P iove di Sacco
Città Veneta della Cultura 2004
8ª edizione
Premio biennale di poesia
Diego Valeri
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a cura del settore cultura del comune di Piove di Sacco
N. 2 gennaio 2005
Un ringraziamento particolare a Ferdinando Camon pe aver cortesemente
concesso di pubblicare un estratto della sua intervista a Diego Valeri
IL POETA E LA POLIS
C
he cosa significhi la parola “poeta” per chi della poesia non abbia fatto l’amore e, in qualche modo, la legge della propria esistenza, io non saprei, nonché
dire, neppure sicuramente immaginare. Perché nella poesia (come, d’altra,
parte, nella verità, nella carità, nella libertà), o ci si è totalmente, o non ci si è per nulla.
E chi non c’è non può farsene, dal difuori, un’idea precisa, ma solo accettare, se sia
persona bennata, le pseudo - definizioni che ne trova nei libri; o riderne con sciocca
iattanza, se appartenga al profanum vulgus, a così buon diritto odiato da Orazio. (Il
“vile volgo maligno”, ribadirà il cristiano Parini.)
Del volgare non mette conto di occuparsi. Ma del galantuomo o gentile uomo, non
addetto al servizio della poesia eppure disposto ad onorarla, si vorrebbe davvero sapere quel che ne pensa, e come consideri e si figuri il poeta. Suppongo che lo consideri,
secondo una tradizione vecchissima e perciò veneranda, come un curioso animale,
d’altra specie dalla sua; o, quanto meno, come un pazzarello che, invece di attaccarsi
alle cose, gode di giocar con le ombre, e s’incanta con strane parole - musica, invece
di badare al sodo e provvedere all’utile per sé e per gli altri.
Se così fosse, se così è, come persuaderlo, l’amabile amico, che la poesia è il più utile
prodotto dello spirito umano? Il più necessario, anche, alla conversazione e allo sviluppo della civiltà? Di quella, o di quelle civiltà che sempre han fatto della poesia la loro
cima e il lor fiore? Come persuaderlo che la parola poetica è, continua ad essere, il
Verbo, ossia la più perfetta traduzione in termini umani di esso Verbo, diciamo la sua
fruttifera incarnazione? Che senza il pane della poesia non si potrebbe vivere neppure
un giorno? Che un mondo senza poesia non avrebbe ragione di essere, pur se gonfiato di tutti gli orgogli e munito di tutti i conforti (conforts) della scienza moderna?
In realtà la poesia è in tutti, anche in quelli che non sanno di portarla in sé, o non
vogliono saperlo; se non come compiuta rivelazione e formata parola, è in tutti come
stato d’animo, commozione ineffabile, desiderio, rimpianto, nostalgia di cose forse
perdute, forse non conosciute mai, forse inconoscibili: misteriose essenze, stabili,
immutabili, non soggette, esse sole, al rapinoso flusso del tempo.
Questo mi pare certissimo. E tuttavia nella società d’ogni epoca, ma specialmente in
questa dei nostri giorni, surriscaldata anzi infiammata dal sacro fuoco della scienza, il
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poeta, più che uno spaesato, sembra un lusus naturae. Un monstrum, sì e no mirabile,
ma sempre incompreso nelle sue vere intenzioni e funzioni. E nei suoi veri valori,
quando di valori sia lecito parlare.
Dice il Manzoni, negli Sposi promessi: “Se le lettere dovessero aver per fine di divertire
quella classe di uomini che non fa altro che divertirsi, sarebbe la più frivola, la più servile, l’ultima delle professioni. E vi confesso che troverai qualcosa di più ragionevole,
di più umano e di più degno nelle occupazioni di un saltimbanco che in una fiera
intrattiene con le sue storie una folla di contadini; costui almeno può aver fatto passare qualche momento gaio a quelli che vivono di stenti e di malinconie, ed è qualcosa”.
