STAGIONE CONCERTISTICA 2012
Venerdì 30 marzo
ore 18
Filippo Gianfriddo
Francesco Libetta
MiniM Ensemble
CONSERVATORIO DI MUSICA DI CAGLIARI
Piazza E. Porrino, 1
In collaborazione con il Teatro Lirico e il Conservatorio di Musica di Cagliari
Venerdì 30 marzo
Ore 17
Timpani e Percussioni:
introduzione al concerto di Lucio Garau
ore18
Filippo Gianfriddo (timpani)
Elliot Carter
8 studi per timpani
Francesco Libetta (pianoforte) Lucio Garau
MiniM Ensemble
Concerto op. 61 per pianoforte e ensemble
Allegro, intermezzo 1°, Andante,
Intermezzo 2°, Finale
Filippo Gianfriddo (timpani)
Francesco Libetta
MiniM Ensemble
Concerto per timpani e archi
Prefazione, A ritroso, Ciaccona, Finale.
MiniM ensemble
Simone Floris
Alessandro Piras
Francesco Ciminiello
Corrado Lepore
Simone Soro
Maria Chiara Moccia
Giovanni Tocco
Rinaldo Asuni
Lucio Garau
clarinetto
corno
percussioni
violino
violino
viola
violoncello
contrabbasso
trattamento del suono in tempo reale
Composti tra il 1949 e il 1950, gli Eight Pieces for Four Timpani di Elliott Carter
(che in realtà in quegli anni erano solo sei) furono a lungo considerati dai
percussionisti di allora particolarmente complessi e ai limiti dell'eseguibilità. Nel
1966, Carter con la collaborazione del percussionista Jan Williams, revisionò i
brani composti nel 1949 e scrisse, in segno di gratitudine per il suo aiuto, il Canto e
l'Adagio che a lui sono dedicati, e li incluse nella raccolta che fu edita
dall'Associated Music Publishers G. Schirmer nel 1968.
Diversamente dagli altri sei pezzi, i quali sono scritti su quattro note in base
all'accordatura dei quattro timpani, il Canto e l'Adagio abbondano di passaggi
cromatici elaborati, oltre che di effetti di glissati e armonici complessi, ottenuti
con il pedale degli strumenti.
Oltre ad essere assoli virtuosistici per il percussionista, gli Eight Pieces for
Four Timpani sono da considerarsi degli studi sui cambiamenti di velocità e ritmo.
Difatti per la prima volta Carter utilizzò in tutti i pezzi la tecnica della “modulazione
metrica” o “modulazione temporale”, come preferiva definirla.
La tecnica della “modulazione metrica” venne per la prima volta utilizzata
nella Sonata per violoncello e pianoforte del 1948 ed ampiamente sviluppata nel
Quartetto n.1 per archi del 1950-51, composto poco dopo gli Eight Pieces for Four
Timpani. Essa consiste nella variazione da un ritmo ad un altro con passaggi
proporzionali di tempo tra una battuta e la seguente. Questi passaggi vengono
segnati in partitura con una doppia stanghetta e con un preciso cambiamento
proporzionale del metronomo che fa da perno tra il ritmo precedente e quello
successivo. Per esistere, la “modulazione metrica” ha bisogno di almeno tre
condizioni necessarie: 1) deve esserci un rapporto esatto tra i due tempi diversi, 2)
tra i due tempi deve esistere un impulso comune, 3) il tempo e la funzione degli
impulsi devono cambiare proporzionalmente. Queste modulazioni di tempo
provocano un cambiamento nel rapporto gerarchico tra la suddivisione del ritmo
percepito e tutte le suddivisioni possibili appartenenti al nuovo tempo, creando
strane architetture ritmiche particolarmente ardite, come nel caso di Canaries (VII
Pezzo) dove la mano sinistra suona due note con ritmo costante, mentre la destra
modula continuamente il ritmo aumentandolo gradatamente. Questi due piani
ritmici apparentemente contrapposti, altro non sono che continue variazioni
metriche proporzionali che creano di fatto polifonie ritmiche costruite sugli
spostamenti degli accenti.
Con gli Eight Pieces for Four Timpani, che segnano una svolta stilistica nella
sua musica, Carter costruisce una delle pagine più straordinarie per questo
strumento relegato fino ad allora come strumento di accompagnamento
orchestrale. Ogni pezzo è dedicato ad un percussionista che per primo si è
accostato allo studio e all'esecuzione del brano.
Il primo degli otto pezzi, Saëta, è dedicato ad Al Howard. Il titolo rimanda alle
Saetas, tipici canti Andalusi dal carattere doloroso e improvvisativo che
solitamente accompagnano i riti e le processioni della Settimana Santa. Essa
deriva molto probabilmente da una cerimonia pagana della pioggia, durante la
quale si scagliava tra le nuvole una saeta (saetta, freccia per l'appunto) che
consentisse di fare piovere. Dell'antico rito sembra che Carter ne conservi il
carattere descrittivo, mentre per la scelta del tempo su cui far ruotare le
modulazioni metriche, sembra che egli attinga al tempo delle Saetas andaluse che
generalmente sono in 6/8 o in 2/4.
