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Bergamo
a cura di Antonio Cortinovis
Una laurea triennale: l’architetto iunior
L’esperienza della laurea triennale per me è risultata positiva. Ho conseguito la Laurea di I livello in Scienze dell’Architettura il 3 ottobre 2003 dopo tre anni di studi al Politecnico di Milano e ciò mi ha permesso di affacciarmi “presto” al mondo del lavoro. Ho scelto, infatti, di non proseguire negli studi, ma di cominciare a lavorare in quanto
avevo voglia di mettermi in gioco sul serio e non volevo
solamente avere dei voti su un libretto: volevo vedere realizzato qualcosa su cui mi ero impegnata e di cui mi occupavo. Devo dire che quando ho cominciato l’università
non sapevo ancora che al terzo anno avrei potuto scegliere se proseguire per altri due anni o fermarmi conseguendo una laurea. Durante i tre anni poi, venendo a conoscenza di questa opportunità, ho preso la decisione di cui sono
soddisfatta; non escludo, in futuro, di riprendere gli studi
per conseguire la laurea quinquennale.
Credo di essere stata fortunata perché ho trovato un’occupazione dopo un mese e mezzo dalla laurea: infatti, a
fine del 2003, dopo alcuni colloqui, ho iniziato a collaborare presso uno studio di architettura che si occupa di
progettazione di interni.
Ritengo che nella riforma dell’università ci sia qualcosa di
buono: si può scegliere di iniziare a lavorare prima, avendo comunque delle buone basi da poter sviluppare con
l’esperienza sul campo. La riforma offre anche l’opportunità di fare una prima esperienza lavorativa grazie al tirocinio obbligatorio per poter ottenere i crediti necessari
per laurearsi dopo i tre anni (oltre, ovviamente, agli
esami). Forse bisognerebbe organizzare meglio il tirocinio, in modo più sistematico, continuativo e per un periodo di tempo più lungo, non solamente per due mesi.
Pongo l’accento su questo aspetto perché credo che
l’università non possa e non riesca a professionalizzare e
quindi un primo approccio al lavoro, durante il tirocinio, lo
ritengo necessario.
Dopo circa sei mesi di esperienza lavorativa ho deciso di
fare l’Esame di Stato per conseguire l’abilitazione professionale: devo sottolineare che mi è stato molto utile, anzi
direi indispensabile, l’aver collaborato con uno studio di
architettura. Infatti, la prima prova dell’Esame di Stato consisteva nella ristrutturazione di un appartamento a Milano
tramite la consegna in comune di una D.I.A. Avendo
seguito nello studio progetti simili sono riuscita con facilità
nella prova. Lo stesso discorso vale per la seconda prova
scritta, che proseguiva il progetto della prima prova sviluppando la computazione metrica delle opere decise. Dico
questo perché, se non avessi già avuto un approccio concreto con la realtà della progettazione, gli esami sostenuti
nel triennio non sarebbero stati sufficienti per superare le
prove d’esame. Il problema non è da riferire al fatto che io
abbia la laurea triennale, ma a come sono impostate le
lezioni su tali argomenti all’università.
Nello studio di architettura in cui lavoro ho la possibilità di
contribuire alla progettazione e posso dire che il titolo di
studio che ho conseguito mi permette di occuparmi di
quello che mi piace con grande entusiasmo: ristrutturare
abitazioni private seguendo il cliente in tutte le scelte,
chiavi in mano; progettare nuovi interni, anche di uffici,
negozi, ecc. Spero un giorno di poter firmare progetti
simili a quelli cui oggi collaboro solamente: firmare quei
“progetti” definiti dalla normativa “semplici con l’uso delle
metodologie standardizzate”.
Devo purtroppo confermare il fatto che i compiti dell’architetto iunior non sono ben definiti, o meglio che sono
definiti in modo piuttosto generico e suscettibile di possibili e molteplici interpretazioni. È quindi necessario che
venga stabilito un ruolo specifico per la figura professionale in questione. Credo che spetti allo Stato legiferare
in materia e dare un’identità specifica ai laureati triennali, possibilmente in collaborazione con i diversi Ordini
professionali.
Con le nuove elezioni dei Consigli degli Ordini degli Architetti è stato necessario eleggere, in misura proporzionale
al numero degli iscritti della sezione B, anche consiglieri
con la laurea triennale. A Bergamo i candidati per tale
carica erano tre, per un solo posto possibile. Tra i tre
candidati ero presente anche io, che sono stata eletta a
maggioranza. La mia candidatura è derivata dalla richiesta fattami da alcuni colleghi; ho deciso pertanto di
accettare questa opportunità per fare una nuova esperienza e perché credo importante che all’interno di un
Consiglio di “laureati tradizionali” ci sia anche un rappresentante dei colleghi iunior. In tal senso mi auguro che
l’Ordine degli Architetti di Bergamo possa essere promotore di iniziative atte a dare un senso alla nostra figura
professionale.
Carolina Ternullo
Brescia
a cura di Laura Dalè e Paola Tonelli
La figura del laureato triennale
Con le elezioni dei Consigli degli Ordini provinciali degli
architetti ed anche di altre categorie, è iniziata una nuova
epoca per la nostra professione; i laureati triennali diventano parte integrante ed attiva all’interno degli Ordini professionali. L’evoluzione della riforma universitaria, che ha
vo di istituire un albo unico dei tecnici, formato da geometri, periti edili, ecc. e a inglobare la sezione B degli Ordini in
tale nuovo albo, costituisce l’ultimo tentativo, per ordine di
tempo, da parte dei diplomati (della scuola secondaria) di
appropriarsi virtualmente e gratuitamente di un titolo universitario e della relativa formazione professionale.
