendo
sempre la categoria D/7 oppure un’altra categoria D), va proposto dal contribuente - tramite un
tecnico - e non è detto che venga accettato dall’Agenzia. Servono condizioni oggettive di degrado
o modifiche strutturali, e anche in questo caso ogni intervento sul fabbricato deve passare per lo
sportello comunale per l’edilizia, che potrebbe anche vietarlo, contestare un abuso edilizio o una
violazione nello smaltimento materiali.
La soluzione estrema, poi, è l’abbattimento. Secondo i dati di Confedilizia, in alcune province le
schede di demolizione sono in aumento anche del 20% in un anno. Di certo, dove non ci sono
interventi sull’edificio, ritoccare la rendita al ribasso è praticamente impossibile.
Unica alternativa alla modifica catastale è il riconoscimento dell’inagibilità, che non azzera ma
dimezza la “base imponibile” Imu e Tasi (e quindi anche le imposte). Ma qui entrano in gioco le
regole locali che disciplinano le specifiche condizioni di inagibilità e che - in genere - sono piuttosto
severe: la mancanza di utenze o di servizi sanitari non basta, deve piuttosto trattarsi di edifici che
non potrebbero essere abitati senza una pesante risistemazione.
42
Il nuovo catasto
Ultimo, preoccupante capitolo è quello della riforma del catasto, prevista dalla legge delega
23/2014 (la “delega fiscale”): su tutti gli immobili (non solo quelli della categoria D) pende una
revisione generale delle stime, delle rendite e dei valori catastali che devono essere aggiornate
ai valori di mercato, con la conseguenza che le “basi imponibili” potrebbero tranquillamente
raddoppiare (ma, in certi casi, anche diminuire). La legge delega prevede che il gettito complessivo
di tutte le imposte immobiliari resti invariato. Belle parole, ma all’atto pratico bisogna vedere quali
saranno le aliquote Imu e Tasi a diminuire. Per fare un esempio, se nel Comune di Roccapiccola
l’aliquota Imu sulle abitazioni è dell’1,06% e sugli immobili di categoria D del 9%, a fronte di un
raddoppio generale dei valori, si potrebbe ridurre allo 0,3% l’aliquota Imu sulle abitazioni e solo
all’8% quella sugli immobili D, ottenendo lo stesso gettito ma ben diversamente distribuito. Ecco
il rischio che sta dentro alla riforma del catasto (che dovrebbe concludersi a fine 2019).
Confronto tra l'Ici 2011 su un immobile di categoria D/7 e l'importo dovuto nel 2014 per Imu e Tasi. Il calcolo si basa
sulla rendita catastale media nazionale (circa 6.000 euro), cui vengono applicate le aliquote delle imposte vigenti nei
vari comuni capoluogo di provincia. Importi in euro.
Città
Ici 2011
Imu + Tasi
Var.% 2014
Agrigento
1.971
4.655
136
Alessandria
2.267
4.527
100
Ancona
2.299
4.527
97
Aosta
1.314
3.673
180
Arezzo
2.201
4.356
98
Ascoli Piceno
2.299
4.527
97
Asti
2.299
4527
97
Avellino
2.299
4.484
95
Bari
2.299
4.527
97
Belluno
2.299
3.886
69
Benevento
2.299
4.527
97
Bergamo
2.299
4.527
97
Biella
2.299
4.527
97
Bologna
2.299
4.527
97
Brescia
2.135
4.868
128
Brindisi
2.299
4.868
112
Cagliari
1.642
4.527
176
Caltanissetta
2.299
4.569
99
Campobasso
2.267
4.527
100
Caserta
2.299
4.527
97
Catania
2.267
4.527
100
Catanzaro
2.299
4.527
97
Chieti
2.299
4.527
97
Como
2.168
3.246
50
Cosenza
2.299
4.527
97
43
Crotone
2.299
4.868
92
Cuneo
2.299
4.100
112
Enna
2.135
4.868
67
Ferrara
2.299
3.843
97
Firenze
2.299
4.527