Dall'introduzione con figure ritmiche che aumentano progressivamente fino
a formare un tremolo sempre più serrato (tensione del lancio della freccia?), si
passa alla prima battuta in 9/8 con un tremolo decrescente al pianissimo. Già in
questa battuta le indicazioni agogiche (50 alla croma e 50 alla semiminima
puntata) fanno riferimento alle battute successive continuamente variate sul
tempo di 6/8 e progressivamente variato. Gli spostamenti di metro da 6/8 a 10/8 e
viceversa sono variati attraverso l'uso di tempi intermedi comuni che spostano
continuamente gli accenti all'interno delle battute. Questi spostamenti danno un
carattere improvvisativo, che di improvvisazione hanno comunque ben poco;
infatti tutto risulta sapientemente progettato e calcolato fin nei minimi particolari.
Questi spostamenti dei centri accentuali danno all'ascolto la sensazione
dell'andamento solenne e rituale caratteristico delle processioni religiose. Tre
sono le indicazioni che Carter suggerisce a proposito dei punti esatti dove
percuotere con le bacchette sulla membrana:[C] centro della membrana, [R] il più
vicino possibile al bordo della membrana, [N] posizione normale. Questi attacchi,
sempre variati ad ogni inizio di rigo sia per la mano destra che per la sinistra,
arricchiscono il pezzo di una ricca gamma di differenze timbriche sempre
mutevoli e suggestive.
Il secondo pezzo, Moto Perpetuo, dedicato a Paul Price, come il primo ha un
carattere strettamente percussivo. Il pezzo non ha nessuna indicazione di metro,
ma una sola indicazione agogica: 120 alla semiminima. Le prescrizioni per la
“modulazione metrica”, indicate solitamente con la doppia stanghetta tra due
battute, vengono qui sostituite da continue variazioni di gruppi regolari ed
irregolari di semicrome, spostando così continuamente, sempre in modo
proporzionale, gli accenti all'interno di ogni battuta. Ed è Carter stesso ad indicarci
in partitura come devono essere trattati questi accenti. Nelle note per l'esecuzione
il compositore prescrive che i vari gradi evolutivi di accentuazione devono essere
chiaramente udibili, elencando una serie di regole sulla dinamica degli accenti:
leggeri accenti all'inizio di ogni battuta, all'inizio di ogni gruppi interno alla misura
e accenti ancora più leggeri all'inizio delle fasce interne di semicrome, oltre ad una
serie di accenti specifici più forti posti sopra alcune note in semicroma all'interno
della battuta, da considerarsi come gli accenti che naturalmente si eseguono
all'inizio di ogni misura.
Il risultato sonoro è un picchiettio rapido di note di uguale durata, suddiviso in
frasi di accentuazione in continuo sviluppo e giocato con sottili bacchette di legno
ricoperte da feltro. La successione degli attacchi sui tre punti dello strumento,
continuamente variati, contribuiscono infine a mutarne costantemente il timbro.
Con un carattere opposto al percussionismo puro dei primi due, l'Adagio reca
in sé una moltitudine di passaggi contraddistinti da intensi slanci lirici. Dedicato a
Jan Williams, esso esplora molti effetti possibili modificando l'intonazione dei
timpani attraverso l'uso massiccio dei pedali durante l'esecuzione. I glissati
semitonali ottenuti con i tremoli, da eseguirsi sempre con la massima precisione
di intonazione, restituiscono all'ascolto una cantabilità singolare.
In questo brano Carter impiega in modo massiccio gli armonici all'ottava
superiore, ottenuti con la pressione delle dita sulla membrana degli strumenti, da
eseguirsi sempre con il massimo della precisione nell'intonazione. In due
momenti è previsto che gli strumenti risuonino per simpatia; anche in questi casi
l'intonazione deve essere molto precisa per poterne udire tutte le sfumature
timbriche ed intervallari.
Tutti questi effetti - vibrati, armonici, glissati e risonanze varie che
riecheggiano alcune volte insieme - saturano il pezzo di momenti travolgenti ed
emotivamente drammatici.
L'Adagio, per le sue peculiarità tecniche e compositive, si rivela
probabilmente il più originale e moderno di tutto il ciclo, l'unico che sperimenta,
assieme al Canto, un certo tipo di cantabilità percussiva di non facile esecuzione
su strumenti a membrana percossa.
Il Recitativo è un adagio drammatico che si compone di diversi elementi
ritmici contrastanti. Tremoli violenti, impulsi irregolari e brevi frasi ritmiche si
condensano man mano nella terza parte del pezzo dissolvendosi verso il
pianissimo finale in battiti secchi (“non troppo secchi” come indicato in partitura)
sempre più radi e irregolari. Le cellule ritmiche si comprimono progressivamente
arricchendosi di pause che spostano continuamente gli impulsi degli accenti,
trasmettendo così al finale un andamento incerto e pulsante. Il gioco continuo
dell'alternanza di queste cellule consente al compositore di avere il massimo
controllo nei cambiamenti di tempo, giocati ancora una volta con l'uso della
modulazione ritmica. Nel passaggio al finale il tempo cambia repentinamente dal
4/4 dell'impianto generale del pezzo al 18/32 della battuta di passaggio per poi
tornare gradatamente verso il 4/4 attraverso quattro battute rispettivamente di
9/32, 14/32, 2/4 e 3/4 Questi passaggi temporali proporzionali, qui utilizzati
repentinamente, fanno ben avvertire l'alternanza degli spostamenti degli accenti
all'interno di misure con simile numero di battiti interni.
Un'alternanza dei modi e di passaggi intermedi tra le varie posizioni di
attacco crea infine una ricca gamma di sfumature timbriche.