Il titolo universitario rilasciato a un triennale o a un quinquennale è il riconoscimento e la garanzia da parte di
un’istituzione dell’avvenuta formazione di un individuo,
che si ritiene in grado di operare al meglio sul mercato; è
il riconoscimento che l’individuo preparato ha acquisito
quelle conoscenze a volte generiche, a volte specifiche,
che lo collocano nella posizione di poter gestire i processi produttivi o progettuali e quindi di operare scelte mirate e di convenienza.
Istituire un nuovo albo tecnico che riunisca una serie di
figure professionali – anche alla luce della riforma scolastica per la scuola superiore, che a partire dal 2007 non
prevede più la formazione di figure tecniche abilitate ad
operare, ma prevede un percorso propedeutico alla formazione universitaria – risulta essere deleterio per la professione di architetto, sia esso iunior o senior.
Il patrimonio culturale e professionale dei diplomati è
comunque un patrimonio che deve essere conservato, in
quanto riveste il carattere di specificità riguardo alcuni
aspetti propri del mondo delle costruzioni.
L’alternativa alla costituzione di un nuovo Albo potrebbe
venire dal riconoscimento di una fase di transizione tra
una gestione storica e forse più tecnologica delle categorie, ed una nuova configurazione in cui anche le figure
che intervengono sul territorio e sul tessuto edilizio, più
come tecnici che non come progettisti, abbiano una
maggiore sensibilità e conoscenza dei problemi che la
nostra attività implica.
La preparazione, dunque, è il garante generico della
competenza di ogni operatore.
Il riconoscimento di tale competenza, subordinato al
superamento di un esame abilitativo, attualmente può
essere scambiato per incapacità da parte del mondo
universitario di offrire una preparazione adeguata. L’inasprimento dell’Esame di Stato (tre prove scritte e una
orale contro una prova scritta e una orale), che i triennali hanno sempre sostenuto, a differenza dei quinquennali che si apprestano ad affrontarlo solo dall’anno 2006,
assume, dunque, più l’aspetto di condanna dell’università italiana, che non l’occasione per verificare la preparazione di un individuo per lo svolgimento di una professione. Con maggior favore viene accolta la proposta, che
comunque dovrebbe diventare legge a breve periodo, dell’istituzione di stage universitari anche per i laureati quinquennali, visto che per i triennali era già previsto obbligatoriamente nella misura di 200 ore. Questo, per esperienza,
permette non di avvicinare, ma di inserire il laureando nel
mondo che di lì a poco lo vedrà protagonista.
In sintesi, il laureato triennale, non rivendicando le competenze dell’architetto senior o magistrale, si pone come:
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FORUM ORDINI
caratterizzato gli ultimi dieci anni, non ha sempre seguito
un percorso lineare ed equo.
I laureati triennali sono tuttora distinti in due categorie:
quelli che hanno conseguito il diploma universitario con il
vecchio ordinamento (vecchia laurea breve) e quelli che,
nell’ambito della normativa vigente, hanno conseguito,
conseguono e conseguiranno la laurea di primo livello,
istituita con il D.P.R. 328 del 2001.
Nonostante il percorso formativo sia nella totalità dei casi
comune ai due titoli, con l’introduzione dei crediti formativi, molte università italiane hanno riconosciuto ai diplomi universitari un credito globale al termine del corso
inferiore a quello necessario (180 crediti) per il conseguimento della laurea di primo livello.
Nessun intervento equiparativo o di equipollenza è stato
avanzato dal legislatore per far sì che ai diplomati universitari del vecchio ordinamento (che possono a tutti gli
estremi definirsi cavie del nuovo sistema) fosse riconosciuto lo status di laureato di primo livello, necessario per
la prosecuzione degli studi e il raggiungimento della laurea specialistica.
L’autonomia degli atenei ha contribuito ad incancrenire
tale divisione mediante la diversa indicazione, da ateneo
ad ateneo, adducendo quale motivazione la variazione
dei manifesti degli studi, dei debiti formativi da colmare
per ottenere la laurea di primo livello.
Il riconoscimento della figura del laureato triennale avvenuta con il D.P.R. 328, pur essendo recente, sconta
ancora una volta l’imprecisione, se non l’indecisione, del
legislatore, che ha caratterizzato la diatriba tra ingegneri
e architetti contro i geometri o periti edili. Bisogna dar
atto al legislatore che normare una materia così vasta
come la nostra è sicuramente un compito difficile e
lungo, ma la definizione vigente delle competenze è sicuramente troppo generica e lascia spazio a innumerevoli
interpretazioni, con il pericolo di intasare i tribunali amministrativi e gli altri livelli di giustizia e di giungere alla definizione delle competenze a mezzo di sentenze, come
spesso è accaduto con i geometri.
L’auspicio dei triennali è dunque di raggiungere una definizione, se non proprio univoca, comunque precisa delle
competenze professionali per le varie figure tecniche che
intervengono nel processo produttivo, senza nessuna
pretesa di vedersi attribuite competenze che sicuramente prevedono un percorso formativo più ampio, come
quello previsto per il laureato quinquennale.
