VIAGGI | Tibet
VIAGGI | Tibet
DIARIO TIBETANO
da un Sri Kailash Tibet gruppo Da Re
Testo di Marisa Da Re
Foto di Alice Stewart
16/05/13 - Katmandu – Lhasa
Oggi da Katmandu
c’è l’aereo per
Lhasa; bene o male ho riposato 6 ore.
Colazione fatta e bagagli scesi dal V piano;
partiamo alle 8 e dopo poco siamo all’aeroporto,
non c’è gente per le strade, è presto.
Con Vanna andiamo a fare le FTC e poi ci
posizioniamo agli arrivi, incrociando le dita
per il suo bagaglio, che ieri non è arrivato. Alle
9.15 Amresh non è ancora qui, gli telefono e si
materializza con Patrizia alle 9.30: anche lei
aspetta tre bagagli. Per fortuna l’aereo proveniente
da Delhi atterra puntuale alle 9.20: do un originale
del visto a Giovi così loro tre possono imbarcare.
Poi affannosamente cerchiamo, ma nulla sul
I scarico. Io sono pessimista: invece con il II
carico ecco materializzarsi il semovente verde di
Vanna!!!!!!!!! Corriamo al check in: Vanna è risorta
(anch’io).
Il volo è in ritardo, partiamo alle 13 e
arriviamo alle 14.15, che per il fuso sono in realtà le
16.30; dall’aereo vediamo le splendide montagne,
l’Everest in primis, è una giornata magnifica.
Incontriamo la guida e gli autisti, i controlli
sono stati blandi, cercavano la Lonely Planet,
comunque Giovi è stata brava perché le hanno
aperto il bagaglione e lei ha dirottato su cibo e
vestiario. Ci portano al New Mandala hotel, poi
io vado a discutere con Tashi della TIST: la già
conosciuta mrs Peldon non c’è, è al Kailash, ma
mr. Tashi ha preparato tutto secondo il mio ultimo
programma! C’è il viaggio all’Everest Base Camp,
il giro al Manasarovar, avremo sempre guest
house, pensione completa fuori Lhasa e ingressi.
Cerco inutilmente di farmi fare un qualche sconto.
Cena ottima con superbo maiale sweet and sour
al vecchio ristorante cinese, dove andavo quattro
anni fa, per 125 yuan in 5!
tibetano da Drepung a qui ed
in soli tre anni venne realizzato
il Kharpo Podrang o Palazzo
Bianco. Qui c’è sempre stata
la parte “politica” del potere
tibetano, con la Sala del Trono
e quella dei Ricevimenti, oltre
alle stanze private dei vari
dalai lama. Lasciamo i pochi
turisti nel cortile e con grande
fortuna
visitiamo la parte
rossa, religiosa, praticamente
senza nessuno, così la nostra
guida Tsetan può spiegarci con
comodo!
Oltre la cappella dei Preziosi
Mandala Tridimensionali, ornati
di gioielli e perle, molto speciali
sono state le due cappelle più
antiche, risalenti addirittura al
vecchio palazzo di Songtsen
Gampo: la cappella di Arya
Lokeshvara, che custodisce
la statua di legno di Arya,
e la camera dove meditava
Songtsen Gampo, di cui c’è
anche la statua.
Naturalmente anche la Sala
delle Riunioni con il trono del chiacchierato
VI Dalai Lama non può lasciare indifferenti.
Ho proprio assaporato questa visita, le altre
volte c’era sempre molta gente e si vedeva
ben poco.
All’uscita siamo quasi travolti
dall’orda di pellegrini che stanno compiendo
il Grande Kora, non ne avevo mai visti tanti
insieme e certo non camminano piano, ma è
il Saga Dawa, il mese più “sacro” dell’anno.
Rientro alle 11.15 in hotel, subito alla Bank of
China per cambiare, quindi andiamo al Barkhor,
il circuito intorno al Jokhang, “delimitato” in un
certo senso dai quattro incensieri di pietra, due
situati in fronte e due dietro al tempio. Pellegrini
e turisti compiono il classico giro in senso orario,
soffermandosi qua e là per comprare qualcosa o
semplicemente per chiacchierare. Tutto il quartiere
è in subbuglio perché stanno facendo fognature e
interrando i fili dell’elettricità, ma la vita continua
Tibet
17/05–Lhasa
Colazione alle 7.30 dopo una notte infernale; per
fortuna ad un certo punto ho preso un’aspirina ed
ho dormito un po’ rilassata.
Alle 8.30 visita Potala, pioviggina e fa fresco.
Fu il re Songtsen Gampo costruire un palazzo
ancora nel VII secolo proprio su questa collina,
che domina la città. Il Grande Quinto, a metà del
XVII sec., decise di trasferire la sede del governo
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imperturbabile, a dispetto anche dei gruppi di
poliziotti presenti ogni 50 metri. Siamo finalmente
davanti al Jokhang, il tempio più venerato del Tibet:
Songtsen Gampo lo costruì nell’VIII secolo, contiene
la statua di Sakyamuni a 12 anni (Jowo), che la
moglie del re Wengchen recò dalla Cina, anche se
in origine doveva ospitare la statua Akhshobhya,
portata in dote dalla moglie nepalese Brikuti Devi.
Passato il controllo dei metal detector, si entra
nella piazza, che è relativamente recente, del
1885, forse è così ampia perché in caso di
sommosse e scontri, già verificatisi nel 1998 e nel
2008, possano entrare i carri armati! Il Jokhang é
un luogo di grande fascino: dall’alba a notte fonda
decine di fedeli si prostrano inginocchiandosi
e toccando la terra con la fronte, nulla sembra
esistere per loro tranne la fede.
Dopo le foto di rito, entriamo e con calma facciamo
il classico giro, riuscendo a vedere la preziosa
statua nella sala decorata con grosse campane.
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Avventure nel mondo 1 | 2014 - 39
VIAGGI | Tibet
Non contenta, chiedo a Tsetan di portarci
al Ramoche, l’altro importante monastero
contemporaneo del Jokhang. In realtà era questo
che doveva contenere Jowo Sakyamuni, ma poi
Wencheng, temendo che la statua potesse essere
trafugata, la scambiò con quella di Akhshobhya.
Questo gompa era il Collegio Tantrico Superiore di
Lhasa, forse per questo ha subito pesanti danni a
opera delle Guardie Rosse durante la Rivoluzione
Culturale. Anche questo quartiere è una baraonda
sempre per i lavori sulla strada, ma all’interno
del Ramoche c’è silenzio e raccoglimento .
Poi ci facciamo un bel giro al quartiere muslim,
dove c’è un ricco mercato di frutta e verdura, più
alcuni forni in funzione, la bottega dove si carda la
lana, quella dei mobili tipici tibetani, il venditore
dei vermi, insomma rilassante, senza fretta.
Il Gurkha hotel è sempre bello e il solito negozio di
antiquariato ha cose apprezzabili!
Ceniamo all’White Elephant, prendo il diamox
come già le sere precedenti, ma anche mezza
aspirina.
contro l’aristocrazia favorevole ai maestri bon. Da
notare che questi personaggi indossano i cappelli
rossi dei Nyngmapa ed infatti il gompa appartiene
a quest’ordine.
Facciamo il primo Kora, ammirando le pareti
affrescate, anche se si vede poco; poi entriamo,
attraverso le Tre Porte della Liberazione, nella
Cappella Iowo Khang, la più venerata, ci sono i
dieci Boddhisatva e un protettore per lato, quindi
bel gongkhang con Palden Lhamo, Mahakalla
ecc. ecc. coperti per non irradiare la loro grande
forza. C’è un grosso viavai di pellegrini con le loro
buste di burro, la tsampa e i soldi da mettere su
ogni statua o da dare ai monaci perché preghino;
c’è da ricevere la benedizione, da esprimere un
voto……
Saliamo al II piano e quasi Alice si snoda una
spalla: per fortuna che nel gruppo di Patrizia c’è
un ortopedico! Osserviamo bene l’affresco che
raffigura il Grande Quinto con Gushri, il khan
mongolo, in posizione di inferiorità; visitiamo gli
appartamenti del Dalai Lama, il Suo trono: questa
è la parte cinese, come la madre di Tritsong,
mentre a pianterreno la struttura del monastero è
tibetana e al terzo è di stile indiano.
