STAGIONE CONCERTISTICA 2012 Venerdì 30 marzo ore 18 Filippo Gianfriddo Francesco Libetta MiniM Ensemble CONSERVATORIO DI MUSICA DI CAGLIARI Piazza E. Porrino, 1 In collaborazione con il Teatro Lirico e il Conservatorio di Musica di Cagliari Venerdì 30 marzo Ore 17 Timpani e Percussioni: introduzione al concerto di Lucio Garau ore18 Filippo Gianfriddo (timpani) Elliot Carter 8 studi per timpani Francesco Libetta (pianoforte) Lucio Garau MiniM Ensemble Concerto op. 61 per pianoforte e ensemble Allegro, intermezzo 1°, Andante, Intermezzo 2°, Finale Filippo Gianfriddo (timpani) Francesco Libetta MiniM Ensemble Concerto per timpani e archi Prefazione, A ritroso, Ciaccona, Finale. MiniM ensemble Simone Floris Alessandro Piras Francesco Ciminiello Corrado Lepore Simone Soro Maria Chiara Moccia Giovanni Tocco Rinaldo Asuni Lucio Garau clarinetto corno percussioni violino violino viola violoncello contrabbasso trattamento del suono in tempo reale Composti tra il 1949 e il 1950, gli Eight Pieces for Four Timpani di Elliott Carter (che in realtà in quegli anni erano solo sei) furono a lungo considerati dai percussionisti di allora particolarmente complessi e ai limiti dell'eseguibilità. Nel 1966, Carter con la collaborazione del percussionista Jan Williams, revisionò i brani composti nel 1949 e scrisse, in segno di gratitudine per il suo aiuto, il Canto e l'Adagio che a lui sono dedicati, e li incluse nella raccolta che fu edita dall'Associated Music Publishers G. Schirmer nel 1968. Diversamente dagli altri sei pezzi, i quali sono scritti su quattro note in base all'accordatura dei quattro timpani, il Canto e l'Adagio abbondano di passaggi cromatici elaborati, oltre che di effetti di glissati e armonici complessi, ottenuti con il pedale degli strumenti. Oltre ad essere assoli virtuosistici per il percussionista, gli Eight Pieces for Four Timpani sono da considerarsi degli studi sui cambiamenti di velocità e ritmo. Difatti per la prima volta Carter utilizzò in tutti i pezzi la tecnica della “modulazione metrica” o “modulazione temporale”, come preferiva definirla. La tecnica della “modulazione metrica” venne per la prima volta utilizzata nella Sonata per violoncello e pianoforte del 1948 ed ampiamente sviluppata nel Quartetto n.1 per archi del 1950-51, composto poco dopo gli Eight Pieces for Four Timpani. Essa consiste nella variazione da un ritmo ad un altro con passaggi proporzionali di tempo tra una battuta e la seguente. Questi passaggi vengono segnati in partitura con una doppia stanghetta e con un preciso cambiamento proporzionale del metronomo che fa da perno tra il ritmo precedente e quello successivo. Per esistere, la “modulazione metrica” ha bisogno di almeno tre condizioni necessarie: 1) deve esserci un rapporto esatto tra i due tempi diversi, 2) tra i due tempi deve esistere un impulso comune, 3) il tempo e la funzione degli impulsi devono cambiare proporzionalmente. Queste modulazioni di tempo provocano un cambiamento nel rapporto gerarchico tra la suddivisione del ritmo percepito e tutte le suddivisioni possibili appartenenti al nuovo tempo, creando strane architetture ritmiche particolarmente ardite, come nel caso di Canaries (VII Pezzo) dove la mano sinistra suona due note con ritmo costante, mentre la destra modula continuamente il ritmo aumentandolo gradatamente. Questi due piani ritmici apparentemente contrapposti, altro non sono che continue variazioni metriche proporzionali che creano di fatto polifonie ritmiche costruite sugli spostamenti degli accenti. Con gli Eight Pieces for Four Timpani, che segnano una svolta stilistica nella sua musica, Carter costruisce una delle pagine più straordinarie per questo strumento relegato fino ad allora come strumento di accompagnamento orchestrale. Ogni pezzo è dedicato ad un percussionista che per primo si è accostato allo studio e all'esecuzione del brano. Il primo degli otto pezzi, Saëta, è dedicato ad Al Howard. Il titolo rimanda alle Saetas, tipici canti Andalusi dal carattere doloroso e improvvisativo che solitamente accompagnano i riti e le processioni della Settimana Santa. Essa deriva molto probabilmente da una cerimonia pagana della pioggia, durante la quale si scagliava tra le nuvole una saeta (saetta, freccia per l'appunto) che consentisse di fare piovere. Dell'antico rito sembra che Carter ne conservi il carattere descrittivo, mentre per la scelta del tempo su cui far ruotare le modulazioni metriche, sembra che egli attinga al tempo delle Saetas andaluse che generalmente sono in 6/8 o in 2/4. Dall'introduzione con figure ritmiche che aumentano progressivamente fino a formare un tremolo sempre più serrato (tensione del lancio della freccia?), si passa alla prima battuta in 9/8 con un tremolo decrescente al pianissimo. Già in questa battuta le indicazioni agogiche (50 alla croma e 50 alla semiminima puntata) fanno riferimento alle battute successive continuamente variate sul tempo di 6/8 e progressivamente variato. Gli spostamenti di metro da 6/8 a 10/8 e viceversa sono variati attraverso l'uso di tempi intermedi comuni che spostano continuamente gli accenti all'interno delle battute. Questi spostamenti danno un