L’obiettivo dei triennali non è dunque quello di offuscare o
svilire la figura dell’architetto quinquennale e dell’architettura, anzi, è quello di enfatizzarla attraverso competenze
specifiche che devono trovare manifestazione nei processi
produttivi e anche progettuali entro definiti ambiti, senza
però discriminazioni pregiudiziali. Di fronte a tale manifestazione di coscienza dei triennali deve comunque corrispondere da parte degli Ordini professionali l’intento di
difesa di questi nuovi soggetti professionali. Il disegno di
legge avanzato pochi giorni orsono, teso al duplice obietti-
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• figura coadiuvante, dotata di specifiche preparazioni
nel processo progettuale complesso, mentre in quello
ordinario lo pone quale figura alternativa al diplomato, in
termini di sensibilità e di approccio architettonico, urbanistico e di tutela delle risorse naturali;
• figura in grado di gestire il processo produttivo relativo
alle costruzioni, nelle sue più ampie accezioni;
• figura tecnica in grado di tradurre il progetto in termini
concreti nei confronti delle maestranze, spesso molto
qualificate, come nel campo del restauro.
Il laureato triennale è, dunque, una risorsa indispensabile
ed insopprimibile nel processo di riqualificazione dell’architettura italiana, a maggior ragione quando il percorso
di riqualificazione avvenga nell’alveo della qualità.
Roberto Saleri
Como
a cura di Roberta Fasola
La laurea triennale come possibilità o come
vincolo?
Si è deciso di affrontare questa “giovane” tematica attraverso una serie di aspetti possibili, vale a dire intervistando il presidente del nostro Ordine, un docente e un neolaureato: confrontando tra loro le interviste sono emersi
dubbi e problematiche comuni, seppur visti da punti di
vista differenti.
L’arch. Franco Butti, attuale presidente dell’Ordine, citando il D.P.R. 328/2001, sottolinea la necessità di un recupero di continuità tra università e mondo professionale,
da troppo tempo allontanata: la laurea breve, in questo
senso, fornisce una preparazione troppo sommaria per
poter formare individui in grado di inserirsi nel mondo del
lavoro; i laureati triennali dovrebbero inserirsi negli studi
professionali ed essere elemento di cerniera tra il professionista e l’impresa; in realtà la definizione che recita
“semplici costruzioni con tecniche standardizzate”, essendo troppo generica, offre loro un ampio e indefinito
spettro lavorativo, finendo con l’essere causa dei soliti
contenziosi e ricorsi che certo non giovano agli intenti e
non contribuiscono alla qualificazione della figura professionale. Risvolti positivi si sono invece visti all’interno
della Facoltà di Ingegneria, dove la figura del laureato
triennale trova affermativa collocazione nel campo dell’industria, quale elemento “intermedio”, in grado di far
avanzare velocemente il lavoro. Purtroppo, invece, si
prospetta un ripetersi tra il laureato tradizionale e il triennale, la stessa conflittualità vissuta tra architetti e geometri a seguito dei decreti del decennio 1920. Detto questo,
il presidente, concorda anche con l’arch. Marco Ortalli
(docente di Composizione Architettonica per il laboratorio
del III anno di laurea triennale presso il Politecnico di Torino)
circa il disagio che questo tipo di laurea sta creando: disagio dovuto sia ad un’impostazione troppo generica che
ad una vaghezza degli intenti su cosa il professionista
possa realmente fare: “una preparazione data da una base
liceale sommata a soli tre anni di studi universitari è troppo
poca per formare figure professionali in grado di inserirsi nel
mondo del lavoro; ibridi senza futuro” (arch. Franco Butti).
Per lo stesso Ortalli, a differenza di facoltà dove c’è un
unico programma quinquennale (ad es. Ferrara), l’esperienza del corso della laurea triennale comporta elevate
difficoltà sia per gli studenti che per i docenti nel riuscire
ad arrivare alla conclusione del triennio con conoscenze
sufficienti sia teoriche che pratiche: questa, infatti, è stata
inizialmente concepita come laurea specialistica, poi, in
realtà, per scarsità sia di fondi che di docenza, ciò non è
avvenuto, perché i primi tre anni sono diventati semplicemente propedeutici agli ultimi due; di fatto questi primi
tre anni di corso costituiscono anche la base per chi
deciderà di proseguire con gli altri due, per cui il laureato
triennale finisce con l’avere un livello di approfondimento
della professione superficiale; chi si ferma al terzo anno
deve avere la possibilità di acquisire anche una conoscenza del progetto esecutivo e non essere dotato solo
di formazione teorica. Per questo motivo andrebbero
sicuramente meglio differenziati i corsi di chi sceglie di
seguire una laurea triennale da quelli di chi invece predilige da subito la quinquennale; da qui la necessità di specializzarsi maggiormente su argomenti pratici maggiormente definiti. Il corso di laurea del triennio è la sommatoria degli studi fatti, di una tesi conclusiva e di uno stage
di circa 150 ore da farsi durante questo periodo. L’esperienza del professore, però, segnala anche che, spesso,
dopo un anno di praticantato, la maggior parte dei laureati decide di proseguire con gli studi.
A seguito di ciò, ci è sembrato interessante sentire anche
il parere dell’arch. Alessandro Cappelletti, laureato triennale in Architettura Ambientale presso la I Facoltà di
Architettura del Politecnico di Milano, sede in cui ha
sostenuto l’Esame di Stato e ottenuto l’abilitazione all’esercizio della professione e attualmente unico iscritto
(con questo tipo di laurea) nell’anno 2005 all’Ordine degli
Architetti di Como.
La scelta di affrontare un corso di laurea di questo tipo è
scaturita dall’esigenza di ottenere un titolo di studi universitario, consolidando una posizione professionale già acquisita in circa 8 anni di pratica in collaborazione con studi d’architettura. Scelta che è stata forzata anche considerando
l’impossibilità di frequentare l’università, vincolato dagli
impegni di lavoro e dalla richiesta di frequenza obbligatoria
ai corsi, anche se rimane la volontà di riprendere gli studi
in futuro per poter conseguire la laurea quinquennale.
