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ASSEMBLEA PLENARIA DEI PORTOFRANCO ITALIA – SABATO 7 SETTEMBRE 2013 ORE
9,30
Alberto Bonfanti:Vi ringrazio tutti della vostra presenza oggi all’incontro nazionale di Portofranco. Siete venuti dai vari centri
italiani, dalla Lombardia, dall’Emilia, dalla Liguria, dal Piemonte, dal Lazio, dal Veneto, dalle Marche e
addirittura dalla Sicilia e dalla Puglia! Poi ringrazio Davide Prosperi, che ci aiuta nel momento
dell’Assemblea di questa mattina innanzi tutto perché è un amico, un amico personale, e poi perché è Vice
Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione che è all’origine di tutta la nostra esperienza.
L’origine è continuamente la sorgente di tutta la nostra esperienza. E come ci siamo detti nella mail di
convocazione l’Assemblea vuole essere un momento disteso dal punto di vista del tempo per poter mettere a
tema l’esperienza di questi anni raccontando fatti, osservazioni e questioni che ci sembrano urgenti per
proseguire il cammino.. Entrando sentivo che molti Centri come Desio hanno fatto i 10 anni, Varese farà i
10 anni … anche Chiavari e altri, il che significa che molti Centri hanno un’esperienza ormai consolidata.
Come sapete, qui a Milano siamo partiti nel Duemila. Ora noi approfittiamo della presenza di Davide per
mettere a tema l’esperienza di questi anni, le questioni che ci paiono importanti per il continuo rilancio
dell’esperienza nostra, l’esperienza che facciamo innanzitutto noi e quindi poi di riflesso i ragazzi con cui
abbiamo a che fare.
Maria (Student Point di Verona)
Io mi accorgo che noi ogni anno aumentiamo di numero. Adesso sono 150 i ragazzi iscritti a Student Point e
di questi gli stranieri dall’anno scorso sono aumentati da 25 a 45 . Le famiglie degli stranieri dicono:” Vai a
Student Point, lì ci sono gli insegnanti!“ Le famiglie degli stranieri si fidano di noi e preferiscono Student
Point alla biblioteca o ai corsi di Italiano fatti dal Comune. Per esempio quest’anno un ragazzo straniero,
Gomez, veniva a studiare con noi a Student Point e ho scoperto che sua mamma, impossibilitata a stare con
lui per il duro lavoro e il male a una gamba lo mandava da noi. Gli ho chiesto quali erano le sue difficoltà,
mi ha risposto: Matematica. Gli ho mandato subito un insegnante per lui: è rimasto colpito che qualcuno si
avvicinasse a lui, senza averlo chiesto e che gratuitamente qualcuno si occupasse di lui. Gli stranieri sono
così i nostri più assidui frequentatori. Poi un’altra cosa di cui mi accorgo è che gli stranieri rimangono
colpiti, per loro è fondamentale. I ragazzi di Student Point desiderano essere voluti bene e preferiti. Vi
racconto un fatto. Il giorno dell’open Day all’Università di Medicina ho invitato Marian di Student Point
perché mi aveva detto che desiderava molto diventare medico. Io a lei tengo molto perché il suo sorriso e la
sua voglia di imparare mi rendono felice. E sono un segno di qualcosa di bello per me. E’ venuta con la sua
amica Bikins che ha scoperto in quell’evento qualcosa di sé e me l’ha raccontato.”Durante l’anno ho
accompagnato un mio parente in un Centro Medico a fare dei massaggi perché sta male e ora qui
all’Università ho capito quello che voglio fare da grande: la fisioterapista e non il medico, come vorrebbero i
miei genitori”. Prima di andarsene si sono avvicinate e le ho abbracciate. Bikins mi ha detto:” Può telefonare
anche a me oltre che a Marian quando si fa qualcosa come oggi?” Mi ha colpito perché anche lei vuole
essere voluta bene e preferita come Marian attraverso una telefonata. Nello stesso tempo mi sono resa conto
che anch’io sono stata voluta bene e preferita come Marian, è questo che mi fa vivere così. Una collega ha
tenuto aperto il centro per tre ragazzi stranieri quest’estate perché anche lei è rimasta colpita dal fatto che i
ragazzi stranieri si impegnano più degli Italiani. Cosa dobbiamo tenere presente per il prossimo anno? Come
prima cosa tener viva l’amicizia tra di noi! Questo l’ho sperimentato, come ci ha consigliato Alberto,
andando a visitare un’opera educativa. Quest’anno siamo andati a visitare il Punto Libera di Bolzano dove è
emerso che abbiamo bisogno di un confronto e soprattutto di un’amicizia tra di noi. Non siamo niente e solo
con il contributo di tutti possiamo mettere insieme un’opera così. La seconda cosa da tener presente è che i
ragazzi, soprattutto i ragazzi stranieri, vogliono essere accompagnati attraverso momenti di amicizia.
Jole (Siracusa)
Io mi chiamo Jole e vengo da Siracusa, dove faccio l’insegnante, l’organizzatrice, la segretaria di
Portofranco Siracusa. Lavoriamo da cinque anni e iniziamo il sesto. La nostra è stata un’esperienza di
grande Grazia. In effetti vai per accogliere e invece sei accolto tu in tutto il tuo desiderio di bene. Siamo una
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realtà ancora piccola, abbiamo una settantina di iscritti e quaranta insegnanti volontari. I nostri studenti
vanno dalle elementari all’Università. In realtà il target sarebbe quello degli Istituti superiori ma abbiamo
risposto alle richieste pressanti delle realtà intorno facendoci aiutare da più persone. Anche da noi la maggior
parte dei nostri studenti sono stranieri e hanno problemi di rapporti sia all’interno delle loro classi sia con i
genitori che hanno una mentalità diversa e non si trovano bene neanche con i ragazzi italiani. Noi li abbiamo
visti aprirsi alla realtà che ci sta attorno e abbiamo visto fiorire l’amicizia tra ragazzi di paesi e colori diversi
e lo stesso è accaduto tra generazioni diverse, nel senso che i nostri volontari vanno dai 20 agli 83 anni e
vanno d’accordissimo con i ragazzi. Chi dice che non c’è accordo tra le generazioni dovrebbe venire a
vedere da noi come stiamo assieme al pomeriggio oppure venire a vedere i nostri momenti di festa. Spesso i
ragazzi mi chiedono di fare lezione con un insegnante in particolare e io cerco di accontentarli perché mi
rendo conto che la loro richiesta non è di essere aiutati a studiare in un modo particolare ma di avere uno
sguardo su di sé di un insegnante che li accoglie. L’amicizia è nata anche tra noi insegnanti ed è il segno
evidente della grazia del Signore che agisce in modo misterioso, però al di là degli schemi e del gap. Per
esempio è nata una grande amicizia con una mamma musulmana, una donna tunisina che ha accompagnato
da noi il figlio. Grata per quello che si faceva per il figlio ci ha detto che voleva aiutare anche lei e viene ad
insegnare francese, così siamo diventate molto amiche con lei. Poi abbiamo un’altra madre che viene dal
Burkina Faso che ci cerca per qualsiasi problema burocratico ma soprattutto ci abbraccia e ci considera
membri della sua famiglia… Che cosa riteniamo noi necessario per il futuro? Prima di tutto custodire questo
bene che ci è stato donato. La capacità di custodire va chiesta, perché non è nostra. A volte perdiamo la
chiarezza del dono e allora lavoriamo con fatica, non con libertà e allora ci rendiamo conto che custodire è
un’opera possibile solo nella comunione con altri che vivono la nostra stessa esperienza e questo è il motivo
per cui siamo qui. Dobbiamo tenere inoltre presente che molti dei nostri studenti provengono come ho già
detto da famiglie di extracomunitari, ma anche da famiglie italiane totalmente disgregate. Per loro
Portofranco è come una casa e infatti spesso ci chiedono di poter venire a studiare in modo autonomo, però
in quel luogo. Per cui pensiamo che sia utile preparare una stanza apposita con un docente che li
accompagna. Questo vuol dire sacrificare spazi e risorse ma pensiamo che ne valga la pena. Per finire volevo
leggervi brevemente quello che scrive una ragazzina somala alla fine dell’anno:-“ Volevo ringraziarvi di
tutto quello che fate per noi. Ho preso 7 nel compito di Inglese e questa volta senza l’aiuto di nessuno.”