Il pezzo è dedicato a Morris Lang che fu tra i primi esecutori ad incidere nel
1976 gli Eight Pieces for Four Timpani.
Le prime undici battute dell'Improvisation, dedicato a Paul Price, variate
durante lo sviluppo con continui cambiamenti di velocità, costituiscono il nucleo
principale dell'intero pezzo. In isole cromatiche spostate di un'ottava e in tempi
che variano continuamente, l'ambito dell'improvvisazione è qui ben delineato dal
continuo alternarsi ritmico; l'improvvisazione diventa forma ed assume valore
strutturale.
Sembrano inoltre scaturire dal precedente pezzo i colpi smorzati dei gruppi
irregolari come a voler indicare un percorso linguistico in continuo sviluppo.
Anche se, come prescrive il compositore, l'Improvisation può essere eseguita sia
come pezzo di apertura che come pezzo di chiusura lasciando libero l'interprete di
decidere la successione dei pezzi, la sua collocazione al centro del ciclo non
sembra una scelta casuale. Per sua struttura e costituzione Improvisation è come
se fosse la sintesi delle problematiche ritmiche esplorate nei pezzi precedenti in
un'autonomia di linguaggio dal forte valore formale.
Altro discorso, invece, per Canto che già nel titolo, ricollegandosi
linguisticamente all'Adagio, ne ripercorre idee tematiche e strutturali. Tuttavia se
nell'Adagio la ricerca di linee melodiche si muoveva nell'ambito semitonale, in
Canto questa ricerca si espande in glissati che spaziano su intervalli più ampi. La
tecnica è pressoché simile. Il brano è costruito da ampie frasi di tremoli in
glissando con l'uso del pedale alternati da momenti percussivi da cui, come in
eco, entrano furtivamente in crescendo i tremoli in una sorta di stratificazione
ritmica e armonica multiforme . Lo stile è ricercato e conferma un'evoluzione
linguistica della scrittura rispetto agli altri pezzi scritti nel 1949. Composto infatti
nel 1966 e come per l'Adagio dedicato a Jan Williams, si distacca stilisticamente
dagli altri pur mantenendo inalterato l'interesse per la ricerca poliritmica.
Da una antica danza esotica molto in voga in Francia tra la fine del XVI e la
metà del XVII secolo, proviene il titolo del VII pezzo: Canaries. Probabilmente
antenata della giga, la Canaria è scritta solitamente in un rapido ritmo puntato di
3/8 o 6/8, ritmi quest'ultimi utilizzati largamente da Carter e che si adattano bene
alla gestione della “modulazione ritmica”. Le brevi frasi di danza, riecheggiate dal
compositore, tratteggiate e sviluppate in un continuo gioco di velocità diverse e
progressive, si sovrappongono talvolta creando un'originale atmosfera
contrappuntistica non consueta per i timpani. Dalla battuta 50 questo sviluppo
contrappuntistico si fa sempre più evidente mantenendo alla mano sinistra un
ritmo costante, contrapposto alle variazioni dello stesso ritmo in crescente
velocità per la mano destra. I frammenti si ricompongono via via verso il finale
dove vengono tratteggiate ancora le idee tematiche esposte in apertura del brano.
All'ascolto tutto ciò risuona regolare, ma in effetti le costanti progressioni
ritmiche e gli spostamenti degli accenti vengono continuamente variate in una
progressione sempre cangiante.
L'utilizzo di una ricca gamma di modi di attacco lo arricchisce di fascino mai
fine a se stesso. Tuttavia aldilà del puro gioco virtuosistico, il controllo dei due
piani ritmici costantemente modulati e la progressione degli accenti
continuamente variata costituiscono il nucleo centrale della struttura formale
dell'intero pezzo. Un ritmo costante e un altro variato nella velocità sono
caratteristica di molta musica scritta negli anni '50 da Carter.
Nell'ultimo March, due ritmi di marcia a velocità diversa si sovrappongono e
sono continuamente variati. I due piani ritmici, uno suonato con il feltro della
mazza e l'altro con il legno, producono un contrappunto ben distinto che viene via
via espanso nella sezione centrale per poi ritornare alle idee tematiche iniziali
nella sezione finale.
L'ottavo è senza dubbio il pezzo più eseguito di tutto l'intero ciclo forse
perché racchiude e condensa in sé tutte le problematiche ritmiche indagate negli
altri pezzi. Sulle sole quattro note dei timpani, Carter costruisce un contrappunto
ritmico e timbrico notevole e continuamente cangiante, elevando i timpani non più
a strumenti di accompagnamento orchestrale, ma restituendo dignità solistica a
lungo dimenticata anche per la poca praticità che comunque questi strumenti
hanno per i percussionisti.
I timpani, strumenti di certa derivazione extra colta, accolti dalla musica
colta e relegati fino allora in orchestra, vengono fuori da questo ruolo circoscritto
anche se pur importante, assumendo un'identità polifonica marcata.
Di non facile esecuzione sia per i problemi tecnici, sia per i problemi di
intonazione – difatti gli strumenti devono essere perfettamente accordati per
poterne cogliere anche i più delicati slanci melodici – gli Eight Pieces for Four
Timpani sono da considerarsi punto fermo e svolta evolutiva nel repertorio per
timpani contemporaneo.