carattere improvvisativo, che di improvvisazione hanno comunque ben poco; infatti tutto risulta sapientemente progettato e calcolato fin nei minimi particolari. Questi spostamenti dei centri accentuali danno all'ascolto la sensazione dell'andamento solenne e rituale caratteristico delle processioni religiose. Tre sono le indicazioni che Carter suggerisce a proposito dei punti esatti dove percuotere con le bacchette sulla membrana:[C] centro della membrana, [R] il più vicino possibile al bordo della membrana, [N] posizione normale. Questi attacchi, sempre variati ad ogni inizio di rigo sia per la mano destra che per la sinistra, arricchiscono il pezzo di una ricca gamma di differenze timbriche sempre mutevoli e suggestive. Il secondo pezzo, Moto Perpetuo, dedicato a Paul Price, come il primo ha un carattere strettamente percussivo. Il pezzo non ha nessuna indicazione di metro, ma una sola indicazione agogica: 120 alla semiminima. Le prescrizioni per la “modulazione metrica”, indicate solitamente con la doppia stanghetta tra due battute, vengono qui sostituite da continue variazioni di gruppi regolari ed irregolari di semicrome, spostando così continuamente, sempre in modo proporzionale, gli accenti all'interno di ogni battuta. Ed è Carter stesso ad indicarci in partitura come devono essere trattati questi accenti. Nelle note per l'esecuzione il compositore prescrive che i vari gradi evolutivi di accentuazione devono essere chiaramente udibili, elencando una serie di regole sulla dinamica degli accenti: leggeri accenti all'inizio di ogni battuta, all'inizio di ogni gruppi interno alla misura e accenti ancora più leggeri all'inizio delle fasce interne di semicrome, oltre ad una serie di accenti specifici più forti posti sopra alcune note in semicroma all'interno della battuta, da considerarsi come gli accenti che naturalmente si eseguono all'inizio di ogni misura. Il risultato sonoro è un picchiettio rapido di note di uguale durata, suddiviso in frasi di accentuazione in continuo sviluppo e giocato con sottili bacchette di legno ricoperte da feltro. La successione degli attacchi sui tre punti dello strumento, continuamente variati, contribuiscono infine a mutarne costantemente il timbro. Con un carattere opposto al percussionismo puro dei primi due, l'Adagio reca in sé una moltitudine di passaggi contraddistinti da intensi slanci lirici. Dedicato a Jan Williams, esso esplora molti effetti possibili modificando l'intonazione dei timpani attraverso l'uso massiccio dei pedali durante l'esecuzione. I glissati semitonali ottenuti con i tremoli, da eseguirsi sempre con la massima precisione di intonazione, restituiscono all'ascolto una cantabilità singolare. In questo brano Carter impiega in modo massiccio gli armonici all'ottava superiore, ottenuti con la pressione delle dita sulla membrana degli strumenti, da eseguirsi sempre con il massimo della precisione nell'intonazione. In due momenti è previsto che gli strumenti risuonino per simpatia; anche in questi casi l'intonazione deve essere molto precisa per poterne udire tutte le sfumature timbriche ed intervallari. Tutti questi effetti - vibrati, armonici, glissati e risonanze varie che riecheggiano alcune volte insieme - saturano il pezzo di momenti travolgenti ed emotivamente drammatici. L'Adagio, per le sue peculiarità tecniche e compositive, si rivela probabilmente il più originale e moderno di tutto il ciclo, l'unico che sperimenta, assieme al Canto, un certo tipo di cantabilità percussiva di non facile esecuzione su strumenti a membrana percossa. Il Recitativo è un adagio drammatico che si compone di diversi elementi ritmici contrastanti. Tremoli violenti, impulsi irregolari e brevi frasi ritmiche si condensano man mano nella terza parte del pezzo dissolvendosi verso il pianissimo finale in battiti secchi (“non troppo secchi” come indicato in partitura) sempre più radi e irregolari. Le cellule ritmiche si comprimono progressivamente arricchendosi di pause che spostano continuamente gli impulsi degli accenti, trasmettendo così al finale un andamento incerto e pulsante. Il gioco continuo dell'alternanza di queste cellule consente al compositore di avere il massimo controllo nei cambiamenti di tempo, giocati ancora una volta con l'uso della modulazione ritmica. Nel passaggio al finale il tempo cambia repentinamente dal 4/4 dell'impianto generale del pezzo al 18/32 della battuta di passaggio per poi tornare gradatamente verso il 4/4 attraverso quattro battute rispettivamente di 9/32, 14/32, 2/4 e 3/4 Questi passaggi temporali proporzionali, qui utilizzati repentinamente, fanno ben avvertire l'alternanza degli spostamenti degli accenti all'interno di misure con simile numero di battiti interni. Un'alternanza dei modi e di passaggi intermedi tra le varie posizioni di attacco crea infine una ricca gamma di sfumature timbriche. Il pezzo è dedicato a Morris Lang che fu tra i primi esecutori ad incidere nel 1976 gli Eight Pieces for Four Timpani. Le prime undici battute dell'Improvisation, dedicato a Paul Price, variate durante lo sviluppo con continui cambiamenti di velocità, costituiscono il nucleo principale dell'intero pezzo. In