Sembra una stupidata ma lei non pensava mai di farcela senza l’aiuto di nessuno. Convincerla che poteva
camminare con i suoi piedi è stata una cosa importante. Oppure Angelo che ci scrive:” Io che nella vita ho
solo pianto e lottato e bloccato i miei sentimenti verso le altre persone e non ho mai avuto il coraggio di
aprirmi, posso solo dire grazie. So per certo che se il resto della mia vita sarà burrascoso, non smetterò mai
di pensare all’affetto che Portofranco mi ha dato”. Una di noi a giudicare l’esperienza di questi anni dice:”
Per me Portofranco è il sorriso di un ragazzino che si sente guardato”. E termino, perché credo che
dobbiamo aiutarci a guardarli così, con una frase di don Giussani che ha ripreso da Oscar Wilde:
“L’istruzione è una cosa ammirevole, ma è bene ricordare almeno di tanto in tanto, che nulla di ciò che è
degno di essere saputo può venire dall’istruzione, cioè non può essere insegnato ma solo incontrato”. Don
Giussani lo sottolineava spesso dicendo:” E’ solo un incontro, è solo un fatto che si incontra ad educare”.
Agostino (Desio)
Io sono Agostino Fiorello, Associazione Fronte del Porto di Desio. Abbiamo da poco festeggiato i 10 anni
dall’inizio e li abbiamo proprio voluto festeggiare come un anniversario di matrimonio,
come riconoscimento di una positività che ci ha sovrastati. Quello che io qui volevo sottolineare è la
semplicità del gesto, mi ha sempre sorpreso il libretto di Giussani sulla caritativa , un libretto così
scarno, eppure così decisivo per l’esperienza. La caritativa è proprio un gesto semplice ed è per tutti. Quindi
voglio sottolineare che il gesto di Fronte del Porto, come di Portofranco in generale è un gesto assolutamente
laico, nel senso che arrivano persone di ogni provenienza, con posizioni diverse sulla vita, eppure accade
qualcosa che le mette insieme generando una altrimenti impossibile amicizia. La grande testimonianza è
questa amicizia, le parole non servono ma è meglio parlare dei fatti concreti. Abbiamo persone che sono
andate dal loro datore di lavoro e gli hanno detto:” Il venerdì devo andare ad aiutare in Segreteria in
associazione, per cui quelle ore le recupero il sabato per mezza giornata.” Stiamo parlando di donne che
occuperebbero la giornata del sabato per sistemare la casa, fare la spesa… queste cose sono per me fonte di
una grande sorpresa e gratitudine. La seconda questione è che, come dice il libro sulla caritativa, è innato
nell’uomo il desiderio di occuparsi di un altro, ma questa generosità, non dobbiamo avere paura a usare
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questa parola, è sostenuta da una storia. Io credo che questa attenzione all’altro sia possibile perché io
riconosco su di me che questo sta accadendo ed è accaduto. Si tratta di un giudizio che nasce dalla propria
storia, nella quale è in atto il compimento della mia umanità. L’ultima questione è che quando a maggio
abbiamo festeggiato i 10 anni e abbiamo invitato il Sindaco, che tra l’altro è del PD, siamo rimasti sorpresi,
sentendolo dire: ”Guardando voi capisco che occorre passare dalla cultura della solidarietà alla cultura della
comunità”. Insomma lui si è accorto che il servizio che offriamo alla comunità non è solo un servizio
tecnico, ma il lato fondamentale è che è evidente che vogliamo bene alle persone.
Davide Prosperi:
Io faccio due brevi osservazioni dopo questi primi tre interventi. Secondo me, per come sono stato toccato io
dalle cose che avete raccontato, vi sono alcune linee che descrivono il valore di un’opera come questa, linee
che emergono proprio dai racconti che voi fate, quindi dall’esperienza fatta prima ancora che dall’aderenza a
una mission che inizialmente si può conoscere o che viene proposta. Idealmente tutti noi sappiamo cosa sia
Portofranco, o almeno tutte le persone che sono qui dentro, certo voi più di me, ma è bello, è
affascinante quando tutto questo emerge dalle singole sfaccettature, dall’esempio singolo, piccolo, cioè
dall’esperienza che noi facciamo, e questa credo sia la prima ricchezza di un gesto come quello che si fa, che
appunto richiede del tempo, delle energie, delle risorse materiali e intellettuali, perché uno deve metterci
tutto quello che ha, a volte anche dei soldi o comunque il tempo. Noi siamo colpiti dal fatto che vediamo
tanti tra di noi che mettono tempo ed energie gratuitamente per aiutare altri ragazzi che fanno fatica a
studiare, e con una serietà tale che anche se un giorno uno non può recupera in un altro giorno in cui può, il
che non sarebbe dovuto, perché non è che ti pagano o devi timbrare il cartellino e quindi se fai meno ore le
devi recuperare. Che cosa ci dice questo? Ci dice, almeno a me sottolinea due cose. Primo, che il gesto in
quanto tale è ciò che porta il suo significato. E questo noi lo vediamo. Lo vediamo da come noi innanzi tutto
lo viviamo, con tutta la drammaticità che comporta nella singola situazione, caso, problema, ma anche dalla
gioia di vedere un’utilità nella propria vita, perché io penso che per ciascuno di noi la cosa più insopportabile
sia sentire che la propria vita è inutile. Ora però il tema è in che cosa consista questa utilità. Dove si vede
l’utilità della mia azione, dov’è il principio di soddisfazione in quello che faccio? Si deve rispondere
perché è l’utilità di un’azione a muovere la possibilità di una novità continua in quello che si fa, tanto che
uno va avanti per degli anni e non si stufa, anzi si rinnova continuamente.
Il gesto porta il suo significato. E questo noi lo vediamo dal fatto che, senza bisogno di tanti discorsi, chi si
incontra è colpito, è colpito al punto che dice “ Voglio farlo anch’io, voglio mettere anch’io del tempo a
disposizione”, appunto come raccontava Jole di questa mamma che aveva il figlio a Portofranco e dice
“Voglio aiutare anch’io, io so il Francese, do le mie competenze” Questa disponibilità accade perché vede la
possibilità di un guadagno per sé! Non è appena un impeto di gratitudine! Quello è l’inizio! Ma l’impeto di
gratitudine ha sempre dentro la possibilità di un guadagno per sé.
Cosa rende queste persone così piene di vita attraverso quello che fanno? Perché questo lo desidero io per
me! Allora, senza bisogno di tanti discorsi, è il gesto stesso che quando è vero porta questa evidenza. Fino a
che anche gli altri lo possono vedere. Non abbiamo bisogno di altro. Ed è per questo che allora non abbiamo
bisogno di precondizioni. Non è che uno deve decidere di sottoscrivere o partecipare a incontri di CL perché
da CL è nato…no! Niente! E’ il gesto. La proposta che noi facciamo a quelli che come voi danno del tempo
per questo è di essere seri nell’aderire a questo gesto per la natura che ha, perché attraverso questo siamo
introdotti a un’esperienza di verità. Cioè, questo gesto è una sfida. L’altra cosa che colpisce è la libertà.
Quello di Portofranco è un gesto libero, ed è fondamentale che mantenga questa natura. E’ fondamentale per
come voi impostate le cose tra di voi, per come voi vi trattate, per come state insieme, che tutto sia vissuto
dentro la libertà, perché poi l’adulto si vede nella libertà.
Per cui la proposta deve essere sempre chiara, netta e precisa ma sollecitata nella libertà perché questo poi è
quello che convince di più! E’ la libertà il filo rosso che un po’ sentivo da tutte le cose che hanno detto fin
qui Maria, Jole e Agostino, e che era poi quello che stava sotto l’affermazione del sindaco PD. Ma cos’è che
veramente convince uno per cui vi dice che è sorpreso? Abbiamo fatto un video che adesso girerà per le
presentazioni del libro della vita di don Giussani, che uscirà l’11 settembre, curato da Savorana. Il 18
settembre faremo il primo lancio di questo libro e poi dopo riprodurremo in tutta Italia molte presentazioni di
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questo libro. Abbiamo curato un brevissimo video di accompagnamento con alcune scene molto flash di don
Giussani, della sua vita, di cose che lui faceva, diceva , di momenti fondamentali del percorso umano
soprattutto tra gli anni Sessanta e gli ultimi anni della sua vita. Ad un certo punto, in una delle due volte che
lui ha partecipato al Meeting, arriva e c’è tutta la folla che lo aspettava. Un giornalista lo intervista e gli
chiede: “Come mai tutta questa gente, tutti questi giovani così in trepida attesa del suo arrivo?”. Lui lo
guarda e risponde:” Perché credono in quello che dico”. E questo gli dice:” E basta?” “Sì!” Perché questa
cosa così semplice è tutto? Perché quello che noi siamo si capisce in quello che comunichiamo! Cioè uno
capisce, è convinto, è preso dentro da quello che tu sei, dalla tua presenza, dalla possibilità di seguire una
verità che vede non ideale, astratta, appena ipotizzata, ma attraverso uno che vive per quello che dice, cioè
che dà la vita per quello che ha incontrato. Questo significa che Portofranco è un’opportunità innanzi tutto
per noi perché nel comunicare noi stessi siamo aiutati a verificare, ad andare a fondo di quello che siamo.