97
Foggia
2.299
4.527
97
Forlì
2.299
4.527
97
Frosinone
2.299
4.527
97
Genova
2.299
4.527
41
Gorizia
2.299
3.246
97
Grosseto
2.299
4.527
112
Imperia
2.299
4.527
97
Isernia
2.135
4.527
78
L’Aquila
2.299
4.100
97
La Spezia
2.299
4.527
97
Latina
2.299
4.527
160
Lecce
2.299
4.697
100
Lecco
1.807
4.527
78
Livorno
2.267
4.100
110
Lodi
2.299
4.484
151
Lucca
2.135
4.527
97
Macerata
1.807
4.527
97
Mantova
2.299
4.527
82
Massa
2.299
4.185
97
Matera
2.299
4.527
97
Messina
2.299
4.527
97
Milano
1.642
4.868
196
Modena
2.299
3.673
60
Napoli
2.299
4.527
97
Novara
2.299
4.527
97
Nuoro
2.299
4.527
97
Oristano
2.299
3.971
73
Padova
2.299
4.441
93
Palermo
2.299
4.527
97
Parma
2.299
4.527
97
Pavia
2.299
4.527
97
Perugia
2.299
4.527
97
Pesaro
2.299
4.100
78
Pescara
2.299
4527
97
Piacenza
2.299
4527
97
Pisa
2.299
4313
88
Pistoia
2.299
4.527
97
Pordenone
1.807
3.779
109
Potenza
2.299
4.868
112
Prato
2.037
4.527
122
44
Ragusa
2.135
3.246
52
Ravenna
2.168
4.270
97
R. Calabria
1.840
4.527
146
R. Emilia
2.299
4.100
78
Rieti
2.299
4.783
108
Rimini
2.299
4.441
93
Roma
2.299
4.868
112
Rovigo
2.299
4.527
97
Salerno
2.299
4.527
97
Sassari
1971
4484
128
Savona
2.299
4.783
108
Siena
2.299
4.783
108
Siracusa
2.299
4.527
97
Sondrio
2.234
4.612
106
Taranto
2.299
4.527
97
Teramo
2.299
4.527
97
Terni
2.299
4.484
95
Torino
1.971
4.527
130
Trapani
1.971
4.527
130
Trento
1.971
3.984
102
Treviso
2.299
4.783
108
Trieste
2.299
4.527
97
Udine
1.971
3.673
86
Varese
2.135
4.527
112
Venezia
2.299
3.459
50
Verbania
2.135
4.527
112
Vercelli
1.971
4.527
130
Verona
2.299
4.868
112
V. Valentia
2.299
4.527
97
Vicenza
2.299
3.587
56
Viterbo
2.135
4.399
106
45
L’INTERVISTA
Paolo Daniele: “Nuovi modelli e rete ad
alta qualifica per il mercato Business”
/////
Marco Di Pietro
CEO di Axed Academy
Il Direttore Vendite Flotte Jaguar-Land Rover Italia ci parla delle strategie del
gruppo per il segmento professional, che includono l’introduzione di nuove
vetture ma anche la ridefinizione della struttura commerciale e della rete di
assistenza post-vendita.
l mercato delle flotte aziendali e delle vendite a professionisti e artigiani è in forte crescita:
nel 2014 ha sfiorato una quota del 40% sul totale delle immatricolazioni in Italia. Costruttori
e concessionari si stanno strutturando per meglio rispondere alle esigenze di questa tipologia
di clienti, che necessitano di strategie commerciali dedicate, perché profondamente differenti
rispetto a quelle dei privati.
L’arrivo di nuovi prodotti è l’occasione per molte Case per rinnovare la propria organizzazione
commerciale Business. È il caso, per esempio, di Jaguar Land Rover, che ha sulla rampa di
lancio due nuovi modelli fondamentali per i volumi dei due brand e, soprattutto, che sono
molto “business oriented”, perché destinati prevalentemente a un’utenza aziendale: Jaguar
“XE” e Land Rover Discovery Sport. Quest’ultima arriva a inizio 2015, mentre la “baby” Jaguar,
di cui sono già disponibili i listini ufficiali, sarà in consegna nella tarda primavera. Saranno due
modelli che faranno crescere sensibilmente le vendite di JLR e dunque avranno un impatto
46
significativo sulla rete di vendita, che necessita di un approccio al cliente maggiormente
strutturato. Autopromotec News ne ha parlato con Paolo Daniele, il Direttore Vendite Flotte di
Jaguar Land Rover Italia.