isole cromatiche spostate di un'ottava e in tempi che variano continuamente, l'ambito dell'improvvisazione è qui ben delineato dal continuo alternarsi ritmico; l'improvvisazione diventa forma ed assume valore strutturale. Sembrano inoltre scaturire dal precedente pezzo i colpi smorzati dei gruppi irregolari come a voler indicare un percorso linguistico in continuo sviluppo. Anche se, come prescrive il compositore, l'Improvisation può essere eseguita sia come pezzo di apertura che come pezzo di chiusura lasciando libero l'interprete di decidere la successione dei pezzi, la sua collocazione al centro del ciclo non sembra una scelta casuale. Per sua struttura e costituzione Improvisation è come se fosse la sintesi delle problematiche ritmiche esplorate nei pezzi precedenti in un'autonomia di linguaggio dal forte valore formale. Altro discorso, invece, per Canto che già nel titolo, ricollegandosi linguisticamente all'Adagio, ne ripercorre idee tematiche e strutturali. Tuttavia se nell'Adagio la ricerca di linee melodiche si muoveva nell'ambito semitonale, in Canto questa ricerca si espande in glissati che spaziano su intervalli più ampi. La tecnica è pressoché simile. Il brano è costruito da ampie frasi di tremoli in glissando con l'uso del pedale alternati da momenti percussivi da cui, come in eco, entrano furtivamente in crescendo i tremoli in una sorta di stratificazione ritmica e armonica multiforme . Lo stile è ricercato e conferma un'evoluzione linguistica della scrittura rispetto agli altri pezzi scritti nel 1949. Composto infatti nel 1966 e come per l'Adagio dedicato a Jan Williams, si distacca stilisticamente dagli altri pur mantenendo inalterato l'interesse per la ricerca poliritmica. Da una antica danza esotica molto in voga in Francia tra la fine del XVI e la metà del XVII secolo, proviene il titolo del VII pezzo: Canaries. Probabilmente antenata della giga, la Canaria è scritta solitamente in un rapido ritmo puntato di 3/8 o 6/8, ritmi quest'ultimi utilizzati largamente da Carter e che si adattano bene alla gestione della “modulazione ritmica”. Le brevi frasi di danza, riecheggiate dal compositore, tratteggiate e sviluppate in un continuo gioco di velocità diverse e progressive, si sovrappongono talvolta creando un'originale atmosfera contrappuntistica non consueta per i timpani. Dalla battuta 50 questo sviluppo contrappuntistico si fa sempre più evidente mantenendo alla mano sinistra un ritmo costante, contrapposto alle variazioni dello stesso ritmo in crescente velocità per la mano destra. I frammenti si ricompongono via via verso il finale dove vengono tratteggiate ancora le idee tematiche esposte in apertura del brano. All'ascolto tutto ciò risuona regolare, ma in effetti le costanti progressioni ritmiche e gli spostamenti degli accenti vengono continuamente variate in una progressione sempre cangiante. L'utilizzo di una ricca gamma di modi di attacco lo arricchisce di fascino mai fine a se stesso. Tuttavia aldilà del puro gioco virtuosistico, il controllo dei due piani ritmici costantemente modulati e la progressione degli accenti continuamente variata costituiscono il nucleo centrale della struttura formale dell'intero pezzo. Un ritmo costante e un altro variato nella velocità sono caratteristica di molta musica scritta negli anni '50 da Carter. Nell'ultimo March, due ritmi di marcia a velocità diversa si sovrappongono e sono continuamente variati. I due piani ritmici, uno suonato con il feltro della mazza e l'altro con il legno, producono un contrappunto ben distinto che viene via via espanso nella sezione centrale per poi ritornare alle idee tematiche iniziali nella sezione finale. L'ottavo è senza dubbio il pezzo più eseguito di tutto l'intero ciclo forse perché racchiude e condensa in sé tutte le problematiche ritmiche indagate negli altri pezzi. Sulle sole quattro note dei timpani, Carter costruisce un contrappunto ritmico e timbrico notevole e continuamente cangiante, elevando i timpani non più a strumenti di accompagnamento orchestrale, ma restituendo dignità solistica a lungo dimenticata anche per la poca praticità che comunque questi strumenti hanno per i percussionisti. I timpani, strumenti di certa derivazione extra colta, accolti dalla musica colta e relegati fino allora in orchestra, vengono fuori da questo ruolo circoscritto anche se pur importante, assumendo un'identità polifonica marcata. Di non facile esecuzione sia per i problemi tecnici, sia per i problemi di intonazione – difatti gli strumenti devono essere perfettamente accordati per poterne cogliere anche i più delicati slanci melodici – gli Eight Pieces for Four Timpani sono da considerarsi punto fermo e svolta evolutiva nel repertorio per timpani contemporaneo. Considerati una composizione monumentale fin dall'anno della loro pubblicazione detengono ancora oggi un posto di rilievo nel repertorio per lo strumento, essendo largamente utilizzati anche nei programmi accademici di quasi tutti i conservatori e le scuole musicali. Essi infatti, oltre ad avere una forte connotazione linguistica e compositiva, contengono problematiche tecniche che, studiate attentamente dall'allievo, possono