Oscar Cozzi (Rho)
Una cosa semplice, due o tre mesi fa eravamo mossi da questa preoccupazione, che i ragazzi percepissero
che Portofranco fosse qualcosa di più che un centro di aiuto allo studio gratuito e allora abbiamo fatto una
proposta. Abbiamo proposto di vederci, con questa convinzione che in mezzo alla condizione di disagio e di
bisogno che ognuno di noi vive esiste una speranza. Un incontro che abbiamo cominciato più o meno
intorno a Pasqua quest’anno e che sta andando avanti ancora una volta al mese, qualche volta ogni quindici
giorni, mangiamo la pizza e poi ci fermiamo per leggere alcune pagine del triduo di GS. Mi hanno colpito
due cose: la prima cosa una risposta inattesa e decisa dei ragazzi più grandi. Alcuni ragazzi di quinta che
adesso fanno l’università, oppure alcuni che cercano lavoro, - perché hanno il problema del lavoro avendo
finita la scuola – una risposta decisa da parte di questi e anche decisa da parte di diversi ragazzi che sono
determinati più di altri da un’esperienza di bisogno. Hanno subito percepito che il luogo che noi
proponevamo era un luogo che si è rivelato come un’occasione per essere accolti in tutta la propria umanità.
L’altro giorno quando ci siamo visti dopo le vacanze, Mino per esempio, un ragazzo egiziano, cristiano
copto, la prima cosa che ha detto è stata :“Sono contento di rivedervi” ma ce l’ha detto con il cuore e questo
lo si è percepito subito. Oppure penso anche all’esperienza di Nicolas, un ragazzo peruviano, di sedici,
diciassette anni, che, pur non incontrando dei sacerdoti a Portofranco, un anno fa ci ha chiesto di fare la
comunione e come potersi preparare. La seconda cosa che volevo dire è che sono partito inizialmente tre o
quattro mesi fa proponendo questo gesto come se fosse un modo per poter organizzare meglio l’esperienza
di Portofranco, così ho scoperto che vi sono alcuni ragazzi più grandi, più decisi, i quali possono diventare
trainanti di tutti gli altri. C’è con noi uno studente universitario che si è laureato tre mesi fa in storia che
vuole fare l’insegnante e quindi avrebbe potuto diventare lui il punto di riferimento trainante di tutto, ma io
mi sono accorto che ho bisogno di un gesto e di un luogo così. Il problema non è di organizzare qualcosa
per gli altri. Mi sono così reso conto del fatto che la questione riguardasse innanzitutto me e per questo
motivo ho deciso di rimanere fedele a questo luogo e a questo gesto. L’ultima cosa è che per il futuro, il
desiderio che ho io, il bisogno che ho io è di una maggiore condivisione dell’esperienza di Portofranco tra di
noi.
Alberto Bonfanti:
Una cosa velocissima proprio rispetto all’iniziativa extra studio che ha preso Oscar, cioè che, proprio come
diceva prima Davide, il gesto in quanto tale porta il significato: questo ce lo siamo detti fin dall’inizio, Don
Giorgio ce lo diceva fin dall’inizio, non dobbiamo avere il problema di aggiungere altre cose, ma di essere
tutti tesi innanzitutto per noi a prendere sul serio quello che nasce facendo questo gesto per noi e per i
ragazzi. Tutte le cose che sono nate come iniziativa anche extra - sto parlando di Milano - non sono frutto di
una aggiunta ma di una attenzione a vedere che cosa nasceva dal gesto in quanto tale.
Caterina (Chiavari)
Io ho seguito sia quello che ha detto Oscar sia quello hai detto tu, sono Caterina da Chiavari e insegno
inglese. Io, quando voi parlate - devo dire che io non appartengo a CL – e voi parlate secondo un po’ una
vostra lingua, a me viene in mente una parola, che non esce mai, e che invece è bellissima per Portofranco:
le persone, che lavorano a Portofranco, sentono dentro di sé nascere la Creatività. E’ un rapporto talmente
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vivo, talmente ricco, quello che loro danno a noi, che noi ci sentiamo creativi, creativi alla nostra età, almeno
alla mia età!, molto vivi! Perché, io dico, quando mi siedo vicino a un ragazzo, e sono ormai 7 anni, da
quando è morta mia figlia, che io lavoro da voi, sento una fortissima carica di stress: i ragazzi sono confusi,
sofferenti nella loro confusione e io, per prima cosa, penso, tecnicamente, non umanamente, “gli devo
ordinare la testa”, gliela ordino, in modo che a un certo punto esca il verbo irregolare, esca la costruzione del
futuro, perché in quel momento, lui guadagnerà autostima e, guadagnando autostima, crescerà meno
stressato. Questo per i ragazzi sia italiani che provenienti da altre nazioni. Quelli provenienti da altre nazioni,
per me - io parlo per me, io sono egocentrica -, hanno bisogno doppiamente di autostima e questa autostima,
data da me, non è solo un aiuto tecnico a prendere finalmente un bel voto di inglese, cosa che - devo dire la
verità, qui c’è la mia responsabile - prendono quasi sempre! Io voglio di più, voglio dar loro una cosa che io
trovo importante: orgoglio delle loro radici. Ad esempio, io ho una ragazza, che è venuta a fine anno e che
ha continuato durante l’estate, marocchina, a cui ho detto “come ti chiami?” mi ha risposto “Mariam, ma tu
chiamami Mary”. “No, non ti chiamo Mary, perché io ho un’amica inglese, anzianotta, un po’ gobba, non ti
chiamo Mary! Mariam è un bellissimo nome!”E poi abbiamo parlato del Ramadan. Allo stesso modo ho
avuto per parecchi anni delle ragazze che venivano dal Perù e un giorno ho detto a una di loro: “Sai cosa
sono le vergini del sole?” “No” “Lo sai che grande civiltà c’è alle spalle del tuo Perù?”. Perché, povera
ragazza, veniva da me a farsi aiutare anche in storia dell’arte e io compativo il fatto che lei dovesse studiare i
templi greci quando io vedevo nella mia mente i templi inca e quindi voglio dare loro orgoglio delle loro
radici. Adesso finisco; ieri sera ero con delle amiche, perché sono presidente dell’Associazione italobritannica di Chiavari, in un albergo, si è staccata una camerierina e è venuta a baciarmi. Si chiama
Sucheena, è una lazzarona tremenda che non ha mai fatto niente di inglese. Ma adesso è una cara ragazza,
molto graziosa, che lavora nel più bel albergo di Chiavari. E continuava a venire a baciarmi e le mie amiche
dicevano “Ma cosa fa?” e io dicevo “E’ una mia bambina”. E io ho perso mia figlia, aspettavo una bambina,
sette anni fa.
Valeria (Urbino)
Volevo raccontare che noi nel 2014 facciamo i 10 anni da quando è iniziato Portofranco e in tutti questi anni,
di solito, alla fine dell’anno, concludiamo con un momento pubblico, magari significativo, su un tema
dell’educazione. Quest’anno invece abbiamo pensato di regalarci un momento solo per noi,
volontari, ragazzi e genitori: un momento di bellezza, invitando Piero Bonaguri a fare un concerto di
chitarra classica sui temi della fede. Ho chiesto proprio a Piero se, nell’anno della fede, aveva pensato a dei
temi, a dei brani che potessero essere in tema. Io sono ignorante, è musica classica, e mi ha stupito, prima di
tutto la sua collaborazione, cioè il fatto che lui abbia preso proprio sul serio questo invito, tanto da
ringraziarci perché da qui è iniziato un suo percorso di concerti che poi ha organizzato con Walter Molino ed
è stata proprio una cosa bella anche per lui; poi mi ha stupito che una bambina di V elementare, che ci era
stata segnalata dai servizi sociali, aveva proprio quel giorno la festa della scuola, quindi giochi nel
pomeriggio fino ad una pizza insieme con tutti i suoi compagni e lei ha detto “No, io voglio venire con voi!