Uscite dal gompa, sentiamo voci provenienti
da una costruzione non molto grande: entriamo
e altra cerimonia con almeno 40 monaci.
Abbiamo tempo solo sino alle 15, quindi giriamo un
po’ velocemente; ci sono due nuovi grandi stupa
molto belli, svariate altre costruzioni e soprattutto
è stato completato il muro di cinta circolare, che
ci ricorda che Samye è in realtà un mandala!
Thè verde carissimo fuori dal recinto sacro, qui
veramente tutto è cambiato non dico dal 1986,
prima volta in cui fortunosamente giunsi, ma dal
2009! Ci sono persino alcune case ed una guest
house, sarebbe bello poter dormire qui, in questo
posto dimenticato dal turismo di massa, pieno di
suggestioni e di atmosfera!
La partenza in barca è alle 16, impossibile non
essere conquistati dal paesaggio: la montagna
sgretolata si trasforma in sabbia; l’acqua dello
Yarlung Tsang Po ha mille riflessi; in lontananza
cime innevate di fresco; il cielo è percorso da veloci
nuvole bianche…….. arrivo alla sponda opposta
alle 17 e quindi a Lhasa alle 19. Rifacciamo il
Barkhor, compro una tromba tibetana al solito
negozio e buona cena al New Mandala restaurant.
Tibet
18/05–ASamye…..
Notte discreta e 7.30 colazione. Partiamo
lentamente e proseguiamo ancor più piano, tanto
che, arrivati all’imbarcadero, vediamo la barca con
l’altro gruppo già nello Tsang Po.
Tornano gentilmente indietro per caricarci,
qualcuno di noi ha avuto tre scariche micidiali.
Il paesaggio è magnifico, siamo in barca con due
donne e un uomo tibetani; quest’ultimo beve
abbondantemente un distillato alcolico, che
assaggiamo anche noi, simil grappa.
Ci vuole un’ora e mezzo perché viaggiamo
contro corrente: finalmente alle 12.30 siamo
all’altra sponda, pulmino ed eccoci al monastero.
Entriamo nell’Utse: é’ in atto nella sala delle
Adunanze una grande cerimonia, che durerà tutto
il giorno; è il Saga Dawa, il IV mese lunare, mese
in cui Buddha è nato, ha ricevuto l’Illuminazione
ed ha lasciato il suo corpo. Ci muoviamo
sommessamente: una cinquantina di monaci
pregano e suonano tutti gli strumenti cembali,
trombe piccole e lunghe, conchiglia, campanella,
tamburi! Sulla parete sx, oltre all’ingegnere
TangTong Gyelpo, il costruttore di ponti, vi sono
le statue del maestro indiano Shantarakshita, di
Padmasambava e del re Tritsong Detsen. Questa fu
infatti la “trilogia” artefice del monastero: Tritsong
Detsen era il re che nella seconda metà dell’VIII
secolo tentava di costruire il monastero, ma di
notte i demoni bon distruggevano quanto edificato.
Allora lui chiamò dall’India Padmansambava (o
Guru Rimpoche), il magico, il grande predicatore,
colui che poteva tutto! Padmasambava, il cui
maestro era appunto Shantarakshita, sconfisse
i demoni bon nella famosa gara sulla collina di
Hepo-ri e il monastero potè essere finalmente
costruito. Questo significò anche la vittoria politica
del re, che voleva il buddismo religione di stato,
40 - Avventure nel mondo 1 | 2014
19/05–Ganden e Drepung
Oggi abbiamo un lungo percorso, quindi
colazione
alle 7 e alle 8 partenza per
Ganden, di cui iniziamo la visita alle 9.30.
Nell’86, la prima volta che lo vidi, gli scheletri delle
costruzioni distrutte dalle Guardie Rosse durante
la Rivoluzione Culturale, che qui si era accanita
dato il valore politico della città monastica, si
ergevano in tutta la loro tristezza; nel 2004
qualcosa era stato fatto, oggi è tutto sistemato,
anzi si aggiungono nuovi edifici, MA una caserma
fa bella mostra di sé proprio a ridosso dei templi!
La carica di abate del gompa si chiama Ganden
Tripa e spetta al lama che eccelle negli studi,
quindi non viene trasmessa per reincarnazione;
oggi vi sono solo 200 monaci, mentre nel 1959
ve n’erano 2000. Visitiamo alcune sale del
“gioioso paradisiaco”, come fu definito dal
fondatore Tsong Khapa nel 1409, lo facciamo
con calma, la quota – 4300 m – c’è e si sente.
Iniziamo dal Serkhang, il Mausoleo Rosso che
domina, per colore e per struttura, l’intero
complesso e che custodisce la tomba di Tsong
Khapa; i monaci stanno studiando i sacri testi,
sono tanti, forse un centinaio, e leggono a voce
alta. Alcuni cinesi, seduti dietro a noi, danno del
denaro che poi viene distribuito ai lama. Molto
rappresentato è il 10° Panchen Lama, che difese
politicamente il Tibet quando il giovane Dalai Lama
fuggì nel 1959; per questo fu imprigionato per 14
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anni ed è morto nel 1989. Ci furono allora grandi
manifestazioni, perché la gente non credeva alla
versione ufficiale, si diceva fosse stato ucciso.
Nella cappella delle divinità protettrici noi donne
non possiamo entrare, perché le tre divinità ci
odiano.
Saliamo quindi le scale per vedere la tomba
immensa, in oro e argento, di Tsong Khapa,
costruita con le donazioni dello Stato, dei fedeli
e del monastero stesso; in realtà sia la tomba
originale che le spoglie furono profanate dalle
Guardie Rosse, rimangono solo alcuni frammenti
del teschio di questo venerato maestro.
Di fronte, proprio come Sakyamuni è spesso
rappresentato fra i suoi discepoli
Ananda e
Kasyapa, così Tsong Khapa sta fra i suoi fedelissimi
Kedrub Ji e Gyatab Je. Poi tocca alla struttura più
antica rimasta in piedi, la Sala delle Riunioni, che
al primo piano conserva il trono di Tsong Khapa,
vicino al quale riceviamo dal monaco addetto
alle benedizioni il famoso “colpo in testa” con le
scarpe del tredicesimo Dalai Lama; passiamo al
Lumbung Khatsang e alla stamperia, dove compro
per 10 dollari un libretto con carta realmente
tibetana, come mi ha detto lo stampatore.
Dopo un corroborante thè caldo alla guest house
del monastero, in tre andiamo a fare il piccolo kora
o kora basso di Ganden passando a fianco della
stazione di polizia (deve stare a dx).
I primi 40 gradini, alle 12 con un caldo notevole,
mi hanno letteralmente stroncato: arrivati al
passo però si apre uno scenario magnifico; gli
sheepwool, i cespugli spinosi, sono decorati con
pezzetti di stoffa, di lana, di pelo e lo sguardo
spazia sull’immensa pianura del fiume Kyu-chu,
il fiume di Lhasa. Un primo tratto in discesa,
poi si sale dolcemente, mentre il sentiero si
snoda fra diverse edicole con le offerte dei
fedeli e montagne spruzzate di neve rinserrano
l’orizzonte. Siamo accompagnate dallo scalpiccio
dei piedi dei pellegrini, numerosi: è il Saga Dawa,
il mese sacro. Si giunge così ad una cappella
gialla, costruita sulla grotta dove meditava
Tsong Khapa e subito dopo alle enormi cucine.