Qui fa capolino, come si vede, la similitudine del poeta e del saltimbanco; similitudine (o assimilazione) antica, di cui si può trovar traccia, né so se sia la prima, in
Plutarco. Si legge infatti nella Vita di Pericle che il re Filippo ebbe a rimproverare una
volta il giovane Alessandro di aver troppo bene cantato in un banchetto: ”Non ti vergogni di cantare con tanta bravura?”. (…)
Agli antipodi della concezione “buffonesca” si colloca quella, anche più antica, e sempre corrente (ma quanto poco creduta), del poeta vates, del poeta vas electionis e interpres deorum. Nello Ione platonico, tutti ricordano, Socrate parla della misteriosa virtù,
propria dei poeti e degli interpreti di poesia, di comunicare agli altri il palpito vivo dei
loro pensieri: somigliano alla pietra di Magnesia che attira il ferro e al ferro comunica
la sua stessa forza, appunto, magnetica. (…)
Ma dunque: quale sarà codesta virtù magica, o ispirazione divina, che fa scoprire al
poeta i rapporti segreti delle cose, le eterne essenze insite e occulte nella realtà apparente?
Non altra che la sua fede nella parola, il suo poter abbandonarsi docilmente alle suggestioni della parola, liberata da ogni servitù, restituita nella sua potenza di Verbum e
di Carmen. Bisogna proprio ripetere che la parola è al principio di tutto, anzi è tutto.
La parola poetica, s’intende, e non quella comune che serve ai commerci sociali e che,
secondo Sant’ Agostino, è soltanto vox verbi. Quanto al sentimento, al pensiero,
all’immagine, è chiaro che non son nulla se non diventano parola.
Il poeta, lo scrittore - si chiede Novalis - è altra cosa che un “invasato del linguaggio?”
Tratto da Diego Valeri, Tempo e poesia, Mondadori, 1962, pp. 23-28
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SEZIONE OPERA EDITA
Massimo Bocchiola
Le radici nell’aria, Guanda, 2004
Massimo Bocchiola è nato e vive a Pavia.
Da una decina d’anni lavora come traduttore dall’inglese.
Fra i tanti autori tradotti: Irvine Welsh, Joseph O’Connor,
Paul Auster, Charles Bukowski, Jack Kerouac, Thomas
Pynchon, Don DeLillo. Le radici nell’aria è la sua seconda raccolta di poesie dopo Al ballo della clinica.
La chiave del palchetto
In un crepuscolo all’inizio d’estate
il padre e il figlio aspettavano insieme
che il primo refolo d’aria staccasse
l’afa dai muri, senza raccontarsi
che l’attesa era tutto… non la fioca
brezza sudata che doveva trarre
la madre dai lavori di cucina
verso il giardino, fra grilli e zanzare,
nel crepuscolo grande dove a stento,
anni dopo, l’avrebbero cercata.
Perché agosto è diverso: per crudele
che insista il caldo, sono giorni brevi
e sere tropicali, scivolose
a un ricordo che già non ci appartiene.
Perché tutti teniamo in una tasca
qualche biglia (un ritaglio di giornale,
con scritto la sentenza è rinviata, la sentenza
è sospesa), la chiave del palchetto
dischiuso su merci doux crepuscule,
mercé dolce crepuscolo, splendore
dell’aria di tenore.
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Alba Donati
Non il mio nome, Marietti 1820, 2004
Alba Donati è nata a Lucca e vive tra Firenze e
Lucignana (LU). Ha pubblicato La Repubblica
Contadina (City Lights, Firenze 1997, Premio
Mondello “Opera Prima” e premio Sibilla
Aleramo). Ha curato Costellazioni Italiane 19451999. Libri e autori del secondo Novecento (Le
Lettere, Firenze 1999), Poeti e scrittori contro la
pena di morte (Le Lettere, Firenze 2001) e, insieme
a Paolo Fabrizio Iacuzzi, il Dizionario della libertà
(Passigli, Firenze 2002). Di Maurizio Cucchi ha
curato Poesie 1965-2000 (Oscar Mondadori,
Milanio 2001).