Io voglio venire al concerto di musica classica”. Insomma in una bambina di V elementare è un po’ strana
questa scelta, ed è stato bello che lei l’abbia chiesto; poi la mamma non l’ha portata, ma non importa: è stato
bello che lei ce l’abbia detto. L’altra cosa è l’amicizia con l’arcivescovo, che partecipa sempre, quando può,
ai nostri momenti ed è venuto al concerto, poi alla cena e ci diceva proprio le cose che diceva Davide: “le
cose che fate voi gratis faranno poi domandare a questi bambini, a questi ragazzi, ai genitori, il perché lo
fate, quindi genereranno una domanda”. La bellezza del gesto è stata immediatamente percepita da tutti,
soprattutto dai volontari che non sono del movimento e che quindi rimangono sempre stupiti, piacevolmente
stupiti e coinvolti da questi momenti.
Graziella (Varese)
Anche noi nel 2014 faremo i 10 anni. In parte avete già risposto, però volevo dire due cose e porre una
domanda proprio di metodo. Se pensiamo a questi anni, sicuramente, anche noi possiamo raccontare
tantissimi rapporti con gli insegnanti, i ragazzi e, in particolar modo, molti cambiamenti in noi responsabili
che portiamo avanti l’opera, a partire da me, ma anche da altri e tutto questo si chiude in una parola: è stata
tantissima Grazia che abbiamo incontrato, che abbiamo sperimentato. Parto dal fatto che un nostro ragazzo
quest’anno è stato bocciato alla maturità. Allora ti domandi: vengono con un bisogno assolutamente
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concreto, ce lo diceva anche Don Giorgio, vengono lì perché hanno bisogno di recuperare delle materie,
senza girarci tanto intorno, e questo è il primo step. Poi a noi adulti vien da dire “cerchiamo di aiutarli
concretamente sulla materia, il passaggio successivo è ad un metodo, cioè ad essere seri rispetto allo studio,
ecc. il terzo step che ci spiazza, come dicevi tu, è la loro libertà. La nostra libertà, sicuramente, però poi uno
fa i conti con questo; come lo facciamo con i nostri figli a cui diciamo “studia, studia, studia” “ma si, stai
tranquilla” e poi arrivano i debiti; e la stessa cosa è con loro, che dicono “no, no, va tutto bene” e poi sono
bocciati, però venivano a Portofranco. La domanda che ci siamo posti è “ma noi veramente cosa desideriamo
per i nostri ragazzi che vengono qui? “ sicuramente coincide un po’ con che cosa desideriamo per noi, e
questo va bene, però viene da dire anche che trovino degli adulti che hanno a cuore la vita e che hanno a
cuore certe questioni. A livello di metodo ci sembra che possano venir fuori due questioni: 1 ne prendiamo
meno e così li seguiamo meglio, facciamo loro il tutoraggio, ce li teniamo lì, cioè facciamo un lavoro fatto
bene o 2 effettivamente questi vengono, ci domandano, e noi siamo aperti a tutte le possibilità con i nostri
limiti, con le fatiche e con gli insuccessi; se dovessimo statisticamente guardare quelli che vengono da noi
non è che riusciamo sempre, che otteniamo sempre dei successi, vi sono anche delle sconfitte. Che ci siano
state anche delle cose belle, dei bei risultati è evidente, non lo racconto perché vorrei si andasse a fondo di
quando i risultati non vengono. Non so se sono stata chiara.
Davide Prosperi
Penso possiate rispondere meglio voi di me, a questo, io do alcuni spunti. Cosa desideriamo per questi
ragazzi? partiamo da qui. Graziella dice “innanzitutto quello che desideriamo per noi stessi” che cosa vuol
dire? A me pare che le persone che lavorano a Portofranco sentono nascere una creatività - stavo ripensando
anche a quello che ha detto prima Caterina di Chiavari - . Cos’è questa creatività? Appunto, nasce dal
tentativo di rispondere a questa domanda “cosa desideriamo per questi ragazzi?” cioè quello che desideriamo
per noi stessi è che la vita non sia persa, che si realizzi un destino, cioè che la vita abbia un senso e noi
desideriamo per questi ragazzi esattamente la stessa cosa che desideriamo per noi stessi: cioè che la vita
abbia un senso, che il tempo speso non sia perso, abbia un significato, che la fatica fatta abbia un’intensità di
significato. E questa cosa noi non la sappiamo in partenza. Per questo mi colpiva la parola usata: creatività,
perché non la sappiamo in partenza: uno deve impararlo da quello che ha davanti, cioè deve capire chi è
quello che ha davanti e allora, da questo punto di vista, secondo me, la sfida straordinaria in un’opera come
questa è che, normalmente uno dà le ripetizioni, si fa pagare e quindi è serio perché gli danno dei soldi e sa
già in qualche modo che l’altro si aspetta una certa performance, perché, insomma, lo paga. In questo caso,
la sfida è se tenere la stessa serietà, lo stesso impegno, anzi, di più, facendolo gratis: un gesto in cui non sei
neanche ricattato dal risultato, in cui ciò che è a tema è soltanto il cammino che la persona che hai davanti
deve fare e tu con lui o con lei. E questa è una sfida affascinante perché c’è in gioco una posta che è
completamente diversa: cioè non è più il problema che tu ti misuri, il problema è capire se sta diventando un
uomo. Allora da questo punto di vista la sfida di Portofranco è a cambiare giudizio rispetto a quello che ci
accade: noi, per la mentalità che abbiamo e che, esattamente come tutti, misuriamo il nostro fallimento dal
risultato, siamo convinti che quando le cose non vanno secondo l’impegno che ci abbiamo impiegato, allora
è stato tempo perso, invece non è questa la verifica che ci è chiesta. La verifica che ci è chiesta è: che
cammino si sta facendo? Questa è la prima questione. La seconda cosa però, visto che la domanda è “ne
prendiamo meno, siamo aperti a tutti?”, è che, a maggior ragione, dobbiamo avere una elevata
professionalità. Cioè se possiamo avere 10 ragazzi, che possiamo seguire così come abbiamo detto, faremo
di tutto; se abbiamo 50 domande, faremo di tutto per avere le condizioni per seguire 50 domande, ma se alla
fine ne puoi seguire 10 ne segui 10. Perché il nostro compito non è rispondere alla domanda di tutti. Il nostro
compito è che quel ragazzo che mi è stato affidato io lo segua. Questo cambia radicalmente l’approccio e il
giudizio, perché altrimenti noi siamo ricattati dal fatto che facciamo una cosa e quindi dobbiamo essere
all’altezza di tutto. No, non è questo, è un esempio, anzi da quando c’è questa cosa, se altri potessero,
seguendo lo stesso impeto, prenderlo per sé, noi allora aiuteremo loro a farlo; non è che dobbiamo
rispondere noi al bisogno di tutti, alla fine noi non riusciamo, non siamo adeguati neanche nel poco, e
dovendo disperdere tutte le energie sul molto alla fine perdiamo di vista anche lo scopo per cui lo facciamo.
Lo scopo per cui lo facciamo non è rispondere a tutto. Lo scopo per cui lo facciamo è che il tutto si deve
vedere nel particolare che è dato a te. Secondo me su questa questione si gioca una partita che vale in tutte le
cose, cioè non è solo una questione di Portofranco, perché è un problema di metodo, è l’attenzione che ci è
chiesta dal modo con cui noi rispondiamo alle circostanze che incontriamo. Questo è vero per chiunque, solo
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che normalmente ce se ne dimentica perché quando le cose funzionano ci si sente invincibili. Per cui io dico,
siate liberi veramente, fino in fondo su questa cosa.
Alberto Bonfanti
Volevo far notare, per chi è qui da tanto tempo, penso ai miei amici di Milano, l’assoluta sintonia della
risposta che ha dato Davide con quello che ci diceva sempre Don Giorgio: è un esempio: si fa di tutto per
aiutare il più possibile, ma è meglio aiutare 10 fino in fondo bene che 50 male. Questo è commovente, per
dire la natura dell’opera, la fedeltà all’origine.
Nino (Vimercate)
Noi esistiamo come Portofranco Vimercate da 3 anni e alla fine di ogni anno abbiamo sempre cercato un
momento formativo invitando qualcuno, per esempio due anni fa è venuto Alberto; quest’anno invece
abbiamo deciso di trovarci ad imparare dalla nostra stessa esperienza. Sarà forse un po’ fanciullesco, però ci
sembrava la nostra un’esperienza molto importante, per quanto piccola, a cui dare credito fino in fondo.