Mi è sembrato interessante, a seguito dei colloqui poco
sopra raccontati, chiedere quale sia stata il tipo di formazio-
questa laurea circa ruoli e competenze professionali,
nonché una scarsa informazione circa la sua non validità
a livello europeo. Da qui la necessità di una migliore definizione della stessa.
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R. F.
Lecco
a cura di M. Elisabetta Ripamonti
La serie A del futuro
In un’interessante intervista apparsa su “Il Sole 24 Ore” il
14 ottobre 2005 Gianfelice Rocca, vice presidente di Confindustria con delega per l’Educational (oltre che presidente del Gruppo Techint), analizza le richieste di laureati da
parte delle imprese: “Oggi i laureati in Italia sono in netta
crescita e positiva risulta l’offerta formativa di vasta
gamma che va dai superdiplomi alle lauree brevi delle cui
problematiche non può essere solo l’università ad occuparsi. I laureati triennali, afferma Rocca, non sono laureati di serie B, ma costituiscono la seria A del futuro, è in
questo spazio che ci giochiamo la competitività”.
È proprio con la consapevolezza che le lauree triennali
costituiscono una grande risorsa per il mondo professionale e produttivo, seppur con le difficoltà e gli interrogativi tipici di una fase iniziale, che andiamo ad analizzare la
nostra realtà territoriale provinciale. L’offerta didattica del
Politecnico di Milano presso la sede del Polo Regionale
di Lecco prevede l’attivazione di quattro corsi di laurea
triennali: Ingegneria Civile, Ingegneria Gestionale, Edilizia
ed Ingegneria Meccanica. I corsi di laurea specialistica
sono invece due, cioè Ingegneria Civile e Meccanica.
Anche la nostra provincia si trova ad affrontare nel concreto la questione dell’inserimento dei nuovi laureati
triennali all’interno dal mondo professionale a seguito
dell’entrata in vigore del D.P.R. 328/2001, sebbene nessun laureato triennale sia iscritto all’Ordine di Lecco.
Sarebbe opportuno un approfondimento di un tema che
tocca così da vicino la nostra realtà professionale, dal
momento che per molti permangono dubbi sull’applicazione della nuova legge. Spesso non si conoscono le
potenzialità offerte dall’attivazione di queste nuove lauree
e si tende a vedere con sospetto la sovrapposizione di
competenze fra laureati iunior e senior. Se, a seguito dell’entrata in vigore delle nuove normative, scompariranno
gli istituti tecnici e non si avranno più periti o geometri, i
laureati triennali potrebbero svolgere mansioni in passato
attribuite ai diplomati tecnici.
Gli architetti senior concordano sul fatto che i colleghi, i
quali hanno conseguito lauree triennali, avrebbero grandi
FORUM ORDINI
ne ricevuta, vale a dire se prevalentemente teorica o pratica.
Ecco la risposta: “durante la formazione ho integrato
quanto più possibile i due aspetti, infatti ritengo semplicistica la suddivisione in formazione teorica o pratica, poiché esercitare la professione dell’architetto, sottintende
la padronanza di una ‘cultura tecnica’ che comprende
sia nozioni teoriche che conoscenze tecniche, se il fine è
la realizzazione di opere che nella loro fisicità esprimono
le idee di chi le ha progettate. Per quanto riguarda poi la
ricerca di un posto di lavoro è difficile parlare di vantaggi
o svantaggi se non si ha un termine di confronto e se non
sono chiare le competenze della figura professionale proposta (la domanda che mi è stata rivolta più frequentemente è: ‘si occupa di giardini?’)”.
La riflessione che ne consegue è: la formazione professionale del laureato triennale deve essere supportata
anche da una forte volontà personale oltre che dalla
facoltà, dato che sia il presidente che il prof. Ortalli hanno
evidenziato invece grosse deficienze in questo senso?
Quindi il giovane collega prosegue: “spero che in futuro
si tenga conto in misura maggiore del periodo di apprendistato, poiché lo ritengo una fase essenziale nella formazione ed ho potuto notare che il Politecnico di Milano
si sta già muovendo in questa direzione, anche se i 3
mesi richiesti mi sembrano solo una formalità. Spero
altresì che vengano agevolati i professionisti che trovandosi nella mia stessa situazione abbiano intenzione di
aggiornarsi e completare l’iter di studi, pur non potendosi permettere di frequentare a tempo pieno l’università.
Inoltre credo che non sia corretto ritenere il laureato triennale incapace di progettare, se così fosse verrebbe da
chiedersi a cosa mai serve il triennio universitario e l’utilità di un titolo o di un’abilitazione alla professione ottenuta superando un Esame di Stato. Soprattutto se, come è
capitato durante la prova cui ho partecipato, oltre a sondare le conoscenze culturali del candidato, l’esame stesso richiede, nella simulazione, la preparazione e presentazione di una pratica edilizia, la quale presuppone, oltre
alle conoscenze normative e procedurali, la capacità di
intervenire in una ristrutturazione, dovendosi così adattare a situazioni diverse. Se davvero si vuole rendere possibile uno sbocco lavorativo a queste figure professionali,
non si può negare in assoluto la possibilità di firmare i
progetti, e non credo che questa possibilità possa far
sentire usurpati del loro potere i laureati quinquennali o i
professionisti che già operano, in quanto le capacità di
questi ultimi saranno sicuramente superiori. Pertanto
credo sarebbe più costruttivo lavorare ad una griglia che
definisca le possibilità operative dei laureati triennali,
ovviamente rendendoli partecipi fin da subito alla definizione della stessa, evitando di calare dall’alto una regolamentazione troppo rigida che rischierebbe di fatto di rendere inutilizzabile la loro qualifica”.