Le novità di Jaguar Land Rover del 2015 aprono nuove prospettive di mercato:
quali sono?
Per apprezzare le motivazioni che ci hanno condotto a realizzare i due nuovi modelli, occorre
innanzitutto inquadrare il mercato di riferimento, che è quello dei prodotti Premium di fascia
medio-alta, un mercato che in Italia è costituito da liberi professionisti, quadri e dirigenti
d’azienda del segmento PMI (piccole e medie imprese) e dagli “user-chooser” delle grandi
aziende, ovvero coloro che hanno tra i loro benefit l’auto aziendale. Un mercato in crescita
che oggi è dominato dai costruttori tedeschi (Audi, BMW e Mercedes) e che si distribuisce
principalmente su due tipologie di vetture: in primo luogo le berline e station-wagon (anche
se sarebbe più corretto definire queste ultime come “sportwagon”, perché non è la capacità
di carico il primo elemento di distinzione, bensì le prestazioni e il piacere di guida unite alla
maggiore versatilità) e in secondo luogo le suv/crossover. In quest’ultimo ambito, Land Rover
è già il benchmark del mercato con Freelander ed Evoque e, a crescere di segmento, con
Discovery, Range Rover Sport e Range Rover Classic. Per comprendere quanto siano apprezzate
in Italia le Land Rover, basta pensare che il suv di fascia alta Range Rover Sport è, secondo le
classifiche di Dataforce, al nono posto assoluto tra i modelli più acquistati dalle aziende che
comprano direttamente le proprie automobili. La Freelander da quest’anno viene sostituita
dalla Discovery Sport, che abbina le capacità di disimpegnarsi in fuoristrada tipica di tutte le
Land Rover a uno stile più “cool” che riprende, anzi, enfatizza gli stilemi dell’Evoque. Tra le
auto con carrozzeria più “tradizionale”, Jaguar fa invece debuttare XE, una berlina Premium
a quattro porte dalle accentuate caratteristiche sportive, che è un vero e proprio concentrato
di innovazione e primati tecnologici, anche rispetto ai competitor che sul mercato vantano
solitamente una riconosciuta supremazia tecnica: utilizzo esteso dell’alluminio per contenere
massa, emissioni e consumi, e per raggiungere prestazioni di alto livello, ma soprattutto i nuovi
motori della famiglia “Ingenium”, per i quali Jaguar Land Rover ha realizzato un apposito nuovo
impianto produttivo. Con un livello di emissioni di soli 99 grammi/km di CO2, questi propulsori
rappresentano lo stato dell’arte del segmento. Jaguar XE conserva inoltre tutte le peculiarità
insite nel dna Jaguar: classe, finiture esclusive, alte possibilità di personalizzazione.
Forma e sostanza sembrano essere le caratteristiche peculiari della nuova XE.
Ma sotto il profilo dei costi d’acquisto e di gestione, elementi fondamentali per il
mercato flotte?
Nel progettare e realizzare la XE, ci siamo concentrati anche su questi aspetti: il livello di
emissioni da record nella categoria permette alla XE diesel di contenere i consumi, i nuovi
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motori necessitano di manutenzione molto limitata e dilatata nel tempo, il che si traduce in
costi d’esercizio molto bassi. Il Total Cost of Ownership, ossia il parametro fondamentale per
gli utenti di flotta, è estremamente contenuto, anche perché supportato da un valore residuo
nell’usato tra i migliori della categoria, come risulta dalle analisi specifiche che abbiamo
chiesto in anteprima ad Eurotax International. La “tenuta” dell’usato è stata il frutto di un
intenso lavoro di studio sul posizionamento del prezzo di vendita e sulla dotazione di serie:
questo ci ha permesso, in fase di prelancio, di proporre un’offerta di noleggio a lungo termine
molto aggressiva: 599 euro/mese per 4 anni e 100.000 km di percorrenza complessivi. Senza
anticipo e con una dotazione di servizi completa.
Passando dal prodotto alla rete di vendita, quali sono le novità che
accompagnano i nuovi modelli?