Infatti gli interventi che ci sono stati ed anche il momento di festa alla fine dell’anno hanno messo in
evidenza quello che dicevi tu prima, Davide, e il primo punto dell’altro intervento sull’utilità per sé proprio
del gesto. Si è messo in evidenza non tanto quello che ciascuno stesse facendo o avesse in animo di fare,
quanto ciò di cui ognuno aveva bisogno per vivere. Un esempio è stato un volontario, responsabile locale
dell’Azione Cattolica, che in questi tre anni ha sviluppato un’affezione ai ragazzi e a noi. Quando nel mese
di maggio era uscito il libretto degli esercizi e mia moglie, che è una delle tre segretarie e che lo stava
leggendo, glielo ha fatto vedere. L’ha voluto e l’ha letto in quindici giorni. Non è che facesse scuola di
comunità, però era rimasto molto colpito e aveva dato credito fino in fondo a quella realtà che ci muoveva.
Un secondo esempio sono stati i ragazzi universitari di medicina di Monza che sono venuti ad aiutarci. In
occasione delle elezioni mi hanno telefonato chiedendo di poter mangiare con me e alcuni di noi perché loro
pensavano che il gesto delle elezioni potessero capirlo dentro l’esperienza che stavano facendo con noi.
Portofranco era una cosa quindi che stavano facendo e che era utile per la loro vita e quindi anche per me.
Un ultimo esempio è questo: un dirigente bancario che insegnava diritto non aveva mai fatto esperienza
didattica, evidentemente. Ha la moglie insegnante delle superiori e si è fatto aiutare totalmente anche dalla
moglie per tanti aspetti e per capire come rendere accattivante la materia, come mostrare, come portare i
concetti di diritto in maniera affascinante, in maniera che piacessero veramente ai ragazzi. Questo mi fa dire
che le persone non sono venute per fare l’ora di lezione, o due ore, alcuni anche sei ore alla settimana, così.
Per esempio il prete dell’oratorio che ci ospita, fa 6 ore alla settimana addirittura: un prete che non aveva
nulla a che vedere con l’esperienza mia, cioè guardava male tutto questo e invece in questo cammino è
venuta fuori una cosa inaudita per me, per lui e per tutti noi.
Davide Prosperi
A me è venuto in mente un esempio rispetto a quello che diceva prima Graziella. Il ragazzino che viene
bocciato alla fine dell’anno e che ha seguito Portofranco per tutto l’anno, deve sapere che lui per voi vale,
cioè che il fatto che sia andata male non è un giudizio di inutilità su tutto quello che ha vissuto e lo deve
sapere perché il giudizio sull’altro è che ha un destino. Perché noi con i nostri figli, se vengono bocciati,
vanno male, fanno fatica,ecc. non è che si dice “s’è buttato via il tempo” e lo mandi via. Vuol dire che ti devi
impegnare di più o meglio; vuol dire che bisogna tenerci di più. E questo, appunto, non è che allora viene
meno la libertà, anzi viene più messa in gioco la libertà tua e dell’altro, perché come coi figli, l’altro capisce
che deve accettare se stare a questa offerta o meno, ma questo ci deve essere perchè in questo si vede la
diversità, non appena nel fatto che alla fine passano tutti. Certo se venire a Portofranco è come se fosse
niente forse dobbiamo registrare qualcosa sul modo che abbiamo di fare le cose, però se a qualcuno ogni
tanto succede una cosa così, se non riesce pur avendo frequentato Portofranco deve sentire questo giudizio
di positività ultima su di sé, perché questo è la natura di quello che voi fate.
Patti (Reggio Emilia)
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Noi celebriamo quest’anno i nostri dieci anni, molto belli e sempre sorprendenti perché quando abbiamo
iniziato eravamo una realtà piccola e messa male, invece la Grazia ci ha sempre sostenuto, per cui abbiamo
avuto sempre volontari che, seppur non insegnando nella maggior parte dei casi e senza essere parte della
nostra storia di Cl, ci hanno sostenuto, il che è qualcosa di veramente sorprendente. Questi sono diventati
fedeli per avere incontrato un posto che abbraccia tutta la persona. Ciò vale per loro come vale anche per i
ragazzi che abbiamo incontrato. Portofranco è un posto dove non solo si aiuta a studiare, ma lo si fa così
bene e con tanta passione perché è abbracciata tutta quanta la persona. Racconto solo due episodi che
dimostrano questo: quest’anno è arrivato il nuovo vescovo Mons. Camisasca. Quando è stato ordinato a
Roma io sono andato a salutarlo e lui mi ha detto: “Mi raccomando, chiamatemi!” Io ho fatto passare
qualche tempo perché non volevo tediarlo da subito. Poi gli abbiamo scritto e lui è venuto a trovarci. Ciò che
mi ha preoccupato è che lui si aspettasse delle domande dai ragazzi. Io gli ho risposto che per la metà i nostri
ragazzi non sanno nemmeno cos’è un vescovo, essendoci molti musulmani, indù e anche qualche ortodosso.
Inoltre gli italiani, pur sapendolo, non gliene frega assolutamente niente, hanno un’altra storia loro. Quindi io
ero molto preoccupato, insomma la nostra sede già non è come questa, è molto “basic” poi la situazione è
quella che è. Invece il vescovo è arrivato ed i ragazzi erano tutti lì. Tutti: musulmani, pakistani, indù ed
anche i nostri insegnanti atei che non sapevano se venire o meno, alla fine sono venuti perché io gli ho detto
che questo vescovo era per i nostri ragazzi come un padre, così poi sono rimasti contenti. I nostri ragazzi
hanno fatto domande con spontaneità: “Perché lei si è fatto prete?”, “ Come andava lei a scuola?” “Come
faceva lei a studiare le materie che non le piacevano?”. Insomma questi ragazzi sono venuti e si sono aperti
all’incontro in modo inaspettato perché sono legati ad una storia e si sono fidati di alcune persone non
formalmente. E’ questo che ha colpito me, come anche il vescovo. L’altro episodio che vi racconto è che noi
spesso li invitiamo al Meeting, anche perché questi ragazzi spesso non hanno molte occasioni per andare in
giro e per vedere il mare. L’anno scorso siamo andati e, dopo due ore di coda per visitare una mostra,
abbiamo mangiato alle 14.30 passate; allora io pensavo che non sarebbero più venuti. Invece anche
quest’anno sono venuti ancora. Forse ciò che li colpisce non è stata proprio quella mostra, ma il sentirsi
accolti ed amati. Quindi con queste persone è nato un rapporto che va ben oltre la matematica. L’ultima cosa
che dico di loro è che quando alla fine dell’anno scolastico ci troviamo per fare una cena insieme, gli
insegnanti sono molto preoccupati per l’esito scolastico dei loro ragazzi. Questa cosa la dico perché non mi
sembra affatto scontato, che vi siano degli adulti che hanno a cuore il destino dei ragazzi. I primi ragazzi che
venivano avevano 3 materie come debito adesso, questi, sono quelli bravi, quelli che arrivano ora le hanno
tutte giù, quindi anche se arrivano ad averne giù solo 4 vengono comunque bocciati; la cosa bella in questo è
che però loro sono accompagnati e così anche dopo Portofranco questi ragazzi vengono per essere aiutati,
come per fare il curriculum per il lavoro … Non so come dire ma è il segno di una vita bella e grande.
Pierluigi ( Imola)
Il nostro centro di Portofranco ha appena compiuto 10 anni e li festeggeremo con una festa a fine anno.
Leggo soltanto una mail che abbiamo avuto da una mamma a giugno, quando ci siamo messi a considerare la
situazione dei ragazzi: “Grazie per il supporto che viene dato a Luigi, sono la sua mamma; anche se non è
stato promosso, per noi Luigi ha raggiunto un grandissimo risultato grazie al vostro sostegno e impegno,
dato che il suo ogni tanto vacilla: Luigi è stato rimandato e lunedì vedremo quali materie sono insufficienti.
Rispetto al suo impegno scolastico, il nostro interesse di famiglia non era rivolto anzitutto al profitto,
desideravamo che lui si formasse una volontà sufficientemente matura per affrontare la realtà, anche se
diversa da come lui l’avrebbe voluta. Impegno, confronto con l’adulto e consapevolezza di sé erano concetti
sconosciuti a lui e opportunamente evitati. Oggi possiamo dire che grazie a voi grandi passi sono stati fatti in
questa direzione, anche se ne rimangono ancora tanti da fare. Rinnovo l’iscrizione per l’anno prossimo e il
nostro grazie.” Sebbene non tutte le famiglie siano così, questa è una risposta che ci dà soddisfazione rispetto
al nostro operato. Anche da noi non tutti sono docenti o ex docenti (si sta incrementando la fascia di
pensionati volontari), ci sono molte persone di altri ambiti lavorativi. Qualcuno dei nostri assistiti
extracomunitari, si è anche organizzato per portare a Portofranco la merenda indiana o pakistana! Cosa che
ci fa immenso piacere. Noi siamo anche riusciti a portare i ragazzi in gita, qualche breve gita con piccoli
gruppi, occasioni che sono state molto importanti perché sono venute anche le famiglie insieme a loro. Il mio
ruolo è quello di mettere in atto una serie di progetti che sono quelli che ci permettono di ottenere soldi dalle
istituzioni e sono fondamentali per stare in piedi. La questione economica è purtroppo importante per la
sopravvivenza.