rivelarsi molto utili non solo al percussionista solista, ma anche al timpanista dell'orchestra. Ad altro tipo di trattamento sono soggetti i timpani nel Concerto da camera per timpani e archi di Francesco Libetta del 2011. Tranne che nell'impostazione formale – il Concerto è in quattro movimenti – in tutto il concerto si riscontra una ricerca timbrica e melodica che prevale sull'aspetto armonico di base. A proposito del Concerto il compositore ci fornisce alcune chiavi di lettura su cui è interessante soffermarsi. I quattro tempi del concerto sono fondamentalmente variazioni delle medesime idee. La presenza del timpano, il quale più che con un carattere ritmico si spinge su un uso "melodico", contagia di una certa gravità anche il gruppo degli archi, che non gli si contrappongono in senso teatralmente concertistico. Ricorrenti alcune formule e successioni di note: - sol la siB mi mi la - la do sol la 1) il primo movimento contiene lacerti di materiale, momenti di stasi, una progressione vera e propria, e una chiusa dal tono quasi cerimoniale. 2) il "moto da luogo" che caratterizza il secondo movimento prende forma attraverso sovrapposizioni di alcune cellule ritmiche ripetute e alternate. Una serie di progressioni (l'ultima particolarmente vistosa) si alternano a cadenze e depistaggi. 3) le brevi sezioni della Ciaccona variata sono appunto variazioni, sempre più astratte, di un tema ritmico/armonico. Alla tredicesima variazione lo schema di varianti successive si perde, e la chiusa si blocca su sè stessa, puramente ritmica. 4) Il linguaggio modale dell'Idillio finale è, nella parte del timpano, dichiaratamente melodico e armonico. Le "rimembranze" stilistiche (anche come struttura, l'unica chiarissimamente ABA) non vogliono essere una frattura di linguaggio. Infatti alcuni elementi retorici del repertorio cameristico classico sono rintracciabili in molte pagine dei quattro tempi. La direzione dell'intero concerto non è il tradizionale percorso di redenzione fino alla perorazione finale, ottimistica o catastrofica che sia. Volendo attribuire un personale filo psicologico alla successione dei quattro tempi, lo spostamento sarebbe piuttosto dallo sconcerto del movimento iniziale, attraverso il discorso torbido dei due movimenti centrali, fino a recuperare la malinconica ricordanza finale. Se da un lato queste indicazioni ci forniscono materiale sufficiente per un'indagine formale del pezzo, dall'altro rimandano ad una lettura più spostata verso un piano emotivo. In una sorta di rilettura anamorfica, il “filo psicologico” di cui scrive l'autore, sembra restituirci il tipico linguaggio stilistico del concerto classico riletto tuttavia al contrario. Stupore e sgomento del primo movimento, variazioni tormentate e sviluppi di frammenti indefiniti dei due movimenti centrali, per arrivare infine all'Idillio finale palesemente nostalgico e inquieto. Il linguaggio cameristico classico, riletto da Libetta attraverso una lente deformante, risulta chiaro ed emotivamente accattivante e la struttura formale, sapientemente organizzata, consente al compositore di muoversi agevolmente nel percorso espressivo del Concerto. I timpani, trattati come strumento solista, hanno una funzione melodica piuttosto che ritmica. L'uso di dinamiche delicate fanno risaltare gli aspetti armonici e lirici degli strumenti. Difatti se colpiti con dinamiche che non vanno oltre il mf, l'intonazione dei timpani risulta particolarmente chiara anche se timbricamente scura. Questo amplifica i timbri degli archi arricchendoli senza essere mai in contrasto con essi. Quando al contrario la dinamica del mezzoforte viene superata è per mettere in risalto l'aspetto unicamente ritmico. Il primo movimento (Prefazione) è caratterizzato dall'alternarsi di idee tematiche e slanci melodici che via via si ricompongono in strutture accordali per poi sfilacciarsi nuovamente in linee melodiche. Centri tonali sempre cangianti vengono continuamente modulati e i diversi cenni melodici si ricompongono in isolate strutture verticali che ne sospendono il discorso. Le dinamiche dei timpani sono sempre controllate servendo queste ultime ad amplificare il linguaggio armonico e melodico degli archi in un continuo inseguirsi di timbri sempre cangianti nel registro grave. Il secondo movimento (A ritroso), attraverso nuclei ritmici variati e ripetuti, si sviluppa in un continuo dialogo tra i timpani e gli archi, in una sorta di gara nel rincorrere queste varianti. Momenti solistici più consistenti si alternano a momenti di insieme in un continuo susseguirsi di sovrapposizioni ritmiche sempre più vistose e articolate. Nelle ultime quattro battute del movimento si assiste al crollo della tensione espressiva attraverso l'uso di silenzi e brevi frammenti sempre sulla dinamica del forte. La Ciaccona che dà il titolo al terzo movimento è costruita attraverso variazioni sempre più indeterminate di una stessa idea ritmica e armonica. Le formule utilizzate vengono qui a moltiplicarsi battuta dopo battuta attraverso l'utilizzo di tempi proporzionali tra loro in un crescendo dinamico e ritmico che per accumulazione ne amplifica l'aspetto espressivo