Alle 13 ci dirigiamo a Drepung; lungo la strada
vediamo diverse costruzioni: un blocco di queste,
con tanto di fabbrica del cachemire e dello zinco,
servirà, dice Tsetan, per coloro che saranno
trasferiti da Lhasa: tibetani o han?
A Drepung saliamo al Palazzo di Ganden, che sta
sopra una bella rampa di scale e lungo il percorso
troviamo parecchi pellegrini, che si riposano,
mangiano, bevono e conversano. Indossano tutti
gli abiti tradizionali, ci sono molti uomini; i meno
stanchi invece continuano imperterriti a fare il
kora intorno a tre grandi chorten.
Vediamo subito due militari “a guardia” del Palazzo:
la I sala evidenzia il ruolo e l’importanza dei
Gelugpa e contiene statue delle divinità protettrici,
disposte intorno al Grande Quinto; saliamo a
vedere gli appartamenti dei primi tre Dalai lama.
Nella Sala delle Udienze vi sono interessanti
affreschi che rappresentano gli sviluppi del
Buddhismo e i buoni rapporti con l’India: ecco il re
Ashoka, patrocinatore del buddhismo; poi Atisha,
iniziatore della seconda diffusione della religione;
quindi un funerale celeste fatto in India, terra da
cui proviene quella pratica funeraria.
Scendiamo per entrare nella gigantesca Sala delle
Riunioni con 180 colonne, pareti tappezzate di tanka,
cappelli e mantelli sulle numerose panche; ho un
po’ di confusione in testa fra le varie sale visitate!
Andiamo quindi al Collegio Tantrico, poi torniamo
alle auto, perché vogliamo essere per le 17 a
Lhasa, dato che domani partiamo definitivamente.
Vado a scrivere la mail ad Amresh per dire che
saremo alla frontiera il g.1/06, individuo la sala
internet solo con l’aiuto di Tsetan, prezioso
anche per la sistemazione del computer: la sala
o meglio le sale contengono decine di computer,
tutti occupati da giovani, che se ne servono solo
per guardare film o giocare. Mi è sembrato che
internet non fosse controllato, la mia posta no di
certo.
A cena al cinese, dove mangiamo bene, ma le
solite cose; per fortuna ottima birra.
20/05 - Lhasa- Shigatse
Anche se sono solo 200 km sino a Shigatse, ci
impiegheremo ben 4 ore e più; lungo la strada
visitiamo Drolma Lhakang, che però è tutto in
risistemazione; sopra il tetto operai e operaie
cantano battendo con i bastoni, mentre alcune
donne anziane fanno il kora. Che sia uno dei pochi
monasteri indenni dalla Rivoluzione Culturale si
vede un po’ dovunque, in particolare dalle statue:
è dedicato ad Atisha ed intervenne a suo tempo il
Bangladesh presso Zhou En Lai per far mandare
l’esercito a proteggerlo!
Dopo un’ora ecco sulla destra un altro silenzioso
gompa: chiedo a Tsetan di fermarci e di entrare.
Ci viene incontro un monaco, il monastero è Chor
Qu Yang Tse, è nato come Kagyu pa nel XIV secolo,
poi distrutto dai Mongoli e ricostruito quando il re
Gushi diede al Grande Quinto il potere temporale,
ma come Gelug Pa. Altra distruzione con la solita
Rivoluzione Culturale, e successiva ricostruzione.
Il gentile monaco, dopo aver dato un furtivo sguardo
intorno, ci fa salire le scale e apre con circospezione
la porta di una sala: ecco grandi quadri e foto del
Dalai Lama, lontani da occhi e orecchi indiscreti.
Lo salutiamo con commozione, è un incontro che
ci fa riflettere; alle 14 siamo all’hotel e poi subito
al Tashilumpo, c’è un bel sole caldo, saliamo alla
Cappella di Jampa, incontrando gruppi di pellegrini
che fanno il kora intorno ai grandi chorten; i più
anziani sono seduti a chiacchierare e ristorarsi.
Ammiriamo la statua di Maitreya, poi le tombe del
X e IV Panchen Lama, quindi andiamo a Kelsang
con il suo magnifico cortile, affrescato ai due piani.
Tsetan ci fa una certa fretta, perché deve andare
per i permessi di domani, così gli chiediamo di
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lasciarci lì e venirci a riprendere alle 17. Troviamo
anche dei giovanissimi monachelli intenti a lavare
e tagliare patate e a tirarsi l’acqua addosso.
Con Alice più tardi giro nella città vecchia, facilmente
raggiungibile a piedi dal nostro albergo; compro
le bandiere per la celebrazione del Saga Dawa
al Kailash, ci inoltriamo per un viottolo e vengo
pure morsicata (per fortuna la felpa) da un dog.
Alle 20 autisti e guida ci portano in un bel
ristorante, forse Song Tsen, e mangiamo bene.
21/05 – Shigatse – Sakya – Campo Base Everest
Oggi ci attende una lunga, ma interessante
giornata. Colazione alle 6.30, veramente squisita,
e partenza alle 7. Per fortuna i controlli di velocità
non sono ancora attivi quindi possiamo correre.
Superiamo il Tzo La a 4600 m prima della
deviazione per Sakya (35 km) dove arriviamo alle
9.15. La valle è tutta fittamente coltivata e la città
monastica è preceduta da un villaggio tipicamente
han con la parte amministrativa.
E’ naturalmente tutto cambiato: c’è un grosso
borgo, molte case sparse sulle alture circostanti,
ma il fascino di questo intrigante monastero è
rimasto inalterato. L’aspetto esteriore è quello
di una fortezza militare, con le torri di guardia
ai lati, grigio a strisce verticali rosse e bianche
indicativo della setta dei Sakya Pa. Fu costruito
nel 1268 e, prima della Rivoluzione Culturale,
ospitava una numerosa comunità di monaci.
Si entra nel vasto cortile, lo shop del monastero a
sinistra e alle pareti alcuni simboli del buddhismo;
davanti a noi si apre la prima grande Sala delle
Riunioni, Lhakhang Chemno, con le superbe
colonne alte 16 metri ricavate da un solo tronco di
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Avventure nel mondo 1 | 2014 - 41
VIAGGI | Tibet
sandalo e adornate con figure di apsara. In fondo
c’è il grande tamburo, poi enormi statue fra cui
Sakya Pandita, che andò per tre anni ad insegnare
il buddhismo ai mongoli del principe Godan, li
convertì, ma quando Gushri dette il potere politico
al Grande Quinto dei Gelug Pa, l’ordine dei Sakya
perse parte della sua importanza. I grandi Buddha
contengono le ceneri di tre illustri lama.
Nascosta sul retro della Lhakhang Chemno ecco
l’ incredibile biblioteca: migliaia di volumi molto
grandi, tutti antichi, tutti classificati, avrebbero
fatto la gioia della mia amica Mariangela;
quando i libri escono “automaticamente” dal
loro posto significa che succederà qualcosa di
importante. Allora viene un esperto, legge quelli
“usciti”, spiega, poi li rimette nello scaffale, ma
lasciandoli “in fuori”; rientreranno infatti da soli|.
Molti sono i pellegrini –è il Saga Dawa–
ordinatamente in fila davanti ad un lama che
suona la grande conchiglia: il suono porterà
il desiderio espresso dal fedele verso il cielo.
Naturalmente ci accodiamo ed esprimiamo anche
noi i nostri; la conchiglia originaria venne donata
al monastero da Kublai Khan ed ora questa è una
copia, l’originale è forse all’estero!
Entriamo poi, nella parte nord del cortile, in un
altro edificio, diviso in due parti: la prima cappella
contiene undici preziosissimi e sempre enormi
chorten d’argento con i resti di altrettanti abati
di Sakya, mentre nella seconda vi sono altri
chorten questa volta di rame e argento sempre
contenenti resti di abati. In alto, sull’architrave
che separa la prima dalla seconda sala, ecco
Sakya Pandita. Ricordo che Sakya Pandita è
la reincarnazione di Manjusri come lo è Tsong
Khapa, spada e libro sono i loro due segni
distintivi. L’attuale abate di Sakya è in India e gli
succederà il figlio maggiore, infatti il monastero fu
fondato dalla famiglia Kon e i lama sono ereditari.
