“Solo una parola”
“La mafia è un fenomeno umano
e come tutti i fenomeni umani ha un principio,
una sua evoluzione e avrà anche una fine.”(G. Falcone)
Erano le nove di mattina e l'assemblea non era ancora iniziata.
Io là non volevo proprio andare. Nessuno dei miei amici era
presente;
c’era
scambiavo
due
solo
parole
un
in
mio
compagno
attesa
di
classe
dell'inizio.
Il
con
cui
nostro
chiacchiericcio venne interrotto da un applauso generale: un
signore si fece strada tra la folla.
“Palermo non mi piaceva” esordì il relatore citando le parole
di Paolo Borsellino “per questo ho imparato ad amarla, perché
il vero amore consiste nell'amare ciò che non piace per poterlo
cambiare.” A queste parole capii che valeva la pena di rimanere
ad ascoltare.
“Mi chiamo Fabio e lavoro alla DIA, Direzione Investigativa
Antimafia, ma non sono qui per spiegarvi come lavoriamo ma
contro chi e che cosa. Il termine Mafia viene inserito
per la
prima volta nel 1868 nel vocabolario del Traina, che definisce
la parola come importata in Sicilia dai “piemontesi”, cioè i
funzionari venuti dopo l'unità d'Italia. Il termine, coniato in
Toscana, fa riferimento a “maffia” che significa “miseria”, e
“smàferi” che significa “sgherri”.
Pensate che la
mafia non vi riguardi, che sia
un
fenomeno
lontano, che non vi toccherà mai? Eppure la mafia c'è: qui,
come a Palermo. Avete mai sentito parlare dell’attentato di Via
dei Gergofili del 1993?
Inoltre
solo
in
Toscana
i
beni
arrivati
ad
una
confisca
definitiva sono sessantasette e di questi appena diciotto sono
in
gestione
a
privati,
mentre
i
restanti
sono
vacanti
per
timore di ripercussioni da parte di affiliati mafiosi. Ora vi
chiedo: avreste voi il coraggio di acquistare uno di questi
beni? E se vi dicessi che il negozio sotto casa vostra potrebbe
essere gestito dalla criminalità organizzata? E se qualcuno vi
privasse di un posto di lavoro sudato con anni di studio e
sacrifici per favorire qualcun altro?”
Le domande poste erano chiare, le risposte meno.
L'assemblea
continuava:
tra
i
presenti
si
faceva
notare
un
ragazzo di nome Lorenzo, lo conoscevo di vista, e faceva molte
domande. Una in particolare mi colpì: “E' possibile conoscere
molto bene una persona e non capire che questa è affiliata alla
criminalità organizzata?”.
Ecco che la mia mente cominciò a viaggiare: quella domanda mi
portò
a
riflettere
sul
mio
futuro
e
soprattutto
sul
mio
passato. Per me la mafia non era mai esistita a Firenze e mai
avrei creduto che potesse arrivare fin qui.
Fu inevitabile ripensare alla mia infanzia e subito mi venne in
mente
il
mio
inseparabile
compagno
di
giochi,
Albertino.
Andavamo sempre ai giardini con le nostre biciclette e la sua
era
bellissima.
Quanto
lo
invidiavo!
Spesso
mi
prestava
i
giocattoli; la sua doveva essere una famiglia molto ricca… non
come la mia: mio padre era il portiere del nostro palazzo e
conosceva molto bene il padre di Albertino ma, nonostante ciò,
si ostinava ancora a dargli del “lei”, mostrando un rispetto
che
sfiorava
il
servilismo.
Non
ho
mai
capito
che
lavoro
facesse veramente questo signore; Albertino mi diceva che era
il proprietario di una catena di ristoranti e che aiutava le
persone che soffrivano per la crisi economica. Quando domandavo
a mio babbo cosa intendesse Albertino con il termine “aiutare”,
mi rispondeva sempre di non occuparmi di faccende da adulti. Io
mi fidavo di mio padre e ascoltavo i suoi consigli.