e pungente. I passaggi, da una variazione all'altra, sono impercettibili e da un certo momento in poi si smarriscono del tutto in un accumularsi sempre più complesso delle strutture variate. Anche in questo movimento non sono rintracciabili centri tonali ben definiti se non accenni repentinamente modulati. Nel finale quest'accumulo di strutture che si sovrappongono e si inseguono, si bloccano improvvisamente su se stesse in una sospensione che conduce alla conclusione in dinamiche verso il piano e in un borbottio esclusivamente ritmico. L'atmosfera generale del quarto movimento (Ricordanze) richiama quella del primo. Tuttavia questa volta le strutture melodiche e armoniche non si sviluppano verticalmente come nel primo movimento, ma orizzontalmente. Il linguaggio melodico e armonico è distribuito alle parti in frammenti di quartine di crome che, ricomposti, restituiscono frasi melodiche ampie e timbricamente cangianti. I frammenti melodici, giocati su intervalli di quarta e di terza, variano continuamente in modulazioni armoniche minime che aggiunte a dinamiche estremamente controllate nell'ambito del ppp (sia per gli archi che per i timpani) restituiscono atmosfere sospese e rarefatte. Un pò più mossa nello sviluppo e nelle dinamiche è la sezione centrale. Qui le idee esposte nella parte iniziale del movimento si sviluppano – la struttura dell'intero movimento è ABA – per poi riprendere nella sezione conclusiva con le stesse atmosfere dell'introduzione e in un morendo progressivo. Più che negli altri movimenti, il ruolo solistico dei timpani viene qui evidenziato. Lo strumento “canta” continuamente senza che ci siano momenti di frattura nel discorso melodico, tranne che in isolati momenti. Il fraseggio melodico è continuo e segue armonicamente l' accompagnamento degli archi. Difatti se l'atmosfera generale è di sospensione e rarefazione, al contrario i continui richiami melodici e armonici tra il solista e gli archi creano un contrappunto fittissimo, in un continuo scambio di idee e di frasi melodiche che si rincorrono costantemente. Il linguaggio complessivo del Concerto di Libetta, sembra volerci rimandare a certa musica da camera di Šostakovič. Egli infatti ripercorre e ci restituisce uno stile del repertorio cameristico composto di processi di scrittura che derivano direttamente da riflessioni melodiche, ritmiche e armoniche utilizzate dal compositore sovietico, epurate tuttavia dalla retorica grottesca e drammatica che caratterizzava certi suoi lavori. Come per la Sonata per violino e pianoforte del 2010, che riportava come sottotitolo “Con il senno di poi”, in cui chiari riferimenti linguistici e armonici della Sonata per lo stesso organico di César Franck erano netti ed indistinguibili, anche nel caso del Concerto per timpani egli sembra volerci condurre a quel processo compositivo del “senno di poi” che dà l'impressione di volersi ricollegare allo stile di Šostakovič più problematico e riflessivo. Questo modo di procedere di Libetta, che sembra volere imitare stili del passato, in realtà ci restituisce un linguaggio fresco e moderno e originale. Attingendo a piene mani nello stile di altri compositori Libetta li conduce, attraverso un personale e ideale filo rosso, ai giorni nostri, traendo dallo stile precedente solo le strutture formali e linguistiche e trasformandole in un discorso linguistico personalissimo e di rara abilità compositiva. Non è imitazione pura e semplice, ma imitazione critica che diventa fonte di ispirazione personale, dimostrandoci così che alcuni materiali esistenti non hanno ancora esaurito la loro forza espressiva. Parafrasando una celebre frase di Adorno, dalla sua Filosofia della musica moderna, che metteva a stretto contatto la modernità di certo linguaggio espressivo con i linguaggi tradizionali del passato, si potrebbe affermare che anche per Libetta una vera rivoluzione linguistica si può ottenere attingendo alla tradizione del passato. Tutto rivolto verso strutture ritmiche e timbriche complesse è il Concertino op.61 per pianoforte ed ensemble del 2011 di Lucio Garau. Anche se l'architettura formale del brano è chiaramente di impostazione classica – esso infatti è in tre movimenti, con due intermezzi tra un movimento e l'altro e con una cadenza per il pianoforte solista – il trattamento ritmico, timbrico e armonico risulta particolarmente originale. Dal punto di vista armonico, il brano è interamente costruito attorno a variazioni e inversioni degli accordi iniziali di Danseuses de Delphes, primo preludio del primo libro di Preludi di Claude Debussy. I quattro accordi – tre di questi aumentati ed uno maggiore - vengono subito intonati e trattati quasi come dei clusters da cui emerge una nota che rimane sospesa fino all'attacco dell'accordo (cluster) successivo. Questa introduzione dalla durata di circa undici battute è il materiale tematico di base per il successivo dispiegamento di variazioni ed inversioni armoniche che costituiscono l'intero Concertino. Man mano che questo materiale viene esposto, esso si arricchisce anche di spunti e di citazioni di materiali storici – chiara la citazione dalla Campanella di Liszt alle