Visitiamo poi la buia Pakspa Lhakhang, ma le
maschere delle danze cham non sono coperte,
dato che hanno perso parte del loro potere terrifico.
Effettivamente l’atmosfera di Sakya è speciale,
pare di essere in un altro mondo, in un’altra
dimensione, forse per la maestosità delle sale,
per il profumo di antico, per l’aria di mistero, si
ha la percezione di un luogo realmente sacro.
strada di altri tempi, in parte su una vecchia
morena glaciale, in parte su toile ondulée e su
sabbia. Paesaggio grandioso, cielo assoluto,
atmosfera inebriante: la mente torna a trent’anni
fa quando tutto era senza asfalto, quando
dovevamo “soffrire” strade durissime su auto
non certo confortevoli per raggiungere la meta,
che ci appagava comunque, e credevamo che
“Progresso” avesse un certo significato, che il
mondo fosse nostro e potesse solo migliorare per
tutti, più diritti, più possibilità, più aperture!
Con gli autisti affamati arriviamo a Old Tingri, dove
pranziamo ottimamente al Lhasa restaurant: tutti
i ristoranti del Tibet sono gestiti/appartengono
a cinesi del Sichuan, che sono immigrati qui
nel corso degli anni e si sono “specializzati” in
questa attività! Da noi invece, indipendentemente
dall’attività, sono tutti dello Zhejiang.
Mancano 250 km a Saga ed entriamo nell’area
dello Shishapangma, che si erge alla nostra
sinistra in tutta la sua imponenza; costeggiamo
il magnifico Pekul Tso e, alle 17.30, lasciamo
l’asfalto per girare a destra su una buona strada
bianca: giungiamo alla Sang Yang Jie Family g.h.
alle 19.
Tibe
42 - Avventure nel mondo 1 | 2014
Concludiamo la visita con il kora del monastero
ed usciamo alle 12.00. Come al solito lascio
Sakya con il rimpianto di non aver visitato proprio
tutto, per esempio l’altro monastero, quello
settentrionale, più antico, perché del 1073 e
oggi in rovina. Non c’è mai tempo a sufficienza!
Alle 13.15 siamo a Latse, dove consumiamo un
buon pranzo, e ripartiamo poi per i 5218 m del
Gwa Tso La, vento micidiale e grandi paesaggi! Alle
15.45 a New Tingri o Shegar siamo in coda per i
controlli, ma sono terminati i biglietti per l’Everest.
Iniziamo i 102 km di strada sterrata (finalmente),
abbiamo anche un piccolo contrattempo con l’auto
subito risolto da Trin. Al villaggio di Chay troviamo
i ticket, da qui al Pang La 5200 m con cielo
stupendo e severe montagne. Scendiamo verso
una fertile vallata con bei villaggi come Tashi Dzon,
Pagsum e Chodzom, tutti ordinati, tutti veramente
tibetani, classiche finestre, muri bianchi, ma quello
che conquista sono le vette, il cielo, la strada.
Alle 19.15 siamo al grande campeggio del
Qomolonga e lui è lì netto, senza nuvole.
Andiamo nella prima tenda che ci capita, senza
fare confronti con altre. La cena non è certo
buona, per fortuna c’è il parmigiano, ma non
importa, siamo a 4900 m alla base dell’Everest!
Ultimo diamox.
22/05 – Campo Base Everest – Saga
Sveglia alle 6.45 e discreta colazione; notte buona,
ho dormito. Alle 8.15 sono alla ricerca dei biglietti
del bus, finalmente si materializza Tsetan che mi
dice di andare alla prima tenda e infatti li compro.
Poi giro per le bancarelle, fa freddino, acquisto
un porta reliquie a caro prezzo dopo una strenua
contrattazione (lo ritroverò simile a KTM ben meno
costoso!)
Alle 8.50 partiamo e dopo 20’ appare, in tutto
il suo splendore, il campo base dell’Everest, con
le tende gialle di una spedizione e decine di yak,
che portano materiali e provviste: è meraviglioso,
ovviamente foto a nastro. Torniamo alle 10.15,
the degli Otto Tesori, partiamo alle 11.15, sosta
con qualche problema al monastero di Rongphu,
setta dei Nynma Pa, molto vissuto, dove è in atto
una cerimonia e dove convivono nun and monks.
Alle 11.45 via verso Old Tingri, percorrendo una
23/05 – Saga – Manasarovar Lake
Colazione con biscotti e caffè alle 7; siamo già
operativi alle 7.45 e alle 8.30 eccoci al monastero
di Dargyeling. E’ un monasterino originariamente
Kagyu Pa, poi Gelug dopo l’avvento del Grande
Quinto. Ha un gemello a Pokhara in Nepal, dove
vive l’abate principale e dove sono state portati
tutti gli arredi più sacri. Andiamo verso le rovine
del vecchio monastero distrutto dalla solita RC e
appena più in là vediamo numerosi chorten rossi
e uno straordinario Muro-Mani, le cui pietre sono
incise con pazienza e abilità.
Il monastero attuale, sorvegliato da due magnifici
pastori tibetani, è stato costruito nel 1986, ha 10
monaci, che vivono facendo servizi religiosi nei
villaggi circostanti: saranno poveri, cmq hanno
un’auto parcheggiata lì!
Ripartiamo alle 9, sosta foto per una mandria di
yak in acqua, superiamo un passo a 4650 m e
in strada ottima arriviamo a Old Zongba; grandi
paesaggi, stiamo costeggiando un ramo dello
Yarlung Tsang Po, alte dune di sabbia addirittura
alcune di forma perfettamente ellittica. Ecco il
piccolo Mayum la, varie zone acquitrinose, yak,
capre, pecore e vento bestiale. Alle 12 siamo a
Paryang, dove consumiamo il solito ottimo pasto,
tutto il mondo è paese, anche da noi gli autisti
vogliono sempre fermarsi a pranzo alle 12/12.30!
Alle 13 si riparte, strada verso l’infinito, ancora
laghi e paludi; otto avvoltoi vogliono banchettare
su un povero yak morto, posto di controllo
passaporti prima del grande Mayum la. Dopo
il passo a 5211 m, avvistiamo branchi di
gazzelle tso-tso e di kiang, gli asini selvatici,
insomma abbiamo visto tutta la fauna possibile.
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Gli autisti si prodigano per arrivare presto al
Manasarovar lake, infatti giungiamo alle 18,
e, incredibile, mi trovo di fronte una specie di
“muro”, che dovrebbe essere il Visitor Center.
Che delusione! Sognavo di rivedere questo lago e
di poter percorrere lentamente la strada che lo
circonda, con soste adeguate ai tre monasterini.
Non ci sono parole: sia per la costruzione, che
deturpa completamente l’armonia del paesaggio
sia perché il giro si può fare solo con il mezzo
pubblico e pagando ben 640 yuan each! E’ lì
in attesa di salire sul bus pubblico un gruppo
dal Bangladesh: indossa giacche a vento e
passamontagna sopra i sari o le djellabie e
ciabatte ai piedi; sono affaticatissimi, seduti
per terra, sfiniti.
Davanti
a noi è il mitico Kailash, il Prezioso Gioiello,
splendente e immobile, chissà cosa pensa!
Decidiamo di soprassedere al giro per il momento
e andiamo a visitare il Chiu gompa, che è un misto
di Nyngma e Kagyu Pa; facciamo il kora con un
vento micidiale, il monaco è un po’ scocciato
perché stava riposando, il monastero è delizioso, il
panorama superbo.