Un giorno, mentre mi trovavo nella cucina di Albertino per una
merenda,
sentii
delle
persone
che
discutevano
nella
stanza
accanto. La sua tata ci spiegò che era il babbo di Albertino
insieme ai suoi colleghi. Mi resi conto che parlavano di una
grande somma di denaro, di un affare e di alcuni “pezzenti” che
non volevano pagare. “Ma che pizzo e pizzo, noi le aiutiamo
queste persone!” gridò uno di loro.
Capii che c’era qualcosa di strano, ma avevo solo dieci anni e
bastò un’altra fetta di pane e nutella a farmi dimenticare
momentaneamente quell’episodio.
I miei pensieri furono interrotti da un applauso improvviso che
accompagnava l’uscita del relatore.
A quel punto era ovvio che mi sorgesse il dubbio: la famiglia
del mio migliore amico d’infanzia, con cui ero stato per tanto
tempo
a
stretto
contatto,
con
la
quale
avevo
condiviso
il
condominio, che genere di famiglia era? Sentii il bisogno di
confrontarmi subito con mio padre, mi precipitai a casa al
termine dell’assemblea, ma mio padre non c’era, “E’ a fare la
spesa”, disse mia madre. Proprio a lei espressi i miei dubbi,
ma non volle starmi a sentire; appena pronunciai la parola
“mafia”, sgranò gli occhi e, agitata, si diresse in bagno con
la scusa del mal di pancia. Mia madre ancora mi trattava come
un
bambino,
cercava
sempre
di
nascondermi
ciò
che
avrebbe
potuto sconvolgermi o ferirmi, ma io non ero uno sciocco. Avevo
capito che c’era qualcosa di strano in questa faccenda e i miei
dubbi si fecero sempre più pressanti: l’ansia saliva, dovevo
assolutamente parlare con mio padre. Feci per aprire la porta
di casa ed ecco che mi comparve davanti mio babbo, l’uomo che
avevo sempre preso ad esempio, colui che mi aveva sempre difeso
e che non aveva mai ostacolato la mia amicizia con Albertino.
“Babbo, Albertino... la Mafia... voglio sapere tutto.”
Mio padre, colto alla sprovvista, lasciò cadere per terra le
buste
della
spesa,
lo
spumante
comprato
per
festeggiare
il
compleanno di mia madre si ruppe e si versò sul tappeto. Poco
male, probabilmente quella sera non ci sarebbe stato molto da
festeggiare. Entrambi ci sedemmo sul divano in salotto mentre
la mamma intanto raccoglieva i vetri da terra e puliva. Mio
padre era tesissimo, sembrava non avere il coraggio di parlare,
quindi ruppi io il ghiaccio:
“Ebbene – esordii - non hai proprio nulla da dirmi?”
“Vedi,
Duccio,
tenertelo
è
complicato
nascosto
per
tutto
da
spiegare,
questo
tempo
ho
cercato
perché
almeno
di
tu
potessi avere una vita “normale”. Sei sicuro di volerlo sapere?
E del resto non
sei ancora abbastanza grande
e maturo per
capire certe cose...”
“Babbo, ho 17 anni! Il prossimo anno prenderò la patente e
finirò
il
liceo!
Per
quanto
ancora
vuoi
considerarmi
un
bambino?!”
“Hai ragione, scusami. Quando eri piccolo facevi domande a cui
era
facile
rispondere
e
francamente
rimpiango
quei
giorni.
L’inizio della storia risale a quando io e la mamma gestivamo
il nostro vecchio ristorante. Era un locale molto accogliente,
sempre
affollato
e
avevamo
diversi
clienti
abituali.
In
particolare c’era un uomo che veniva ogni settimana sempre con
gente diversa.
Un giorno ricevetti una lettera anonima a cui non detti affatto
peso: mi si chiedeva un’ingente somma di denaro che non avrei
potuto
né
voluto
assolutamente
pagare.
Una
mattina,
mentre
aprivo il ristorante, fui avvicinato da due individui che la
sera prima avevo visto al tavolo con quel cliente, il signor
Vigata, babbo di Albertino.