battute 50, 51, 52 e 53 del primo movimento - ma anche da materiali meno storicizzati come ad esempio il primo studio (Desordre) per pianoforte di Ligeti. L'utilizzo di citazioni più o meno evidenti non è da considerarsi come un capriccio compositivo, ma esso stesso è fonte di ispirazione creativa attraverso un linguaggio chiaro e originale, anche se a volte complesso e che si arricchisce di volta in volta di nuovi spunti compositivi in un percorso progettuale sempre trasparente. Dall'uso di questi materiali così eterogenei, affidati ora al solista ora all'ensemble, vengono fuori continui contrasti armonici che all'ascolto farebbero pensare a continue scordature degli strumenti o ad effetti ottenuti con un trattamento elettronico del suono. È previsto tuttavia anche l'uso di un trattamento elettronico del suono in tempo reale in diciannove punti del Concertino indicati dal compositore nelle note per l'esecuzione all'inizio della partitura. I trattamenti richiesti sono modulazioni ad anello o d'ampiezza. Il materiale musicale viene a volte utilizzato in forma canonica, caratteristica quest'ultima di molta musica di Lucio Garau. Le cadenze verso i vari centri tonali che via via si vanno formando, sono sempre trattati per imitazione e spesso si muovono per gradi cromatici discendenti. Come molta musica del passato, alla battuta 169 è prevista una Cadenza libera, ma che sia coerente con le idee musicali precedenti. Il compositore ottiene così un'interazione diretta con l'esecutore in una specie di libertà esecutiva e tuttavia molto controllata. Non è momento improvvisativo come si potrebbe credere, ma un momento in cui il discorso musicale diviene dialettica tra compositore ed interprete, e fa da perno tra il momento precedente e quello successivo in una sorta di dialogo variato che diventa linguaggio creativo e originale. Con questo modo di procedere, la musica di Garau si arricchisce sempre di materiali nuovi e timbricamente originali. Una scala cromatica ascendente del violino, alla quale risponde per imitazione il clarinetto, anticipa di due battute l'Intermezzo 1°. Particolari sia dal punto di vista timbrico che da quello emotivo, i due Intermezzi sono posti tra un movimento e l'altro. La sospensione del discorso ottenuta attraverso l'uso di particolari effetti sia del pianoforte che degli altri strumenti, è la caratteristica di queste due sezioni del Concertino. Originale è l'effetto delle corde del pianoforte sfregate da un filo che il compositore ha utilizzato già da tempo in molte delle sue altre composizioni. Esso, associato al vibrafono suonato con l'arco, crea una sensazione di sospensione meditativa nel discorso musicale che fa da perno ma anche da collante tra il movimento precedente e quello successivo. Clusters delicati suonati nella regione grave dello strumento solista, associati ad interventi del percussionista direttamente sulle corde del pianoforte, ne amplificano il senso di sospensione temporale. Nulla è scritto e le poche indicazioni date agli esecutori (pianoforte solista e vibrafono) lasciano libertà di esplorazione timbrica del pianoforte che deve avere comunque una certa coerenza con il resto della composizione. È lo stesso Garau a fornirci, nelle note per l'esecuzione, il senso generale che devono avere entrambi gli Intermezzi: In entrambi gli intermezzi non vengono indicate le altezze quindi scelta libera ma sensata e non casuale. Lo scopo di questi due intermezzi è di collegare tra di loro i tre movimenti del concerto con due brevi momenti di esplorazione del suono del pianoforte. In generale gli interpreti devono trovare il modo di essere "coerenti" con il resto della composizione. Come nel caso della Cadenza, anche qui per il compositore non si tratta di improvvisazione. Un po come avveniva in certa musica del passato, l'esecutore – attraverso indicazioni precise del compositore – deve interpretare una sezione che deve risultare il più coerente possibile con lo stile della musica scritta. Una scelta controllata del ruolo dell'esecutore che, se in armonia con il resto della composizione, diventa esso stesso linguaggio musicale originale e dialettica costante tra interprete e compositore. Le sonorità del secondo movimento sembrano provenire direttamente dalle atmosfere dell'Intemezzo 1°. I clusters si sciolgono nell'Adagio in continui contrasti ritmici e armonici e in dialoghi costanti tra il pianoforte e il vibrafono che evidenziano un utilizzo del trattamento della tonalità in modo non tradizionale. Alla battuta 46 è previsto inoltre l'intervento della voce che come un elemento di disturbo contribuisce ad amplificare e confondere il ruolo tonale incerto del movimento. L'Intemezzo 2° è costruito con poche indicazioni, in tre sezioni segnate con A, B e C. Nella prima il cornista deve sollecitare con un filo una corda del pianoforte mentre il vibrafono è suonato con l'archetto del contrabbasso. La durata della sezione non deve superare i quaranta secondi e la dinamica prevista è in crescendo dal p al mf . Nella seconda sezione entra il violoncellista che deve sollecitare, anche lui con un filo, un'altra corda del pianoforte, con pochi interventi