Auto di volume hanno richiesto una ristrutturazione del modello distributivo, che tuttavia
rimane impostato secondo lo schema precedente. La vendita alle grandi aziende e alle società
di noleggio avviene, come in precedenza, direttamente attraverso la struttura commerciale
direzionale, ovvero quella che dipende dal sottoscritto. Però abbiamo rinforzato la forza
vendita degli account direzionali, che gestiscono i contatti con i nostri clienti diretti: imprese di
grandi dimensioni, multinazionali ed enti pubblici. Per il pre-lancio abbiamo organizzato eventi
dedicati, seminari, workshop e round tables per comunicare le caratteristiche dei nuovi modelli
e per far effettuare i primi test-drive. Sul versante PMI e professionisti, abbiamo ristrutturato la
rete di distribuzione dei dealer ufficiali, creando una ventina di “punti di eccellenza” che hanno
strutture specifiche per seguire i clienti aziendali. All’interno delle concessionarie operano
dei “business specialist”, ossia consulenti di vendita appositamente formati per rispondere
alle esigenze della clientela business. La vendita a professionisti e alle aziende non è una
vendita “di attesa”, ma è costituita da una importante attività di prospezione esterna: sono gli
specialist che si recano presso le sedi dei potenziali clienti, come conseguenza di un’attività
di geo-referenziazione del bacino di utenza, che analizza dati economico-finanziari delle
imprese e sul parco auto attuale. Un contact center esterno provvede al contatto con i clienti
e organizza le visite commerciali dei consulenti e i test-drive. Il tutto mediante l’utilizzo di
sistemi di gestione innovativi, quali un’agenda elettronica degli appuntamenti condivisa tra i
dealer e la direzione vendite, che permette il monitoraggio degli appuntamenti, delle trattative
e delle vendite; configuratori, preventivatori e comparatori fiscali on-line che sono disponibili
su mobile device (iPad), che consentono di condurre la trattativa anche lontano dalla sede
della concessionaria. Ai 20 dealer specializzati, si affianca poi un livello superiore: i Business
Center. Che sono tre punti di eccellenza che, di fatto, affiancano Casa madre nella gestione
della clientela aziendale, e che operano nelle zone a grande densità industriale: Torino per
l’area nord-ovest, Milano per la zona del capoluogo lombardo, e Padova per il nord-est.
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Oltre all’offerta specifica per XE, quali soluzioni per il noleggio a lungo termine,
una formula d’acquisizione sempre più gradita alle aziende?
Abbiamo un nuovo partner captive sul noleggio, che è ALD Automotive, che mette a disposizione
della rete un preventivatore di renting che consente di “quotare” tutti i nostri modelli in tempo
reale. Vale la pena di sottolineare, però, che Jaguar Land Rover ha accordi quadro con tutte le
principali società di noleggio, che quindi sono in grado di formulare offerte su ciascun modello
della gamma dei due brand. Oltre al noleggio, la finanziaria di Casa madre può proporre,
attraverso i dealer ufficiali, ulteriori soluzioni d’acquisto specifiche per le aziende, quali il leasing
finanziario e i finanziamenti con maxi-rata finale, che diventano particolarmente interessanti
sulle versioni Business, specifiche per alcuni modelli in gamma.
Infine l’Assistenza, la cui organizzazione riveste un ruolo fondamentale per chi
utilizza l’auto per lavoro.
Per il lancio dei nuovi modelli stiamo realizzando assieme alla Direzione Post-Vendita delle
offerte di pacchetti di manutenzione pre-pagata e di estensione di garanzia. Questo sul
versante commerciale. Su quello organizzativo, ci stiamo attrezzando per meglio rispondere
alle necessità di un cliente per il quale il fermo-macchina deve essere il più contenuto possibile
e deve arrecare il minimo disagio: dunque corsie preferenziali in assistenza e linee d’intervento
dedicate al Business, servizi di presa e riconsegna dell’auto, maggiore disponibilità di vetture
sostitutive ed orari di apertura più estesi degli impianti di post-vendita.
49
Homo faber fortunae suae
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N° 2 - Gennaio 2015
Direttore editoriale: Nicola Giardino
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Hanno collaborato a questo numero: Nicola Amoruso, Maurizio Caprino, Marco Di Pietro,
Aldo Ferrara, Saverio Fossati, Franco Marzo, Luca Montagner, Matteo Prioschi.
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