L’atlante dei potenti è saltato,
tocca a noi cercare la geografia più giusta,
la vulnerabile carta degli umani.
E la vorremmo segnata da sorgenti e minareti
che indicasse distanze e popoli perduti,
il buio e questi spostamenti straordinari,
migrazioni, uomini in attesa che si mostri
la terra bianca, luminescente sotto la nebbia.
La vorremmo che avesse lunghe traiettorie di giunchiglie
e non queste lamine gelate che chiamano confini.
La vorremmo con le croci al posto giusto
perché potessimo, tu e io, inchinarci davanti
alla potenza violacea della morte e uscirne
come si esce di casa un fresco sabato mattina.
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Fabrizia Ramondino
Per un sentiero chiaro, Einaudi, 2004
Fabrizia Ramondino è nata a Napoli nel 1936. Per
Einaudi ha pubblicato le seguenti opere di narrativa:
Althénopis (1981), Storie di patio (1983),
Dadapolis. Caleidoscopio napoletano (con Andreas
Friedrich Müller, 1995, L’isola riflessa (1998),
Passaggio a Trieste (2000), Guerra di infanzia e di
Spagna (2001).
Cara terra
Va bene,
tutto scorre.
Ma chi regge gli argini
del fiume?
Non mi sono di aiuto
filosofia teologia psichiatria
ma forse solo tu
stupida cara terra
cui vorrei tornare
perché da te sono nata.
Ma chissà… S’io volessi
vorresti anche tu?
Restiamo nel dubbio,
da sposi separati in casa.
L’acqua allarga o restringe
gli argini.
In mezzo, si dice, c’è il letto del fiume.
Se vuoi, torniamo a dormire insieme.
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SEZIONE POESIE INEDITE
E MI SPENGO COME LUCI
E mi spengo come luci d’una città
attraversata da carrozze cariche
di menzogne; un fiammifero
in mano non basta a cercarmi
quando chi inseguo sei tu.
Finestre e occhi, e giù vicoli
indecenti, dove l’aria manca
e l’odore di morte s’avvicina.
Arranca a fatica un uomo di cent’anni,
mani gracili che sono silenzi rotti
dal pianto; vorrebbe rubare
una bicicletta poggiata a un muro
di calce, vorrebbe correre indietro
e ritrovarsi bambino.
E si spengono le luci in città,
si chiudono gli occhi dietro le finestre,
ferme le carrozze; al capolinea
una donna dimentica sé stessa
in una borsa di plastica blu.
Lorella De Bon (Castion, BL)
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MISTRÀL
Quest’isola è un fossile di nave,
la rotta, perduta,
era forse verticale:
ma del viaggio
rimane solo il vento, senza vele.
Spira da sempre
questo profumo candido di sale,
e l’umido sanguigno delle bacche
misto al marcio
fecondo delle posidonie.
Tutto nasce già carico di secoli,
tutto s’abbruna,
perché il colore è un parco lusso
di pochi giorni:
fiamme di papavero
e piccoli grumi gialli di ginestre.
Ma solo l’aspro della pietra è vero,
il disperato radicarsi del lentisco,
il basalto grezzo dei nuraghi.
E su tutto
la ruggine dolce dei licheni.
Alessandro Melis (Oristano)
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A TUTTI I NOSTRI FALLIMENTI
Venderò da un carretto
fichi, uva e vino scuro
in anfore greche,
e soprattutto apologie del fallimento
in diverse edizioni,
ora economiche
ora lussuose.
Fino a quando non mi puniranno
nudo sul rogo,
venderò ai passanti
paperback tascabili accanto
a raffinate confezioni
con lettere d'oro
e stampe preziose.