isolati, mentre il corno e il pianoforte continuano come nella sezione precedente in un diminuendo dinamico dal mf al p. Nella terza e ultima sezione il cornista torna al suo posto, mentre il percussionista suona due colpi forti sulle corde (la e si) gravi del pianoforte che servono da segnale per l'attacco del terzo movimento. Queste azioni degli esecutori, i quali intervengono direttamente sullo strumento solista, sembrano volere arricchire, con gesti quasi teatrali, il linguaggio musicale incentrato sull'esplorazione timbrica del pianoforte. Il Presto finale è tutto giocato in un continuo inseguirsi ritmico di cromatismi ascendenti e discendenti, che non forniscono centri tonali definiti. Le citazioni dichiarate da Janáček – in particolare dal Capriccio per pianoforte (per la mano sinistra) e fiati nel primo movimento - ma sopratutto a mio avviso a Bartók (in alcuni momenti sembra di ascoltare una rielaborazione della Sonata per due pianoforti e percussioni) sono particolarmente evidenti. Le sezioni del movimento sono indicate in partitura da numeri progressivi. Ogni sezione è di circa dieci misure e il disegno ritmico è costante. Ognuna inizia spesso con un tempo irregolare – i tempi variano da 11/16 a 7/16 e viceversa con passaggi progressivi – con indicazioni agogiche di 120 alla semiminima e si chiude sempre con una misura in 4/4 (60 alla semiminima). Queste battute in 4/4 che interrompono il flusso ritmico incalzante servono al compositore ad evidenziare il collegamento degli accordi utilizzati in apertura del concerto. Difatti se nelle parti mosse non si individuano centri tonali definiti proprio per l'utilizzo di scale cromatiche ascendenti e discendenti, nelle misure che chiudono le sezioni appaiono gli accordi iniziali del primo movimento. Questo precipitare verso l'ultima battuta del movimento, che contiene l'accordo di apertura del concerto in una ideale chiusura formale, viene ulteriormente messo in evidenza dagli strumenti a percussione. Infatti oltre al vibrafono che dialoga costantemente con il pianoforte e l'ensemble in una sorta di girovagare cromatico interrotto soltanto dagli accordi iniziali, dalla battuta 39 con l'introduzione di grancassa, cassa a pedale e piatto sospeso, l'incalzare verso il finale è sempre più manifesto. I continui cambiamenti progressivi di tempo dell'intero movimento rimandano, in un certo senso, alla “modulazione metrica” di Carter, anche se l'esplorazione di questa tecnica viene condotta da Garau in modo più incisivo in Aurora nel Mare op.42, brano per orchestra del 2003. Nella musica di Garau l'interesse verso la musica tradizionale etnica è evidente e i riferimenti e le citazioni da Bartók o da Janáček non sono casuali. L'interesse della ricerca sulla musica tradizionale di questi compositori coincide con l'interesse di Garau. Bartok sopratutto diventa punto di riferimento, cosa che deriva sicuramente da Franco Oppo che di Garau è stato maestro. Difatti la scuola di Oppo è rivolta verso la ricerca sulla tradizione, e di Bartók se ne assorbono anche le influenze storicamente più discrete di quelle di Schönberg o di Webern, sopratutto nel dopoguerra. In Sardegna sopratutto, dove la musica tradizionale ha avuto ed ha un ruolo importante, questo tipo di ricerca sulla tradizione ha avuto terreno fertile. Per Garau la ricerca sulla tradizione non è rivolta esclusivamente verso gli strumenti, ma piuttosto nell'uso di certe pratiche tradizionali, sull'effettiva complessità delle differenze formali e ritmiche e nelle strutture sempre diverse ma ugualmente stimolanti, in una continua ricerca nella storia e nella cultura musicale sarda di stimoli creativi sempre nuovi ed originali. Strutture e pratiche della musica tradizionale sarda sono solidamente presenti nella sua musica. Anche per Garau, come per Libetta, questo attingere a piene mani a un certo tipo di tradizione – in Garau verso le tradizioni musicali sarde e per Libetta verso tradizioni formali e strutturali della musica colta - risulta particolarmente fecondo, restituendoci musiche complesse ed affascinanti dal linguaggio originale ed innovativo. Armando Gagliano Lucio Garau Nato a Cagliari nel 1959, Lucio Garau si è diplomato in pianoforte studiando a Cagliari con Arlette Giangrandi Egmann (1969-1977) e poi a Napoli con Vincenzo Vitale (1977-1979). Si è poi diplomato in composizione studiando a Cagliari con Franco Oppo (1979-1990). Ha inoltre seguito il corso di musica elettronica (19851987). Parallelamente agli studi di pianoforte e composizione ha compiuto gli studi classici al liceo Dettori e poi ha studiato filosofia presso l'Università di Cagliari. Nel 1991 ha fondato il MiniM Ensemble per dedicarsi all'approfondimento delle tecniche proprie del linguaggio minimalista. La sua attività di compositore si muove tra tecniche nuove e tradizioni, nella scelta dei riferimenti come anche degli strumenti, con una produzione che vede, accanto a pezzi acusmatici, pezzi di strumentazione tradizionale o altri che prevedono l'utilizzo di strumenti tradizionali accanto, e spesso dialetticamente, all'elettronica. Tra le ultime attività nel 2006-2007 ha composto un concerto per