Tsetan ci porta poi alla guest house, poco
accogliente per la verità, e qui apprendiamo che
forse domani non potremo raggiungere Darchen
con i nostri mezzi! Insomma mi pare che il
governatore locale sia impazzito. Ce ne andiamo
a passeggio verso il lago, centinaia di gabbiani si
ritrovano a banchettare sulle rive, l’aria è tersa,
ceniamo al ristorante della guest house meditando
sugli imprevisti.
24/05 – Manasarovar lake – Darchen – Serxong
Camp
Tsetan e gli autisti sono in fibrillazione, partiamo
alle 9; ho un fastidio a un braccio che non mi fa
respirare, mi pare impossibile sia la borsa, invece
scoprirò che è proprio così, con il peso e messa
a tracolla mi ha procurato questi dolori! Viva lo
zaino.
Andiamo ai chorten vicino al Chiu gompa,
ammiriamo il bel Muro-Mani e osserviamo
i pellegrini che arrivano in moto, sembra
da un altro pianeta: capigliature arruffate,
chupa indossato con una spalla fuori come
da tradizione, ornamenti vari e anche il porta-
reliquie a tracolla. Le signore sono con il vestito
tradizionale e belle collane; hanno gioielli anche
in testa e si fanno fotografare molto volentieri.
Un po’ in ansia prendiamo la strada per Darchen:
a 3 km ecco il blocco e, schierati, i nuovi bus
pubblici; c’è anche un altro gruppo di 9 tedeschi
con 3 jeep. Tsetan va subito a parlare con il
“capo” dei militari e torna dopo un’ora con
l’autorizzazione a raggiungere la guest house a
Darchen. Bene. Alla guest house trovo Patrizia
che mi dice che il bus l’indomani parte alle 9,
quindi si perde molto della festa. Loro andranno
al Serxong Camp nel primissimo pomeriggio e
dormiranno lì in tenda, forse conviene anche a noi.
Rapido consulto, detto e fatto: raggiungo Tsetan e
gli chiedo di procurarci 3 tende e 5 materassini.
Prepariamo un bagaglietto per la notte e alle 15
siamo sul bus pubblico che ci porta al Serxong.
Raggiungiamo a piedi la piana dove numerose
tende sono già montate dai rispettivi tour
operator; noi lo facciamo in proprio, srotoliamo
i materassini e appoggiamo i sacchi a pelo.
Poi via verso il Tarboche.
Non c’è molta gente, facciamo un kora intorno
al campo recintato e poi sentiamo dei suoni
provenire da una casetta: saliamo rapidamente
sotto l’occhio vigile del Kailash, forse la montagna
più sacra del mondo, il “Kang Rimpoche”, il
“Prezioso e Venerabile”. Infatti per i Bon è il
Gigante di Cristallo, sul quale è disceso dal cielo
Thonpa Sherab per raggiungere la terra; per
gli Induisti è la dimora di Shiva e della consorte
Parvati; per i Giainisti è il luogo dove il primo
dei 24 Tirthankar ha raggiunto la liberazione;
per i Buddisti è collegato con Padmasambhava,
Milarepa e Sakyamuni.
Nella casetta è in atto una cerimonia molto
sentita, con un vecchissimo, importante lama nel
fondo. Ci sono tutti gli strumenti, molti lumini, i
monaci sembrano Indiani d’America, è evidente
la migrazione lungo lo stretto di Bering. Poi i
lama escono ed iniziano il Kora, entrando vicino
al Tarboche e salmodiando continuamente;
seguiamo molto interessati tutto, mentre le
buccine suonano ripetutamente; verso le 18.30
–c’è ancora un bellissimo sole– la cerimonia si
conclude ed i monaci rientrano. Foto a nastro e
trovo anche Civera con il suo gruppo, lui sempre
abbronzatissimo.
Giriamo ancora e prendiamo un po’ di bandiere
dell’anno scorso. Poi, alle 19.30, decidiamo
di cenare da Alice, che è da sola in tenda:
menù classico, un po’ di bresaola della Giovi, il
parmigiano di Angela e mio con pane della TIST,
la frutta secca di Vanna e, naturalmente, una
bella tazza di acqua calda! E’ bello stare sotto al
saccone, con berretto e sciarpa, e pensare che sei
ai piedi del Sacro Monte in pace, insieme con molti
altri di vario pensiero e religione. E’ molto freddo,
ma il vecchio sacco resiste benissimo e la notte
trascorre tranquilla.
bet
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25/05 – Serxong Camp – Moincer
Oggi è il giorno per eccellenza del Saga Dawa;
rapida colazione alle 7.15 con il thermos di
acqua calda, caffè e biscotti e poi si va al
Tarboche. Molti sono i pellegrini seduti di fronte
al Palo e vestiti per i massimi; effettivamente
fa un freddone tremendo e facciamo un paio di
kora anche per scaldarci. Nella solita casetta i
monaci iniziano a pregare e nell’attigua cucina
le donne preparano the bollente con burro.
Troviamo Patrizia e i suoi, anche loro pieni di
freddo; i pellegrini aumentano, mettono sciarpe,
pregano, fanno velocemente il kora del Tarboche,
forse vorranno ripeterlo per 108 volte prima di
iniziare quello del Kailash; le forze dell’ordine
sono schierate e alcuni soldati si appostano con
gli estintori, temono che qualcuno si immoli.
Ecco il sole che si alza: escono i monaci, poi
tutti si assiepano intorno alla recinzione che
delimita il Palo, dato che all’interno non si può
entrare. Dapprima il Tarboche viene arricchito
con le bandiere attaccate a lunghe funi e issate
manualmente; verso le 11.15 quest’ultimo viene
innalzato da 4 squadre, ognuna composta da una
trentina di persone: è il Maestro di Cerimonia a
guidare il tutto.
Un coro di Lha-so-so accoglie il posizionamento
del Tarboche, per fortuna diritto, poi lanci di
tsampa, di foglietti di preghiera con il cavallo,
prostrazioni ripetute verso il Palo ed il Kailash,
che sorveglia tutto pur sembrando così distaccato.
Nonostante i poliziotti, alcuni dei quali si fanno
fotografare e a loro volta fotografano la cerimonia,
c’è un’aria di festa, di allegria: poi una moltitudine
di fedeli e turisti inizia il Kora del Sacro Monte, che
la porterà ai 5700 m del Drolma La.
Ho fatto questo trekking nell’agosto di alcuni anni
fa, ma devo dire che mi è venuto un desiderio di
andare ancora oggi, con tutta questa gente, così
piena di fede e di allegria.
Invece continuiamo solo a fotografare, poi –
passato mezzogiorno – torniamo alle tende, ci
alleggeriamo, ora fa caldo, e smontiamo tutta
l’attrezzatura; gli autisti sono venuti ad aiutare e,
con le mani piene di bagagli, andiamo al piccolo
bus pubblico che ci riporterà alla guest house.
Mettiamo in auto e, dopo una bella birra, via
verso Moincer, dove arriviamo alle 15.15 alla
Sang Song River g.h. per lasciare i bagagli e
proseguire per il monastero Bon di Guryam.
Quest’area è assolutamente arida, decine di piste
si aprono in mezzo al nulla, ogni tanto appare
un raggruppamento di 4-5 case…………gli
autisti bravissimi raggiungono Guryam senza
mai sbagliare strada. Fa molto caldo, il gompa ci
abbaglia con il suo biancore: è cambiato dal 2004,
molto meno rustico, l’eremo dove eravamo saliti
è stato ridipinto e migliaia di bandierine svettano
verso il cielo. Entriamo nel monastero, che ha
solo otto anni, accompagnati da un addetto, qui
ci sono 10 monaci ma non se ne vede nemmeno
Avventure nel mondo 1 | 2014 - 43
VIAGGI | Tibet
uno. Facciamo il giro in senso antiorario, come
prevede la religione bon, e siamo colpiti dalla
presenza di strane pietre : una rappresenta l’wild
yak, un’altra il dragon egg, una terza l’human
brain; fuori ce n’è una con un incavo, messa lì dai
fedeli. Il secondo monastero invece è vecchio e
molto più vissuto; oggi non si può salire all’eremo
e, deduco, l’eremita non c’è più! Tutto si restringe.