Considerati una composizione monumentale fin dall'anno della loro
pubblicazione detengono ancora oggi un posto di rilievo nel repertorio per lo
strumento, essendo largamente utilizzati anche nei programmi accademici di
quasi tutti i conservatori e le scuole musicali. Essi infatti, oltre ad avere una forte
connotazione linguistica e compositiva, contengono problematiche tecniche che,
studiate attentamente dall'allievo, possono rivelarsi molto utili non solo al
percussionista solista, ma anche al timpanista dell'orchestra.
Ad altro tipo di trattamento sono soggetti i timpani nel Concerto da camera
per timpani e archi di Francesco Libetta del 2011.
Tranne che nell'impostazione formale – il Concerto è in quattro movimenti –
in tutto il concerto si riscontra una ricerca timbrica e melodica che prevale
sull'aspetto armonico di base.
A proposito del Concerto il compositore ci fornisce alcune chiavi di lettura su
cui è interessante soffermarsi.
I quattro tempi del concerto sono fondamentalmente variazioni delle medesime
idee.
La presenza del timpano, il quale più che con un carattere ritmico si spinge su un
uso "melodico", contagia di una certa gravità anche il gruppo degli archi, che non
gli si contrappongono in senso teatralmente concertistico.
Ricorrenti alcune formule e successioni di note:
- sol la siB mi mi la
- la do sol la
1) il primo movimento contiene lacerti di materiale, momenti di stasi, una
progressione vera e propria, e una chiusa dal tono quasi cerimoniale.
2) il "moto da luogo" che caratterizza il secondo movimento prende forma
attraverso sovrapposizioni di alcune cellule ritmiche ripetute e alternate. Una
serie di progressioni (l'ultima particolarmente vistosa) si alternano a cadenze e
depistaggi.
3) le brevi sezioni della Ciaccona variata sono appunto variazioni, sempre più
astratte, di un tema ritmico/armonico. Alla tredicesima variazione lo schema di
varianti successive si perde, e la chiusa si blocca su sè stessa, puramente
ritmica.
4) Il linguaggio modale dell'Idillio finale è, nella parte del timpano,
dichiaratamente melodico e armonico. Le "rimembranze" stilistiche (anche
come struttura, l'unica chiarissimamente ABA) non vogliono essere una
frattura di linguaggio.
Infatti alcuni elementi retorici del repertorio cameristico classico sono
rintracciabili in molte pagine dei quattro tempi.
La direzione dell'intero concerto non è il tradizionale percorso di redenzione fino
alla perorazione finale, ottimistica o catastrofica che sia.
Volendo attribuire un personale filo psicologico alla successione dei quattro
tempi, lo spostamento sarebbe piuttosto dallo sconcerto del movimento iniziale,
attraverso il discorso torbido dei due movimenti centrali, fino a recuperare la
malinconica ricordanza finale.
Se da un lato queste indicazioni ci forniscono materiale sufficiente per
un'indagine formale del pezzo, dall'altro rimandano ad una lettura più spostata
verso un piano emotivo. In una sorta di rilettura anamorfica, il “filo psicologico” di
cui scrive l'autore, sembra restituirci il tipico linguaggio stilistico del concerto
classico riletto tuttavia al contrario. Stupore e sgomento del primo movimento,
variazioni tormentate e sviluppi di frammenti indefiniti dei due movimenti centrali,
per arrivare infine all'Idillio finale palesemente nostalgico e inquieto.
Il linguaggio cameristico classico, riletto da Libetta attraverso una lente
deformante, risulta chiaro ed emotivamente accattivante e la struttura formale,
sapientemente organizzata, consente al compositore di muoversi agevolmente
nel percorso espressivo del Concerto.
I timpani, trattati come strumento solista, hanno una funzione melodica
piuttosto che ritmica. L'uso di dinamiche delicate fanno risaltare gli aspetti
armonici e lirici degli strumenti. Difatti se colpiti con dinamiche che non vanno
oltre il mf, l'intonazione dei timpani risulta particolarmente chiara anche se
timbricamente scura. Questo amplifica i timbri degli archi arricchendoli senza
essere mai in contrasto con essi. Quando al contrario la dinamica del mezzoforte
viene superata è per mettere in risalto l'aspetto unicamente ritmico.
Il primo movimento (Prefazione) è caratterizzato dall'alternarsi di idee
tematiche e slanci melodici che via via si ricompongono in strutture accordali per
poi sfilacciarsi nuovamente in linee melodiche. Centri tonali sempre cangianti
vengono continuamente modulati e i diversi cenni melodici si ricompongono in
isolate strutture verticali che ne sospendono il discorso. Le dinamiche dei timpani
sono sempre controllate servendo queste ultime ad amplificare il linguaggio
armonico e melodico degli archi in un continuo inseguirsi di timbri sempre
cangianti nel registro grave.
Il secondo movimento (A ritroso), attraverso nuclei ritmici variati e ripetuti, si
sviluppa in un continuo dialogo tra i timpani e gli archi, in una sorta di gara nel
rincorrere queste varianti. Momenti solistici più consistenti si alternano a momenti
di insieme in un continuo susseguirsi di sovrapposizioni ritmiche sempre più
vistose e articolate. Nelle ultime quattro battute del movimento si assiste al crollo
della tensione espressiva attraverso l'uso di silenzi e brevi frammenti sempre sulla
dinamica del forte.
La Ciaccona che dà il titolo al terzo movimento è costruita attraverso
variazioni sempre più indeterminate di una stessa idea ritmica e armonica. Le
formule utilizzate vengono qui a moltiplicarsi battuta dopo battuta attraverso
l'utilizzo di tempi proporzionali tra loro in un crescendo dinamico e ritmico che per
accumulazione ne amplifica l'aspetto espressivo e pungente. I passaggi, da una
variazione all'altra, sono impercettibili e da un certo momento in poi si smarriscono
del tutto in un accumularsi sempre più complesso delle strutture variate.
