Luca Pisaroni Voce in fuga Cresciuto a Busseto, il basso-baritono italiano ha trovato il successo in giro per il mondo. Ora vive a Vienna e ha un suocero speciale… di VALERIO CAPPELLI N on è certo cominciata con lui la storia del nemo propheta in patria. Certo è che desta una certa sorpresa il fatto che Luca Pisaroni abbia cantato un’opera soltanto in Italia (Così fan tutte al Regio di Torino, dieci anni fa), mentre lo si vede raccogliere successi in giro per il mondo, e per restare nell’Europa che conta, da Salisburgo, nel cui festival è una presenza abituale, a Vienna (proprio alla Staatsoper questo mese è il protagonista delle Nozze di Figaro. Ma desta altrettanta sorpresa la perentoria risposta di questo basso-baritono di soli 33 anni: «Vuole sapere se mi manca l’Italia? No». Non ha tutti i torti, quando articola il suo pensiero: «Mi rendo conto che fare i sovrintendenti in Italia non è facile. Non penso che siano degli incapaci, è una questione politica e culturale che va oltre le loro competenze. Io vivo da otto anni a Vienna, si vive bene, c’è un’offerta culturale straordinaria, le cose funzionano, si discute la programmazione. Qui lo Stato ha deciso che la musica e il teatro sono una parte fondamentale di questa città e vi investe denaro. In Italia se ne infischiano. Alla 44 Staatsoper di Vienna conoscono il budget a disposizione e programmano per i prossimi cinque anni. Io dovrei rifiutare di cantarvi perché forse in Italia qualcuno all’ultimo momento mi chiamerà?». Pisaroni è nato in Venezuela da genitori italiani. La madre è di Busseto, il padre di Rovereto. «Sono nato lì perché papà per dieci anni ha lavorato in Venezuela. Aveva un negozio di ricambi d’auto. Quando dovevo iniziare ad andare a scuola, siamo tornati in Italia. Mio nonno materno mi ha aperto le porte del canto, aveva una collezione di cassette su Giuseppe Verdi. La miccia fu Boris Christoff, il grande basso bulgaro. Uno choc. Avevo 8 anni, a 11 decisi di fare il cantante». Un’età insolita per una decisione definitiva sulla propria vita… «Avevo visto in televisione la pubblicità sui Campionati del mondo di calcio del 1986, con il gol di Tardelli e Pavarotti che canta “Vincerò” dal “Nessun dorma” della Turandot». I suoi come reagirono? «Papà mi assecondò, anche se pensava che mi sarebbe passata presto. Ma a 13 anni a Busseto presi a frequentare un gruppo di appassionati che andavano in giro a sentire lirica, erano molto più grandi di età, sui 50 anni. Cominciai a studiare. Ci vogliono tanti soldi, la lezione a settimana prevista al Conservatorio non è sufficiente. E andai alle masterclass che Carlo Bergonzi teneva a Busseto. Anche come insegnante è fantastico, parla di fraseggio, espressione, legato, dizione. E di come cesellare i colori». Quando le dicono che è il Samuel Ramey della sua generazione… «Forse perché lui è americano, e io ho cantato Maometto II a Santa Fé». Che non è il Metropolitan di New York, cioé una capitale della musica… «Ma ospita un festival estivo importante, è un posto fantastico per luci, energia, hanno uno sguardo innovativo, bisogna andarci per capirlo». Luca ha un repertorio versatile: «Mi è capitato di tutto, anche di andare contro la musica e il testo. Ad Amsterdam un Così fan tutte in cui non dovevo sentire Dorabella mentre lei mi cantava praticamente in faccia, a Parigi una volta hanno stravolto il libretto e la cameriera di Donna Elvira è diventata l’amante del Commendatore. Per me non esiste il vecchio e il nuovo, esistono buone e cattive regìe. Ricordo un Don Carlo di Luc Bondy che era la perfetta sintesi tra innovazione e tradizione. Ho cantato al Met Le nozze di Figaro nella versione di Jonathan Miller che risale a vent’anni fa, la cura nella psicologia dei personaggi è così dettagliata che sembra un allestimento di oggi». Tornando all’Italia, Pisaroni parla di