Sempre in mezzo al nulla ci dirigiamo verso
Tirthapuri, dove i poliziotti hanno qualcosa da
ridire sul nostro permesso. Ci lasciano comunque
passare ed iniziamo il piccolo kora alle 17 sotto
un sole implacabile. L’attacco è stroncante, forse
sono diventata vecchia, poi bel panorama sulla
Sutlej. Ma qual è la nostra sorpresa quando,
invece del tempio antico, un po’ stortignaccolo,
vediamo due nuove costruzioni ancora in parte in
fieri! Il monaco dice che i cinesi, senza chiedere
pareri a nessuno, hanno deciso di rinnovare ed
in quest’ottica stanno anche costruendo una
strada migliore e purificando le sorgenti calde.
Per fortuna c’è sempre la grotta dove
Padmansambava meditò e, nel secondo tempio,
sono rimaste le orme del Guru Rimpoche,
della moglie e del Protettore del monastero.
Ci avviamo mestamente alle auto per tornare a
Moincer.
26/05 – Moincer – Tholing
(Zhada)
Oggi è il giorno delle grotte di Donggar e di
Piyang, è la prima volta anche per Tsetan, le
grotte necessitano di un permesso speciale, molto
costoso.
Siamo entrati nella contea di Zhada, in tibetano
“il luogo dove vi sono erbe nelle più basse
sponde del fiume”. E’ un ambiente particolare,
caratterizzato dalla Clay Forest, la Foresta di
Argilla, che si estende per più di 5 km su entrambi
i lati dell’Elephant Spring River, quasi a difendere,
con i suoi pinnacoli simili a guerrieri, le cime delle
montagne. Il Langchen Tsangpo o Fiume Elefante
è il Sutlej, che scorre a ovest del Manasarovar e
raggiunge, dopo aver percorso il Ladakh, il Pakistan.
44 - Avventure nel mondo 1 | 2014
Questo ambiente particolare è stato formato dai
sedimenti di sabbie e argille depositatisi per
milioni di anni sul fondo di laghi e fiumi, sollevati
dai movimenti orogenetici, che fecero nascere la
catena himalaiana, e successivamente modellati
dagli agenti esogeni in particolari forme. Pioggia
e venti hanno scavato stretti sentieri, quasi dei
percorsi, tanto che sembra di camminare fra le
rovine di antichi palazzi, desolati, ma magnifici.
In questa zona ci sono le rovine dei regni di
Shangshung e di Guge, durante i quali la gente
viveva nelle grotte. Visitare i pochi resti del
primo regno è impossibile, data la vicinanza al
Ladakh, cioè all’India, mentre per il secondo è
possibile visitare Tsaparang, le grotte di Piyang
e Donggar e la città monastica di Tholing.
Già nel X secolo il regno di Guge era molto ricco
e doveva la sua prosperità al fatto di essere un
fondamentale crocevia commerciale fra l’India e
il Tibet; il re Yeshe O, molto pio ed erudito, aveva
mandato il giovane monaco Rinchen Zangpo in
India per studiare; egli rimase lì 17 anni, tradusse
i principali testi dal sanscrito al tibetano, poi
tornò a Tholing e fu definito il Grande Traduttore
per antonomasia. Rinchen Zangpo fondò 108
monasteri nell’area dell’Western Himalaya,
fra cui quelli straordinari di Tabo nello Spiti, di
Alchi in Ladakh e appunto quello di Tholing.
Sino a Donggar il percorso è stato effettuato in
un’enorme valle glaciale, dove yak, capre e pecore
pascolavano su fondovalle spesso paludosi o con
formazioni lacustri.
La bella strada asfaltata che porta al ParPinDe
La (5200 m) è fiancheggiata da numerosi
serracchi di ghiaccio che rendono l’ambiente
incredibile! Altro passo a 5050 m, confine con
Jammu e Kashmir, dall’altra parte il Nanda Devi.
Al posto di controllo deviamo a destra
abbandonando l’asfalto e seguendo un fiume
dai mille rivoli. Alle 11.30 siamo al villaggio di
Donggar, effettivamente 12 case come dice la
Lonely: Tsetan si fa indicare la strada e – dopo
3 km – ecco il “Visitor Center” dove abita la toll
keeper, colei che tiene le chiavi; il campanello
non c’è, il cancello è chiuso, così è necessario
chiamare a viva voce.
Dopo un po’, esce una giovane ragazza con
un mazzo di chiavi. Le grotte stanno in alto,
circa 100 m sopra la piana, e sono accessibili
mediante una lunga, ben costruita scalinata:
ciò indica che le autorità sono orientate allo
sfruttamento turistico della zona. Esse furono
scoperte solo nel 1990, hanno gli affreschi più
antichi della regione dello Ngari e richiamano
in parte le immagini delle grotte di Dunhuang
Arriviamo un po’ ansimanti e ci viene aperta
la prima grotta: soffitto di un azzurro giottesco
perfetto, due stupa al centro; in fondo alle pareti
destra e sinistra due deliziose figure di donna,
poi palme, piante, nastri, minuscoli Buddha. Dal
pavimento e sino a 80 cm circa di altezza vi è una
fascia con i Mille Buddha, purtroppo graffiati per
togliere l’oro che li ricopriva; agli angoli cariatidi
e animali a coppie. A metà cornicione i supporti
ancora presenti indicano le statue mancanti dei
Dieci Buddha con altri due medaglioni vuoti. Le
figure sono chiaramente indiane, perché gli autori
erano del Kashmir, e richiamano Ajanta.
La seconda grotta è caratterizzata da grandi
mandala alle pareti con scene della vita di Siddharta
Gautama (incontro con il povero, Siddharta
che chiede l’elemosina…), rappresentazioni di
Sakyamuni, apsara con i lunghi nastri, animali
sempre in coppia, cariatidi; però lo stile è molto
più cinese: nulla è stato ritoccato, i colori sono
vivissimi, le figure disegnate minuziosamente e
con molta attenzione ai dettagli.
Ringraziamo la ragazza, sostiamo per un thè al
Visitor Center un po’ assurdo in questo ambiente,
e ci portiamo quindi a Piyang. Il villaggio sta
alla base di una montagna completamente
bucherellata, piena di grotte e, con il guardiano,
intraprendiamo alle 13.15 un’altra salita, fatta di
scale e passaggi vari: qui si ha veramente l’idea
del palazzo reale con il monastero accanto e varie
costruzioni minori.
Tibet
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t
VIAGGI | Tibet
Infatti nell’XI secolo il nipote del re
Langdharma fondò tre regni, fra cui quello
di Pyiang, dove visse con le 108 mogli!
Il sito è pieno di chorten dipinti di rosso e di pietre
mani, alquanto decorati: tutto mostra la passata
opulenza. Attraverso una grotta con megaschermo
e letto per il monaco, ne raggiungiamo una
seconda completamente affrescata con Buddha
vari, danzatrici sinuose, scheletri sorridenti; ci
colpiscono in particolare un guerriero mongolo,
un signore cinese, una donna indiana affiancati, a
dimostrare che il luogo un tempo era caratterizzato
da vie commerciali molto floride, dall’incontro di
culture e costumi, dalla presenza di popoli diversi.
Scendiamo poi verso una stanza con una porta
nuovissima ben decorata, dove si vedono
ancora gli effetti della Rivoluzione Culturale:
fogli di preghiera strappati, librerie sconvolte,
parti di statue, pezzi di stoffa….. Stiamo sino
alle 15, poi via per Zhata, dove - immersi in un
paesaggio lunare - giungiamo alle 16.30 presso
la bella Tuo Ding guest house and restaurant.