Affermazioni quest’ultime sicuramente “di parte”, anche
se ciò che comunque si evidenzia (come sostenuto sia
dall’arch. Butti che dall’arch. Ortalli) è la non chiarezza di
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potenzialità occupazionali in due ambiti professionali,
trovandosi come figura intermedia tra diplomato e laureato quinquennale. Il primo ambito è legato ai molti
aspetti della professione attualmente di competenza del
laureato quinquennale a seguito dell’entrata in vigore
delle nuove normative (si pensi alla sicurezza in cantiere,
alla Legge 626, alle normative antincendio, ecc.); il
secondo ambito è, invece, riferito allo svolgimento di
mansioni in passato svolte dai geometri (ad esempio: le
pratiche catastali).
Il problema è che la legge parla di “semplici costruzioni”
riservate ai laureati triennali. Attribuire agli architetti iunior
la facoltà di firmare progetti sembra generare una totale
commistione di competenze data la vastità d’interpretazione che il termine “semplice costruzione” genera. “Ma
allora che cosa ci differenzia dai colleghi iunior?” si chiedono i professionisti senior.
Certo, i dubbi dei colleghi sono molti e giustificati e sarà
compito degli organi istituzionali cercare di fare chiarezza in
tal senso. Ma l’aspetto che si ritiene utile sottolineare è la
portata decisamente innovativa che questa figura racchiude
al suo interno. Se un bilancio vero e proprio sul campo sarà
possibile solo fra anni, quello che possiamo constatare sin
da ora è che il mondo del lavoro si trova di fronte a giovani
laureati (ricordiamo che il mondo anglosassone da anni ha
adottato questa formula) in grado di svolgere mansioni utilissime in molti campi della professione.
Afferma Guido de Novellis neo-eletto Coordinatore della
Commissione Studio e Aggiornamento all’interno dell’Ordine di Lecco: “L’architetto iunior sarà una figura molto
apprezzata nell’economia degli studi professionali. Il fatto
di non poter firmare progetti di una certa rilevanza potrebbe fermare l’emorragia di giovani e validi architetti che una
volta formati lasciano lo studio per intraprendere la carriera
professionale. Spesso uno studio investe molto sulla formazione dei collaboratori; sapere che possono continuare
a contare su figure preparate in grado di gestire aspetti
specifici, dà più fiducia a tutti, soprattutto al titolare. Questi
architetti iunior potrebbero avere responsabilità sempre
maggiori con il passare del tempo e, perché no, retribuzioni adeguate alle loro competenze”.
Molti dei comuni interrogati sulla figura del laureato triennale in provincia di Lecco vedono positivamente l’inserimento di queste figure negli ambiti amministrativi comunali, cronicamente carenti di personale, soprattutto di
personale qualificato. Le stesse imprese edili guardano
all’architetto iunior come una preziosa risorsa da utilizzare all’interno del mondo delle costruzioni dove non sempre è richiesta una competenza progettuale.
Si è spesso sottolineato come sia ancora problematico
per un laureato triennale affrontare la professione, viste le difficoltà che già hanno i laureati senior. Si auspica che si
sia superata la visione di un’università professionalizzante. L’università deve offrire gli strumenti per affrontare il
mondo professionale, che è in continua evoluzione, e
solo il tirocinio (che diviene obbligatorio con la nuova
legge) ed il lavoro sul campo avvicinano alla professione.
Sarebbe inopportuno pensare che l’università, in un
mondo che vive un’evoluzione così rapida, possa insegnare nella pratica le problematiche legate alle nuove
leggi o creare specialisti in vari settori. È compito del laureato aggiornarsi in continuazione, l’università continuerà
a dare le basi ed offrire gli strumenti perché queste capacità siano attivate.
Il tirocinio obbligatorio post-laurea, così come la possibilità per i laureati triennali di entrare concretamente nel
mondo professionale per un certo periodo prima d’intraprendere il corso di specializzazione (i due anni che conducono alla laurea magistrale), avvicina due mondi che
troppo a lungo nel nostro paese sono stati agli antipodi.
Ritengo che molti colleghi concordino sul fatto che per
cultura oggi s’intendano sempre più le competenze,
anche tecniche, e che la padronanza di linguaggi conosciuti universalmente ci rendano capaci di aver un alto
grado di libertà d’azione anche professionale. Non solo
l’esperienza didattica e culturale acquisita in ambito universitario, ma anche una formazione intensa e competente vissuta nello “scontro sul campo” del tirocinio e
nella pratica, ci renderanno capaci di affrontare le complessità insite nella professione in una realtà dai confini
più ampi di quelli nazionali.
M. E. R.
Lodi
a cura di Antonino Negrini
L’articolo è stato redatto dal collega Roberto Muzzi, attualmente unico iscritto alla Sezione B dell’Albo degli
architetti della Provincia di Lodi, che ringrazio molto per
aver cercato di fare luce su un argomento che presenta
non poche zone d’ombra.
A. N.
L’esperienza di un architetto iunior
Molti di voi professionisti si staranno chiedendo: “Chi è e
che cosa fa un architetto iunior nell’inflazionato e difficile
mondo del lavoro? O forse, come si diventa architetto
iunior? Quale percorso formativo bisogna intraprendere?” Per rispondere a questi e ad altri quesiti, o solo per
una miglior identificazione della mia professione, proverò, qui di seguito, a spiegarvelo ripercorrendo brevemente la mia personale esperienza formativa e professionale.