sprechi dei teatri ma riconosce che tanti suoi colleghi nel nostro paese chiedono (e ottengono) cachet molto superiori agli standard europei: «Ma è anche vero che sempre all’ultimo momento si scopre che mancano i soldi. Alla Fenice di Venezia il direttore artistico Fortunato Ortombina mi disse che da un giorno all’altro avevano 3 milioni e mezzo di euro in meno, un disastro, e parliamo di uno dei teatri più virtuosi. No, l’Italia non mi manca. Mi fa arrabbiare che sputiamo sul nostro patrimonio storico. Mi sono dovuto abituare a vivere senza l’Italia e a volte fingo di non essere italiano. Nel mio piccolo, voglio di- mostrare che non siamo solo il paese di O’ sole mio. Ho interpretato alcune Cantate di Bach al Musikverein con Harnoncourt, non è così comune cantare in tedesco per una voce italiana. Ha ragione Riccardo Muti quando dice che stiamo diventando il paese della storia della musica». A parte l’unica opera a Torino, Luca ha cantato al Concerto di Capodanno a Venezia, all’Accademia di Santa Cecilia, al Maggio Fiorentino una Messa di Cherubini diretta proprio da Muti. Pisaroni è il genero di Thomas Hampson (nella foto) e nell’anno verdiano hanno tenuto un recital insieme a Busseto: «È stata un’impresa organizzarlo. Il concerto è stato deciso nel gennaio 2012. I biglietti sono stati messi in vendita il 30 maggio scorso. Perché aspettavano il finanziamento che non arrivava… Ragazzi, era il bicentenario di Verdi, ed eravamo a Busseto. Non credo che l’Italia ce l’abbia con me, naturalmente. Forse c’è il fatto che non ho mai pagato dazio, non ho fatto gavetta, non sono cresciuto artisticamente in Italia. Studiavo al Conservatorio di Milano e ho avuto una fortuna pazzesca. Cantavo Don Giovanni in Romania per il festival organizzato dal soprano Mariana Nicolesco e tra il pubblico c’era il direttore artistico del Festival di Salisburgo che mi propose un’audizione con Harnoncourt per interpretare Masetto. E mi prese». Provi a descrivere Salisburgo a un’adolescente che non ha mai sentito parlare del festival. «Beh, d’estate, quando i teatri sono chiusi, per la musica è il centro dell’universo. Sì, dopo la morte di Karajan sono cominciati gli allestimenti scandalosi. Ma forse lo scandalo è necessario, non è un teatro di repertorio, lì bisogna sperimentare con dei cast straordinari. Molte volte le cose funzionano, altre volte no». Gli chiediamo di “inquadrare” i grandi direttori con cui ha lavorato (Luisi lo dirigerà nella Cenerentola di Rossini al Met in aprile). Riccardo Muti: «È la voce di Verdi, sono cresciuto ascoltando il suo Verdi». Nikolaus Harnoncourt: «È un terremoto, basta guardarlo negli occhi»; Franz Welser-Most: «L’eleganza della scuola viennese». James Levine: «Conosce benissimo la voce e sa ascoltare». Passiamo ai suoi colleghi cantanti. Luciano Pavarotti: «Purtroppo non sono riuscito a lavorare con lui. Era uno dei miei idoli. La voce argentina». Plácido Domingo: «Immortale, il colore della voce». Cecilia Bartoli: «Una rockstar, una delle poche che si permette di registrare un cd e organizzarvi intorno una tournée». Joyce DiDonato: «Solare». Anna Netrebko: «La pienezza della voce, la musicalità nei recitativi accompagnati, la facilità negli acuti». Ha il coraggio delle sue opinioni, dice che Andrea Bocelli «è bravo ma è un cross over, un cantante d’opera tecnicamente è un’altra cosa». Pisaroni ha sposato la figlia adottiva di Hampson, una ragazza austriaca molto graziosa che ci presenta al Caffè Imperial di Vienna, si chiama Caterina e si occupa di web-design, cura i siti di Anna Netrebko e Renée Fleming. «Ci siamo conosciuti a Salisburgo nel 2002. Io ero Masetto e Thomas Don Giovanni. Nella scena in cui mi picchia, ogni volta lo faceva più forte. Allora gli ho detto: “Senti Thomas, rendiamo ufficiale la mia relazione con tua figlia, così non mi meni più!”». w 45