Anche in questo movimento non sono rintracciabili centri tonali ben definiti
se non accenni repentinamente modulati. Nel finale quest'accumulo di strutture
che si sovrappongono e si inseguono, si bloccano improvvisamente su se stesse
in una sospensione che conduce alla conclusione in dinamiche verso il piano e in
un borbottio esclusivamente ritmico.
L'atmosfera generale del quarto movimento (Ricordanze) richiama quella del
primo. Tuttavia questa volta le strutture melodiche e armoniche non si sviluppano
verticalmente come nel primo movimento, ma orizzontalmente. Il linguaggio
melodico e armonico è distribuito alle parti in frammenti di quartine di crome che,
ricomposti, restituiscono frasi melodiche ampie e timbricamente cangianti. I
frammenti melodici, giocati su intervalli di quarta e di terza, variano
continuamente in modulazioni armoniche minime che aggiunte a dinamiche
estremamente controllate nell'ambito del ppp (sia per gli archi che per i timpani)
restituiscono atmosfere sospese e rarefatte.
Un pò più mossa nello sviluppo e nelle dinamiche è la sezione centrale. Qui le
idee esposte nella parte iniziale del movimento si sviluppano – la struttura
dell'intero movimento è ABA – per poi riprendere nella sezione conclusiva con le
stesse atmosfere dell'introduzione e in un morendo progressivo. Più che negli altri
movimenti, il ruolo solistico dei timpani viene qui evidenziato. Lo strumento
“canta” continuamente senza che ci siano momenti di frattura nel discorso
melodico, tranne che in isolati momenti. Il fraseggio melodico è continuo e segue
armonicamente l' accompagnamento degli archi. Difatti se l'atmosfera generale è
di sospensione e rarefazione, al contrario i continui richiami melodici e armonici
tra il solista e gli archi creano un contrappunto fittissimo, in un continuo scambio
di idee e di frasi melodiche che si rincorrono costantemente.
Il linguaggio complessivo del Concerto di Libetta, sembra volerci rimandare
a certa musica da camera di Šostakovič. Egli infatti ripercorre e ci restituisce uno
stile del repertorio cameristico composto di processi di scrittura che derivano
direttamente da riflessioni melodiche, ritmiche e armoniche utilizzate dal
compositore sovietico, epurate tuttavia dalla retorica grottesca e drammatica che
caratterizzava certi suoi lavori.
Come per la Sonata per violino e pianoforte del 2010, che riportava come
sottotitolo “Con il senno di poi”, in cui chiari riferimenti linguistici e armonici della
Sonata per lo stesso organico di César Franck erano netti ed indistinguibili, anche
nel caso del Concerto per timpani egli sembra volerci condurre a quel processo
compositivo del “senno di poi” che dà l'impressione di volersi ricollegare allo stile
di Šostakovič più problematico e riflessivo. Questo modo di procedere di Libetta,
che sembra volere imitare stili del passato, in realtà ci restituisce un linguaggio
fresco e moderno e originale. Attingendo a piene mani nello stile di altri
compositori Libetta li conduce, attraverso un personale e ideale filo rosso, ai
giorni nostri, traendo dallo stile precedente solo le strutture formali e linguistiche
e trasformandole in un discorso linguistico personalissimo e di rara abilità
compositiva. Non è imitazione pura e semplice, ma imitazione critica che diventa
fonte di ispirazione personale, dimostrandoci così che alcuni materiali esistenti
non hanno ancora esaurito la loro forza espressiva. Parafrasando una celebre
frase di Adorno, dalla sua Filosofia della musica moderna, che metteva a stretto
contatto la modernità di certo linguaggio espressivo con i linguaggi tradizionali
del passato, si potrebbe affermare che anche per Libetta una vera rivoluzione
linguistica si può ottenere attingendo alla tradizione del passato.
Tutto rivolto verso strutture ritmiche e timbriche complesse è il Concertino
op.61 per pianoforte ed ensemble del 2011 di Lucio Garau.
Anche se l'architettura formale del brano è chiaramente di impostazione
classica – esso infatti è in tre movimenti, con due intermezzi tra un movimento e
l'altro e con una cadenza per il pianoforte solista – il trattamento ritmico, timbrico
e armonico risulta particolarmente originale.
Dal punto di vista armonico, il brano è interamente costruito attorno a
variazioni e inversioni degli accordi iniziali di Danseuses de Delphes, primo
preludio del primo libro di Preludi di Claude Debussy. I quattro accordi – tre di
questi aumentati ed uno maggiore - vengono subito intonati e trattati quasi come
dei clusters da cui emerge una nota che rimane sospesa fino all'attacco
dell'accordo (cluster) successivo. Questa introduzione dalla durata di circa undici
battute è il materiale tematico di base per il successivo dispiegamento di
variazioni ed inversioni armoniche che costituiscono l'intero Concertino.
Man mano che questo materiale viene esposto, esso si arricchisce anche di
spunti e di citazioni di materiali storici – chiara la citazione dalla Campanella di
Liszt alle battute 50, 51, 52 e 53 del primo movimento - ma anche da materiali
meno storicizzati come ad esempio il primo studio (Desordre) per pianoforte di
Ligeti. L'utilizzo di citazioni più o meno evidenti non è da considerarsi come un
capriccio compositivo, ma esso stesso è fonte di ispirazione creativa attraverso
un linguaggio chiaro e originale, anche se a volte complesso e che si arricchisce di
volta in volta di nuovi spunti compositivi in un percorso progettuale sempre
trasparente.