clavicembalo e jazz band, commissionato dal Brass Group di Palermo. Nel mese di maggio 2008 è stata eseguita a Parigi la suite op.54 commissionata dal Groupe de Recherche Musicale della radio francese. Sta lavorando da diversi anni ad una opera sul tema di Orfeo commissionata dal teatro dell'Opera di Roma. Nel mese di agosto 2010 è stato il compositore principale presso il Katrina festival in Finlandia. Dagli studi di filosofia, in particolare dall'opera di Kant, Hegel, Marx e Freud deriva la convinzione che è possibile un mondo migliore e che in questo mondo è importante difendere il valore della musica d'arte. A questo compito, con l'obiettivo della migliore divulgazione e del consolidamento del rapporto con il pubblico, si è ispirata dal 1990 in poi la sua attività di organizzatore musicale in Sardegna e in Italia. Filippo Gianfriddo Diplomatosi in strumenti a percussione al Conservatorio di Musica “Luigi Cherubini” di Firenze, si perfeziona alla Scuola di Musica di Fiesole con Gionata Faralli, prestando particolare attenzione alla tecnica “Stevens” per marimba. Successivamente frequenta il Conservatoire Supérieur de Musique di Ginevra, sotto la guida di William Blank e di Yves Brustaux, seguendo, inoltre, diversi seminari con Emmanuel Sejourné e Frederic Macarez. Nel 1992-1993 è membro dell'Orchestra Giovanile Italiana, con la quale effettua registrazioni televisive e radiofoniche, concerti in Italia e all'estero con direttori di fama mondiale. Come solista vince, nel 1993, il Concorso Nazionale per Percussionisti “Cotogni” di Rovigo, presieduto da David Searcy. Selezionato nel 1994 dalla Fondazione Arturo Toscanini di Parma, studia nell'omonima Accademia con Michael Rosen, Andrea Dulbecco, L.F. Lenti, G. Bianchi, David Friedman, D. Grassi, Michael Quinn, G. Mortensen, David Searcy, Maurizio Ben Omar. Nel 1997 vince il Concorso per timpani con obbligo delle percussioni al Teatro Lirico di Cagliari, dove, attualmente, lavora stabilmente Dal 2001 collabora con l'Hamburgishen Staatsoper di Amburgo, diretta da Ingo Metzmacher e, dal 2002, con la Mahler Chamber Orchestra, con la quale, a Parigi, nel dicembre dello stesso anno, ha registrato un cd per la Deutsche Grammophon sotto la direzione di Marc Minkowski. Nel gennaio 2007 ha partecipato come “Assistant Principal Timpani” all'U.S.A. tour della Filarmonica Toscanini, diretta da Lorin Maazel, per l'anniversario della morte di Arturo Toscanini, nell'agosto e settembre 2007 con la medesima compagine è stato in tournèe nel Sud America e Giappone. Nel giugno-luglio 2010 ha ricoperto il ruolo di Timpanista presso il Teatro alla Scala. Svolge intensa attività concertistica, sia come solista che in formazioni da camera. Francesco Libetta Notato dai primi anni '90 dalla critica internazionale più autorevole, Francesco Libetta è l'unico artista italiano a cui abbia dedicato un video il regista Bruno Monsaingeon (celebre per i suoi documentari su Glenn Gould e Sviatoslav Richter). La critica più influente usa con Libetta termini impegnativi . Harold Schoenberg scrisse: “maestro di ogni periodo o stile, Libetta è il migliore rappresentante del gusto moderno […] una tecnica che lascia allibiti”, Paolo Isotta sul Corriere della Sera: “ Un virtuosismo così miracoloso e un così delicato senso dell'eloquio melodico, da indurci alla domanda: quale altro dentista della sua generazione, non solo in Italia, può essergli accostato?”, John Ardoin dichiarò che, della nuova generazione di pianisti, Francesco Libetta è “il più ispirato e creativo”. Libetta si è interessato ad aspetti del pianismo diversi tra loro per stile o implicazioni musicologiche: il ciclo completo delle sonate di Beethoven (1993/4, poi registrate nel 2006) l'integrale degli studi di godowsky sugli studi di Chopin (1990, videoregistrati nel 2006) l'integrale dell'opera pianistica di Chopin (1999 e 2010). La sua attività musicale è andata ad arricchirsi con la direzione d'orchestra, la composizione, una variegata attività nell'organizzazione culturale, l'insegnamento, la direzione artistica, la scrittura MiniM ensemble fondato nel 1991 si è proposto inizialmente di approfondire un ambito specifico del linguaggio musicale contemporaneo; il termine MiniM si riferiva quindi contemporaneamente ad un'estetica, il cosiddetto minimalismo e all'attenzione di evidenziarne le peculiarità ricorrendo spesso a formazioni estremamente ridotte. In seguito l'ensemble ha partecipato a diversi festival e ha affrontato anche altri repertori tra cui spesso le musiche di Giacinto Scelsi, di cui nel 1996 ha eseguito in prima assoluta insieme a Michicko Hirayama i Canti del Capricorno. Ministero Beni e Attività Culturali Direzione Generale Spettacolo dal vivo REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA Assessorato della Pubblica istruzione Spettacolo e Sport Provincia di Cagliari Presidenza del Consiglio Provinciale Comune di Cagliari Assessorato alla Cultura Presidente Lucia Avallone AMICI DELLA MUSICA DI CAGLIARI Direttore Artistico Lucio Garau AMICI DELLA MUSICA DI CAGLIARI Via Rossini, 61 - Cagliari - tel.&Fax 070.488502 www.amicidellamusicadicagliari.it - mail: [email protected]