Alla fine degli anni ’90 nasceva, da parte delle più grosse
relativo Esame di Stato, viene attribuito il titolo di “Architetto iunior”. La normativa, infine, regolamenta mansioni
e responsabilità di ogni sezione, attribuendo agli architetti iunior competenze per la collaborazione alle attività di
progettazione, direzione dei lavori, stima e collaudo di
opere edilizie, comprese opere pubbliche; progettazione,
direzione lavori, vigilanza, misura, contabilità e liquidazione relative a costruzioni civili semplici, con l’uso di metodologie standardizzate; i rilievi diretti e strumentali sull’edilizia attuale e storica.
L’esperienza professionale del sottoscritto è maturata a
partire dall’impiego in un’impresa, proseguendo poi in
uno studio di ingegneria ed approdando attualmente in
una società di Real Estate. Nello specifico ho approfondito l’attività di gestione dei progetti e delle commesse,
già ampiamente trattate durante il corso di studi, occupandomi di project management di un complesso progetto di sviluppo immobiliare.
Nella speranza di aver meglio illustrato questa neonata
figura professionale, desidero fare un augurio a tutti i miei
“colleghi iunior” di poter trovare il proprio sbocco professionale.
Roberto Muzzi
Milano
a cura di Roberto Gamba
Architetti iunior e ordine professionale
Sono attualmente 18 coloro che si sono iscritti all’Ordine
di Milano, dopo aver conseguito una laurea triennale e
aver sostenuto l’Esame di Stato. Di questi, tre sono laureati in pianificazione territoriale; inoltre, tre più uno
appartengono al nascente Ordine di Monza.
Tra di loro Alessandra Messori e Guja Gazza (pianificatrice) si sono candidate alle elezioni per il rinnovo del
Consiglio, per contendersi il seggio riservato alla loro
categoria.
Alcuni di questi architetti iunior sono stati invitati a esprimere opinioni, o semplicemente a esporre, brevemente,
notizie personali, utili a delineare per i lettori quale sia la
loro condizione professionale.
Marco Belloni ha 24 anni. Nel luglio del 2000 ha conseguito il diploma di maturità scientifica presso l’Istituto
Gonzaga a Milano. Nell’ottobre del 2003 si è laureato in
Scienze dell’architettura presso il Politecnico di Milano;
nel 2004 si è iscritto all’Albo degli Architetti di Milano.
Continua gli studi alla Facoltà di Milano Leonardo.
Parallelamente al percorso di formazione universitaria,
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FORUM ORDINI
imprese edili milanesi, l’esigenza di creare nuove figure
professionali specializzate nella gestione tecnico-economica di commesse complicate, per cui veniva avviato un
progetto formativo, in collaborazione tra Assimpredil e il
Politecnico di Milano, specificatamente mirato alla preparazione di queste risorse. Questo corso, denominato
Diploma Universitario in Edilizia, era suddiviso in complessivi tre anni di studio, per un totale di 33 esami, propedeutici il primo anno e specifici nei restanti due, e
comprensivo del corso di formazione per lo svolgimento
dell’attività di coordinatore della sicurezza. Alla fine del
terzo anno di corso era previsto uno stage lavorativo
presso un’impresa edile iscritta all’Assimpredil, della
durata di tre mesi circa, durante il quale, oltre all’affiancamento a professionisti del settore, veniva sviluppata e
redatta una tesi di approfondimento dell’esperienza lavorativa. Questa tesi veniva poi presentata e discussa in
sede di esame finale per il conseguimento del diploma
universitario.
Contemporaneamente la legislazione italiana, al fine di
adeguarsi alle normative europee sull’istruzione e la formazione scolastica, recepiva e definiva attraverso il
Decreto n. 509 del 3 novembre 1999, un nuovo “Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica
degli atenei”. Nello specifico la norma detta “Disposizioni
concernenti i criteri generali per l’ordinamento degli studi
universitari” determinava la tipologia dei titoli di studio
rilasciati dalle università, differenziando per la prima volta
il corso di laurea (triennale) dal corso di laurea specialistica (ulteriori due anni).
L’obiettivo del corso di laurea, secondo quanto disposto
dall’Art. 3 comma 4 del citato D.M., è quello di assicurare allo studente un’adeguata padronanza di metodi e
contenuti specifici generali, nonché l’acquisizione di specifiche conoscenze professionali.
A questo punto ritengo opportuno ricondurre il mio percorso formativo alla riforma universitaria in corso. Nella
fattispecie il diploma universitario da me conseguito, con
opportune integrazioni stabilite dall’università e dalla normativa, ottiene i crediti formativi mancanti e viene così
“trasformato” in laurea di primo livello.
Una volta allineato il percorso formativo agli standard
europei, l’attenzione si sposta sulla struttura degli attuali
Ordini professionali per regolamentare l’inserimento di
queste nuove figure professionali. Tutti gli ordini professionali sono chiamati ad adeguarsi alla nuova normativa
ed in particolare al D.P.R. 328 del 2001, che si riferisce
principalmente alla disciplina dell’Esame di Stato, introducendo elementi nuovi sull’accesso agli ordini professionali e determinando innovazioni in seno alla struttura
degli ordini stessi. Il regolamento modifica ed integra la
disciplina dell’ordinamento ed i requisiti per l’ammissione
all’Esame di Stato. La norma non modifica le attività attribuite o riservate, dalla legislazione vigente, alla professione di architetto. L’Albo viene suddiviso in due sezioni A e
B ed agli iscritti alla sezione B, previo superamento del
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ha svolto attività lavorativa presso vari studi di architettura.