Dall'uso di questi materiali così eterogenei, affidati ora al solista ora
all'ensemble, vengono fuori continui contrasti armonici che all'ascolto farebbero
pensare a continue scordature degli strumenti o ad effetti ottenuti con un
trattamento elettronico del suono. È previsto tuttavia anche l'uso di un
trattamento elettronico del suono in tempo reale in diciannove punti del
Concertino indicati dal compositore nelle note per l'esecuzione all'inizio della
partitura. I trattamenti richiesti sono modulazioni ad anello o d'ampiezza.
Il materiale musicale viene a volte utilizzato in forma canonica, caratteristica
quest'ultima di molta musica di Lucio Garau. Le cadenze verso i vari centri tonali
che via via si vanno formando, sono sempre trattati per imitazione e spesso si
muovono per gradi cromatici discendenti.
Come molta musica del passato, alla battuta 169 è prevista una Cadenza
libera, ma che sia coerente con le idee musicali precedenti. Il compositore ottiene
così un'interazione diretta con l'esecutore in una specie di libertà esecutiva e
tuttavia molto controllata. Non è momento improvvisativo come si potrebbe
credere, ma un momento in cui il discorso musicale diviene dialettica tra
compositore ed interprete, e fa da perno tra il momento precedente e quello
successivo in una sorta di dialogo variato che diventa linguaggio creativo e
originale. Con questo modo di procedere, la musica di Garau si arricchisce sempre
di materiali nuovi e timbricamente originali. Una scala cromatica ascendente del
violino, alla quale risponde per imitazione il clarinetto, anticipa di due battute
l'Intermezzo 1°.
Particolari sia dal punto di vista timbrico che da quello emotivo, i due
Intermezzi sono posti tra un movimento e l'altro. La sospensione del discorso
ottenuta attraverso l'uso di particolari effetti sia del pianoforte che degli altri
strumenti, è la caratteristica di queste due sezioni del Concertino. Originale è
l'effetto delle corde del pianoforte sfregate da un filo che il compositore ha
utilizzato già da tempo in molte delle sue altre composizioni. Esso, associato al
vibrafono suonato con l'arco, crea una sensazione di sospensione meditativa nel
discorso musicale che fa da perno ma anche da collante tra il movimento
precedente e quello successivo.
Clusters delicati suonati nella regione grave dello strumento solista,
associati ad interventi del percussionista direttamente sulle corde del pianoforte,
ne amplificano il senso di sospensione temporale. Nulla è scritto e le poche
indicazioni date agli esecutori (pianoforte solista e vibrafono) lasciano libertà di
esplorazione timbrica del pianoforte che deve avere comunque una certa
coerenza con il resto della composizione. È lo stesso Garau a fornirci, nelle note
per l'esecuzione, il senso generale che devono avere entrambi gli Intermezzi:
In entrambi gli intermezzi non vengono indicate le altezze quindi scelta libera ma
sensata e non casuale. Lo scopo di questi due intermezzi è di collegare tra di loro i
tre movimenti del concerto con due brevi momenti di esplorazione del suono del
pianoforte. In generale gli interpreti devono trovare il modo di essere "coerenti"
con il resto della composizione.
Come nel caso della Cadenza, anche qui per il compositore non si tratta di
improvvisazione. Un po come avveniva in certa musica del passato, l'esecutore –
attraverso indicazioni precise del compositore – deve interpretare una sezione
che deve risultare il più coerente possibile con lo stile della musica scritta. Una
scelta controllata del ruolo dell'esecutore che, se in armonia con il resto della
composizione, diventa esso stesso linguaggio musicale originale e dialettica
costante tra interprete e compositore.
Le sonorità del secondo movimento sembrano provenire direttamente dalle
atmosfere dell'Intemezzo 1°. I clusters si sciolgono nell'Adagio in continui
contrasti ritmici e armonici e in dialoghi costanti tra il pianoforte e il vibrafono che
evidenziano un utilizzo del trattamento della tonalità in modo non tradizionale.
Alla battuta 46 è previsto inoltre l'intervento della voce che come un elemento di
disturbo contribuisce ad amplificare e confondere il ruolo tonale incerto del
movimento.
L'Intemezzo 2° è costruito con poche indicazioni, in tre sezioni segnate con A,
B e C. Nella prima il cornista deve sollecitare con un filo una corda del pianoforte
mentre il vibrafono è suonato con l'archetto del contrabbasso. La durata della
sezione non deve superare i quaranta secondi e la dinamica prevista è in
crescendo dal p al mf . Nella seconda sezione entra il violoncellista che deve
sollecitare, anche lui con un filo, un'altra corda del pianoforte, con pochi interventi
isolati, mentre il corno e il pianoforte continuano come nella sezione precedente in
un diminuendo dinamico dal mf al p. Nella terza e ultima sezione il cornista torna al
suo posto, mentre il percussionista suona due colpi forti sulle corde (la e si) gravi
del pianoforte che servono da segnale per l'attacco del terzo movimento. Queste
azioni degli esecutori, i quali intervengono direttamente sullo strumento solista,
sembrano volere arricchire, con gesti quasi teatrali, il linguaggio musicale
incentrato sull'esplorazione timbrica del pianoforte.