Arriverò col mio carretto
e i miei clienti saranno
sempre contenti:
"Venite, è arrivato
l'uomo dei fallimenti!"
Verranno da me tutti quanti
sia chi avrebbe avuto
altri progetti
sia chi dice di non aver
grandi rimpianti
ma lo dice ad occhi bassi
e labbra stanche.
Lasciate che vengano
a me i bambini
se poi mi incontrano la sera
giocando con la propria ombra.
Li metterò in guardia
con questo Antico testamento
e forse abbracceranno il dionisiaco
ancor prima di smetter di cantare.
Giocherò col loro istinto di morte
dirò loro come parlarono zarathustra, e giovanni, mohammed e buddha,
krishna e giove pluvio,
e insieme scanseremo le educazioni
che come frecce infuocate pioveranno
insidiose appuntite dall'Alto.
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Vengano tutti al mio carretto
sul ciglio d'una strada ombrosa:
accoglierò il curioso e l'ottimista,
e consolerò la sposa.
Venga il padre stanco,
e quella che a vent'anni
sentiva il mondo in mano.
Venga l'impiegato, il filosofo
e il poeta, venga il ricco triste
e l'inviato onu in medioriente.
Vengano tutti: l'incostante
assieme al maniaco-depressivo.
Che passino, se possono
prima dei trent'anni
o mandino fanciulli:
preferisco in pagamento
illusioni ancora fresche,
sono la più pratica
moneta oggi corrente.
Mi sentite?
Metterò in questi libri
tutto il cortisone d'Occidente
per lenire le vostre infiammazioni
e per curare i vostri spasmi
ogni volta che tracciando sommatorie della vita
sentirete lo stomaco tremare.
Vi avverto: l'apologia
sarà incompiuta,
chiaramente. Tuttavia,
leggendola, la troverete
interessante:
la liturgia degli 'avrei voluto'
è in appendice,
così da darvi modo
di salmodiar contenti.
Brinderemo allora tutti assieme
col controcanto tragico
di chi ci crede ancora,
delle donne gentili,
delle rime assonanti
e degli amici prudenti.
Brinderemo, senza eccezioni,
- cuori ebbri e sorridenti a tutti i nostri fallimenti.
Emanuele Fratantuono (Carpi, MO)
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SEZIONE POESIE PICCOLE
A MIO NONNO
Caro nonnino,
ti porto sempre nel mio cuore.
Di te ricordo i tuoi incoraggiamenti,
quando mi consolavi,
quando mi raccontavi
le tue storie di guerra
e le tue vecchie filastrocche,
come quella che diceva:
"mi go un prà
ben seminà
e quando che xè dì
no ghe ne pì!"
Ora in quel prato ben seminato,
ci sei anche tu
e nelle sere d'estate
quando alzo gli occhi al cielo
cerco la mia stella
che brilla lassù.
Mio caro nonnino
non ti dimenticherò
mai più!!!!!!!!!!!!!
Christian Rossato (Piove di Sacco, PD)
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BAMBINI SFORTUNATI
Noi abbiamo la casa lussuosa e brillante
e vogliamo il giocattolo più bello
e stravagante.
Ci son bambini molto sfortunati
che i giocattoli li han solo preparati
nelle fabbriche senza finestre
perché non posson girare le teste.
Non vanno a scuola,
non sanno scrivere una parola;
la loro firma non sanno fare,
sanno soltanto lavorare.
Diversamente non possono fare
perché non conoscono i loro diritti
e non hanno una maestra che glieli può insegnare.
Nicole Cesarato (Piove di Sacco, PD)
L’AMICIZIA AIUTA SEMPRE
Nel bosco, una mattina,
una lepre piccolina
restò intrappolata
in una tagliola dimenticata.
Le sue grida disperate
furono ascoltate
dalle amiche leprotte
che la liberarono prima di notte.