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Giovanna ( Cesena)
Vorrei porre due questioni su cui noi di Portofranco dell’Emilia stiamo lavorando da un po’ e su cui mi
sembrava importante confrontarci insieme. Anche noi siamo nati 10 anni fa e questa è una curiosa
contingenza, che ci indica come è nata quest’opera di Portofranco, cioè su una proposta. Prima osservazione
che voglio fare è che Portofranco è stato anzitutto utile per me, nel senso che mi ha insegnato come si fa ad
insegnare. Io ho 60 anni e 39 anni di insegnamento e Portofranco lo faccio da 10 anni. In questi anni ho
imparato la pazienza e la libertà nei confronti del ragazzo che ho di fronte. La proposta di Portofranco mi
sembra interessante anche in una situazione complessa come quella che sta attraversando la scuola italiana,
in cui proporre anche ai giovani colleghi questa iniziativa è qualcosa di nuovo e singolare. Noi, come diceva
Davide Prosperi, non siamo qui per dare una risposta definitiva al bisogno dei ragazzi, ma io sento il
rammarico, il dolore, perché in un momento economico come questo Portofranco può essere una risposta ai
bisogni che le famiglie effettivamente hanno. Noi infatti stiamo facendo tutto il possibile per rispondere a
tale bisogno, ma i soldi non bastano, così ci siamo chiesti se sia opportuno fare pagare i ragazzi che
vengono. Il problema su cui abbiamo dibattuto è questo: Portofranco è nato per quella intuizione
meravigliosa per cui l’apprendimento nasce dal gesto di gratuità di un adulto, grazie al quale lo studente può
porre tutte le domande anche le più idiote, che uno non porrebbe mai a nessuno, ma che a Portofranco
vengono fuori e mostrano l’effettiva comprensione del ragazzo. La condizione di tale disponibilità è però
l’assoluta gratuità del gesto. Allora adesso chiediamo all’atto di iscrizione 30 euro.
Davide Prosperi: Ma li chiedete al ragazzo o al docente?
Giovanna
No, li chiediamo agli alunni. Poi anche noi ci siamo proposti di dare il nostro contributo di 20 euro. Noi così
possiamo dare una piccola forma di ricompensa ai giovani universitari che vengono ad aiutare i ragazzi. Ora
si stanno stringendo i cordoni delle donazioni di coloro che ci hanno sempre aiutato e a tal proposito
ringrazio anche voi di Milano che ci avete sostenuto. Così è giunto il momento in cui non riusciamo a pagare
i ragazzi che vengono a dare una mano, per cui dobbiamo mandarli via avendo di conseguenza pochi
volontari a disposizione. Il problema è che da noi non ci sono sedi universitarie in città, così per avere un
aiuto dai giovani universitari li paghiamo qualcosa. Poi ci sono giovani insegnanti che vengono
gratuitamente, vecchi insegnanti e pensionati che vengono altrettanto gratuitamente, ma sono un numero
limitato, incapace di rispondere ad un bisogno che lievita. Da qui la necessità di reperire dei fondi per pagare
qualche giovane universitario che venga a dare il suo aiuto. Ecco che allora noi abbiamo dibattuto molto su
questo. Ciò che mi turba è questo: sento di tradire l’origine stessa che mi ha fatto nascere, facendo pagare i
ragazzi assistiti, perché l’origine di Portofranco è la gratuità.
Davide Prosperi:
Secondo me la tua preoccupazione è giusta! Proprio perché lo scopo è nell’origine, quella che ha colpito te!
Tu 10 anni fa sei stata colpita da questa gratuità per cui hai deciso di metterci tempo, energie, amicizie,
coinvolgendo anche altri, proprio perché ti aveva affascinato la gratuità come origine dell’educazione. Allora
venir meno a questo, anche solo in modo simbolico, è perdere un’opportunità: è più quello che perdi di
quello che guadagni introducendo quella richiesta economica. Io sospetto fortemente che sia proprio così.
Puoi seguirne uno e basta, allora seguirai quello lì. Per come capisco io quest’opera, il punto è che ci sia lì
nel posto dove vivete (dove mancano gli universitari …) un segno del valore di questa ipotesi e che siete
fedeli a questo, per come riuscite. Cercheremo di aiutarvi. Io non mi preoccuperei, se dovrete mandare via
alcuni perché non siete in grado assisterli, li manderete via magari col cuore straziato. Mandateli via dicendo
che voi non siete in grado perché potete fare solo quello. Intanto, voi non smetterete di cercare aiuto dalle
istituzioni della regione e del comune o a tentare altre soluzioni. Ma dev’essere un gesto libero, libero!
Altrimenti è come se uno la mattina dopo l’iscrizione è come se sentisse l’obbligo dei venire, perché ha
pagato e si è iscritto. Invece uno deve venire lì liberamente, questo è il primo fattore educativo. Nel
momento in cui uno si sentisse in qualche modo costretto, è come se perdesse qualcosa, senza essere libero
uno verrebbe lì come ad un doposcuola o a ripetizione. L’unico valore che ha per la persona, è che uno
venga lì sentendo che è utile per sé; questo alla fine è ciò che aiuta anche voi ad andare avanti, senza
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ambiguità di nessun tipo. Vale di più difendere questo criterio di qualsiasi altra cosa, fosse anche ridursi al
minimo. E la seconda cosa?
Giovanna
La seconda questione è “la dignità civile dell’opera”, ossia: noi siamo stati in questi anni sempre nella sede
del Sacro Cuore, scuola del Movimento, in primo luogo perché in origine davamo qualcosa come affitto alla
scuola (quando avevamo i soldi), poi perché è la cosa più semplice per il fatto che ci sentiamo a casa. Infatti
per un anno siamo stati ospitati da una scuola statale, da cui siamo stati cacciati per aver organizzato un
incontro sulla storia, tenuto da Mons. Negri, che era stato ritenuto politicamente scorretto. Ora noi nella
fondazione del Sacro Cuore non possiamo più rimanere perché si sta allargando e noi non ci stiamo più.
Anche qui si aprono diverse strade possibili: siamo andati dal vescovo per presentargli l’opera di
Portofranco, chiedendo uno spazio all’interno degli edifici diocesani (esempio parrocchie); l’altra strada che
abbiamo intrapreso è quella dell’assessorato del comune, che ci stima molto ed il quale probabilmente ci
rimanderebbe nuovamente in un edificio scolastico pubblico. Cosa che ovviamente ci fa tremare le vene dei
polsi, anche per il fatto che ne possono andare di mezzo i ragazzi. Da un lato io vorrei mostrare quest’opera
al di fuori, per farla vedere a tutti, dall’altro ho paura di alcune conseguenze negative che potrebbero
derivarne. Come posso giudicare?
Davide Prosperi
Siccome non possiamo prevedere gli effetti a priori, provate! Cioè se questa opera è conveniente e
addirittura utile, rischiamo. Se non funzionerà, l’anno prossimo cambieremo. Anche su questo io mi sentirei
molto libero; capisco le tue preoccupazioni, ma rischiamo. Dobbiamo essere attenti, attenti anche nel
guardare gli errori fatti a fin di bene (come ad esempio incontri contrari all’impostazione della scuola che ci
ospita), ma il tema è quello di provare a mettere in piedi la nostra opera. Qui quello che conta è il criterio:
anche quando abbiamo messo giù tutti i dati, noi non possiamo prevedere tutti gli effetti, compresi quelli su
nostri ragazzi che verranno perseguitati, in quel caso saranno scemi gli insegnanti che li perseguiteranno.
Forse è l’occasione anche per loro di vedere cose che non vedevano. Dunque se economicamente vi
conviene uscire nel pubblico, provateci; poi si vedrà.