Oggi esercita presso un suo studio a Milano, insieme al
padre e a un collega, curando soprattutto progetti di
ristrutturazione d’interni.
Presso la Fondazione dell’Ordine, sta frequentando il
corso per coordinatori della sicurezza.
Non ha riscontrato particolare difficoltà nell’affrontare le
quattro prove dell’Esame di Stato; mentre non comprende chiaramente quali siano le competenze progettuali
che gli spettano in questa fase d’inizio della professione,
anche riguardo alla definizione a ciò relativa “semplici
costruzioni con tecniche standarizzate”.
Crede che per la valorizzazione delle diverse figure professionali che fanno parte dell’Ordine, sia indispensabile
mettere prima chiarezza sulle competenze spettanti a
ciascuno. La riforma degli ordinamenti va portata avanti
assieme a quella delle professioni, perché si tratta di due
aspetti dello stesso problema.
Alessandra Messori si è laureata in Economia Politica
una decina di anni fa, con una tesi sulla qualità dell’abitare di Milano.
Dopo un’intensa esperienza professionale nel campo
dell’editoria specializzata nella moda, si è iscritta, per
passione, alla Facoltà di Architettura del Politecnico di
Milano, frequentando insieme a compagni di undici anni
più giovani.
Ha seguito il laboratorio di progettazione con il professore Cino Zucchi; storia dell’architettura contemporanea
con il professore Fulvio Irace; disegno; urbanistica, lavorando di giorno come libera professionista nella comunicazione, studiando e disegnando di sera e nel week-end.
Si è laureata nel luglio 2004, con una tesi sui musei d’arte contemporanea.
Ci tiene a segnalare i “nei” presenti nel percorso formativo alla professione: la mancanza nell’università, nonostante l’istituzione del tirocinio, del contatto con la pratica professionale.
Guja Gazza è nata a Milano nel 1978.
Si è iscritta per passione al corso di laurea in Pianificazione Territoriale, Urbanistica e Ambientale (PTUA) del Politecnico. Ha svolto tutti gli studi con il vecchio ordinamento, scegliendo come specializzazione la progettazione
ambientale. Con l’avvento del nuovo ordinamento, ha
deciso di terminare, temporaneamente e per motivi personali, il corso di laurea (ottobre 2003), ma ha intenzione,
nel futuro, di proseguire gli studi.
Ha subito iniziato a lavorare in uno studio di architettura,
con mansioni di segretariato; quindi è stata impiegata
brevemente con un altro studio; da circa un anno infine
collabora con un terzo studio, con soddisfazione umana
e professionale (segue progettazione di massima e definitiva, cantiere, pratiche edilizie).
Coltiva il desiderio di avere uno studio proprio; d’altra
parte non le è chiaro che cosa un architetto con la laurea
di primo livello possa effettivamente firmare. Ha deciso di
sostenere l’Esame di Stato e di iscriversi all’Ordine per
cominciare a lavorare, dal momento che senza l’abilitazione professionale e la titolarità di una partita Iva è davvero difficile trovare un lavoro.
A suo parere, suscitano dubbi i contratti previsti dalla
Legge Biagi (ad esempio il contratto a progetto), utili
invece per i neo-laureati. Ha sostenuto due volte l’Esame di Stato e i relativi ed elevati costi, in conseguenza di
una prima impreparazione. Il suo esame è consistito in
tre prove scritte, di carattere urbanistico, senza alcuna
prova di disegno; non le ha ritenute difficili, ma riferite a
temi completamente differenti rispetto a quelli trattati in
università.
Si è candidata alle elezioni del Consiglio dell’Ordine di
Milano con una lista che sostiene princípi di attenzione
verso temi fondamentali della professione: la necessità di
più trasparenza nei concorsi di architettura e la reale possibilità che siano accessibili a tutti; la promozione dei giovani architetti; la necessità di migliorare il rapporto con le
università.
Ilaria Scansani è da sempre affascinata dall’edilizia.
Dopo la maturità scientifica, ha scelto la laurea triennale
in edilizia ad indirizzo gestionale, per la possibilità offerta
di acquisire le basi della progettazione e nel contempo la
professionalità per l’inserimento negli organici di impresa, con ruoli di gestione del cantiere e/o negli uffici con
ruoli tecnici.
Dopo quasi due anni di collaborazione con uno studio
d’ingegneria, attualmente collabora a tempo pieno con
una società che offre servizi di project management ed è
Cultrice della materia al corso di Economia e gestione
delle imprese al Politecnico di Milano. Per il futuro ha
l’ambizione di ricoprire il ruolo di project manager come
libera professionista o in un’impresa di costruzioni.
La decisione di affrontare l’Esame di Stato per l’abilitazione è scaturita dalla volontà di completare la professionalità acquisita e di ampliare le possibilità lavorative. Nell’occasione dello svolgimento delle prove d’esame ha
purtroppo constatato che vi sono pregiudizi infondati
verso il laureato triennale e la sua preparazione.
Roberta Oltolini è diplomata geometra. Ha seguito il
corso di laurea in PTUA presso il Politecnico di Milano –
vecchio ordinamento. È passata al nuovo, per scelta di
lavoro (presso uno studio di architettura).
Si occupava prevalentemente di un PRG per un comune
piemontese.
Ha sostenuto l’Esame di Stato (superato al primo tentativo) e si è iscritta all’Ordine anche per rendere possibile la
promessa di un nuovo accordo professionale e finanziario, che non è stato concluso.