Classe IIIa, Scuola elementare Dante Alighieri (Piove di Sacco, PD)
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DIEGO VALERI
Camon Constato una disarmante uniformità negli interventi critici sulla sua
poesia: tutti concludono col mettere in rilievo il colore, le rese paesaggistiche.
Tutti han colto nel segno? O tutti fuorviati dal vistoso cromatismo?
Valeri Io penso di non essere né in diritto né in condizione di avere una mia
opinione personale in proposito. Distinguere, nei giudizi che sono stati dati da
tanti valentuomini e cari amici, ciò che è “giusto” da ciò che non lo è mi pare
estremamente difficile, perché… perché ci son dentro. Tuttavia, vediamo.
Codesto cromatismo… Io credo, in verità, di non avere mai avuto intenzione, e
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Ezra Pound e Diego Valeri
L
a poesia di Valeri la si considera, generalmente, piana, senza sottintesi: tutta
lì, sulla carta. Dice, non presuppone
né allude. E’ perciò una zona letteraria per la
quale, più che per ogni altra, il primo giudizio ha fatto scuola, ed è stato ripreso dal
secondo e da tutti i successivi. La formula
che definisce Valeri (“poeta del colore”) è
infatti la meno contraddetta.
Ma recentemente una revisione di Valeri l’ha
tentata un altro poeta veneto, ma di opposta
formazione, il nevrotico Andrea Zanzotto.
Per una verifica di queste posizioni critiche
càpito a casa di Valeri, a Venezia. La facciata
dà su un canale, e tra il muro e la sponda ci
sono appena due metri: tuttavia una lapide,
murata nella casa del poeta, avverte che lì
son proibite “le caccie de li torri”. È, evidentemente, una lapide che viene da
chissà dove. Valeri mi accoglie nello studio che dà sul canale.
neppure coscienza, di fare del colore. Questo non vuol dire che la mia non possa
dirsi poesia del colore. C’è stato nella mia famiglia un pittore, mio fratello Ugo.
Sin da ragazzino, io, che avevo quattordici anni meno di lui, lo vedevo dipingere, vedevo nascere i suoi quadri. Può darsi che sian rimaste dentro di me quelle
impressioni della fanciullezza, e d’altra parte è certo che io amo molto la pittura, e ne parlo e ne scrivo volentieri. Ciò nondimeno mi pare che la mia poesia,
quella che son costretto a chiamare la mia poesia (absit inanis superbia verbis),
nasca in me, non come pittura traslata, bensì come pura emozione umana, come
stato d’animo, come sentimento…
Camon Non nasce coloristica in partenza, dunque?
Valeri Non mi pare. (Io mi sforzo di rispondere alle sue domande con la maggiore chiarezza, ma il fatto è che, dentro di me, molto chiaro non ci vedo, non
ci ho visto mai.)
Camon Se adesso, nella sua maturità poetica, non è la visione coloristica quella
che dà l’avvio alla sua poesia, vediamo un po’ alle origini, cioè nelle prime cose
che lei scriveva, come le è nata la vocazione
poetica: neanche allora mi pare si trattasse di
una volontà di tradurre colori.
Valeri No certo: pur se i colori facevano
parte essenziale dello “stato d’animo”. Certe
giornate di tardo autunno, quando andavo
da Padova, mia città “prima”, in bicicletta al
mio paese, posto, come lei sa, sul limitare
della laguna di Venezia, giornate spente, grigie, fosche, o certi momenti ariosi, luminosi
di prima primavera, sempre su quelle strade
di pianura bassa, o certe lune d’agosto sugli
argini dei nostri fiumi…: ecco degli stati
d’animo di allora, che sento ancora vivi in
cuore. E, senza dubbio, sono “colorati”: ma il
colore altro non faceva che visualizzare un
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Camon Giacomo Debenedetti arriva alla formula definitiva di “poeta delle vacanze”, e del
“colore come segno insieme semantico e formale”, e parla di parole azzurre, rosa, violette.