Pino (Milano)
Faccio un intervento in cui parlare un po’ di me. Qualche anno fa mi era balenata l’idea di andare in
pensione, anche a motivo dei cambiamenti introdotti dal ministro Fornero. Poi parlando con un amico, che è
allettato e muove solo una mano, della mia preoccupazione su cosa avrei fatto in pensione, mi son sentito
dire, proprio da lui: “Ci sono da fare tante di quelle cose che tu non ne hai idea!” Così nel 2012 sono andato
in pensione e ho pensato subito all’opera di Portofranco, che conoscevo anche perché i miei due figli
universitari già ci andavano. Arrivato qui mi son trovato catapultato in una realtà talmente inaspettata che mi
ha invaso, mi ha catturato totalmente, tanto da passare 3 ore a fare ripetizione senza accorgermene. Non
capivo cosa mi fosse accaduto, passato del tempo mi son fermato a riflettere su quanto accaduto, così ho
percepito due cose: la prima è il bisogno infinito dei ragazzi. Qualche volta sono anche bisogni assurdi, per
esempio un ragazzo che voleva presentarsi agli esami di stato prescindendo da tutto quello che era capitato
nei quattro anni precedenti. Non conosceva niente e mi diceva “no prof. Lei mi dica soltanto queste cose…”.
Magari sarà stato anche promosso visto come funzionano alcune scuole, ma lo stare di fronte a lui,
l’assiduità con cui frequentava - lo avevo tutti i giovedì - mi ha fatto percepire che i bisogni dei ragazzi
sono grandissimi. La seconda cosa è che, e riprendo la frase che si trova scritta sulle scale “i ragazzi non
sono vasi da riempire ma fuochi da accendere”. Ho scoperto che questo fuoco si riversava anche su di me e
questo è ciò che mi fa attendere la ripresa di quest’anno tanto che voglio affrontarla con un po’ più di calma
per percepire più cose.
Licia (Scholè - Bologna)
Non ho questioni particolarmente urgenti, volevo solo sottolineare una cosa. Siamo aperti da 12 anni però
facciamo finta che siano 10 perché, siccome abbiamo in atto una campagna di raccolta fondi per rifare il
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tetto dell’edificio, allora festeggiamo i 10 anni, per questo sembriamo più giovani. Volevo solo sottolineare
quello che mi ha colpito di più, cioè che veramente la questione è quello che accade lì; quello che accade è
quello a cui guardare e che questo è già il cambiamento, cioè non è un passaggio. Questo io l’ho capito a
Scholè. Cerco di essere brevissima, per esempio stavo facendo storia con due ragazzine bengalesi le quali
volevano sapere, perché dovevano studiare Ravenna e allora cominciano a chiedermi che cos’è una chiesa,
che cos’è un battistero, che cos’è il battesimo, che cos’è l’altare, che cos’è l’Eucarestia. Queste cose
assolutamente ignorate da loro. Prima ho dovuto far capire che comunque, vivendo in Italia, le dovevano
conoscere, e a un certo punto mi hanno chiesto “ma perché voi mangiate quella cosa?” e parlavano
dell’Eucarestia. Io ho dovuto rispondere e mi sono accorta in quel momento rispondendo che stavo
spiegando l’Eucarestia come avevo imparato da don Giussani. In quel momento mi sono resa conto che mai
ero stata cosciente del valore di quel gesto come dovendolo spiegare a queste ragazzine e lì ho avuto chiaro
non solo che tutto era per me ma anche che quelle due persone così lontane per cultura erano parte di me,
cioè erano lì perché io diventassi più cosciente di questo e allora questa mi è sembrata la cosa più grossa
dell’esperienza di quest’anno: che questa apertura, questa esperienza ci consente, di andare, come dice il
Papa, verso le periferie, lì è proprio oltre le periferie, le bidonville, non so..è proprio lo scoprire che la
persona più lontana fa parte del tuo destino, fa parte di te. Questa esperienza che ho fatto a Scholè è stata una
apertura che sta lentamente cambiando anche il modo di guardare i miei studenti alla mattina. Questa è una
cosa interessante, l’altra è che un po’ alla volta il venerdì pomeriggio avevo detto con i ragazzi scontenti “se
c’è qualcosa che vi colpisce di quello che fate la mattina, raccontiamocelo, c’è la segretaria che tutti i
venerdì ci porta delle meravigliose merende.”. L’abbiamo fatto una volta e io pensavo che poi fosse finita la
cosa, perché una ragazza aveva raccontato una cosa che l’aveva colpita su Dante dopodichè tutti i venerdì
successivi me li trovo lì seduti che aspettano che ci sia questo momento semplicissimo di racconto perché
hanno intuito che lì c’è la strada perché quello che fanno alla mattina possa avere un significato. Allora io
non so come questo andrà a finire, non è un incontro strutturato, però mi rendo conto che qualcosa è
accaduto.
Renato (Cuneo)
Mi pare, sentendo le altre esperienze, che qua io sono il più giovane come Portofranco, in quanto siamo nati
solo 3 anni fa e vi racconto brevissimamente l’avventura, perché è una vera avventura. Ero venuto qua a
vedere Portofranco, la sede, cos’era questa storia che io non conoscevo ed ero venuto con mia moglie. Oggi
sono qua con altre tre persone perché è stato un po’ come salire su un treno sul quale si sono aggiunti tanti
vagoni, e non sono vagoni che frenano ma vagoni motrici, tant’è che partiti da un paesino di 3000 abitanti –
600 ore già subito il primo anno, una cinquantina di volontari, un entusiasmo fantastico – poi è nata un’altra,
chiamiamola sezione, chiamiamolo gruppo a Cuneo, proprio città e stiamo lavorando. Con noi c’è Maura
che dovrebbe aprire direttamente a Saluzzo. La cosa bellissima che voglio raccontarvi è l’entusiasmo,
l’entusiasmo delle persone che hanno aderito a questa idea, a questo progetto. Non ho il conto preciso di chi
formalmente ha aiutato Portofranco con le lezioni e di chi ha dato il suo aiuto dal punto di vista culturale,
logistico, organizzativo o per l’assemblamento di una piccola sala informatica, ma sicuramente almeno un
centinaio di persone si sono già in qualche modo mobilitate in questa avventura stupenda che sta andando
avanti. Questa è la parte bella da raccontare. Noi abbiamo fatto una scelta, discussa con Alberto a Cuneo, di
lavorare all’interno delle parrocchie, cioè noi utilizziamo gli oratori. Noi sappiamo che gli oratori sono
sottoutilizzati, per non dire vuoti qualche volta ed è un vero peccato perché comunque gli oratori sono
strutture di una comunità – nella nostra comunità sono stati spesi 350 milioni 15 anni fa e non è giusto che
siano vuoti; non ritengo moralmente accettabile questa cosa. Poi c’è un altro aspetto: noi abbiamo chiesto ai
parroci con cui collaboriamo di inserire questa attività, questo servizio che facciamo, nel loro piano pastorale
per i giovani perché noi vogliamo non fare delle proposte ai giovani come fanno gli oratori, e lo dico con un
sacco di rispetto, non sto criticando nessuno, lodevolissime tutte le attività che vengono fatte, ma spesso le
parrocchie fanno proposte ai nostri ragazzi alle quali i ragazzi non sono interessati. Invece di fare delle
proposte, perché non proviamo a dare delle risposte là dove loro hanno dei bisogni e dov’è che c’è un
bisogno più immediato di quando hai una verifica di matematica il giorno dopo e te la stai un po’ facendo
sotto?! Scusatemi il termine. Quindi se noi riusciamo a dare una mano in questo contesto, noi agganciamo
un bisogno, diamo, proviamo a dare delle risposte e l’entusiasmo che c’è in questi volontari veramente mi
dà grande coraggio e grande forza. Tra i volontari abbiamo anche i ragazzi, qui abbiamo la presenza di una
ragazza delle superiori, quindi abbiamo avuto anche l’adesione di ragazzi delle superiori più che di quelli
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dell’università. Questa è l’avventura che volevo raccontarvi; però voglio entrare anche un attimo in merito a
quello a cui è già stata data una risposta, ma per me rimane un dibattito aperto: il discorso dell’adesione
gratuita. Dalle nostre parti c’è un detto molto semplice “custa nient, val nient” cioè se non costa niente è
perché non vale niente, smentire questo con i fatti, poi con la sostanza è abbastanza facile perché Portofranco
è una realtà veramente importante, ma qualcuno questa cosa la coglie, per questo chiedo se posso far pagare
almeno l’iscrizione? Per dare un maggior senso di serietà, non per un bisogno di soldi, perché grazie a Dio
navighiamo, non siamo ricchi ma navighiamo.
Davide
Navigate nell’oro?