Il Presto finale è tutto giocato in un continuo inseguirsi ritmico di cromatismi
ascendenti e discendenti, che non forniscono centri tonali definiti. Le citazioni
dichiarate da Janáček – in particolare dal Capriccio per pianoforte (per la mano
sinistra) e fiati nel primo movimento - ma sopratutto a mio avviso a Bartók (in
alcuni momenti sembra di ascoltare una rielaborazione della Sonata per due
pianoforti e percussioni) sono particolarmente evidenti.
Le sezioni del movimento sono indicate in partitura da numeri progressivi. Ogni
sezione è di circa dieci misure e il disegno ritmico è costante. Ognuna inizia spesso
con un tempo irregolare – i tempi variano da 11/16 a 7/16 e viceversa con passaggi
progressivi – con indicazioni agogiche di 120 alla semiminima e si chiude sempre
con una misura in 4/4 (60 alla semiminima). Queste battute in 4/4 che interrompono
il flusso ritmico incalzante servono al compositore ad evidenziare il collegamento
degli accordi utilizzati in apertura del concerto. Difatti se nelle parti mosse non si
individuano centri tonali definiti proprio per l'utilizzo di scale cromatiche ascendenti
e discendenti, nelle misure che chiudono le sezioni appaiono gli accordi iniziali del
primo movimento. Questo precipitare verso l'ultima battuta del movimento, che
contiene l'accordo di apertura del concerto in una ideale chiusura formale, viene
ulteriormente messo in evidenza dagli strumenti a percussione. Infatti oltre al
vibrafono che dialoga costantemente con il pianoforte e l'ensemble in una sorta di
girovagare cromatico interrotto soltanto dagli accordi iniziali, dalla battuta 39 con
l'introduzione di grancassa, cassa a pedale e piatto sospeso, l'incalzare verso il
finale è sempre più manifesto. I continui cambiamenti progressivi di tempo
dell'intero movimento rimandano, in un certo senso, alla “modulazione metrica” di
Carter, anche se l'esplorazione di questa tecnica viene condotta da Garau in modo
più incisivo in Aurora nel Mare op.42, brano per orchestra del 2003.
Nella musica di Garau l'interesse verso la musica tradizionale etnica è evidente
e i riferimenti e le citazioni da Bartók o da Janáček non sono casuali. L'interesse
della ricerca sulla musica tradizionale di questi compositori coincide con l'interesse
di Garau.
Bartok sopratutto diventa punto di riferimento, cosa che deriva sicuramente
da Franco Oppo che di Garau è stato maestro. Difatti la scuola di Oppo è rivolta
verso la ricerca sulla tradizione, e di Bartók se ne assorbono anche le influenze
storicamente più discrete di quelle di Schönberg o di Webern, sopratutto nel
dopoguerra. In Sardegna sopratutto, dove la musica tradizionale ha avuto ed ha
un ruolo importante, questo tipo di ricerca sulla tradizione ha avuto terreno fertile.
Per Garau la ricerca sulla tradizione non è rivolta esclusivamente verso gli
strumenti, ma piuttosto nell'uso di certe pratiche tradizionali, sull'effettiva
complessità delle differenze formali e ritmiche e nelle strutture sempre diverse ma
ugualmente stimolanti, in una continua ricerca nella storia e nella cultura
musicale sarda di stimoli creativi sempre nuovi ed originali. Strutture e pratiche
della musica tradizionale sarda sono solidamente presenti nella sua musica.
Anche per Garau, come per Libetta, questo attingere a piene mani a un certo
tipo di tradizione – in Garau verso le tradizioni musicali sarde e per Libetta verso
tradizioni formali e strutturali della musica colta - risulta particolarmente
fecondo, restituendoci musiche complesse ed affascinanti dal linguaggio
originale ed innovativo.
Armando Gagliano
Lucio Garau
Nato a Cagliari nel 1959, Lucio Garau si è diplomato in pianoforte studiando a
Cagliari con Arlette Giangrandi Egmann (1969-1977) e poi a Napoli con Vincenzo
Vitale (1977-1979). Si è poi diplomato in composizione studiando a Cagliari con
Franco Oppo (1979-1990). Ha inoltre seguito il corso di musica elettronica (19851987). Parallelamente agli studi di pianoforte e composizione ha compiuto gli
studi classici al liceo Dettori e poi ha studiato filosofia presso l'Università di
Cagliari.
Nel 1991 ha fondato il MiniM Ensemble per dedicarsi all'approfondimento delle
tecniche proprie del linguaggio minimalista.
La sua attività di compositore si muove tra tecniche nuove e tradizioni, nella scelta
dei riferimenti come anche degli strumenti, con una produzione che vede, accanto
a pezzi acusmatici, pezzi di strumentazione tradizionale o altri che prevedono
l'utilizzo di strumenti tradizionali accanto, e spesso dialetticamente,
all'elettronica.
Tra le ultime attività nel 2006-2007 ha composto un concerto per clavicembalo e
jazz band, commissionato dal Brass Group di Palermo. Nel mese di maggio 2008 è
stata eseguita a Parigi la suite op.54 commissionata dal Groupe de Recherche
Musicale della radio francese. Sta lavorando da diversi anni ad una opera sul tema
di Orfeo commissionata dal teatro dell'Opera di Roma. Nel mese di agosto 2010 è
stato il compositore principale presso il Katrina festival in Finlandia.