In lei, diceva Bettini, anche il movimento è
colore, perché si traduce in movimento di
colori. Che colore ci sia, si deve riconoscere: e
già ne parlammo; che il colore sia tutto, non
mi lascia convinto.
Valeri “Poeta delle vacanze” è definizione più
larga di “poeta colorista” ed è una bellissima formula, caduta dentro uno dei
saggi più felici di quel grande saggista che è Debenedetti. (Quanto io sia orgoglioso di avergliene dato occasione, non occorre dire.) Se essa vuol dire che la
mia poesia nasce da un momento di liberazione dall’angoscia esistenziale (chiamiamola col suo nome ufficiale), allora mi pare che risponda pienamente a verità. Penso, per analogia, alla formula con cui Federico Amiel designava i momenti, i giorni di grazia (così rari nel tessuto polveroso della sua grama esistenza):
giorni domenicali, cioè giorni del Signore. In questo senso vorrei intendere la
“vacanza” di cui parla Giacomo Debenedetti, e riconoscere così, implicitamente,
che nella poesia io cerco, se pur non trovo, la libertà, la serenità, la felicità.
Camon Bo, nel saggio premesso alla Sera pubblicata da Scheiwiller, dice: “Valeri
lascia le cose al loro posto”.
Valeri Sarà vero? Non sarà vero? Non so; ma voglio ringraziare Carlo Bo di avermi indovinato, almeno, in una intenzione, in una tendenza, in una aspirazione
che mi diversifica dai poeti del nuovo Sturm und Drang, sempre e furiosamente
impegnati a turbare l’ordine naturale delle cose, a spezzare la realtà in tanti cocci
e rottami…
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Valeri con le figlie Giovanna e Marina
sentimento, un affetto, un amore, un dolore.
Io la ridurrei a questo la funzione del colore
nella mia poesia.
Camon Non è formula estetica, però.
Valeri E’ prevalentemente psicologica, d’accordo, ma non soltanto psicologica;
visto che si tratta di una psicologia manifestata, espressa poeticamente. (…)
Camon Perché mai lei non vuole che si parli delle esperienze che ha vissuto in
quest’ultima guerra?
Valeri Perché son cose capitate a
tutti, per nulla eccezionali.
Camon A tutti forse no.
Valeri Diremo dunque: capitate a
molti. E io penso che soltanto i
protagonisti dovrebbero prender la
parola per raccontare quel tempo
orrendo e meraviglioso. Si dà invece il caso che proprio i protagonisti tacciano. Noi non abbiamo un
libro di memorie di Egidio Meneghetti, né di Concetto Marchesi; e neppure di
Ferruccio Parri. I giovani, d’altra parte, i nostri giovani eroi, un Todesco, un
Giuriolo, un Curiel, un Pierobon, sono caduti nell’azione. Non hanno parlato,
hanno operato. E’ vero che, pur senza parlare, ci comandano di “resistere” ancora. Poiché la resistenza non è finita, non può finire fin tanto che siano vivi e attivi i germi patogeni che sappiamo… Ma torniamo alla letteratura.
Camon Ebbene: il suo iter le appare come appariva a Zanzotto: da una posizione vagamente crepuscolare - pascoliana, con analoghi innesti francesi, a una estatica “coscienza diffusa” e a un ritegno di carattere classico?
Valeri È così; ed è detto molto bene, come solo sa dire queste difficili cose il
nostro Zanzotto. (…)
Tratto da Ferdinando Camon, Il mestiere di poeta, Garzanti, 1982, pp. 53 - 57
15
INDICE
pag.
1
Sezione “Opera edita”
pag.
3
Sezione “Poesie inedite “
pag.
6
Sezione “Poesie piccole”
pag.
10
Ferdinando Camon, Diego Valeri
pag.