Questi, riferendosi alla lettera, mi chiesero il denaro; cercai
di spiegare loro che non possedevo quella cifra. Ma quelli non
avevano alcuna intenzione di mollare la presa e mi diedero un
termine
massimo
di
due
settimane
che
purtroppo
passarono
velocemente. Una sera, a cena, mentre preparavo il conto del
signor Vigata, questi si avvicinò. Pagò la somma dovuta ma
notai che il denaro era di gran lunga superiore a quello che mi
doveva e aggiunse: “So che tu ne hai bisogno”. In quel momento
mi ricordai ciò che avrei voluto dimenticare.”
“Babbo, ma quanti soldi ti dette?”
“Non è questo l’importante ma quel che avvenne dopo...”
Il suo viso si fece sempre più cupo e continuò a raccontare.
“Compresi senza ombra di dubbio che il signor Vigata era in
stretta relazione con i due uomini. Mentre stavo chiudendo la
saracinesca del ristorante, notai che proprio il mio cliente mi
aspettava appoggiato alla mia macchina... e non era solo. Non
feci in tempo a fare un passo che uno dei due uomini mi fece
cenno di avvicinarmi e chiese: “Come stai messo con i soldi?”
L’espressione
domandarono
del
subito
immediatamente
che
mio
volto
quanto
volevano
rispose
valesse
per
il
prenderselo.
me.
E
allora
ristorante.
A
questo
mi
Capii
punto
il
signor Vigata si intromise nel dialogo: “Un modo per sollevare
la tua situazione economica c’è: possiamo metterci d’accordo...
Ascoltami attentamente: è da poco venuto a mancare il portiere
del
mio
ristorante
palazzo,
in
perciò
cambio
ti
propongo
del
suo
un
posto
affare:
di
il
lavoro
tuo
e
dell’appartamento di servizio.” Mi dettero due giorni di tempo
per pensarci, ma dentro di me sapevo già che avrei accettato.
Non potevo correre il rischio di mettere in pericolo la mia
famiglia.”
Il giorno seguente tornai a scuola un po’ confuso per quello
che mio padre mi aveva raccontato e, mentre stavo salendo le
scale del liceo, riconobbi Lorenzo che mi salutò a stento –
infatti non ci conoscevamo abbastanza. Mi diressi in classe
come
al
solito,
quell’incontro
ma
di
il
pochi
mio
pensiero
secondi
che
mi
era
turbato
aveva
da
lasciato
interdetto. Pertanto attesi con molta ansia la ricreazione per
poter parlare con lui. Finalmente suonò la campanella e mi
precipitai a cercarlo; e anche se era insieme a un gruppo di
compagni, quando mi vide mi venne subito incontro.
“Forse – dissi - sbaglio a coinvolgerti in questa storia, ma
credo che tu sia in grado di aiutarmi. Posso dirti con certezza
che il relatore aveva ragione: la mafia ci circonda più di
quanto non si creda.”
Finalmente potevo sfogarmi con qualcuno. Gli raccontai di mio
padre e della mia amicizia con Albertino che, per come stavano
le cose, volevo evitare con tutto me stesso. Non sarei più
riuscito
a
guardarlo
nello
stesso
modo.
Allora
Lorenzo
mi
consigliò di fare attenzione al mio vecchio amico.
Da quel momento io e Lorenzo diventammo amici inseparabili. Mi
piaceva parlare con lui e condividevamo gli stessi ideali di
verità e giustizia. Egli mi raccontava spesso dei suoi sogni:
combattere la criminalità organizzata, difendere la legalità e
i diritti dei cittadini. Sogni che voleva non “rimanessero nel
cassetto” e per questo, dopo il diploma liceale, era riuscito
ad entrare
come
agente nella Polizia di Stato
e
ad essere
successivamente chiamato alla DIA.
Invece io avevo condiviso con Albertino fin dall’infanzia il
sogno di diventare medico e così purtroppo ci ritrovammo a
frequentare gli stessi corsi di medicina.