Attualmente collabora dall’esterno con alcuni studi, impegnata sia in materia urbanistica che architettonica. Probabilmente sosterrà l’Esame di abilitazione per Geometri,
R. G.
Pavia
a cura di Vittorio Prina
Ritorno al futuro
Viviamo oggi un momento di riforma degli studi universitari. Si tratta di una realtà poco conosciuta sebbene sia,
opinione comune a molti, una tematica di grande importanza per le ricadute e i cambiamenti in gioco.
Avremo quindi, da un lato, proprio gli studi universitari,
che devono garantire sia una preparazione spendibile in
ambito professionale che in ambito scientifico accademico, dall’altro vi saranno modifiche sulle competenze professionali e quindi dei relativi ordinamenti.
Si fa riferimento in particolare al fatto che, dal momento
in cui gli Ordini saranno rinnovati, si accerterà la presenza dei nuovi laureati triennali nei loro Consigli.
Infatti, i laureati triennali possono sostenere un Esame di
Stato, di difficoltà ridotta in proporzione al percorso di
studio svolto e potranno progettare “costruzioni semplici
con l’uso di metodologie standardizzate”. Anche questo
punto non risulta chiarificatore, in quanto la definizione di
“costruzioni semplici” è soggetta a varie interpretazioni.
In merito alla riforma universitaria si ricorda che la laurea
triennale dovrebbe preparare delle figure che si collocano a livello “intermedio” tra i diplomati e i laureati specialistici. La legge sembra non definire chiaramente quali
siano le competenze specifiche di questa figura professionale pertanto risulta difficile la sua collocazione nell’ampio processo del settore dell’architettura.
A questo punto si possono porre numerose domande,
una di queste, in riferimento agli studi universitari nel contesto della riforma in atto, potrebbe essere relativa al ruolo
dell’università. Dal momento in cui la riforma universitaria
stessa si autodefinisce professionalizzante, bisogna chiedersi se proprio l’università abbia questo compito.
Si ritiene, in prima analisi, che l’università dovrebbe prima
di tutto formare figure in grado di adeguarsi alla professione cioè in grado di professionalizzarsi nel tempo. Infatti, creando figure professionalizzate a partire dalla loro
uscita dai corsi universitari, il rischio maggiore che potrebbe verificarsi è quello di creare laureati adeguati solo per
un breve periodo, non in grado di valorizzarsi con i rapidi
cambiamenti e innovazioni in atto nella società.
Il problema pertanto non è sulla validità o consistenza
delle lauree triennali ma sulla sequenza degli studi che
vengono proposti in serie con la dicitura oramai nota
come “3+2”.
In altre parole, si ritiene che la preparazione in un unico
ciclo quinquennale sia profondamente diversa dalla formazione derivata dalla somma combinata da due fasi di
tre più due anni. La laurea specialistica, infatti, ha l’obiettivo di fornire una preparazione culturale e scientifica
di livello avanzato, mentre la laurea triennale dovrebbe
concludere un unico ciclo di studio e non una fase di
studio, corrispondendo alla formazione di tecnici laureati, preparati per lo sviluppo e la realizzazione di progetti
elaborati da altri.
È evidente la complessità dell’argomento trattato, si ritiene importante proporre una breve riflessione sulla formazione del progettista architetto (o ingegnere edile/architetto) nel tentativo di ricondurre il discorso sul campo
disciplinare proprio.
Per affrontare questo argomento si rimanda ad alcune
considerazioni provenienti dalla lettura della Direttiva CEE
85/384 del Consiglio europeo del 10 giugno 1985.
Nello specifico, per quanto riguarda la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Pavia il corso di laurea in Ingegneria Edile/Architettura U.E. (riconosciuto dalla Direttiva CEE insieme agli atenei di L’Aquila, Roma La Sapienza e Catania) è una laurea specialistica di cinque anni. A
Pavia si è ritenuto che il ciclo di formazione per il progettista di architettura debba essere quinquennale in quanto i corsi di laurea triennale garantirebbero soltanto una
formazione di tecnici per l’edilizia. L’obiettivo è quello di
fornire una preparazione forte e nei tempi stabiliti. Tali
studi sono ripartiti in modo equilibrato tra gli aspetti teorici e pratici della formazione del progettista allo scopo
di assicurare adeguate capacità di creare progetti architettonici che soddisfino le esigenze estetiche e tecniche;
conoscenza della storia e delle teorie dell’architettura;
capacità di cogliere i rapporti tra uomo e creazioni architettoniche e tra creazioni architettoniche e il loro ambiente; capacità di capire l’importanza della professione e
delle funzioni del progettista nella società; conoscenza
dei problemi di concezione strutturale, impiantistica, di
costruzione e di ingegneria civile connessi con la progettazione degli edifici; conoscenza adeguata dei problemi fisici e delle tecnologie nonché della funzione degli
edifici; conoscenza adeguata delle industrie, organizzazioni, regolamentazioni e procedure necessarie per realizzare progetti di edifici e per l’integrazione dei piani
nella pianificazione.
Alla luce di questo quadro, del tutto preliminare e non
esaustivo, emerge che tali problematiche dovranno
essere affrontate a livello nazionale se non continentale.
Angelo Bugatti e Tiziano Cattaneo
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FORUM ORDINI
per avere (a suo parere) più occasioni e attività di un qualsiasi Pianificatore laureato anche in ambito urbanistico.
Momentaneamente non ritiene di iniziare la specializzazione in PTUA.
Fa parte dell’Albo del nuovo Ordine di Monza, attualmente in corso di costituzione.
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