12
© Fotoclub Chiaroscuro, Piove di Sacco
Diego Valeri, Il poeta e la polis
Piove di Sacco, Santuario Madonna delle Grazie
ESTRATTO DAL BANDO DI PARTECIPAZIONE
AL PREMIO BIENNALE DI POESIA “DIEGO VALERI “ 2004
Il Premio si articola in due sezioni:
A. Opera edita, a cui possono partecipare Opere prime e seconde di poesia pubblicate fra il 1 gennaio 2002 e il 30 ottobre 2004;
B1. Poesie inedite, a cui possono partecipare con propri testi poetici, fino ad un massimo di quattro, studenti delle scuole medie Superiori o dell’Università;
B2. Poesie piccole, a cui possono partecipare con propri testi poetici, fino ad un massimo di due,
bambini delle scuole elementari o medie inferiori.
Per partecipare alla sezione A il concorrente deve spedire, entro il 30 OTTOBRE 2004, alla segreteria del Premio 5 copie della sua Opera edita prima o seconda e compilare tramite il sito Internet
www. diegovaleri.it la domanda di partecipazione al Premio.
Una copia dell’Opera sarà conservata presso la Biblioteca Comunale “Diego Valeri” di Piove di
Sacco.
Per partecipare alla sezione B lo studente deve inviare, entro il 30 OTTOBRE 2004, le poesie inedite con cui intende partecipare al Premio tramite il sito Internet www. diegovaleri.it.
Fa fede la data di compilazione della domanda di partecipazione tramite il sito Internet www.diegovaleri.it
Al Premio possono partecipare opere inviate da autori ed editori oppure invitate dalla Segreteria
del Premio; non saranno accettati autori già premiati né opere già iscritte alle precedenti edizioni
del Premio. Non sono ammessi premi a pari merito.
I finalisti di ciascuna sezione sono tenuti a partecipare alla giornata finale del Premio. I tre finalisti della sezione Opera edita sono inoltre tenuti a fornire gratuitamente copia della loro opera ai
componenti della Giuria dei lettori.
Il Montepremi complessivo del Premio è pari a 3.200 euro. I finalisti e i vincitori di ciascuna sezione riceveranno un Premio del seguente valore:
Opera edita: i tre finalisti riceveranno un premio di 300 euro ciascuno. Il vincitore, a cui sarà assegnato il Premio “Diego Valeri 2004” riceverà un ulteriore premio di 1.000 euro.
Poesie inedite: i tre studenti finalisti riceveranno un premio di 150 euro ciascuno in buoni acquisto. Lo studente vincitore, a cui sarà assegnato il Premio “Città di Piove di Sacco 2004” riceverà
un ulteriore premio di 500 euro in buoni acquisto.
Poesie piccole: i tre bambini finalisti riceveranno un premio di 50 euro ciascuno in buoni acquisto. Il bambino vincitore, a cui sarà assegnato il Premio “Il Campanellino 2004” riceverà un ulteriore premio di 200 euro in buoni acquisto.
Il vincitore della sezione Opera edita è tenuto a segnalare tramite fascetta da apporre all’esterno del
libro l’assegnazione del Premio di poesia “Diego Valeri”.
La partecipazione al Premio implica l’accettazione e il rispetto di tutte le indicazioni contenute nel
presente bando e del giudizio insindacabile delle Giurie.
Una parola che dicesti, figlia,
quel giorno,
laggiù, nel verde camposanto
del mio vecchio paese,
mi è scesa in cuore, e vi è rimasta, viva..
« Penso che, dopo,
verrò qui pure io,
resterò qui con voi. »
Ti udiva, certo, di là sotto,
tua madre, ed era un poco consolata.
Perché è bello, perché sarà dolce,
dopo il dopo,
sentirti accanto a noi, tra noi,
fuori del tempo, nel sempre, nel nulla.
Diego Valeri
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Libretto d valeri - Comune di Piove di Sacco