[CULTURA]
DI PAOLO PERAZZOLO
ALLE MIE RADICI
Recuperando il suo passato, Antonia Arslan ha
fatto conoscere a tutti la tragedia del suo popolo
P
Sotto: Antonia
Arslan, 71 anni,
e (sopra) le copertine
dei suoi libri
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APRILE 2009
CLUB3
uò succedere che per lunghi anni, per
una vita intera, una donna consideri le
sue origini e le sue radici come un fatto
lontano, quasi irreale, appartenente al mondo
della memoria e nulla più. Poi, bastano un segno, una parola, una melodia e nel cuore qualcosa si risveglia, diventa sempre più forte, pretende di prendere forma. Fino a diventare un
libro, un bellissimo e ispiratissimo libro, con
tanto di continuazione.
È quello che è accaduto ad Antonia Arslan, professoressa che proprio questo mese
compie 71 anni (auguri da parte di Club3 e
dei suoi lettori!). Laureata in Archeologia, la
Arslan è stata docente di Letteratura moderna e contemporanea a Padova, la città dove
tuttora vive. Oltre a insegnare, si è dedicata
a due grandi passioni – la narrativa popolare e la galassia sommersa delle scrittrici italiane – scrivendo saggi che al tempo furono
considerati pionieristici. Ma il suo passato,
ovvero le radici armene della sua famiglia,
covava come braci sotto la cenere, più incandescenti che mai, e aspettava solo il momento migliore per ridestarsi e tramutarsi in fiamma viva.
Come è scattato quel momento? Nella sua biografia
sul sito Internet (www.antoniarslan.it), si racconta
che «attraverso l’opera
del grande poeta Daniel Varuja – del
quale ha tradotto le raccolte
Il canto del pane e Mari di grano – ha riscoperto la sua profonda e inespressa identità armena». In altre occasioni, ha invece rivelato
che il bisogno di scavare nella sua storia personale e in quella della sua famiglia è nato
ascoltando un canto armeno in una chiesa di
Venezia. Comunque sia, è certo che all’improvviso la Arslan ha sentito l’inderogabile bisogno di recuperare il suo passato e,
in parallelo, di far conoscere a tutti il genocidio armeno, a lungo ignorato (si stimano fra
le 700.000 e il milione e mezzo di vittime).
Dopo aver curato un libretto divulgativo sul
tema storico e una raccolta di testimonianze
dei sopravvissuti rifugiatisi in Italia, nel 2004
ha visto la luce La masseria delle allodole
(Rizzoli), un romanzo-evento che ha commosso l’Italia intera, ha fatto incetta di premi e ha rivelato una nuova, grande scrittrice.
In quello che resta uno dei libri più importanti degli ultimi anni, la Arslan attingeva alle sue memorie familiari per raccontare la tragedia di «un popolo mite e fantasticante»,
gli armeni, e la struggente nostalgia per una
patria e una felicità perdute. Si narrava di Yerwant, la ragazza che aveva lasciato la terra
natale appena tredicenne per studiare a Venezia e che, a quarant’anni di distanza, si apprestava a tornare sulle colline dell’Anatolia,
dove avrebbe potuto riabbracciare i suoi cari. Lì intanto si diffondeva una grande euforia, che contagiava non solo i parenti di Yerwant, ma il paese intero: tutti erano pronti a
preparare una grande festa di benvenuto.
Ma si era nel maggio del 1915: l’Italia
entrava in guerra, nella Turchia prevalevano spinte nazionalistiche che non prevedevano tolleranza per le minoranze, come quella degli armeni. Yerwant non arrivò mai,
mentre cominciò la dura odissea delle donne armene, segnata da umiliazioni e prove,
ma anche da un’insopprimibile amore per la
vita. Troppo bella, troppo intensa
ed emozionante era una vicenda
del genere per non essere notata
dal cinema: furono i fratelli Taviani, nel 2007, a curarne la versione
cinematografica.
La masseria delle allodole, come si diceva, è stata accolta con entusiasmo sia dalla critica, che ne
ha apprezzato il tono e la delicatezza, sia dal pubblico, che si è identificato nella
storia struggente di questo popolo e di queste donne in fuga. Per fortuna, però, la Arslan ha ancora molto da dire: il bisogno di
riappropriarsi di un’identità a lungo nascosta, unito all’esigenza di far conoscere una verità storica che la Turchia, ancora oggi, nega
(è reato parlare di genocidio), riserva nuove
sorprese ai lettori. È da poco uscito, sempre
da Rizzoli, La strada di Smirne, la continua-
zione del romanzo precedente.
La narrazione riprende da
Aleppo: qui tre bambine e un maschietto travestito da donna (per
sottrarlo al progetto di eliminazione dei maschi armeni da parte dei
turchi) sono riuscite a salpare verso l’Italia, dove cercheranno di costruirsi una nuova vita. Nel frattempo, Ismene, la lamentatrice
greca che tanto aveva fatto per strapparli alla
morte, tenta di salvare altre vite, prendendosi cura degli orfani. In questo nuovo racconto, i lettori ritroveranno il coraggio di una
scrittrice che vuole andare fino in fondo nel
denunciare il destino di un popolo, prima annientato e poi costretto a vivere in esilio. E,
ancora una volta, conosceranno personaggi
straordinari, stremati dal dolore e dalla trage왎
dia, ma che non si piegheranno mai.
A sinistra:
Il poeta Daniel Varuja
le cui opere sono
state tradotte da
Antonia Arslan
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