Ero in pari con gli esami e, devo dire la verità, non me la
cavavo per niente male, ma nulla in confronto al mio amico
d’infanzia che riusciva ad avere i miei stessi risultati con
sforzi minori. Lo sentivo tornare a notte inoltrata con la sua
decappottabile. Anch’io facevo tardi... ma sui libri. Questo
però era il mio sogno e per niente al mondo sarei sceso a
compromessi,
non
era
nella
mia
natura.
Ogni
paragrafo
non
studiato, pensavo, avrebbe messo a rischio la salute di un
paziente.
Spesso il signor Vigata veniva a visitare la facoltà e non
perdeva l’occasione di salutare tutti i professori. Si faceva
strada
tra
i
corridoi
con
aria
altezzosa
e
onnipotente,
comportandosi come se fosse il rettore... e in effetti un po’
lo era: la carriera del figlio dipendeva quasi esclusivamente
dalla
sua
disponibilità
interessata.
Il
nome
sul
libretto
bastava a ricordare che voto si “meritasse”.
Continuavo a tenermi in contatto con Lorenzo che aveva lasciato
Firenze per inseguire il suo sogno. Mi piaceva raccontargli i
miei progressi negli studi e ascoltare le sue avventure in
polizia. Il suo
ideali
entusiasmo era
continuavano
fermamente
cresciuto con
ad
lui e i suoi
accompagnarlo
nella
sua
carriera.
Era finalmente giunto il giorno della laurea. Sapevo di aver
dato il massimo e mi sentivo orgoglioso di aver guadagnato il
titolo di dottore. Avevo informato Lorenzo del grande giorno,
ma certo la sua presenza mi sorprese: non me lo sarei mai
aspettato.
Dopo i festeggiamenti, mi trovai con lui il giorno seguente per
un
caffè:
avevamo
tanto
da
dirci.
Era
stato
trasferito
a
Firenze e aveva trovato un posto stabile. Parlammo dei nuovi
amori, dell’ultimo album del nostro gruppo preferito e di nuove
e vecchie conoscenze. Lorenzo si soffermò particolarmente su
Albertino; si fece serio, la sua voce tesa e il suo sguardo
misterioso.
Mi
consigliò
di
starne
alla
larga,
ancora
una
volta. Cosa sapeva? Avrei voluto approfondire ma, avvertendo il
suo disagio, decisi di non insistere più del dovuto.
Continuammo ad incontrarci abitualmente nel tempo libero ed io
che
non
ero
riuscito
ad
accedere
alla
scuola
di
specializzazione di neurologia ne avevo molto. Eravamo più di
cinquanta a dovervi accedere, ma solo due potevano entrare.
All’ultimo, proprio Albertino mi aveva soffiato il posto, ma io
non avevo intenzione di arrendermi. Parlai con professori di
altri ospedali: ma mi resi conto che non era la preparazione a
valere, ma le “conoscenze” giuste e per questo ricevevo sempre
la stessa risposta: “le faremo sapere”.
I giorni passavano e il mio umore si faceva sempre più nero,
vedevo
crollare
quello
in
cui
credevo.
Sembrava
quasi
che
questa volta il mio impegno non sarebbe servito a niente.
Da qualche mese lavoravo come tuttofare da Luigi, così voleva
lo chiamassi. Un signore ultraottantenne che aveva l’energia e
la vitalità di un giovane. Mi occupavo della contabilità, non
avevo mai visto tanti zeri prima della virgola in vita mia, ma
curavo anche il giardino della sua tenuta. Spesso Luigi nei
momenti di pausa mi offriva una tazza di tè e gli piaceva
raccontarmi della propria vita. La sua sfortuna era
anche
la
sua
più
grande
fortuna:
alla
fine
della
diventata
carriera
militare aveva avuto un incidente e ciò aveva comportato il
congedo anticipato accompagnato da una cospicua pensione. Aveva
continuato
preoccupato
a
viaggiare
di
legarsi
per
a
puro
diletto
qualcuno
e
poiché
non
si
troppe
era
erano
mai
le
persone che aveva visto morire. Così da qualche anno si era
definitivamente
stabilito
nella
colline fiorentine e lì si
tenuta
di
godeva la vita.