Lavaggi vari, pranzo-cena e, alle 18.30, con una
luce ancora molto intensa, attraversiamo la strada
e ci troviamo al favoloso monastero di Tholing.
Per la verità il guardiano non ci vuole far entrare,
perché siamo senza biglietto, ma ci sono altri turisti
tibetani e cinesi così non si inquieta più di tanto.
Rimaniamo incantate dalla bellezza della prima
sala, il Dukhang, dove si giunge dopo uno stretto
percorso. La sala è buia, solo con una potente
torcia si possono ammirare i magnifici affreschi:
Buddha, scheletri, monaci, re si alternano in una
cosmogonia infinita. I particolari sono curatissimi,
i gioielli perfettamente disegnati, i volti espressivi.
Il monastero, fondato da Rinchen Zangpo – di cui
c’è l’impronta – fu arricchito dalla presenza dello
studioso bengalese Atisha nell’XI secolo che vi
rimase tre anni e dette avvio alla Seconda Diffusione
del Buddhismo. Il monastero rimase in funzione
anche dopo il crollo del regno di Guge, avvenuto
nel verso la fine del XVII secolo a causa dell’assedio
portato da un esercito del Ladakh. Nel 1966
arrivarono però purtroppo le Guardie Rosse, che
ne chiusero i battenti e distrussero alcuni interni.
Gli affreschi che possiamo oggi vedere sono
probabilmente del XIV secolo e ben pochi sono qui
gli elementi tibetani, dominano figure languide,
volti del Kashmir e dell’India.
Con gli altri pellegrini ci portiamo poi al Lhakhang
Kharpo o Cappella Bianca, il cui ingresso è
arricchito da un bel portale stile Alchi. Le varie
scene sono “incorniciate” da riquadri con disegni
floreali e animali mitologici, mentre all’interno
vi sono divinità maschili nella parete di sx e
Bodhisatva femminili a dx. Al centro della sala
troneggia una grande statua di Sakyamuni, con
il corpo antico, mentre braccia e gambe sono
nuove. Purtroppo nulla rimane degli otto Buddha
della Medicina, solo le mandorle incise sul muro.
Riusciamo ad entrare anche nella Cappella
27/05 – Zhata – Tsaparang – Zhata
Partiamo alle 9 e dopo mezz’ora siamo a Tsaparang,
che si presenta arroccata sulla montagna d’argilla,
ben individuata da tre Cappelle Rosse. Grandi
sono i lavori in atto: pietre vengono sistemate
sulle schiene degli operai/e per essere portate ai
vari livelli dove si intende intervenire. Un’équipe
di archeologi + sopraintendente + lavoratori è
all’interno della Cappella principale. C’è anche un
gruppo di tedeschi che si spostano con il camion
ed hanno una guida, sempre tedesca, molto
preparata sul regno di Guge, mi ha detto che viene
qui ogni anno per approfondire le sue conoscenze!
Iniziamo la salita, molto meno faticosa delle altre,
perché la temperatura è ottima, e ci fermiamo
a Drolma Lakhang, la Cappella di Tara, la cui
statua è stata fatta dal custode! In fondo vi è
Sakyamuni con ai lati Atisha e Tsong Khapa, stile
di Guge, ma ormai in decadenza: siamo nel XVI
Raggiungiamo quindi la Lhakhang Kharpo o
Cappella Bianca, la più antica, risalente al XV
secolo, con forti influenze del Kashmir: figure
snelle, snodate, vestiti ricchi, profusione di gioielli.
Il soffitto è straordinario, ricoperto di seta, e
sorretto da esili colonne composte da più pezzi di
legnami eterogenei, con affreschi di Sakyamuni.
Appena si entra ecco due magnifici Guardiani,
rovinati dalla solita Rivoluzione Culturale. Un
tempo 22 statue erano allineate lungo la parete,
ne sono rimaste 10; per ogni statua c’è una
mandorla con un’aureola ed un plinto sopra,
mentre le pareti sono affrescate con centinaia di
piccoli Buddha. Al centro un Sakyamuni nuovo,
ma intorno decine di piccoli Buddha antichi posti
su mensole. Dietro ai mobili si intravvedono belle
scene di vita quotidiana, che si sono perfettamente
mantenute. C’è anche Yeshe-O, il famoso re che si
fece monaco e lasciò il trono ad un nipote. Quando
venne preso prigioniero volle che il riscatto
raccolto servisse per chiamare Atisha e non per
liberarlo, tanto per lui la vita era finita!
Usciti andiamo alla Cappella Rossa, Marpo
Lhakhang, che è in restauro, ma dove almeno
posso fare qualche foto; qui le statue, o meglio
ciò che resta, sono al centro della sala, mentre
gran parte degli affreschi rappresenta scene della
vita del Buddha. Sono senz’altro posteriori al XIV
secolo, perché c’è anche Tsong Khapa. Secondo
il sovraintendente si sta facendo un restauro
conservativo, semplicemente si ripuliscono
i dipinti e poi si dà una vernice trasparente per
mantenerli.
Andiamo infine nella Cappella di Yamantaka
o Jikji, i cui affreschi sono simmetrici: infatti
appena entrati si trovano i Protettori, in questo
07
caso Namtse a cavallo del leone delle nevi con
schiere di soldati, mentre alle pareti vediamo
White Tara, Demchok e Jikji. In fondo da un lato
Tsong Khapa e dall’altro Sakyamuni. Il capo
dei Gelug Pa ha in testa un berretto che si nota
ridipinto perchè l’ordine era diventato potente.
Sia questa cappella che quella di Tara hanno
affreschi in stile tibetano, perché fatti dopo il 1600
quando l’influenza del Kashmir era tramontata.
Proseguiamo salendo verso il Palazzo d’Estate
attraverso una galleria molto fresca, che
consentiva l’approvvigionamento dell’acqua in
caso di assedio. E’ un’area piena di anfratti e zone
nascoste, con due palazzi ricostruiti, ma vuoti, dai
quali si ammira un grande paesaggio.
Scendiamo verso le 13, compro un libro in cinese
sul regno di Guge, (in inglese non c’è nulla),
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Avventure nel mondo 1 | 2014 - 45
Mandalica di Yeshe-O, che doveva essere
veramente splendida: la sala centrale si presenta
con resti della statua della divinità protettrice
in mezzo, poi nelle altre sale busti, gambe,
capitelli, fiori di loto, qua e là una testa, tracce
di affreschi, altre statue spezzate,…..C’era un
triplice mandala: uno piccolo intorno alla divinità
protettrice nella I sala; uno più grande all’interno
della Grande Cappella; un ultimo intorno alla
Cappella Mandalica, che comprende decine di
sale e di anfratti vari.
VIAGGI | Tibet
ma non andiamo a vedere i corpi mummificati.
Torniamo alla guest house per un veloce pranzo
e alle 17 siamo nuovamente, grazie all’intervento
di Tsetan presso il custode, al monastero di
Tholing, che rivediamo completamente con
quattro prepotenti membri dell’Esercito Popolare.
Il colmo è che, quando parlano fra di loro, questi si
chiamano “tong xué”, compagni! E’ presto, quindi
giriamo con Alice e Vanna dietro al monastero,
e si spalanca una visione magnifica: centinaia
di piccoli chorten in fila, sopra la Sutlej; qualche
altro monumento funerario un po’ più elevato; una
distesa impressionante di Lung-Ta, le bandiere di
preghiera tibetane. Lung-ta, letteralmente “cavalli
(ta) di vento (lung)”, sono rettangoli di stoffa di
differenti colori, infilati su lunghe corde, su cui sono
stampati diversi mantra (parole sacre). Il vento che
le lambisce sparge le benedizioni verso tutti gli
esseri, pertanto tradizionalmente in Tibet venivano
appese ai valichi di montagna. Le bandiere di
preghiera invocano la compassione, l’armonia, la
pace, la saggezza, e forza e protezione contro i
pericoli ed il male.