Dagli studi di filosofia, in particolare dall'opera di Kant, Hegel, Marx e Freud deriva
la convinzione che è possibile un mondo migliore e che in questo mondo è
importante difendere il valore della musica d'arte. A questo compito, con l'obiettivo
della migliore divulgazione e del consolidamento del rapporto con il pubblico, si è
ispirata dal 1990 in poi la sua attività di organizzatore musicale in Sardegna e in
Italia.
Filippo Gianfriddo
Diplomatosi in strumenti a percussione al Conservatorio di Musica “Luigi
Cherubini” di Firenze, si perfeziona alla Scuola di Musica di Fiesole con Gionata
Faralli, prestando particolare attenzione alla tecnica “Stevens” per marimba.
Successivamente frequenta il Conservatoire Supérieur de Musique di Ginevra,
sotto la guida di William Blank e di Yves Brustaux, seguendo, inoltre, diversi
seminari con Emmanuel Sejourné e Frederic Macarez. Nel 1992-1993 è membro
dell'Orchestra Giovanile Italiana, con la quale effettua registrazioni televisive e
radiofoniche, concerti in Italia e all'estero con direttori di fama mondiale. Come
solista vince, nel 1993, il Concorso Nazionale per Percussionisti “Cotogni” di
Rovigo, presieduto da David Searcy. Selezionato nel 1994 dalla Fondazione Arturo
Toscanini di Parma, studia nell'omonima Accademia con Michael Rosen, Andrea
Dulbecco, L.F. Lenti, G. Bianchi, David Friedman, D. Grassi, Michael Quinn, G.
Mortensen, David Searcy, Maurizio Ben Omar.
Nel 1997 vince il Concorso per timpani con obbligo delle percussioni al Teatro
Lirico di Cagliari, dove, attualmente, lavora stabilmente Dal 2001 collabora con
l'Hamburgishen Staatsoper di Amburgo, diretta da Ingo Metzmacher e, dal 2002,
con la Mahler Chamber Orchestra, con la quale, a Parigi, nel dicembre dello stesso
anno, ha registrato un cd per la Deutsche Grammophon sotto la direzione di Marc
Minkowski.
Nel gennaio 2007 ha partecipato come “Assistant Principal Timpani” all'U.S.A.
tour della Filarmonica Toscanini, diretta da Lorin Maazel, per l'anniversario della
morte di Arturo Toscanini, nell'agosto e settembre 2007 con la medesima
compagine è stato in tournèe nel Sud America e Giappone.
Nel giugno-luglio 2010 ha ricoperto il ruolo di Timpanista presso il Teatro alla
Scala. Svolge intensa attività concertistica, sia come solista che in formazioni da
camera.
Francesco Libetta
Notato dai primi anni '90 dalla critica internazionale più autorevole, Francesco
Libetta è l'unico artista italiano a cui abbia dedicato un video il regista Bruno
Monsaingeon (celebre per i suoi documentari su Glenn Gould e Sviatoslav
Richter).
La critica più influente usa con Libetta termini impegnativi . Harold Schoenberg
scrisse: “maestro di ogni periodo o stile, Libetta è il migliore rappresentante del
gusto moderno […] una tecnica che lascia allibiti”, Paolo Isotta sul Corriere della
Sera: “ Un virtuosismo così miracoloso e un così delicato senso dell'eloquio
melodico, da indurci alla domanda: quale altro dentista della sua generazione, non
solo in Italia, può essergli accostato?”, John Ardoin dichiarò che, della nuova
generazione di pianisti, Francesco Libetta è “il più ispirato e creativo”.
Libetta si è interessato ad aspetti del pianismo diversi tra loro per stile o
implicazioni musicologiche: il ciclo completo delle sonate di Beethoven (1993/4,
poi registrate nel 2006) l'integrale degli studi di godowsky sugli studi di Chopin
(1990, videoregistrati nel 2006) l'integrale dell'opera pianistica di Chopin (1999 e
2010).
La sua attività musicale è andata ad arricchirsi con la direzione d'orchestra, la
composizione, una variegata attività nell'organizzazione culturale,
l'insegnamento, la direzione artistica, la scrittura
MiniM ensemble
fondato nel 1991 si è proposto inizialmente di approfondire un ambito specifico
del linguaggio musicale contemporaneo; il termine MiniM si riferiva quindi
contemporaneamente ad un'estetica, il cosiddetto minimalismo e all'attenzione
di evidenziarne le peculiarità ricorrendo spesso a formazioni estremamente
ridotte. In seguito l'ensemble ha partecipato a diversi festival e ha affrontato
anche altri repertori tra cui spesso le musiche di Giacinto Scelsi, di cui nel 1996 ha
eseguito in prima assoluta insieme a Michicko Hirayama i Canti del Capricorno.
Ministero Beni e Attività Culturali
Direzione Generale Spettacolo dal vivo
REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA
Assessorato della Pubblica istruzione
Spettacolo e Sport
Provincia di Cagliari
Presidenza del Consiglio Provinciale
Comune di Cagliari
Assessorato alla Cultura
Presidente
Lucia Avallone
AMICI DELLA MUSICA
DI CAGLIARI
Direttore Artistico
Lucio Garau
AMICI DELLA MUSICA DI CAGLIARI
Via Rossini, 61 - Cagliari - tel.&Fax 070.488502
www.amicidellamusicadicagliari.it - mail: [email protected]
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libretto amici musica 30marzo