proprietà
I
sulle
racconti
dei
viaggi e delle meraviglie che aveva visto mi facevano quasi
dimenticare quanto umiliante fosse la mia situazione dopo che
avevo
sacrificato
la
mia
spensierata
gioventù
a
un
unico
obiettivo. Infatti, nonostante avessi quasi trent’anni, vivevo
ancora con i miei genitori e passavo le notti a spulciare gli
annunci di lavoro su qualsiasi rivista o giornale. Il mio scopo
era
comunque
solo
leggere
quelli
che
riportavano
la
parola
“medico”. E forse è vero che a volte bisogna accontentarsi, ma
il fatto che Albertino avanzasse in carriera e io no proprio
non mi andava giù.
Era
un
brutto
periodo
ma
non
per
questo
smisi
di
vedere
Lorenzo. Una domenica mi diede appuntamento per un aperitivo
dicendo che doveva parlarmi di una cosa importante.
Lo
vidi
arrivare
tutto
raggiante
con
una
grande
notizia:
avrebbe presto sposato Francesca e voleva proprio me come suo
testimone. Ero molto emozionato, il mio migliore amico stava
per sposare la ragazza dei suoi sogni. Gli chiesi quale fosse
la
data
del
grande
giorno,
ma
mi
fece
cenno
di
smorzare
l’entusiasmo.
Stava per compiere il suo primo arresto.
Benché
fosse
poliziotto,
il
un
passo
primo
importante
arresto
era
nella
pur
carriera
sempre
un
di
un
momento
delicato. Non chiesi nemmeno di chi si trattasse dato che non
ero tenuto a saperlo.
Erano le 5:00 del mattino, era appena suonata la sveglia e mi
stavo preparando per andare da Luigi. Aprii la porta stando
attento a non fare rumore per non svegliare i miei genitori, ma
un gran trambusto vanificò ogni mio sforzo.
Vidi Lorenzo scendere le scale preceduto da due uomini che
stavano
accompagnando
in
manette
il
signor
Vigata
verso
la
volante. Incrociai il suo sguardo e fu la prima volta in cui
non
mi
sentii
a
disagio
nei
suoi
confronti,
anche
se
era
l’unica in cui avrei voluto esserlo.
Il giorno seguente, l’arresto era su tutti i giornali e il
ristorante che un tempo era appartenuto a mio padre sarebbe
stato confiscato.
Per Lorenzo era una duplice vittoria: l’arresto andato a buon
fine
e
l’imminente
matrimonio.
Lo
era
anche
per
la
mia
famiglia.
Poche
settimane
informarono
che
dopo
ero
mi
chiamarono
rientrato
nella
dall’università
e
specializzazione:
mi
uno
studente si era “ritirato”.
Lo stesso giorno, mentre tagliavo l’erba nel giardino di Luigi
per l’ultima volta, egli, essendo venuto a conoscenza della mia
storia,
sentì
di
provare
finalmente
affetto
per
qualcuno
e
dette ai miei genitori la possibilità di ricominciare una nuova
vita regalando loro un fondo con cui far ripartire l’attività
di ristorazione.
Adesso, insieme ai miei genitori e a Lorenzo, posso ancora
sperare in una realtà nella quale è possibile riconquistare i
propri sogni. La vita senza un sogno da inseguire è come la
mafia senza la corruzione, la violenza e l’ingiustizia: solo
una parola.
“Ogni
riferimento
a
persone
esistenti
o
a
fatti
realmente
accaduti è puramente casuale e frutto della mente degli autori”
Liceo Scientifico Statale “G. Castelnuovo” (Firenze)
Un gruppo di ragazzi della 4°A, 4°C, 4°F
Scarica

Solo una parola - Liceo Scientifico Guido Castelnuovo