Uscendo dalla città monastica, passiamo davanti
al Grande Chorten, facciamo un bel giro nella città
moderna e a cena alle 21.
naturale Ganga Chu; il fiume Sutlej nasce a nordovest del lago ed entrambi si trovano ai piedi
del Monte Kailash. Il Rakshas è chiamato anche
“lago di Ravana”, il demone; le sue acque salate
non permettono la vita di pesci e/o piante e sono
considerate velenose: se il Manasarovar con le
acque chiare e purificatrici, di forma rotonda
come il sole, rappresenta la luce, il Rakshas, a
forma di luna crescente, rappresenta l’oscurità,
le forze negative che tengono avvinto l’uomo
al ciclo di morte-rinascita. Solo con pratiche
di meditazione, preghiere e sacrifici queste
forze negative possono diventare positive.
Infine ci appare improvvisamente il gompa di
Gossul, dopo una ripida salita su una montagna
che può sciogliersi alla pioggia: anche qui fervono
i lavori, diretti dall’unico monaco, che vi partecipa
attivamente portando grosse travi di legno. Entriamo
nella stanza/grotta, che conserva molte tavolette
tantriche vecchie di più di 300 anni, belle statue al
fondo e immagini di Sakyamuni e Padmasambava.
Alle 16.15 siamo alle nostre auto, do all’autista una
mancia che mi pare adeguata (35 yuan, circa 5
euro), ma me la tira letteralmente dietro. Raccolgo
i soldi e ce ne andiamo verso Paryang, alla Di Kwi
guest house, che raggiungiamo alle 19.45.
la nebbia, che aleggia intorno a noi e ci avvolge
scendendo verso la pianura; alla rada vegetazione
la foresta; all’aridità l’acqua in movimento. E’
tutto verdissimo, bambù e rigogliose pinacee. Alle
14.30 siamo nel bell’hotel di Zhangmu, spuntino
con apple pie e poi a spasso. Stasera è la last
supper, Tsetan ha tenuto a dirci che ordinerà lui
le pietanze!
Mangiamo cose squisite, che nemmeno gli autisti
hanno la possibilità di mangiare frequentemente;
diamo le mance, mi sembrano contenti, anche
se è sempre poco per la loro gentilezza e
riservatezza, per la disponibilità mostrata, siamo
un po’ commossi.
Noi occidentali abbiamo la libertà, è questa
forse la differenza fondamentale; non so se amo
ancora tanto la Cina, è vero belle strade, luce
elettrica, monasteri ricostruiti dopo il disastro
della Rivoluzione Culturale, salari che consentono
una vita materiale dignitosa (500/600 dollari
per un autista), scuola gratuita, alla primary si
studia il tibetano, ma ovviamente bisogna sapere
benissimo il cinese per poter godere delle borse
di studio…Lhasa però è presidiata ogni 50 m,
il controllo sui monaci è ferreo, è tutto un rifare
a velocità sconvolgente senza chiedere agli
abitanti, le strade sono piene di auto e moto,
trovare un internet point è diventato difficile. La
Nuova Lhasa, a qualche decina di km dal centro,
è una new town dagli alti palazzi, che stonano
veramente nel paesaggio semilunare della piana
di Rasa, proprio sopra il corpo dell’orchessa.
E tuttavia, in questo straordinario mese del Saga
Dawa, attorno al Ramoche, al Jokhang, al Potala
una folla incredibile fa il kora dalle 7 di mattina
al tramonto, anche i monasteri più lontani e poco
conosciuti hanno molti fedeli, i monaci ricevono
dalla gente sostegno e denaro, i turisti cinesi
vogliono equipaggi e guide tibetane, con internet
e con gli studi all’estero c’è molta più sensibilità
“han” per il problema tibetano.
Tibet
28/05 – Zhata – Moincer
Partiamo alle 10, dopo un’altra bella passeggiata
ai chorten. Su strada asfaltata, sempre fra i 3800
e i 5000 m, raggiungiamo Moincer alle 14, dopo
aver abbandonato alle 12 la magica Clay Forest.
Pranzo e breve sosta, alle 17 torniamo a vedere le
tende dei seminomadi, gente di villaggi come Old
Tingri che, nel periodo estivo, chiude la casa e sale
ai pascoli con yak e capre. Le donne sono molto
curiose, offriamo delle caramelle: ci fanno vedere
l’interno delle tende, dove si prepara il pasto
serale a base di orzo. Quasi improvvisamente
ecco le colline circostanti “bordate” di yak, che
iniziano a scendere per abbeverarsi al ruscello:
c’è una pace incredibile, restiamo lì per un bel po’
a contemplare uomini e ambienti.
29/05 – Moincer – Manasarovar lake - Paryang
Si è finalmente deciso di fare il giro del
Manasarovar, dato che una parte l’abbiamo già
pagata. Così siamo operativi alle 8.45 e, dopo
un’ora, prendiamo posto in un piccolo, scalcinato
bus pubblico, che parte sgommando. L’acqua è
freddissima, con numerosi tratti ghiacciati, ma ci
sono parecchie anatre. Giungiamo al monastero di
Seralung in rifacimento, ma all’interno molti arredi
interessanti, sta sul lato est del lago guardando
la carta. Poi sempre belle foto e bella vista sino
al monastero di Tru Go (scritto però lì Quo go),
gelug pa o nyngma non si sa, a picco sul lago,
bianco candido, dove il nostro autista ci precede
genuflettendosi più volte verso le immagini sacre.
Alla nostra sinistra sta il Raksas Tal, lago le cui
acque sono collegate al Manasarovar dal canale
46 - Avventure nel mondo 1 | 2014
30/05 – Paryang – Saga
Partiamo con molta calma e visitiamo, alle 11,
il piccolo, ma interessante monastero Sakya
di Old Zongba, custodito da due lupi impagliati
e poi scendiamo a piedi al villaggio. Quasi tutti
gli abitanti sono con le mandrie agli alpeggi
estivi, rimangono vecchi, bambini e chi ha
un’accomodation da affittare. Alle 14.30 siamo a
Saga, il pomeriggio è libero. Non c’è molto da fare,
la cittadina è assai bruttarella, ma si vede la vita
quotidiana, quindi ce ne andiamo a zonzo entrando
in tutti i supermercati e hotel. Alle 20.30 andiamo
a cena al Sichuan restaurant, dove troviamo i soliti
tedeschi e anche qualche altro straniero.
31/05 – Saga – Zhangmu
Oggi praticamente è l’ultimo giorno, alle 8.30
siamo in auto percorrendo la strada sterrata.
L’ambiente è fascinoso: nuvole basse, neve
sottile, atmosfera sospesa, solo soste tecniche,
superiamo il Lalung la ed il Tso La, entrambi
sopra i 5000, si intravvedono alcuni villaggetti. Ci
fermiamo per visitare la grotta di Milarepa stretta
da costruzioni varie. Intanto alla neve si è sostituita
01/06 – ritorno in Nepal
Alle 8 gli autisti ci hanno già portati alla frontiera,
con noi è Tsetan; piove a dirotto, comincia ad
arrivare un bel po’ di gente. Entriamo alle 9.45,
è sabato i cinesi cominciano più tardi; apriamo i
nostri bagagli come richiesto dal giovane e zelante
soldatino, la cui unica richiesta è “book”; infatti
lite per la Lonely Planet che viene sequestrata ad
Angela, perché sull’indice è scritto “dalai lama”.
Sempre lo zelante vorrebbe anche privarmi
della mia carta del Tibet, alla quale sono molto
affezionata, ma chiamo il supervisor e poi il gruppo
dei tedeschi incalza…Salutiamo Tsetan, riapriamo
l’ombrello, superiamo il Friendship bridge e siamo
all’entry nepalese, il visto già l’abbiamo, i due
ragazzi di Amresh ci rincorrono e via a Bhaktapur.
Che rimpianto per questo amato Tibet, per le sue
aridità, le sue altitudini, le atmosfere, la gente…
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