Renato
No navighiamo in un mare burrascoso ma la provvidenza ci ha aiutato sempre. In più c’è l’altro aspetto che
riguarda proprio i giovani: ci anima questa passione educativa, tutti i volontari che ci hanno dato una mano
la si percepisce, ce l’hanno forte, ma questa passione educativa vale anche per i giovani che si trovano lì con
una laurea in mano e non trovano un becco di lavoro da fare e quindi se io riuscissi a dare quei quattro
soldini, non perché gli devo dare una paga o debba dargliela sotto forma di benefit, però in qualche modo
mi sento anche responsabile nei loro confronti e vorrei aiutarli. Non per fare concorrenza con chi fa queste
cose in nero ma perché loro hanno bisogno, perché loro hanno un problema immediato che è quello di
portarsi a casa anche due soldini e non riescono qualche volta a farlo. Io sono il più giovane qua dentro, non
ho conosciuto la realtà di partenza, come è stata, le motivazioni profonde, che poi ho letto e cercato di capire
e alle quali ho anche aderito, ma rimane per me questo tipo di problema. Grazie
Davide Prosperi
Penso che nello specifico anche delle questioni poste, poi avrete tempo e modo di entrare opportunamente.
Io volevo solo fare due punti brevissimi , anche un po’ conclusivi delle cose che ci siamo detti soprattutto in
senso molto concreto perché abbiamo detto tante cose, è inutile tornarci sopra, le riprenderete. Il primo punto
è il valore della gratuità e mi sembra un punto che ritorna. Posto che io penso sempre questo: quando si
riconosce il valore di una cosa, noi poi facciamo i conti con la realtà in cui siamo e con le esigenze che
possono essere inderogabili e quindi la cosa più importante è sempre avere in mente verso cosa tendere. Per
cui uno può anche essere in una situazione in cui una cosa che idealmente riconosce vera non si può fare
così, ma non perdere di vista dove si vuole tendere. Anche nella condizione in cui uno magari può avere
degli elementi di contraddizione se la vive con quella tensione, cerca di realizzare tutto in modo che porti
verso quella direzione che riconosce più vera. Non si può, anche dopo aver valutato tutto, non si può fare
tutto tutto gratis, almeno una piccola quota di iscrizione. Ci vuole, però si deve capire che l’ideale è che sia
gratis. Perché l’ideale è che sia gratis? Non perché il mondo pensa che le cose che sono gratis non valgono.
Quello che costa meno al supermercato, le cose che costano meno tendenzialmente in un momento di crisi le
prendi, però se costano troppo poco non le prendi, non ti fidi, perché non vale, perché è fatto male, perché
sono gli scarti… Non per questo, la sfida vera per noi innanzitutto, è se invece questo, che costa poco o che
costa niente, vale di più delle cose che costano. Questo ci obbliga a sapere cosa sia che lo fa valere. Ci
costringe, perché non abbiamo alibi, allora questa cosa è innanzitutto utile per noi che lo facciamo, scoprire
e vivere la ragione della gratuità. Il secondo punto è la creatività. Tutto ciò che diventa intelligenza,
creatività, iniziativa, possibilità di sfruttare opportunità che vengono date o di valorizzare spazi come gli
oratori, ben venga, cioè non c’è una forma standardizzata che noi dobbiamo assumere. Io non ho visto lo
statuto, però non è che possiamo essere legati ad una forma esteriore mentre in tutto quello che facciamo
dobbiamo cercare il più possibile di non perdere di vista lo spirito e il criterio originali, che non vuol dire che
dobbiamo stamparci le frasi chiave, no, vuol dire che noi dobbiamo sapere che il tipo di risposta che diamo è
perché questo bisogno esiste. Siccome esiste questo bisogno, allora noi, ripeto, non possiamo essere ricattati
dal bisogno; eppure sarebbe giusto perché uno quanto più entra in rapporto con un altro che ha bisogno poi
dopo comincia a vedere che in realtà questo qui ha un problema a casa, ha delle esigenze ulteriori, cioè non è
che puoi far finta che tutto questo non ci sia. Tutta questa vastità del bisogno viene fuori, emerge mentre gli
spieghi la matematica o l’inglese o la fisica. Però noi non siamo la risposta al bisogno dell’altro, siamo un
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esempio. Esempio vuol dire che nel modo con cui si accompagna a vivere il particolare bisogno uno impara
ad affrontare tutti i bisogni perché lo scopo è aiutare a far diventare grandi i ragazzi che si incontrano in quel
particolare bisogno. Questa è l’ultima cosa che vorrei dire. Io sono venuto tre volte qui, due volte come oggi
e un’altra volta all’inaugurazione. Devo dire che questa è una delle opere che mi commuove di più, perché,
ne ho viste tantissime, di tutti i tipi, anche opere di carità in cui vedi che c’è un bisogno addirittura più
elementare, cioè dove si sfama la gente che non ha da mangiare, dove si aiutano proprio delle difficoltà
fisiche gravi, però ci pensavo prima e mi chiedevo “ma perché io qua, io che, da lombardo non sono molto
sentimentale, perché mi viene questa commozione?”. Penso che sia perché qui io capisco che il tipo di
passione che è data per il ragazzo che hai davanti è qualcosa di ancora più radicale di quello che muove chi
si trova di fronte a situazioni estreme; ancora più radicale, almeno al livello del bambino che muore di
fame, perché qualunque condizione uno viva la capacità di imparare, la stima di sé come uomo è qualcosa
che fa diventare un ragazzo Uomo. Senza questo tu gli puoi dare tutto il resto, però non diventerà mai
grande; e questa è proprio una cosa che commuove. Se io penso alla mia vita, se non avessi incontrato gente
così nella mia vita, non so dove sarei, non so dove sarei. Questa è una cosa grandissima, per cui io davvero
vi sono molto grato.
Alberto Bonfanti
Io voglio dire tre cose velocissime: innanzitutto ringraziare tutti voi per la ricchezza di quello che fate, per la
ricchezza delle testimonianze, che purtroppo abbiamo dovuto tagliare per questioni di tempo. Vi chiedo di
scrivere a [email protected] le vostre testimonianze perché farle circolare è una ricchezza per tutti.
Voglio ringraziare Davide perché è sorprendente che lui rimanga colpito dal fatto che i ragazzi sentano una
ingiustizia andare male a scuola. Questo fa parte del percorso di stima. Ringrazio Davide perché venendo qui
tre volte ha capito la natura dell’opera, la natura di quello che facciamo con una profondità, per esempio
rispetto al valore della gratuità che dovremo riprendere tutto l’anno, su cui dovremo tornare. Terza cosa
vorrei concludere leggendo alcuni brani, sempre perché la cosa commovente è che pur in posti diversi il
cuore dell’esperienza è comune, così come il cuore di chi, come Davide le tre volte che è venuto, come
Carron quando è venuto alla nostra inaugurazione, ha colto il cuore di questa opera. Allora vorrei concludere
rileggendo tre brevi brani di quello che Carron ha detto all’inaugurazione, a cui Davide faceva riferimento e
che abbiamo fatto nel Marzo del 2011
“Ognuno di voi deve farsi la domanda, come se la fanno i ragazzi incontrandovi, anche per rispondere
adeguatamente a coloro che aiutate nello studio. Dovete fare voi stessi il percorso domandandovi: «Ma io
perché vengo qui? Che cosa nutre questa mia capacità, questa mia gratuità?». E così i ragazzi vi aiutano a
prendere consapevolezza di voi e a rispondere alle domande che voi stessi avete. Infatti, senza trovare una
risposta adeguata, l’attività manca della radice e nel tempo può seccare.”
Poi più avanti ha detto: “. Il volontariato nasce da una sovrabbondanza, non da una mancanza, perché se
fosse soltanto per quello che manca, a un certo momento ci stancheremmo! È da una sovrabbondanza,” – di
cui tanto abbiamo testimoniato oggi – “ che noi riceviamo costantemente, che nasce la nostra attività. E
possiamo conservare questa sovrabbondanza, se noi stessi continuiamo a sentire il bisogno di partecipare a
un luogo dove essa diventa costantemente un’esperienza. Questo consente, allo stesso tempo, di educare
nella libertà. Me ne rendo conto” – qui fa un esempio bellissimo – “quando incontro i miei amici sposati e
vedo i loro figli; da come si muovono si capisce cosa sta accadendo in casa: se i figli sono liberi, scherzano,
si muovono con spontaneità; si capisce che non devono guadagnare la stima dei genitori, perché è già data
loro, gratuitamente, a priori, e per questo sono liberi. Se invece devono guadagnarsela, e appena sbagliano i
genitori li sgridano, allora sono impacciati e non sanno come comportarsi.
Analogamente, è questa
appartenenza a un luogo che ci rende liberi; e noi possiamo essere liberi, dare gratuitamente a prescindere
dalla risposta degli altri, soltanto se noi viviamo questa sovrabbondanza.”
Comunque ci sarà occasione di riprendere questa sfida in ogni suo aspetto con le particolari sottolineature
che sono emerse oggi nel dialogo.
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